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schemi concorrenza sleale, Dispense di Diritto Commerciale

atti di concorrenza sleale schemi

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 14/06/2021

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

4.5

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Scarica schemi concorrenza sleale e più Dispense in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! MERCATO E CONCORRENZA L’insieme delle offerte degli imprenditori e delle domande di acquisto della clientela prende il nome di mercato. - L’azione dell’impresa sul mercato è assoggettata a norme a tutela della correttezza delle relazioni tanto extracontrattuali che contrattuali.  EXTRACONTRATTUALI = in linea di principio il sistema tutela l’interesse anzitutto a che ciascuna impresa eserciti pressioni concorrenziali, e allo stesso tempo sia esposta ad altre pressioni concorrenziali di altre imprese, tali da incentivare il costante adeguamento dell’offertasi bisogni della clientela; ed inoltre a che non eserciti sui consumatori condizionamenti tali da alterarne la capacità di adottare decisioni consapevoli. - È in questa prospettiva che va letta la disciplina sulla concorrenza sleale, sulle pratiche commerciali scorrette, sulla pubblicità e sulla legislazione antimonopolistica (c.d. diritto antitrust) - Dall’altra parte onde tutelare il cresciuto accreditamento di una impresa sul mercato e delle sue iniziative innovative (tecnologie, design) è posto il diritto della proprietà industriale.  MODELLO DI CONCORRENZA DINAMICA: a. spingere le imprese ad investire per accreditare la propria reputazione. b. evitare che la capacità di cui sopra diventi strumento per emarginare i concorrenti. CONCORRENZA E CORRETTEZZA IMPRENDITORIALE 1. LA CONCORRENZA SLEALE Fonti e sistema : a. Art. 10-bis C.U.P. (livello internazionale) b. Art. 2598 ss. c.c. (livello interno) 2. I SOGGETTI. IL RAPPORTO DI CONCORRENZA = qualità di imprenditore + rapporto di concorrenza  LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE PRESUPPONE LA QUALITÀ DI IMPRENDIDORE, tanto nel soggetto attivo (autore dell’atto di concorrenza) tanto nel soggetto passivo (danneggiato). Ciò si desume dall’art. 2598, n. 3 che parla di azienda.  LA DISCIPLINA PRESUPPONE INOLTRE L’ESISTENZA DI UN RAPPORTO DI CONCORRENZA, che in via generale sussiste quando le imprese si rivolgono ad una clientela comune. Il rapporto di concorrenza deve ricorrere sia sotto il profilo MERCEOLOGICO che sotto quello TERRITORIALE.  IL RAPPORTO DI CONCORRENZA È RITENUTO SUSSISTENTE ANCHE A LIVELLI ECONOMICI DIVERSI. Per esempio tra produttore e distributore. 1. ATTI CONFUSORI 2. ATTI SCREDITANTI 3. APPROPIAZIONE DI PREGI 4. CLAUSOLA GENERALE (divieto di atti contrari ai principi della correttezza professionale) 3. LA CONCORRENZA SLEALE PER CONFUSIONE Art. 2598, n.1  “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri”, o più in generale dal compimento “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”.  L’ipotesi è riconducibile all’interesse generale alla trasparenza del mercato, e nella specie a poter indentificare attraverso i segni distintivi l’impresa responsabile dell’organizzazione aziendale, e dell’offerta del prodotto o del servizio.  L’art. 2598, n.1 tutela quindi tutti i segni distintivi tipizzati dall’ordinamento: ed in particolare la ditta la ragione e denominazione sociale, l’insegna ed il marchio, titoli e testate di periodici, nonché il nome a dominio.  Può tuttavia proteggere altre tipologie di segni, quali ad esempio la ditta irregolare, nonché eventuali segni distintivi atipici (di cui peraltro è difficile trovare esempi, data la possibilità di ricondurre quantomeno alla categoria del marchio sostanzialmente qualsiasi strumento di identificazione dell’imprenditore).  La disciplina concorrenziale assume in particolare importanza centrale per definire i presupposti e l’ambito di protezione dei segni distintivi non registrati. In materia di marchi registrati, l’applicazione dell’art. 2598, n.1 è invece sostanzialmente assorbita dalla protezione ben più ampia prevista negli art. 7 ss. del codice della proprietà industriale. Art. 2598, n. 1  è vietato il comportamento di chi “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni imita servilmente i prodotti di un concorrente”, onde evitare l’effetto confusione.  Il divieto si applica quindi quando l’aspetto esterno del prodotto assume presso i consumatori una funzione distintiva dell’impresa responsabile dell’offerta, cosicché l’imitazione determina un inganno in ordine alla provenienza.  Le forme tutelabili sono quelle registrabili come marchi 4. LA DENIGRAZIONE E APPROPIAZIONE DI PREGI Art. 2598, n. 2 DENIGRAZIONE Comportamento di chi diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente idonei a determinare il discredito.  