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schemi completi procedura penale tonini - aggiornato ultima edizione, Schemi e mappe concettuali di Diritto Processuale Penale

schemi completi tonini

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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Caricato il 09/06/2015

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Scarica schemi completi procedura penale tonini - aggiornato ultima edizione e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PARTE I – L’EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE e LE FONTI CAPITOLO 1 - SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO La legge penale definisce i “tipi di fatto” che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono, la legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta se è stato commesso un fatto di reato, se l’imputato ne è l’autore e, nel caso, quale pena debba essergli applicata. Queto compito in una società ordinata spetta allo stato in base al diritto; non ci si può fare giustizia da soli. Il compito di accertare se un imputato è responsabile di un reato è demandato al giudice. Le modalità di svolgimento del processo penale non devono essere lasciate alla discrezione di quest’ultimo ma devono essere regolate dalla legge. Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all’attuazione del diritto penale nel caso concreto .--> diritto processuale funzione strumentale rispetto al diritto sostanziale penale. Le due branche del diritto hanno per oggetto norme giuridiche, ma sono differenti le attività che vengono regolamentate. Il diritto penale sostanziale vieta determinati fatti mediante la minaccia dei una pena; i suoi precetti si rivolgono a tutti i cittadini. Il diritto processuale penale regola l’accertamento di una responsabilità penale e prescrive i comportamenti processuali da tenere; i suoi precetti si rivolgono al giudice, al PM, e agli altri soggetti del processo. Il processo penale, nell’applicare la legge sostanziale, deve perseguire contemporaneamente la funzione di tutelare la società contro la delinquenza e la funzione di difendere l’accusato dal pericolo di una condanna ingiusta; il legislatore si trova quindi costretto a inventare soluzioni che, nella ricerca di un coordinamento difficile, inevitabilmente possono sacrificare o la difesa della società o la difesa dell’imputato (si tratta cioè di scegliere se è più accettabile condannare un innocente o assolvere un colpevole). Il quesito su quale sistema processuale sia il pioù idoneo ad accertare i fatti di reato deve essere esaminato in chiave storica. Gli studiosi hanno rilevato che esiste una stretta correlazione tra regime politico e sistema processuale: ad un regime totalitario corrisponde un processo penale nel quale la difesa della società prevale su quella dell’imputato (sistema inquisitorio); mentre ad un regime garantista corrisponde un sistema processuale che dà all’imputato una tutela prevalente rispetto alla difesa della società (sistema accusatorio). Sistema inquisitorio ≠ sistema accusatorio Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al soggetto inquirente, nel quale di conseguenza si cumulano tutte le funzioni processuali (egli opera come giudice, come accusatore e come difensore) giudice inquisitorie: non importa se si tratta di un giudice singolo o collegiale quello che conta è il tipo di potere che gli è concesso; non occorre che il giudice sia indipendente , al contrario si ritiene che quanto più stretto è il suo legame col potere politico tanto meglio potrà svolgere la sua opera. Correlativamente si tende a non riconoscere alcun potere alle parti (l’offeso e l’imputato sono meri oggetti del giudizio); dal principio del cumulo dei poteri processuali derivano le principali caratteristiche del sistema inquisitorio: a) iniziativa d’ufficio: l’iniziativa del processo penale deve spettare al giudice; b) iniziativa probatoria d’ufficio: il giudice è in grado di ricercare le prove con pieni poteri coercitivi; non spetta alle parti c) segreto: l’inquisitore ricerca la verità senza utilizzare la contrapposizione dialettica tra le parti; assume le disposizioni in segreto e non ha necessità di confrontare la sua ricostruzione della verità con le posizioni dell’accusa e della difesa dell’imputato d) scrittura: delle deposizioni raccolte dall’inquisitore è redatto un verbale, su cui si basa la decisione; non si pone il problema dell’opportunità di sentire a voce il dichiarante e) nessun limite all’ammissibilità delle prove: è ammessa ogni modalità di ricerca, anche la tortura; quello che conta è il risultato cioè l’asserita verità, non il metodo con cui la si persegue. ( confessione regina delle prove) f) presunzione di reità: è l’imputato che deve dimostrare la sua innocenza; g) carcerazione preventiva: poiché l’imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove di innocenza può esser sottoposto a custodia preventiva in carcere; h) molteplicità delle impugnazioni: il regime permette che le parti possano presentare impugnazione, sulla quale deve decidere un giudice superiore dotato dei medesimi poteri inquisitori che sono concessi al primo giudice. Il sistema accusatorio è costruito come modello contrapposto a quello inquisitorio; esso si basa su di un principio opposto a quello di autorità, il principio dialettico: al giudice, indipendente ed imparziale, spetta di decidere sulla base di prove ricercate dall’accusa e dalla difesa (quindi le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti che hanno interessi antagonisti); dal principio di separazione delle funzioni processuali (adempie alla medesima finalità che è svolta dal principio di separazione dei poteri dello stato; si tende ad evitare che l’uso di un potere degeneri abuso) derivano le caratteristiche essenziali del sistema accusatorio, che vengono a delinearsi in contrapposizione logica con quelle che connotano il sistema inquisitorio: a) iniziativa di parte; il giudice non può procedere ed’ufficio nel determinare l’oggetto della controversia, perché altrimenti si dimostrerebbe parziale. b) iniziativa probatoria di parte: i poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova sono divisi e ripartiti tra il giudice, l’accusa e la difesa in modo che nessuno possa abusarne esame incrociato, nel quale sono distribuiti in modo dettagliato i poteri di iniziativa spettanti alle parti e i poteri di controllo del giudice c) contraddittorio (audiatur et altera pars); assicura che prima della decisione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le proprie ragioni. Inoltre contribuisce alla formazione della prova ponendo domande al testimone. d) oralità: chi ascolta può porre domande ed ottenere risposte da colui che ha reso una dichiarazione; e) limiti di ammissibilità delle prove; non si vuole arrivare ad accertare una qualsiasi verità di stato, si vuole un metodo che permetta al giudice di valutare se l’ipotesi formulata dall’accusa è attendibile o meno. f) presunzione di innocenza: il giudice può condannare l’imputato solo se l’accusa ha provato la sua reità al di la di ogni ragionevole dubbio g) limiti alla custodia cautelare: quella che può esser applicata è solo una misura cautelare se ed in quanto vi siano prove che dimostrino che in concreto esistono esigenze cautelari; l’accusa deve dimostrare che vi è pericolo che l’imputato inquini le prove, fugga o commetta delitti gravi h) limiti alle impugnazioni: hanno lo scopo di controllare se in primo grado sono stati rispettati i diritti delle parti e il diritto alla prova. Regime politico totalitario sistema processuale inquisitorio Regime politico garantista sistema processuale accusatorio Cenni storici sul processo penale( leggerli a pag 13 a pag 23) I codici italiani di procedura penale Nel 1848 nello Stato del Piemonte fu promulgato lo Statuto ed entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale, che accoglieva il modello napoleonico “misto”. Nel 1859 fu promulgato un nuovo codice basato sempre sul sistema misto, che con alcune modifiche fu esteso al Regno d’Italia nel 1865. Il primo codice di procedura penale italiano vide la luce nel 1913; esso, pur conservando il sistema misto, innovava rispetto al modello napoleonico in quanto riconosceva ampi diritti all’accusato già nel corso della fase istruttoria (praticamente nel corso dell’istruzione rimanevano segrete solo le testimonianze). Nel dibattimento fu introdotta la giuria popolare che decideva sul fatto mentre i giudici togati determinavano la quantità di pena. Dopo la prima guerra mondiale Mussolini inizio la soppressione del sistema liberale e in coerenza con il nuovo regine si procedette alla riforma dei codici; il nuovo codice penale e il nuovo codice di procedura penale furono promulgati nel 1930 ed entrarono in vigore nel 1931; il sistema appariva formalmente misto, ma nella sostanza prevalevano le caratteristiche del sistema inquisitorio: - il diritto di difesa fu eliminato nella fase istruttoria, che torno ad essere segreta - il p.m., dipendente dal potere esecutivo, ottenne i medesimi poteri coercitivi del giudice istruttore (conduceva una sua istruzione, denominata sommaria, in cui poteva limitare la libertà personale dell’imputato, assumere le prove e decidere di rinviare a giudizio l’imputato) inoltre poteva archiviare direttamente le denuncie senza chiedere l’autorizzazione al giudice - il giudice istruttore, nella sua istruzione, denominata formale, procedeva d’ufficio alla ricerca delle prove, che assumeva in segreto, e decideva se rinviare l’imputato a giudizio - infine il giudice del dibattimento nella decisione poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori - erano aumentati i casi di cattura obbligatoria - scompariva l’istituto della scarcerazione obbligatoria per decorrenza dei termini massimi - era abolita la giuria popolare (al suo posto di introdusse la corte d’assise, composta da giudici togati e da cinque cittadini) Il codice quindi riuscì ad attuare un duplice cumulo di funzioni: - dal un lato il giudice istruttore cumulava i poteri dell’accusa - dall’altro il p.m., pur essendo parte, cumulava i poteri del giudice Inoltre anche la separazione delle fasi processuali era vanificata dalla utilizzabilità dibattimentale degli atti raccolti nell’istruttoria CAPITOLO 2 -IL PROCESSO PENALE DALLA COSTITUZIONE AL CODICE VIGENTE I PRINCIPI DEL PROCESSO PENALE NELLA COSTITUZIONE DEL 1948 4) giudizio direttissimo: quando la persona è arrestata in flagranza o quando l’indagato ha confessato 5) procedimento per decreto: per i reati meno gravi il p.m può presentare al giudice richiesta motivata di emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria LE MODIFICHE SUCCESSIVE AL 1989 La legge delega 81/1987 aveva conferito al Governo l’ulteriore delega ad emanare, entro tre anni dall’entrata in vigore del codice, disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei criteri direttivi fissati e su conforme parere di una commissione parlamentare; tuttavia il Governo ha utilizzato tale strumento in modo eccessivamente cauto. La carenza di iniziativa del Governo e l’inerzia del Parlamento sono state superate dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni del codice in quanto contrarie al principio di ragionevolezza. Le declaratorie di incostituzionalità e la situazione di emergenza provocata dagli omicidi dei magistrati Livatino (1991) e Borsellino (1992) hanno indotto il Governo a modificare alcuni punti fondamentali della disciplina del processo penale (d.l. 306/1992 convertito con la legge 356/1992); in particolare il testo originario del codice limitava in modo eccessivo la possibilità di utilizzare ai fini della decisione i verbali delle dichiarazioni rese in segreto prima del dibattimento e il legislatore ha ecceduto nel senso opposto, estendendone soverchiamente l’utilizzabilità (ledendo in tal modo il principio del contraddittorio, che costituisce il fulcro del sistema accusatorio). Un parziale ritorno alla tutela del contraddittorio si è avuto: - per la fase anteriore al dibattimento con la legge 332/1995 “Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa”, che ha aumentato i poteri di controllo spettanti al giudice per le indagini preliminari sugli atti che devono essere valutati al fine di applicare le più gravi misure cautelari e ha riconosciuto espressamente la legittimità delle indagini svolte dal difensore (dell’indagato o dell’offeso), sancendo che la relativa documentazione potesse essere presentata al giudice per le indagini preliminari. - per la fase dibattimentale con la legge 267/1997 “Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove”, che, occupandosi dell’ipotesi in cui un imputato nel corso delle indagini renda dichiarazioni contro un altro imputato, ha limitato l’utilizzabilità di tali dichiarazioni ai fini della decisione sulla reità dell’imputato accusato. Ma la Corte Costituzionale ha ridimensionato il contraddittorio introdotto con la legge 267/1997 e con la sentenza 361/1998 ha assimilato la situazione dell’imputato accusatore, chiamato a deporre su di un “fatto altrui”, a quella del testimone, rendendo quindi applicabili a tale ipotesi le norme che permettevano di utilizzare le precedenti dichiarazioni del testimone che fosse rimasto in silenzio. Ma in realtà la somiglianza con il testimone era solo formale, in quanto il silenzio del testimone configura un’ipotesi delittuosa, mentre il silenzio di un soggetto imputato (in questa ipotesi l’imputato accusatore) costituisce l’esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge. LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO Poiché la Corte Costituzionale si rifiutava di riconoscere valore costituzionale alle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Commissione bicamerale aveva proposto di inserire direttamente nella Costituzione il nucleo centrale delle garanzie, cioè i principi del giusto processo; in Parlamento le legge di revisione costituzionale dell’articolo 111 (legge cost. 23 novembre 1999, n. 2) è stata approvata con una maggioranza superiore ai due terzi. I principi attinenti ad ogni processo Articolo 111 I. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. II. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. III. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. IV. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. V. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. VI. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. VII. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. VIII. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Si tratta dei principi che sono sintetizzati nell’espressione giusto processo e consistono nella riserva di legge in materia processuale, nella imparzialità del giudice, nella parità di parti e nella ragionevole durata del processo. Il giusto processo si riferisce a un concetto ideale di giustizia che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo che lo stato si impegna a riconoscere. Il primo comma prevede una riserva di legge, per cui il legislatore ha voluto affermare un principio di legalità processuale omologo a quello che vale nel diritto penale sostanziale. Soltanto il legislatore può regolare lo svolgimento del processo. Il secondo comma enuncia una serie di principi che non riguardano solo il processo penale, ma tutti processi, quindi anche quello civile e amministrativo: - principio del contraddittorio nella sua accezione classica, comportante la necessità che la decisione del giudice sia emanata audita altera parte. Si tratta del significato debole del principio secondo cui il soggetto che subirà gli effetti di un provvedimento giurisdizionale deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedimento sia emanato - principio della parità tra le parti, che ha una potenzialità diversa nel processo civile e nel processo penale: nel processo civile è possibile attuare la piena parità delle armi tra attore e convenuto, nel processo penale invece parità significa equilibrio di poteri - principio della terzietà e della imparzialità del giudice: il processo deve svolgersi davanti a giudice terzo e imparziale. L’imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà concerne lo status ossia il piano ordina mentale. Si vuole che il giudice non cumuli altre funzioni processuali. - principio della ragionevole durata del processo, la cui attuazione è rimessa al legislatore I commi successivi enunciano principi che si riferiscono esclusivamente al processo penale. Il comma III contiene il catalogo dei diritti spettanti nel processo penale alla persona accusata di un reato: - la persona sottoposta alle indagini deve essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa, nel più breve tempo possibile (cioè non immediatamente, ma non appena l’avviso all’indagato è compatibile con l’esigenza di genuinità e di efficacia delle indagini). Da un lato infatti vi è l’indagato che ha interesse a conoscere quanto prima l’esistenza di procedimenti nei suoi confronti per poter raccogliere prove a discarico; dall’altra parte vi è il p.m. che per svolgere indagini efficaci deve poter compiere atti a sorpresa. - l’imputato ha il diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa - l’imputato ha il diritto, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (diritto a confrontarsi con l’accusatore) - l’imputato ha il diritto di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore (in base ad una interpretazione ispirata al principio di ragionevolezza e di parità delle parti, anche le prove richieste dall’imputato devono superare il vaglio giudiziale dell’ammissibilità) - l’imputato ha diritto di farsi assistere da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo (da intendersi in senso lato, come procedimento) Il termine “contraddittorio” nel 111 non è usato in un unico senso, ma in due significati diversi: − per quanto riguarda il contraddittorio in senso oggettivo, si tratta del contraddittorio nella formazione della prova (enunciato all’inizio del comma IV “Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”) che consacra il contraddittorio come metodo di conoscenza (lo strumento al quale si fa esplicito riferimento è l’esame incrociato). Esso tuttavia non è affermato in modo assoluto, ma soffre di eccezioni, poiché viene bilanciato con altre esigenze ritenute prevalenti in determinati casi; nel comma V infatti si afferma che “La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita” − Per quanto riguarda il contraddittorio in senso soggettivo, esso è recepito nel III comma, che garantisce all’imputato il diritto di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico e nel comma IV che recita “La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore”. Questi due commi effettuano un bilanciamento tra due diritti di difesa, il diritto dell’accusatore e quello dell’accusato: a una determinata situazione (sottrazione al contraddittorio da parte dell’accusatore) corrisponde una determinata conseguenza (inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni rese in segreto); si ritiene che si tratti di una inutilizzabilità relativa, che si riferisce alla sola prova di reità, non anche alla prova di innocenza L’attuazione di nuovi principi costituzionali L’entrata in vigore dei principi del giusto processo ha imposto al Parlamento di predisporre in tempi brevi una modifica del sistema probatorio; per ciò con la legge 63/2001 il legislatore ha cercato di dare attuazione all’articolo 111 operando essenzialmente su due fronti: - per un verso è intervenuto sulla disciplina delle qualifiche dei dichiaranti ed ha previsto una riduzione dell’area del diritto al silenzio - per un altro verso ha modificato la normativa in materia di dichiarazioni raccolte unilateralmente nel corso delle indagini ed ha affermato che esse sono di regola inutilizzabili in dibattimento come prova dei fatti in esse affermati. SUCCESSIONE DELLE NORME PROCESSUALI NEL TEMPO In più occasioni il parlamento è intervenuto con nuove leggi apportando modifiche alle norme del codice di procedura penale; in tutte queste situazioni si pone il problema inerente alla disciplina da applicare ai procedimenti pendenti al momento in cui si verifica la successione tra norme. Il principio di certezza del diritto richiede che gli operatori conoscano qual è la norma che devono osservare nella situazione concreta. In caso di successione nel tempo di norme processuale penali, possono darsi due situazioni differenti. Può accadere che la nuova legge rechi una disciplina apposita. Ma può anche accadere che la nuova legge taccia in proposito e allora occorrerà fare riferimento ai principi generali. Nell’ipotesi meno problematica in cui le legge predisponga una apposita disciplina per i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in vigore, è possibile prospettare una distinzione tra: - norme intertemporali: hanno natura strumentale in quanto non regolano la materia interessata dalle norme che si sono succedute, ma indicano il criterio in base al quale si individua la disciplina per il caso concreto; in altre parole di tratta di norme che si limitano ad individuare, nell’ambito dei rapporti pendenti, quali tra di essi saranno regolati dalla nuova disciplina e quali invece resteranno sotto il regime della disciplina previgente - norme transitorie: sono norme materiali di diretta applicazione, che regolano le situazioni giuridiche coinvolte nella successione di leggi e recano una disciplina peculiare per il caso concreto (di solito intermedia tra quella contenuta nella nuova legge e quella dettata dalla normativa abrogata). Nell’ipotesi in cui invece la nuova legge non rechi alcuna previsione circa i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in vigore, non è dato riscontrare una lacuna del diritto, poiché vale il principio di irretroattività sancito dall’articolo 11 disp. Prel. c.c. in base al quale “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.( tempus regit actum) LE FONTI INTERNAZIONALI DEL DIRITTO PROCESSUALE PENALE L’articolo 10.1 della Costituzione sancisce che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”; questa norma è chiamata “trasformazione permanente” poiché ha la funzione di adattare automaticamente il diritto interno al diritto internazionale consuetudinario (sono quindi escluse dalla sua applicazione le Convenzioni tra gli Stati, di cui sono ricomprese solo quelle che si limitano a codificare consuetudini internazionali). Ad una parte del diritto internazionale pattizio si applica l’articolo 11 della Costituzione, in base al quale “l’Italia consente…alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni”; infatti questa disposizione riguarda i Trattati internazionali che istituiscono organizzazioni volte al mantenimento della pace e della giustizia tra gli Stati(ONU) e comporta che una legge interna che si ponga in contrasto con tali trattati sia passibile di una dichiarazione di incostituzionalità. Per quanto riguarda il diritto comunitario, il giudice italiano applica direttamente i regolamenti e le direttive self – executing e valuta se la legge nazionale è compatibile con la norma comunitaria e la disapplica nel momento i cui risulti incompatibile con essa; per quanto riguarda le decisioni quadro (simili alle direttive) la Corte di Giustizia ha affermato che il giudice nazionale è obbligato ad interpretare le norme interne in modo conforme ad esse, anche se ancora non sia stata data loro attuazione. Per quanto riguarda infine le norme internazionali pattizie comuni, al di fuori delle materie contemplate negli articoli 10 e 11 della Costituzione vale la regola generale secondo la quale il rango delle norme dei trattati introdotte nel nostro ordinamento è quello proprio della legge contenente l’ordine di esecuzione del trattato stesso. Tuttavia la legge costituzionale 131/2003 ha portato delle novità in quanto il nuovo articolo 117 primo comma impone al legislatore italiano il rispetto…dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali; da ciò magistrati togati e due esperti), giudice ordinario specializzato con competenza sui reati commessi dai minori degli ani diciotto. Sono giudici penali ordinari d’appello: la corte d’appello (tre magistrati togati), la corte d’assise d’appello (due magistrati togati e sei giudici popolari) e la sezione della corte d’appello per i minorenni (tre magistrati togati e due esperti). Vi è poi la Corte di cassazione, che ha sede a Roma ed è unica per tutto il territorio nazionale; davanti ad essa possono essere impugnate tutte le sentenza per motivi di legittimità (la corte può controllare se vi è stata inosservanza della legge e se il giudice inferiore ha motivato in modo corretto; non può condurre un esame di merito) - sono organi giudiziari speciali quelli che sono competenti a giudicare solo alcune persone e che inoltre sono composti da magistrati speciali, cioè non appartenenti all’ordinamento giudiziario; giudici penali speciali sono i giudici militari (che in tempo di pace sono competenti soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate) e la Corte Costituzionale (che è competente a giudicare i delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal presidente della repubblica) Le caratteristiche dell’indipendenza e dell’imparzialità distinguono il potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato: - l’indipendenza del giudice (sia come potere giudiziario, sia come persona fisica) è garantita dalla Costituzione attraverso un apposito organo, il CSM (articolo 104 Cost.); questo è eletto per due terzi dai magistrati ordinari e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra cittadini aventi una precisa competenza giuridica. - l’imparzialità del giudice è stabilità dall’articolo 111 comma II, in base al quale “ogni processo si svolge…davanti ad un giudice terzo e imparziale”; infatti in determinate situazioni nelle quali il giudice è o può apparire “parziale”, egli ha il dovere di astenersi e se non lo fa le parti possono ricusarlo (articoli 36 e 37 c.p.p.); inoltre quando una grave situazione locale può pregiudicare la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante territorialmente competente, il processo stesso è rimesso ad un altro ufficio giudicante predeterminato dalla legge (articolo 45 c.p.p.) La competenza Si può definire competenza quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo; essa è individuata per approssimazioni successive che tengono conto della materia (titolo del reato), del territorio (luogo in cui è stato compiuto il reato), della funzione che deve essere svolta in una determinata fase o grado del procedimento e della eventuale connessione con altri procedimenti. In generale con il termine competenza si intende l’insieme delle regole che consentono di distribuire i procedimenti all’interno della giurisdizione ordinaria (o all’interno delle giurisdizione speciali); ma per competenza si intende anche quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta da un determinato organo giudiziario e in questo senso la competenza è distribuita in base a tre criteri: - criterio della materia - criterio del territorio - criterio della connessione La COMPETENZA PER MATERIA è ripartita tra la Corte d’assise, il Tribunale per i minorenni, il Giudice di pace ed il Tribunale, in base a due criteri: • un criterio qualitativo (con riferimento al tipo di reato) • un criterio quantitativo (con riferimento alla misura della pena edittale); circa questo criterio devono essere tenute presenti le regola generali dettate dall’articolo 4: “Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale” Alla Corte d’assise (giudice collegiale composto da due giudici di carriera e sei giudici popolari) è attribuita la competenza a giudicare i più gravi fatti di sangue ed i più gravi delitti politici, es: strage, omicidio volontario, epidemie. I legislatore ha evitato di far giudicare dalla corte d’assise quei delitti che richiedono conoscenze tecnico-giuridiche che i giudici popolari non hanno. Il legislatore ha attribuito alla corte d’assise quelle materie in relazione alle quali ha ritenuto che si possa esprimere al meglio la valutazione di un cittadino che non si aun giudice di carriera. Qualche anno fa la competenza per materia della corte d’assise è stata ampliata dal decreto legge 10/2010, la corte d’assise: a) è competente per delitti per i quali la legge stabilisce la pena di ergastolo o reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni o più , nel massimo edittale. Eccezioni: è competente il tribunale e non la corte d’assise per i delitti di tentato omicidio, rapina, estorsione, associazioni di tipo mafioso b) è competente per i delitti consumati di omicidio del consenziente di istigazione al suicidio e di omicidio preterintenzionale c) è competente per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di più persone escluse le fattispecie di competenza del tribunale ( morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, rissa, omissione di soccorso) d) è competente per i delitti di ricostruzione del partito fascista, delitti di genocidio, per delitti che concernono la personalità dello stato sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 10 anni d-bis) è diventata competente per i delitti consumati o tentati di associazione per delinquere non mafiosa, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi; per i delitti consumati o tentati di riduzione in schiavitù; delitti con finalità di terrorismo. Il Tribunale per i minorenni (composto da due giudici togati e da due esperti in psicologia, pedagogia e materie analoghe, nominati con decreto del capo dello Stato, su proposta del ministro della Giustizia, previa deliberazione del CSM) è competente per i reati commessi dai minori degli anni diciotto; si tratta di una competenza esclusiva, per cui la cognizione resta attribuita al tribunale per i minorenni anche se il minore ha commesso un reato che sarebbe di competenza della Corte d’assise, del giudice di pace o del tribunale e anche se il minore ha commesso un reato insieme ad adulti. Il Giudice di pace è una figura creata dalla l. 468/1999 e Dlgs 274/2000. E’ un giudice non professionale, nominato a tempo determinato. È competente a conoscere una serie di fattispecie attribuite qualitativamente. Si tratta di reati che costituiscono espressione di situazioni di microconflittualità individuale. Il criterio per la determinazione della competenza di tale organo è costituito dalla tenuità della sanzione e dalla semplicità dell’accertamento. È opportuno da conto delle fattispecie attribuite alla competenza del giudice di pace distinguendo tra i reati procedibili a querela e quelli procedibili d’ufficio: - tra i reati procedibili a querela attribuiti al giudice di pace ci sono le percosse, le lesioni volontarie procedibili a querela; le lesioni colpose salvo che in ipotesi di colpa professionale o di violazione di norme antinfortunistiche sia stata cagionata una malattia di durata superiore a 20 giorni e salvo che siano state commesse in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale quando il responsabile guidava in stato di ebrezza alcolica; l’ingiuria; la diffamazione; la minaccia semplice; i furti lievi; oil danneggiamento semplice. L’art 2 d.l. 93/2013 ha sottratto alla competenza del giudice di pace le fattispecie di lesioni personali perseguibili a querela, qualora il reato sia commesso ai danni del convivente o del coniuge, sorella, padre, madre figlio - tra i reati procedibili d’ufficio ci sono: la somministrazione di bevande alcoliche ai minori o infermi di mente; la determinazione in altri dello stato di ubriachezza; gli atti contrari alla pubblica decenza; l’inosservanza dell’obbligo di istruzione elementare dei minorenni; reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato. Il Tribunale è competente a giudicare i reati che non appartengono alla competenza della Corte d’assise, del Tribunale per i minorenni e del Giudice di pace; oltre a questa competenza “residuale”, il Tribunale ha una competenza qualitativa a giudicare reati che sono previsti in modo specifico da singole norme di legge e che presuppongono una conoscenza in materie tecniche o di una qualche complessità. Per quanto riguarda le ripartizioni delle attribuzioni tra tribunale in composizione collegiale e tribunale in composizione monocratica: - il Tribunale in composizione collegiale (cioè formato da tre giudici) conosce i reati puniti, anche nelle ipotesi di tentativo, con una pena detentiva superiore nel massimo a 10 anni, ma inferiore a 24 anni, purché non si tratti di reati di competenza della corte d’assise (criterio quantitativo); tutti i reati riconducibili all’associazione per delinquere, lo scambio elettorale politico mafioso, i delitti concernenti le armi, i reati in materia di aborto; i reati commessi dai pubblici ufficiali contro la p.a.; i reati di violenza sessuale e prostituzione minorile; i reati commessi dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni. - il Tribunale in composizione monocratica (cioè composto da un solo giudice) conosce dei delitti di produzione e traffico illecito di sostanza stupefacenti e dei reati puniti con pena detentiva fino a 10 anni nel massimo, purché non siano di competenza del Giudice di pace. La perdita della garanzia della collegialità: la legge 479/99 ha aumentato la competenza del giudice singolo da 4 a 10 anni di pena edittale nel massimo; la scelta non è senza conseguenze. Vi è il pericolo che il giudice singolo non adiuvato dai colleghi non approfondisca i punti posti in discussione e finisca per appiattirsi sulla testi sostenuta dalla parte più forte. La competenza funzionale: è la competenza a svolgere determinati procedimenti o particolari fasi o gradi di un procedimento o a compiere determinati atti. Es: nei procedimenti per reati di competenza della corte d’assise o del tribunale, gli atti giurisdizionali che devono essere compiuti nella fase delle indagini preliminari sono attribuiti alla competenza funzionale del giudice per le indagini preliminari incardinato presso il tribunale. La competenza a giudicare sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate in primo grado dalla corte d’assise e dal tribunale spetta rispettivamente alla corte d’assise d’appello e alla corte di appello. La COMPETENZA PER TERRITORIO è determinata dal luogo nel quale il reato è stato commesso ( locus commissi delicti). A questo principio generale ci sono delle eccezioni previste dai commi II,III,IV dell’art 8. Art. 8. Regole generali I. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato. II. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione. III. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone. IV. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto. L’art 9 prevede regole suppletive nei casi nei quali la competenza non può essere determinata in base alle regole generali: Art. 9. Regole suppletive I. Se la competenza non può essere determinata a norma dell'articolo 8, è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. II. Se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato. III. Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'articolo 335. Procedimento nei confronti di un magistrato una importante deroga alle norme ordinarie sulla competenza territoriale è prevista nei procedimenti in cui un magistrato (giudice o p.m.) assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato, quando in base alle regole ordinarie tale procedimenti sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello nel quale il magistrato esercita le sue funzioni, ovvero le esercitava al momento del fatto; in questi casi la competenza è attribuita al giudice competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d’appello individuato dalla tabella A annessa alla legge 420/1998; tale regola vale anche in caso di procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato (articolo 11). Lo spostamento di competenza per territorio ha lo scopo di assicurare l’imparzialità dell’organo giudicante. COMPETENZA PER CONNESSIONE, la connessione è un criterio attributivo della competenza del giudice, essa non comporta necessariamente la riunione dei procedimenti. vi è connessione di procedimenti di competenza del tribunale e della corte d’assiste in tre casi (articolo 12): 1) quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro oppure quando più persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento; 2) quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati) ovvero con più azioni od omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso (reato continuato); 3) quando si procede per più reati, se gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri. ( es. falso commesso per occultare un reato di peculato) Quando vi è connessione, un solo giudice è competente a giudicare tutti i reati connessi; il giudice competente in caso di connessione viene individuato in base ai seguenti criteri: - fra i giudici competenti per materia, la corte d’assise prevale sul tribunale (articolo 15: “Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della corte di assise ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la corte di assise”) - applicata questa regola, se più giudici sono egualmente competenti per materia ed hanno quindi una diversa competenza per territorio, prevale il giudice competente per il reati più grave; in caso di pari gravità, prevale il giudice competente per il reato commesso per primo (articolo 16) Una regola di attribuzione riguarda i casi in cui alcuni procedimenti connessi appartengono al tribunale collegiale e altri al tribunale in composizione monocratica. Ove esista un legame di connessione i procedimenti sono tutti attribuiti alla cognizione del tribunale collegiale. Esiste una importante deroga alla connessione in presenza di procedimenti contro imputati minorenni; costoro devono esser sempre e comunque giudicati dal tribunale per i minorenni. La riunione dei procedimenti Nel caso in cui, nonostante l’eccezione di parte, il giudice ritenga corretta la propria cognizione, spetterà ad una delle parti proporre appello (articolo 33 – octies) - se la corte d’appello ritiene che la cognizione era del giudice collegiale, annulla la sentenza del giudice monocratico e trasmette gli atti al p.m. presso il tribunale - se la corte d’appello ritiene che la cognizione era del giudice monocratico, decide direttamente nel merito (soluzione simile a quella prevista per l’incompetenza per materie in eccesso) Una norma di chiusura stabilisce che l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l’invalidità degli atti del procedimento né l’inutilizzabilità delle prove già acquisite (articolo 33 – nonies) La capacità de giudice Quando si parla di capacità del giudice si fa riferimento al complesso dei requisiti indispensabili per un legittimo esercizio della funzione giudicante; in base all’articolo 33 comma I sono condizioni di capacità del giudice quelle che appaiono “stabilit(e) dalle leggi di ordinamento giudiziario” Bisogna però precisare che non tutte le disposizioni finalizzate a regolare l’attribuzione e lo svolgimento della funzione giurisdizionale sono previste a pena di nullità. Si ritiene infatti che la sanzione della nullità assoluta sia messa a presidio della sola capacità generica ( nomina e ammissione nel ruolo) e non anche dell’idoneità specifica che presuppone la regolare costituzione del giudice nell’ambito di un determinato processo. L’articolo 33 comma II stabilisce che “Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici” L’articolo 33 comma III stabilisce che“Non si considerano altresì attinenti alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante le disposizioni sull'attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico” L’imparzialità del giudice L’imparzialità del giudice persona fisica non è una qualità innata o carismatica della quale egli è dotato in virtù del fatto di aver superato un concorso pubblico e di avere una determinata qualifica, ma, per essere effettiva deve essere fondata sui seguenti principi: 1 - la soggezione del giudice soltanto alla legge: soltano la presenza di leggi che indichino con precisione quali fatti sono reato e quali poteri processuali debbano essere esercitati impedisce che il giudice sia influenzato dall’esterno ( potere politico) o dall’interno ( ideologismi del singolo magistrato). Sono necessarie leggi precise e certe ce non lascio al giudice quelle scelte discrezionali che devono essere compiute dal potere legislativo 2 - la separazione tra le funzioni giurisdizionali e quelle che sono tipiche di una parte: l’imparzialità è fondata sulla separazione delle principali funzioni processuali in soggetti distinti: accusa, difesa e giudice. Se il giudice cumula i poteri di una parte la sua funzione decidente rischia di essere sviata dagli ulteriori poteri che è chiamato a esercitare. 3 - la terzietà: art 111 (II) il processo deve svolgersi davanti a giudice terzo e imparziale. L’imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà concerne lo status ossia il piano ordina mentale. La terzietà è stata interpretata come un limite al passaggio tra le funzioni di p.m. e quelle di giudice e viceversa; il passaggio può avvenire soltanto cambiando distretto di corte d’appello e dopo un controllo di professionalità in relazione al nuovo ruolo da svolgere. 4 - l’impregiudicatezza come situazione psichica di assenza della forza della prevenzione: è un requisito che concerne l’atteggiamento interiore del giudice rispetto alla decisione da prendere; manca quando il giudice ha già emesso una decisione sulla responsabilità del medesimo imputato in relazione al medesimo reato. assenza di un pregiudizio rispetto all’oggetto del procedimento (res iudicanda) 5 - l’equidistanza dalle parti: quando è assente qualsiasi legame tra il giudice e una delle parti o tra il giudice e la questione da decidere 6 - la presenza di garanzie procedimentali che consentano di estromettere il giudice che sia o appaia imparziale. Per assicurare la garanzia nei confronti del giudice come persona fisica sono stati predisposti gli istituti della astensione e della ricusazione; nei confronti dell’ufficio giudicante nel suo complesso è previsto l’istituto della rimessione. L’incompatibilità del giudice Può essere definita come l’incapacità di svolgere una determinata funzione in relazione ad un determinato procedimento. Di regola scatta nelle situazioni nelle quale appare carente la caratteristica della impregiudicatezza. Le situazioni che danno luogo a incompatibilità sono facilmente conoscibili ex ante rispetto al momento in cui il magistrato è assegnato ad un determinato procedimento. Costituiscono creiteri di organizzazione preventiva della funzione giurisdizionale in modo da assicurare l’imparzialità della stessa. Le situazioni di incompatibilità impediscono ad un magistrato di essere designato a svolgere le funzioni di giudice in un determinato procedimento; se non vengono accertate preventivamente al momento della formazione dell’organo, le situazioni di incompatibilità diventano motivi di astensione e ricusazione. Le situazioni di pre – giudizio che sono previste dal codice come causa di incompatibilità possono essere ricomprese in tre grandi categorie, per cui la situazione pregiudicante può consistere: 1) nel fatto che un magistrato abbia già svolto la funzione di giudice nel medesimo procedimento penale In base all’articolo 34 comma I e comma II costituisce situazione di incompatibilità: - l’aver pronunciato e concorso a pronunciare la sentenza in un precedente grado del procedimento - l’aver emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare - l’aver emesso il decreto penale di condanna - l’aver disposto il giudizio immediato - l’aver deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere Poi in base al comma II – bis il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari (salvo che si sia limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorioindicate nei commi II – ter e II – quater, come l’assunzione dell’incidente probatorio) non può: - emettere il decreto penale di condanna - tenere l’udienza preliminare - partecipare al giudizio 2) nel fatto che il magistrato abbia svolto nel medesimo procedimento una qualche funzione che deve essere distinta da quella di giudice (articolo 34 comma III “Chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria o ha prestato ufficio di difensore, di procuratore speciale, di curatore di una parte ovvero di testimone, perito, consulente tecnico o ha proposto denuncia, querela, istanza o richiesta o ha deliberato o ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere non può esercitare nel medesimo procedimento l'ufficio di giudice”) 3) nel fatto che un parente o un affine (fino al secondo grado) del magistrato, che è stato designato a giudicare, abbia esercitato nel medesimo procedimento sia la funzione di giudice, sia altre funzioni “separate o diverse” (articolo 35 “Nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado”; ulteriori situazioni di incompatibilità sono previste dal’ordinamento giudiziario e dalla legge sulla corte d’assise) Astensione e ricusazione Rimedi che funzionano ex post e consentono di rimuovere un giudice , già designato in relazione a un determinato procedimento, in presenza di situazioni che compromettono l’imparizalità. L’astensione è un istituto che obbliga il magistrato a chiedere di essere dispensato dallo svolgere le funzioni di giudice in un determinato procedimento quando egli ha un legame con una delle parti o con l’oggetto della decisione o quando vi sono gravi ragioni di convenienza e cioè quando sono presenti situazioni tali da farlo apparire condizionato nello svolgimento delle proprie funzioni. La ricusazione è un istituto che permette alle parti di accertare le situazioni nelle quali appare pregiudicata la imparzialità del magistrato-giudice perché questi ha rapporti con una delle parti o con l’oggetto del processo. È dovere del magistrato che si accorga di trovarsi in una situazione di non imparzialità di astenersi e la sua richiesta è valutata dal capo dell’ufficio giurisdizionale al quale appartiene; in via alternativa spetta alle parti l’onere di presentare una dichiarazione di ricusazione, sulla quale deciderà un distinto organo giurisdizionale. Il giudice deve astenersi (articolo 36) e può essere ricusato (articolo 37) anzitutto se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 del codice di procedura penale o dalle leggi sull’ordinamento giudiziario. Il giudice inoltre ha l’obbligo di astenersi (articolo 36) e può essere ricusato (articolo 37): a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli; b) se è tutore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; c) se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie; d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di p.m. La dichiarazione di astensione è valutata da un altro giudice, che di regola è il presidente dell’organo giudicante al quale appartiene il magistrato; essa infatti non può essere accolta automaticamente, costituendo l’astensione un eccezione alla regola secondo cui il giudice, una volta investito di un procedimento, ha il dovere di decidere; la dichiarazione di astensione viene accolta se si accerta che in concreto esistono le situazioni che mettono in pericolo l’imparzialità. Il codice fa un elenco minuzioso dei motivi che obbligano il giudice ad astenersi; poi indica una situazione tramite una clausola aperta, cioè quando vi siano “gravi ragioni di convenienza”. Per quanto riguarda la ricusazione, le parti possono ricusare il giudice in base ai medesimi motivi previsti per l’astensione, con due precisazioni: - non è possibile ricusare per gravi ragioni di convenienza: quindi le parti possono ricusare il giudice soltanto in presenza di situazioni tassative previste dalla legge. - mentre è possibile ricusare il giudice che nell’esercizio delle sue funzioni abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. Sulla ricusazione di un giudice del tribunale, della corte d’assise o della corte d’assise d’appello decide la corte d’appello; sulla ricusazione della corte d’appello decise una sezione della corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato; sulla ricusazione di un giudice della corte di cassazione decise una sezione della corte, diversa da quella cui appartiene il giudice ricusato. Il procedimento è giurisdizionale; una volta accertata la situazione pregiudizievole, viene designato un altro magistrato in base alle norme sull’ordinamento giudiziario. Nel frattempo il giudice ricusato non deve sospendere la sua attività, ma non può pronunciare sentenza. Nel caso in cui concorrano una dichiarazione di ricusazione e una dichiarazione di astensione l’accoglimento dell’astensione fa considerare come non proposta la ricusazione la rimessione del processo Quando è pregiudicata l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante territorialmente competente a prescindere da situazioni che riguardino il singolo magistrato, il codice prevede lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale (con la medesima competenza per materia) situato presso quel capoluogo del distretto di Corte d’appello individuato in base all’11 (caso in cui un magistrato sia imputato, persona offesa o danneggiato). La richiesta motivata di rimessione può esser presentata solo dall’imputato, dal p.m. presso il giudice che procede e dal Procuratore generale presso la Corte d’appello. La decisione spetta alla corte di cassazione che decide lo spostamento se ed in quanto accerti l’esistenza di almeno uno dei requisiti della rimessione; l’ordinanza che accoglie la richiesta di rimessione è comunicata senza ritardo al giudice che procede e a quello designato; il giudice designato provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rinnovazione quando ne è richiesto da una delle parti e non si tratta di atti di cui è diventata impossibile la ripetizione. Nei tre casi nei quali è prevista la rimessione devono essere presenti gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili; la situazione deve quindi essere: - grave, cioè occorre che sia presente una obbiettiva situazione di fatto che lasci fondatamente presagire un esisto non imparziale e non sereno del giudizio - locale, cioè non diffusa sull’intero territorio nazionale - esterna rispetto al processo, cioè non deve consistere in un fenomeno connesso alla dialettica processuale - non eliminabile con gli strumenti a disposizione del potere esecutivo 1) Il primo caso di rimessione si ha quando sono pregiudicate la sicurezza e l’incolumità pubblica. Es: stato di guerriglia urbana 2) Il secondo caso di rimessione sussiste quando è pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Giudici popolari o testimoni sono intimiditi da associazioni mafiose 3) Il terzo caso di rimessione consiste in gravi situazioni locali che determinano motivi di legittimo sospetto. Le questioni pregiudiziali alla decisione penale Nel momento in cui si deve accertare la responsabilità dell’imputato, il giudice penale può avere la necessità di risolvere una questione pregiudiziale: - in senso lato, è pregiudiziale una questione che si pone come antecedente logico-giuridico per pervenire alla decisione; es. per decidere sull’imputazione di un furto occorre accertare l’altruità della cosa - in senso stretto, una questione può dirsi pregiudiziale quando l’iter logico per approdare alla decisione sull’imputazione presuppone la risoluzione di una controversia non appartenente alla diretta cognizione del giudice procedente. Principio di autosufficienza della giurisdizione panale: il codice accoglie la regola secondo la quale il giudice penale ha il potere di risolvere ogni questione da cui dipenda la sua decisione, salvo che una norma di legge disponga diversamente; ovviamente il giudice penale si limita a risolvere la questione in via incidentale (articolo 2 comma II “La pronuncia del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo”) Per quanto riguarda la sostituzione, il capo dell’ufficio vi provvede soltanto su consenso dell’interessato ovvero, se manca il consenso, nel caso di grave impedimento, di rilevanti esigenze di servizio e nei casi di obbligo di astensione previsti dall’articolo 36 comma 1 lettere a), b), d), e). In questo ultimo caso il titolare dell’ufficio deve trasmettere al CSM copia del provvedimento motivato con cui ha disposto la sostituzione del magistrato; sempre in questo caso, se il capo dell’ufficio non provvede alla sostituzione, il procuratore generale presso la corte di appello designa un magistrato appartenente al suo ufficio (è un caso di avocazione obbligatoria) Circa le misure cautelari, il magistrato del p.m. quando intende chiedere al giudice una misura cautelare personale o reale o intende disporre il fermo di persona indiziata di un delitto, deve ottenere l’assenso scritto dal procuratore della repubblica. Circa infine i rapporti con gli organi di informazione: - il procuratore della repubblica mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione e ogni informazione inerente alle attività della procura della repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnati al procedimento; - è fatto divieto ai magistrati della procura di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio; - il procuratore della repubblica ha l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell’azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto con il divieto fissato dalla legge I rapporti tra gli uffici In generale ogni ufficio del pubblico ministero è competente a svolgere le sue funzioni esclusivamente presso l’organo giudiziario davanti al quale è costituito; a tale regola sono però poste delle eccezioni che danno vita a rapporti di tipo gerarchico (da precisare che non vi è comunque un potere generale di sovraordinazione tra ufficio superiore ed ufficio inferiore, ma l’ufficio superiore ha in via eccezionale singoli e limitati poteri di sorveglianza riguardanti la disciplina e l’organizzazione). Il procuratore generale presso la Corte di cassazione svolge una funzione di sorveglianza, nel senso che ha il potere di iniziare l’azione disciplinare contro un qualsiasi magistrato requirente o giudicante (la decisione spetterà poi al CSM); lo stesso procuratore generale può essere chiamato a risolvere un contrasto negativo o positivo tra uffici del p.m. appartenenti a diversi distretti di Corte d’appello. Si ha contrasto negativo tra pubblici ministeri quando due uffici durante le indagini preliminari in relazione a un determinato reato, negano la competenza per materia o per territorio del giudice presso il quale ciascuno di essi esercita le funzioni ritenendo la competenza di una altro giudice. Si ha contrasto positivo tra uffici del p.m. quando due uffici stanno svolgendo indagini a carico della stessa persona e in relazione al medesimo fatto e ciascuno di essi ritenga la propria competenza esclusiva. Il procuratore generale presso la Corte d’appello, svolge una funzione di sorveglianza che si manifesta nei seguenti aspetti: • ha il potere di dirimere i contrasti tra due uffici del p.m. appartenenti al distretto di corte d’appello che ritengano contemporaneamente di affermare o negare la propria competenza in un singolo caso • nei confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale ha il potere di avocare un singolo affare in casi tassativamente previsti dalla legge (potere di avocazione); sono previsti casi di avocazione obbligatoria e casi di avocazione discrezionale, in generale si procede ad avocazione quando il titolare o un magistrato dell’ufficio inferiore hanno omesso un’attività doverosa o quando comunque il procedimento penale rischia una stasi per l’inerzia del magistrato del p.m. In concreto in base al provvedimento di evocazione un sostituto del procuratore generale sostituisce il singolo magistrato del p.m. nel compimento di quella attività che quest’ultimo sta svolgendo. Sono previste delle garanzie: il provvedimento di avocazione deve essere motivato e deve essere trasmesso al CSM e ai procuratori della repubblica avocati; inoltre il magistrato interessato può proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassazione. ( casi avocazione obbligatorie e discrezionale vedi nota pag 118) L’astensione del pubblico ministero Il magistrato del p.m. ha, dal punto di vista disciplinare, l’obbligo di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza (e ciò avviene quando egli abbia un interesse privato in un determinato procedimento e la sua funzione di parte pubblica vuole che egli sia mosso soltanto da un interesse pubblico). Sulla dichiarazione di astensione decide il capo dell’ufficio del p.m. La sostituzione L’art 53 comma II che pone al capo dell’ufficio l’obbligo di sostituire il magistrato del p.m. che abbia un interesse privato nel procedimento (l’obbligo di sostituzione comporta implicitamente l’obbligo di astenersi). i casi di sostituzione sono quelli indicati nell’articolo 36 comma i quali possono essere così sintetizzati: 1) se il magistrato ha interesse nel procedimento come parte anche soltanto potenziale ovvero se è creditore o debitore di una delle parti private 2) se il magistrato è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se uno di costoro è prossimo congiunto di lui o del coniuge 3) se vi era già in precedenza una inimicizia grave tra il magistrato e una delle parti private 4) se un prossimo congiunto del magistrato è offeso o danneggiato o parte privata Se il capo dell’ufficio non adempie a tale obbligo è previsto un caso di avocazione obbligatoria: il procuratore generale presso la corte d’appello designa per l’udienza un magistrato appartenente al suo ufficio. In conclusione il p.m. è un magistrato indipendente che svolge la funzione di una parte pubblica; egli quindi persegue un interesse pubblico che gli impone un obbligo di lealtà processuale. Le procure distrettuali e la procura nazionale antimafia Dopo l’entrata in vigore del codice di procedura penale (24 ottobre 1989) è apparso evidente che la struttura degli uffici del p.m. provocava difficoltà agli inquirenti che conducevano indagini sui delitti di criminalità organizzata; infatti il codice auspicava che vi fosse un coordinamento tra gli uffici del p.m. impegnati in indagini collegate (articolo 371), ma tale coordinamento non era reso controllabile e coercibile e la mancanza di coordinamento impediva di impostare le investigazioni in modo efficace. Art. 371. Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero. I. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono altresì procedere, congiuntamente, al compimento di specifici atti. II. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate: a) se i procedimenti sono connessi a norma dell'articolo 12; b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza; c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte. III. Salvo quanto disposto dall'articolo 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza. Solo con le leggi 356/1991 e 8/1992 il legislatore ha sanzionato la violazione dell’obbligo di coordinamento, mediante l’istituto dell’avocazione, nelle ipotesi di indagini per delitti di criminalità organizzata mafiosa e non mafiosa. La soluzione, proposta da Giovanni Falcone è stata quella di istituire le procure distrettuali e di porle sotto il controllo e lo stimolo del procuratore nazionale antimafia (legge 8/1992). La procura distrettuale non è un nuovo ufficio del p.m., ma è l’ufficio della procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente; a tale ufficio sono attribuite le funzioni del p.m. in primo grado in relazione: - ai delitti di criminalità organizzata mafiosa ed assimilati (articolo 51 comma III – bis) - ai delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo (articolo 51 comma III – quater) - ai delitti consumati o tentati in materia di pedopornografia, di reati informatici, di intercettazione abusiva (articolo 51 comma III – quinquies introdotto dalla legge 48/2008) All’interno della procura distrettuale è costituita una direzione distrettuale antimafia D.D.A., che è un gruppo (pool) di magistrati che hanno chiesto di dedicarsi esclusivamente ai procedimenti riguardanti la criminalità organizzata mafiosa; questi magistrati hanno l’obbligo di ordinarsi in modo stretto sia tra di loro, sia con il procuratore capo; inoltre possono essere applicati temporaneamente presso altre procure distrettuali. La procura nazionale antimafia è un ufficio con sede in Roma; capo dell’ufficio è il procuratore nazionale antimafia, sottoposto alla sorveglianza del procuratore generale presso la corte di cassazione; l’ufficio è composto di 20 magistrati del p.m. nominati dal CSM, sentito il procuratore nazionale antimafia, a sua volta nominato dal CSM in seguito ad un accordo con il Ministro della Giustizia. Il procuratore nazionale antimafia ha poteri di coordinamento (cioè ha compiti di controllo che gli permettono di verificare se sia effettivo il coordinamento tra i singoli uffici del p.m. che stanno compiendo indagini per i delitti di criminalità organizzata ed assimilati), poteri di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali e poteri di controllo sull’attività degli organi centralizzati di polizia giudiziaria. Il procuratore nazionale non può dare direttive vincolanti nel merito alle procure distrettuali, né compiere direttamente indagini (ma può avocare le indagini condotte da quella procura distrettuale che abbia dimostrato una grave inerzia o che non abbia voluto coordinarsi con gli altri uffici) LA POLIZIA GIUDIZIARIA Polizia giudiziaria e polizia amministrativa sono le due fondamentali funzioni svolte dalle forze di polizia ∗ la polizia amministrativa si occupa dell’osservanza della legge e dei regolamenti amministrativi, in esecuzione delle funzioni proprie del potere esecutivo. La funzione di polizia amministrativa si distingue a sua volta in molte specializzazioni, quali ad es. la polizia tributaria, la polizia sanitaria, la polizia stradale e la polizia di sicurezza. La funzione di polizia di sicurezza è quella funzione che possiamo definire di “prevenzione dei reati”. Per quanto riguarda la dipendenza, a funzione di polizia di sicurezza è diretta da un organo unitario che è il ministro dell’interno; in sede locale la direzione spetta al prefetto e al questore. ∗ la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (articolo 55 c.p.p.); quindi svolge la funzione che possiamo definire di “repressione dei reati” e a tal fine la polizia giudiziaria (a differenza della polizia di sicurezza) gode di poteri coercitivi (cioè può direttamente limitare le libertà fondamentali). Per quanto riguarda la dipendenza, la funzione di polizia giudiziaria è svolta sotto la direzione del p.m. e sotto la sorveglianza del procuratore generale presso la corte d’appello (che può dare inizio al procedimento disciplinare contro l’ufficiale o l’agente); per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata, la funzione di polizia giudiziaria è svolta da un organo centrale chiamato “direzione investigativa antimafia” D.I.A. che è posto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore nazionale antimafia. La dipendenza “organica” spetta in ogni caso al potere esecutivo; quindi colui che svolge funzioni di polizia giudiziaria dipende funzionalmente dal pubblico ministero e organicamente dal potere esecutivo. La dipendenza dall’autorità giudiziaria Per evitare il pericolo che le direttive dell’autorità giudiziaria siano ostacolate da direttive in senso contrario provenienti dagli organi del potere esecutivo sono previsti vari strumenti che rafforzano la direzione funzionale spettante all’autorità giudiziaria al fine anche di attuare il principio costituzionale secondo cui “l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria (articolo 109 Cost.). Il codice distingue tre strutture che svolgono funzioni di polizia giudiziaria che, fermo restando la dipendenza organica dal potere esecutivo, si differenziano per il diverso grado di dipendenza funzionale dall’autorità giudiziaria: 1) le sezioni di polizia giudiziaria; si tratta di organi costituiti presso gli uffici del p.m. di primo grado e composti, di regola, da ufficiali ed agenti della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza, in cui si riscontra il maggior grado di dipendenza dall’autorità giudiziaria; infatti le sezioni svolgono esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria sotto la dipendenza del capo del singolo ufficio del p.m. che dirige e coordina la attività e dispone direttamente del personale della sezione (cioè incarica delle indagini nominativamente un ufficiale di polizia giudiziaria) 2) i servizi di polizia giudiziaria; questi sono costituiti presso i corpi di appartenenza (questore, comandi dei carabinieri e della guardia di finanza); a prescindere dalla loro denominazione, si considerano servizi tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispettive amministrazioni il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni di polizia giudiziaria; il minor grado di dipendenza funzionale consiste nel fatto che il magistrato del p.m., che dirige le indagini preliminari, da un incarico non personalmente ad un ufficiale di polizia giudiziaria, bensì impersonalmente all’ufficio; sarà poi il responsabile dell’ufficio (il dirigente del servizio) e scegliere l’ufficiale che condurrà le investigazioni. 3) gli altri uffici di polizia giudiziaria; gli organi di polizia giudiziaria che non sono ricompresi nelle sezioni e nei servizi restano comunque sotto la dipendenza funzionale dell’autorità giudiziaria. Art. 59. Subordinazione della polizia giudiziaria. I. Le sezioni di polizia giudiziaria dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici presso i quali sono istituite. II. L'ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria è responsabile verso il procuratore della Repubblica presso il tribunale dove ha sede il servizio dell'attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente. III. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati inerenti alle funzioni di cui all'articolo 55, comma 1. Gli appartenenti alle sezioni non possono essere distolti dall'attività di polizia giudiziaria se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono a norma del comma 1. Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono avere una competenza generale per tutti i reati o una competenza limitata all’accertamento di determinati reati: Sono ufficiali di polizia giudiziaria con competenza generale i soggetti previsti nell’articolo 57 c. I e II: - le persone alle quali l’ordinamento dell’amministrazione pubblica riconosce tale qualità 2) l’accertamento dell’identità anagrafica; si tratta di attribuire un nome ed un volto all’indagato; il principale strumento per accertare l’identità anagrafica dell’indagato è l’interrogatorio; infatti fin dall’inizio del procedimento il p.m. e la polizia giudiziaria procedono all’identificazione dell’indagato, che viene invitato a dichiarare le proprie generalità e viene ammonito circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false (è sanzionato penalmente il rifiuto di dare indicazione sulla propria identità personale e il dichiarare una falsa identità) La sospensione del procedimento per incapacità processuale dell’imputato Quando il giudice non può pronunciare una sentenza di proscioglimento (in giudizio) o di non luogo a procedere (in udienza preliminare), cioè quando il giudice, in base allo stato degli atti, si trova nella condizione di dover accertare la responsabilità penale e di conseguenza è probabile una condanna perché l’imputato era imputabile o semi-imputabile al momento del fatto, il giudice deve valutare se l’imputato, a causa di una infermità mentale esistente al momento, non è in grado di partecipare consciamente al procedimento penale. Ove sia accertata l’incapacità il giudice deve sospendere il procedimento penale con ordinanza ricorribile per cassazione (la sospensione tuttavia non determina una totale paralisi delle attività processuali e consente il compimento degli atti tassativamente previsti dalla legge) e contestualmente nominare un curatore speciale (preferibilmente il apprestante legale dell’imputato). Allo scopo di ridurre il fenomeno degli eterni giudicabili, il giudice ogni sei mesi dispone perizia per accertare lo stato psichico dell’imputato; l’ordinanza di sospensione è revocata qualora l’imputato risulti in grado di partecipare consciamente al procedimento penale oppure se, durante la sospensione, sono assunte prove che legittimano una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. IL DIFENSORE Afferma il 24 comma II Cost. che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. In generale, si può definire difesa la tutela contro un attacco che venga mosso ai diritti di un soggetto con qualsiasi procedura giudiziaria; in particolare la difesa penale è quella forma di tutela che permette all’imputato di ottenere il riconoscimento della piena innocenza o comunque di essere condannato ad una sanzione non più grave di quella applicabile secondo la legge. Per quanto riguarda la titolarità del diritto di difesa, sono titolari del diritto di difesa le parti ed alcuni fra i soggetti del procedimento penale. Per quanto riguarda le modalità di esercizio, tale diritto può essere esercitato sia personalmente (autodifesa), sia per mezzo del difensore (difesa tecnica). Il difensore è una persona che ha particolarmente competenza tecnico – giuridica e che ha determinate qualifiche di tipo penalistico, privatistico e processuale: - la qualifica penalistica è quella di esercente un servizio di pubblica necessità (infatti alla funzione di avvocato si accede mediante una speciale abilitazione dello Stato e i privati sono per legge obbligati ad avvalersi dell’opera del difensore) - la qualifica privatistica si individua nel rapporto di prestazione di opera intellettuale che lega il difensore al cliente - la qualifica processuale è quella di rappresentante tecnico della parte La rappresentanza tecnica è il potere, conferito al difensore, di compiere atti processuali “per conto” (cioè nell’interesse) del cliente, sempre che gli atti processuali non siano personali, e cioè che non siano dalla legge espressamente riservati alla parte; essa è conferita dal cliente al difensore mediante una procura ad litem: - l’imputato e l’indagato e la persona offesa conferiscono tale rappresentanza mediante la nomina che è contenuta in una dichiarazione che può essere resa oralmente (davanti all’autorità procedente che ne redige verbale) ovvero essere effettuata per iscritto (in tal caso la dichiarazione scritta deve essere consegnata all’autorità procedente dal difensore o deve essere trasmessa dall’interessato con raccomandata all’autorità procedente) - le altre parti (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) conferiscono tale rappresentanza mediante una procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Perché il difensore possa disporre di un diritto “in nome” del cliente, deve essergli attribuita una rappresentanza volontaria per gli atti personali, che può essere conferita soltanto mediante una procura speciale a compiere un determinato atto; la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo. Per quanto riguarda i rapporti tra difensore e imputato, la rappresentanza tecnica assume la forma della “assistenza” che può essere definita come quella particolare forma di rappresentanza tecnica che non esclude l’autodifesa del soggetto assistito; infatti l’imputato può sempre compiere personalmente gli atti che non siano per legge riservati al difensore; inoltre l’imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all’atto compiuto dal difensore prima che, in relazione allo stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice. Il rapporto fra cliente e difensore ha natura fiduciaria, con determinate conseguenze: - prima dell’accettazione del mandato, il difensore può rifiutare la nomina; il rifiuto deve essere comunicato a colui che ha effettuato la nomina e all’autorità procedente; la non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata all’autorità procedente. - dopo che ha accettato il mandato, il difensore può rinunciare al mandato; la rinuncia deve essere comunicata a colui che ha effettuato la nomina e all’autorità procedente, ma essa non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore e non sia decorso il termina a difesa, non inferiore a sette giorni, che sia stato concesso a quest’ultimo Lo stesso avviene quando il cliente revoca il mandato al difensore. Deontologia: il difensore di una parte privata ha doveri deontologici differenti da quelli del p.m.. il difensore non è il giudice del proprio cliente , egli ha un dovere di correttezza ma non ha l’obbligo di ricercare e introdurre nel processo gli elementi sfavorevoli alla parte asisstita. Non ha l’obbligo di ricercare la verità contro il cliente. Egli persegue un interesse privato e non pubblicistico, resta libero di valutare se un elemento di prova è favorevole rispetto alla richiesta che intende rivolgere al giudice Difensore di fiducia e difensore d’ufficio In base all’articolo 96 comma I L’imputato ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. La nomina è un atto a forma libera e può essere effettuata in tre modi: 1) con dichiarazione, scritta od orale, resa dall’indagato all’autorità procedente; 2) con dichiarazione scritta consegnata all’autorità procedente dal difensore; 3) con dichiarazione scritta trasmessa all’autorità procedente con raccomandata. Non occorre alcuna autentica della sottoscrizione dell’indagato. Ove l’indagato si trovi in stato di fermo, arresto o custodia cautelare la nomina può essere fatta da un prossimo congiunto. Quando l’indagato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, il codice prevede (solo per tale soggetto) l’istituto della difesa d’ufficio (articolo 97). La designazione del difensore d’ufficio spetta al consiglio dell’ordine degli avvocati di ciascun distretto di Corte d’appello, che predispone gli elenchi dei difensori idonei sulla base di turni di reperibilità. Quando il giudice, il p.m. o la polizia giudiziaria devono compiere un atto per il quale è prevista l’assistenza del difensore e l’imputato o l’indagato ne sia privo, essi devono chiedere il nominativo del difensore a d’ufficio al consiglio dell’ordine degli distretto; il magistrato o l’ufficiale di polizia danno avviso dell’atto al difensore così individuato. La difesa d’ufficio non ha una funzione di assistenza sociale ma di attuare il contraddittorio in un processo basato sul principio dialettico. Il suo scopo è quello di attuare un minimo di eguaglianza delle armi in situazioni nelle quali l’imputato si disinteressa di nominare un difensore o ne rimane privo. Il difensore della persona offesa L’offeso può nominare il difensore nelle medesime forme semplificate che sono previste per il difensore dell’imputato. Il difensore della persona offesa dal reato svolge un’attività che si può inquadrare nella rappresentanza, ma che ha anche alcune caratteristiche della assistenza: - da un lato l’offeso, che pure può nominare un difensore per essere da lui rappresentato, ha tuttavia il potere di esercitare quei diritti e facoltà che siano a lui espressamente riconosciuti dalla legge e in tali casi può agire anche personalmente nel procedimento (in particolare può presentare memorie ed indicare elementi di prova) - da un altro lato, l’offeso non può togliere effetto ad un atto del proprio difensore; l’unico modo che ha per evitare una difesa tecnica non gradita è quello di revocare la nomina del difensore e nominarne un altro. Il difensore delle parti private diverse dall’imputato Ai sensi del 100, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un difensore. Tale soggetti nominano il proprio difensore mediante il conferimento di una procura speciale, la c.d. procura ad litem. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata. Quando la procura speciale è apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte civile, l’autografia della sottoscrizione può essere certificata soltanto dal difensore. Quando non è apposta in calce o a margine dell’atto di costituzione, la procura deve essere depositata in cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione di parte civile. In forza della procura ad litem il difensore può compiere e ricevere nell’interesse della parte rappresentata tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati. Vi è comunque un limite: il difensore non può compiere atti che comportino una disposizione del diritto in contesa, salvo che ne abbia ricevuto espressamente il potere. Il patrocinio per i non abbienti La legge 217/90 ha istituito il patrocinio a spese dello stato in favore delle persone che hanno un reddito annuo non superiore a una determinata sogli. Il patrocinio è concesso su istanza ai soggetti che sono parti private, e cioè all’imputato, all’indagato, al condannato, all’offeso, al danneggiato che intenda costituirsi parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Assicura la difesa tecnica nel procedimento penale per reati non di tipo tributario, assicura la difesa tecnica in relazione all’azione risarcitoria che eventualmente sia esercitata davanti al giudice civile per i danni derivanti dai medesimi delitti. L’ammissione al patrocinio a spese dello stato è deliberata dal magistraqto davanti al quale pende il processo o da quello che ha emesso il provvedimenti impugnato, se procede la cassazione; nel corso delle indagini è deliberata dal giudice per le indagini preliminari. L’incompatibilità del difensore La difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili; affinché ci sia incompatibilità deve sussistere in concreto un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole all’altro imputato. Quando l’autorità giudiziaria rileva la sussistenza di una situazione di incompatibilità deve indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla; l’incompatibilità può essere eliminata in due modi: 1) mediante la rinuncia del difensore a sostenere una o più difese 2) mediante la revoca della nomina da parte dell’imputato Nel caso in cui l’incompatibilità non venga rimossa entro il termine fissato il giudice la dichiara e provvede a sostituire il difensore incompatibile con un difensore d’ufficio. L’abbandono e il rifiuto della difesa Il consiglio dell’ordine forense ha la competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative ai casi di abbandono della difesa o di rifiuto della difesa di ufficio; al tal fine l’autorità giudiziaria riferisce al consiglio dell’ordine i casi di abbandono della difesa, di rifiuto della difesa di ufficio e i casi nei quali il difensore abbia violato i doveri di lealtà e probità, e infine se il difensore ha assunto la difesa di più imputati in una situazione di incompatibilità presunta per legge. Se l’abbandono o il rifiuto sono motivati da violazioni del diritto di difesa (che l’avvocato addebita all’autorità giudiziaria) e il consiglio dell’ordine ritiene giustificato il comportamento del difensore, la sanzione non si applica anche se il giudice ha escluso la sussistenza della violazione del diritto di difesa (ciò conferma l’indipendenza dell’ordine forense rispetto all’ordine giudiziario). Le garanzie per il libero esercizio dell’attività difensiva La scelta del legislatore è stata quella di assicurare al difensore la possibilità di svolgere la propria attività di patrocinio e consulenza in favore del cliente senza subire alcun condizionamento: - le garanzie di carattere generale consistono nella tutela del segreto professionale (gli avvocati non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero) - le garanzie di carattere speciale riguardano la tutela dell’ufficio e dei colloqui con i clienti e sono finalizzate ad assicurare la libertà di predisposizione delle strategie difensive Per quanto riguarda la tutela dell’ufficio del difensore, le ispezioni, le perquisizioni ed i sequestri sono di regola vietati e sono ammessi in casi tassativi previsti dalla legge; in particolare: a) non è consentita l’intercettazione b) le ispezioni e le perquisizioni ed i sequestri di regola sono vietati; sono ammessi in casi tassativi previsti dalla legge c) le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse quando i difensori risultano essere imputati e comunque devono essere disposte limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito; per rilevare le tracce o altri effetti materiali del reato (es. rapina in uno studio legale); per ricercare cose o persone specificatamente predeterminate che siano nascoste nell’ufficio di un avvocato d) il sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa è vietato nell’ufficio del difensore o dei suoi ausiliari incaricati in relazione al procedimento (investigatore privato autorizzato e consulente tecnico) e il sequestro è ammesso soltanto in relazione ad oggetti che costituiscono corpo del reato. Inoltre devono essere effettuati con modalità da osservarsi a pena di inutilizzabilità dei risultati: devono essere compiuti soltanto da un magistrato e con modalità che sottopongono l’iniziativa del magistrato al controllo del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati: Nell'accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell'ufficio di un difensore, l'autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell'ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento - è espressa la revoca effettuata con dichiarazione resa in udienza (dalla parte civile personalmente o da un suo procuratore speciale) ovvero con atto scritto depositato in cancelleria e notificato alle altre parti - si ha invece revoca tacita quando la parte civile non presenta le proprie conclusioni in dibattimento al momento della discussione finale ovvero quando essa promuove l’azione civile davanti al giudice civile l’azione risarcitoria davanti al giudice civile:il codice di procedura penale prevede che iol danneggiato dal reato possa compiere altre due scelte in alternativa a quella di costiuirsi parte civile: - esercitare l’azione di danno davanti al giudice civile in modo tempestivo – cioè prima che il giudice penale abbia pronunciato una decisione in primo grado- l’azione civile può svilupparsi senza subire sospensioni, parallelamente allo svolgersi del processo penale. Una eventuale assoluzione dell’imputato nel processo penale non ha la forza del giudicato e cioè non vincola il giudice civile né gli impedisce di condannare l’imputato- convenuto al risarcimento del danno. - restare inerte , non esercitare l’azione risarcitoria né in sede penale né in sede civile. In questo caso corre il rischio che il giudice penale assolva l’imputato con una formula ampia che acquista la forza del giudicato GLI ENTI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI DAL REATO L’ente rappresentativo di interessi lesi dal reato è un soggetto che si può qualificare come “persona offesa di creazione politica”; esso può esercitare in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato; quindi il difensore che rappresenta l’ente può partecipare all’udienza preliminare e al dibattimento e in tale sede può chiedere al presidente di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame incrociato e può anche chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova. Da ciò si ricava che l’ente è un “soggetto” del procedimento, che si colloca come accusatore a fianco del p.m., senza poter esercitare né l’azione penale né l’azione civile (cioè non può diventare “parte”). Il codice lascia aperta la strada alla possibilità che, in base a future leggi, enti esponenziali di interessi lesi intervengano nel procedimento penale, ma ancora tale possibilità a rigidi requisiti: - si richiede che l’ente collettivo sia riconosciuto in forza di legge e che tale riconoscimento sia intervenuto anteriormente alla commissione del reato - si impone che l’ente sia rappresentativo, cioè abbia come finalità la tutela dell’interesse (collettivo o diffuso) leso dal reato - si richiede il consenso della persona offesa dal reato, se essa sia identificabile; essa può prestare il proprio consenso ad un solo ente e può revocare il consenso con il limite che, in caso di revoca, il consenso non potrà più essere prestato né allo stesso ente né ad altri enti. IL RESPONSABILE CIVILE Il responsabile civile è il soggetto obbligato a risarcire il danno causato dall’autore del reato; il codice di procedura penale fa riferimento all’istituto civilistico della responsabilità civile per un fatto altrui quindi il responsabile civile è un soggetto che non ha partecipato al compimento dell’illecito penale, ma è chiamato a risarcire il danno provocato dalla persona che ha commesso tale fatto illecito. Esso può essere citato nel processo penale a richiesta della parte civile oppure può intervenire volontariamente quando vi è stata costituzione di parte civile. È un soggetto che non ha partecipato al compimento dell’illecito penale ma è chiamato a risarcire il danno provocato dalla persona che ha commesso tale fatto illecito. Il codice prevede singole ipotesi di responsabilità per fatto altrui; in tali casi il responsabile civile è obbligato in solido con l’imputato al risarcimento del danno ( padroni e committenti/ la compagnia assicurativa) Il responsabile civile è parte fin dal momento in cui è stato citato o è intervenuto volontariamente,; si tratta però di una parte eventuale del processo penale in quanto la sua presenza richiede: - in primo luogo che il danneggiato si sia costituito parte civile - in secondo luogo che il responsabile civile sia stato citato o sia intervenuto volontariamente LA PERSONA CIVILMENTE OBBLIGATA PER LA PENA PECUNIARIA Si tratta di una particolare forma di responsabilità verso lo Stato a carico di un soggetto diverso dall’autore del reato: la responsabilità è civile (cioè attiene al pagamento di una somma di denaro) ma la fonte è la condanna penale alla multa o all’ammenda; tuttavia si tratta di una responsabilità sussidiarie ed eventuale per il caso dell’insolvibilità del condannato in relazione al pagamento della multa o dell’ammenda; essa infatti si attiva quando l’autore del reato, che sia stato condannato e sottoposto ad esecuzione per una pena pecuniaria (multa o ammenda), sia insolvibile; in tale caso l’obbligo di pagare la multa o l’ammenda è posto a carico della persona fisica o giuridica indicata dagli articoli 196 e 197 c.p.: - ex articolo 196 sono le persone che sono rivestite di autorità, direzione o vigilanza sull’autore del reato, se si tratta di violazioni di disposizioni che esse erano tenute a far osservare - ex articolo 197 sono gli enti forniti di personalità giuridica, responsabili qualora sia pronunciata condanna contro chi ne abbia la rappresentanza o l’amministrazione o nei sia dipendente, quando si tratta di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole ovvero sia commesso nell’interesse della persona giuridica. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria è una “parte eventuale” del processo penale: essa è citata a richiesta del p.m. o dell’imputato. GLI ENTI RESPONSABILI IN VIA AMMINISTRATIVA PER I REATI COMMESSI DA LORO RAPPRESENTANTI O DIRIGENTI In seguito al d.lgs. 231/2001 il processo penale può avere come oggetto eventuale, oltre alla responsabilità civile per danni derivanti da reato, anche la responsabilità amministrativa dell’ente giuridico; questa responsabilità è attribuita alle persone giuridiche ed alle società ed associazioni in relazione ai reati commessi, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente medesimo o che ne assumono, anche di fatto, la gestione e il controllo; o ancora, da persone in posizione subordinata in caso di omesso controllo da parte dei soggetti in posizione apicale. Responsabilità limitata a reati espressamente elencati dalla legge : delitti di concussione e corruzione, delitti di indebita percezione di erogazioni, di truffa in danno dello stato, frode informatica. Nei procedimenti per determinati reati previsti nel decreto il p.m. cita l’ente in qualità di parte; l’ente che intende partecipare attivamente al procedimento penale si costituisce con una dichiarazione scritta che deve contenere, a pena di inammissibilità, la propria denominazione e le generalità del legale rappresentante, il nome il cognome del difensore, l’indicazione della procura, la sottoscrizione del difensore e l’elezione del domicilio. GLI ATTI Viene tradizionalmente definito “atto del procedimento penale” quell’atto che è compiuto da uno dei soggetti ( giudice, p.m., polizia giudiziaria, parti private) e che è finalizzato alla pronuncia di un provvedimento penale. (sentenza, ordinanza o decreto). Rientrano nel concetto di atto sia gli atti delle indagini preliminari che sono compiuti in una fase preprocessuale sia gli atti dell’udienza preliminare e del giudizio che fanno parte del processo penale. Il primo atto del procedimento penale è quello che segue la ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del p.m. La forma degli atti: - Atti a forma vincolata. Gli atti più importanti del procedimenti penale hanno una forma vincolata; il libro secondo prevede i “modelli legali” che sono prefissati in via generale per gli atti del procedimento, mentre nei libri successivi vi sono “modelli legali” speciali che sono previsti per singoli tipi di atti. Il rispetto delle forme legali è una delle garanzie poste a tutela dei soggetti che sono implicati nel procedimento penale. Art 125 la legge stabilisce i casi nei quali l provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell’ordinanza o del decreto - Atti a forma libera. Quando il codice non impone una forma vincolata, l’atto ha una forma libera. Art 125 tutti gli altri provvedimenti del giudice sono adottati senza formalità anche oralmente. La lingua degli atti. Gli atti del procedimento sono compiuti in lingua italiana; davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali. Sottoscrizione degli atti. Quando è richiesta la sottoscrizione di un atto, se la legge non dispone altrimenti, è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell'atto, del nome e cognome di chi deve firmare. Non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa annotazione in fine dell'atto medesimo. Data e luogo di formazione degli atti. Quando la legge richiede la data di un atto, sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente descritta. Se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità , questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi. Copie estratti e certificati. Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti. Sulla richiesta provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del collegio o il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza. Il rilascio non fa venire meno il divieto di pubblicazione stabilito dall'articolo 114. Quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudiziaria atti o documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito, anche in calce ad una copia. Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del pubblico ministero. Quando è necessario per il compimento delle proprie indagini, il pubblico ministero può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al segreto investigativo, copie di atti relativi ad altri procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. L'autorità giudiziaria provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato. Il procuratore nazionale antimafia, nell'ambito delle funzioni previste dall'articolo 371-bis, accede al registro delle notizie di reato e alle banche dati istituite appositamente presso le direzioni distrettuali antimafia realizzando se del caso collegamenti reciproci. Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del ministro dell'interno. Il ministro dell'interno, direttamente o a mezzo di un ufficiale di polizia giudiziaria o del personale della Direzione investigativa antimafia appositamente delegato, può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al segreto investigativo, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, ritenute indispensabili per la prevenzione dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Ai medesimi fini l'autorità giudiziaria può autorizzare i soggetti delegati dal ministro dell’interno all'accesso diretto al registro delle notizie di reato. L'autorità giudiziaria provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato. Partecipazione del sordo, muto o sordomuto ad atti del procedimento. Quando un sordo, un muto o un sordomuto vuole o deve fare dichiarazioni, al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto; al sordomuto si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. Se il sordo, il muto o il sordomuto non sa leggere o scrivere, l'autorità procedente nomina uno o più interpreti, scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui. Testimoni ad atti del procedimento. Determinate persone possono assistere ad atti del procedimento penale (in quanto persone di fiducia di uno dei soggetti interessati allo svolgimento del relativo atto, del quale garantiscono la regolarità e sul quale possono essere chiamate a testimoniare); ciò avviene per l’ispezione personale, per la perquisizione personale e locale. Non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento: a) i minori degli anni quattordici e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. La capacità si presume sino a prova contraria; b) le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione. Obbligo di osservanza delle norme processuali. I magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a osservare le norme di questo codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale. I dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare. GLI ATTI DEL GIUDICE Gli atti del giudice sono la sentenza, l’ordinanza e il decreto: - la sentenza è l’atto con cui il giudice adempie al dovere di decidere, che gli è posto a seguito dell’esercizio dell’azione penale; la sentenza esaurisce una fase o un grado del processo; con essa il giudice si spoglia del caso. Se una parte impugna la sentenza, un altro giudice esaminerà successivamente il caso e questo fino a che sarà pronunciata una sentenza irrevocabile. Dal punto di vista della forma, la sentenza deve essere sempre motivata (cioè deve dare conto del processo logico seguito dal giudice per giungere alla decisione); l’obbligo della motivazione è posto direttamente dalla Costituzione (111.6) e ripetuto dal codice, che prevede la sanzione della nullità (relativa) per l’eventuale inosservanza. - l’ordinanza è il provvedimento col quale il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento; essa deve essere sempre motivata a pena di nullità; di regola, è revocabile dal giudice. Es. con ordinanza il giudice accoglie o respinge la domanda di ammissione di un mezzo di prova. - il decreto è un “ordine” dato dal giudice; deve essere motivato solo se la legge lo precisa espressamente. Singole norme del codice prescrivono quando il provvedimento del giudice assume la forma dell’ordinanza o del decreto. È difficile enunciare un criterio generale di distinzione, poiché anche il decreto risolve singole questioni senza chiudere in modo definitivo il procedimento. L’ordinanza è emessa dopo che si è svolto il contraddittorio fra le parti; il decreto è pronunciato in assenza del medesimo. Il decreto è un tipo di atto che può essere emesso oltre che dal giudice anche dal p.m. nei casi previsti dal codice ( es. sequestro del corpo del reato) può disporre che, in caso d’urgenza, le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Sono previste forme equipollenti alla notifica: - la consegna di copia dell’atto all’interessato da parte della cancelleria - la lettura dei provvedimenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice agli interessati che siano presenti Notificazioni disposte dal p.m. Le notificazioni di atti del p.m. nel corso delle indagini preliminari sono eseguite dall’ufficiale giudiziario ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. Sono previste forme equipollenti: - la consegna di copia dell’atto da parte della segreteria - la lettura di provvedimenti e avvisi in presenza degli interessati Notificazioni chieste dalle parti private. Le parti private possono effettuare le notificazioni di loro interesse secondo le regole ordinarie (richiesta all’ufficiale giudiziario), oppure valersi di una modalità semplificata (invio di copia dell’atto da parte del difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento) I destinatari delle notificazioni Notificazioni al p.m. Le notificazioni al p.m. sono eseguite nel modo ordinario ovvero direttamente dalle parti mediante consegna di copia dell’atto alla segreteria; allo stesso modo vengono notificati gli atti e i provvedimenti del giudice, a cura della cancelleria. Notificazioni al difensore. Le notificazioni al difensore possono essere eseguite nel modo ordinario; tuttavia una forma semplificata può essere disposta sia dal giudice sia dal p.m.: l’autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. Notificazioni all’imputato detenuto . Le notificazioni all’imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona; se questa si rifiuta di ricevere l’atto o non è comunque possibile la consegna diretta, l’atto è consegnato al direttore dell’istituto. Notificazioni all’imputato o all’indagato non detenuto. Per rendere più celere ed agevole l’attività di notificazione all’indagato ed all’imputato non detenuto, il codice disciplina la dichiarazione o l’elezione di domicilio: nel primo atto compiuto con l’intervento dell’imputato o dell’indagato, l’autorità procedente lo invita a dichiarare o eleggere il proprio domicilio: - dichiarare il domicilio significa indicare quel luogo, ove l’imputato abita o lavora, nel quale gli atti saranno a lui notificati - eleggere il domicilio comporta l’indicazione di un domiciliatario, cioè di una persona differente dall’imputato che viene da lui scelta per ricevere copia degli atti da notificare L’imputato è avvertito che, ove egli si rifiuti di ottemperare alla dichiarazione o elezione o successivamente ometta di comunicare un eventuale mutamento del domicilio dichiarato o eletto, le notificazioni saranno eseguite mediante consegna al difensore. Nel caso in cui non sia stato possibile invitare l’imputato a dichiarare o eleggere il domicilio, il codice distingue tra la prima notificazione e le successive notificazioni: Prima notificazione all’imputato non detenuto: - di regola la prima notificazione è eseguita mediante consegna di copia alla persona (c.d. consegna a mani proprie); - se non è possibile la consegna a mani proprie, la notificazione avviene nel luogo in cui l’imputato è reperibile (cioè nella sua abitazione o nel luogo di lavoro, se conosciuti); se tali luoghi non sono conosciuti, la notificazione avviene ove l’imputato ha temporanea dimora o recapito; nei predetti luoghi la notificazione è eseguita mediante consegna di copia dell’atto ad una persona che conviva anche temporaneamente con l’imputato o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. - se non è possibile consegnare la copia alle predette persone, si procede a nuova ricerca e in caso negativo la notificazione è effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale di abituale residenza o lavoro, con affissione dell’avviso di deposito alla porta della casa di abitazione o del luogo di lavoro; l’avvenuto deposito è altresì comunicato all’imputato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento - nell’ipotesi in cui, malgrado l’attivazione delle modalità sopra indicate, non sia comunque possibile effettuare la notificazione all’imputato perché questi non è reperibile, il giudice o il p.m. devono disporre nuove ricerche dell’imputato particolarmente nel luogo di nascita, dell'ultima residenza anagrafica, dell'ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l'amministrazione carceraria centrale; qualora non sia possibile rintracciare l’imputato, il giudice o il p.m. emettono un decreto di irreperibilità: con tale provvedimento viene designato un difensore all’imputato che ne sia privo e viene ordinato che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, che rappresenta l’irreperibile. Successive notificazioni all’imputato non detenuto: esse sono eseguite in relazione all’esito della prima notificazione e quindi rispettivamente - nel domicilio indicato o eletto - nel luogo in cui è stata effettuata la prima notificazione - presso il difensore, se l’imputato è stato dichiarato irreperibile Notificazioni all’imputato all’estero. Se risulta dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero della persona nei cui confronti si deve procedere, il giudice o il pubblico ministero le invia raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l'indicazione della autorità che procede, il titolo del reato e la data e il luogo in cui è stato commesso nonché l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Se nel termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata non viene effettuata la dichiarazione o l'elezione di domicilio ovvero se la stessa è insufficiente o risulta inidonea, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Quando dagli atti risulta che la persona nei cui confronti si deve procedere risiede o dimora all'estero, ma non è nota la residenza o la dimora dell’imputato, il giudice o il pubblico ministero, prima di pronunciare decreto di irreperibilità, dispone le ricerche anche fuori del territorio dello Stato nei limiti consentiti dalle convenzioni internazionali. Le notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile, al civilmente obbligato per la pena pecuniaria e agli altri soggetti. Le notificazioni alla persona offesa e agli altri soggetti diversi dalle parti private (es. testimoni e consulenti tecnici), nonché la prima citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono eseguite con le modalità della prima notificazione all’imputato non detenuto, e cioè mediante consegna di copia alla persona. In caso di pluralità di persone offese il p.m. o il giudice possono disporre con decreto che la notificazione sia eseguita mediante pubblici annunzi Le notificazioni alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato, già costituiti in giudizio, sono eseguite presso i difensori. Il codice prevede una serie di nullità speciali relative alla notificazione, si tratta di quelle ipotesi nelle quali non sono state osservate determinate formalità prescritte dalla legge. LA TRADUZIONE DEGLI ATTI: L’INTERPRETE La materia è regolamentata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che pone tre garanzie in favore dell’accusato che non comprende la lingua del processo: 1) il diritto di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico 2) il diritto, spettante ad ogni persona che non comprenda o non parli la lingua impiegata in udienza, di farsi assistere gratuitamente da un interprete 3) il diritto, spettante, specificamente all’arrestato, di essere informato dei motivi dell’arresto Tale normativa è stata recepita nell’articolo 111 comma III Cost. con l’enunciato generale secondo cui l’accusato deve essere assistito da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il c.p.p. a sua volta prevede le due funzioni dell’interprete: - quella tradizionale di tradurre per il giudice gli atti processuali: essa impone la nomina dell’interprete quando occorre tradurre per l’autorità procedente un documento scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile o quando la persona che vuole fare o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana (quindi la persona offesa, la parte civile e le altre parti processuali beneficiano soltanto della funzione tradizionale dell’interprete) - quella innovativa, consistente nel rendere comprensibili per le parti e soprattutto per l’imputato lo svolgersi del procedimento penale: l’imputato che non conosce la lingua italiana ha il diritto di farsi assistere dall’interprete sotto due profili: 1) al fine di comprendere l’accusa contro lui formulata; sotto questo profilo gli atti scritti che costituiscono veicolo dell’addebito devono essere tradotti nella lingua conosciuta dall’imputato 2) al fine di seguire il compimento degli atti ai quali partecipa; sotto questo secondo profilo deve essere assicurato l’interprete per quegli atti orali ai quali l’imputato partecipa Situazioni di incompatibilità: innanzi tutto non può svolgere il ruolo di interprete colui che è incompatibile come teste; poi l’interprete è incompatibile con il ruolo di testimone, perito, consulente tecnico e più in generale con tutte quelle persone che hanno la facoltà di astenersi dal testimoniare (quali il prossimo congiunto dell’imputato ed il titolare di un segreto professionale). La prestazione dell’ufficio è obbligatoria; in caso di mancata prestazione può essere disposto l’accompagnamento coattivo dell’interprete. LE CAUSE DI INVALIDITÀ DEGLI ATTI Il codice prevede dettagliatamente