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Scenografe - Anna Maria Monteverdi Riassunto, Appunti di Scenografia

Riassunto dettagliato del libro "Scenografe" di Anna Maria Monteverdi, 2021.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 03/03/2024

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Scarica Scenografe - Anna Maria Monteverdi Riassunto e più Appunti in PDF di Scenografia solo su Docsity! INTRODUZIONE: VERSO UNA DE-GENDERIZZAZIONE TETRALE: Il testo analizza de<agliatamente la storia della discriminazione di genere nel contesto teatrale, evidenziando la notevole esclusione delle donne in ruoli chiave come registe, scenografe e drammaturghe. Si fa notare che per molH anni le donne sono state sistemaHcamente trascurate nei manuali e le loro contribuzioni spesso dimenHcate, ricevendo riconoscimento solo quando associate a colleghi maschi. L'autrice uHlizza staHsHche, in parHcolare i risultaH di Porsche McGovern, per dimostrare la disparità di genere nelle professioni teatrali. Ad esempio, emerge che la maggior parte delle posizioni di stage designer è occupata da uomini, mentre le donne sono più rappresentate nella proge<azione di costumi. Un esempio specifico in Italia riguarda il Piccolo Teatro di Milano, dove solo dieci scenografe sono state coinvolte rispe<o a cento colleghi uomini. Il testo esamina le sfide che le donne affrontano nelle loro carriere teatrali, compresi problemi come il gender divide e il sexual harassment. Nonostante l'incremento recente della partecipazione delle donne al lavoro, si so<olinea che l'accesso alle isHtuzioni tradizionalmente maschili richiede tempo e sforzi conHnui. Vengono citate figure pioniere come Aline Bernstein, la prima scenografa negli StaH UniH ad aderire a un sindacato dominato dagli uomini. Si me<e in luce come alcune arHste abbiano ricevuto riconoscimenH significaHvi per il loro contributo al teatro. Il testo conclude rilevando la presenza di una nuova generazione di registe e scenografe che stanno lo<ando contro le disuguaglianze, contribuendo a una scena alternaHva con un chiaro impegno per l'empowerment femminile. Si menziona anche un cambiamento posiHvo nel design tecnologico, evidenziando iniziaHve come il fesHval a Barcellona promosso da Rosa Sanchez per favorire la formazione femminile nell'ambito tecnoteatrale. In sintesi, nonostante le sfide persistenH, il testo suggerisce che si sHano verificando cambiamenH e progressi verso una maggiore parità di genere nel mondo teatrale. L’ALTRA METÀ DELLA SCENA: Ricordiamo le colorate e originali scenografie di Daniela Dal Cin, intorno alle quali, con armonia collaboraHva che non ha eguali, ruota il lavoro della Compagnia Marcido Marcidotjs e Famosa Mimosa e del suo mentore e fondatore Marco Isidori o anche le scene di Gae AulenH, che hanno definito lo sHle archite<onico e severo degli allesHmenH ronconiani degli anni Se<anta e O<anta. Questo libro è stato scri<o sulla scia degli women`s studies dataH agli anni O<anta e sulla traccia del fondamentale volume di Lea Vergine L`altra metà dell`avanguardia 0980) e del forte impa<o che ha esercitato sugli studi di genere; nel farlo, si è deciso di seguire sia una dire<rice storica, segnalando le figure più preminenH delle avanguardie mondiali, sia una linea temaHca, che inevitabilmente aderisce alle tendenze più recenH (l`impegno poliHco, l`acvismo ecologista e la sperimentazione di nuovi biomateriali). La prima opera con temaHca LGBT della storia è stata allesHta dalla scenografa e regista basca Marta Eguilior, definita l’enfant terribledella lirica, mentre la quesHone del postcolonialismo è stata portata alla ribalta dall’arHsta afroamericana Kara Walker, sia nelle installazioni che nelle scenografie d`opera. L’ambito di riferimento è quello del teatro di prosa, della danza, della lirica, ma anche dello show design, cioè i concerH per il grande pubblico e del musical (incarnato da Maria Bjornson, la scenografa di The Phantom of the Opera); e ancora, il se<ore della cosidde<a "scenografia espansa", che include allesHmenH per spazi e ambienH urbani. L’immagine più significaHva e simbolica del "cambio di passo" è quella che vede Es Devlin, star del design degli evenH arHsHci dal vivo, prendere le redini dell’allesHmento del palco degli U2 per il loro ulHmo e ultratecnologico tour. È proprio Devlin a firmare la scena in un ambiente dove fino a poco prima campeggiava il logo della società Stufish di Mark Fisher, creatore del palco di The Wall. Un passaggio di tesHmone che ha segnato un’epoca: Es Devlin, che ha fa<o "riaprire gli occhi" a Adele nel palco dell’a<eso tour del rientro, che ha fa<o scendere Miley Cyrus dalla sua stessa lingua riprodo<a in dimensioni gigantesche, e che ha costruito la memorabile scena per l`opera lirica Les Troyens, oggi è lei il "grande nome" da me<ere in primo piano sui cartelloni del NaHonal Theatre, della Scala o del Covent Garden. CAPITOLO PRIMO: STORIA SINTETICA DI UN CAMBIO DI SCENA: Nel numero speciale del 1962 dedicato alla scenografia, la rivista Sipario of-friva uno sguardo sugli scenografi protagonisH dell’epoca; vi sono ricordaH i maestri del dopoguerra che collaboravano con VisconH, Strehler, De Lullo, Zeffirelli. Da Piero Tosi a Pier Luigi Pizzi, da Luciano Damiani e Giulio Coltellacci a Ezio Frigerio, la scena italiana degli anni Quaranta e Cinquanta sembra essere stata calpestata praHcamente solo da uomini. Nel 1980 Franco Mancini ha proposto una ricognizione simile, con un elenco repertorisHco delle opere degli scenografi italiani acvi nel periodo 1960-1978, allegato al volume L’illusione alternaHva. Qui la presenza femminile è più ampia (riflesso forse, delle rivendicazioni femministe dei primi anni Se<anta), ma si tra<a di poche decine di nomi a fronte di cenHnaia di scenografi uomini. 40 ans de créaHon ha so<olineato come dalla fine degli anni Sessanta - cioè nel momento in cui la scenografia ha assunto una posizione arHsHca ed esteHca di primo piano -Io scenografo (sempre più chiamato stage designere sempre più declinato al maschile) sia diventato uno dei più vicini collaboratori del regista, talvol~ il primo interlocutore. II quadro mostra limiH e debolezze criHco-metodologiche, prendendo in considerazione un campione sicuramente significaHvo ma non esausHvo: nel periodo 1969-2009 Margherita Palli e Gae AulenH avevano creato importanH scenografie per Luca Ronconi, e KaHe Mitchell lavorava già al NaHonal Theatre con Vicki MorHmer, me<endo in scena spe<acoli iconici come Il gabbiano. Nel 2015 il numero speciale della rivista teatrale Theater der Zeit, dedicato alla scenografia tedesca della generazione nata tra il 1950 e il 1980 (Secng the Stage), ha presentato una selezione di arHsH perfe<amente equilibrata per genere; anche la rivista teatrale Hystrio, nel 2017, ha offerto un ampio panorama delle designer di scena con il dossier Scenografia 3.0, a cura di Vi<orio Fiore e Francesca Serrazanec. La rivista di se<ore The Scenographer ha dedicato speciali a Maria Bjornson e Margherita Palli, mentre Scenography Today ha proposto interviste a Rebecca Ringst, Marina Abramovic, Malgorzata Szczesniak, Sabine Theunissen, Katrin Lea Tag. Per avere un`idea generale del contributo delle arHste occorre consultare i repertori della Quadriennale di Praga (la più importante manifestazione di scenografia mondiale, fondata nel 1967) e la serie World Scenography, i cui due volumi pubblicaH dall`OISTAT (InternaHonal OrganisaHon of Scenographers, Theatre Architects and Technicians) ricoprono il periodo 1975-1990 e 1990-2005, con qua<rocento produzioni da cinquantacinque paesi del mondo; per il periodo precedente è stato invece pubblicato il repertorio Stage Design throughout the World 0945-1975), a cura di René Hainaux. In Italia il tributo per la miglior scenografia è collegato al premio AbbiaH e, nell’ambito della ricerca, al premio Ubu, ideato dal criHco Franco Quadri, che dalla fondazione 0977) a oggi ha premiato tre donne: Gae AulenH, Margherita Palli e Daniela Dal Cin (Paola Navone e Daniela Puppa compaiono con altri collaboratori per Crollo nervoso). Nel 2019 all`interno del FesHval di Maribor in Slovenia si è tenuta la grande mostra The Space within the Space (Prostor v prostorn), sulle scenografie in Slovenia dalla Seconda guerra mondiale all`anno dell`indipendenza 0991), a cura dell`IsHtuto Teatrale Sloveno (SLOGI) di Ljubjana; in questo caso, la presenza femminile si apre a diversi nomi di pi<rici e illustraHci diventate scenografe e costumiste come Melita Vovk, Meta Hocevar, Marijan Plibersek, Vlasta Hegedusic, fino alla più rappresentaHva acvista arHsta della generazione anni O<anta, Sanja Jurca Avei. Una massiccia presenza femminile si avrà poi dopo la metà degli anni Novanta, con Barbara Novakovic Kolenc e Petra Veber. In generale, la Slovenia ha dimostrato un importante apertura femminile anche nell’ambito drammaturgico e regisHco. LA DOPPIA INFRAZIONE: Per il primo riconoscimento ufficiale dell'arte al femminile bisogna ritornare al 1976, quando al Los Angeles County Museum of Art si inaugura la grande esposizione Women ArHsts 1550-1950, curata da Linda Nochlin e Ann Sutherland Harris; poi è la volta della mostra ideata da Lea Vergine a Milano nel 1980, L'altra metà dell'avanguardia, e infine L'Avant-Garde au féminin. Moscou, Saint-Pétersbourg, Paris (1907-1930), organizzata da ValenHne e Jean-Claude Marcadé ed esposta all'Artcurial, Centre d'Art PlasHque Contemporain di Parigi nel 1983. Nel 2008, alla New York Public Library for the Performing Arts si inaugura una grande mostra dal Htolo Curtain Cali: CelebraHng a Century of Women Designing for Live Performance, in collaborazione con la League of Professional Theatre Women, per celebrare le donne designer di scena; la mostra presenta le opere di 11 O arHste riconosciute e premiate nel campo della scenografia, dei costumi, e delle luci a parHre dal 1890. In Italia, la mostra L'elica e la luce. Le futuriste 1912-1944 (MAN-Museo di Nuoro, 2018), a cura di Chiara Gac e Raffaella Resch, ha posto l'accento sul Futurismo al femminile nell'arte e nella scena. Di grande importanza anche la mostra monografica dedicata a Natal'ja Sergeevna Goncarova, Una donna e le Avanguardie. Tra. Gauguin, MaHsse e Picasso (Firenze, Palazzo Strozzi, 2019-2020) e Divine Avanguardie (Milano, Palazzo Reale 2021). Le arHste dell'avanguardia approdano a teatro perlopiù come autrici di costumi, illustratrici e poi anche creatrici di scene a<raverso la pi<ura e la grafica, e provengono da accademie d'arte e da atelier di arH applicate. Pur so<oscrivendo manifesH e partecipando con le proprie idee allo sviluppo e alle acvità dei movimenH, però, come abbiamo ricordato le donne non vengono quasi mai citate quali membri effecvi, ma solo come fidanzate-arHste (talvolta in effec lo furono, come Taeuber-Arp, Aline Bemstein e Benede<a Cappa Marinec, ma si tra<a di un elemento biografico aggiunHvo, non di una qualifica). MolH manuali di storia dell'arte ripropongono questo schema inappropriato, fortemente emarginante e assolutamente ina<uale. Naima Prevots, in un saggio del 1985, sugge1iva un recupero del contributo femminile al movimento Dada, con riferimento alla personalità di Taeuber- Arp; l'auspicata revisione terminologica - da parHcipaHng girlfriends a Jounding members, oggi è stata definiHvamente accolta. Proprio Sophie Taeuber-Arp, pi<rice scultrice, danzatrice e designer di tessuH e della scena, è un po' il simbolo, se non della discriminazione almeno della scarsa a<enzione della storia dell'arte nei confronH delle donne arHste. I suoi arty puppets (buracni arHsHci) per lo spe<acolo Tbe King Stag, commissionaH nel 1918 dal Museo delle ArH e dei MesHeri di Zurigo, dove sono a<ualmente depositaH, sono staH esposH alla Tate Modern e riprodoc per essere commercializzaH come gioca<oli; hanno ispirato inoltre la campagna di Karl Lagerfeld per Fendi in occasione dei novant'anni della fondazione del brand italiano. Tu<avia il suo nome, incomprensibilmente, è rimasto per molto tempo ai margini per ragioni sessiste, anche se molH storici dell'arte la consideravano una figura cruciale e pionierisHca. Il suo lavoro fu messo in ombra dai contemporanei maschi. Decenni dopo la sua morte nel 1943, la Taeuber conHnua a emergere dalle ombre dell'avanguardia. NATAL'JA SERGEEVNA GONCAROVA, LA LEGGENDA VIVENTE DELIA SCENOGRAFIA TEATRALE: Natal`ja Sergeevna Goncarova (1881-1962), una delle più famose pittrici, illustratrici e scenografe del Novecento, nasce nella Russia centrale da una famiglia della piccola nobilità che aveva costruito la sua fortuna sull'industria