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scheda del libro La chimera, Appunti di Italiano

analisi del romanzo La chimera

Tipologia: Appunti

2018/2019
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Caricato il 25/05/2019

i.palma
i.palma 🇮🇹

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Scarica scheda del libro La chimera e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! SCHEDA DEL LIBRO "LA CHIMERA" • AUTORE: Sebastiano Vassalli • TITOLO: La Chimera • GENERE: Romanzo Storico • TRAMA: Antonia, orfanella abbandonata nei pressi del convento di S. Michele a Novara, cresce tra le suore e le loro numerose funzioni religiose, la rigida disciplina del convento e la dottrina cattolica. Come tutte le "esposte" (abbandonate) del convento, è destinata ad essere "adottata" da un visitatore qualsiasi; all’età di dieci anni, Antonia è infatti presa in custodia dai due coniugi Nidasio, provenienti dalla "bassa" novarese, e precisamente da Zardino. Il suo arrivo al paese è fonte di voci e pettegolezzi delle comari, che si scandalizzano per la diversità della bambina e per la sua inutilità nella campagna. In realtà Antonia cresce molto bella ed intelligente, suscitando l’invidia di buona parte del paese. Nel frattempo la città di Novara è segnata da avvenimenti importanti: tra questi spicca il vescovado di Carlo Bascapè, uomo dai grandi ideali, inimicatosi con la Roma cattolica e corrotta del tempo e per questo confinato a Novara; nella sua nuova diocesi cambia radicalmente la vita dei fedeli, costringendoli ad una fede più sincera, meno scaramantica ed esteriore. Inoltre fa sostituire i molti preti e parroci corrotti (o quistoni), che si occupavano di usura, attività illecite e non caste. Le sue riforme raggiungono anche Zardino: il vecchio parroco Don Michele è infatti sostituito dal giovane ambizioso Don Teresio, che abitua i paesani a frequenti cerimonie ed offerte in denaro. Antonia viene presto scacciata dall’ambiente della chiesa per aver riso del vescovo Bascapè in visita a Zardino. Da quel momento tiene spesso in pubblico discorsi sull’inutilità dei preti e delle loro "favole" su paradiso ed inferno, atte solo a "spillare quattrini alla povera gente". Inoltre rifiuta proposte di matrimonio di nobili ricchi, ricoprendosi dell’accusa di "superbia" da parte del paese. Quest’accusa è resa più forte quando Antonia si fa ritrarre da un pittore nelle vesti della Madonna del Soccorso. All’età di diciannove anni la ragazza si innamora di un "camminante" (anarchico vagabondo della bassa) di nome Gasparo. Egli riunisce squadre di "risaroli" (miseri lavoratori delle piantagioni di riso) da portare a Zardino. I due si incontrano di notte di nascosto nei pressi del "dosso dell’albera" (collina con un castagno dove si pensava che le streghe si incontrassero col diavolo), e lui la inganna con grandi promesse. Antonia viene sorpresa più volte dai "Fratelli Cristiani" (sorta di vigili urbani dell’epoca, che impedivano fughe notturne ai risaroli), che la riportano a casa con la forza. Tutte questi comportamenti misteriosi della giovane alimentano le voci che ella sia una strega e che di notte partecipi ai "sabba" (incontri col diavolo). Antonia si vede così dapprima evitata dalla gente, poi isolata, poi ancora offesa. Infine Don Teresio la denuncia al Tribunale ecclesiastico di Novara, presieduto dall’inquisitore Manini; egli si interessa con grande fervore al caso per ridare l’indipendenza e l’importanza perduta al Tribunale, approfittando dell’assenza di Bascapè che si era recato a Roma. Vengono interrogati molti testimoni, che confermano la colpevolezza della "strega"; gli unici a raccontare la storia d’amore tra Antonia e il camminante sono l’amica Teresina, i genitori adottivi e il camparo Pietro Maffiolo. Questa storia, giudicata troppo semplice ed evidente, è però scartata. L’imputata viene così arrestata e torturata brutalmente perché confessi le sue colpe: stremata dal dolore ella afferma che di notte si incontrava con qualcuno che poteva anche essere un diavolo; Antonia viene quindi imprigionata nello scantinato del Tribunale, poi rinchiusa in una torre. Infine viene bruciata viva sopra al dosso dell’albera, issata su una pira di legni ricavati dal castagno "maledetto". • NARRATORE: Il narratore è onnisciente ed esterno alla vicenda. • PUNTO DI VISTA: Il punto di vista è esterno. • PERSONAGGI: Antonia, la protagonista (a tutto tondo perché si evolve e cambia le sue idee); i coniugi Nidasio (piatti, caratterizzati da una grande bontà