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Schemi etnostoria prova scritta, Dispense di Antropologia

Antropologia per insegnare + una possibile casa

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 07/02/2023

jade-wolf
jade-wolf 🇮🇹

4.9

(7)

20 documenti

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Scarica Schemi etnostoria prova scritta e più Dispense in PDF di Antropologia solo su Docsity! ANTROPOLOGIA PER INSEGNARE Prima parte CAPITOLO 1: LA DIVERSITÀ CULTURALE DEL GENERE UMANO • Antropologia: deriva dai termini greci ánthropos e lógos, rispettivamente il “genere umano” e l’idea di “discorso”. • seconda metà dell’800 nascita delle 3 scienze sorelle: psicologia, sociologia, antropologia culturale (-> si origina negli Stati Uniti in seguito all’influenza del lavoro di Franz Boas) • Bronislaw Malinowski: si deve la formalizzazione del metodo di ricerca che contraddistingue l’antropologia, noto come “metodo etnografico” • Etnologia: studio storico- culturale di aree geograficamente limitate rispetto all’analisi di singoli gruppi sociali molto circoscritti. • Claude Lévi-Strauss: propose infatti di considerare antropologia, etnologia ed etnografia come specifiche fasi, gerarchicamente ordinate, di un medesimo processo di ricerca: ➢ Etnografia: nell’osservazione e nella descrizione accurata delle caratteristiche culturali e sociali di uno specifico gruppo umano; ➢ Etnologia: rappresenta quindi il successivo momento comparativo in cui si confrontano i dati raccolti con quelli prodotti da altri etnografi sullo stesso tema, in modo da pervenire ad una prima generalizzazione; ➢ Antropologia: costituisce la fase teorica propriamente detta, in cui si cerca di offrire un contributo di più ampia portata nella riflessione sul genere umano. • Malinowski aveva un approccio focalizzato sul connubio tra osservazione e partecipazione, noto come osservazione partecipante • Antropologia fisica/biologica: analizza la diversità umana soprattutto da un punto di vista fisico-naturalistico. • Etnocentrismo: è la tendenza dell'essere umano a considerare superiore la propria cultura, il proprio sistema di valori/norme, comportamenti, usi e tradizioni rispetto all'altro (es: lingua, religione, vestiario, usi alimentari, sesso e genere, omofobia, sistema economico, sistema di cura, sistema giudiziario. Altre tradizioni --->GAVAGE: alimentazione forzata). • Relativismo culturale: è l'opposto dell'etnocentrismo, tutte le culture hanno la stessa dignità. Rappresenta un atteggiamento intellettuale che invita a considerare qualsiasi comportamento o valore all’interno dello specifico contesto in cui ha preso forma (è necessario mettere a fuoco il punto di vista che “l’altro” ha della sua realtà). L’attitudine di interpretare la diversità nelle società è stata spesso guardata con scetticismo per le sue ricadute sul piano etico (usi, costumi ecc.). Il relativismo culturale non coincide né con una forma estrema di relativismo etico né con il nichilismo (negazione di usi, costumi, tradizioni ecc.) → il relativismo mette in dubbio l’assolutezza, l’unicità, la naturalità e l’ovvietà della scelta fatta. Grande importanza è stata assunta da Melville Herkovits, padre fondatore del relativismo culturale. Sottolineò alcuni aspetti ritenuti essenziali per comprendere il senso di un approccio relativista: 1. Il rispetto per le differenze individuali non prescinde dal rispetto per le differenze culturali (laddove un gruppo sociale appare trattato come inferiore non c’è spazio per la libertà e l’autostima del singolo soggetto); 2. Non esistono metodi oggettivi per considerare una cultura migliore di un’altra. 3. Ogni cultura stabilisce i propri modelli di moralità e comportamento. Assumere un approccio relativista comporta l’adozione di una prospettiva che si può definire: ➢ Universalista: tutte le forme di produzione culturale sono degne di attenzione e la loro conoscenza offre un contributo specifico allo studio del genere umano. ➢ Olistica: è importante assumere uno sguardo attento a cogliere le interconnessioni esistenti tra i diversi aspetti di ciascuna cultura. CAPITOLO 2: LE ORIGINI DEL CONCETTO ANTROPOLOGICO DI CULTURA Si deve al filosofo August Comte la nascita di una scienza della società, definita “sociologia”: ➢ Il modello teorico-metodologico positivista sottende l’idea che il mondo sensibile e i fenomeni che lo caratterizzano siano qualcosa di reale e concreto la cui esistenza è data a priori. L’approccio positivista si configura, quindi, empirista si radica nell’idea che la ricerca possa riflettere in maniera fedele e diretta la realtà, a partire dal presupposto che teoria e dati, da una parte, e fatti e valori, dall’altra, siano separati. Legge dei 3 stadi: - Stadio teologico: credenza in esseri sovrannaturali; - Stadio metafisico: astratti concetti filosofici; - Stadio positivo: trionfo delle scienze. Pochi anni dopo la sua morte, il naturalista Charles Darwin formulò la teoria evoluzionista (“L’origine delle specie”). Introdusse il concetto di lotta per l’esistenza, sottolineando come la competizione sia il motore essenziale per il processo evolutivo, dal momento che l’individuo deve confrontarsi con i suoi simili e con le altre specie che vivono nel suo stesso ambiente. ➢ Principio dell’ereditarietà dei tratti acquisiti: la storia biologica di tutte le specie, compresa quella umana, è il prodotto di un lento processo di cambiamento. Il britannico Herbert Spencer raccolse l’eredità intellettuale comtiana e la fece dialogare con l'evoluzionismo darwiniano: riteneva che l'evoluzione sociale fosse parte integrante dell'evoluzione generale degli organismi viventi. Nella sua opera teorizzò che le società che riescono meglio ad adattarsi al loro ambiente devono crescere di dimensioni, sia perché potranno disporre di maggiori risorse, rendendo più agevole la riproduzione biologica e la sopravvivenza, sia perché la loro forza le mette in condizione di sottomettere le società più deboli → darwinismo o evoluzionismo sociale. “Antropologia evoluzionista”, una suddivisione accademica del lavoro tra le due discipline, una focalizzata sulle società “progredite”, l’altra su quelle ritenute meno “evolute”. ➢ ASPETTO FONDAMENTALE DI QUESTA ANTROPOLOGIA → considerava i popoli primitivi e selvaggi come degni di accettazione scientifica. Nel corso del 19esimo secolo, infatti, avevano riscosso molto credito le teorie degenerazioniste, che consideravano questi gruppi umani come esseri degenerati a cui era stata negata la grazia divina. ➢ Tylor → cultura di insieme, sistema collettivo. Qualsiasi popolo, compresi quelli considerati “primitivi” o “selvaggi”, possiede una sua cultura specifica; ➢ Gli antropologi non si recarono mai personalmente sul campo per osservazioni dirette, per cui vennero noti come “antropologi da tavolino”. Le loro analisi si basavano sui resoconti prodotti da persone che si trovavano in luoghi più o meno remoti del pianeta per diversi motivi. Ben presto, però, alcuni studiosi iniziarono a dubitare sulla qualità d’informazioni che ricevevano da individui privi di idee sulle finalità teoriche a cui erano destinati i materiali inviati in Europa; quindi, → vennero dotati di una serie di questionari composti da domande precise e accurate, allo scopo di indirizzare le attività di osservazione e di raccolta dati. CAPITOLO 3: IL METODO ETNOGRAFICO • L’antropologo americano di origine tedesca Franz Boas: grande sostenitore della ricerca diretta sul campo → invitava a concentrarsi sull’osservazione diretta delle caratteristiche culturali di un singolo gruppo sociale, allo scopo di determinare le specifiche cause storiche che avevano dato origine ai costumi oggetto d’indagine. Quindi Boas riteneva che l’emersione di un tratto culturale dipendesse dalla particolare storia di un popolo. La ricerca sul campo aveva lo scopo di porsi come obiettivo quello di comprendere le origini storiche della comparsa di specifici costumi e credenze in un contesto circoscritto. La distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito sarà ripresa da Wilhelm Dilthey, padre dello storicismo tedesco contemporaneo, egli diversificò:  le scienze della natura: si propongono di individuare le leggi universali a cui ricondurre i fenomeni naturali, configurandosi dunque come scienze nomotetiche, o scienze del generale.  le scienze dello spirito: esse mirano a comprendere i fatti storici, per definizione, specifici e unici, e vanno pertanto considerate come scienze idiografiche o scienze del particolare. • Potlatch → insieme di pratiche rituali, condotte da persone di status elevato, volte all’affermazione del prestigio sociale in una società stratificata. • Diffusionismo → dal concetto di “area culturale”, indica l’ambito territoriale in cui situare l’analisi di singole culture. OSSERVAZIONE PARTECIPANTE → mirava a perseguire un duplice obiettivo: da una parte realizzare un’osservazione neutra, dall’altra instaurare un rapporto di immedesimazione empatica con le popolazioni studiate, partecipando alle loro attività quotidiane. Nell’approccio dell’osservazione partecipante è necessario padroneggiare con una certa sicurezza il codice delle buone maniere: è infatti necessario imparare la lingua nativa, non solo per non aver bisogno di intermediari, ma anche per comprendere appieno il significato culturale di alcune espressioni. Malinowski ritiene inoltre, che il soggettivo coinvolgimento empatico deve accompagnarsi non solo ad una procedura rigorosa di raccolta dei dati, basata su un’osservazione reale e priva di pregiudizi, ma anche ad una resa testuale imparziale, in cui non ci sia traccia del personale vissuto dell’etnografo. Inoltre Malinowski diede vita ad un’altra opera di fondamentale importanza, in cui concentra la sua attenzione sugli abitanti delle Troibiant. Osserva che questi abitanti erano ciclicamente impegnati in una forma di scambio ad ampio raggio, definita Kula, che aveva come protagonisti due oggetti, privi di qualsiasi valore d’uso che passavano di mano in mano, da una comunità all’altra. Da una parte: collane -> Ong: in una sua opera riprese questa tesi, descrivendo la scrittura come una vera e propria tecnologia che ha messo a disposizione risorse che hanno plasmato sia il pensiero che le culture. La trasmissione per oralità è soggettiva, mentre quella sulla scritta è critica e analitica. CAPITOLO 7: GLOBALIZZAZIONE, MEDIA E MIGRAZIONI • Negli anni 90 del 900 molti antropologi iniziarono ad interessarsi a problemi “globali” allontanandosi