tessile; dalle tenute familiari di campagna si trasferisce a Mosca, dove inizia gli studi d'arte e incontra nel 1901 Michail Larionov, con cui stringe un legame artistico e umano caratterizzato da una grande libertà di relazione, che durerà fino alla sua morte. Nel 1913 aderisce al movimento del Raggismo fondato da Larionov (tradotto in italiano come Radiantismo): si tratta del primo movimento non figurativo russo che mira a rappresentare gli oggetti evidenziando gli incroci dei raggi luminosi da essi riflessi; si dedicherà alla pittura e al teatro, inizialmente disegnando scene per pantomime in studi d'arte. Considerati gli elementi raggisti delle opere di Goncarova prima della formulazione del Manifesto, la storica dell'arte Eugenia Petrova si chiede se il pioniere del Raggismo nella pratica sia stato davvero Larionov oppure la Goncarova. Si può ipotizzare che, quando Goncarova manifestò questa inclinazione nella sua pratica artistica, abbia sentito la necessità di articolarla come teoria per fornire una testimonianza storica di questa nuova tendenza. Ilia Zdanevitch critica d'arte russa e primo commentatore delle opere di Goncarova, la definirà una pittrice all'insegna del ‘‘tuttismo‘‘ (vsechestvo). Goncarova porterà in Europa le atmosfere e i colori della Grande Russia, immortalando con il colorato neoprimitivismo che la contraddistingue, contadine, raccoglitori di mele, mietitrici, ricamatrici, unendole allo stile delle tendenze moderniste, senza però mai limitarsi a una sola influenza. Un esempio fu la realizzazione delle scene della Donna del mare di Henrik Ibsen (5 maggio 1921) per il ritorno a teatro di Eleonora Duse, che Goncarova aveva conosciuto nella casa romana di Ol'ga Resnevic Signorelli. Dopo la Rivoluzione d'O<obre, Goncarova e Larionov lasciarono temporaneamente la Russia per le commissioni arHsHche legate ai Ballec Russi: si trasferirono insieme prima a Parigi e a Losanna, poi in Spagna e infine definiHvamente a Parigi. Si sposeranno nel 1955. Natal'ja Goncarova e i Balle< Russi: Il testo descrive la fase "pi<orica" della scena nel contesto dei Ballec Russi, un movimento arHsHco e culturale che ebbe un impa<o significaHvo all'inizio del XX secolo, guidato dall'impresario e scopritore di talenH Sergej Djagilev (1872-1929). Djagilev fondò la Compagnia dei Ballec Russi nel 1911, con gli scenografi Alexandr Benois e Léon Bakst. QuesH arHsH, provenienH principalmente dai teatri Mariinsky e Bolshoi in Russia, si stabilirono dapprima a Parigi e successivamente a Monte Carlo, portando con sé un gruppo di talentuosi danzatori, coreografi e musicisH russi. La collaborazione con artisti europei di spicco come Picasso, Debussy, Ravel, Cocteau, Sonia Delaunay, Coco Chanel, Mirò, de Chirico e Balla diede vita a una fusione unica di arti coreutiche, musicali e pittoriche. Il testo cita anche esempi specifici di balletti, come "Les Sylphides," "Le Danze Poloviciane," e "Il Pavillon d'Annide," coreografati da Michel Fokine con scenografie di Alexandr Benois. Un focus particolare è posto sulla collaborazione con Igor Stravinskij, a cui vennero commissionate opere iconiche come "L'uccello di fuoco" (1910), "Petruska" (1911), e "La sagra della primavera" (1913). Il balletto "L'uccello di fuoco" viene descritto come l'archetipo dei Balletti Russi, con dettagli sulla scenografia di Goncarova, che utilizzava colori vivaci e richiami al folklore russo. La narrazione segue anche l'evoluzione della collaborazione tra Goncarova e Djagilev, con un'attenzione particolare alle sue influenze e stili, come il suo amore per l'artigianato popolare e la sua rappresentazione dei temi contadini. Dopo la Rivoluzione d'Ottobre, Goncarova e il suo compagno Larionov lasciarono la Russia, stabilendosi definitivamente a Parigi nel 1918. Il testo menziona inoltre altre opere e collaborazioni dei Balletti Russi, inclusi i lavori di artisti futuristi italiani come Giacomo Balla e Fortunato Depero. Infine, si fa riferimento a un manifesto futurista italiano del 1910, che invoca una scena plastica e dinamica in contrasto con gli approcci pittorici tradizionali dei Balletti Russi. LA SCENA PLASTICA: Alexandra Exter (1882-1949) è nata a Bialystok, in Russia, e ha studiato all'IsHtuto ArHsHco di Kiev tra il 1911 e il 1914. Durante questo periodo, ha vissuto a Parigi, dove è stata influenzata dal Cubismo, diventando allieva di Leger. Nel salo<o parigino della sua cugina, la baronessa Hélèn Oecngen, ha incontrato diversi arHsH e intelle<uali, tra cui Guillaume Apollinaire, Max Jacobe, Pablo Picasso, Mare Chagall, Sonia Delaunay, e la coppia Larionov-Goncarova. Ha anche avuto una stre<a relazione con Ardengo Soffici, con il quale ha vissuto e creato opere pi<oriche a Parigi e ha viaggiato in Italia. Al suo ritorno a Kiev e Mosca durante la Prima guerra mondiale, Exter si è avvicinata alle avanguardie della Non-Oggettività. La studiosa Gabriella Belli sottolinea il ruolo centrale di Exter nel diffondere le novità delle ricerche artistiche nelle capitali europee, contribuendo alla formazione dei vari movimenti artistici dell'avanguardia. Il nome di Exter è associato ai movimenti d'arte non figurativi fin dall'Izdebski Salon del 1909, dove ha esposto insieme a artisti come Vasilij Kandinskij, Odilon Redon, Henri Matisse, e rappresentanti delle avanguardie russe come Michail Larionov e Natal'ja Goncarova. Nel contesto del teatro, Exter è legata al regista russo Aleksandr Tairov e alla fondazione del suo Teatro da Camera a Mosca (Kamerny Teatr, 1914-1950). Questo teatro si proponeva come rivoluzionario rispetto alle convenzioni teatrali dell'epoca, focalizzandosi sulla tecnica interiore dell'attore e sulla nozione di movimento come forza centrale del teatro. Exter ha contribuito significativamente al Teatro da Camera di Tairov, soprattutto con le scenografie per opere come "Tamira il citaredo" di Annenskij (1916) e "Salomè" di Oscar Wilde (1917). Il suo approccio alla scenografia, definito come un "paesaggio cubista monumentale," ha rivoluzionato le forme teatrali tradizionali, incorporando prospettive oblique, linee spezzate e interruzioni di piani. La collaborazione con Tairov ha portato a uno spostamento dall'arte figurativa e decorativa verso una tridimensionalità volumetrica che si allineava alle sperimentazioni visive delle avanguardie. Il testo evidenzia il ruolo chiave di Exter nel "salto verso il futuro" rappresentato dal dramma bacchico "Tamira il citaredo," che incorporava elementi cubisti e sottolineava l'importanza del movimento e della dinamicità nella rappresentazione teatrale. Il suo secondo lavoro per Tairov, "Salomè," è descritto come un esempio di "cubismo baroccheggiante," caratterizzato dalla dinamicità, dal colore e dalla filosofia "costruire, non dipingere." L'autore menziona anche l'uso innovativo del colore da parte di Exter nei costumi e nelle scene, risolvendo i personaggi in tre colori fondamentali (oro, rosso sangue e nero) per conferire profondità e forza alle tonalità tragiche delle opere teatrali. Il testo termina menzionando la mostra di bozzetti teatrali di Exter a Parigi nel 1930 e la pubblicazione di un album di disegni con prefazione di Aleksandr Tairov nel 1930. Lyubov Popova e il manifesto radicale della scenografia costru<vista: Lyubov Popova (1889-1924) è nata a Ivanovskoe, vicino a Mosca, e ha manifestato fin da piccola un interesse per il disegno e l'arte, incoraggiata dal padre, un benestante commerciante tessile e mecenate d'arte. Popova ha avuto una carriera poliedrica, spaziando dalla pittura e il design di tessuti alla scenografia. Dopo un periodo di formazione a Mosca, entra nel celebre studio d'arte Basnja di Vladimir Tatlin, diventandone collaboratrice. Inizialmente affiliata al Cubofuturismo, Popova abbraccia successivamente il Costruttivismo, un movimento contrario al culto "dell'arte per l'arte," combinando l'esperienza artistica d'avanguardia con i principi politici rivoluzionari. La sua partecipazione alla mostra 5x5=25 è segno del suo coinvolgimento nelle avanguardie russe.Il testo sottolinea la sua collaborazione con il regista Mejerchol'd e la sua partecipazione alla creazione dello spettacolo "Le cocu magnifique" nel 1922. Questo spettacolo è considerato un "manifesto radicale" per tre motivi: la scenografia, l'arte dell'attore e l'associazione ideologica dell'attore al lavoratore e della scena alla fabbrica. La scenografia, creata da Popova, è descritta come una "messa a nudo" degli elementi costitutivi, plastici, gestuali e sonori, basata sulla teoria di Pavlov dei riflessi. "Le cocu magnifique" è stato rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1920 e racconta una storia di gelosia morbosa, con movimenti scenici che richiamano una catena di montaggio e gesti biomeccanici. Popova ha contribuito alla scenografia con l'introduzione di pedane, trampolini, ruote, pale, trapezi e scale, creando uno spazio teatrale completamente nuovo che si adatta al concetto di un attore "taylorizzato." Il lavoro di Popova con Mejerchol'd segna un punto culminante negli studi e nelle esperienze del regista sulla biomeccanica e sul teatro popolare. La continuità tra i gesti degli attori e la scena è enfatizzata attraverso una documentazione fotografica che mostra la reattività corporea, la sollecitazione acrobatica, e l'effetto visivo dei gesti biomeccanici. Il testo menziona anche il successivo spettacolo di Mejerchol'd, "La terra in subbuglio" (1923), dedicato all'Armata Rossa e a Lev Trockij, che introduceva la "cinematografizzazione" della scena attraverso l'uso di film e il montaggio di oggetti scenici. Lyubov Popova, con la sua versatilità artistica e la sua adesione agli ideali rivoluzionari, ha giocato un ruolo significativo nell'evoluzione dell'arte teatrale e della scenografia durante il periodo delle avanguardie russe. William Kentridge/Sabine Theunissen: omaggio alla scena costru<vista: Il proge<o di William Kentridge per un allesHmento lirico basato sul racconto di Gogol' Il naso (1836) e sopra<u<o sull'opera musicale composta da Dmitri Sostakovic nel 1930 risale al 2008; ha debu<ato nel 2010 al Metropolitan di New York con le scene video animate e i costumi di Kentridge realizzaH in collaborazione con Sabine Theunissen. Tu<a la scena, in verHcale e in orizzontale, in profondità e in superficie, con palchec sopraelevaH, scale, pia<aforme e praHcabili di legno ricorda quella costrucvista di Lyubov Popova per Le cocu magnifique. Kentridge non disdegna, infac, un'incursione nell'arte russa d'avanguardia primo novecentesca: a imporsi come cifra sHlisHca dello spe<acolo in maniera più evidente è sia l'atmosfera storica che il contesto rivoluzionario legato alla Russia del Costrucvismo, del SupremaHsmo, del Transmentalismo, del Cubofuturismo, con citazioni quasi le<erali da El Lissitzky (il quadro Colpisci i bianchi con il cuneo), dai manifesH pubblicitari realizzaH con la tecnica del fotomontaggio da Rodcenko dalle sculture di Tatlin ( il monumento per la Terza Internazionale). Guardare a Mejerchol'd significa guardare a quel teatro che ha realizzato, per la prima volta nella storia, l'utopia della "sintesi delle arH”. Varvara Stepanova, "costruLrice" di scene: Come le altre Amazzoni, anche Varvara Fedorovna Stepanova (1894-1958) approda al Costrucvismo passando a<raverso diversi ambiH sHlisHci, dal SupremaHsmo all'Art Noveau. Partecipa a mostre fondamentali come CreaHvità Non Oggecva e 5x5 25. Il criHco e curatore John Bowlt afferma giustamente che Stepanova non può definirsi un'allieva o un'apprendista del marito Aleksandr Rodcenko. Piu<osto, con le loro rispecve acvità arHsHche, tra fotomontaggi, grafica, design, scene, formano insieme quello che oggi si definirebbe un "team creaHvo". II Producvismo, come già il Costrucvismo, porta l'arte oltre la rappresentazione e verso il sociale: è "l'arte uHle" secondo la classificazione dello storico dell'arte Roberto Fusco, fondata sul materialismo storico e a servizio del nuovo asse<o poliHco-sociale che fece seguito alla Rivoluzione d'O<obre; un'arte che unisce l'impegno collecvo a lavorare per una società egualitaria allo sforzo per l'industrializzazione e la proge<ualità; Varvara Stepanova, che lavorava con lo pseudonimo di Varst, è la "costru<rice" di scena per eccellenza, nuovo termine uHlizzato per indicare il responsabile della scenografia, dal momento che vengono aboliH sia la pi<ura che il fondale decoraHvo a vantaggio di una costruzione plasHca. Il disposiHvo scenico è le<eralmente smembrato, esploso, frantumato nelle sue singole parH, che vengono ricollocate a seconda della scena, come tanH piccoli