i requisiti formali che devono avere i singoli atti del procedimento penale, che danno luogo al “modello legale” del singolo atto: L’atto perfetto è quello che è conforme al modello descritto dalla norma processuale; esso è valido e produce gli effetti giuridici previsti dalla legge, primo fra tutti quello di essere utilizzato dal giudice nella decisione L’atto che non è conforme al modello legale può essere invalido o meramente irregolare. ∗ è irregolare se la difformità dal modello legale non rientra in una delle cause di invalidità che sono previste dalla legge; pertanto l’atto irregolare è valido e quindi il giudice potrà tenerne conto ai fini della decisione. ∗ è invalido quando la singola difformità rientra in uno dei quattro casi di invalidità previsti da codice, e cioè quando la singola inosservanza di legge è prevista come causa di decadenza, di inammissibilità, di nullità o di inutilizzabilità; L’atto invalido: le cause di invalidità previste dal codice sono 4: 1) inammissibilità che impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta presentata da una parte quando la richiesta stessa non ha i requisiti previsti dalla legge 2) la decadenza comporta invalidità dell’atto che sia stato eventualmente compiuto dopo che è scaduto un termine perentorio 3) la nullità è un vizio di determinate disposizioni stabilite espressamente dalla legge appunto a pena di nullità 4) l’inutilizzabilità è una invalidità che colpisce direttamente il valore probatorio di un atto: il giudice non può basarsi su di esso per emettere una decisione Principio di tassatività nella materia in esame vige uno stretto principio di tassatività: l’inosservanza della legge processuale è causa di invalidità solo quando una norma espressamente vi ricollega una delle invalidità appena citate. Se l’inosservanza non rientra in una previsione generica o specifica di invalidità, l’atto è meramente irregolare. Il principio di tassatività è dettato specificamente per la nullità e per la decadenza; tuttavia esso è desumibile dall’intero sistema delle cause di invalidità. È ricavabile dalla legge delega 81/87 che ha stabilito la previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali fino alla nullità insanabile. Nel far ciò il legislatore ha tenuto conto della circostanza che gli effetti derivanti dalla invalidità sono particolarmente pesanti, perché impediscono al giudice di ricavare dall’atto risultati utili per la decisione; ciò compromette l’accertamento del fatto storico , quando l’atto viziato non è rinnovabile. Per tali motivi il legislatore ha fatto prevalere le esigenze di certezza nell’individuare le inosservanze che danno luogo alla invalidità in modo che si sappia con sicurezza se un atto è valido o meno. L’inammissibilità L’inammissibilità è una causa di invalidità che impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta avanzata da una parte effettiva o potenziale del procedimento, quando la richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla legge a pena di inammissibilità. Il requisito può riguardare: - il tempo entro il quale deve essere compiuto l’atto - il contenuto dell’atto - un aspetto formale - la legittimazione al compimento dell’atto. L’inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione di parte od anche d’ufficio; quando il giudice rileva l’inammissibilità dichiara l’inammissibilità della domanda (con ordinanza o sentenza) e non decide sul merito delle stessa. Per quanto riguarda il termine entro il quale la domanda deve essere dichiarata inammissibile, di regola il giudice può rilevare tale invalidità fino a che la sentenza sia divenuta irrevocabile salvo che non sia previsto espressamente un termine anteriore. La decadenza e la restituzione nel termine La decadenza denota la perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine perentorio. Gli strumenti che impongono una determinata cadenza al procedimento sono denominati termini. Classificazione termini: 1) in realzione alle conseguenze che la legge collega alla loro inosservanza Sono denominati termini perentori quelli che prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo; superato tale periodo, il soggetto decade dal potere di compierlo validamente per cui l’atto eventualmente compiuto oltre il termine perentorio è giuridicamente invalido. I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge. I termini perentori non possono essere prorogati salvo che la legge disponga altrimenti. preliminare devono essere eccepite subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio); le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio ovvero gli atti preliminari al dibattimento devono essere eccepite subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio; le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza. - sono sanabili. Il limite di deducibilità (istituto relativo alle nullità intermedie ed assolute) dà luogo ad un difetto di legittimazione della parte, di modo che quest’ultima trova un ostacolo ad eccepire la nullità; in particolare • le nullità intermedie e quelle relative non possono essere eccepite - da colui che vi ha dato o ha concorso a darvi causa; - da colui che non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. • quando una parte assiste ad un atto, la nullità dello stesso deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se non è possibile, immediatamente dopo (quando la parte non assiste al compimento dell’atto valgono gli ordinari limiti temporali per eccepire e rilevare le nullità intermedie e relative La sanatoria (istituto anch’esso relativo alle nullità intermedie ed assolute) è quel fatto giuridico ulteriore e successivo rispetto all’atto viziato che affiancato a quest’ultimo lo rende equivalente all’atto valido; quindi la sanatoria, se si verifica, impedisce a qualsiasi parte di eccepire e al giudice di rilevare la nullità dell’atto; il codice distingue tra sanatorie generali e speciali. Le sanatorie generali si applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo (non si applicano alle nullità generali per espressa disposizione del 179 comma I); le cause di sanatoria generale sono le seguenti: - la nullità è sanata se la parte interessata a rinunciato espressamente ad eccepire la nullità ovvero ha accettato gli effetti dell’atto anche tacitamente (si tratta di una forma di acquiescenza tipizzata) - la nullità è sanata quando la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato La sanatoria speciale riguarda la nullità di citazioni, avvisi e notificazioni; la nullità di una citazione (o di un avviso o delle relative comunicazioni o notificazioni) è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire; la comparizione deve essere personale e volontaria, ma non occorre che sia accompagnata dalla consapevolezza del vizio che si è verificato La dichiarazione di nullità: il giudice dichiara la nullità di un atto quando, nel caso concreto, non vi sono limiti di deducibilità né si sono verificate sanatorie applicabili al quel tipo di nullità; si pongono a questo punto due problemi: 1) l’estensione della nullità: l’invalidità colpisce l’atto non conforme al modello legale; inoltre ex articolo 185 comma I la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (quindi la nullità si estende soltanto agli atti che siano successivi e dipendenti dall’atto viziato, in senso logico e giuridico); l’estensione della nullità produce effetti gravi quando il vizio colpisce un atto propulsivo del procedimento, cioè un atto di impulso che deve necessariamente essere compiuto perché il procedimento possa validamente proseguire: infatti ove tale atto sia dichiarato nullo, risultano travolti tutti quelli compiuti successivamente 2) la rinnovazione dell’atto nullo: ex articolo 185 comma II il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave; la rinnovazione non è possibile quando l’atto è all’origine non ripetibile o lo è diventato successivamente. Il codice pone una distinzione quando la nullità è dichiarata in uno stato o grado del processo diverso da quello in cui la stessa si è verificata: - se si tratta di una prova, il medesimo giudice provvede alla rinnovazione se necessaria e possibile. - se non si tratta di una prova (ma ad esempio di un atto propulsivo, la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito. L’inutilizzabilità Il termine inutilizzabilità descrive due aspetti del medesimo fenomeno: da un lato il “vizio” da cui può essere affetto un atto o un documento, da un altro lato il “regime giuridico” al quale l’atto viziato è sottoposto. l’inutilizzabilità è quel tipo di invalidità che colpisce non l’atto in se, ma il suo “valore probatorio”: l’atto pur valido dal punto di vista sostanziale è colpito nel suo aspetto sostanziale, poiché l’inutilizzabilità impedisce ad esso di produrre il suo effetto principale, che è quello di essere posto a fondamento di una decisione del giudice oppure di un atto del pubblico ministero o della polizia giudiziaria. Inutilizzabilità assoluta e relativa: - l’inutilizzabilità è assoluta quando il giudice non può basarsi su di esso per emettere un qualsiasi provvedimento; - l’inutilizzabilità è relativa quando la legge indica le persone nei confronti delle quali non può essere utilizzato un determinato atto o la categoria di provvedimenti che non possono basarsi su tale atto. Inutilizzabilità speciale e generale: - si ha inutilizzabilità speciale (disciplinata nella species) quando una norma del codice commini espressamente tale sanzione per il mancato rispetto delle condizioni previste per l’acquisizione di una determinata prova - l’inutilizzabilità generale si riferisce a categorie di inosservanze delineate nel genere Vi è poi una fondamentale distinzione tra due tipi di inutilizzabilità: 1 - quella patologica, che consegue ad alcuni dei vizi più gravi del procedimento probatorio 2 - quella fisiologica, deriva invece dall’inosservanza del principio della separazione delle fasi del procedimento e tende ad evitare che siano utilizzate per la decisione prove raccolte dalle parti in modo unilaterale. 1L’inutilizzabilità patologica di tipo generale è disciplinata dal 191 comma I: Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. Il divieto idoneo a provocare inutilizzabilità patologica deve essere quello che è previsto da una norma processuale. L’inutilizzabilità è la conseguenza dell’aver acquisito una prova violando un “divieto probatorio” che può essere: - relativo all’an: il giudice ha esercitato nella acquisizione di una proba un “potere” che la legge processuale vietava; soltanto se dalla norma processuale è ricavabile con certezza un vero e proprio divieto probatorio è possibile applicare l’articolo in questione; occorre che in base ad una determinata disposizione sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere di ammettere, assumere o valutare quella determinata prova. - relativo al quomodo: è stata violata un semplice “modalità” di assunzione di una prova; tuttavia la prova diventa inutilizzabile solo se tale sanzione è prevista espressamente dalla legge come conseguenza della violazione di quella modalità di assunzione (casi di inutilizzabilità speciale); viceversa le modalità di assunzione non espressamente poste a pena di inutilizzabilità non sono idonee a fare scattare tale sanzione ove siano violate. Circa il regime giuridico, in base all’articolo 191 comma II l’inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento; inoltre l’inutilizzabilità non può essere sanata (e ciò perché l’atto è stato compiuto esercitando un potere vietato dalla legge processuale) e non è possibile procedere alla rinnovazione (e ciò per la stessa struttura logica del vizio, che consiste nella violazione di un divieto probatorio). Divieti probatori impliciti Ci si è chiesti se siano configurabili divieti probatori impliciti. Divieti che non sono direttamente ricavabili dalla norma che disciplina una determinata prova ma discendono dai principi generali del sistema. Possono esistere ipotesi nelle quali il legislatore non ha sancito un divieto probatorio espresso o cmq ricavabile dal linguaggio legislativo e tuttavia appare necessario sanzionare con l’inutilizzabilità l’acquisizione di determinati elementi. In tali casi la individuazione di divieti probatori impliciti potrebbe essere idonea ad assicurare la tutela di un bene giuridico di importanza fondamentale. La prova incostituzionale Con tale espressione si indicano quegli elementi di prova che vengono acquisiti con modalità non disciplinate dal codice di rito e lesive dei diritti fondamentali dell’individuo costituzionalmente tutelati. Una parte della dottrina ritiene che le prove assunte in violazione dei diritti fondamentali siano inutilizzabili sul rilievo che nel concetto di legge rientra anche la carta fondamentale. Nel momento in cui riconosce come inviolabili alcuni diritti fondamentali dell’individuo stabilendo che eventuali limitazioni sono consentite nei soli casi e modi stabiliti dal legislatore ordinario, la costituzione fissa altrettanti divieti probatori. L’inutilizzabilità derivata Se la illegittimità di una prova si estende ad un'altra prova il cui reperimento sia stato determinato dalla prima. Caso della perquisizione illegittima seguita da sequestro. Un primo orientamento dice che l’inutilizzabilità derivata non esiste perché in materia di inutilizzabilità non vi è una norma espressa che la commina. Secondo un differente indirizzo il nesso funzionale di dipendenza tra perquisizione e sequestro comporta l’estensione della inutilizzabilità alla prova successivamente reperita. 2Circa l’inutilizzabilità fisiologica, alcune norme del codice prevedono l’inutilizzabilità di determinate categorie di atti non perché questi siano stati compiti in violazione di un divieto probatorio, ma soltanto perché sono stati acquisiti prima del dibattimento. Si tratta di un uso improprio della nozione di inutilizzabilità in situazioni che non sono patologiche bensi sono fisiologiche: l’atto è stato compiuto regolarmente ed è utilizzabile nelle indagini e nell’udienza preliminare. Poiché non è stato compiuto in contraddittorio, diventa inutilizzabile in dibattimento. Il codice pone la regola in base alla quale il giudice può utilizzare ai fini della deliberazione soltanto le prove legittimamente acquisite nel dibattimento. L’atto inesistente Dottrina e giurisprudenza hanno creato un’ulteriore causa di invalidità chiamata “inesistenza per porre un rimedio a quelle violazioni della legge processuale che non sono state espressamente previste dal legislatore proprio a causa della loro eccezionalità. la inesistenza di una sentenza impedisce che si formi il giudicato, di modo che il giudice può rilevare tale vizio anche dopo che la sentenza sia diventata irrevocabile, e cioè non più impugnabile. Fra i casi di inesistenza, comunemente riconosciuti, possiamo ricordare i seguenti: - la carenza di potere giurisdizionale del giudice (ad es., sentenza penale emessa dal prefetto); - la sentenza pronunciata contro un imputato totalmente incapace perché coperto dall’immunità o nei confronti di persona inesistente. L’atto non esiste in senso giuridico; la sentenza inesistente non può giuridicamente diventare irrevocabile. L’inesistenza della sentenza può essere rilevata dal giudice anche dopo che la sentenza è diventata apparentemente irrevocabile. L’atto abnorme La giurisprudenza ha creato l’ulteriore diversa categoria del provvedimento abnorme, che può essere sottoposto a ricorso per cassazione prima dell’irrevocabilità della sentenza. È affetto da abnormità - il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale( abnormità strutturale), es. quando il p.m. ha chiesto al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione perché è ignoto l’autore del reato e il giudice ordina al p.m. di formulare l’imputazione - quel provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste e determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo ( abnormità funzionale). Es. quando il p.m. ha chiesto al giudice dell’udienza preliminare il rinvio a giudizio e questi dispone l’archiviazione Il provvedimento giudiziario abnorme è ricorribile per cassazione, applicandosi direttamente il 111.7 Cost. (Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra). Riepilogo Il vizio dell’inesistenza fa eccezione sia la principio di tassatività delle invalidità sia alla regola del giudicato. L’inesistenza può essere fatta valere anche dopo che apparentemente la sentenza è diventata irrevocabile Il vizio di abnormità fa eccezione soltanto al principio di tassatività delle invalidità e non ala regola del giudicato. L’abnormità dell’atto deve essere fatta valere nei termini del ricorso per cassazione con decorrenza dalla conoscenza effettiva dell’atto. PRINCIPI GENERALI SULLA PROVA Il codice del 1988 ha accolto, sia pure con temperamenti, la scelta del sistema accusatorio, i poteri del giudice e delle parti sono distribuiti in vario modo nelle fasi di ricerca, ammissione, assunzione e valutazione della prova: al giudice è riservato il potere di decidere; alle parti è attribuito il potere di ricercare le prove, di chiederne l’ammissione, di contribuire alla formazione delle stesse. Il ragionamento del giudice Il giudice prima accerta se è avvenuto il fatto storico che è stato addebitato all’imputato e se questi ne è responsabile; poi interpreta la norma incriminatrice al fine di ricavarne quale è il fatto tipico punibile; infine, valuta se il fatto storico, che ha accertato, è “conforme” al fatto tipico previsto dalla legge. La decisione è stata definita un sillogismo: il fatto storico, ricostruito attraverso le prove è la premessa minore, la norma penale incriminatrice è la premessa maggiore, la conclusione consiste nel valutare se il fatto storico rientra nella norma incriminatrice. Dal punto di vista formale, la decisione pronunciata dal giudice si presenta come una “sentenza”. Essa è composta da una motivazione e da un dispositivo: - nella motivazione il giudice, in base alle prove che sono state acquisite nel corso del processo, ricostruisce il fatto storico commesso dall’imputato (motivi “in fatto”); quindi interpreta la legge e individua il “fatto tipico” previsto dalla norma penale incriminatrice (“motivi “in diritto”); infine valuta se il fatto storico rientra nel fatto tipico (giudizio di conformità). - nel dispositivo il giudice trae le conseguenze dal giudizio di conformità: se il fatto storico commesso dall’imputato è conforme al fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice, il giudice condanna; se il fatto storico non è conforme al fatto tipico, il giudice assolve l’imputato con una delle formule previste dal codice. Contenuto logico dei tre momenti della decisione: - successivamente spetta all’imputato, al fine di confutare le tesi dell’accusa, ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte o della inattendibilità dell’elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente. b) L’AMMISSIONE DELLA PROVA. L’ammissione del singolo mezzo di prova, di regola, deve essere chiesta dalle parti al giudice (principio di dispositivo in materia probatoria); il giudice deve provvedere sulla richiesta di ammissione senza ritardo con ordinanza motivata; ciò significa che egli deve motivare le’eventuale rigetto della richiesta e soprattutto deve provvedere subito, senza poter riservarsi di decidere successivamente sull’ammissione (ciò perché le parti hanno il diritto di affrontare l’istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di cui possono disporre). Il giudice decide di ammettere la prova in base a quattro criteri. 1) la prova deve essere pertinente, cioè essa deve tendere a dimostrare l’esistenza del fatto storico enunciato nell’imputazione o l’esistenza di uno dei fatti indicati nell’articolo 187: “Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato” 2) la prova non deve essere vietata dalla legge 3) la prova non deve essere superflua, cioè non deve tendere ad ottenere un risultato conoscitivo già acquisito. 4) la prova deve essere rilevante, e cioè tale che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare. Non occorre che la rilevanza o non superfluità siano certe è sufficiente il dubbio e cioè la non manifesta irrilevanza o superfluità Il diritto alla prova contraria: ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall’accusa, l’imputato ha il diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; il medesimo diritto spetta al p.m. in ordine alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico; quindi il codice prevede che la prova contraria sia sempre pertinente. La garanzia costituzionale: il diritto alla prova contraria è riconosciuto dalla costituzione all’art. 111 (III) che con riferimento al solo imputato proclama il diritto di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Limiti al diritto all’ammissione della prova: il diritto di ottenere l’ammissione della prova di tipo dichiarativo è stato limitato nelle ipotesi di imputazione avente ad oggetto il delitto di associazione mafiosa, delitti ad esso collegati o alcuni reati in materia di violenza sessuale e di pedofilia; se la persona che una parte vuole sentire in dibattimento ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio l’esame è ammesso soltanto in due casi: 1) se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni 2) se il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze Poteri di iniziativa probatoria del giudice: nella fase dell’ammissione della prova il giudice, di regola, non può assumere un mezzo di prova d’ufficio e ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova chiesto da una delle parti; la legge tuttavia prevede dei casi in cui le prove sono ammesse d’ufficio, in deroga al principio dispositivo in materia probatoria; ad esempio nel corso del dibattimento il giudice, se risulta assolutamente necessario, ha un potere di supplenza della inerzia delle parti e può disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova c) L’ASSUNZIONE DELLA PROVA. L’assunzione della prova avviene, se si tratta di dichiarazioni, col metodo dell’esame incrociato; spetta alle parti (al p.m. e ai difensori) il compito di rivolgere le domande al dichiarante; il presidente ha il potere di porre domande soltanto dopo che le parti hanno concluso l’esame incrociato e successivamente alla domande poste dal giudice le parti possono riprendere l’esame. Art 188 c.p.p.: non possono essere utilizzati neppure con il consenso della persona interessata metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti L’acquisizione della prova. Il termine acquisizione riferito alla prova è utilizzato in due significati: - in senso stretto il termine acquisizione indica l’ammissione della prove precostituita, cioè formata prima o fuori del dibattimento - in senso lato il termine acquisizione è utilizzato per ricomprendere anche l’ammissione della prova non precostituita qual è la dichiarazione d)La VALUTAZIONE DELLA PROVA. Le parti hanno il diritto di argomentare, cioè di offrire al giudice la valutazione degli elementi di prova; ciò avviene al momento della discussione finale, quando le parti illustrano le proprie conclusioni in un ordina che rispetta le cadenze dell’onere della prova (al p.m. seguono i difensori dell’eventuale parte civile e dell’imputato). Al diritto delle parti corrisponde il dovere del giudice di dare una valutazione logica degli elementi di prova raccolti; infatti il codice, per rendere effettivo il diritto alla valutazione, prescrive che il giudice nella sentenza debba indicare le prove poste a base della decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie. Il principio del libero convincimento. Questa espressione significa che il giudice è libero di convincersi, e al tempo stesso, è obbligato a motivare razionalmente in relazione alla attendibilità degli elementi di prova ed alla credibilità delle fonti, nonché in merito all’idoneità di una massima di esperienza o di una legge scientifica a sostenere l’inferenza sulla quale si basano le ricostruzioni dell’accusa e della difesa; tale principio tuttavia deve passare attraverso le norme che disciplinano la valutazione delle prove e la motivazione della sentenza e da ciò deriva che il convincimento del giudice deve consistere in una valutazione razionale delle prove e in una ricostruzione del fatto conforme ai canoni della logica ed aderente alle risultanze processuali. La non configurabilità della prova legale. Nel processo penale non esiste l’istituto della prova legale; quindi la confessione è sempre liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerla non attendibile. L’onere della prova L’articolo 27.2 Cost. dichiara che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva; la presunzione di innocenza è una presunzione legale relativa, cioè valida finché non sia stato dimostrato il contrario; pertanto l’onere della prova ricade sulla parte che sostiene la reità dell’imputato, cioè sul pubblico ministero. L’onere della prova costituisce una regola probatoria, nel senso che individua la parte sulla quale ricadono le conseguenze del non aver convinto il giudice dell’esistenza del fatto affermato (la conseguenza è il rigetto della domanda). L’espressione “onere della prova” può essere intesa in due significati: • in senso sostanziale, l’onere della prova impone alla parte di convincere il giudice dell’esistenza del fatto storico da essa affermato. Art 2697 c.c.: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Provare significa convincere il giudice della esistenza di un fatto storico affermato da una parte. Onere in senso sostanziale per la parte in quanto l’inosservanza dello stesso comporta la situazione svantaggiosa del rigetto della domanda. Se colui che accusa (cioè il p.m. che chiede la condanna) ha provato la reità dell’imputato (cioè gli elementi costitutivi del reato) l’onere della prova può considerarsi soddisfatto; a questo punto incombe sull’imputato l’onere della prova contraria: alla difesa spetta di provare la mancanza di credibilità delle fonti o l’inattendibilità delle prove d’accusa ovvero spetta di dare la prova dell’esistenza di fatti favorevoli alla difesa (ad es. di una causa di giustificazione o di non punibilità); l’imputato può anche provare direttamente che egli non ha tenuto la condotta asserita dall’accusa o che un evento non è avvenuto (si tratta della c.d. prova negativa che tende a dimostrare la fondatezza dell’affermazione che nega l’esistenza di un fatto). • in senso formale, l’onere della prova impone alla parte di chiedere al giudice l’ammissione della prova che reputa utile per adempiere all’onere sostanziale. L’onere formale di introdurre la prova è previsto dall’art 190 c.p.p. secondo cui le prove sono ammesse a richiesta di parte. L’onere di introdurre la prova attribuisce alle parti il compito: a) di ricercale le fonti di prova; b) di valutare la necessità del mezzo di prova al fine di ottenere il risultato vantaggioso; c) di chiedere al giudice l’ammissione del mezzo di prova. Il giudice decide se ammetterlo sulla base dei criteri di pertinenza, rilevanza, non vietata dalla legge, non superfluità della prova. L’onere di convincere il giudice - l’aver soddisfatto l’onere della prova in senso formale non comporta automaticamente l’aver soddisfatto l’onere della prova in senso sostanziale; una parte soddisfa l’onere sostanziale della prova soltanto dopo che ha convinto il giudice dell’esistenza del fatto storico da essa affermato; - a sua volta, la mancata osservanza dell’onere di introdurre un determinato mezzo di prova non comporta inevitabilmente il rigetto della domanda (un’altra parte del processo potrebbe chiedere l’ammissione di quel determinato mezzo di prova, ovvero il giudice potrebbe disporne d’ufficio l’assunzione). Una volta acquisito l’elemento di prova il giudice deve valutare se esso è idoneo a dimostrare l’esistenza di un fatto oggetto di prova, a prescindere dalla circostanza che il mezzo di prova sia stato introdotto dalla parte che aveva l’onere sostanziale della prova di quel fatto ( principio di acquisizione della prova). Terminata l’acquisizione delle prove il giudice se risulta assolutamente necessario può disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova. Esistono particolari tipi di fatti che non necessitano di essere provati: - il fatto notorio, che è un fatto di pubblica conoscenza in un determinato ambito territoriale la cui esistenza è conosciuta dal giudice senza la necessita che le parti chiedano l’ammissione di un determinato messo di prova; occorre naturalmente che il fatto sia indubitabile ed incontestabile. Es. terremoto - il fatto pacifico, che è un fatto di conoscenza non pubblica, affermato da una parte ed ammesso esplicitamente o implicitamente dalla controparte. Es la difesa non contesta che un testimone abbia detto una determinata frase. Il quantum della prova: il c.d. standard probatorio La quantità di prova che è necessaria a convincere il giudice è diversa nel processo civile ed in quello penale: nel processo civile lo standard probatorio è identico per l’attore e per il convenuto e viene di solito indicato con la regola del “più probabile che no”; viceversa nel processo penale colui che accusa ha l’onere di provare la reità dell’imputato in modo da eliminare ogni ragionevole dubbio Fino al 2006 tale standard probatorio è rimasto privo di espressa previsione; infatti l’articolo 530 comma II relativo alla sentenza di assoluzione si limitava a stabilire che il giudice doveva pronunciare sentenza di assoluzione quando era insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persone imputabile, senza che nessuna altra norma espressa prevedesse il parametro in base al quale valutare l’insufficienza o la contraddittorietà della prova d’accusa; tuttavia la giurisprudenza interpretava la norma nel senso che: - le prove d’accusa erano insufficienti quando il p.m. non aveva dimostrato la reità eliminando ogni ragionevole dubbio - le prove d’accusa erano contraddittorie quando, pur essendo prevalenti rispetto alle prove di innocenza, lasciavano residuare uno o più ragionevoli dubbi La legge 46/2006 il Parlamento ha modificato l’articolo 533 comma I relativo alla sentenza di condanna e ha stabilito che il giudice pronuncia sentenza di condanna quando l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio; tale modifica si ripercuote sull’interpretazione della norma relativa alla sentenza di assoluzione, confermando l’interpretazione giurisprudenziale. L’aggettivo ragionevole significa comprensibile da una persona razionale e dunque oggettivabile attraverso una motivazione che faccia riferimento ad argomentazioni logiche, cioè che rispetti il principio della non contraddizione; quindi si può ritenere che: - l’accusa ha adempiuto all’onere della prova quando ogni differente spiegazione del fatto addebitato, basata sulle prove, appare non ragionevole - l’accusa non ha adempiuto all’onere della prova quando le risultanza processuali non sono idonee ad escludere una ragionevole ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa sulla base delle prove acquisite Circa la posizione dell’imputato, il dubbio va a favore dell’imputato anche quando questi abbia l’onere della prove, cioè quando egli deve convincere il giudice dell’esistenza di un fatto favorevole: infatti in base all’articolo 530 comma III “se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione”; quindi l’imputato avrà soddisfatto l’onere della prova e sarà prosciolto se, attraverso la prova delle scriminanti, avrà fatto sorgere nel giudice un dubbio ragionevole sulla propria reità. L’imputato ha l’onere di provare i fatti a se favorevoli, tuttavia non ha quei poteri coercitivi di ricerca delle fonti di prova che nel nostro sistema spettano soltanto al p.m. ed alla polizia giudiziaria. Pertanto allo scopo di far sorgere un ragionevole dubbio potrebbe limitarsi ad asserire l’esistenza di un fatto estintivo, spetterà poi alla’autorità inquirente condurre le indagini per evitare che nel giudice si formi un convincimento favorevole all’imputato. Ambito di applicabilità delle norme sulla prova La collocazione della materia della prova nel libero terzo già di per se costituisce un indice positivo della sua estensibilità a tutto il procedimento ( i primi 4 libri sono parte generale). Il principio di oralità In prima approssimazione al termine oralità si può attribuire il significato di “comunicazione del pensiero mediante la pronuncia di parole destinate ad essere udite”. Si ha oralità in senso pieno solo quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva voce dal dichiarante. Il principio di immediatezza Il principio di immediatezza è attuato quando vi è un rapporto privo di intermediazioni tra l’assunzione della prova e la decisione finale sull’imputazione: - da un lato si vuole che il giudice prenda direttamente contatto con la fonte di prova - dall’altro si tende ad assicurare che vi sia identità fisica tra il giudice che assiste al’assunzione della prova e colui che prende la decisione di condanna o assoluzione Il principio del contraddittorio Il principio del contraddittorio comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova (Articolo 111.4 Cost. “Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”) da tale principio si ricava che di regola il giudice in dibattimento deve decidere soltanto in base alle prove raccolte nel contraddittorio. • essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. • avere ad oggetto “fatti determinati”; di conseguenza, il testimone di regola non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali (salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti) e non può deporre su voci correnti nel pubblico. Inoltre: - l’esame del testimone può estendersi ai rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni - l’esame del testimone può avere ad oggetto le circostanze che servono ad accertare la credibilità sia delle parti, sia dei testimoni - le deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici. - le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due limiti: il primo consiste nel fatto che La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona; il secondo riguarda i procedimenti per i delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone: le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono consentite se sono necessarie alla ricostruzione del fatto. La testimonianza indiretta Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta: - si ha una conoscenza diretta quando il testimone ha percepito personalmente il fatto da provare con uno dei cinque sensi - si ha una conoscenza indiretta quando il testimone ha appreso il fatto da una rappresentazione che altri ha a lui riferito a voce, per iscritto o con altro mezzo; Quindi si ha una testimonianza indiretta quando il fatto da provare non è stato percepito personalmente dal soggetto che lo narra, ma costui è stato rappresentato da un’altra fonte; la persona dai cui il testimone si è sentito dire è comunemente indicata con l’espressione “teste di riferimento”; egli