dallo studio di singole comunità. La globalizzazione ha portato a un intreccio di elementi culturali in tutto il pianeta che si sono fusi alle tradizioni locali dei singoli territori, dando vita così a nuovi fenomeni. La globalizzazione può essere definita come un fenomeno economico, sociale e culturale: - Economico: molte attività industriali hanno portato le loro sedi in aree che gli permettevano di sostenere costi di manodopera inferiori, ciò ha comportato uno spostamento delle persone verso i centri economici mondiali; - Sociale: Si tratta di un fenomeno di accelerazione della modernità tutto reso possibile da un miglioramento sia della mobilità che della diffusione da parte dei media. Augé guarda con pessimismo i nuovi fenomeni globali che hanno portato a una perdita del senso del valore di un luogo poiché per lui un luogo acquisisce valore solo nel momento in cui ci relazioniamo con esso e gli attribuiamo un valore storico. - Culturale: la globalizzazione ha portato a un omogeneizzazione culturale del pianeta distruggendo le specifiche caratteristiche delle culture locali. • ibridazione culturale: nuovi mercati per soddisfare l’arrivo di nuovi gruppi culturali. • Ulf Hannerz: definisce la cultura come l’insieme dei significati che le persone creano, e che a loro volta creano le persone come membri di una società. Introduce la metafora del flusso culturale; sulla base di questo scompone la società in 4 cornici organizzative all’interno delle quale il flusso culturale transita in modi differenti: 1. La forma di vita: dimensione in cui si realizzano le attività produttive e riproduttive della vita quotidiana 2. Il mercato: che trasforma la cultura in un bene di consumo per trarne profitto 3. Lo stato: che controlla le attività di uno territorio imponendo regole e può garantire una buona cultura tramite l’istruzione. 4. I movimenti: che sono quei gruppi di persone che perseguono finalità specifiche (movimenti ambientalisti, lotta per la pace, ecc..). • Appadurai: in un suo testo fa notare come i media contribuiscono continuamente ad alimentare l’immaginazione collettiva di persone che sognano di condurre la loro vita in luoghi lontani e paradisiaci ciò ha incrementato gli spostamenti fisici delle persone e di conseguenza ha portato le persone a sentirsi cittadini del mondo; le immagini hanno sostituito la scrittura assumendo un maggiore impatto comunicativo; si creano dei mondi immaginati che per Appadurai sono influenzati in 5 diversi modi: - Etnorami composti da individui in movimento che si inseriscono nelle politiche interne degli stati in cui vanno a vivere - Tecnorami diffusione globale della tecnologia - Finanziorami flussi finanziari e monetari - Mediorami diffusione delle notizie e livello mondiale - Ideorami trovano espressione nelle ideologie degli stati • Canclini: dice che strutture culturali e pratiche iniziano a mescolarsi tra di loro formando nuove strutture dette forme di ibridazione quindi la mescolanza produce cambiamento e innovazione e non omogeneizzazione come invece propone l’idea di globalizzazione. Precedentemente sono stati utilizzati diversi termini per indicare la mescolanza culturali ma nessuno è più adatto di quello di ibridazione: - Meticciato cioè individui nati dall’incrocio di persone appartenenti a razze diverse - Sincretismo mescolanza tra credenze e rituali religiosi - Creolizzazione si riferisce alle contaminazioni, principalmente linguistiche, che ha prodotto il colonialismo e il traffico di schiavi • Friedman: si trova contrario alla metafora d’ibridazione poiché gli effetti di questo processo sono percepiti in modo differente dagli individui in base alla loro posizione sociale. Ad esempio per un indigeno può essere percepita come una minaccia di perdita d’identità che ostacola la possibilità di far valere le proprie rivendicazione all’interno di uno Stato-nazione. → MIGRANTI TRANSAZIONALI: Questa parola fa riferimento a qualcosa che non può essere circoscritta entro uno Stato-nazione. Il punto di vista Transnazionale fu utilizzato per la prima volta in riferimento al fenomeno migratorio in un articolo del 1992, all’interno del quale viene suggerito di utilizzare il termine “trasmigranti” per sottolineare il fatto che questi individui si adattino a nuovi ambienti assumendo identità multiple. Schiller e Fouron distinguono due tipi d’identità trans confine: - Diaspora in riferimento agli individui che mantengono un forte senso di appartenenza senza però alcun coinvolgimento politico riguardante il loro stato d’origine. - Nazionalisti a lunga distanza per indicare tutti coloro che invece si impegnano a distanza per sostenere le battaglie del proprio paese. - (cittadinanza flessibile: per indicare invece tutte quelle famiglie che cercano aggirare i regimi dei diversi stati per trarne profitto investendo, lavorando e trasferendo la propria famiglia). Seconda parte CAPITOLO 1: L’IDENTITÀ • Il concetto di identità prevede una doppia connotazione, un “io” in quanto individuo che mantiene una forte influenza culturale e sociale dal momento che è fortemente influenzato dal mondo che lo circonda; un “noi” in quanto membro di una collettività. ➢ Un primo spostamento del concetto di identità verso altri ambiti, in particolare quello