palcoscenici "liberi", cioè liberaH dalla stru<ura fissa ma anche dallo spazio teatrale tradizionalmente inteso. La scenografia producvista della Morte di Tarelkin (1922), farsa di SuchovoKobylin in 3 ac per la regia di Mejerchol'd, è una scena-mobilio fa<a di oggec dipinH uniformemente di bianco che sembrano a<rezzi di lavoro e di sedie dal design bizzarro che si aprono, si piegano, diventano cappi, saltano d'improwiso: è l'invenzione scenica di Stepanova, che però verrà criHcata dallo stesso Mejerchol'd; in mezzo gli a<ori che recitano in un vero balagan (il teatro da baraccone) in veste clownesca con la tuta a righe larghe. IL COSTRUTTIVISMO FUORI DALLA RUSSIA: Teresa Zarnower (1897-1950) è una figura artistica di rilievo nell'avanguardia costruttivista polacca degli anni tra le due guerre. Nata a Varsavia, è stata un'intellettuale di grande fama, scultrice e designer. In collaborazione con Mieczyslaw Szczuka, fonda il primo gruppo artistico costruttivista polacco chiamato Blok (1924-1926). Zarnower cura anche l'omonima rivista del gruppo, caratterizzata da una composizione grafica influenzata dal Costruttivismo e dall'arte di Rodchenko, con un focus su fotomontaggi e collage. Il suo stile è descritto come "costruttivismo impuro," caratterizzato da una posizione ambigua nei confronti delle avanguardie artistiche dell'Est e dell'Ovest. Le sue opere non appartengono chiaramente né al Vkhutemas né alla Bauhaus, e le sue forme non assomigliano né ai Controrilievi di Tatlin né al Merzbau di Kurt Schwitters. Zarnower si distingue anche nel campo teatrale, contribuendo all'espressione anticipata e rivoluzionaria del Teatro Simultaneo (Symultaniczny Theatre) e del Teatro mobile di Szymon Syrkus e Pronaszko. Questi progettano un teatro a forma di arena, con la capacità di trasformare il palcoscenico per avvicinarlo al pubblico, ispirandosi al concetto di teatro totale di Gropius. Il motto di Zarnower per le sue creazioni teatrali è "A work of art must be as logical as a machine" (Un'opera d'arte deve essere logica come una macchina). I suoi progetti teatrali presentano nuove forme e introducono una svolta antinaturalista nella scena polacca. I disegni ad acquarello del 1923, presentati probabilmente all'Esposizione di Parigi nel 1926, mostrano spazi contenenti volumi "alla Craig" e un ambiente evocativo di ingranaggi macchinici, anticipando il Surrealismo. Gli scenari di Zarnower sperimentano con lo svuotamento della figura umana, trasformando il paesaggio da naturale a artificiale. La studiosa Ewa Guderian-Czapliriska analizza i progetti teatrali e i modelli in legno di Zarnower, evidenziando l'assenza di figure umane e ipotizzando una scena tecnologica o addirittura robotica ante litteram. In conclusione, Teresa Zarnower emerge come una figura eclettica, contribuendo significativamente all'avanguardia costruttivista polacca e alla sperimentazione di nuove forme espressive, sia nelle arti visive che nel teatro. RIBELLI MA NON ECCENTRICHE, IL FUTURISMI AL FEMMINILE: Il testo menziona diverse figure femminili nell'ambito del Futurismo italiano, con un focus su ValenHne de Saint-Point, Benede<a Cappa, e Maria Luisa Lurini Mori. Valentine de Saint-Point (1875-1953): Femminista vivace e provocatoria. Risponde al Manifesto del Futurismo di Marinetti con il "Manifesto della Donna futurista" nel 1912. Rappresenta l'istinto femminile e promuove un modello di donna sessualmente liberata. Attiva nel teatro e nella danza, crea la trilogia "Le théatre de la femme," parzialmente messa in scena a Parigi. Benedetta Cappa (1897-1977): Aeropittrice, scrittrice, artista parolibera e appassionata di teatro. Realizza bozzetti di scena e fondali per opere di Marinetti, tra cui "I prigionieri e l'amore" (1926) e "Simultanina" (1931). Firma il Manifesto dell'aeropittura futurista nel 1929. Coinvolta nel movimento futurista, firmava solo come Benedetta. Maria Luisa Lurini Mori (1900-1985): Allieva di Felice Casorati a Torino, è pittrice, aeropittrice e grafica pubblicitaria. Espone al premio del Golfo di La Spezia e alle Quadriennali d'Arte Nazionale di Roma. Partecipa al movimento futurista con pitture che affrontano tematiche aeropittoriche e episodi di vita fascista. Abbandona il Futurismo nel 1940 con l'entrata in vigore delle leggi razziali. Queste donne del Futurismo, secondo gli studi di Chiara Toti, si sono ribellate nelle loro scelte, ma non sono apparse eccentriche nell'aspetto. Hanno cercato di affermare un'identità indipendente, attirate dalle opportunità di emancipazione e libertà promosse dal vitalismo e dall'impulso al rinnovamento propugnati da Marinetti. Alice Halicka: Nasce a Cracovia nel 1894 e muore a Parigi nel 1975. Segue gli studi di pi<ura a Monaco grazie al marito arHsta Louis Marcoussis (nome francesizzato per Ludwik Kazimierz Wladyslaw Markus), grande amico di Guillaume Apollinaire con il quale inizia a frequentare a Parigi il cenacolo dei surrealisH. Durante gli anni della Prima guerra mondiale si lega al Cubismo creando nature morte che di quella corrente recano la chiara impronta, come ComposiHon cubist avec violon et parHHon musicale (1919) per poi tornare al figuraHvo. Alle opere con tecniche miste e collage alterna disegni per le scenografie dei ballec di Massine e Balanchine e per i costumi dei ballec del Metropolitan di New York. LE DONNE DELLA BAUHAUS: Ilse Fehling: Ilse Fehling (1896-1982) è stata una figura importante all'interno della Bauhaus, la rinomata scuola d'arte e design acva tra il 1919 e il 1933 in Germania. Presenza Femminile alla Bauhaus: La Bauhaus, sotto la direzione di Walter Gropius e successivamente di altri, ha accettato studenti senza distinzione di età o sesso. Anche se le cifre di partecipazione effettiva di donne potrebbero essere state inferiori a quanto idealizzato, la dichiarazione di Gropius ha comunque incoraggiato l'iscrizione di donne, tra cui Ilse Fehling. Ruolo di Ilse Fehling alla Bauhaus: Ilse Fehling è stata una studentessa alla Bauhaus dal 1920 al 1923. Durante questo periodo, ha svolto un ruolo significativo nel design teatrale e nella scultura, lavorando sotto la guida di Oskar Schlemmer, che ha diretto la sezione teatrale della scuola dal 1923. Collaborazione con Oskar Schlemmer: Fehling collaborò con Oskar Schlemmer disegnando quattro marionette per uno spettacolo intitolato "Five Vagabonds Between The Worlds" (Cinque vagabondi tra i mondi, dramma per marionette, 1922). Questo spettacolo, sebbene non sia mai stato messo in scena, rifletteva l'approccio distintivo di Schlemmer alla relazione tra l'uomo e la macchina, la spiritualità e la meccanicità. Influenze e Stile Artistico: I disegni delle marionette di Fehling riflettono chiaramente l'influenza delle produzioni cubiste di artisti come Pablo Picasso e delle sculture cubiste astratte di Jacques Lipchitz. La riduzione dell'attore a forme geometriche e la fusione di linee, piani e volumi sono evidenti nei suoi lavori. Brevetto per una "Scena Globulare": Nel 1922, Fehling brevettò un progetto di "scena globulare" per marionette, caratterizzato da forme curve e, presumibilmente, meccanizzazione. Questa innovazione suggerisce la sua anticipazione di un teatro che si apre a una visione poliprospettica, in linea con gli sviluppi architettonici e teatrali dell'epoca. Visione Avanzata del Teatro: Attraverso il suo brevetto e i disegni, Fehling dimostrò una visione avanzata del teatro, con scenografie meccanizzate e una nuova relazione spaziale tra attori e spettatori. Questo si allinea con gli esperimenti architettonici contemporanei come il "teatro totale" di Walter Gropius e altre concezioni innovative di teatro. La sua eredità è stata rivalutata e apprezzata nelle esposizioni e nei volumi dedicati alla Bauhaus e alle sue figure chiave, contribuendo a riscoprire il ruolo delle donne in questo movimento artistico e culturale rivoluzionario. SOPHIE HENRIETTE GERTRUD TAEUBER, DADA È DONNA: Sophie Henrie<e Gertrud Taeuber (1889-1943) è stata una figura chiave nei movimenH d'avanguardia, parHcolarmente nell'Astracsmo geometrico e nel Dadaismo. Contesto Creativo a Zurigo: Sophie Taeuber nacque a Davos, ma fu a Zurigo, capitale creativa dell'avanguardia europea, che iniziò a esporre le sue prime opere pittoriche astratte, collage e produzioni tessili. Qui conobbe il suo futuro marito, Jean Arp. Duo-Collage e Collaborazione con Jean Arp: Insieme a Jean Arp, Sophie Taeuber creò il "Duo-Collage," una forma di scultura-ritratto in legno. La coppia collaborò anche nella progettazione di collane, vestiti, stoffe e arredi, tutti caratterizzati da composizioni geometriche innovative. Partecipazione al Movimento Dada: Zurigo fu anche la sede del Cabaret Voltaire, il nightclub di proprietà di Hugo Ball e della poetessa Emmy Hennings, dove nel 1916 Tristan Tzara lanciò il movimento Dada. Sophie Taeuber e Jean Arp frequentarono il circolo Dada e parteciparono alle attività del movimento, contribuendo al suo spirito di ribellione e dissacrazione delle convenzioni artistiche. Incontri con Artisti d'Avanguardia: La coppia Arp-Taeuber strinse legami con numerosi artisti d'avanguardia, tra cui Francis e Gabrielle Buffet-Picabia, Sonia e Robert Delaunay, Alexander Calder, Vassilij Kandinskij, Joan Miró, e Marcel Duchamp. Questi incontri influenzarono il loro lavoro e contribuirono alla diffusione delle loro idee artistiche. Coinvolgimento nella Danza Libera e Teatro: Nel 1916, Sophie Taeuber iniziò a frequentare un corso di danza libera tenuto da Rudolf von Laban. Si esibì nelle soirées dei dadaisti e nel 1917 danzò in un costume disegnato da Jean Arp durante l'inaugurazione della galleria Dada. Commissioni per Scenografie e Marionette: Nel 1918, il Museo delle Arti e dei Mestieri di Zurigo commissionò a Sophie Taeuber i disegni per le scenografie e le grandi marionette per la rivisitazione de "Il re cervo" di Carlo Gozzi. Le sue marionette, realizzate con legno intagliato e scenografie dipinte con pitture astratte geometriche, furono fotografate e pubblicate su Der Zeltweg, rivista dadaista curata da Tristan Tzara, Otto Flake e Walter Semer. Partecipazione alle Esposizioni Internazionali: Kaufmann e Hoch, nel catalogo della mostra dedicata a Taeuber nel 2021, sottolineano che spesso Sophie Taeuber era l'unica donna a essere invitata e inclusa nelle grandi esposizioni collettive internazionali, evidenziando così il suo ruolo significativo nelle esibizioni artistiche dell'epoca. Sophie Taeuber è stata un'artista poliedrica che ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama artistico dell'avanguardia, contribuendo a movimenti rivoluzionari come il Dadaismo e influenzando diversi campi, dall'arte visiva alla danza e al design. MARIA SIGNORELLI, SCENOGRAFA E BURATTINAIA: Maria Signorelli (1908-1992) è stata una figura poliedrica e influente nel panorama arHsHco del Novecento, sopra<u<o nel campo del teatro di figura. Background Familiare e Formazione: Figlia di Ol'ga Resnevic, scrittrice lettone e biografa di Eleonora Duse, e di Angelo Signorelli, collezionista d'arte e editore, Maria Signorelli cresce in un ambiente culturale stimolante. Frequenta l'Accademia di Belle Arti di Roma e si forma nello studio di scenografia del Teatro Reale sotto la guida di Nikola Benois. Influenze e Ambiente Artistico: La casa di famiglia a Roma, frequentata da letterati e pittori come Pirandello, De Chirico e Bragaglia, contribuisce a plasmare l'ambiente culturale in cui cresce Maria Signorelli. Natal'ja Goncarova e Michael Larionov, artisti russi legati ai Balletti Russi, sono ospiti abituali, e Goncarova regala a Maria la sua prima scatola di colori, influenzandola profondamente. Passione per la Scenografia e la Danza: Attratta dalla danza e dalla scenografia, Maria decide di dedicarsi a queste arti, ispirandosi al lavoro di Goncarova e di altri artisti dell'avanguardia europea. Frequenta la scuola di Max Reinhardt a Berlino nel 1928, esperienza che contribuisce alla sua formazione. Teatro degli Indipendenti e Collaborazione con Anton Giulio Bragaglia: Nel 1928, diventa assistente alla scenografia di Anton Giulio Bragaglia presso il Teatro degli Indipendenti e il Teatro delle Arti di Roma. Il Teatro degli Indipendenti, fondato nel 1922, presenta sia repertorio futurista che opere di autori come Apollinaire, Wedekind, Strindberg, O' Neill e Brecht. Scenografie per Diversi Teatri: Maria Signorelli realizza scenografie per diverse produzioni teatrali, lavorando con il Teatro dell'Opera di Roma, il San Carlo di Napoli, la Scala di Milano e il Teatro Valle di Roma. La sua carriera di scenografa e costumista conta oltre