può avere percepito personalmente il fatto (e allora è chiamato teste diretto) oppure può averlo sentito dire da un’altre persone (e allora è chiamato teste indiretto) Il problema della testimonianza indiretta sta nel fatto che quando il fatto è conosciuto dal testimone per sentito dire occorre che sia possibile accertare l’attendibilità sia del testimone indiretto, sia del testimone diretto (cioè della persona da cui si è sentito dire); per questo motivo il codice pone alcune condizioni all’utilizzabilità della deposizione indiretta che permettono di effettuare il controllo sulla credibilità del teste diretto e sull’attendibilità di quanto è stato riferito: 1) il testimone indiretto deve indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame; quando non è individuato il teste diretto o comunque la fonte da cui si è appreso il fatto riferito la testimonianza non è utilizzabile. Individuazione ≠ identificazione = ai fini della individuazione è sufficiente aver indicato la persona che abitualmente frequenta un determinato luogo anche se non si conosce le generalità 2) quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto, il giudice è obbligato a disporne la citazione; se questa norma non è osservata la testimonianza indiretta di regola non è utilizzabile; in via eccezionale è utilizzabile quando l’esame del testimone diretto risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità; l’irreperibilità presuppone che sia stato impossibile notificare la citazione a comparire al testimone già identificato (l’identificazione compito della polizia giudiziaria). Comunque il giudice può disporre la citazione del testimone diretto anche d’ufficio, senza che vi sia stata richiesta da alcuna delle parti. Divieto di testimonianza indiretta sulla dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato: il codice pone un divieto di testimonianza sulle dichiarazioni cmq rese dall’imputato/indagato in un atto del procedimento. finalità la prova delle dichiarazioni rese dall’imputato e dall’indagato in un atto del procedimento deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve essere redatto ed utilizzato con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento; per quanto riguarda l’ambito del divieto: - in primo luogo, il divieto ha natura oggettiva, e cioè pare riferirsi a chiunque riceva le dichiarazioni, sia egli testimone o qualsiasi appartenente alla polizia giudiziaria. - in secondo luogo, il divieto ha per oggetto dichiarazioni in senso stretto, e cioè espressioni di contenuto narrativo: risultano quindi riferibili per sentito dire quelle dichiarazioni che costituiscono espressioni di volontà o meri comportamenti. - in terzo luogo, le dichiarazioni nei cui confronti opera il divieto sono quelle rese nel corso del procedimento: l’espressione deve essere intesa nel senso di “in occasione” di un atto tipico e non “durante la pendenza” del procedimento. - infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell’imputato che abbiano una valenza di prove, e non quelle che siano rilevanti come fatti storici di reato (che devono essere accertati mediante un processo penale). La testimonianza indiretta della polizia giudiziaria: gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre: - sul contenuto delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi, - sul contenuto delle denunce, querele o istanze, - sul contenuto delle informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato. Fuori da queste ipotesi di espresso divieto la testimonianza indiretta della polizia è ammessa (si applicano tuttavia le condizioni sopra descritte); si tratta dei casi nei quali la polizia giudiziaria è chiamata a riferire su dichiarazioni ricevute fuori dall’esercizio delle sue funzioni, oppure su dichiarazioni percepite nel corso di attività tipiche (come identificazioni, ricognizioni informali, sequestri) o atipiche (quali appostamenti, pedinamenti) Le dichiarazioni rese alla polizia e non verbalizzate: poiché il codice nel disciplinare le dichiarazioni rese alla polizia si riferisce a determinate “modalità” di acquisizione (e cioè il verbale), ci si chiede se sia consentita la testimonianza indiretta sulla informazioni per qualunque motivo non verbalizzate; in seguito alla sentenza 305/2008 della Corte Costituzionale la normativa è la seguente: è inutilizzabile non soltanto la dichiarazione che la polizia ha appreso dalla persona informata e ha regolarmente verbalizzato, ma anche la medesima dichiarazione quando la polizia non ha adempiuto all’obbligo di verbalizzazione pur ricorrendone le condizioni; quindi le dichiarazioni indirette non verbalizzate sono utilizzabili soltanto quando non vi erano le condizioni per adempiere all’obbligo di verbalizzazione. L’incompatibilità a testimoniare Il codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare; possono quindi essere assunti come testimoni sia l’infermo di mente, sia il minore; in questi casi tuttavia il giudice dovrà valutare con particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l’attendibilità della dichiarazione; inoltre il giudice può verificare l’idoneità fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre ordinando gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge. Il codice prevede poi una serie di eccezioni che consistono in situazioni di incompatibilità relative ad un determinato procedimento; l’incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, pur capace di deporre, non è legittimata a svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento penale a causa della posizione assunta in tale procedimento o a causa dell’attività ivi esercitata. Ratio della incompatibilità - si vuole escludere che alcune persone abbiano un obbligo penalmente sanzionato di dire il vero, tali soggetti non possono testimoniae, ma possono dare il loro contributo conoscitivo senza un obbligo penale di dire la verità con quel mezzo di prova denominato esame delle parti. - si vuole escludere che possano deporre quei soggetti che hanno svolto nel medesimo procedimento le funzioni di giudice, p.m o loro ausiliario. Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l’esame ai sensi del 210): • gli imputati concorrenti nello stesso reato (o situazioni assimilate: cooperazione colposa o condotte indipendenti che hanno determinato un unico evento). Questi possono essere chiamati a rendere testimonianza quando nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, condanna o di patteggiamento. • gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole, cioè nel caso in cui i reati per cui si procede sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri (c.d. connessione teleologica); es. imputato di omicidio chiamato a deporre nel procedimento relativo al reato di occultamento di cadavere • gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati ai sensi del 371.2 lettera b) (se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza) A tali regole sono state poste due eccezioni: - gli imputati concorrenti nello stesso reato possono essere chiamati a rendere testimonianza quando nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento - gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole e gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento; inoltre essi divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell’interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti altrui, cioè concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi teleologicamente (in questo caso la compatibilità è parziale perché è limitata ai fatti altrui) Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere dichiarazioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti e, quindi, senza l’obbligo penalmente sanzionato di dire il vero. Non possono essere assunti come testimoni coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario. Sono altresì incompatibili il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione dell’intervista. Il privilegio contro l’autoincriminazione Il codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell’esame; tuttavia può accadere che le parti, durante l’esame incrociato, formulino domande che potrebbero indurre il testimone ad autoincolparsi di qualche reato: in una situazione del genere il codice tutela il testimone e stabilisce che egli non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (tuttavia alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l’obbligo di informarlo che può non rispondere, né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone); quindi quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di costringerlo a parlare; si tratta di un divieto probatorio la cui violazione comporta l’inutilizzabilità del dato che è stato acquisito: se il giudice costringe il teste a deporre e successivamente si riconosce l’esistenza del privilegio, le dichiarazioni rese sono inutilizzabili. Ovviamente il testimone che oppone il privilegio deve dare una giustificazione allo stesso; il giudice valuta le giustificazione addotte e se le ritiene infondate può rinnovare al testimone l’avvertimento che ha l’obbligo di dire la verità; se il testimone ritiene di aver correttamente eccepito il privilegio, può persistere nel rifiuto ovvero dichiarare il falso. Il testimone quindi rischia che gli sia contestato il reato di falsa testimonianza; tuttavia se nel procedimento per falsa testimonianza si accerta che il soggetto effettivamente aveva il privilegio contro l’autoincriminazione, egli dovrà essere assolto. In ogni caso il testimone è libero se crede di rispondere alle domande autoincriminanti; nel caso in cui il testimone sceglie liberamente di rendere dichiarazioni contro se stesso il codice appresta una apposita regolamentazione: entra il gioco la norma sulla dichiarazioni indizianti rese davanti ad una autorità giudiziaria da una persona che non sia imputata o indagata, in base alla quale il giudice deve: - in primo luogo interrompere l’esame - in secondo luogo avvertire il soggetto che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti - invitare il soggetto a nominare un difensore Quanto al valore probatorio delle precedenti dichiarazioni, il codice prevede una inutilizzabilità soggettivamente relativa non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Dichiarazioni rese da un testimone che avrebbe dovuto essere sentito come indagato o imputato: poiché gli inquirenti avrebbero dovuto sentire quella persona nella qualità di indagato o imputato, avvertendola della facoltà di non rispondere, il codice commina l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese da tale soggetto: le dichiarazioni non possono essere utilizzate ne contro la persona che le ha rese ne contro altre persone. Il testimone prossimo congiunto dell’imputato I prossimi congiunti dell’imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni. Sono prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; fra i prossimi congiunti non si comprendono gli affini allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole; sono assimilati ai prossimi congiunti: - colui che è legato all’imputato da vincoli di adozione - chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso - il coniuge separato dell’imputato - la persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l’imputato Il codice di procedura penale impone che il testimone prossimo congiunto dell’imputato sia avvisato dal L’imputato ha il privilegio di poter affermare di aver “sentito dire” qualcosa, senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità poste dal 195 (Testimonianza indiretta); infatti egli può non indicare la fonte (persona o documento) da cui ha appreso l’esistenza di un fatto. La sua dichiarazione per sentito dire può essere utilizzata perché data la peculiare posizione di questo soggetto è importante a più effetti acquisire tutto quanto sia venuto a sua conoscenza anche per via indiretta non è detto che la dichiarazione sia ritenuta attendibile L’esame delle parti private diverse dall’imputato Il responsabile civile, i l civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere esaminata come testimone sono sottoposti all’esame incrociato sulla base delle regole generali previste dal codice per l’esame delle parti: - sono esaminati soltanto se richiedono il proprio esame o vi consentono - possono non rispondere alle domande - non rispondono di falsa testimonianza perché non sono testimoni - se affermano di aver sentito dire valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità ex art 195 L’esame di persone imputate in procedimenti connessi o collegati L’imputato connesso o collegato può dare 4 tipi di contributi probatori in dibattimento: 1- esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate 2- esame degli imputati collegati o connessi teologicamente 3- testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile 4- testimonianza assistita degli imputati giudicati. Imputato connesso o collegato = imputato di quel procedimento che ha rispetto al procedimento principale un rapporto di connessione o di collegamento probatorio a prescindere dalla circostanza che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati. L’esame dell’imputato concorrente nel medesimo reato L’imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate (cooperazione colposa o unico evento causato da condotte indipendenti), che d’ora in poi chiameremo “imputato concorrente”, è incompatibile con la qualifica di testimone fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. In linea generale l’imputato concorrente gode delle stesse garanzie riconosciute all’imputato principale. Tuttavia egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui e sotto questo profilo l’imputato concorrente viene assimilato al testimone perché ha l’obbligo di presentarsi; quindi l’imputato del procedimento connesso è sottoposto all’esame senza che sia necessario il suo consenso (ciò che conta è che il suo esame sia stato richiesto da una delle parti del procedimento principale o, nei casi previsti dalla legge, sia stato disposto d’ufficio dal giudice). Nel caso in cui l’imputato del procedimento connesso non si presenti il giudice ne ordina l’accompagnamento coattivo a mezzo della forza pubblica. Per tutto il resto l’imputato concorrente è assimilato alla figura base dell’imputato: - ha la facoltà di non rispondere; l’imputato concorrente è avvisato che ha la facoltà di non rispondere, salvo che si tratti di una domanda sulla sua identità personale; da sottolineare che l’imputato concorrente può tacere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante - se decide di rispondere, non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (restano punibili solo la calunnia e la simulazione di reato) - è obbligatoriamente assistito da un difensore. L’esame dell’imputato connesso teleologicamente o collegato Gli imputati connessi teleologicamente o collegati che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere e sono altresì avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti (tali soggetti, se hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, possono essere chiamati a deporre come testimoni assistiti). L’imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla, non ha obbligo di verità. Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altro imputato (collegato o connesso teleologicamente), da quel momento egli diventa compatibile con la qualifica di testimone assistito limitatamente ai fatti dichiarati e deve rispondere su di essi con obbligo di verità. Stante la vaghezza del concetto di “fatti concernenti la responsabilità altrui”, in concreto il discrimine tra l’area degli obblighi testimoniali e l’area coperta dai privilegi riconosciuti dall’articolo 210 deve essere individuato dal giudice di volta in volta. L’obbligo di riscontro Per riscontro si intende il controllo di attendibilità d una dichiarazione. Tute le dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale devono essere sottoposte ad un riscontro che potremmo definire di tipo originario. Si tratta di vedere se i fatti che sono stati affermati dal dichiarante trovino conferma negli altri elementi raccolti ciò fa parte dell’obbligo di motivazione imposto al giudice. Il codice pone un obbligo di riscontro come condizione per valutare le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato, dall’imputato di un procedimento connesso teleologicamente o collegato e dal testimone assistito; il codice di esprime in questo modo “le dichiarazioni…sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”; quindi non occorre che gli elementi di prova siano tali da permettere di provare da soli il fatti affermato, ma è sufficiente che gli altri elementi di prova siano tali da permettere semplicemente di affermare l’attendibilità del dichiarante. Da sottolineare che il codice pone questo obbligo di riscontro senza pero eliminare in alcun modo il libero convincimento del giudice; infatti non afferma che se il riscontro ha esito positivo, il fatto affermato deve ritenersi vero. Il codice precisa che il riscontro deve avere ad oggetto altri elementi di prova; da ciò si ricava che gli elementi devono essere esterni o estrinseci rispetto alla dichiarazione stessa; tuttavia la giurisprudenza ha ragionato in questo modo: se si è imposto il più (cioè il riscontro esterno o estrinseco), si è dato per scontato che debba essere fatto il meno (riscontro interno o intrinseco alla medesima dichiarazione); quindi in primo luogo la dichiarazione deve essere valutata al sua interno al fine di valutare se essa è precisa, coerente in se stessa, costante e spontanea. Il riscontro esterno può dirsi effettuato in modo pieno quando l’attendibilità della dichiarazione è dimostrata da altri elementi di tipo oggettivo. Il riscontro esterno può basarsi anche su dichiarazioni di altre persone, cioè altri testimoni o coimputati. La testimonianza assistita Quando è sentito eccezionalmente in qualità di testimone, l’imputato è assistito obbligatoriamente dal proprio difensore di fiducia (o d’ufficio) in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre. Il legislatore ha introdotto due categorie di testimonianza assistita: 1) La testimonianza assistita dell’imputato giudicato, che scatta dopo che è concluso con sentenza irrevocabile (di proscioglimento di condanna o di patteggiamento) il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso di qualsiasi tipo: l’imputato giudicato può essere “sempre” chiamato come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l’avviso previsto dal 64.3 lett. c). L’imputato connesso o collegato giudicato è testimone “permanete”, in quanto l’obbligo di rispondere secondo verità non è limitato al fatto altrui su cui ha già reso dichiarazioni ed egli potrà essere esaminato anche su fatti ulteriori rispetto a quelli già dichiarati ed anche sul fatto proprio. Nel corso della deposizione egli gode del normale privilegio contro l’autoincriminazione, in relazione ad ulteriori reati che abbia commesso. Viceversa, il testimone assistito “giudicato” di regola non gode di alcun privilegio contro l’autoincriminazione sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile, a meno che nel procedimento originario abbia negato la propria responsabilità o non abbia reso alcuna dichiarazione. A seguito della sentenza 381/2006 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionali i commi 3 e 6 dell’articolo 197 – bis, l’imputato, assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto deve essere esaminato quale testimone senza l’assistenza di un difensore e senza che sia indispensabile acquisire un riscontro esterno. 2) La testimonianza assistita dell’imputato prima della sentenza irrevocabile, che opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso teleologicamente: affinché scatti l’obbligo di deporre come testimone è necessario: - in primo luogo che l’imputato sia stato ritualmente avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l’ufficio di testimone; - in secondo luogo, una volta avvertito, l’imputato collegato o connesso teleologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. L’imputato collegato o connesso teleologicamente prende l’impegnativa di deporre secondo verità, sia pure limitatamente al fatto altrui già dichiarato; per fatto altrui si deve intendere un fatto che concerne la responsabilità di altri per un reato connesso teleologicamente o collegato con quello addebitato al dichiarante. Anche qui il testimone assistito può non rispondere sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede; ma poiché l’obbligo testimoniale è limitato ai fatto altrui già dichiarati, l’unico caso in cui l’escussione del teste assistito può inerire la propria responsabilità è l’ipotesi in cui la precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili; quindi quando i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere si estende inevitabilmente anche al fatto altrui, ma se il teste assistito decide di rispondere, egli ha un obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (in sostanza perde la facoltà di mentire). Disposizioni comuni alle due ipotesi: - al testimone assistito si applicano le norme sulla testimonianza - Le dichiarazioni dei teste assistiti sono utilizzabili solo in presenza di riscontri che ne confermino l’attendibilità (gli imputati connessi o collegati sono ritenuti poco affidabili). - Le dichiarazioni rese da coloro che depongono come testimoni assistiti non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette. Il collaboratore di giustizia La legge 45/2011 recante modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia ha mutato la disciplina previgente. La modifica ha resto stringenti e distinti i requisiti che consentono agli imputati e ai condannati di diventare collaboratori di giustizia; i requisiti per ottenere misure di protezione e i benefici procedurali e penitenziari. La persona che ha manifestato la volontà di collaborare per un delitto di tipo terroristico o mafioso entro 180 giorni deve fornire al p.m. tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato nonché degli altri fatti di maggiore gravità es allarme sociale di cui è a conoscenza. Le sue dichiarazioni sono trasfuse nel verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione. Attraverso la sottoscrizione di tale verbale il collaboratore di giustizia si impegna per il futuro a rendere dichiarazioni su quei fatti pena la perdita dei benefici riconosciuti in base al programma di protezione. Il collaboratore di giustizia ha un obbligo di verità. La deposizione degli indagati connessi o collegati oggetto archiviazione o di non luogo a procedere Gli imputati concorrenti, gli imputati in procedimenti legati di una connessione debole e gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento; tale norma non menziona né l’archiviazione né la sentenza di non luogo a procedere, quindi per quagli indagati nei confronti dei quali sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione o di non luogo a procedere per un reato connesso o collegato a quello per cui si procede valgono le regole generali sulla prova dichiarativa; ne deriva che: - gli imputati connessi per concorso nel medesimo reato, che siano stati oggetto di archiviazione o sentenza di non luogo a procedere sono radicalmente incompatibili con la qualifica di teste e sono esaminati ai sensi dell’articolo 210 comma I - gli indagati collegati o connessi teleologici, che siano stati oggetto di archiviazioni o sentenza di non luogo a procedere, sono sentiti come testimoni assistiti se hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui precedute da rituale avvertimento; in caso contrario essi sono esaminati ai sensi dell’articolo 210 comma I CONFRONTI, RICOGNIZIONI ED ESPERIMENTI GIUDIZIALI Questi mezzi di prova hanno una caratteristica comune: nella fase di assunzione esiste un vero e proprio potere di direzione spettante al giudice e rispetto a tali atti le parti hanno un ruolo marginale si limitano a controllare che l’atto si svolga in modo regolare, in particolare non possono procedere ad esame incrociato nello svolgimento del singolo atto. Il CONFRONTO consiste nell’esame congiunto di due persone (testimoni o parti) che siano già state esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti; per poter ammettere questo mezzo di prova devono sussistere quindi due presupposti: - esistenza di un disaccordo tra due o più persone su fatti e circostanze importanti - che le persone da mettere a confronto siano già state esaminate o interrogate; protagonisti quindi possono essere sia imputati (o indagati), sia testimoni, sia altre parti private e il confronto può realizzarsi fra soggetti in posizione processuale omogenea( fra imputati; fra testimoni) o eterogenea( fra imputati e testimoni). L’imputato può avvalersi del diritto al silenzio. Momento in cui può essere disposto il confronto: nella fase delle indagini preliminari, quando si siano già raccolte dichiarazioni; in udienza preliminare; in dibattimento; in appello; nel giudizio di rinvio; nel giudizio di revisione. Anche in incidente probatorio quando vi sia pericolo di dispersione o inquinamento della prova. Il confronto di regola è richiesto dalle parti ma in dibattimento può anche essere disposto dal giudice. I caratteri della pertinenza e della rilevanza sono legati ai presupposti di ammissibilità: - il confronto non è manifestamente irrilevante quando vi è un disaccordo fra dichiaranti - il confronto è pertinente quando il disaccordo verte su fatti e circostanze importanti, e cioè oggetto di prova ai sensi dell’articolo 187 Modalità di svolgimento: il giudice richiama ai soggetti le precedenti dichiarazioni discordanti e chiede se possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste (tuttavia ogni potere decisionale e valutativo compete unicamente al perito) L’ammissione della perizia La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Può essere ammessa anche d’ufficio nell’udienza preliminare. La giurisprudenza tradizionale ha ricavato le seguenti conclusioni: la perizia si caratterizzerebbe come una prova del giudice; le parti non avrebbero un pieno diritto all’ammissione della stessa; la perizia sarebbe una prova neutra, sottratta alle strategie dell’accusa e della difesa. Dalla lettura degli art 224 e 508 tuttavia si ricava una diversa ricostruzione. L’espressa previsione dell’ammissione d’ufficio ha un effetto ben preciso: consente al giudice di ammettere la perizia anche al di fuori delle ipotesi di assoluta necessità. In sostanza non intende cancellare il diritto delle parti all’ammissione della perizia. Il fatto che una prova sia introdotta d’ufficio non ne determina di per se la neutralità. La perizia può avere un risultato probatorio a favore o contro l’imputato. L’essere ammessa d’ufficio non le impedisce di diventare a carico o a discarico. Anche nei confronti della perizia deve potersi esercitare il diritto alla prova. La giurisprudenza ritiene che la perizia si auna prova neutra perché la nomina del perito è disposta dal giudice sulla base di criteri differenti da quelli previsti dall’art 190 per gli altri mezzi di prova. Per la perizia i criteri della occorrenza e della specificità imporrebbero di derogare ai parametri ordinari previsti per gli altri mezzi di prova e attribuirebbero al giudice una discrezionalità sterminata: egli sarebbe libero di valutare se e quando disporre la perizia. Requisito specificità: indica la necessità di un sapere che va oltre la soglia della conoscenza comune. Il giudice non ha un potre totalmente discrezionale e ai fini di una corretta valutazione in ordine a tale requisito, si varrà dell’ausilio del contraddittorio tra le parti, da attivare fin dal momento della discussione sulla necessità di ammettere la prova. Requisito della occorrenza: incida soltanto la finalità che si intende raggiungere con un mezzo di prova quando questo è tipico. Anche in relazione alla perizia l’occorrenza allude allo scopo che la caratterizza. Deve risultare utile alla luce del panorama probatorio disponibile. La perizia può diventare superflua quando è già stata acquisita una consulenza tecnica dei parte che sia esauriente e non contestata. Il giudice deve ammettere la perizia richiesta quando le consulenze di parte sono contrastanti tra lro o il metodo è nuovo o la consulenza di parte non è idonea a motivare la sentenza. Diritto alla prova scientifica: esiste un vero e proprio diritto alla prova scientifica in presenza dei requisiti dell’occorrenza e della specificità e cioè quando la perizia è rilevante e non superflua. La perizia disposta nella fase delle indagini: durante le indagini la perizia può essere svolta nella forma dell’incidente probatorio, e quindi soltanto a richiesta del p.m. e dell’indagato; essa è disposta dal giudice per le indagini preliminari quando: - la persona, le cose o i luoghi da esaminare sono soggetti a modificazione non evitabile - quando si prevede che la perizia durerà + di 60 giorni - quando l’accertamento tecnico determina esso stesso modificazioni delle cose o delle persone tali da rendere l’atto non ripetibile ed esiste una indifferibile esigenza investigativa La prova scientifica nuova: quando si è in presenza di metodi innovativi devono operare alcune cautele: - il giudice è tenuto a verificare alcune specifiche cautele - il giudice è tenuto a verificare la sussistenza di una serie di requisiti che la dottrina ha enucleato richiamando la sentenza Daubert ( corte suprema statunitense 93): il giudice deve valutare quando un determinato metodo può definirsi scientifico: a) verificabilità del metodo b) falsificabilità c) sottoposizione al controllo della comunità scientifica d) conoscenza del tasso di errore La scelta del perito Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli: tra gli iscritti negli appositi albi o (al di fuori di tali albi) tra persone fornite di particolare competenza (sulla quale dovrà dare congrua motivazione). Sono previste situazioni di incompatibilità, simili a quelle previste per il giudice; in particolare non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità: - il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente; - chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte; - chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione; - chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete; - chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso. Il perito ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che sussista una dei motivi di astensione dell’art. 36. Il conferimento dell’incarico Il perito deve presentarsi in udienza ed impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità; la formulazione dei quesiti spetta al giudice, ma con la più ampia garanzia del contraddittorio: il giudice sentite le parti presenti (il perito, le parti e i loro consulenti tecnici) formula i quesiti. Da questo momento i consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presentare al giudice osservazioni e riserve e, infine, proporre specifiche indagini. L’attività del perito Una volta che il giudice ha precisato i quesiti il perito gode di propri poteri di direzione e di impulso; tuttavia egli resta sotto il controllo del giudice sia nel momento in cui prende contatto con il materiale probatorio, sia quando occorre risolvere questioni relative ai propri poteri; in particolare: - il perito può prendere visione del materiale probatorio, ma può conoscere solo gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento (viceversa il consulente di parte può leggere gli atti del fascicolo del p.m.) - il giudice può autorizzare il perito ad assistere all’esame delle parti o all’assunzione di prove - il perito può chiedere notizie all’imputato, all’offeso e ad altre persone informate, con il limite che gli elementi acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale - il giudice ha il potere di adottare tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali La relazione peritale Il prodotto finale di questo particolare mezzo di prova è la relazione che il perito (di regola) svolge oralmente ovvero (eccezionalmente, su autorizzazione del giudice) formula per iscritto; dopo aver svolto la relazione orale ovvero dopo aver presentato la relazione scritta, il perito è sottoposto all’esame incrociato su richiesta di parte. Al pari di quanto avviene per gli altri mezzi di prova, il giudice non è vincolato dalla perizia: può disattenderne le conclusioni dando adeguata motivazione del proprio dissenso. Il divieto di perizia criminologica Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche; in definitiva sono ammesse sull’imputato soltanto quelle perizie che tendono ad accertare una malattia mentale. IL CONSULENTE TECNICO DI PARTE Le parti possono nominare consulenti tecnici: - in relazione ad una perizia già disposta (articolo 225); disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti; i consulenti tecnici possono assistere al conferimento dell'incarico al perito e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale; possono poi partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione. - per contrastare il risultato di una perizia già svolta; se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia. - al di fuori della perizia (articolo 233) L’oggetto della consulenza tecnica di parte è identico a quella della perizia: svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche Sono richiamate le incompatibilità previste per il perito. Il perito svolge indagini ed acquisisce risultati probatori per conto del giudice; gli esiti delle operazioni tecniche sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale. Il consulente di parte propone valutazioni tecniche, che si traducono in un parere esposto oralmente o in memorie. Identico è lo strumento col quale il perito ed il consulente tecnico sono sentiti in dibattimento: essi sono sottoposti all’esame incrociato, che si svolge in forme simili a quelle con le quali è escusso il testimone. A differenza del perito, che assume l’obbligo penalmente sanzionato di far conoscere la verità, nessun obbligo del genere è previsto dal codice per il consulente di parte. Il consulente tecnico della parte privata e il consulente tecnico del p.m. fuori dalla perizia Il codice detta una regolamentazione unitaria della consulenza di parte al di fuori della perizia (cioè quando il giudice non ha disposto la perizia), alla quale sfugge soltanto il consulente del p.m. limitatamente alla fase delle indagini preliminari. Il consulente nominato da una parte privata può: - svolgere investigazioni difensive per riconoscere ed individuare elementi di prova; - conferire con le persone che possono dare informazioni; - visionare, previa autorizzazione, il materiale che l’autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro Di regola gli elementi di prova, che siano stati raccolti, possono essere prodotti o meno dalla parte privata in dibattimento; essi devono necessariamente esser prodotti ed entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento qualora si tratti di accertamenti tecnici non