psicologico, è avvenuto a opera di Locke e Hume. Grazie alle loro riflessioni si incomincia a parlare infatti di identità personale. Come sottolinea Remotti, l’identità non è, quindi, in alcun modo qualcosa che esiste a priori, prima cioè del concreto lavoro selettivo compiuto sia dalla memoria, che stabilisce connessioni e crea un senso di continuità nel tempo, sia dall’immaginazione, a cui spetta il compito di produrre la “finzione” di un nucleo stabile in cui riconoscerci. ➢ Erik Erikson: il concetto di identità permette di mettere in luce i meccanismi psicologici attraverso cui l’IO gestisce la duplice pressione su di esso esercitata, da una parte dall’inconscio, dall’altra, dal mondo esterno. ➢ Erving Goffman: ne La vita quotidiana come rappresentazione (1959), legge la vita sociale attraverso la metafora teatrale, sottolineando come ciascun individuo possa essere pensato come un attore che mette in scena una rappresentazione pubblica del sé, il cui successo dipende dalla capacità di utilizzare adeguatamente le regole sociali per affrontare nel modo più appropriato le diverse situazioni. CAPITOLO 2: DIFFERENZE, DISUGUAGLIANZE E GERARCHIE Ogni gruppo sociale è caratterizzato da elementi di differenziazione: - DIFFERENZA: percezione di diversità tra persone che si distinguono per cultura, etnia o genere. Le differenze non esistono in assoluto ma sono il prodotto di una scelta culturale che ha portato a valorizzare alcuni tratti più di altri. Appadurai: sostiene che il concetto di differenza è il tratto più prezioso del concetto di cultura. La differenza esiste solo nel momento in cui ci si relaziona con un altro. Nella vita sociale la differenza si manifesta in presenza di gruppi minoritari quei gruppi che si differenziano per alcune caratteristiche rispetto a ciò è considerato norma. A livello politico- culturale il tema delle differenze ha dato origine a due diversi approcci: o Modello di integrazione collettiva che riconosce le minoranze e i diritti collettivi e che riconosce il diritto di espressione della propria cultura di origine, si creano forme di segregazione tra i gruppi e fenomeni di emarginazione. o Modello di integrazione francese che riconosce i diritti individuali universali ma non riconosce i diritti collettivi alle minoranze richiedendo fedeltà ai valori dello stato- nazione permettendo di coltivare la propria cultura nella sfera privata. > no inserimento sociale. - DISUGUALIANZA: specificazione del concetto di differenza che mette in risalto il fatto che le differenze non siano neutre ma legate al potere presente in ogni società. Si creano forme di discriminazione che possono essere: o Negative con il mancato riconoscimento di alcuni diritti o Positive lo Stato s’impegna a favorire l’esercizio da parte dei gruppi considerati svantaggiati che possono creare delle discriminazioni verso le fasce sociali che non sono interessate dall’intervento. Quindi si crea un grado di disparità nell’inclusione sociale che porta alla marginalizzazione e creazione di gerarchie. - GERARCHIE: gli individui si dispongono in una scala di posizione sociale e gli elementi caratterizzanti sono lo status, la ricchezza materiale e il reddito. La possibilità di cambiare il proprio status varia molto da società a società. Ogni società può costruire i propri sistemi gerarchici in base a criteri differenti: o India la società è suddivisa in caste a loro volta suddivise in sottogruppi e ogni persona appartenente a un determinato gruppo può intraprendere rapporti sessuali solo con una persona del medesimo gruppo (ogni sottogruppo deve rimanere casto). Ogni casta è suddivisa in: ▪ Varna sacerdoti, guerrieri, agricoltori e mercanti ▪ Jat ordinati in ordine decrescente in base a criteri di purezza -> L’organizzazione gerarchica della società viene espressa dal concetto di stratificazione sociale: lo sviluppo di questa nozione si sviluppa sul concetto di classe sociale, elaborato da Karl Marx, nell’analisi della storia economica della società europea. La classe sociale viene definita come un insieme di individui che condivide la stessa posizione in un rapporto a uno specifico modo di produzione, cioè ha una particolare combinazione tra i mezzi di produzione, manodopera e rapporti di produzione. Secondo Marx, la coscienza di classe, intesa come consapevolezza di far parte di un gruppo portatore delle medesime istanze e pertanto passibile di sviluppare legami di solidarietà reciproca, può emergere soltanto quando i lavoratori si rendono conto della propria condizione di sfruttamento e si uniscono allo scopo di modificarla radicalmente attraverso una rivoluzione antiborghese, volta a fondare una società basata sull’uguaglianza. -> Stratificazione sociale: esempio dell’India (caste). CAPITOLO 3: RAZZA • Razza: uso improprio di classificazione biologica adoperato per giustificare differenze fisionomiche e culturali; è un costrutto culturale che va compreso e decodificato negli usi concreti che ne fanno gli individui o i gruppi. ➢ La razziologia è una disciplina pseudo-scientifica ottocentesca nata con l’intento di classificare la diversità umana su presunte basi biologiche. - Linneo può essere considerato il fondatore della tassonomia, intesa come disciplina della classificazione alla base