ottanta produzioni. Teatro di Figura e "L'Opera dei Burattini": Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Maria Signorelli abbraccia definitivamente il teatro di figura. Nel corso degli anni Trenta, aveva già esposto i suoi burattini per la prima volta nel 1929 alla Casa d'Arte Bragaglia di via degli Avignonesi. In seguito, fonda la Compagnia "L'Opera dei Burattini" con la collaborazione di artisti come Lina Job Wertmuller, Enrico Prampolini, Ruggero Savinio e Toti Scialoja. Riconoscimenti e Patrimonio Culturale: I burattini di Maria Signorelli sono considerati una delle creazioni più originali della cultura figurativa italiana ed europea del primo Novecento. Custoditi dalla figlia in una casa-museo a Trastevere e a Cividale del Friuli, presso il Centro Internazionale "Vittorio Podrecca", sono stati riconosciuti come patrimonio culturale e esposti in musei mondiali dedicati al teatro di figura. Sintesi Figurativa e Influenze Artistiche: I "fantocci" di Maria Signorelli rappresentano una sintesi figurativa fulminea, ispirata da diverse influenze artistiche, tra cui il Manifesto tecnico della scultura futurista di Boccioni, il Manifesto del tattilismo di Marinetti, l'ironia incantata e poetica dei manichini metafisici di de Chirico, e le marionette di artisti come Depero, Klee e Alexandra Exter. Maria Signorelli ha lasciato un'impronta significativa nell'arte teatrale, contribuendo alla trasformazione del teatro di figura e influenzando le generazioni successive di artisti. La sua versatilità artistica e la sua dedizione al teatro di figura hanno reso il suo lavoro un importante patrimonio culturale. DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI 80 E 90: TiHna Maselli (1924-2005): È una pi<rice e scenografa italiana che ha avuto un'educazione nel raffinato ambiente arHsHco di Roma, grazie al padre criHco d'arte. Fin da giovane, si dedica alla pi<ura e entra a conta<o con importanH figure dell'arte come ToH Scialoja della Scuola Romana. Nel 1945, sposa Scialoja e, nel 1950, inizia a esporre alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Successivamente, si trasferisce negli StaH UniH per immergersi nella Pop Art e sviluppare un nuovo sHle pi<orico ispirato alla vitalità di New York. Dopo il ritorno in Europa negli anni '70, Maselli vive tra Roma e Parigi. Dagli anni '80 in poi, si dedica sia alla pittura che alla scenografia e alla costumista. A Parigi, collabora con il regista Bernard Sobel, creando scenografie per diciotto spettacoli ben accolti dalla critica. Tuttavia, è con Carlo Cecchi in Italia che raggiunge il picco della sua fama come scenografa e costumista, soprattutto con il memorabile allestimento di "Finale di partita" di Samuel Beckett (1996). L'allestimento per "Finale di partita" viene elogiato per la sua fedeltà all'essenza di Beckett, limitando gli oggetti di scena e creando uno spazio pittorico. Il suo contributo alla scenografia per questo spettacolo è particolarmente riconosciuto, con la critica che attribuisce parte del merito alla sua creazione. La collaborazione con Cecchi continua con altri allestimenti, come "Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare da me" (1990) e "Leonce e Lena" (1993). Maselli si distingue anche per la sua opera nel recuperare il Teatro Garibaldi di Palermo per l'allestimento di "Amleto" nel 1996, integrando segni significativi nei ruderi del teatro ottocentesco. La sua collaborazione nel teatro si estende a artisti come Valerio Binasco e agli autori siciliani Scimone e Sframeli. Nel 1997, Scimone scrive "Bar" e successivamente "Il cortile", entrambi con la scenografia di Maselli e la regia di Binasco. La scenografia di Maselli per questi spettacoli riflette il tema della derelizione e del degrado. La sua influenza si estende anche attraverso l'insegnamento, come dimostrato dal lascito artistico a Barbara Bessi, sua allieva. Luisa Spinatelli: Luisa Spinatelli, nata nel 1941, è una scenografa italiana specializzata nella proge<azione di scenografie per teatro, danza e lirica. Si è diplomata in scenografia presso l'Accademia di Belle ArH di Brera so<o la guida di Tito Varisco. Sin da giovane, ha iniziato la sua carriera come assistente di Ezio Frigerio e Varisco. Il suo debu<o alla Scala risale al 1965 con il balle<o "Francesca da Rimini". Tra le sue prime esperienze di successo ci sono le scenografie per il Teatro Sferisterio di Macerata, in particolare per "Turandot" (1970) e "Madame Butterfly" (1972). Quest'ultima produzione è particolarmente notevole per la sua capacità di catturare l'atmosfera giapponese attraverso l'uso di elementi semplici come costruzioni in legno e gocce d'acqua sulla plastica che ricopre la tela dipinta. Spinatelli ha collaborato con la famosa ballerina Carla Fracci e Beppe Menegatti per ricostruzioni di balletti romantici, contribuendo a oltre settanta produzioni. Ha ottenuto riconoscimenti per il suo lavoro alla Scala e all'Arena di Verona, dove nel 1976 ha firmato la prima scenografia al femminile per "Lo Schiaccianoci" di Cajkovskij con Carla Fracci. Una delle sue collaborazioni più significative è con il coreografo e ballerino Roland Petìt, iniziata nel 1985. Ha disegnato i costumi per il suo balletto "Die Fledermaus", adottato nel repertorio della Wiener Staatsoper. Le sue scenografie spesso incorporano elementi decorativi tratti dall'iconografia antica e dalla natura. Nel campo della prosa, Spinatelli ha collaborato con vari registi, tra cui Giorgio Strehler. Ha lavorato come assistente di Ezio Frigerio per produzioni come "L'Illusion" di Corneille (1984), "La grande magia" (1984-85), "Faust" di Gotthe (1989-1992), e "L'isola degli schiavi" di Marivaux (1994-1995). Ha contribuito anche alle scene degli "Ultimi tre giorni di Fernando Pessoa" di Antonio Tabucchi al Piccolo Teatro di Milano (1995-1996). Nelle sue interviste, Spinatelli sottolinea l'importanza dell'incontro con il direttore d'orchestra, il musicista e il coreografo nella creazione delle scenografie per il balletto. Descrive il processo di ricerca e documentazione, evidenziando la necessità di uniformità e chiarezza nella sua visione creativa. CAPITOLO 2, REGISTI/AUTORI SCENOGRAFI: SAMUEL BECKETT E JOCELYN HERBERT: Il testo descrive la vita e la carriera di Jocelyn Herbert (1917-2003), una rinomata scenografa inglese del dopoguerra, con un focus parHcolare sul suo legame con il Royal Court Theatre di Londra e il NaHonal Theatre. Dopo gli studi a Parigi, Herbert si forma come scenografa presso la Slade School of Art e il London Theatre Studio, collaborando con regisH come Michel Saint-Denis e George Devine. Il suo debu<o ufficiale avviene nel 1957 con "Le sedie" di Ionesco. La sua partnership con il regista John Dexter su "The Kitchen" di Arnold Wesker evidenzia il suo sHle minimalista, diventato proverbiale. Herbert instaura una profonda amicizia e collaborazione con Samuel Beckett, realizzando le scene per diverse sue opere, tra cui "Giorni felici". La loro stretta collaborazione si riflette nelle scenografie scarnate, in linea con il principio di "non esagerazione" di Beckett. Herbert firma le scenografie per molte produzioni di Beckett, mantenendo una profonda armonia artistica con il drammaturgo irlandese. Il testo esplora dettagliatamente la realizzazione delle scenografie per "L'ultimo nastro di Krapp" e "Non io", sottolineando l'attenzione di Herbert ai dettagli e il suo sforzo nel rispecchiare fedelmente la visione di Beckett. Viene anche menzionata la sua influenza nel cambiare il colore del cielo in "Giorni felici" da azzurro a arancione, dimostrando la sua sensibilità artistica e la capacità di interpretare le intenzioni del drammaturgo. Il testo conclude sottolineando la vocazione di Herbert all'immagine, specialmente nei confronti dei testi brevi di Beckett, i dramaticula, che hanno ispirato una produzione significativa nel campo videoartistico. La sua capacità di catturare l'essenza di opere teatrali complesse e di collaborare in modo profondo con autori come Beckett la conferma come una delle scenografe più influenti del suo tempo. TONY HARRISON E JOCELYN HERBERT: Tra gli anni O<anta e Novanta, lo scri<ore e poeta inglese Tony Harrison, noto come "working class poet", e la scenografa Jocelyn Herbert collaborarono in sei progec arHsHci significaHvi. Uno di quesH fu "Square Rounds" al NaHonal Theatre nel 1992, mentre gli altri cinque erano basaH sul mito teatrale greco. La trilogia dell'Oresteia (composta da "Agamemnon", "Choephori" e "Eumenides") o<enne successo criHco e di pubblico, tanto che venne realizzata anche una versione televisiva integrale. La mostra per i trent'anni della trilogia al NaHonal Theatre includeva bozzec, costumi e maschere disegnate da Herbert, so<olineando il suo ruolo chiave nella creazione di uno degli allesHmenH teatrali più noH degli ulHmi quarant'anni. La trilogia dell'Oresteia, con la sua acclamata traduzione di Harrison, reinventò il dramma greco dal punto di vista linguistico, presentando una prospettiva "femminista" che evidenziava la prevaricazione delle figure maschili e l'ingiustizia del patriarcato. La collaborazione tra Harrison e Herbert si estese anche a opere come "Trackers of Oxyrhyncus", basato sui frammenti del dramma satiresco di Sofocle, e al film "Prometheus" del 1998. La progettazione di scena di Herbert per la trilogia dell'Oresteia rifletteva un approccio architettonico, sfruttando le caratteristiche dell'Olivier Theatre e includendo elementi come una parete di metallo modulare che poteva aprirsi per rappresentare diversi ambienti. Harrison, in qualità di drammaturgo residente al National Theatre, andò oltre la traduzione, reinventando il linguaggio poetico e sottolineando temi di attualità e divisioni sociali, come evidenziato nella sua "Medea: A Sex War Opera". Nel processo creativo, Herbert e Harrison lavorarono insieme anche sulle maschere, che avevano una funzione esistenziale e non solo di amplificazione DANIELA DEL CIN: COMPAGNIA MARCIDO MARCIDORJS E FAMOSA MIMOSA: La Compagnia Marcido Marcidorjs Famosa Mimosa, fondata nel 1986 da Marco Isidori, Daniela Dal Cin, Maria Luisa Abate, Laure<a Dal Cin, Sabina Abate, e nel 2000 Paolo Orrico, è un punto di riferimento nel teatro di ricerca italiano. La compagnia, situata tra la seconda ondata del Nuovo Teatro e il movimento dei Teatri '90, si disHngue per la sua autonomia, idenHtà e percorso esteHco autosufficiente, senza contaminazioni con altre realtà teatrali.La scenografa Daniela Dal Cin è una figura chiave. Il suo lavoro inizia dopo un percorso come fotografa, pittrice e disegnatrice, diventando un elemento cruciale nella poetica della compagnia. La scenografia è descritta come una "macchina scenica autonoma, giostra, gingillo, gabbia, carillon," svolgendo funzioni complesse e contribuendo alla costruzione di mondi teatrali distinti dalla realtà. Gli spettacoli della compagnia includono opere come "Le serve da Jean Genet" (1987), "Agamennone" e "Una giostra: l'Agamennone". Le scenografie di Dal Cin utilizzano materiali come legno, ferro e rame per creare costumi e ambientazioni iconiche. Disegni dettagliati e precisi costituiscono la base del lavoro, delineando non solo la struttura fisica ma anche l'atmosfera desiderata. La relazione tra la scenografia e l'azione degli attori è fondamentale. Dal Cin afferma che la scenografia determina il lavoro del regista e contribuisce a plasmare l'azione degli attori. La scena diventa uno spazio costrittivo e liberatorio allo stesso tempo, coinvolgendo il pubblico in una visione insolita e consentendo la partecipazione alla creazione di mondi teatrali distinti. Il lavoro innovativo della Compagnia Marcido Marcidorjs Famosa Mimosa, con la collaborazione fondamentale di Daniela Dal Cin, ha contribuito a definire un approccio al teatro di ricerca italiano che sfida le convenzioni e celebra la creatività e la sperimentazione scenica. La compagnia ha esplorato testi classici, come quelli di Shakespeare, Molière e Beckett, reinterpretandoli attraverso la sensibilità unica della compagnia e la visione creativa di Marco Isidori. L'impatto visivo delle scenografie di Dal Cin è notevole, con soluzioni folli che si integrano perfettamente con la drammaturgia di Isidori. La compagnia si distingue per la sua ricerca di un "nuovo teatro", privilegiando l'energia e le capacità magnetiche degli attori per creare uno spettacolo che coinvolge il pubblico in modo unico. L'approccio della compagnia si allontana dalle forme canoniche del teatro, puntando invece su una produzione che sfida i canoni tradizionali e mantiene viva l'avanguardia. KATIE MITCHELL