ripetibili. La consulenza di parte è insieme espressione della difesa tecnica e mezzo di prova scientifica tecnica o artistica. Spetta alle parti l’onere di fornire prove mediante propri esperti, salvo il potere del giudice qualora questi ritenga necessarie interpellare un perito di propria fiducia. Circa il consulente tecnico del p.m., nella fase dell’udienza preliminare e del giudizio il p.m. può nominare consulenti tecnici sia in caso di perizia sia fuori dei casi di perizia. Il p.m. nomina il consulente tecnico scegliendo una persona iscritta negli albi dei periti. Egli agisce come parte ed è libero di chiedere o meno l’esame del consulente in dibattimento. la differenza rispetto a quello di parte sta nell’interesse che muove l’attività del p.m.: l’obbligo spettante al p.m. di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato deve intendersi riferito al consulente tecnico nominato dalla parte pubblica. I risultati delle consulenze devono essere inseriti nel fascicolo delle indagini. Poi nella sola fase delle indagini preliminari il p.m. può nominare consulenti tecnici in base ad una normativa che costituisce una specificazione del 233. I risultati delle consulenze devono essere inseriti nel fascicolo delle indagini. La perizia che richiede atti idonei ad incidere sulla libertà personale Può accadere che nel corso della perizia si renda necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale dell’indagato o di altre persone ( campioni biologici ). Nel codice del 88 non esisteva una disciplina espressa in relazione al compimento di tali attività. Il problema si poneva qualora l’individuo sottoposto alle attività peritali negava il proprio consenso allo svolgimento delle stesse. In assenza di collaborazione l’unica via sarebbe consistita nella esecuzione coattiva di tali atti. Tuttavia una attività del genere doveva misurarsi con l’art 13 cost la libertà personale è inviolabile. Eventuali limitazioni sono ammesse solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In assenza di un apposta regolamentazione la versine originaria del codice non era idonea a soddisfare la riserva di legge e giurisdizione stabilita dalla cost. Sentenza costituzionale 238/96: sulla questione è intervenuta la coste costituzionale che si era pronunciata sulla disciplina della perizia. Il giudice delle leggi aveva dichiarato la illegittimità dell’art 224 nella parte in cui consentiva al giudice di ordinare coattivame3nte la sottoposizione dell’indagato o di terzi allo svolgimento di attività peritali, idonee ad incidere sulla libertà è personale dell’imputato o dell’indagato o di terzi senza prevedere casi e modi in relazione a simili attività. La corte aveva sottolineato l’utilità processuale di simili attività, aveva affermato con chiarezza che l’esigenza di acquisire la prova di un reato costituisce valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità, atti del genere possono essere compiuti soltanto in presenza di ulteriori requisiti di sostanza, infatti, l’accertamento non deve violare l’integrità fisica o la salute dell’interessato. Si necessita una regolamentazione dettagliata. La legge 85/2009: il nuovo art. 224-bis reca una regolamentazione delle ipotesi in cui nel corso della perizia si renda necessario effettuare prelievi ed accertamenti medici coattivi. Questa norma bilancia la tutela della libertà personale e l’esigenza di accertamento dei fatti: - la norma precisa la tipologia di reati in relazione ai quali attività del genere possono essere disposte: delitto doloso o preterintenzionale, consumato o tentato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a tre anni - requisito di tipo probatorio: la perizia deve risultare assolutamente indispensabile per a prova dei fatti - le attività che possono essere compiute sono: atti idonei ad incidere sulla libertà personale quali il prelievo dei capelli, peli o mucosa del cavo orale su persone viventi a fini della determinazione del DNA o accertamenti medici Limiti: non possono essere disposte operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge che possano mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro che secondo la scienza medica possano provocare sofferenze di non lieve entità. Le operazioni peritali sono cmq compiute nel rispetto della dignità del pudore di chi vi è sottoposto. L’ordinanza che dispone la perizia coattiva: con ordinanza motivata. Contenuto: nomina del perito, sommaria enunciazione dell’oggetto delle indagini, l’indicazione del giorno dell’ora e del luogo fissato per la categorie di documenti, che in sintesi possiamo definire spionaggio e dossieraggio illegali: - ciò che definiamo spionaggio illegale è indicato con la seguente espressione: “dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti”; ci si riferisce alle intercettazioni non autorizzate dall’autorità giudiziaria, quindi non rientrano non rientrano in questa definizione quelle intercettazioni che sono disposte dall’autorità giudiziaria e che sono illegittime in quanto compiute al di fuori dei casi previsti dalla legge. - ciò che definiamo dossieraggio illegale è indicato con la seguente espressione: “documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni”; dall’oggetto della condotta (raccolta di informazioni) si ricava che si tratta del trattamento illecito di dati personali che è punito dagli articoli 167 – 171 del codice della privacy Il p.m. deve disporre l’immediata decretazione e custodia in luogo protetto dei documenti illegali; è vietato effettuare copie in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento. Il p.m. poi entro 48 ore deve chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la distruzione dei relativi documenti, supporti ed atti; le operazioni di distruzione si svolgono nel contraddittorio tra le parti. Il giudice per le indagini preliminari, entro 48 ore dalla richiesta del p.m. fissa un’udienza in camera di consiglio da tenersi entro dieci giorni con la partecipazione facoltativa delle parti interessate. Sentite le parti comparse, il giudice per le indagini preliminari legge il provvedimento in udienza e, qualora ne ravvisi i presupposti, dispone la distruzione e vi da esecuzione subito dopo alla presenza del p.m. e dei difensori delle parti; nel verbale di distruzione si da atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita, delle sua modalità e dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto delle stesse. La distruzione del corpo del reato: la normativa in esame dispone la distruzione dei materiali illegali senza contemplare alcuna eccezione per il corpo del reato; la distruzione è automatica: una volta accertata l’illegalità, il giudice è obbligato a disporre la distruzione senza alcuna valutazione discrezionale sulla utilità probatoria dei dati contenuti. I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA Il codice denomina mezzi di ricerca della prova: • le ispezioni • le perquisizioni • i sequestri • le intercettazioni di comunicazioni Tali atti si distinguono dai mezzi di prova sotto numerosi profili: - l’elemento probatorio si forma in seguito all’esperimento del mezzo di prova, mentre attraverso il mezzo di ricerca della prova entra nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso; - i mezzi di prova possono essere assunti solo davanti al giudice nel dibattimento o nell’incidente probatorio; i mezzi di ricerca della prova possono essere disposti dal giudice, dal p.m. e, in alcune ipotesi, possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria; - i mezzi di ricerca della prova si basano di regola sul fattore “sorpresa” e quindi non consentono il preventivo avviso al difensore dell’indagato quando sono compiuti nella fase delle indagini; mentre i mezzi di prova possono essere assunti durante le indagini preliminari solo con la piena garanzia del contraddittorio mediante l’istituto dell’incidente probatorio L’ISPEZIONE L’ispezione è disposta dall’autorità giudiziaria con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato; essa consiste nell’osservare e descrivere persone luoghi o cose allo scopo appunto di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. È un mezzo di ricerca della prova che ha finalità descrittiva. L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi, alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente, curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. Se necessario l’ispezione si svolge con l’impiego di poteri coercitivi: sia il giudice che il p.m. possono chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica. L’ispezione personale Ha ad oggetto il corpo di un essere umano vivente o parti di esso. Prima di procedere all’ispezione personale l’interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell’articolo 120. L’ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto. L’ispezione può essere eseguita anche per mezzo di un medico. In questo caso l’autorità giudiziaria può astenersi dall’assistere alle operazioni. L’ispezione di luoghi o di cose All’imputato e in ogni caso a chi abbia l’attuale disponibilità del luogo in cui è eseguita l’ispezione è consegnata, nell’atto di iniziare le operazioni e sempre che essi siano presenti, copia del decreto che dispone tale accertamento. Nel procedere all’ispezione dei luoghi, l’autorità giudiziaria può ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore. L’ispezione è disposta con decreto motivato: _ nel corso dell’udienza preliminare o dibattimentale l’ispezione è disposta dal giudice _ durante le indagini preliminari l’ispezione è disposta di regola dal p.m., che può delegare la polizia giudiziaria; è compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di urgenza sotto la forma di “accertamenti e rilievi” (rilievi sulle perone che sono diversi dall’ispezione personale) Quando il p.m. procede ad ispezione personale, il difensore dell’indagato deve essere preavvisato almeno 24 ore prima; tuttavia nei casi di assoluta urgenza: - quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione della prova, il p.m. può procedere anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo - se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate, il p.m. può procedere prima del termine fissato anche senza darne avviso E’ fatta salva in ogni caso la facoltà del difensore di intervenire. Inoltre quando omette l’avviso o procede prima del termine, il p.m. deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell’avviso. LA PERQUISIZIONE La perquisizione consiste nel ricercare una cosa da assicurare al procedimento o una persona da arrestare; in particolare: • la perquisizione personale è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona (cioè le cose che hanno la funzione di provare il reato o la responsabilità del suo autore) • la perquisizione locale è disposta Quando vi è fondato motivo di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso • la perquisizione informatica è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza; devono essere adottate misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione La ricerca di una cosa determinata: modalità meno invasiva. L’autorità giudiziaria può limitarsi ad invitare taluno a consegnare la cosa. Se l’invio è accolto e la cosa è presentata non si fa luogo a perquisizione salvo che sia utile procedervi per la completezza delle indagini Nel compiere una perquisizione devono essere osservate alcune formalità a tutela dei diritti di libertà garantiti dalla Costituzione: - se deve essere eseguita la perquisizione di una persona, occorre consegnare a questa una copia del decreto con l’avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché prontamente reperibile ed almeno quattordicenne - se deve essere eseguita la perquisizione di un luogo, va consegnata copia del decreto all’interessato ed a colui che abbia la disponibilità del luogo, se costoro sono presenti. Ad essi deve essere dato avviso della facoltà di farsi assistere o rappresentare da una persona di fiducia, alle solite condizioni che questa sia prontamente reperibile ed idonea. Le cose rinvenute nel corso della perquisizione, se costituiscono corpo del reato o sono pertinenti al reato sono sottoposte a sequestro; se nel corso della perquisizione si trova la persona ricercata, si da esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare o ai provvedimento di arresto e di fermo. La perquisizione è disposta dall’autorità giudiziaria (cioè dal giudice o dal p.m.) con decreto motivato: - nel corso dell’udienza preliminare o dibattimentale la perquisizione è disposta dal giudice - nel corso delle indagini preliminari la perquisizione è ordinata dal p.m., che vi provvede personalmente o delegandola ad un ufficiale di polizia giudiziaria; la polizia giudiziaria può procedere di sua iniziativa a perquisizione personale o locale, ma solo in flagranza di reato o nel caso di evasione; la polizia giudiziaria deve trasmettere il verbale delle operazioni senza ritardo al p.m. del luogo nel quale la perquisizione è stata eseguita e la pubblica accusa convalida la perquisizione nelle 48 ore successive, se ne ricorrono i presupposti IL SEQUESTRO PROBATORIO Il codice prevede tre distinte forme di sequestro: il sequestro probatorio, il sequestro preventivo ed i sequestro conservativo: il primo è un mezzo di ricerca della prova, gli altri due sono misure cautelari; comune ai tre tipi di sequestro è la caratteristica di creare un vincolo di indisponibilità su una cosa mobile od immobile, attraverso uno spossessamento coattivo. Il sequestro probatorio consiste nell’assicurare una cosa mobile o immobile al procedimento per finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo della cosa e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla medesima (il vincolo di indisponibilità serve per conservare immutate le caratteristiche della cosa, al fine dell’accertamento dei fatti); devono sussistere due requisisti: - requisito naturalistico: è necessario che vi sia un bene materiale - requisito giuridico: occorre che si tratti del corpo del reato o di una cosa pertinente al reato e, soprattutto, che la cosa sia necessaria per l’accertamento dei fatti. Il sequestro è mantenuto fin quando sussistono le esigenze probatorie; il limite massimo è la sentenza irrevocabile, dopodiché la cosa deve essere restituita, salvo che ne sia stata ordinata la confisca. La conversione di un tipo di sequestro in un altro è possibile soltanto se emesso un provvedimento autonomo rispondente ai requisiti ed alle finalità del nuovo tipo di sequestro. Il sequestro probatorio può essere convertito in sequestro conservativo o preventivo con apposito provvedimento del giudice emesso su richiesta del soggetto legittimato. Il sequestro è disposto dall’autorità giudiziaria con decreto motivato; al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto - nel corso del dibattimento il sequestro probatorio è disposto dal giudice. - nel corso delle indagini preliminari il decreto è emanato, di regola, dal p.m.; la polizia giudiziaria, se vi è fondato pericolo nel ritardo e il p.m. non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, essa effettua il sequestro; il relativo verbale è trasmesso entro 48 ore al p.m. del luogo dove il sequestro è stato eseguito, il quale, nelle 48 ore successive, convalida il sequestro con decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti Quando si contesta la legittimità o il merito del provvedimento di sequestro, contro il decreto di sequestro (ovvero il decreto di convalida) l’indagato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, sulla quale decide in composizione collegiale il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Quando invece sorge la questione sulla necessita di mantenere o meno il sequestro (in quanto si discute se questo è ancora utile a fini probatori), durante le indagini preliminari la persona interessata può presentare al p.m. richiesta motivata di restituzione della cosa sequestrata; il p.m. decide con decreto motivato nei modi seguenti: a) se valuta che non sussistano più esigenza probatorie, dispone la restituzione all’avente diritto b) se ritiene che le esigenze probatorie siano ancora presenti o che si necessario mantenere il sequestro nella forma di quello preventivo o conservativo, respinge la richiesta. contro il decreto del p.m. l’interessato può presentare opposizione al giudice per le indagini preliminari che provvede in camera di consiglio; egli può disporre la restituzione, mantenere il sequestro o rimettere la questione al giudice civile competente quando vi è contestazione sull’appartenenza della cosa. Sequestro di documenti coperti dal segreto professionale o di ufficio: l’autorità giudiziaria in tali ipotesi non può disporre il sequestro in via immediata. L’autorità procedente deve richiedere preliminarmente la consegna della cosa da ricercare, consentendo così al depositario di opporre il segreto. I l sequestro presso banche: l’autorità giudiziaria può esaminare atti, documenti, e corrispondenza o dati informatici presso banche per rintracciare cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze. Sequestro di corrispondenza: presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazione è consentito procedere al sequestro di lettere o altri oggetti di corrispondenza che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere spediti dall’imputato o a lui diretti. Sequestro di un computer o di un documento informatico: ciò che è sottoposto a sequestro è non il computer o l’hard disk ma il documento informatico che è tratto dai predetti. Ne deriva che quando l’oggetto fisico è restituito, ed è conservata la copia clone è quest’ultima ad essere il vero oggetto del sequestro. Le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Nelle quali alla conversazione prendano parte persone per le quali vige un divieto di intercettazione in considerazione della loro qualità o del segreto alle quali sono vincolate. In base all’insegnamento della sentenza della Corte Cost. 2013 vi sono ragioni di ordine sostanziale espressive di un’esigenza di tutela rafforzata di determinati colloqui in funzione di salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale che si affiancano al generale interesse alla segretezza delle comunicazioni. In queste ipotesi nelle quali le intercettazioni sono inutilizzabili per ragioni sostanziali, derivanti dalla violazione di una protezione assoluta del colloqui per la qualità degli interlocutori o per la pertinenza del suo oggetto il contraddittorio consistente nel deposito e nell’udienza di stralcio risulterebbe antietico rispetto alla ratio della tutela. L’accesso delle altre parti del giudizio con rischio concreto di divulgazione dei contenuti del colloquio anche al di fuori del processo, vanificherebbe l’obiettivo perseguito sacrificando i principi e i diritti di rilievo costituzionale che si intende salvaguardare. 1 - conversazioni di persone vincolate dal segreto professionale: sono previsti un divieto di acquisizione e un divieto di utilizzazione: - divieto di acquisizione vale per le intercettazioni dirette delle conversazioni o comunicazioni dei difensori degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento dei consulenti tecnici e loro ausiliari e delle ocnversaizoni tra i medesimi e le persone da loro assistite - divieto di utilizzazione: previsto per le intercettazioni eseguite in violazione delle disposizioni precedenti e per le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone vincolate da un segreto professionale qualificato. L’inutilizzabilità viene meno quando le stesse perosne abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano divulgati. In questi casi il p.m. è tenuto a non depositare le registrazioni e chieder al giudice la distruzione in segreto 2 - conversazioni del presidente della repubblica: dalla costituzione è ricavabile il principio della riservatezza delle conversazioni e comunicazioni del capo dello stato. Devono essere distrutte dal giudice su richiesta del p.m. senza il contraddittorio le comunicazione presidenziali. ( tranne nei casi in cui dalla registrazione si ricavi l’innocenza di un imputato o la notizia di un attentato o di un colpo di stato). 3 - comunicazioni appartenenti ai servizi segreti: il pm deve disporre l’immediata secretazione e custodia di documenti, supporti e d atti in luogo protetto, quindi deve chiedere al presidente del consiglio dei ministri se le informazioni sono coperte da segreto di stato ( in tal caso non le può utilizzare) 4 - intercettazione illecita: quelle che non sono autorizzate dall’autorità giudiziaria. L’intercettazione è inutilizzabile e non conoscibile dalle parti il p.m. deve ordinarne la secretazione e la custodia in un luogo protetto e chiedere al giudice la distruzione. 5 – intercettazioni nei confronti dei parlamentari: disciplinate dalla legge 140/2003 si dividono in tre categorie: - intercettazioni dirette quando sono sottoposti a intercettazioni utenze o luoghi appartenenti al parlamentare o nella sua disponibilità - indirette: quando l’attività di captazione interessa utenze intestate a differenti soggetti che possono ritenersi interlocutori abituali del parlamentare o concerne luoghi a lui non appartenenti ma che possono presumersi frequentati. Per disporre intercettazioni dirette o indirette è necessaria una preventiva autorizzazione a procedere dalla camera di appartenenza - casuale: quando non è disposta su utenze riferibili al parlamentare e l’ingresso di quest’ultimo nell’area è del tutto accidentale. 6 - agente segreto attrezzato per il suono: ipotesi in cui una persona rechi con sé apparecchi di registrazione che consentono alla polizia giudiziaria l’ascolto contestuale o differito di una conversazione con l’indagato. La registrazione in oggetto costituisce la documentazione di un atto di indagine 7- la mera registrazione operata dal privato al fine di consentire alla polizia un ascolto differito rispetto al momento del colloquio la corte costituzionale ha lasciato aperto il problema la corte di cassazione ha stabilito che si tratta di un attività di indagine atipica che incide sul diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni ( art 15 cost). 8- intercettazioni preventive: il legislatore consente per finalità di prevenzione di reati gravissimi l’uso di intercettazioni che sfuggono alla loro funzione alla finalità del processo penale. I NUOVI STRUMENTI DELLA TECNICA: i tabulati telefonici e le videoriprese Per quanto riguarda i tabulati telefonici: - periodo di conservazione: i tabulati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per 24 mesi dalla data in cui la comunicazione ala quale essi si riferiscono è intervenuta; i dati relativi al traffico telematico sono conservati per 12 mesi - procedura di acquisizione: entro i predetti termini il p.m. dispone con decreto motivato la acquisizione dei dati presso il fornitore, anche su istanza dell’imputato, dell’indagato, dell’offeso e delle altre parti private; il difensore dell’imputato o dell’indagato può chiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito Per quanto riguardale videoriprese, in assenza di una espressa regolamentazione legislativa, la Corte Costituzionale e la Sezioni unite della Cassazione hanno regolato la materia in questo modo: ∗ la ripresa di comportamenti comunicativi costituisce una forma di intercettazione e quindi ne segue la disciplina ∗ la rispesa di comportamenti non comunicativi - se effettuata in un luogo pubblico, si tratta di un atto non ripetibile della polizia giudiziaria che nel dibattimento può essere utilizzato come prova atipica; - se effettuata in un luogo non pubblico bisogna distinguere: a) se si tratta di luoghi rientranti nel concetto di domicilio, le riprese devono considerarsi vietate in assenza di una espressa regolamentazione legislativa dei casi e modi di tale apprensione b) se si tratta di luoghi diversi dal domicilio, ma comunque caratterizzati da una particolare aspettativa di riservatezza, la videoripresa è utilizzabile come prova atipica, purché sia autorizzata con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria c) se si tratta di luoghi pubblici non è configurabile alcuna aspettativa di riservatezza con riferimento alle indagini. Le videoriprese possono essere effettuate anche dalla polizia giudiziaria di propria inziativa. LE MISURE CAUTELARI Tra l’inizio del procedimento penale e il momento in cui la sentenza viene eseguita passa un periodo di tempo che può essere anche molto ampio in relazione al rito che viene adottato ed all’eventualità che le parti abbiano proposto le impugnazioni previste dalla legge. Durante questo periodo di tempo possono sorgere pericoli per lo svolgersi del procedimento penale e specificamente per l’accertamento dei fatti e per l’efficacia della sentenza. Al fine di evitare tali rischi sono previste le misure cautelari. Le misure cautelari sono quei provvedimenti provvisori, ma immediatamente esecutivi, che tendono ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli, definiti dal codice “esigenze cautelari” • il pericolo per l’accertamento del reato; • il pericolo per l’esecuzione della sentenza; • il pericolo che si aggravino le conseguenze del reato o che venga agevolata la commissione di ulteriori reati. Comportano la limitazione di alcune libertà fondamentali tutelate dalla costituzione e dalle convenzioni internazionali libertà personale, di circolazione, di disporre dei propri beni mobili e immobili Le principali CARATTERISTICHE DELLE MISURE CAUTELARI sono: 1) strumentalità rispetto al procedimento penale: le misure cautelari hanno lo scopo di evitare che si verifichino determinati pericoli per il procedimento penale (le esigenze cautelari di cui sopra); 2) urgenza: essa ricorre quando un ritardato intervento rende probabile il verificarsi di uno dei fatti temuti (che sono sempre le esigenze cautelari di cui sopra); 3) prognosi di colpevolezza allo stato degli atti: l’applicazione di una misura cautelare personale richiede l’accertamento di “gravi indizi di colpevolezza” basato sugli elementi di prova che l’accusa è riuscita a raccogliere sin dall’inizio delle indagini; tale accertamento non deve essere sommario, anzi il codice impone che esso sia fondato su elementi di prova e adeguatamente motivato; 4) immediata esecutività: il provvedimento è immediatamente esecutivo (e rimane tale anche nel caso in cui contro di esso sia stata proposta impugnazione); ciò significa che la polizia giudiziaria ha il potere di adempiere al relativo comando in modo coercitivo, cioè anche contro la volontà di colui che vi si oppone; 5) provvisorietà: gli effetti del provvedimento sono provvisori, cioè non condizionano la decisione finale del giudice; da tale caratteristica derivano due corollari: - in primo luogo, il provvedimento cautelare mantiene la sua esecutività fino a che non sia divenuta esecutiva la sentenza definitiva; - in secondo luogo, il provvedimento cautelare è revocabile o modificabile in attesa della sentenza definitiva. 6) previsione per legge: la Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento dell’autorità giudiziaria può porre limiti alle libertà personale e domiciliare (articoli 13 e 14 Cost.), si tratta dei principi di riserva di legge e di passività; 7) giurisdizionalità: le misure cautelari sono disposte con un provvedimento emanato dal giudice, perciò di regola il p.m. e la polizia giudiziaria non hanno il potere di disporre misure cautelari; tuttavia la riserva di giurisdizione non è assoluta: infatti sia la Costituzione (articolo 13.3) sia il codice ammettono che i provvedimenti temporanei possano esser disposti dal p.m. e dalla polizia giudiziaria; tali provvedimenti sono definiti “precautelari”: essi devono essere sottoposti a convalida da parte del giudice entro un tempo predeterminato, altrimenti l’indagato deve essere rimesso in libertà; 8) impugnabilità: nei confronti dei provvedimenti cautelari è possibile presentare impugnazione. La Costituzione (111.7) impone al legislatore, quanto meno, il ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutti i provvedimenti che comportano una limitazione della libertà personale. Il codice ha esteso questa garanzia perché ha previsto per tutti i provvedimenti cautelari anche un’impugnazione di merito, e cioè l’appello od il riesame. Misure cautelari e presunzione di innocenza: la costituzione impone che l’imputato non sia considerato colpevole fino alla condanna definitva. Tale principio sembra porsi in contraddizione con l’art 13 Cost che consente la limitazione della libertà personale anche prima della sentenza irrevocabile. corte costituzionale 265/2010: la contraddizione è soltanto apparente. Affinchè le restizioni della libertà dell’imputato nel corso del procedimento siano compatibili con la presunzione di innocenza è necessario che esse siano nettamente differenziate rispetto alla pena. La misura cautelare non deve essere una anticipazione della sanzione penale che potrà essere successivamente applicata con la condanna. I tipi di misure cautelari: A) Le misure personali comportano limiti alla libertà personale o alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e sociali; esse si dividono in tre ulteriori categorie: 1) misure coercitive: si distinguono a loro volta in: ∗ obbligatorie: - divieto di espatrio, che impone all’imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l’autorizzazione del giudice - obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, che impone all’imputato di presentarsi preso gli uffici della polizia giudiziaria nei giorni e nelle ore indicati dal giudice - divieto di dimora, che impone all’imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice - obbligo di dimora, che impone all’imputato di non allontanarsi, senza l’autorizzazione del giudice, da un comune o da una sua frazione - allontanamento dalla casa familiare, che impone all’imputato di lasciare subito la casa familiare ovvero di non farvi rientro e di non accedervi senza autorizzazione. Qualora sussistano esigenze di tutela della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti il giudice può prescrivere obblighi accessori come il divieto di avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa o l’obbligo di versare un assegno periodico ai conviventi. L’allontanamento è una misura cautelare predisposta con particolare riferimento ai reati in materia di violenza nelle relazioni familiari ma non vi è alcuna norma che la riservi a tale categoria. Per i delitti di violenza contro la persona in ambito familiare riforme recenti hanno consentito al giudice di applicare l’allontanamento dalla casa familiare fuori dall’ordinario limite di pena e di accompagnare la misura con il braccialetto elettronico; alla polizia giudiziaria di operare la misura precautelare dell’allontanamento di urgenza su autorizzazione del p.m. - divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa: il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate da relazione affettiva o convivenza con la persona offesa. Si può anche prescrivere di mantenere una determinata distanza. ∗ custodiali: esse comportano per l’imputato una situazione di custodia, dalla quale derivano due conseguenze: quella negativa consiste nella configurabilità del delitto di evasione, ove l’imputato si allontani dal luogo di custodia; quella positiva sta nel fatto che il periodo trascorso in custodia sarà computato come esecuzione della pena detentiva, nel caso in cui questa debba essere eseguita in seguito a condanna: - arresto domiciliare, che impone all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza; si possono aggiungere limiti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano; è poi possibile un’attenuazione della misura ( es. imputato autorizzato a recarsi al lavoro). Il braccialetto elettronico non è una misura cautelare ma una modalità di esecuzione di altra misura cautelare es. arresto domiciliare ( applicazione subordinata al consenso dell’indagato). Il codice vieta di concedere arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei 5 anni precedenti al fatto per il quale si procede. Disegno di legge 1232/2014 amplia l’operatività dell’arresto domiciliare al fine di scongiurare la carcerazione cautelare come esito inevitabile. Restringe i limiti di operatività del divieto di concessione degli arresti domiciliari: anche qualora l’interessato sia stato condannato per il delitto di evasione nei 5 anni precedenti il giudice può concedere la misura se ritiene che il fatto sia di lieve entità. - custodia in carcere; con il relativo provvedimento il giudice dispone che l’imputato venga condotto in un istituto di custodia a disposizione dell’autorità giudiziaria. β) il pericolo di fuga: questa esigenza ricorre quando l’imputato di è dato alla fuga o vi è in concreto il pericolo che si dia alla fuga; occorre tuttavia che il giudice ritenga possibile che all’imputato possa essere irrogata con la sentenza una pena superiore a due anni di reclusione; χ) il pericolo che vengano commessi determinati delitti: - gravi delitti con l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale; - gravi delitti diretti contro l’ordine costituzionale; - delitti di criminalità organizzata; - delitti della stessa specie di quello per il quale si procede (tuttavia la custodia cautelare, in carcere o agli arresti domiciliari, può essere disposta soltanto quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione di almeno quattro anni nel massimo Il pericolo deve essere desunto da specifiche modalità del fatto di reato e dalla personalità pericolosa dell’autore del fatto, con il limite che la pericolosità deve essere ricavata dai precedente penali e da comportamenti o atti concreti, che devono essere specificatamente indicati. L’arresto domiciliare può essere disposto soltanto quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione di almeno 4 anni nel massimo e la custodia in carcere può essere disposta soltanto quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione di almeno 5 anni nel massimo disegno di legge 1232/2014: limita la discrezionalità del giudice nel valutare le esigenze cautelari al fine di evitare che le misure siano di fatto utilizzate per sedare l’allarme sociale provocato dal reato. Il pericolo di fuga e quello di reiterazione del reato devono essere attuali e non possono essere desunti dalla gravità del reato per cui si procede. In merito al pericolo di reiterazione del reato esso ddeve essere valutato anche in relazione alla personalità dell’imputato. Passando ai criteri di scelta delle misure, il giudice, dopo aver ricevuto la richiesta del p.m. e dopo aver accertato che esistono sia i gravi indizi di reità, sia almeno una delle esigenze cautelari, dispone la misura con ordinanza; tuttavia il suo potere è vincolato dalla legge a limiti formali e sostanziali: - sotto un profilo formale, il giudice non può disporre una misura più grave di quella richiesta dal p.m.