della biologia moderna, le specie vengono indicate come le unità elementari del sistema naturale, ciascuna delle quali può essere a sua volta scomposta in diverse varietà. - Blumenbach può essere considerato l’iniziatore dell’antropologia fisica (oggi antropologia biologica) intesa come disciplina che si dedicò alla ricostruzione della sua storia naturale dell’essere umano attraverso l’individuazione delle caratteristiche dei diversi “tipi razziali”. - Broca calcolò il rapporto tra lunghezza e larghezza dei crani(misurazione antropometrica) e si rese conto che persone appartenenti a razze diverse certe volte era più simili tra di loro di quelli appartenenti alla stessa razza. - Lewontin dimostrò che c’è più differenza genetica all’interno di una popolazione che tra presunte razze diverse. Si diffusero due modelli di come si fosse evoluta la specie umana: - Teoria dell’evoluzione multi regionale secondo la quale esisteva un'unica specie umana comparsa in africa milioni di anni fa successivamente alcuni gruppi migrarono nei continenti dando vita a diversi percorsi evolutivi - Teoria out of Africa secondo la quale l’Homo sapiens è comparso in Africa in epoca recente ha colonizzato tutto il pianeta sostituendo tutte le forme di Homo già presenti. - Cavalli Sforza dice che man mano che ci si allontana dall’africa la variabilità genetica diminuisce, il riscontro è stato identificato anche a livello linguistico le ramificazioni oggi presenti hanno un antenato in comune. CAPITOLO 4: RAZZISMI Come sottolinea Pierre-André Taguieff (1999) il “razzismo scientifico” comprende un fondamento teorico e un versante applicativo a livello sociopolitico. Tutte le pratiche razziste implicano il principio di un trattamento diseguale o di discriminazione secondo criteri che variano in base alle scale gerarchiche postulate tra le razze umane. La nascita della dottrina razzista metteva, infatti, in discussione il monogenismo biblico, cioè la tesi secondo cui l’intera umanità fosse la progenie di una coppia creata da un amico Dio. Sulla base delle classificazioni naturaliste, si fece strada l’opposta tesi poligenista, secondo la quale la differenza tra le razze era la prova di un’origine multipla della specie umana. Forse la prima è quella del mito iberico del “sangue puro”, che ha fatto la sua comparsa tra il XV e il XVI secolo in Spagna e Portogallo, e a livello ideologico si basava sull’assunto per cui gli ebrei, anche se convertiti, siano costitutivamente portatori di un “sangue impuro”, quale carattere ereditario. De Gobineau poi nel suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1853-55) sosteneva che la mescolanza razziale, il meticciato, avrebbe inevitabilmente portato alla decadenza delle società più evolute. Egli classificava l’umanità in tre razze ordinate gerarchicamente: 1. la bianca, ariana, che incarna la virtù, la libertà, l’onore e la spiritualità; 2. la gialla, materialista e priva di pensiero metafisico; 3. la nera che agisce per istinto e non per intelletto. Il ruolo fondamentale nella legittimazione del razzismo scientifico e delle politiche coloniali spettò a una teoria della biologia, nota come teoria della ricapitolazione o legge biogenetica fondamentale: la cui ipotesi è che gli stadi adulti raggiunti da una specie in epoca ancestrale (filogenesi: la storia evolutiva di un’intera specie) si ripetano negli stadi embrionali o giovanili dei discendenti (ontogenesi: fa riferimento all’evoluzione biologica). Ma il razzismo “scientifico” va analizzato anche come chiave di lettura interna alla stessa società occidentale, come testimonia l’antropologia criminale di Cesare Lombroso che sempre in quegli anni pubblicò L’uomo delinquente (1896) – libro che ottenne un grande riscontro anche fuori dall’Italia. Egli, infatti, presumeva fosse possibile, tramite l’analisi di caratteristiche fisiologiche, costruire un indice di patologia individuale. Si spinse fino a condurre studi frenologici per verificare la presenza della fossetta occipitale mediana quale discriminante della criminalità innata di alcuni soggetti, (principalmente esaminati fra i protagonisti del Brigantaggio meridionale). Tesi che poi venne screditata. Dal momento in cui il concetto di “razza” diventa politically incorrect, il termine “cultura” prende infatti il suo posto. Questa forma di neorazzismo • ANIMISMO: Concezione tipica dei popoli primitivi, secondo cui ogni fenomeno o cosa dell'universo sono dotati di anima e vivono di una loro vita, spesso creduta divina e degna di culto. (Tylor) LA RELIGIONE DEVE ESSERE VISTA COME UN ESPRESSIONE DELLA CULTURA, non come due cose che coincidono. • La progressiva perdita di autorità della religione (secolarizzazione) nella società è uno degli argomenti più dibattuti, molti aspetti della vita ormai non sono più influenzati dalla religione ma da una visione laica o materialista La religione può essere considerata anche un fatto sociale che istaura legami tra le persone che seguono lo stesso credo. ➢ Durkheim: la religione non è un fatto sociale, ossia una dimensione pubblica e condivisa, la cui funzione primaria è quella di rinsaldare il legame sociale e le sue intuizioni. Durkheim individua il fondamento antropologico della religione nella distinzione tra “sacro” e “profano”, la quale sarebbe universale. ➢ Un primo effetto importante dell’ingresso dei media è la deterritorializzazione della religione. Non si tratta soltanto di forme alternative di culto veicolate dai media, ma anche di nuove occasioni per praticare il credo in cui si è educati. La comunicazione virtuale col sacro può arrivare a sostituire la frequentazione dei luoghi di culto. Terza parte CAPITOLO 2: ETNOGRAFIA DELLA SCUOLA E DELLO SCHOOLING • L’antropologia della scuola e dello schooling costituisce solo uno degli ambiti di specializzazione dell’antropologia dell’educazione. Si occupa di educazione formale, interrogandosi sulla natura dell’istituzione scolastica, sulle finalità che persegue e sul rapporto che intrattiene con le disuguaglianze presenti nella società. La scuola viene concepita come uno specifico ambiente culturale organizzato secondo norme, valori, comportamenti e linguaggi che sono stati appresi in famiglia o nel gruppo di riferimento in cui si è realizzato il processo di inculturazione. La classe scolastica ha costituito l’unità di analisi preferenziale a partire dalla quale sono state approfondite tematiche diverse. ➢ Il primo vero etnografo della scuola è stato Jules Henry: si dedicò all’analisi del sistema valoriale americano studiando le violenze interne della trasmissione dei modelli di valore; ha anticipato il rapporto tra curriculum manifesto (composto da obiettivi formativi e programmi didattici) e curriculum nascosto (inteso come una sottotraccia che guida l’insegnamento e il rapporto tra insegnanti e studenti). ➢ Lotty Elderling: ha definito l’educazione multiculturale come una modalità educativa che tiene conto in qualche modo delle differenze etno-culturali esistenti tra gli alunni. In tal senso si può decidere di programmare degli interventi solo per gli alunni che appartengono a specifici gruppi etnici. Da ciò derivano quattro possibili approcci: 1. Approccio dello svantaggio: bisogna colmare le lacune 2. Approccio dell’arricchimento: la diversità culturale è fonte di crescita, le varie culture vengono valorizzate e confrontate tra di loro per aumenta la coscienza di diversità e apprezzare le diversità. 3. Approccio della competenza biculturale: estensione dell’approccio precedente dove tutti gli studenti imparano le lingue e le culture di tutti. 4. Approccio dell’eguaglianza collettiva: mette in discussione il sistema della società. • Di natura più militante è il filone di studi noto come Critical Literacy esposto nell’opera del pedagogista brasiliano Paulo Freire La pedagogia degli oppressi. Secondo Freire imparare a leggere e a scrivere non può ridursi alla neutra acquisizione di una tecnica, ma deve divenire uno strumento di “coscientizzazione” attraverso cui riuscire progressivamente a mettere a fuoco le contraddizioni della vita quotidiana e le disuguaglianze del sistema sociale. Affinché ciò avvenga, è necessario pensare il soggetto da educare come dotato, a sua volta, di una certa competenza, in modo tale che l’esperienza educativa si configuri necessariamente come un processo di apprendimento bidirezionale; un rapporto di scambio e di muto apprendimento tra docenti e studenti basato sulla dialogicità della pratica educativa. • Madianou e Miller propongono allora di utilizzare il concetto di polimedia, sottolineando come i media in ambito educativo siano risultati molto importanti all’apprendimento. CAPITOLO 3: INSUCCESSO E DISPERSIONE SCOLASTICA • Dispersione scolastica = ripetenza o altre forme di interruzione temporanea degli studi). • All’acronimo NEET – Not in Education, Employment or Training, corrispondono i giovani dai 15 ai 29 anni non più inseriti in percorsi educazioni/formazione ma nemmeno impegnati in un’attività lavorativa, che in Italia costituiscono addirittura il 26% della popolazione giovanile (nel 2017). • Teoria della deprivazione culturale, associata allo psicologo Martin Deutsch: secondo questo approccio i bambini avevano un rendimento insufficiente perché sperimentavano una condizione di deficit culturale che li rendeva strutturalmente carenti nel loro percorso scolastico. ➢ Questa teoria trovò grande risonanza nell’etnografia di Oscar Lewis: riteneva che l’appartenenza da più generazioni a un gruppo sociale svantaggiato, abituato a vivere in condizioni di precarietà e insicurezza, si traducesse nell’elaborazione di una vera e propria “cultura della povertà”, ovvero di uno specifico mondo a sé stante dotato di norme e valori propri; e i soggetti che aderivano a tale stile di vita mostravano notevoli elementi di similarità a prescindere dalla loro origine. • Teoria della discontinuità che accusa la scuola di essere poco attenta nel creare ambienti accoglienti per i vari tipi di utenza(classe sociale),la scuola quindi era impostata solo per l’educazione di una certo tipo di studenti e non andava incontro alle necessità di quelli considerati svantaggiati • Il tema della riproduzione sociale e culturale è stato ripreso e rielaborato dall’etnografo britannico Paul Willis che pone particolare attenzione alle sottoculture giovanili di classe operaia. Da un approccio strutturalista si passa quindi ad uno funzionalista: analizza quei processi di stratificazione sociale che si riproducono all’interno delle