E VICKI MORTIMER: Kathrina "KaHe" Mitchell, nata nel 1964, è una rinomata regista teatrale e d'opera britannica. Ha iniziato la sua carriera fondando la Compagnia COAS - Classics on a Shoestring, collaborando con la scenografa Vicki MorHmer e l'a<rice Emma. Mitchell è nota per il suo impegno nei diric delle donne e nel teatro femminista, sostenendo drammaturghe, light designer e scenografe emergenH. Mitchell ha spesso raccontato storie di scrittrici o esplorato i punti di vista femminili, portando in primo piano personaggi emarginati o trascurati. Ha sviluppato un canone alternativo, attraversando generi, periodi storici e forme letterarie. La sua fase iniziale, negli anni Novanta, era caratterizzata da un realismo minuzioso, enfatizzando il dettaglio e il patrimonio visivo dei testi. La regista ha sottolineato l'importanza dello studio preliminare per la scenografia, creando ambienti che siano parte di luoghi reali. Nella fase antropologica, durante la preparazione di spettacoli come "Spettri" di Ibsen, ha condotto ricerche sul campo per catturare il senso del luogo, utilizzando registrazioni audio e grafici della temperatura. A partire dal 2005, Mitchell ha introdotto il live cinema, unendo teatro e cinema in spettacoli complessi come "Shadows (Euridyce Speaks)", "Orlando" e "La maladie de la mort". Questa nuova modalità teatrale integra l'azione in scena con immagini video create sul palco, offrendo al pubblico prospettive multiple e approfondendo l'indagine dell'interiorità dei personaggi. Mitchell ha esplorato il concetto di simultaneità dell'azione e dell'immagine video, richiedendo al pubblico di guardare l'azione in più spazi contemporaneamente. Il suo approccio al live cinema incorpora la perfetta sincronia tra attori e tecnici, ridefinendo la liveness in uno spettacolo "teatro-quadro". Attraverso spettacoli come "The Forbidden Zone" e "A Woman Killed with Kindness", realizzati con la collaborazione di Vicki Mortimer, Mitchell ha esplorato spazi scenici doppi o tripli, capaci di autoreplicarsi, per enfatizzare le esplorazioni mentali e fisiche dei personaggi. Vicki Mortimer, scenografa collaboratrice di Mitchell, ha contribuito a progetti di notevole impatto, utilizzando la scenografia per esplorare temi complessi come la colpa coniugale e l'invenzione delle armi chimiche. La sua progettazione si estende anche a installazioni immersive, come "Private Truths" al V&A Museum. Chloe Lamford, una giovane scenografa associata al Royal Court Theatre di Londra, ha descritto il suo lavoro per Mitchell come la creazione di metafore e atmosfere. In particolare, ha progettato uno spazio claustrofobico e simbolico per "Ophelia's Room". Complessivamente, il lavoro di Katie Mitchell, con il contributo essenziale di scenografe come Vicki Mortimer e Chloe Lamford, ha ridefinito il teatro contemporaneo attraverso l'esplorazione di prospettive femminili, la sperimentazione del live cinema e la creazione di spazi scenici complessi e suggestivi. PETER SELLARS E ADRIENNE LOBEL: Adrianne Lobel è una pi<rice e scenografa statunitense nata nel 1955, conosciuta sopra<u<o per il suo lavoro nei teatri di Broadway. Formatasi alla Yale Drama School so<o la guida del rinomato scenografo Ming Cho Lee, ha ricevuto riconoscimenH quali il Tony Award per i musical "Passione" e "The Diary of Anne Frank", entrambi direc da James Lapine. Ha anche o<enuto l'Obie Award per le scene di "Ali Night Long" e "The Vampires". La collaborazione di Lobel con il regista teatrale e d'opera Peter Sellars è evidenziata dalle scenografie per opere come "Le nozze di Figaro", "Così fan tutte", "Il flauto magico" e "The Mikado", nonché per le opere musicali di Sellars in collaborazione con il compositore John Adams, come "Nixon in China" e "Doctor Atomic". "Doctor Atomic" è stato particolarmente acclamato nel 2005 per il suo libretto scritto da Sellars basandosi su documenti originali del "Progetto Manhattan". La scenografia di Lobel per l'opera è stata notevole, con una sfera centrale a simboleggiare l'atomo e un fondale che rappresenta un ampio orizzonte illuminato da luci di vario colore, progettate in collaborazione con il light designer James Ingalls. Per "Nixon in China", Lobel ha creato un concept minuzioso e iperrealistico, ispirato agli eventi del viaggio storico del presidente americano Richard Nixon in Cina nel 1972. Il suo approccio alla scenografia ha enfatizzato l'attenzione al dettaglio, trasportando gli spettatori in una sorta di docu-opera dal sapore televisivo, supportato da un lavoro preliminare di documentazione approfondita. Lobel ha descritto il suo processo creativo come inizialmente vago, con schizzi grezzi e abbozzi senza una forma definita. Tuttavia, ha sottolineato il momento "aha", in cui tutto magicamente combacia e nasce un concept. I suoi disegni sono stati la fonte di grandi idee, spesso precedendo la ricerca approfondita. Ad esempio, per "Le nozze di Figaro", Lobel ha ambientato l'opera in un lussuoso appartamento nella Trump Tower di New York negli anni Novanta, con interni minimalisti e ampi spazi vuoti, che evocano la prospettiva centrale di Ezio Frigerio nella "versione milanese" delle Nozze di Figaro di Giorgio Strehler del 1981 per il Teatro alla Scala. CHRISTOPH MARTHALER E ANNA VIEBROCK: Anna Viebrock (1951) è una scenografa svizzera rinomata, parHcolarmente riconosciuta per il suo contributo alla proge<azione delle scene contemporanee. Il suo lavoro è spesso associato al tema dell'archite<ura, e si disHngue per la creazione di scenografie imponenH nei teatri di lirica e musicali, che rappresentano spazi di alienazione, distopie e non-luoghi. Le sue scenografie sono caratterizzate da edifici squarciati, interni domestici che formano un patchwork inquietante di stili architettonici e arredi. Viebrock crea scatole-costruzioni che narrano di abbandono e desolazione, rappresentando case-bunker, gate d'imbarco, ingressi di metro e stanze d'hotel, luoghi di attesa o prigioni. Un esempio significativo è la scena per l'opera lirica "Medea a Corinto", dove costruzioni con diverse funzioni e stili architettonici si sovrappongono in modo contraddittorio. La scenografa si ispira a edifici reali e oggetti concreti, accumulando dettagli e frammenti spaziali per creare scenografie ricche di contrasti. Il suo approccio al lavoro è descritto come un processo di accumulo contraddittorio di stili, forme, memorie e materiali, che riflette il suo interesse per il mondo circostante. Viebrock ha iniziato la sua carriera lavorando con il regista Jossi Wieler negli anni Ottanta e ha successivamente collaborato a lungo con Christoph Marthaler, noto regista e musicista svizzero. La sua scenografia è spesso caratterizzata da una lentezza ponderata, solitudini irraccontabili, silenzi irreali e critica caustica senza parole, contribuendo a creare atmosfere uniche negli spettacoli di Marthaler. Il suo metodo di lavoro prevede viaggi, indagini e fotografie di luoghi abbandonati, accumulando tracce e immagini per poi riordinarle nella fase di creazione. Viebrock è stata insignita di numerosi premi, riconoscimenti e ha ricevuto il titolo di miglior scenografa e costumista dell'anno da riviste teatrali tedesche. La sua influenza è stata notevole, specialmente nei teatri europei di Zurigo, Avignone, Salisburgo, Parigi, Bayreuth, Berlino e Basilea. WILLIAM KENTRIDGE E SABINE THEUNISSEN: Sabine Theunissen è una scenografa nota per la sua collaborazione con l'arHsta visivo contemporaneo William Kentridge. Dopo gli studi di archite<ura a Bruxelles e un apprendistato all'ufficio tecnico della Scala di Milano, ha lavorato per diciasse<e anni allo studio di proge<azione del Royal Theater of La Mannaie a Bruxelles. La sua collaborazione con Kentridge inizia nel 2003 con "The Magic Flute" e prosegue con diverse produzioni, tra cui "The Nose" (2010), "Refuse the Hour" (2012), "The Refusal of Time" (2012), "Winterreise" (2014), "Lulu" (2015), "Wozzeck" (2017) e "WaiHng for the Sybil" (2019). Il suo approccio creativo è caratterizzato da un bricolage creativo nella fase progettuale, che riflette il lavoro artigianale di Kentridge nelle arti visive e teatrali. Theunissen utilizza materiali come maquette in cartone pressato, scene miniaturizzate con pagine di quaderni, vecchi schedari, figurine di carta e collage. Questi elementi riflettono e si integrano con il lavoro di Kentridge, che include disegni al tratto al carboncino replicati in video, vecchi filmati passo uno, pagine di libri che si animano con figure nere e ritagli di carta per costumi e scene. Il loro lavoro insieme si estende anche a installazioni artistiche, come "The Refusal of Time" presentata al Museo Maxxi di Roma, che ha un ambiente simile a un collage dinamico con proiezioni sincrone a cinque canali di film animati, ombre e sculture in movimento. Per l'opera "Wozzeck" (2017) di Alban Berg, Theunissen crea una scenografia duplice che include un'isola composta da un cumulo di oggetti di legno, scale e pedane, e un ciclorama di ritagli di giornale con proiezione di ambienti tratti dai segni a carboncino di Kentridge. Questa scenografia offre un'atmosfera di interiorità fatta di visioni, ossessioni, paure, incubi e reminiscenze. Theunissen descrive la scenografia di "Wozzeck" come più vicina al mondo del teatro che all'opera, con il palco in scala ridotta, simile a una casa delle bambole, che gioca con il vocabolario di base del teatro in una logica giocosa dove i dettagli realistici sono vitali per creare un riferimento credibile per l'astratto. DIMITER GOTSCHEFF E KATRIN BRACK, DALLO SPAZIO VUOTO ALLO SPAZIO LIQUIDO: Katrin Brack, nata nel 1958, è una scenografa tedesca che ha lavorato con importanH regisH come Dimiter Gotscheff, Luk Perceval, Armin Petras e Johan Simons. Ha studiato all'Accademia d'Arte di Düsseldorf con Karl Kneidl dal 1978 al 1984. La sua scenografia è stata descri<a come stravagante e minimalista, spesso costruita, spostata o distru<a dagli a<ori durante lo spe<acolo, uHlizzando materiali insoliH come gommapiuma, nebbia arHficiale, palloncini di elio, neve arHficiale e bolle di sapone. Il suo lavoro con Dimiter Gotscheff include spettacoli come "Black Battles with Dogs," "Jvanov," e "Tartuffe." Brack ha vinto tre volte il premio per la miglior scenografia, e nel 2017 è stata insignita del Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia. La sua scena è spesso caratterizzata da un universo colorato di palline, nastri, decorazioni natalizie, lampadine da fiera, pioggia di confetti, coriandoli, palloncini sospesi in aria, fiori artificiali, cuscini e sacchi a pelo. Questi elementi, insieme a materiali come nebbia, luce condensata e acqua, introducono un'atmosfera eccentrica nello spettacolo. Il suo approccio alla scenografia è particolare in quanto crea direttamente in scena con oggetti già pronti e le luci, attribuendo un valore particolare al progetto inteso come disegno preparatorio. La scenografia di Brack ha una natura volatile e intangibile, come nel caso della nebbia artificiale in "Ivanov" (2005) o dei palloncini di elio in "Ubu Roi" (2008). Questi elementi, apparentemente indifferenti alla situazione umana sulla scena, diventano parte della drammaturgia e contribuiscono a creare atmosfere specifiche per ogni spettacolo. La sua estetica scenografica riflette una sorta di "società liquida" nella quale la forma e l'identità sono in continua trasformazione. La sua scelta di materiali instabili diventa una chiave di lettura della storia, inserendosi nella contemporaneità liquida descritta dal filosofo Zygmunt Bauman e dall'artista Hito Steyerl. OSKARAS KORŠUNOVAS E IRINA KOMMISARIASKA, ROMANZO RUSSO: Il libro di Erica Facciali si focalizza sul teatro post-sovieHco, concentrandosi sui teatri della Bielorussia, della Le<onia, della Lituania, dell'Estonia e dell'Ucraina dopo la dissoluzione dell'Unione SovieHca. In parHcolare, vengono esaminaH il teatro lituano e due regisH di spicco, Eimuntas Nekrosius e Oskaras Koršunovas. Oskaras Koršunovas, regista lituano di grande successo con sessanta spettacoli all'attivo, è noto per adattare opere di autori russi e contemporanei come Bulgakov e Sarah Kane. La sua produzione più celebre, "Amleto" del 2011, è stata lodata a livello internazionale. L'approccio di Koršunovas è descritto come un "meccano universale", in cui un elemento chiave iniziale viene successivamente arricchito dallo scenografo. Irina Kommisariaska, assistente alla scenografia di Koršunovas dal 2017 al 2020, è coinvolta nella produzione "Romanzo Russo" (2018), basata su un testo di Marius Ivaskevicius sulla vita di Lev