d’animo); le comari (piatti, caratterizzati dai pettegolezzi e dalle malignità); il Vescovo Bascapè (a tutto tondo perché prima vuole cambiare la chiesa e poi si rassegna e si rende conto che è impossibile); don Teresio (piatto, caratterizzato dalle sue prediche apocalittiche e dalle continue richieste di donazioni); don Michele (piatto, caratterizzato dalle sue attività illecite); l’inquisitore Manini (piatto, caratterizzato dalla sua ambizione e freddezza); il boia Bernardo Sasso (piatto, caratterizzato dalla pietà e dalla devozione al lavoro); Biagio lo scemo (piatto, caratterizzato dalla stupidità e dall’amore incontrollato per Antonia); Gasparo (piatto, caratterizzato dal senso di libertà e dalle "promesse da marinaio"). Tutti i personaggi, compresa la protagonista, sono però in secondo piano rispetto alla vicenda, che non è particolarmente romanzata: in tal modo l’autore riesce a creare un quadro della situazione nel ‘600. • FABULA E INTRECCIO: Fabula ed intreccio si sviluppano quasi parallelamente; a volte però l’autore anticipa ciò che deve accadere, oppure racconta la storia passata della bassa tornando indietro di molti anni. • TEMPO DELL’AZIONE: L’azione comprende un arco di tempo di vent’anni (1590-1610 d.C.), mentre la narrazione è molto più breve. Il romanzo descrive però più minuziosamente gli ultimi due anni della vita di Antonia. Inoltre ci sono molti riassunti anche di intere stagioni. • LUOGHI: Zardino e la bassa, Novara (il convento e il Tribunale). • RITMO: Il ritmo è piuttosto lento, in quanto a brevi periodi di narrazione si alternano lunghe descrizioni dei luoghi o della loro storia. • SINTASSI: La sintassi è articolata: ci sono periodi molto lunghi ed un uso singolare dei "due punti": sono ricorrenti e a volte sostituiscono le virgole. • LESSICO: Il lessico è molto vario: si trovano espressioni dialettali e tracce di documenti in latino o in volgare. • GIUDIZIO PERSONALE MOTIVATO: Questo libro mi è piaciuto soprattutto perché racconta una storia vera: ciò che di questa vicenda mi ha colpito sono le condizioni di vita nel ‘600, la corruzione e le attività della Chiesa che opprimeva i fedeli e le condanne ingiuste che molte volte venivano emesse. Non che ora la situazione sia molto diversa, ma per lo meno si è più tutelati e liberi da tabù di ogni genere. • MESSAGGIO/DIVERTIMENTO/GUSTO NARRATIVO: Il libro mi ha veramente annoiato per i primi capitoli, in cui la narrazione non ha avuto grandi impulsi e il racconto delle vicende dell’epoca non era abbastanza stimolante; quando Antonia ha iniziato a crescere mi sono appassionato di più perché anche le pause descrittive e riferimenti storici erano più interessanti che all’inizio. E’ chiaro che l’autore punta il dito, seppur indirettamente, contro la chiesa del tempo e, perché no, anche contro quella odierna; durante tutta la narrazione vengono denunciate azioni ignobili della chiesa, compresa la condanna e la pena di Antonia; inoltre nel congedo che ci regala l’autore, questi dice chiaramente che bisogna rendere conto di un personaggio che non esiste: poiché gli uomini "sentono il bisogno di proiettare là dove tutto è buio, per attenuare la paura che hanno del buio". CERCANDO ZARDINO Un documentario-intervista attraverso la pianura della Chimera in compagnia di Sebastiano Vassalli La storia di Antonia. Il romanzo di Vassalli inizia proprio in una silenziosa notte di gennaio, priva della luce della luna, una notte nera come il colore degli occhi e della pelle della neonata trovata, silenziosa, senza un vagito, sul tornio cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all’ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara. E’ una specie di mostro quello che vedono le inservienti dell’istituto: mostro che disturba il loro sonno, in una fredda notte d’inverno, mostro contro cui sfogare la propria bassa condizione con improperi, sperando nella sua morte. Più volte Vassalli usa il termine mostro per adottare il punto di vista di chi viene a contatto con Antonia, un’esposta, figlia del peccato più di qualunque altra, marchiata, colpevole per natura, un’altra, una diversa. Antonia lo è veramente: con i capelli rasati, il grembiule verde, lungo fino ai piedi, è comunque la bambina più bella tra le tante ospitate nella Casa di Carità. A cinque anni segue silenziosa i funerali, la principale occupazione degli esposti (op. cit. pag. 12), bambini che debbono venire a contatto con la morte per essere stimolati alla vita, che non possono parlare tra di loro durante le cerimonie perché la