classi. Il possesso di un capitale culturale, i cui contenuti sono stabiliti arbitrariamente dalla classe dominante, garantisce così il solo successo dei giovani delle classi sociali elevate. Ciò, unito a forme di volontaria auto-esclusione dal sistema educativo formale, porta questi ultimi ad aderire ad una vera e propria controcultura scolastica. In tale prospettiva la vita scolastica appare animata dalla costante tensione tra speculari processi di differenziazione e di integrazione. • Peter McLaren: prova a comprendere i processi di schooling dal punto di vista della cultura e della performance attraverso il concetto di rituale. Egli concepisce il rituale come un’azione simbolica, cioè dotata di senso, in grado di veicolare dei precisi codici culturali. McLaren pensa la scuola nei termini di una struttura scomponibile nei suoi elementi costitutivi – i rituali di istruzione – che divide in: 1. micro-rituali, le singole lezioni; 2. macro-rituali, l’insieme complessivo delle lezioni; 3. rituali di rivitalizzazione, messi in atto al preciso proposito di riaccendere la motivazione e di rianimare l’impegno dei partecipanti (es. le riunioni degli insegnanti); 4. rituali di intensificazione, come i precedenti ma piuttosto per ricompattare il gruppo; 5. rituali di resistenza, “drammatiche forme culturali” che assumono le sembianze di un’“inversione simbolica” attraverso cui si esprime una refrattarietà verso i princìpi espressi dall’autorità dominante e i codici di condotta stabiliti dagli insegnanti. “Cerimoniali destrutturanti” che rendono palese il lato oscuro del panorama culturale entro cui si svolgono. Hanno pertanto una componente “agonistica”, ovvero sono fondamentalmente forme di conflitto ritualizzato. È l’esistenza stessa di regole e simboli condivisi a implicare la possibilità di una loro violazione o profanazione. La resistenza si configura pertanto come un’esperienza propriamente liminale in cui gli studenti mettono in atto un comportamento oppositivo al fine di contestare la legittimità, il potere e la significatività della cultura scolastica e dell’istruzione attraverso la derisione dell’autorità. • Agnès van Zanten: considera la scuola come un soggetto attivo che attiva procedure selettive soprattutto su quei ragazzi la cui carriera è segnata da un basso rendimento. Inoltre, gli studenti considerati “difficili” tendono, infatti, a essere concentrati nelle medesime classi, le quali, a loro volta, acquisiscono la stessa fama. Sebbene a livello formale la formazione di classi di livello scolastico omogeneo sia proibita in Francia, van Zanten osserva come, di fatto, all’epoca in cui si svolse la ricerca, si trattasse di una prassi diffusa. Le procedure selettive messe in atto dalla scuola tendevano ad amplificare il cosiddetto effetto di contesto, ossia l’influenza che la composizione del gruppo classe esercita in qualche misura sull’apprendimento del singolo studente. Ritiene che le modalità organizzative e i processi di classificazione e di selezione dell’utenza osservati nella scuola della periferia parigina in cui ha svolto la sua etnografia si traducessero in un’esperienza di effettiva segregazione scolastica, dove però gli studenti mostravano di contribuire attivamente al perpetuarsi della loro condizione di esclusione. • Jhon Ogbu: cominciò a interrogarsi sulla possibilità che le singole minoranze affrontassero in maniera 28 diversa le sfide del sistema scolastico americano in virtù del particolare percorso storico che le aveva portate ad assumere una posizione minoritaria entro la società dominante. Su queste basi ha identificato: 1. le minoranze autonome, nuclei numericamente ridotti distinti dal gruppo dominante per razza, etnicità, religione o linguaggio; 2. le minoranze volontarie (immigrate), trasferitesi più o meno volontariamente in una nuova società perché speravano di trovarvi opportunità migliori 3. le minoranze involontarie (non immigrate), costituite da soggetti che si trovano in una determinata nazione perché sono stati colonizzati, conquistati, o resi schiavi. Non sono stati loro a scegliere di appartenere a tale società. Per Ogbu, gli immigrati hanno in genere un atteggiamento piuttosto positivo nei confronti della scuola perché sono consapevoli di dover apprendere un nuovo linguaggio e una nuova cultura, e che comunque la nuova condizione rappresenti in ogni caso una miglioria. • Paola Falteri e Fiorella Giacalone invitano a porre l’attenzione sui giovani migranti che giustamente definiscono involontari “perché non hanno scelto autonomamente la propria condizione, ma si sono trovati in Italia per una. UNA POSSIBILE CASA Prima parte CAPITOLO 1 Care leavers: ➢ Maggiorenni che escono dalle comunità; ➢ Sono individui resilienti, cioè coloro che hanno avuto la capacità di adattarsi in modo adeguato a situazioni critiche e che mantengono un costante equilibrio nonostante la loro continua esposizione al rischio (meccanismi di coping); ➢ Essi non hanno sistemi di supporto che li aiutino ad affrontare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, di conseguenza, risulta opportuno attivare dei programmi di supporto basati sullo sviluppo positivo (soddisfacimento dei bisogni dei giovani in modo ampio); ➢ I fattori di protezione includono