Tolstoj. Qui si evidenzia il metodo di Koršunovas, che richiede uno "salto nel vuoto" per lo scenografo, conferendogli la responsabilità della creazione visuale. Il libro menziona anche il coinvolgimento di Kommisariaska nella nuova edizione del "Gabbiano" per il Teatro d'Arte di Mosca, diretto da Konstantin Stanislavskij. In questo contesto, si sottolinea l'interesse di Koršunovas per coinvolgere attivamente gli spettatori nel processo creativo. Kommisariaska è chiamata per contribuire al progetto utilizzando la sua esperienza con il video in scena. Viene enfatizzata l'importanza del video come mezzo espressivo e strumento scenografico, evidenziando l'aspetto visivo e sperimentale attraverso l'uso di video e colori. CAPITOLO 3, LA SCENOGRAFIA CON LE TECNOLOGIE A VIVO: VIDEOPROIEZIONI, MAPPING E INTERATTIVITÀ: Negli anni O<anta e Novanta, il ruolo delle tecnologie nel teatro ha conosciuto una crescente importanza, dando vita a nuove modalità creaHve e nuove possibilità di visione per lo spe<atore. La presenza del digitale, dell'interacvità e della liveness ha portato all'emergere di nuove professionalità, come il video designer, l'interacHon designer e il projecHon designer. Un nuovo genere, la remote audience performance, ha inoltre aperto nuovi orizzonH che coinvolgono mondi e pubblici diversi. La tecnologia video-teatrale, prima di approdare al teatro, era esplorata dagli artisti visivi e esposta nelle gallerie e nei musei attraverso installazioni artistiche. Il Wooster Group, fondato da Elizabeth LeCompte e Spalding Gray, è stato uno dei gruppi pionieri nell'esperimento delle tecnologie video in scena negli anni Ottanta, influenzando generazioni successive. Marianne Weems, fondatrice di The Builders Association, è considerata "la Spike Jonze del teatro" e si è formata presso il Wooster Group. Bunny Christie, una designer britannica, è nota per il suo lavoro innovativo con tecnologie video live. Il suo design scenografico per "The Curious Incident of the Dog in the Night-Time" ha ricevuto ampi consensi e premi. Utilizza proiezioni dinamiche, pixel mapping e elementi interattivi che definiscono lo spazio scenico e contribuiscono al successo degli spettacoli. Altre figure di spicco includono la scenografa croata Ivana Jonke del gruppo Numen, che crea scenografie senza elementi teatrali tradizionali, e Rebecca Ringst, berlinese, che ha lavorato alle videoscenografie per il regista spagnolo Calixto Bieito, combinando volti e corpi profilati da un cellulare in "L'incoronazione di Poppea." Constance Guisset, specializzata in scenografie video per danza e concerti, ha contribuito a spettacoli di successo come "Le Funambule" e "Winterreise." accade per gli spe<acoli di Motus/Silvia Calderoni, Anagoor, Kinkaleri, Muta Imago. Per il panorama italiano abbiamo selezionato alcune delle arHste che hanno proposto visioni e modalità tecnosceniche di rilievo. DIANA ARBIB: Diana Arbib è una videomaker e video designer romana che ha contribuito in modo significaHvo allo sviluppo della Compagnia Santasangre, focalizzandosi su spe<acoli tecnologici che integrano il linguaggio video con installazioni meccaniche e sonore. Laureatasi in Scenografia presso l'Accademia di Belle ArH di Roma, ha anche frequentato il corso di montaggio video al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel 2000, ha co-fondato la compagnia di ricerca teatrale Santasangre, collaborando alla realizzazione di vari spe<acoli, dalla fase di ideazione alla regia fino alla creazione scenografica mulHmediale. Il suo interesse si concentra sulla fusione tra il corpo reale e l'immagine olografica, considerando il video come una luce animata e un agente scenico fondamentale all'interno di un processo di contaminazione arHsHca e performaHva. L'obiecvo principale di Arbib è creare un "ambiente emoHvo" che coinvolga il pubblico a<raverso l'interazione tra luce, suono e corpo reale. Il confronto orizzontale è un elemento chiave nel processo creaHvo di Santasangre, dove ogni membro della compagnia contribuisce in modo acvo, portando la propria esperienza professionale. Arbib ha seguito da vicino ogni fase di sviluppo degli spe<acoli, con una parHcolare a<enzione alla scenografia e all'ambientazione mulHmediale. Nei loro spe<acoli, il video e complesse arHcolazioni di visione a<raverso disposiHvi occi specifici svolgono un ruolo centrale. La trilogia "Studi per un teatro apocalicco" (2006-2008), ispirata a opere come "1984" di George Orwell e "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley, ha introdo<o tecniche innovaHve come la riflessione dell'immagine uHlizzando la tecnica o<ocentesca di Pepper's Ghost. Nel corso del tempo, Santasangre ha sperimentato diverse tecniche video in relazione ai contenuH e alle idee degli spe<acoli. Ad esempio, in "SEIGRADl_studi per un teatro apocalicco", hanno uHlizzato la tecnica di riflessione olografica per simulare personaggi virtuali in scena, interagendo con a<ori reali. In "BesHale Improvviso", il video ha raggiunto un'esposizione spe<acolare con l'obiecvo di tradurre l'energia nucleare in un'esperienza visiva dinamica. La ricerca tecnica e drammaturgica di Santasangre è emersa in spe<acoli come "SEIGRADl_studi per un teatro apocalicco", in cui la luce è stata studiata per creare illusioni ocche e rifle<ere la temperatura terrestre aumentata di sei gradi. L'uso di videoproie<ori, specchi e vetri inclinaH ha permesso di smaterializzare il corpo della danzatrice e creare un'atmosfera di sogno. In "BesHale Improvviso", il video è stato uHlizzato in modo spe<acolare per rappresentare l'energia nucleare, con schermi panoramici, pedane inclinate e videoproie<ori dinamici. Diana Arbib e Santasangre hanno contribuito a ridefinire il conce<o di scena, introducendo innovazioni tecnologiche e visive che creano un'esperienza teatrale unica e coinvolgente. RAFFAELLA RIVI: Raffaella Rivi è una videoscenografa e film-maker italiana che ha svolto un ruolo significaHvo nell'ambito della scena video e mulHmediale nel corso degli anni Novanta. Dopo aver studiato presso il Dams di Bologna con una parHcolare a<enzione agli audiovisivi e alle tecnologie interacve e polisensoriali, si è iscri<a a uno dei primi corsi in Italia per la creazione di scene ele<roniche e scenografie virtuali chiamato Interscena, ideato da Carlo Infante e Paolo Atzori nel 1997. In seguito, ha partecipato al proge<o pionierisHco di net art, Undermagma.cjb.net, tenuto da Giacomo Verde insieme a Tommaso Tozzi e Massimo Ci<adini nel 1999. Il suo coinvolgimento con la scena ele<ronica si è consolidato con la Compagnia Tam Teatromusica di Padova, fondata da Michele Sambin e l'arHsta visiva Pierangela Allegro. La compagnia ha integrato spazializzazioni sonore, progec di luce straordinari, grafica accurata e animazioni video con effec pi<orici in scena. Rivi ha contribuito a definire l'esteHca teatrale e musicale del gruppo a<raverso la sua abilità nel manipolare il video, considerandolo uno strumento in grado di espandere emozioni e trasformare la scena. Rivi ha lavorato su diversi progec, comprese le video scenografie per il teatro-carcere nel 2000 e Stupor Mundi nel 2004, un lavoro site specific al castello Maniace a Siracusa per l'OrHgia FesHval. La sua collaborazione con la compagnia si è estesa anche a Anima blu, ispirato ai quadri di Marc Chagall, dove la scenografia video animata è diventata un elemento cruciale, vincendo premi importanH come il premio Eolo 2008 e il primo premio per la miglior scenografia al FesHval Feten 09 a Gijon in Spagna. Rivi ha conHnuato a esplorare nuove fronHere nell'uHlizzo del video in ambito teatrale, partecipando a progec come Massa criHca. Il totalitarismo nell'era di Facebook (2013), dove ha sperimentato tecniche miste tra video, animazione e found footage da YouTube. In questo lavoro, il video è stato uHlizzato come elemento ricorrente, intercalandosi a diversi momenH dello spe<acolo e interagendo con le stru<ure scenografiche costruite dallo scenografo. Il suo approccio al video è cara<erizzato da una visione arHgianale, sperimentando con tecniche come il video mapping, senza trascurare l'aspe<o emoHvo e la capacità di creare un'atmosfera unica per ogni spe<acolo. Rivi ha dimostrato una notevole flessibilità nel suo lavoro, collaborando stre<amente con regisH e scenografi per integrare il video in modo organico nelle produzioni teatrali. INES CATTABRIGA: La formazione tecnologica per la scena in Italia ha conosciuto uno sviluppo significaHvo alla fine degli anni Novanta. Le Accademie di Belle ArH, come Brera e Carrara, sono state tra le prime ad introdurre sezioni mulHmediali nei primi anni Duemila, con docenH spesso provenienH da compagnie teatrali innovaHve. Un esempio notevole è Giacomo Verde, che ha avviato la sua avventura videoteatrale nel 1989, introducendo la tecnica del "teleracconto" per il Teatro Ragazzi. Questa tecnica coinvolgeva la ripresa macro in dire<a di piccoli oggec con un monitor televisivo, inaugurata con la versione televisiva di "Hansel & Gretel" per la Compagnia Giallo Mare Minimal Teatro di Renzo Boldrini e Vania Pucci. Giacomo Verde ha insegnato a lungo in numerose accademie italiane e ha contribuito all'espansione delle tecnologie mulHmediali nel contesto teatrale, introducendo operazioni interacve per il teatro ragazzi. Altri esempi di produzioni innovaHve di quel periodo includono "Storie mandaliche" di Giacomo Verde/ZoneGemma, il "Giardino giapponese" basato sul digital carpet del TPO di Davide Venturini, "La Storia di una gabbianella e del ga<o che le insegnò a volare" di Carlo Preso<o e "La Piccionaia" di Vicenza. Ines Ca<abriga, dopo aver frequentato il primo corso mulHmediale presso l'Accademia di Belle ArH di Carrara nel 2000, ha iniziato il suo percorso arHsHco legato al Teatro Ragazzi dei Giallo Mare. Rimasta stabilmente con la compagnia, Ca<abriga ha proge<ato scenografie video e interacve per gli spe<acoli, occupandosi anche di programmazione computerizzata, video mapping e interacvità. La sua formazione è stata influenzata da numerosi professionisH della scena mulHmediale, tra cui Giacomo Verde, Renzo Boldrini, Vania Pucci e molH altri. Ca<abriga si definisce "carpenHere mulHmediale", so<olineando l'aspe<o arHgianale del suo lavoro e la ricerca dell'equilibrio tra immagini e a<ori. Durante il lockdown del 2020, i Giallo Mare hanno acvato progec teatrali per le scuole, uHlizzando tecnologie di streaming per spe<acoli adac ai disposiHvi digitali, mantenendo al contempo l'arHgianalità del teatro. Ca<abriga ha partecipato alla creazione mulHmediale di alcune di queste produzioni, sperimentando con diverse pia<aforme e approcci innovaHvi. La sua carriera ha spaziato a<raverso vent'anni di creazioni per vari teatri, collaborando con diverse compagnie e contribuendo a spe<acoli complessi come "Lente Visioni" (2008) e "Circo Gulliver" (2010). Durante il periodo pandemico, ha sviluppato "Pesce Gaetano", un proge<o che sfru<a il video mapping e coinvolge il pubblico più giovane, mantenendo una forte connotazione interacva. La sua riflessione sull'arte mulHmediale evidenzia la sua a<enzione al de<aglio, alla memoria e alla presenza, cercando il punto in cui l'immagine vive in interazione con il sogge<o in scena, creando un meccanismo di narrazione unico. La sua praHca arHsHca è cara<erizzata da un costante equilibrio tra l'arHgianato tradizionale del teatro e l'innovazione tecnologica. FRANCESCA PASQUINUCCI: Imaginarium, uno studio arHsHco con sede a Viareggio dire<o da Davide Giannoni e Francesca Pasquinucci, si è specializzato nella realizzazione di scenografie e contenuH mulHmediali per l'opera lirica, la musica classica e progec di visual art per arHsH pop e rock. La collaborazione di Pasquinucci, con la sua formazione nelle arH visive e la storia del teatro, e Giannoni, con competenze in musica classica, tecniche di animazione e video mapping, ha dato vita a un team creaHvo che spazia dalla videoscenografia ai videoclip ai videogame, concentrandosi sull'ambito teatrale e musicale. Francesca Pasquinucci, illustratrice e ideatrice, confeziona i suoi disegni ispiraH al mondo della pop art e del surrealismo d'avanguardia. QuesH disegni, dopo un "tra<amento digitale" curato da Davide Giannoni, prendono vita come video e interacHve storytelling. Pasquinucci so<olinea l'importanza del disegno su carta come primo passo nel processo creaHvo, passando poi a<raverso l'animazione e il video mapping. Un proge<o significaHvo è stato realizzato per l'album concept "Alchemaya" di Max Gazzè, coinvolgendo un'operazione crossmediale che si è sviluppata su diverse pia<aforme, tra