superiora, gialla in viso e con le sopracciglia foltissime (op. cit. pag. 13), li punisce con bastonature pubbliche, giornate di digiuno e segregazioni in appositi sgabuzzini. Il narratore onnisciente segue con atteggiamento ironico le vicende dei suoi personaggi, lasciando emergere la religiosità secentesca che costringe bambine cui sono proibiti i giochi, nocivi alla corretta formazione delle donne cristiane, a intollerabili pratiche di devozione. E’ la conversa di nome Clelia ad essere responsabile del catechismo delle esposte su cui esercita il suo sadismo con pizzicotti che fanno spesso sanguinare quelle povere carni. Tornando al romanzo di Vassalli possiamo affermare che suor Clelia è vittima del secolo in cui vive, secolo che forza le monacazioni, come anche Manzoni denuncia a proposito della Monaca di Monza. Non tutte si rassegnano e non tutte sfogano su altri la propria rabbia contro la loro sorte, come suor Livia, trovata in un’alba d’estate appesa alla campana, con la faccia gonfia colorata a chiazze, gli occhi bianchi spalancati e le labbra contratte in un sogghigno così orribile (op. cit. pag. 27) da rendere stralunato il povero campanaro Adelmo. Evidente lo stile espressionistico del passo, non inconsueto nel romanzo di Vassalli e in perfetta sintonia con un secolo che rompe gran parte degli equilibri precedenti, subisce l’ossessione del dolore, della distruzione, della morte e si misura con una umanità oppressa e stravolta, che può trovare anche nel sogghigno e nell’urlo la sua espressione più esemplare. Antonia cresce timida, obbediente, perché impaurita dai castighi, tremendi nella Casa di Carità: un piccolo banale incidente la costringe a rimanere chiusa nello stanzino del digiuno, una grotta sotto terra, umida, abitata da scarafaggi e ragni. Qui Antonia conosce Rosalina, un’esposta come tante: a dieci anni è ceduta ad un panettiere che abusa di lei e la costringe alla prostituzione in una casa di tolleranza. E’ un periodo sereno per lei se confrontato con la vita precedente o con l’alternativa di essere lavandaia o sguattera, costretta comunque a subire rapporti carnali senza amore anche all’interno del matrimonio. La donna nel Seicento deve subire, come nel caso di Consolata a Zardino. E’ sposata con Giuseppe Barbero, colono del Nidasio, che ha adottato Antonia, padre di un numero imprecisato di figli nati dalla moglie e dalle due figlie più grandi. Barbero è infatti una specie di scimmione e, quando torna ubriaco, le sue bambine devono nascondersi per non essere molestate. “Il mio Giuseppe è un brav’uomo! - sosteneva - Non è vero che sia vizioso. E’ un gran lavoratore! Lui lavora dalla mattina alla sera come un animale da fatica e soltanto quando è ubriaco cerca di molestare anche le figlie. Se fosse vizioso cercherebbe sempre!” (op. cit. pag. 79) afferma Consolata, pronta a difendere il marito, rassegnata al suo destino. Forse nelle campagne della bassa, in altre famiglie, la situazione è anche peggiore e dal proprio padre bisogna guardarsi tutte le notti! Le donne, nel Seicento, sono tutte vittime: invecchiano precocemente, come Francesca Nidasio che è presentata infagottata in uno scialle nero, con un abito lungo sul corpo deformato dalle fatiche. E’ lei, insieme al marito, a portar via Antonia che si sente crollare il mondo addosso, vuole rimanere nell’unico luogo che conosce: piange per il terrore della novità di una vita che non sa immaginare al di fuori di quelle mura. Sta rannicchiata nel carro mentre i Nidasio, Francesca soprattutto, la rassicurano, ma inutilmente; solo la sua naturale curiosità la trascina incantata ad osservare il paesaggio che la circonda e che riesce a mitigare la sua sofferenza asciugandole le lacrime. Questo amore per la natura è una costante nella psicologia di Antonia che, ammirando il giallo dei ravizzoni e le infinite tonalità di verde della pianura, sembra dimenticare il passato, cullata dal dondolio del carro, mentre nei suoi occhi spalancati sul mondo si riflette il bagliore delle risaie accarezzate dal sole. Il capitolo quarto del romanzo, iniziato con il dolore di Antonia, termina con note quasi idilliche, una specie di preludio, in sintonia con l’affetto dei genitori che accompagnerà sempre Antonia nel suo soggiorno a Zardino, in antitesi con il clima che si crea subito in paese contro di lei, un’esposta, una diversa, una figlia del Diavolo! Una piccola stria! La ragazza cresce comunque sensibile alle tremende fatiche dei risaroli stremati dalla sofferenza di un lavoro disumano, indifferente, nel