La norma viene tendenzialmente riferita alle affermazioni screditanti false, come espressamente prevede l’art. 10-bis, comma 2, CUP le offerte di prodotti che il professionista non è in grado di fornire in tempi e quantità ragionevoli, oppure le pubblicità redazionali). Art. 24 ss.  pratiche aggressive: pratiche attuate attraverso molestie (di carattere fisico o psicologico), idonee a limitare la libertà di scelta e di comportamento del consumatore medio (esempio continue sollecitazioni telefoniche, comportamenti ostruzionistici nei confronti del consumatore che vuole esercitare i propri diritti). Il codice del consumo qualifica l’adozione di pratiche scorrette come illecito amministrativo. Dunque, a norma degli artt. 27 e ss. l’accertamento dei fatti e l’irrogazione delle sanzioni compete ad una specifica autorità amministrativa indipendente detta AGCM. AGCM poteri: inibizione della continuazione delle pratiche scorrette; applicazione di sanzioni pecuniarie sia per le pratiche scorrette sia per la mancata osservanza di provvedimenti inibitori. I provvedimenti dell’AGCM sono impugnabili davanti alla giurisdizione amministrativa. - È possibile che l’adozione di pratiche commerciali scorrette rilevi anche sul piano privatistico come fonte di obbligazione di risarcimento del danno 8. LA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE E COMPARATIVA L’impresa acquista normalmente visibilità sul mercato in un contesto di comunicazione pubblicitaria. La pubblicità è rivolta ad accreditare verso il pubblico i servizi e i prodotti dell’impresa. La pubblicità costituisce una pratica commerciale  quindi essa è sottoposta ai divieti di scorrettezza e ingannevolezza a tutela del consumatore. - Il legislatore ha inoltre dettato una disciplina specifica contro gli atti di pubblicità ingannevole e contro la pubblicità comparativa scorretta, anche per tutelare i professionisti. Il legislatore qualifica come INGANNEVOLE  “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni qualsiasi pubblicità che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge” e che “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni POSSA PREGIUDICARE IL LORO COMPORTAMENTO ECONOMICO”. - Il problema della liceità della pubblicità comparativa si è storicamente posto con riferimento al divieto di denigrazione e appropriazione di pregi contenuto nell’art. 2598, n.2. tale divieto va coordinato con il diritto UE. Questa disciplina che ne viene fuori in linea di principio consente la comparazione pubblicitaria ma nel rispetto di alcuni limiti: a. Non deve essere ingannevole; b. Non deve destare confusione con i segni distintivi del concorrente; c. Deve riguardare beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni; d. Deve confrontare oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo - In questa prospettiva la liceità della comparazione presuppone una pubblicità informativa - È vietata la pubblicità suggestiva: presentare il prodotto del concorrente in un contesto svilente senza prenmdere in considerazione le caratteristiche oggettive - È vietata la comparazione che causa discredito al concorrente  La violazione della disciplina sulla pubblicità ingannevole o comparativa costituisce illecito accertabile dall’AGCM, e può essere colpita con sanzioni pecuniarie e ordini di cessazione dell’illecito.  Si ritiene che la violazione di questo corpo di norme costituisca un atto di concorrenza sleale riconducibile al mendacio, all’appropriazione di pregi o alla violazione di norme di diritto pubblico. LA DISCIPLINA ANTITRUST La disciplina relativa alla libertà di concorrenza, sovente definita col termine inglese antitrust, si propone essenzialmente di contrastare il potere di mercato delle imprese: cioè a dirsi situazioni in cui le imprese si sottraggono alla pressione concorrenziale. La disciplina antitrust cerca dunque di impedire alle imprese di creare artificiosamente un potere di mercato attraverso intese restrittive della concorrenza o operazioni di concentrazione, cerca inoltre di impedire lo sfruttamento abusivo del potere di mercato da parte delle imprese che abbiano acquistato una posizione dominante. 1. Antitrust europeo e antitrust nazionale: fonti e autorità La disciplina antitrust trova la propria fonte principale nel diritto UE: artt. 101 e 102 TFUE e nel Regolamento CE 1/2003. Il legislatore nazionale ha ricalcato i gran parte la disciplina europea con la legge n. 287/1990, c.d. legge antitrust.  La legislazione nazionale si applica alle fattispecie restrittive della concorrenza che non pregiudicano il mercato UE nel commercio fra stati membri, nonché nelle concentrazioni che non superano le soglie di fatturato previste dalla legislazione europea.  L’accertamento degli illeciti antitrust può avvenire in via ammnistrativa da parte di autorità dotate di incisivi poteri di iniziativa (anche d’ufficio) e di acquisizione del materiale probatorio.  Queste autorità possono applicare sanzioni pecuniarie e ordinare la cessazione dell’infrazione.  Sono competenti a livello europeo la Commissione, e a livello nazionale l’AGCM (competenza concorrente).  L’accertamento delle violazioni del diritto antitrust può avvenire anche in via privatistica da parte della autorità giudiziaria, secondo le regole del processo civile, su iniziativa degli interessati ad accertare la nullità dei contrati conclusi in violazione della disciplina della concorrenza o a ottenere il risarcimento del danno subito (private enforcement). 