grafica per l'album, illustrazioni del libre<o teatrale, videoclip e un videogame. Pasquinucci mescola la pop art con elemenH fantasHci, creando un segno pi<orico riconoscibile che si ada<a alle diverse pia<aforme. Imaginarium ha applicato la sua creaHvità anche al mondo dell'opera lirica, introducendo il video mapping come linguaggio espressivo. La firma di Imaginarium è apparsa in proiezioni video mapping su facciate di edifici storici, ampliando la dimensione visiva delle produzioni liriche. In parHcolare, per la produzione di "Tosca" della Fondazione Teatri di Piacenza nel 2021, Imaginarium ha so<olineato temi cosmici e simbolici, creando una connessione emozionale con il pubblico a<raverso nuove tecnologie. Pasquinucci so<olinea che il video mapping nella lirica richiede un'approfondita comprensione della parHtura e della direzione orchestrale per sviluppare un racconto visivo coerente. Imaginarium si impegna a comunicare un conHnuo richiamo all'arte anHca del teatro a<raverso l'uso contemporaneo dello strumento digitale. L'approccio di Imaginarium mostra un raffinato equilibrio tra l'arHgianato tradizionale del teatro e l'innovazione tecnologica. Le so<otrame visive sviluppate dallo studio aggiungono straH di significato alle produzioni, offrendo agli spe<atori nuove suggesHoni e spazi di le<ura. La tecnologia del video mapping è uHlizzata non solo come strumento tecnologico, ma come un mezzo espressivo che contribuisce in modo coeso alla narrazione visiva dell'opera lirica. ZAMIRA PASCERI: Zamira Pasceri, nata nel 1977, è una performer, scenografa e regista indipendente che ha collaborato con La Fura dels Baus, noto collecvo teatrale catalano. Diplomatasi in pianoforte al Conservatorio di Torino, Pasceri ha iniziato a studiare danza classica e contemporanea e teatro negli anni O<anta. Il suo percorso arHsHco è stato influenzato dal padre, un violinista, e dalle esperienze nel mondo delle voci bianche presso il Teatro Regio di Torino. Questa esperienza le ha fa<o apprezzare la complessità e la ricchezza di contrasH nel mondo delle arH e degli arHsH. Dopo aver lavorato con vari arHsH, tra cui Raffaele Paganini, Manuel Fracni, Tiziana Cona e Daniel Ezralow, Zamira Pasceri ha iniziato a collaborare con La Fura dels Baus come performer. Ha sperimentato spe<acoli ad altezze verHginose, acrobazie e azioni fisiche estreme. La sua lunga esperienza come a<rice con La Fura dels Baus le ha permesso di esplorare la consapevolezza della propria forza, l'energia in mezzo al pubblico e la capacità di spostare i limiH, senza paura dell'irrazionale, ma saperlo canalizzare. Successivamente, Pasceri ha ampliato il suo ruolo diventando regista d'opera per La Fura dels Baus. Questa transizione le ha fornito nuovi strumenH di guida per gli interpreH, consentendo di incorporare la musica, il testo e la drammaturgia nei suoi progec. La sua esperienza come performer ha contribuito a sviluppare un linguaggio furero nell'opera che può essere codificato, misurato e spiegato, andando oltre l'immediatezza del teatro fisico. La sua collaborazione con La Fura dels Baus si è estesa a progec come il Klangwolke di Linz, El Amor Brnjo e opere liriche come "Thamos, re d'Egi<o" e "La Creazione di Haydn". Pasceri ha anche dire<o produzioni come "Noye's Fludde" di Bri<en e "Aida" a Salonicco, dimostrando la sua versaHlità e creaHvità nel dirigere grandi produzioni. Pasceri ha iniziato a familiarizzare con gli elemenH scenici tecnologici, diventando indispensabile negli allesHmenH contemporanei, anche d'opera. Ha so<olineato come la tecnologia abbia "democraHzzato" la creazione scenica, offrendo opportunità anche a chi non può perme<ersi costose scenografie e tempi di prova estesi. Il suo immaginario visuale è cara<erizzato da influenze della pi<ura d'avanguardia, dell'arte popolare e della praHca videoarHsHca. Ha dire<o produzioni coinvolgenH e visionarie, sperimentando con elemenH visivi e mulHmediali per trasme<ere messaggi profondi e contemporanei. Il suo approccio psicologico e la ricerca visuale si combinano per interpretare i tesH classici in modo innovaHvo, cercando di rendere i messaggi atemporali ada<abili alla realtà odierna. CAPITOLO 4 LA SCENA COME AR(T)TTIVISMO: ARTIVISMO E TEATRO: L'arHvismo rappresenta un connubio tra arte e acvismo poliHco, una forma di espressione che ha radici profonde ma si è evoluta e specializzata con lo sviluppo delle reH telemaHche e della cultura digitale, sopra<u<o dagli anni O<anta in poi. La definizione di arHvismo proposta dai curatori di Connessioni remote (2021) lo descrive come un'azione condo<a da arHsH e collecvi con una forte inclinazione all'impegno sociale e poliHco. Questa forma di acvismo a<raversa vari campi espressivi, come performance, street art, videoarte, net art, subverHsing e guerrilla markeHng, uHlizzando linguaggi e formaH mediali in una prospecva antagonista, criHca e di controinformazione. L'arHvismo ha abbandonato l'ombra dell'underground per estendersi a una vasta gamma di territori d'intervento, coinvolgendo un pubblico sempre più ampio. Questa praHca si nutre di temi a<uali e urgenH, tra cui l'ambiente, le poliHche sull'immigrazione, lo sviluppo sostenibile, l'uguaglianza di genere, la violenza sulle donne, la tutela delle minoranze linguisHche e la discriminazione razziale. EvenH di portata globale, come l'incidente di Chernobyl e la Conferenza di Kyoto del 1997 sul cambiamento climaHco, hanno contribuito a plasmare lo scenario in cui si sviluppa l'arHvismo. Aldo Milohnié, uno studioso di teatro sloveno, ha definito l'arHvismo come una forma di "intervenHsmo" che uHlizza tecniche di manifestazione culturale per inserirsi nel campo della poliHca. Ha so<olineato la trasversalità e l'ibridità delle praHche arHvisHche, perme<endo un passaggio rapido dalla sfera arHsHca a quella poliHca e viceversa.La definizione teorica di arHvismo perme<e di sfidare l'autoreferenza del sistema arHsHco, che, se da un lato cara<erizza l'autonomia operaHva, dall'altro de-responsabilizza l'arHsta rispe<o ai suoi comportamenH. L'arHvismo, al contrario, rifiuta questa neutralità ideologica, integrando pienamente la poliHcità dell'arte nel contesto storico-culturale post- novecentesco. In questo modo, l'arHvismo si posiziona come una forma d'arte che va oltre l'esteHca, cercando di influenzare e cambiare la realtà sociale e poliHca. KARA WALKER E IL POSTCOLONIALISMO: Kara Walker, una pi<rice e scultrice afroamericana, notevolmente influenzata dal lavoro dell'arHsta poliHco William Kentridge. Mentre Kentridge uHlizza ombre animate come simboli di azione, resistenza e risca<o in un Sudafrica post- apartheid, Walker si focalizza sulla denuncia e condanna della schiavitù e della violenza di genere, uHlizzando il moHvo kentridgiano della processione di figure nere. Il lessico artistico di Walker è contrassegnato da un primitivismo intenzionale, evidente in opere che utilizzano acquerello, inchiostro, carboncino su carta, collage e figurine di carta. I suoi lavori spaziano dalla tratta degli schiavi alla guerra tra sudisti e nordisti, al colonialismo, dalla storia dello Zio Tom allo sfruttamento razzista e alla proclamazione dell'emancipazione femminile. Walker raffigura atti indecenti mescolati ai segni del potere, concentrandosi sui temi della violenza e della dominazione. Attraverso video proiezioni, carte ritagliate e ombre, come visto in opere come "Darkytown Rebellion" (2001), Walker sfrutta l'aspetto del teatro conce<uale. La sua scenografia innovaHva, con la scala motorizzata e elemenH meccanizzaH, ha so<olineato il suo sHle disHnHvo e la capacità di reinventare lo spazio scenico. Nel 2019, MonHnaro ha nuovamente proge<ato la scenografia del FesHval di Sanremo, presentando un palco diverso con una forte componente meccanizzata, tra cui un'onda sonora di canne di organo luminose. La sua creaHvità si è espressa anche in progec come "Vieni via con me", dove ha uHlizzato la tecnologia switch-glass per creare uno spazio dinamico e trasparente. La trasparenza è un tema ricorrente nel lavoro di MonHnaro, simboleggiando l'assenza di limiH e l'apertura mentale. La sua poeHca si evolve con l'avanzamento tecnologico, incorporando soluzioni sempre più audaci per le macchine sceniche, unendo componenH analogiche e digitali. Il filo condu<ore nel lavoro di MonHnaro è l'indagine sullo spazio reale e immaginato, sul rapporto tra palcoscenico e pubblico, sull'idenHtà visiva degli occupanH del palco e sulla conHnua ricerca tecnologica. La sua carriera trasversale e diversificata si disHngue per un pensiero e una ricerca comuni, rifle<endo la sua logica e la sua dedizione alla creazione di esperienze visive coinvolgenH. LO SHOW DESIGN: ES DEVLIN E L’INNOCENCE + L’EXPERIENCE TOUR (2015)/ EXPERIENCE + INNOCENCE (2018): L'ulHmo tour degli U2, nel 2018, è stato una conHnuazione naturale della tournée iniziata nel 2015 per promuovere l'album "Songs of Innocence" (2014). Nel 2017, con l'uscita di "Songs of Experience", la band ha affrontato la seconda parte del tour mantenendo gran parte dell'impostazione scenica e delle innovazioni del primo. Il team creaHvo, composto da Willie Williams, Es Devlin e Rie Lipson della Stufish, ha lavorato alla proge<azione dello spe<acolo per due anni. La narrazione si basa sulla contrapposizione tra l'"innocenza" della giovinezza, rappresentata dalla prima parte del concerto e dal palco re<angolare, e l'"esperienza" della maturità, simboleggiata dalla seconda parte e dal B- stage circolare. La principale rivoluzione dello spe<acolo è stata la disposizione del palco all'interno delle arene chiuse. Tre spazi praHcabili per i musicisH includono un palco re<angolare, un B-stage circolare chiamato e-stage e una passerella di collegamento. Un elemento disHnHvo è il doppio schermo a LED, largo 29 m e alto 7, sospeso sopra la passerella, che può abbassarsi diventando un muro divisorio. Questo muro rappresenta simbolicamente le divisioni nel mondo e promuove l'idea di superare le barriere per la pace. I bigliec sono suddivisi in "North Side" e "South Side", richiamando le fra<ure sociali, e la stru<ura denominata barricate è composta da due schermi semitrasparenH, creando un muro che gli spe<atori possono a<raversare e consentendo ai musicisH di suonare al suo interno. Questa innovaHva stru<ura svolge molteplici funzioni, agendo come schermo, ponte, palcoscenico e impianto di illuminazione. La sua semitrasparenza consente agli spe<atori di vedere la band quando è all'interno dello schermo. Questa concezione spaziale e scenografica è un'evoluzione rivoluzionaria nello show design, unendo funzionalità in modo unico. Il muro divisorio, sebbene separi il pubblico, avvicina gli spe<atori alla band, sfru<ando la forma ovale delle arene per allargare la passerella e coinvolgere l'intera lunghezza dell'arena. Il piccolo palco all'estremo opposto completa la copertura dell'area, portando la performance su tu<a la lunghezza dell'arena. In sintesi, il tour del 2018 degli U2 ha ridefinito lo spazio scenico a<raverso innovaHve soluzioni tecniche e scenografiche, creando uno spe<acolo coinvolgente che unisce la narrazione musicale alla visualizzazione visiva in modo straordinario. SCENOGRAFIA ESPANSA, SCENOGRAFIA ESTESA E PERFORMANCE DESIGN: La tendenza sempre più diffusa di uHlizzare "altri spazi" ha dato vita a una nuova definizione di scenografia, nota come "scenografia estesa" o "scenografia espansa". QuesH termini si riferiscono all'organizzazione spaziale ibrida di spe<acoli che abbracciano diversi formaH, linguaggi e luoghi urbani, spesso con intenH criHci, sociali e poliHci. Joslin McKinney e Sco< Palmer, autori di "Scenography Expanded", delineano questa evoluzione a<raverso tre fasi: dalla scenografia come elemento decoraHvo a un'arte acva interagente con la scena, al teatro postdrammaHco con un'a<enzione visuale, fino alla proliferazione di nuove praHche spaziali inclusive, spesso site-specific. La scenografia si è trasformata da una praHca arHgianale esclusiva per la performance di un testo teatrale a praHche arHsHche autonome che operano al di fuori degli edifici teatrali, conne<endosi dire<amente con l'esperienza sociale e culturale contemporanea. Ciò ha portato a una confusione dei ruoli, con lo scenografo spesso idenHficato come arHsta e acvista. Allo stesso tempo, il ruolo dello spe<atore diventa co-costrucvo e partecipaHvo, centrando l'esperienza del pubblico. Tomaz Toporisic rifle<e sulle a<uali strategie di proge<azione teatrale, oscillando tra la scelta di uno spazio classico e uno completamente vuoto, citando la semiosfera di Jurij Lotman. Le