--> principio accusatorio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato - da un punto di vista sostanziale, egli ha il potere-dovere di scegliere la misura cautelare in base ai criteri che sono espressamente indicati nel 275. La sua decisione è espressione di una discrezionalità vincolata a parametri legislativi che attuano i principi costituzionali. La misura da applicarsi deve essere: 1) “adeguata” alle esigenze cautelari presenti in concreto; in base al principio di adeguatezza il giudice deve valutare la specifica idoneità ci ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto: una volta che il p.m. ha adempiuto all’onere di provare l’esistenza di una determinata esigenza cautelare, occorre che vi sia piena corrispondenza funzionale tra la misura da adottare e il pericolo che si vuole evitare; se vi è pericolo di inquinamento della prova il giudice deve fissare la data di scadenza dell’efficacia della misura cautelare, tenuto conto del tempo necessario a compiere le indagini preventivate. Se la misura è la custodia in carcere non deve avere una durata superiore a 30 giorni salvo che il delitto addebitato sia di particolare gravità. Può essere disposta la proroga per non più di due volte entro il limite complessivo di 90 giorni. 2) “proporzionata” alla gravità del fatto e della sanzione che potrà essere irrogata; in base al principio di proporzionalità ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata; la legge 332/95 ha introdotto i divieto di disporre la custodia cautelare quando si prevede che sarà concessa la sospensione condizionale della pena. La sospensione condizionale deve essere concessa quando la pena detentiva da irrogare in concreto non supera i due anni e il giudice ritiene che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reato. L’art 8 del d.lgs 92/2014 ha posto al giudice il divieto di applicare la carcerazione cautelare quando egli ritiene che all’esito del giudizio la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni e quindi la pena detentiva medesima sarà sospesa in attesa dell’applicazione di una misura alternativa. Questo divieto non opera: quando l’indagato ha trasgredito le prescrizioni di una misura cautelare; nei procedimenti per i delitti più gravi o di violenza personale; quando gli arresti domiciliari non possono essere disposti a causa della non idoneità del domicilio e nessun’altra misura cautelare è adeguata. 3) “graduata”;in base al principio di gradualità la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo quando ogni altra misura risulti essere inadeguata; nella motivazione dell’ordinanza il giudice deve esporre le concrete e specifiche ragioni per la quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure. Deroga al principio di gradualità per i delitti di criminalità mafiosa: in un caso il principio di gradualità va incontro ad un’eccezione: si tratta dei delitti di criminalità mafiosa, per i quali è stato previsto un regime speciale: - presunzione relativa: il codice presume esistente almeno una delle esigenze cautelari; tale presunzione può essere superata quando siano già stati acquisiti elementi che dimostrino che non ne sussiste neanche una - presunzione assoluta: il codice impone di applicare obbligatoriamente la custodia in carcere, perché presume che nessun’altra misura risulterebbe adeguata. Deroga al principio di gradualità per i delitti di partecipazione all’associazione mafiosa: la corte costituzionale nel 2010 ha preso le mosse dai delitti di mafia in senso stretto e cioè dai delitti di partecipazione all’associazione mafiosa. In relazione ad essi la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere è razionale perché l’adesione permanente ad un sodalizio criminoso comporta che soltanto la misura carceraria è adeguata, mentre altre misure cautelari minori non sono sufficienti a troncare i rapporti con l’indagato e l’associazione. ( la stessa cosa non avviene per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art 416-bis o al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose; per questi reati si possono applicare misure alternative al carcere) La deroga al principio di gradualità per alcuni delitti non di associazione mafiosa + deroga al principio di gradualità per gli altri reati non investiti dalle sentenze della corte costituzionale leggere pag 447/449 Disegno di legge 1232/2014: interviene sull’art. 275 sotto vari profili: il principio di extrema ratio della custodia cautelare in carcere viene rafforzato per un verso rendendo possibile applicare cumulativamente fin dall’inizio più misure cautelari; per un altro verso mediante l’obbligo di motivazione aggravata. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto se le altre misure coercitive o interdittive anche se applicate cumulativamente risultano inadeguate. Situazioni incompatibili con la custodia in carcere: la custodia in carcere non può essere disposta quando l’imputato è affetto da malattia che si trova in una fase così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie curativa; vi sono poi delle situazioni che di regola impediscono la custodia in carcere, salvo che sussistano esigenza cautelari di eccezionale rilevanza (donna incinta, madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, padre in analoghe condizioni, se la madre è assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, persona che ha superato l’età di sessantenni.) L’APPLICAZIONE DELLE MISURA CAUTELARI PERSONALI L’applicazione delle misure cautelari personali avviene in due fasi. 1) nella prima vi è una decisione del giudice fondata su una richiesta che viene presentata dal p.m. senza che sia sentita la difesa poiché la misura deve essere eseguita a sorpresa per essere efficace. 2) nella seconda fase il g.i.p. deve interrogare l’indagato ed il difensore ha diritto di esaminare i verbali degli atti che sono stati valutati dal giudice. Il potere di controllo che può essere esercitato dal giudice è molto limitato. All’indagato non è riconosciuto il diritto alla prova ed il giudice decide solo su atti e documenti scritti. Applicazione delle misure mediante un procedimento incidentale: le misure cautelari coercitive sono richieste e decise nel corso di un procedimento incidentale; questo costituisce una diramazione collaterale del procedimento principale che continua a svolgersi autonomamente. Il procedimento incidentale ha una autonomia formale e funzionale rispetto al procedimento principale: - autonomia formale: è retto da regole diverse da quello principale ed ha uno scopo differente dal medesimo. Il procedimento principale accerta la commissione di un fatto penalmente illecito e la sua attribuibilità ad una persona al fine di irrogare la pena; il procedimento incidentale nel caso in esame accerta l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari al fine di applicare una misura cautelare volta a prevenire determinati pericoli per il processo penale. - autonomia funzionale: perché le vicende del procedimento incidentale di regola non influiscono sul procedimento principale La prima fase: la richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice La prima fase del procedimento applicativo ha inizio quando il p.m. chiede per scritto al g.i.p. l’adozione di una misura cautelare personale, presentandogli gli elementi su cui la richiesta si fonda (cioè i verbali degli atti delle indagini preliminari) e termina quando il giudice prende una decisione sulla richiesta (il giudice provvede con un’ordinanza. La procedura è segreta, e cioè deve svolgersi all’insaputa dell’indagato e del suo difensore. La struttura del procedimento applicativo rispetta il principio di separazione delle funzioni: il pm ha soltanto il potere di rivolgere la richiesta al giudice presentando gli elementi su cui la richiesta si fonda. La pubblica accusa gode di un vero e proprio potere di selezionare gli atti raccolti durante le indagini, di conseguenza il giudice, non conoscendo l’intero fascicolo delle indagini ha una cognizione limiata. Correttivi introdotti dalla legge 322/1995: • il p.m. ha l’obbligo di presentare al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Effetto di ampliare le conoscenze del giudice. Il giudice ha un solo limite al suo potere di decidere sulla richiesta presentata dal p.m.: non può applicare una misura più grave di quella richiesta può eventualmente applicarne una meno grave o nessuna misura se ritiene che non sussistano le esigenze cautelari o le condizioni di applicabilità • la motivazione dei provvedimenti cautelari deve essere esaustiva e deve rispettare una struttura prefissata: l’ordinanza deve contenere - l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli specifici indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza; - l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti rilevanti gli elementi a carico e dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa; l’ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico ed a favore dell’imputato - in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure; disegno dei legge 1232/2014: ha ulteriormente rafforzato gli obblighi di motivazione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare. Il provvedimento deve contenere non soltanto l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari ma anche l’autonoma valutazione delle stesse, all’evidente fine di evitare motivazioni appiattite sulle ragioni addotte dal p.m. nella richiesta cautelare. Esecuzione del provvedimenti cautelare: - l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è eseguita, su incarico del p.m., dalla polizia giudiziaria mediante consegna all’imputato di copia del provvedimento. Se è disposta la carcerazione cautelare o l’arresto domiciliare, la polizia consegna all’indagato, unitamente al provvedimento, una comunicazione scritta in cui lo informa in una lingua a lui comprensibile: - della facoltà di nominare un difensore e di essre ammesso al patrocinio a spese dello stato - del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa - del diritto all’interprete e alla traduzione degli atti - del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere - del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento - del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari - del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza - del diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria non oltre 5 giorni dall’inizio dell’esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia in carcere o non oltre 10 giorni se la persona è sottoposta ad altra misura - del diritto a comparire dinanzia la giudice per rendere l’interrogatorio, di impugnare l’ordinanza che dispone la misura cautelare, e di richiederne la sostituzione o la revoca. La polizia giudiziaria informa immediatamente il difensore e redige verbale di tutte le operazioni compiute che viene trasmesso al giudice e al p.m. Il latitante: quando non è possibile eseguire l’ordinanza che dispone una misura cautelare perché il destinatario non è stato rintracciato, l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria redige un verbale di vane ricerche indicando le indagini svolte. Il verbale deve essere trasmesso al giudice che ha emenato il provvedimento. Se ritiene le ricerche esaurienti dichiara lo stato di latitanza di colui che volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio all’obbligo di dimora o alla carcerazione. I colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare: il codice vuole assicurare all’indagato la possibilità di entrare immediatamente in contatto con l’avvocato al fine di concordare le strategie difensive. La possibilità di conferire con il difensore viene garantita anche in favore dell’indagato sottoposto all’arresto, al fermo alla custodia cautelare e deve potersi esercitare fin dall’inizio dell’esecuzione della misura. La seconda fase: l’interrogatorio di garanzia La seconda fase del procedimento applicativo ha inizio nel momento in cui la misura cautelare personale è eseguita; si conclude con l’interrogatorio davanti al giudice che ha deciso l’applicazione della misura cautelare coercitiva o interdittiva.l’interrogatorio è denominato di garanzia perché assume una funzione difensiva. In seguito all’interrogatorio dell’indagato, il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari e quando ne ricorrono le condizioni( venuta meno l’esigenza o si è attenuata), deve provvedere alla revoca o alla sostituzione della misura disposta con una meno grave. ρεγρεδιτο. Ταλε τερµινε περ λα φασε δελλε ινδαγινι πρελιµιναρι ιν υν προχεδιµεντο περ οµιχιδιο  παρι α δυε αννι. Ιν βασε αλλα δισχιπλινα ρισυλταντε νελ χοµπυτο δελ τερµινε δι δυε αννι 2 0 1 9οχχορρε τενερε χοντο δι τυττα λα χυστοδια πατιτα δαλλ ιµπυτατο ανχηε νελλε φασι αντεριορι δελ προχεσσο. Νελ χασο δι σπεχιε οχχορρε χοµπυταρε ανχηε ι διεχι µεσι δι χυστοδια χαυτελαρε συβιτι νελ χορσο δελλα πρεχεδεντε φασε δελλε ινδαγινι εδ ι σει µεσι τρασχορσι ιν χυστοδια χαυτελαρε δυραντε λα φασε δελ διβαττιµεντο. Τενυτο χοντο δει 16 µεσι γι◊ τρασχορσι ιν χαρχερε ιλ τερµινε φιναλε ιντερµεδιο σχαδρ◊ δεχορσι 8 µεσι δαλλα δατα δελ προϖϖεδιµεντο χηε ηα δισποστο λα ρεγρεσσιονε. Σε εντρο ταλε τερµινε νον σι  χονχλυσα λα ριννοϖατα φασε δελλε ινδαγινι πρελιµιναρι οπερερ◊ λα σχαρχεραζιονε αυτοµατιχα Ove la custodia cautelare superi i termini massimi previsti dal codice, la stessa si estingue di diritto e l’imputato deve essere liberato immediatamente. La custodia è ripristinata se l’imputato ha trasgredito le prescrizioni della nuova misura cautelare o se è stata emessa sentenza di condanna in primo o secondo grado e vi è pericolo di fuga. Termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare: - le misure obbligatorie sono vincolate a termini intermedi e complessivi pari al doppio di quanto è previsto per la custodia cautelare - le misure interdittive perdono efficacia dopo due mesi dall’inizio della loro esecuzione, ma il giudice può disporre la rinnovazione. Disegno di legge 1232/2014: ha ampliato i limiti temporali di operatività delle misure interdittive al fine di consentire un maggior impiego di tali strumenti. Limite massimo di durata pari a 12 mesi in relazione a tutti i reati, salvo il termine più breve stabilito dal giudice. Le contestazioni a catena. Con tale espressione si allude a quelle ipotesi, patologiche, nelle quali in tempi successivi il p.m. chieda ed ottenga l’emissione di più ordinanze applicative della custodia cautelare nei confronti del medesimo imputato in relazione al medesimo fatto o a fatti comunque già noti ab initio all’autorità giudiziaria. Tale comportamento persegue lo scopo di spostare in avanti l’inizio della decorrenza dei termini di custodia cautelare, così da prolungare la durata della misura ed aggirare i limiti stabiliti dalla legge. Il codice prevede una apposita disciplina in relazione a tale prassi illegittima, infatti stabilisce che se nei confronti del medesimo imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, anche se diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione qualificata, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati alla imputazione più grave (retrodatazione automatica); il codice precisa altresì che tale disciplina “non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste il vincolo di connessione sopra precisato”. I principi: il supremo collegio ha enunciato i seguenti principi: 1- nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza legati da concorso formale , da continuazione o da connessione teleologica, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e a maggior ragione indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure. 2 - quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata opera la retrodatazione anche rispetto ai fatti oggetto di diverso procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza. La regola della retrodatazione è applicabile sia nel caso in cui da un unico procedimento vengano separate le indagini concernenti taluni fatti, sia in quello in cui i procedimenti diversi riguardino autonome iniziative del p.m. purchè riguardanti fatti che erano già emersi nelle indagini 3- nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi i termini delle misure disposte con le ordinanze successive decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se al momento dell’emissione di questa erano desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato le ordinanze. Per la Corte Costituzionale la retrodatazione può operare solo se sussistono le seguenti condizioni: - i procedimenti sono in corso di fronte alla stessa autorità giudiziaria; - la separazione è frutto di una scelta operata dal p.m. La sospensione del decorso dei termini Il decorso dei termini di custodia cautelare può essere sospeso soltanto in ipotesi tassativamente indicate; sono previste dal codice • tre cause sospensive generali, che si riferiscono a tutti i reati e sono disposte dal giudice con ordinanza appellabile: 1) in caso di sospensione o rinvio del dibattimento, dell’udienza preliminare o del giudizio abbreviato per impedimento dell’imputato o del suo difensore oppure su richiesta di questi ultimi 2) nelle ipoetesi di sospensione o rinvio del dibattimento, dell’udienza preliminare o del giudizio abbreviato dovuti alla mancata presentazione, all’allontanamento o alla mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati 3) nel giudizio ordinario o nel rito abbreviato durante la pendenza dei termini per la redazione della motivazione • una causa sospensiva speciale, che è applicabile soltanto nei procedimento relativi ai delitti di criminalità organizzata, terrorismo e simili e che è disposta dal giudice su richiesta del p.m. con ordinanza appellabile; essa è prevista qualora l’accertamento risulti particolarmente complesso; la sospensione per complessità opera durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulla impugnazioni Inoltre il decorso dei termini di custodia cautelare può essere sospeso per una durata che non può comunque eccedere un ammontare prefissato : si tratta dei termini finali, calcolati in relazione all’ammontare dei termini intermedi e complessivi. la durata della custodia non può superare il doppio dei termini intermedi o il termine complessivo aumentato della metà; vi è poi un termine finale detto “sussidiario” che opera soltanto se più favorevole rispetto agli altri termini finali ed è pari a 2/3 del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. LE IMPUGNAZIONI CONTRO LE MISURE CAUTELARI PERSONALI Il codice prevede tre mezzi di impugnazione dei provvedimenti che applicano, modificano o revocano le misure cautelari: il riesame, l’appello ed il ricorso per cassazione. Il procedimento relativo al singolo mezzo di impugnazione si svolge in modo autonomo rispetto al procedimento penale, che segue il suo corso, quindi l’impugnazione contro una misura cautelare costituisce un procedimento incidentale, che si sviluppa parallele mante al procedimento penale. Caratteristica comune: i mezzi di impugnazione non hanno efficacia sospensiva sul provvedimento cautelare Il riesame Il riesame è ammesso di regola soltanto contro le ordinanze che applicano per la prima volta (ab initio) una misura coercitiva. La richiesta di riesame può esser proposta esclusivamente dall’imputato o dal suo difensore non dal p.m Competente a decidere sul riesame è il tribunale (in composizione collegale) del capoluogo del distretto di corte d’appello nel quale ha sede il giudice che ha disposto la misura, detto “tribunale della libertà” Il riesame è una impugnazione completamente devolutiva, che permette all’imputato di ottenere il controllo giurisdizionale sulla legittimità e sul merito del provvedimento che applica una misura coercitiva ab initio; in particolare il tribunale delle libertà ha il potere di valutare la legittimità ed il merito della misura coercitiva senza essere vincolato né dagli eventuali motivi del ricorso dell’imputato, né dalla motivazione del provvedimento che ha applicato la misura. Caratteristiche: il tribunale ha il potere di valutare la legittimità e il merito della misura coercitiva senza essere vincolato ne dagli eventuali motivi del ricorso dell’imputato, ne dalla motivazione del provvedimento che ha applicato la misura. Il tribunale deve decidere sulla richiesta dell’imputato entro termini brevi e perentori a pena della perdita di efficacia della misura. Oggetto del riesame: consiste nella impugnazione di un provvedimento che applica per la prima volta una misura coercitiva. nOn può formare oggetto di riesame la misura cautelare disposta dal tribunale della libertà all’esito dell’appello proposto dal p.m. contro il provvedimento che aveva negato l’applicazione di una misura. In questo caso l’imputato può avvalersi soltanto del ricorso per cassazione. Procedimento: - la richiesta di riesame deve essere presentata nella cancelleria del tribunale della libertà dall’imputato o dal suo difensore entro il termine di 10 giorni a pena di inammissibilità; tale termine decorre per l’imputato dall’esecuzione o dalla notificazione del provvedimento, per il difensore dalla notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura - il presidente fa dare immediato avviso all’autorità procedente (che durante le indagini preliminari è il p.m.), la quale entro cinque giorni dalla richiesta di riesame deve trasmettere al tribunale sia gli atti presentati quando aveva chiesto la misura cautelare, sia tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini; inoltre il difensore può presentare direttamente al tribunale delle libertà i risultati delle indagini private - l’udienza si svolge in camera di consiglio, cioè con un contraddittorio facoltativo: il p.m. e il difensore dell’imputato devono essere preavvisati e possono (non devono) partecipare all’udienza; se presenti, essi hanno il diritto di esporre oralmente le proprie conclusioni. - entro 10 giorni dalla ricezione degli atti il tribunale deve depositare il dispositivo della sua decisione; poteri del tribunale: il tribunale ha un potere cognitivo limitato poiché decide sulla base degli atti scritti e dei documenti presentati (e non su tutti gli atti di indagine raccolti fino a quel momento); non si può quindi disporre l’audizione di persone, né l’assunzione di prove non rinviabili, né imporre al p.m. di svolgere determinate indagini. Il tribunale valuta i presupposti della misura coercitiva tenendo conto sia degli atti che erano conosciuti dal giudice che ha emanato il provvedimento, sia degli atti e documenti che le parti hanno presentato successivamente al tribunale stesso Il tribunale della libertà può pronunciare quattro tipi di decisione: 1) può dichiarare l’inammissibilità della richiesta di riesame (ad es. se è stata presentata oltre i termini); 2) può annullare l’ordinanza per carenza di uno degli elementi essenziali o per vizi di merito; 3) può riformare, e cioè modificare la misura, ma solo in modo più favorevole all’imputato; 4) può confermare la misura coercitiva anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento originario. Disegno di legge 1232/2014:ha introdotto vari correttivi alla disciplina del riesame. L’imputato già nella richiesta di riesame può chiedere di comparire personalmente all’udienza. Viene limitata la possibilità del tribunale della libertà di integrare la motivazione mancante nell’ordinanza applicativa.. viene introdotto un termine per il deposito dell’ordinanza di 30 giorni. L’appello L’appello è ammesso nei confronti di tutti gli altri provvedimenti in tema di misure cautelari personali; quindi l’appello è un mezzo di impugnazione residuale rispetto al riesame e riguarda tutte quelle ordinanze che non applicano per la prima volta una misura coercitiva. L’appello può essere proposto dall’imputato, dal suo difensore e dal p.m.: - il p.m. (che non dispone dello strumento dei riesame) può presentare appello contro l’ordinanza del giudice che aveva negato l’applicazione di una misura cautelare ovvero contro l’ordinanza che aveva applicato una misura cautelare meno grave di quella da lui richiesta ovvero contro l’ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione della misura su richiesta dell’imputato - l’imputato e il suo difensore possono presentare appello contro i provvedimenti cautelari diversi da quelli che applicano per la prima volta una misura Competente a decidere è sempre il “tribunale della libertà”. L’appello è una impugnazione ad effetto parzialmente devolutivo, in quanto il controllo esercitabile dal tribunale è limitato a quei punti del provvedimento che sono oggetto dei motivi di doglianza esposti nella dichiarazione di impugnazione dall’imputato o dal p.m. Procedimento: - l’appello deve essere proposto entro 10 giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento, a pena di inammissibilità; la dichiarazione con cui le parti redigono l’appello deve precisare (a pena di inammissibilità) i motivi per i quali il soggetto interessato ritiene che il provvedimento debba essere annullato o modificato - le modalità di svolgimento del procedimento di appello ed i poteri di cognizione del tribunale sono in buona parte simili a quelli previsti per il riesame. - il tribunale della libertà decide sull’appello entro 20 giorni dalla ricezione degli atti (i termini sono ordinatori e non perentori: il loro eventuale superamento non comporta l’inefficacia della misura cautelare impugnata). Disegno di legge 1232/2014:modifica la disciplina dell’appello stabilendo un termine per il deposito della motivazione identico a quello previsto per il riesame Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione costituisce una impugnazione esperibile contro le decisioni che il tribunale della libertà ha pronunciato sulla richiesta di riesame o sull’appello; i motivi sono quelli previsti dall’art. 606 (tra cui la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione). La corte di cassazione non può esaminare nel merito il provvedimento e non può valutare la fondatezza degli elementi che lo giustificano Legittimati a proporre il ricorso sono: l’imputato, il suo difensore, il p.m. che ha richiesto l’applicazione della misura e il p.m. presso il tribunale della libertà. E’ possibile anche il ricorso per cassazione per saltum contro le sole ordinanze che dispongono una giurisprudenza ha ricavato i requisiti del sequestro preventivo dalla disciplina di quello conservativo che fa riferimento ai concetti del fumus boni iuris e del periculum in mora Procedimento: il sequestro preventivo è disposto (su richiesta del p.m.), dal giudice il quale valuta l’esistenza dei presupposti senza sentire il possessore della cosa (che può essere l’imputato, la persona offesa o un altro soggetto). E’ tuttavia prevista un eccezione nel corso delle indagini preliminari: quando non è possibile attendere il provvedimento del gip, il sequestro preventivo è disposto con decreto motivato del p.m. Prima dell’intervento di quest’ultimo, in caso di urgenza, procedono al sequestro gli ufficiali di polizia giudiziaria, che trasmettono il verbale al p.m. stesso, il quale, se non dispone la restituzione delle cose, chiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto di sequestro. Entro 10 giorni il giudice, inaudita altera parte, emette ordinanza di convalida e dispone il decreto di sequestro. Le modalità di esecuzione variano in relazione all’oggetto del sequestro: sui beni mobili e sui crediti il sequestro preventivo si esegue secondo le orme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso terzi; sui beni immobili o mobili registrati si esegue con la trascrizione del provvedimento nei competenti uffici; sui beni aziendali con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese; sulle azioni o quote sociali con annotazione nei libri sociali ed iscrizione nel registro delle imprese; sugli strumenti finanziari de materializzati con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario. Revoca: può essere chiesta al giudice dal p.m. dall’imputato o da chiunque ne abbia interesse. Viene revocato quando sono venute meno le esigenze. Limite massimo entro cui può essere mantenuto è la sentenza di primo grado Impugnazione: Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice possono presentare richiesta di riesame l’imputato, il difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Sulla richiesta decide (in composizione collegiale) il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento.l’ordinanza di diniego del sequestro preventivo e l’ordinanza che respinge l’istanza di revoca proposta dall’imputato sono sottoponibili ad appello di fronte al tribunale del capoluogo di provincia. Disegno di legge 1232/2014: ha esteso al riesame delle misure cautelari reali la disciplina sul differimento dei termini disposto su istanza dell’imputato o d’ufficio. IL PROCEDIMENTO ORDINARIO LE INDAGINI PRELIMINARI Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento penale; essa: - inizia nel momento in cui una notizia di reato perviene alla polizia giudiziaria o al p.m.; - termina quando il p.m. esercita l’azione penale od ottiene dal giudice l’archiviazione richiesta. Le indagini preliminari consistono in investigazioni svolte dal p.m. e dalla polizia giudiziaria; ma la direzione delle indagini spetta al p.m. (tale norma attua il principio costituzionale dell’articolo 109 per cui “L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”). Principio della separazione delle fasi: gli atti di indagine sono svolti in segreto dal soggetto che investiga e sono perciò assunti in modo unilaterale e senza il contraddittorio; per questo motivo di regola gli atti di indagine non sono utilizzabili ai fini della decisione pronunciata in dibattimento. La regola cardine è enunciata dalla Cost: il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. Attuata nel codice dall’art 526: il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento. Le indagini svolgono varie funzioni: gli elementi di prova acquisiti - in primo luogo sono valutati dal p.m. per decidere se esercitare l’azione penale; - in secondo luogo sono utilizzati dal g.i.p. nel momento in cui questi pronuncia i provvedimenti di sua competenza; - infine sono utilizzati, sia pure in via eccezionale e con determinate cautele, dal giudice del dibattimento per emettere la decisione finale; in particolare la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per non ripetibilità oggettiva o per effetto di condotta illecita sul dichiarante. Il testo originario del codice del 88 non riconosceva all’indagato nel corso delle indagini preliminari la garanzia del diritto di difesa e del diritto alla prova; tale garanzia era inutile perché le investigazioni servivano unicamente al p.m. e non erano utilizzabili in dibattimento. Oggi la scelta di negare il diritto di difesa e alla prova non è più fondata legge 332/95 i legislatore ha iniziato a reintrodurre alcune garanzie difensive nella fase delle indagini Nella fase delle indagini preliminari è previsto l’intervento del giudice per le indagini preliminari; la sua funzione si caratterizza come una “giurisdizione semipiena”, perché è esercitata soltanto nei casi previsti dalla legge e su richiesta di parte; in sostanza il g.i.p. svolge una funzione di controllo imparziale sui provvedimenti più importanti, senza esercitare poteri di iniziativa (che in questa fase spettano al p.m.) Inoltre il g.i.p. ha una cognizione limitata, in quanto di regola decide soltanto sulla base di verbali di atti presentatigli dal p.m., dalla polizia e dal difensore dell’indagato o dell’offeso. Eccezionalmente di fronte al g.i.p. sono assunte le prove non rinviabili al dibattimento: ciò avviene in una udienza in contraddittorio, denominata incidente probatorio (392 ss.). LA NOTIZIA DI REATO La notizia di reato è un’informazione che permette alla polizia giudiziaria ed al p.m. di venire a conoscenza di un illecito penale. La presenza di una notizia di reato produce tre effetti: 1) segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza alla funzione di polizia giudiziaria; 2) impone alla polizia giudiziaria che abbia appreso la notizia l’obbligo di informare il p.m.; 3) impone al p.m. l’obbligo di provvedere all’immediata iscrizione della notizia nel registro delle notizie di reato. Il codice regola espressamente due notizie di reato Inoltre prevede le condizioni di procedibilità - la querela questi atti contengono sia l’informativa sull’illecito penale, - l’istanza sia la manifestazione della volontà che si proceda contro il - la richiesta di procedimento responsabile dello stesso; la loro mancanza impedisce al p.m. - l’autorizzazione a procedere di esercitare l’azione penale La denuncia La denuncia può esser presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato (un cittadino, uno straniero o lo stesso autore del fatto illecito); può essere scritta od orale e può essere presentata sia ad un ufficiale di polizia giudiziaria, sia direttamente al p.m. Contenuto della denuncia: la denuncia contiene * la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note; * quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Di regola, la denuncia è facoltativa, ma vi sono delle ipotesi in cui essa costituisce un obbligo sanzionato penalmente: • una persona privata ha l’obbligo di denuncia in questi casi: - quando sia cittadino italiano e abbia avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Statoper il quale la legge stabilisce l’ergastolo; - quando abbia ricevuto cose provenienti da delitto; - quando abbia notizia di materie esplodenti situate nel luogo da lui abitato; - quando abbia subito un furto di armi o esplosivi; - quando abbia avuto conoscenza di un delitto di sequestro di persona a fini di estorsione. • i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di presentare denuncia quando vi è una determinata relazione tra la funzione o il servizio da loro svolto e la conoscenza del reato; l’obbligo infatti scatta per i reati non procedibili a querela di cui il soggetto abbia avuto conoscenza nell’esercizio delle funzioni (cioè durante l’orario di lavoro) o a causa della sua funzione o servizio. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, data la particolare qualifica rivestita, sono tenuti ad informare il p.m. di tutti i reati procedibili d’ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza; quindi anche fuori del servizio svolto. La definizione delle due qualifiche è data dagli artt. 357 e 358 del codice penale. Aspetti comuni alle due qualifiche: - la funzione ed il servizio sono “pubblici” quando sono disciplinati da “norme di diritto pubblico e da atti autoritativi” - ciò che rileva non è l’esistenza di un rapporto di impiego pubblico, ma l’esercizio in concreto di una funzione o servizio pubblici. Definizione di pubblico ufficiale: sono funzioni pubbliche (ed in quanto tali integrano la qualifica di pubblico ufficiale) le funzioni legislative, giudiziarie ed amministrative; Al fine di consentire una precisa delimitazione del concetto di pubblica funzione, con particolare riferimento a quella amministrativa, il 357.2 c.p. afferma che la stessa deve avere almeno una di queste caratteristiche: deve consistere nella “formazione” o “manifestazione” della volontà della pubblica amministrazione o deve svolgersi per mezzo di “poteri autoritativi” o “certificativi”. Definizione di incaricato di pubblico servizio: nell’articolo 358 c.p. l’incaricato viene definito mediante un requisito positivo e due requisiti negativi: il servizio deve essere disciplinato da norma di diritto pubblico e da atti autoritativi (come la funzione pubblica); poi devono mancare le caratteristiche proprie della funzione pubblica (cioè lo svolgimento di poteri certificativi o autoritativi o la formazione o la manifestazione della volontà della p.a.) e il servizio non deve comportare l’esercizio di semplici mansioni d’ordine, né la prestazione di un’opera meramente materiale. Lo stato può affidare l’esercisio di un servizio pubblico a soggetti privati: nel momento in cui il privato esercita tale servizio egli assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria: sono tenuti ad informare il p.m. di tutti i reati procedibili d’ufficio dei quali sono venuti cmq a conoscenza anche fuori del servizio svolto Esenzione dall’obbligo di denuncia: il difensore e i suoi ausiliari non hanno obbligo di denuncia nemmeno in relazione ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte; tale disposizione deve intendersi nel senso che, rispetto all’obbligo di denuncia, il difensore e i suoi ausiliari sono trattati come privati anche quando svolgono investigazioni difensive (nonostante le attività difensive comportino l’esercizio di funzioni quali la certificazione o la verbalizzazione). Ciò avrebbe potuto indurre alcuni ad affermare che il difensore o i suoi ausiliari dovessero essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio ai fini dell’obbligo di denuncia. Le informazioni date dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria in favore della persona offesa: art. 101 legge 119/2013: al momento dell’acquisizone della notizia di reato il p.m. e la polizia devono informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia e della possibilità di accesso al patrocinio. Il referto Il referto è una particolare forma di denuncia alla quale è tenuto colui che, nell’esercizio di una professione sanitaria, ha prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio; questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (pertanto, se dal medico si fa assistere la persona offesa dal reato, il sanitario ha l’obbligo del referto; mentre se il responsabile del reato si fa assistere da un medico privato, l’obbligo di referto non sussiste). Se il medico è dipendente pubblico, anche in quest’ultimo caso egli ha sempre l’obbligo di denuncia-referto, in quanto è un incaricato di pubblico servizio. Il soggetto obbligato deve far pervenire il referto entro 48 ore (o se vi è pericolo del ritardo, immediatamente) al p.m. o alla polizia giudiziaria. Il presupposto che impone al professionista sanitario il dovere di referto non è la mera conoscenza di un reato procedibile d’ufficio ma l’aver prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio. Il refero indica la persona alla quale è stata prestata assistenza, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente, il tempo e le circostanze dell’intervento, le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato. L’obbligo di informare il pubblico ministero Una volta che la polizia giudiziaria abbia ricevuto una notizia di reato, scatta l’obbligo per la polizia stessa di informare il p.m., cioè di trasmettergli l’informativa, la quale deve: - precisare gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi di prova e le attività compiute - contenere l’indicazione precisa circa il giorno e l’ora in cui la notizia è stata acquisita Termini per la trasmissione dell’informativa: come regola il codice pone l’obbligo di riferire la notizia di reato senza ritardo e per iscritto al p.m.; sono previste poi alcune eccezioni: - l’informativa deve essere data immediatamente anche in forma orale quando sussistono ragioni di urgenza o quando si tratta di determinati delitti gravi o di criminalità organizzata . - l’informativa deve essere data entro di 48 ore nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia compiuto atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore dell’indagato. - l’informativa deve essere data immediatamente in caso di arresto in flagranza Una differenza tra informativa di polizia giudiziaria e la notizia di reato è la impersonalità della informativa. Mentre le notizie di reato obbligatoriamente sono il frutto di obblighi imposti ad una specifica persona che abbia avuto conoscenza del fatto. L’obbligo di informazione investe l’organo di polizia inteso come unità operativa. Le condizioni di procedibilità Il codice pone la regola della procedibilità d’ufficio; quindi i reati sottoposti a condizione di procedibilità devono essere espressamente previsti dalla legge. Le condizioni di procedibilità sono atti ai quali la legge subordina l’esercizio dell’azione penale in relazione a determinati reati per i quali non si debba procedere d’ufficio. In realtà in mancanza di una condizione di procedibilità possono essere compiuti soltanto gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall’articolo 392. La QUERELA è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si persegua penalmente il fatto di reato che essa ha subito, a prescindere dal soggetto che risulterà esserne l’autore; essa contiene: - la seconda fattispecie consiste nella rivelazione del segreto d’ufficio e punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio il quale riveli un atto segreto violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della propria qualità (art. 326 c.p.); rientrano nella categorie dei pubblici ufficiali, i magistrati e la polizia giudiziaria Durata del segreto investigativo: il divieto di rivelazione permane fino a che l’atto è coperto dal segreto; il codice indica due momenti nei quali viene meno l’obbligo del segreto: - in primo luogo l’obbligo del segreto cade avviene quando l’indagato può avere conoscenza dell’atto; deve trattarsi ovviamente di una possibilità “legale” di conoscenza - in secondo luogo l’obbligo del segreto cade quando si perviene alla chiusura delle indagini preliminari; l’espressione di riferisce all’avviso di conclusione delle indagini Il potere di segretazione (attribuito al p.m.) - il potere di segretare lo “svolgimento” di atti di indagine conoscibili: l’obbligo del segreto può essere disposto per singoli atti in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini. - il potere di segretare i “fatti” oggetto di indagine: esso si esercita su atti segreti (ma concerne solo gli atti di indagine che comportano l’assunzione di dichiarazioni da parte di testimoni o imputati) e consiste in un ampliamento dell’oggetto del segreto: esso non è limitato al solo svolgimento dell’atto, ma anche ai fatti storici oggetto di indagine; in particolare se sussistono specifiche esigenze attinenti alle indagini, il p.m. può vietare, alle persone sentite, di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza; il divieto è disposto con decreto motivato e non può avere una durata superiore a due mesi. IL DIVIETO DI PUBBLICAZIONE (c.d. segreto esterno) Il codice pone il divieto di pubblicare determinati atti del procedimento penale con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione; il divieto è di tipo assoluto o attenuato. Nei confronti degli atti di indagine che sono segreti è posto il divieto assoluto di pubblicazione, e cioè è vietato pubblicarne sia la riproduzione totale o parziale, sia il riassunto, sia il contenuto generico; tuttavia quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il p.m. può consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parte di essi. Per gli atti di indagine che non siano segreti, cioè per gli atti conoscibili (gli atti che sin dall’origine nascono come conoscibili dall’indagato e gli atti che divengono successivamente conoscibili) vige un divieto attenuato di pubblicazione, nel senso che è vietato pubblicare l’“atto”, e cioè il testo parziale o totale dell’atto stesso, però è consentito pubblicare il “contenuto” dello stesso, cioè notizie di stampa può o meno generiche e prive di riscontri documentali riguardanti il contenuto di atti. Questo vale fino al termine dell’udienza preliminare; poi, in seguito alla emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice forma due fascicoli sottoposti a due regimi differenti: 1) il fascicolo per il dibattimento: gli atti in esso contenuti sono di regola pubblicabili attraverso la riproduzione totale o parziale del loro testo. 2) il fascicolo del p.m.: gli atti in esso contenuti sono pubblicabili soltanto nel loro contenuto generico; può essere pubblicato il loro testo soltanto dopo che è stata pronunciata la sentenza in grado d’appello (il legislatore vuole garantire la corretta formazione del convincimento del giudice) La pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale è punita con la sanzione irrisoria dell’arresto fino a 30 giorni in alternativa con l’ammenda di 258 euro nel massimo: scarsa efficacia deterrente della norma (art. 684 cp). Regole particolari Il divieto di divulgazione di determinati atti. E’ vietato pubblicare le generalità e l’immagine dei minorenni in relazione a qualsiasi atto del procedimento penale, il divieto vige nei confronti del minorenne imputato; se il minorenne è testimone, persona offesa o danneggiato dal reato, il divieto concerne altresì gli elementi che anche indirettamente possano portare alla sua identificazione. Le generalità e l’immagine della persona offesa. L’art. 734-bis cp sanziona con la pena dell’arresto da 3 a 6 mesi chiunque divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa dai reati di violenza sessuale, pedofilia e pedopornografia, senza il consenso di questa. Le persone private della libertà personale. La legge 479/99 ha introdotto nell’art. 114 il co. 6-bis, che vieta la pubblicazione dell’immagine delle persone private della libertà personale, ritratte con le manette ai polsi o mentre sono sottoposte ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che questa vi consenta. La pubblicazione di documenti concernenti lo spionaggio ed il dossieraggio illeciti. L’art. 4 del d.l. 259/2006 recante “Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tea di intercettazioni telefoniche” ha introdotto il divieto di pubblicare gli atti o i documenti di cui al co. 2 dell’art. 240 cpp: - documenti supporti ed atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico che siano stati illegalmente formati o acquisiti (spionaggio illecito); - documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni (dossieraggio illecito). L’ATTIVITÀ DI INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E L’ATTIVITÀ DEL P.M. All’interno delle indagini preliminari il codice distingue tra attività ad iniziativa della polizia giudiziaria ed attività del p.m.; la distinzione non vuole isolare una fase autonoma attribuita alla polizia giudiziaria, bensì ha lo scopo di precisare la differente regolamentazione degli atti sotto vari profili, tra cui l’esercizio di poteri coercitivi e la tutela del diritto di difesa. Il p.m. ha poteri di perquisizione e sequestro probatorio più incisivi rispetto alla polizia giudiziaria che agisce di propria iniziativa. La perquisizione ad iniziativa della polizia può avvenire soltanto in caso di flagranza o evasione e deve essere sottoposta a convalida dal p.m. L’ATTIVITÀ AD INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA Nell’ambito dell’attività d’iniziativa dalla polizia giudiziaria si possono tracciare ulteriori distinzioni: • l’iniziativa autonoma: è un’attività di iniziativa in senso stretto che consiste nel raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole ; tale attività prende avvio dal momento in cui è pervenuta la notizia di reato e termina nel momento in cui il p.m. ha impartito le sue direttive; • l’iniziativa successiva: è un’attività di iniziativa in senso ampio che la polizia giudiziaria svolge dopo aver ricevuto le direttive dal p.m.; tale attività può ancora distinguersi in: - iniziativa guidata, che consiste nella stretta esecuzione delle direttive del p.m. - iniziativa parallela, che comprende tutte le altre attività di indagine per accertare i reati che la polizia può eseguire purché ne informi prontamente il p.m. Infine, è prevista la c.d. attività integrativa, ossia svolta di iniziativa ma sulla base dei dati emersi a seguito del compimento di atti delegati dal p.m., per assicurarne la massima efficacia. Es. quando da un interrogatorio delegato si scoprono fonti di prova da assicurare. Attività integrativa e parallela vanno in contro a due limiti: - il sistema induce a ritenere che sia vietato il compimento di atti eventualmente in contrasto con le direttive del p.m. - la polizia ha l’obbligo di informare prontamente il p.m. degli ulteriori elementi raccolti Atti tipici svolti d’iniziativa dalla polizia giudiziaria senza esercizio di poteri coercitivi 1) le sommarie informazioni dall’indagato Con l’espressione “sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini” il codice ricomprende tre diverse modalità con cui l’indagato può rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria, molto differenti nei presupposti e nel regime di utilizzabilità: - le informazioni con la presenza del difensore: l’ufficiale di polizia (non quindi un semplice agente) può assumere informazioni dall’indagato (e cioè porre domande) solo se quest’ultimo è libero e se comunque il suo difensore è presente (ciò presuppone che la polizia abbia invitato l’indagato a nominare un difensore e che questi, nominato e quindi preavvisato tempestivamente, sia potuto intervenire; se l’indagato non ha proceduto alla nomina di un difensore di fiducia, la polizia avverte il difensore d’ufficio di turno); le formalità di questo atto sono inferiori rispetto all’interrogatorio svolto dal p.m., infatti è sufficiente che l’indagato riceva quegli avvertimenti che sono disciplinati dal 64.3 (e cioè che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti, che salvo quanto disposto dal 66.1 ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso, e che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone); - le dichiarazioni spontanee: l’ufficiale o l’agente di polizia può ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; Questa seconda modalità comporta che la polizia non abbia posto domande: occorre che l’iniziativa sia venuta dall’indagato;il codice non pone espressamente alla polizia l’obbligo di dare gli avvisi contenuti nel 64.3; - le informazioni per la prosecuzione delle indagini: gli ufficiali di polizia giudiziaria possono porre domande all’indagato libero o arrestato anche in assenza del difensore, tuttavia delle notizie assunte è vietata sia la documentazione, sia l’utilizzazione in dibattimento ed in fasi precedenti; inoltre il codice pone due limiti: a) le domande possono esser rivolte all’indagato solo sul luogo o nell’immediatezza del fatto di reato (ad es. nella stazione di polizia, ma subito dopo) b) deve trattarsi di notizie utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini Il codice non impone alla polizia di avvertire l’indagato che ha facoltà di restare silenzioso. Le notizie non sono utilizzabili nel procedimento, ma possono servire per “indirizzare” le indagini 2) le sommarie informazioni da persone informate (possibili testimoni) Le persone informate sono indicate dal codice con l’espressione “persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini”; obblighi della persona informata: - il possibile testimone ha l’obbligo di presentarsi alla polizia, se convocato; ove non si presenti, può essere incriminato per inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità (art. 650 c.p.) - inoltre, egli ha l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date (ad es. identificare cose o persone) - infine egli ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte; tale obbligo di dire il vero non è penalmente sanzionato, tuttavia esso può dar luogo ad una differente responsabilità penale se, davanti alla polizia giudiziaria, il possibile testimone agisce allo scopo di aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa: l’aiuto così fornito ad una persona (purché diversa dal concorrente nel medesimo reato) integra gli estremi del delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.). La persona informata è titolare del privilegio contro l’autoincriminazione: può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale; inoltre può opporre all’inquirente l’esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge; infine se è un prossimo congiunto dell’imputato o dell’indagato deve essere avvisata della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni. La persona informata ha l’obbligo di presentarsi alla polizia se convocata; ove non si presenti può essere incriminata per inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità. Ha l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date, ad es. può essere imposto di identificare persone o cose Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale; di regola non sono utilizzabili in dibattimento; eccezionalmente sono utilizzabili in dibattimento, se ripetibili, mediante contestazione nei limiti previsti dall’art. 500; se sono divenute non ripetibili, mediante lettura alle condizioni previste dall’art. 512. Un caso particolare costituiscono le sommarie informazioni dall’imputato di un procedimento connesso o collegato. L’ufficiale di polizia giudiziaria può porre domande all’imputato (o all’indagato) di un procedimento connesso o collegato: questi ha diritto ad essere assistito da un difensore, in caso di mancata nomina di quello di fiducia, gli è designato un difensore d’ufficio. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato ed ha diritto di assistere all’atto. 2) atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche Il codice legittima la polizia giudiziaria a compiere di propria iniziativa “atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche”; la norma autorizza la polizia giudiziaria ad avvalersi dell’opera di “persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera”: sono i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria. Vi è differenza tra ausiliario e consulente tecnico: l’ausiliario svolge l’atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale, perciò si tratta di un atto compiuto dalla polizia giudiziaria; il consulente tecnico svolge attività in proprio dietro mandato del p.m., al quale dovrà riferire i risultati. Atti tipici svolti d’iniziativa dalla polizia giudiziaria con esercizio di poteri coercitivi 1) identificazione dell’indagato e di altre persone 2) la perquisizione in caso di flagranza o evasione 3) acquisizione di plichi o di corrispondenza; 4) accertamenti urgenti e sequestro; 5) arresto in flagranza; 6) fermo di persona gravemente indiziata. L’identificazione L’identificazione è l’atto col quale viene dato un nome ad un volto (oggetto dell’identificazione è una persona fisica individuata, della quale non si conoscono le generalità); oggetto di identificazione possono essere tutte le persone che hanno avuto a che fare col reato direttamente o indirettamente (indagato, offeso e possibili testimoni). Scopo = individuare le generalità di tutte le persone che possono avere un ruolo negli sviluppi del procedimento e che pertanto può essere indispensabile contattare accompagnamento coattivo: Ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare, oppure fornisce generalità o documenti di cui si possa ritenere la falsità, è possibile un accompagnamento coattivo per identificazione; questo consiste nel portare la persona identificata negli uffici di polizia ed ivi trattenerla per il tempo strettamente necessario per l’identificazione e comunque non oltre le 12 ore. La persona può essere trattenuta non oltre le 24 ore nel caso in cui “l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete”, ma la polizia deve dare previamente avviso orale o scritto al p.m. e la persona ha la facoltà di “chiedere di avvisare un familiare o un convivente”. In ogni caso dell’accompagnamento e dell’ora in cui questo è stato compiuto occorre dare immediata notizia al p.m. che può ordinare in qualsiasi momento che la persona trattenuta sia rilasciata qualora non sussistano le condizioni sopra indicate. Norme particolari valgono per l’identificazione dell’indagato fatto è addebitato anche ad altre persone. Dalla data in cui è iscritto nel registro il nome della persona alla quale il reato è attribuito, decorre il termine (di regola, sei mesi) entro cui il p.m. deve decidere se esercitare l’azione penale, chiedere l’archiviazione o chiedere la proroga delle indagini. 2) registro degli atti non costituenti notizia di reato: in esso il p.m. ordina che siano iscritti tutti quegli esposti dai quali non sia possibile ipotizzare in alcun modo un fatto di reato. ( modello 45) 3) registro delle notizie anonime; di queste non può esser fatto alcun uso nel procedimento penale, almeno di regola; in via eccezionale, l’art. 240 prevede che “I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato”.( modello 46) La conoscibilità del registro su iniziativa del soggetto interessato. Una volta che il nome dell’indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, le indagini continuano a svolgersi di regola in segreto (se non vengono compiuti atti conoscibili e non viene disposta alcuna misura cautelare, l’indagato non ha conoscenza “ufficiale” che è in corso un procedimento penale). Il primo momento certo nel quale l’indagato ottiene una notizia ufficiale del procedimento a suo carico si ha nel momento in cui il p.m. ha concluso le indagini preliminari e ritiene che debba essere richiesto il rinvio a giudizio. In tal caso è tenuto ad inviare all’indagato e al difensore il cd. Avviso di conclusione delle indagini contenente la sommaria enunciazione del fatto e l’avviso che gli atti sono stati depositati e possono essere visionati. Prima che gli pervenga l’informazione di garanzia (od atto equivalente), l’indagato può avere una notizia “ufficiale” dell’esistenza di un procedimento nei suoi confronti solo se si attiva, e cioè se chiede alla segreteria del p.m. di avere conoscenza delle iscrizioni a suo carico. (tuttavia, in casi eccezionali, le iscrizioni restano segrete). Il segreto sulle iscrizioni nel registro: occorre distinguere: 1) Se si procede per delitti di criminalità mafiosa le iscrizioni restano segrete fino a due anni: infatti per tali reti le iscrizioni non sono conoscibili a richiesta, la proroga viene data in segreto e due anni è il termine massimo di durata delle indagini. 2) Se si procede per gravi delitti non mafiosi, le iscrizioni restano segrete fino ad un anno: infatti per tali reati anche se le iscrizioni non sono conoscibili, la durata iniziale delle indagini è eccezionalmente di un anno (anziché 6 mesi), ma l’eventuale richiesta di proroga deve essere comunicata all’indagato. 3) Infine, se si procede per altri reati, il p.m. può disporre la segretazione fino ad un massimo di 3 mesi quando sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività d’indagine, e cioè quando vi è pericolo di inquinamento delle prove. Quando non esistono iscrizioni nei confronti dell’interessato richiedente ovvero quando esistono ma non sono conoscibili, l’ufficio di segreteria, su indicazione del p.m., risponde alla richiesta con la seguente frase: “non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione”. L’informazione di garanzia Il p.m. che sta per compiere un atto garantito deve inviare all’indagato e alla persona offesa l’informazione di garanzia. il contenuto più importante è l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. L’informazione deve essere inviata per posta . il diritto dell’indagato alla tempestiva conoscenza dell’addebito è garantito dall’art 111 (III). Informazione sul diritto di difesa: deve essere inivata all’indagato in occasione del primo tra gli atti garantiti che si svolgono su iniziativa del p.m. al fine di rendere effettivo l’istituto della difesa d’ufficio. La comunicazione contiene: l’informazione della obbligatorietà della difesa tecnica, il nominati del difensore d’ufficio; la precisazione che l’indagato ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia; obbligo di retribuire il difensore d’ufficio a meno che non sia ammesso al patrocinio a spese dello stato. Gli atti compiuti personalmente o su delega Il p.m. può compiere atti di indagine personalmente o può delegarli alla polizia giudiziaria; la delega può riguardare sia gli atti “atipici”, sia gli atti “tipici”, purché questi ultimi siano specificamente delegati; inoltre il p.m. può imporre alla polizia giudiziaria una direttiva, cioè l’indirizzo generale da dare alle indagini, all’interno del quale la polizia giudiziaria opera con gli atti di propria iniziativa. La delega è di regola consentita; sono previsti alcuni divieti: - è previsto in modo esplicito il divieto di compiere ispezioni, perquisizioni e sequestri, che si svolgono negli uffici dei difensori e che sono disposti nel corso delle indagini preliminari; ad essi provvede personalmente il p.m. in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice; - è previsto in modo implicito il divieto di delegare l’interrogatorio dell’indagato arrestato ed i confronti con il medesimo; - è ricavabile dalla natura dell’atto il divieto di delegare l’accertamento tecnico non ripetibile. La documentazione: gli atti assunti dal p.m. vengono documentati in vari modi, a prescindere dal fatto che siano stati compiuti personalmente o per delega alla polizia giudiziaria: 1) il verbale in forma integrale (che contiene sia le domande sia le risposte); la redazione del verbale in forma integrale riguarda alcuni atti in considerazione della loro importanza (si tratta delle denunce e delle querele presentate oralmente, degli interrogatori e dei confronti con l’indagato, delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri, delle sommarie informazioni, degli interrogatori degli imputati connessi e degli accertamenti tecnici non ripetibili) 2) il verbale in forma riassuntiva (che contiene la narrazione delle parti essenziali delle dichiarazioni); in tal modo sono verbalizzate le attività di indagine diverse da quelle sopra menzionate 3) l’annotazione, prevista per gli atti che hanno un contenuto semplice o una limitata rilevanza. Il fascicolo delle indagini: l’atto contenente la notizia di reato e la documentazione delle indagini sono conservati in un apposito fascicolo preso l’ufficio del p.m. assieme agli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria. atti di indagine che possono essere compiuti su iniziativa del p.m. 1- Le informazioni assunte dal possibile testimone Le informazioni possono essere assunte dal p.m. personalmente o dalla polizia giudiziaria da lui delegata. Coloro che rendono le informazioni sono indicate dal 362 con l’espressione “persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini”; vengono denominate nella prassi “persone informate”; tuttavia riteniamo che l’espressione “possibile testimone” sia più appropriata in quanto l’art. 362 estende alla persona informata quella incompatibilità a testimoniare prevista in relazione all’imputato dell’art. 197 (ne deriva che colui che risulta indagato non può essere sentito come persona informata). Regolamentazione Al possibile testimone sono applicabili gli artt. 197-203 del codice, per cui egli: - ha i medesimi doveri processuali del testimone: deve presentarsi ed attenersi alle prescrizioni date e deve rispondere secondo verità - è titolare del privilegio contro l’autoincriminazione: può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale; - può opporre all’inquirente l’esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge Il possibile testimone gode anche della garanzia contro l’autoincriminazione: se dalle informazioni rese emergono indizi di reità a carico del possibile testimone, l’autorità inquirente ne interrompe l’esame e lo avvisa che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti; inoltre lo invita a nominare un difensore; le dichiarazioni rese in precedenza dal possibile testimone non possono essere utilizzate contro di lui, se mai possono essere utilizzate contro l’indagato. il codice pone un’ulteriore garanzia allo scopo di evitare che l’inquirente senta come possibile testimone una persona che dovrebbe interrogare in qualità di imputato con il rispetto delle garanzie difensive: “Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate” Inoltre il p.m. e la polizia giudiziaria non possono chiedere alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date nel corso dell’intervista; il codice stabilisce un limite al potere di indagine dell’autorità inquirente, limite che è stabilito a tutela della segretezza degli atti di investigazione difensiva. Documentazione Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale; di regola non sono utilizzabili in dibattimento; eccezionalmente sono utilizzabili, se ripetibili, mediante contestazione nei limiti posti dall’art. 500 mentre se sono divenute non ripetibili, sono utilizzabili mediante lettura alle condizioni previste dall’art. 512. 2-L’interrogatorio dell’indagato Il p.m. che intenda sottoporre l’indagato ad interrogatorio (o a confronto o ad ispezione) deve fargli notificare un “invito a presentarsi” di regola, almeno 3 giorni prima di quello fissato per l’interrogatorio, salvo che, per ragioni di urgenza, il pubblico ministero ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire; l’invito a presentarsi deve contenere: a) le generalità dell’indagato; b) il giorno, l’ora e il luogo della presentazione e l’autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; c) l’indicazione che si darà luogo ad interrogatorio (o a confronto o ad ispezione) d) l’avvertimento che il p.m. potrà disporre l’accompagnamento coattivo dell’imputato nel caso di mancata presentazione di questi senza che sia stato addotto un legittimo impedimento; e) la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute (nella prassi si denomina ciò “addebito provvisorio”). L’avviso al difensore: il difensore deve essere preavvisato dell’atto almeno 24 ore prima del suo compimento; nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il p.m. può procedere a interrogatorio (o a ispezione o a confronto) anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente. L’interrogatorio dell’indagato libero può essere compiuto dal p.m. personalmente o su delega alla polizia giudiziaria; se è condotto personalmente dal p.m. l’atto può svolgersi anche senza la presenza del difensore, che tuttavia deve essere stato preavvisato; se l’interrogatorio è svolto dalla polizia giudiziaria delegata, il difensore dell’indagato deve essere necessariamente presente. L’interrogatorio dell’imputato sottoposto a fermo, arresto o custodia cautelare può esser condotto solo dal p.m. (non è ammessa la delega alla polizia giudiziaria.) 3- L’interrogatorio di una persona imputata in un procedimento commesso o collegato Il p.m. nel corso delle indagini preliminari può interrogare un imputato di un procedimento connesso o collegato, che si svolga separatamente. La regolamentazione dell’atto si ricava per relationem dalla disciplina dell’esame dibattimentale di persone imputate in un procedimento connesso o collegato (infatti l’art. 363 impone di osservare le forme previste dall’art. 210). L’imputato (o indagato) di un procedimento connesso o collegato citato dal p.m. ha l’obbligo di presentarsi e riceve il medesimo avvertimento che viene dato al possibile testimone: in caso di mancata comparizione senza legittimo impedimento, la pubblica accusa può ordinare direttamente l’accompagnamento coattivo. Il p.m. ha l’obbligo di preavvisare il difensore del soggetto in questione del compimento dell’interrogatorio; invece il difensore dell’indagato del procedimento principale nel quale è assunto l’interrogatorio dell’imputato di un procedimento connesso non può partecipare all’interrogatorio, né ha diritto ad esaminarne il verbale in segreteria. Il 210 prevede una disciplina differenziata a seconda che il soggetto sentito sia un concorrente nel medesimo reato o un imputato connesso teleologicamente o collegato: - interrogatorio dell’imputato concorrente nel medesimo reato Il p.m. ha l’obbligo di avvisare l’imputato concorrente che questi ha la facoltà di non rispondere, salvo che sulla propria identità personale; ciò al fine di rispettare il privilegio contro l’autoincriminazione (infatti, ciò che viene dichiarato potrà poi essere utilizzato in base all’art. 238 contro (o a favore di) questo soggetto nel procedimento che lo vede indagato od imputato); inoltre l’imputato concorrente nel medesimo reato non ha un obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità. - interrogatorio dell’imputato in un processo connesso teleologicamente o collegato L’imputato in un procedimento connesso teleologicamente o collegato è avvertito che se renderà dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumerà la qualifica di testimone assistito limitatamente a tali fatti. L’accertamento tecnico operato dal consulente del pubblico ministero Qualora le parti abbiano l’esigenza di svolgere accertamenti che comportano specifiche conoscenze scientifiche, tecniche o artistiche, è possibile per la pubblica accusa e per l’indagato chiedere al giudice la nomina di un perito con quell’istituto che è denominato “incidente probatorio”; in alternativa il codice predispone uno strumento più agevole, la consulenza tecnica di parte. Il p.m. durante le indagini preliminari può nominare consulenti tecnici quando occorre procedere ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze. Il consulente non può rifiutare la sua opera. La consulenza ha due distinte regolamentazioni in base al seguente criterio: si tratta di valutare se, nel momento in cui è disposto, l’accertamento appare ripetibile, o meno, in dibattimento: • qualora l’accertamento tecnico appaia ripetibile, il p.m. nomina un consulente tecnico e fa svolgere l’accertamento in segreto; il verbale di tale atto è collocato nel fascicolo delle indagini ed è destinato ad essere inserito nel fascicolo del p.m. se e quando, in seguito all’udienza preliminare, sarà disposto il rinvio a giudizio • qualora l’accertamento tecnico appaia non ripetibile, il codice attribuisce a tale atto un’efficacia simile alla perizia, subordinandolo ad un controllo ad opera dell’indagato. La non ripetibilità può derivare da varie situazioni: 1) l’accertamento tecnico riguarda persone, cose o luoghi “il cui stato è soggetto a modificazione” 2) può essere lo stesso accertamento a determinare la modifica di cose, luoghi o persone In detti casi il p.m. deve dare un previo avviso all’indagato, all’offeso ed ai difensori in quanto costoro possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia; i difensori e i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve
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