suo silenzio, alle liti tra donne urlanti nei cortili, ai discorsi sulle streghe che di notte adorano il Diavolo al dosso dell’albera, ai gesti e ai segni che le bruttissime donne del paese fanno al passaggio della sua bellezza. La paura dell’ignoto, tipica dei primi momenti, lascia il posto ad affetti rassicuranti, come quello per Biagio, un ragazzone cerebroleso, mite e docile, anche di fronte alle bastonate di chi lo tratta come un animale. Antonia invece comprende i diversi, i deboli, non isola Biagio, ma lo avvicina con affetto, così buona e riservata che il Fuente, anziano soldato di Zardino, le si affeziona vegliando sui suoi giochi di bambina e raccontandole storie di altri paesi, della Spagna innanzitutto, storie che la fanno rimanere a bocca aperta, sempre curiosa e avida di conoscere. Antonia è dunque più bella, più sensibile e intelligente delle altre, sa amare il bello delle albe e dei tramonti, sa aiutare i deboli, incurante dei presagi e delle superstizioni del mondo ignorante e bigotto che la circonda, indifferente anche alla religione, dopo essere vissuta dieci anni in mezzo a suore che la obbligano a continue, massacranti funzioni e devozioni. Ma Antonia, così bella, e proprio per questo diversa, suscita rabbia, avversione, tanto che la parola stria ricorre sempre più frequentemente sulla bocca di chi le vuol male. L’esposta non è mai accettata e ogni azione, anche la più innocente, si può ritorcere contro di lei: Biagio è punito, chiuso in una stanza per tre giorni senza cibo, per essere liberato dal Diavolo di Antonia che lo incanta con sguardi e gesti di strega, come sostiene la zia del ragazzo; il pittore di edicole che ritrae una Madonna con le fattezze dell’esposta è stravagante, bizzarro e matto, stregato, secondo le bigotte donne del paese; il ballo involontario e innocente con uno dei Lanzichenecchi che irrompono in paese è motivo di sconcerto e del plateale sdegno del prete del paese, don Teresio. Chi ha ballato con l’Anticristo sulla pubblica piazza non potrà mai più mettere piedi in una chiesa, né accostarsi ai sacramenti, né venire sepolto in terra consacrata finché il vescovo di Novara, o il Papa in persona, non gli avranno dato quell’assoluzione che essi solo, e non io!, possono concedergli tuona don Teresio nel suo anatema contro Antonia.(op. cit. pagg. 169 – 170). Due sono le prospettive attraverso cui viene creata l’immagine diabolica della strega, quella dei contadini e quella del prete. Sono prospettive diverse, l’una rozza e dominata dall’ignoranza, l’altra colta, ma vengono rese sostanzialmente identiche dal comune fanatismo superstizioso. Sotto quest’ultima ottica si intravedono però motivazioni ben più concrete e materiali: per i contadini il timore che i malefici della strega facciano marcire le semine ed ammalare le bestie, per il prete il timore che le parole di Antonia sul carattere parassitario del clero inducano i parrocchiani a non rispettare più il loro pastore e soprattutto a non pagare più i tributi, che sono una vera ossessione per don Teresio. Oltre che alla cieca superstizione, l’immagine negativa dei contadini e del prete è suggerita quindi dalla loro meschinità e dal loro sordido attaccamento all’interesse. Per rendere dal vivo questo tipo di mentalità, la narrazione adotta prima il punto di vista corale del paese, poi quello di don Teresio, mediante sia il discorso diretto sia quello indiretto. I fatti prodigiosi, che dovrebbero essere la prova inconfutabile del maleficio della stria, appaiono tali soltanto perché presentati attraverso questo filtro deformante. Compare però anche la prospettiva del narratore onnisciente, attraverso interventi diretti, impostati su un tono ironico o amaramente sarcastico. E’ un taglio narrativo che guarda evidentemente al modello manzoniano. Ad esso si ispira la denuncia etica e civile della persecuzione scatenata contro la strega, però l’impostazione dello scrittore novecentesco è molto lontana da quella cattolica dei Promessi Sposi, in quanto nel romanzo di Vassalli la Chiesa riveste un ruolo solo negativo. Le deformazioni dei discorsi del villaggio e del prete sono finalizzate anche a delineare meglio la figura di Antonia, con la sua libertà di giudizio. Mediante la creazione dell’immagine della strega la comunità vuole colpire soprattutto il diverso, l’individuo che non si piega ai ruoli e ai comportamenti tradizionali e quindi appare inquietante e pericoloso, portatore di una minaccia per la collettività.
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