riflessioni di Richard Schechner su "La cavità teatrale" e Fabrizio Cruciani sulla "drammaturgia dello spazio" sono fondamentali, mentre Marco De Marinis e altri ampliano ulteriormente il conce<o. L'adozione del termine "performance design" al posto di "scenografia" so<olinea il cambiamento delle gerarchie nel processo creaHvo teatrale, con tuc gli arHsH coinvolH al servizio dello spe<acolo. Questo approccio supera i confini professionali, incoraggiando la collaborazione e coinvolgendo l'intero team creaHvo. Gli spazi teatrali non convenzionali, come ex spazi industriali o ambienH naturali, diventano sempre più comuni in fesHval e produzioni, offrendo esperienze immersive e interacve. Gli esempi includono progec come il Lake Lucille Project, che trasforma la vita quoHdiana in spe<acoli site-specific, e l'approccio della società 59 ProducHons, che integra il video mapping e le performance in spazi industriali abbandonaH. In conclusione, l'evoluzione della scenografia verso la sua forma estesa o espansa rifle<e una tendenza verso la reinvenzione dello spazio teatrale, incorporando elemenH arHsHci, archite<onici e ambientali in un'esperienza coinvolgente e mulHsensoriale, spesso con un intento criHco e sociale. FUORI DALLA BLACK BOX: DALLA SCENOGRAFIA-DISPOSITIVO ALLA SCENOGRAFIA-SCHERMO: In questo approccio ambientale alla scenografia, Joslin McKinney e Sco< Palmer teorizzano la scenografia come un "disposiHvo" foucaulHano, creando spazi eterotopici in contrasto con l'ambiente quoHdiano. Progec come quelli di Rimini Protokoll, come "Remote X" e "SituaHon Rooms", incarnano questa idea, coinvolgendo il pubblico in esperienze che si collegano al contesto urbano e sfidano le regole spaziali tradizionali. Helgard Haug, di Rimini Protokoll, spiega come il loro teatro della "prossimità remota" uHlizzi AR, VR e androidi in scena per raccontare la contemporaneità a<raverso nuove "mediaturgie". Nel proge<o "Remote X", il pubblico partecipa a un'azione collecva urbana a<raverso un'app, sfidando la percezione dell'ambiente circostante. Questo Hpo di teatro pone domande sulla nostra partecipazione alla comunità, sulla nostra relazione con gli altri e su quanto conosciamo di noi stessi. L'intelligenza arHficiale nel proge<o apprende dalle reazioni umane, sollevando dubbi sulla prevedibilità delle azioni individuali. Il conce<o di "scenografia espansa" si estende anche agli ambienH tecnologici, alle pia<aforme online e alla performance telemaHca. Durante la pandemia, il teatro ha esplorato spazi virtuali e immateriali, dando vita al "teatro intermediale". Progec come "Traces of AnHgone" e le performance wifi-based di Mara Oscar Cassiani uHlizzano il web come luogo scenografico, esplorando nuove ritualità e tribalità nelle culture postmediali. "Traces of AnHgone" rivisita la tragedia in un palcoscenico virtuale, coinvolgendo il pubblico come coro greco tesHmone degli evenH. Mara Oscar Cassiani, definita "arHsta wifi-based", crea performance come "I Am Dancing in a Room" ispirandosi all'internet slang. I suoi filtri per ritrac su Instagram, come "Spirit Avatar", sfidano il riconoscimento facciale, e le sue performance online esplorano nuove forme di espressione corporea in uno spazio digitale compresso. In sintesi, questo approccio ambientale alla scenografia abbraccia una varietà di disposiHvi e disposiHvi tecnologici per creare spazi eterotopici e sfidare le convenzioni spaziali tradizionali, portando il teatro a esplorare nuove forme di partecipazione ed espressione nell'era digitale. APPENDICI: PENSARE LO SPAZIO OLTRE LA SCENOGRAFIA: PLAY SPACES DI META HOČEVAR: L'opera di Meta Hocevar, scenografa e regista slovena, rifle<e e guida le trasformazioni fondamentali del teatro sloveno ed europeo degli ulHmi tre decenni. A<raverso la proge<azione di spazi scenici in collaborazione con importanH riformatori teatrali sloveni e indipendentemente come regista, Haocvar ha contribuito a ridefinire il conce<o di spazio nel teatro contemporaneo e nelle arH dello spe<acolo. Hocevar concepisce gli "spazi di rappresentazione" come un mezzo modellabile che si integra perfe<amente con le altre componenH della performance. Questa visione va oltre i postulaH le<erari o concec sceno-centrici, piegandosi ai principi di un teatro immersivo che coinvolge tuc i sensi. Il suo conce<o di "spazio di gioco" del teatro è una riunione di elemenH che richiedono l'uHlizzo completo dei sensi, concepito in modo analogo a come Paul Klee definisce un quadro, come qualcosa che definisce anche il tempo. Meta Hocevar, nata nel 1942 a Lubiana, ha iniziato come archite<o prima di dedicarsi prevalentemente al teatro dal 1972. Ha collaborato con importanH teatri e fesHval in Europa e America, o<enendo numerosi premi per il suo lavoro in scenografia, costumi e regia. I suoi "spazi di gioco" e "spazi di luce ca<urata" superano l'illustrazione testuale, trasme<endo piu<osto lo spirito delle storie a<raverso il design dello spazio e introducendo il teatro oltre il potere logocentrico. Hocevar definisce il ruolo dello scenografo come un creatore di spazio che dialoga stre<amente con gli altri responsabili della performance. La sua concezione di spazio sfida le tradizionali visioni sceniche, enfaHzzando l'importanza del terzo paradigma, ovvero lo spe<atore, in stre<o dialogo con le concezioni barthesiane e post-stru<uraliste. Secondo il teorico sloveno Lado Kralj, le scenografie di Hocevar rappresentano una significaHva ro<ura con la tradizione, non più limitate all'illustrazione visiva di un testo, ma capaci di acrare l'a<enzione sul loro ruolo nello spe<acolo. Le metafore spaziali di Hocevar interpretano in modo essenziale lo spirito del testo, andando oltre le regie teatrali tradizionali. Con oltre 200 progec all'acvo, l'opera di Meta Hocevar ha rivoluzionato la scenografia teatrale in Slovenia e Jugoslavia, sviluppando uno spazio scenico svuotato e purificato, enfaHzzando piani spaziali, l'uHlizzo di nuovi materiali e mezzi tecnici scenografici, e so<olineando l'importanza della luce come elemento creaHvo. Il suo lavoro è diventato un punto di riferimento nella ricerca scenografica contemporanea. GAE AULENTI, LE INNOVAZIONI SCENICHE DI UN ARCHITETTO TRA TECNOLOGIA E PROGETTO (Vi<orio Fiore): ArchiteLura/scenografia: un binomio al femminile Gae AulenH (1927-2012), laureata al Politecnico di Milano nel 1953, ha giocato un ruolo fondamentale nell'archite<ura contemporanea, e il suo impa<o si estende anche al design industriale e alla scenografia teatrale. Il suo percorso professionale ha inizio alla redazione di Casabella ConHnuità durante la direzione di Ernesto Nathan Rogers, dove collabora con figure di spicco come Vi<orio Gregoc, Aldo Rossi, Guido Canella e Francesco Tentori. Questo periodo è cruciale per lo sviluppo di un approccio proge<uale mulHscalarmente e pluridisciplinare. Il nome di Gae AulenH è indissolubilmente legato a numerosi prodoc di design degli anni O<anta, creaH per completare i suoi progec archite<onici di grande rilevanza, tra cui il Museé d'Orsay (1980-1986), il nuovo Musée NaHonal d'Art Moderne al Centre Pompidou (1982-1985) e il restauro di Palazzo Grassi a Venezia (1985-1986). Inoltre, si disHngue per la sua collaborazione nel campo teatrale, iniziata nel 1975 con Luca Ronconi. Insieme, hanno proge<ato scenografie innovaHve per spe<acoli teatrali, creando uno dei sodalizi più significaHvi e duraturi nella storia della scenografia italiana. CriHche alla sua figura di archite<o derivano spesso dall'impossibilità di catalogarla all'interno di uno sHle archite<onico definito, tu<avia, Gae AulenH ha conHnuato il suo lavoro con sicurezza e determinazione, sviluppando un approccio cara<erizzato da "elegante indifferenza" e bellezza al di là del giudizio criHco. La sua influenza ha contribuito a dare un'idenHtà alle lo<e per l'emancipazione di genere, dimostrando che è possibile sfidare il "formalmente cosHtuito" e dare un contributo significaHvo all'archite<ura contemporanea. Nel contesto della proge<azione scenica teatrale, AulenH è un'eccezione, poiché molte donne architec di rilievo hanno dedicato solo in modo episodico al proge<o scenico teatrale. Alcuni esempi includono Doriana Mandrelli Fuksas, Lina Bo Bardi, Benede<a Tagliabue e Zaha Hadid. Doriana Mandrelli Fuksas ha collaborato con il marito Massimiliano per un'installazione al Teatro Greco di Siracusa (2009), mentre Tagliabue ha lavorato alle scene per uno spe<acolo della Merce Cunningham Dance Company a New York (2009), proge<ando una stru<ura mobile "non narraHva". Zaha Hadid è ricordata per la scenografia di Così fan tu<e al Walt Disney Concert Hall di Los Angeles (2014), cara<erizzata da elemenH scenici avvolgenH e archite<ure "fluide" che richiamano i modelli tridimensionali del suo linguaggio proge<uale.In contrasto con quesH casi, le invenzioni teatrali di Gae AulenH non sono temporanee ma sono concepite come vere e proprie archite<ure. Queste creazioni mostrano un'astrazione e un senso della costruzione che rifle<ono il suo approccio rigoroso alla soluzione dei problemi costrucvi e la sua abilità nel concepire progec duraturi e contestualmente sensibili. Gae AulenU: architeLure da palcoscenico Il suo ingresso nel teatro come scenografo resta saldamente connesso alle sue metodiche composiHve, e avviene come ben descri<o da Franco Quadri: “Gae AulenH non entra nel teatro assorbendone le indiscusse regole di comodo, che non solo stabiliscono la riduzione delle dimensioni in scala per un'a<rezzeria per lo più di trovarobato, ma anche un Hpo di immagine segnato dall'abitudine del déjà vu, da cui viene prescri<a una figuraHvità decoraHva d'assieme sempre sull'onda d'una pi<ura che non è più pi<ura, ma che HHlla sensazioni alla moda senza riuscire a diventare scenografia. Non di qui parte l'AulenH, che della scenografia moderna si sofferma piu<osto sulle origini, documentandosi sul Seicento dei Bibbiena. Dal primo momento individua nella scatola scenica non un contenitore da abbellire e rendere riconoscibile nel senso di qualcosa che è già noto, ma uno spazio vero e proprio. E se con il suo ingresso a teatro si verifica un cambiamento radicale, consapevolezza acquisita della proprietà della scena, di uno studio approfondito del mezzo. Lo spazio della scena viene idenHficato per operarvi delle trasgressioni, e per prima quella che debba contrapporsi alla platea nella sua forma codificata, come luogo di una visione unica.” Le scenografie fanno parte di un filone di ricerca pionierisHco dove Ronconi, che ragionava di spazio scenico sulle piante del palco, trovava in AulenH il completamento della sua visione per concreHzzare uno spazio scenico rigoroso, controllato ed elegante, ma sopra<u<o «abitabile» e «collaborante» allo spe<acolo, ove «conoscenze imponenH», "sequenze di protocolli proge<uali», e ricerca su de<agli dei luoghi sono le priorità. Questa sinergia di intenH fra archite<ura e teatro già in luce nei loro interessi culturali, si è compiuta con un "conHnuo esercizio autoriflessivo" a<raverso: progec teatrali a scala urbana; progec di assemblaggio modulare per spazi flessibili; sguardi esploraHvi sulle tecnologie innovaHve. Dal teatro alla ciLà Gae AulenH ha contribuito significaHvamente all'innovazione nel campo dell'arte relazionale e del teatro urbano, vedendo il teatro come un "servizio pubblico" finalizzato all'alfabeHzzazione, all'incontro tra osservatore e opera, e alla creazione collecva del senso. Il suo lavoro si disHngue per lo spostamento dell'a<enzione dall'ogge<o teatrale allo spazio sociale pubblico, integrando la ci<à come scena e teatro contemporaneamente. La sua collaborazione con Luca Ronconi per spe<acoli come "Le astuzie femminili di Cimarosa" (1974) e "Utopia da Aristofane" (1975) ha segnato un'importante ro<ura con il teatro naturalisHco. Il proge<o "Utopia da Aristofane" presentato alla Biennale di Venezia del 1975 è parHcolarmente significaHvo. AulenH e Ronconi hanno scelto la Giudecca come luogo, sfidando la centralità del teatro canonico. Lo spe<acolo si svolge lungo una "strada" di 40 metri, con il pubblico su tribune che contempla il passaggio di camioncini e auto d'epoca agghindate come case-trappole e oggec d'uso. Questo spe<acolo ha innescato un meccanismo di rigenerazione urbana, contribuendo a trasformare la Giudecca in un luogo familiare durante la Biennale. Il laboratorio di Prato nel 1976 è un esempio di lavoro a scala territoriale, coinvolgendo il riuso edilizio e la land art. Ronconi e AulenH hanno lavorato su uno spe<acolo-metafora tra territorio immaginato e
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