2. Soggetti e mercato rilevante Il diritto antitrust costituisce tuttavia un settore in cui la nozione di impresa si è allargata fino a ricomprendere fenomeni in passato storicamente esclusi dalla definizione dell’art. 2082. La nozione di impresa ricomprende in particolare qui sostanzialmente qualsiasi attività economica, ivi compresa quella dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti. Gli effetti restrittivi della concorrenza non possono essere apprezzati in assoluto, ma devono essere valutati relativamente ad un mercato per il quale si ritiene opportuno preservare condizioni di competitività. Nella terminologia del diritto antitrust, la questione riguarda la determinazione del “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni mercato rilevante” per la valutazione di effetti restrittivi e di posizioni dominanti.  Il mercato rilevante viene circoscritto in relazione a due fattori fondamentali: il fattore geografico ed il fattore merceologico. 3. Le intese Già si è visto che la disciplina antitrust europea e nazionale prevede tre fondamentali tipologie di pratiche restrittive della concorrenza: e precisamente le intese, gli abusi di posizione dominante e le operazioni di concentrazione. La disciplina in materia di intese è contenuta nell’art. 101 TFUE, e nei corrispondenti artt. 2 e 4 l.at. Il divieto di intese vuole in via generale impedire pratiche di concertazione dei comportamenti. Il parallelismo di comportamenti è infatti antitetico all’adozione di strategie individuali di abbassamento dei prezzi o incremento delle qualità dei prodotti o servizi dirette a sottrarre ai concorrenti quote di mercato. L’intesa rappresenta perciò in ultima analisi un esercizio di potere di mercato in forma congiunta da parte delle imprese aderenti all’accordo, nel loro interesse ed in danno dei consumatori. Il divieto di intese colpisce gli “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate […] che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza” (così testualmente l’art. 101 TFUE). Il divieto ricomprende perciò tutte le forme di concertazione, indipendentemente dal loro carattere giuridicamente vincolante. Oltre ai veri e propri contratti, rientrano dunque nel divieto le decisioni di associazioni di imprese 14, quali consorzi e organizzazioni rappresentative di interessi di categoria (ivi compresi gli ordini professionali); nonché le pratiche concordate, costituite da accordi privi di valore contrattuale (cc.dd. gentlemen’s agreements), ma di fatto osservati spontaneamente 15. La nozione di pratica concordata ricomprende altresì gli scambi di informazioni 16 in ordine alle rispettive strategie imprenditoriali (ad es. politiche di prezzi e sconti), che fisiologicamente presuppongono l’intenzione di evitare “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni guerre commerciali” per l’incremento di quote di fatturato. L’intervento antitrust nei confronti delle intese presuppone infine che il pregiudizio alla concorrenza si manifesti in misura sensibile. La Commissione ha al riguardo emanato una comunicazione sugli accordi di importanza minore (c.d. comunicazione de minimis), secondo cui accordi relativi a quote di mercato inferiori al 10% 18 tendenzialmente non risultano pregiudizievoli per la concorrenza (se dunque l’intesa è realizzata tra imprese che complessivamente detengono una quota nel mercato rilevante inferiore a questa soglia, la fattispecie non produce sensibili effetti restrittivi e non viene sanzionata), a meno che non facciano parte di una rete parallela di accordi dotati cumulativamente di effetti restrittivi 19. In quest’ultimo caso anche quote superiori al 5% possono contribuire all’effetto preclusivo: si pensi a diversi produttori concorrenti che parallelamente concludano contratti di distribuzione esclusiva con rivenditori (impegnati a non rivendere prodotti di terzi), ostacolando così l’accesso al mercato di nuovi fabbricanti. Il divieto di intese restrittive della concorrenza si applica non solo agli accordi fra imprese operanti allo stesso livello economico (cc.dd. intese orizzontali), ma anche a quelli fra imprese operanti a diversi livelli economici della catena di produzione e distribuzione (ad es. fra un venditore ed i suoi distributori, cc.dd. intese verticali) 20. L’estensione del divieto alle intese che abbiano per oggetto “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni o per effetto” di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza (art. 101 TFUE e art. 2 l.at.) sembra inoltre consentire l’applicazione del diritto antitrust non solo alle pattuizioni che direttamente limitino le scelte imprenditoriali, ma anche a quelle che producano effetti limitativi indirettamente ed in via di fatto: e ad es. ad obblighi di acquisto di quantitativi minimi di forniture, che pregiudichino la possibilità di rifornirsi da terzi concorrenti. Gli artt. 101 TFUE e 2 l.at. contengono una elencazione delle tipologie di intese vietate, che ha tuttavia carattere esemplificativo, e lascia quindi all’interprete la libertà di identificare ulteriori fattispecie. L’esame dell’elenco è comunque utile per individuare le ipotesi statisticamente più frequenti di violazioni. Sono in particolare vietate: a) le intese consistenti nel “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione” (art. 101.1, lett. a, TFUE, e v. il corrispondente art. 2, co. 2, lett. a, l.at.); b) le intese dirette a “Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli
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