l’essere assertivi (saper proteggere se stessi emotivamente e psicologicamente), avere supporto da parte della famiglia, dei pari, delle istituzioni; ➢ Sono caratterizzati da insuccesso scolastico, poca autonomia, poca fiducia in se stessi; ➢ Giovani outdoor: vivere esperienze quali gravidanze precoci e malattie sessualmente trasmissibili. Operatore: ➢ Interviene sulla comprensione che il soggetto ha di sé, delle proprie potenzialità, dei propri limiti. Deve far comprendere al soggetto che è importante trovare un equilibrio tra frustrazione e soddisfazione, tra percezione e realtà. ➢ Costruisce insieme al giovane un percorso di “vita sostenibile”: infatti, per i giovani è difficile pensare al proprio futuro perché si percepiscono come impotenti o totale sfiducia verso gli altri e il mondo. Quindi, l’operatore deve lavorare sul far sì che il ragazzo riesca a immaginarsi nel futuro. Associazione Agevolando: ➢ Nata nel 2010, grazie a Federico Zullo, i care leavers si sono uniti creando l’associazione Agevolando → sostenere gli altri giovani in affidamento nella transizione verso l’età adulta; ci sono 4 principali obiettivi: 1. supportare i giovani che escono da un percorso di affidamento attraverso la promozione della partecipazione individuale e la cittadinanza attiva; 2. Sviluppare una rete di mutuo aiuto; 3. Suscitare l’interesse di enti e altre istituzioni per creare delle reti di supporto all’associazione stessa ad altre associazioni simili; 4. Favorire la partecipazione di giovani attualmente in un percorso di affidamento. ➢ Nascita di cooperative sociali, quali. - “È buono”, ambito lavorativo; - “Più in là ragazzi” (rivolto alla fascia 17-25 anni), azioni di formazione e avviamento al lavoro, all’inclusione sociale e all’autonomia; - “Casa dolce casa”, parte dal presupposto che avere un’abitazione è un diritto di ogni persona, avente come obiettivo quello di offrire ai care leavers l’opportunità di sviluppare le competenze necessarie per poter gestire in autonomia una casa propria; - Sportello del neomaggiorenne, offre ai care leavers la possibilità di incontrarsi per confrontarsi, aiutarsi, condividere esperienze e ricevere aiuto a trovare una casa, un lavoro e quant’altro, serve a loro per raggiungere l’autonomia in maniera ottimale. CAPITOLO 2 Le comunità per minori costituiscono l'esito di un lungo e graduale processo di deistituzionalizzazione dei minori. Fino alla prima metà del 900 costituiva una prassi condivisa quella di rinchiudere all'interno di contesti restrittivi che impedivano la libera circolazione, tutti quei bambini che purtroppo venivano abbandonati dalle famiglie. Soltanto dalla fine degli anni 60, però, si poteva assistere a una proliferazione di nuove strutture più piccole e al diffondersi delle diciture case, famiglia e comunità. Per sostenere percorsi efficaci di autonomia dei giovani care leavers emerge anche la necessità di favorire e incentivare le relazioni con le reti esterne; la creazione di una rete formale e/o informale potrebbe configurarsi come fattore protettivo ne confronti di questi giovani che, una volta usciti dal sistema di accoglienza, potrebbero riconoscere di avere delle persone di riferimento e una comunità locale che possa fornirgli supporto. • Modello di adattamento resiliente: ➢ Usato per misurare il grado di resilienza dei giovani inseriti nel sistema di accoglienza, si è adottato il modello di adattamento resiliente ed è stato applicato a un target di bambini e giovani di varie popolazioni che hanno sperimentato, a loro volta, particolari avversità. La finalità era quella di identificare fattori di rischio e fattori di protezione: Tra i fattori positivi: scuole di alta qualità, rapporti tra pari, buone relazioni genitori/figlio. Tra i fattori negativi: problemi comportamentali, fallimento scolastico, cattiva salute fisica, lesioni fisiche, abuso fisico, gravidanza, uso di droghe e AIDS. Seconda parte CAPITOLO 1 • Con l’acronimo MSNA “minore straniero non accompagnato” si indica in ambito europeo e nazionale un cittadino straniero di età inferiore ai 18 anni che si trova per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privo di assistenza e rappresentanza legale. ➢ Sono in costante aumento le minorenni trasferite in Italia per essere sfruttati e i bambini o giovani adolescenti ormai uomini costretti a caricarsi di compiti ingrati sin dalle prime fasi del viaggio. Loro arrivano in Italia con traumi profondi nella mente e sul corpo. La persona logorata e ferita dal punto di vista psicologico, ricostruisce le facoltà psichiche danneggiate soltanto entrando in relazione con altre, sperimentando di nuovo la sensazione di fiducia di base, il senso identità e di competenza. Si può pensare di perseguire questo obiettivo se si favorisce la (ri)scoperta, lo sviluppo e l’incremento dell’empowerment → Come Zimmermann descrivere l’empowerment è un costrutto multilivello, dato che si declina da un punto di vista psicologico-individuale organizzativo e socio politico di comunità. ➢ Egli soffermandosi sul primo livello relativamente al Self-empowerment sviluppa un percorso che porta dalla learned helplessness (sfiducia nell’affrontare la quotidianità ai suoi problemi) alla learned hopefulness (acquisizione di maggiore fiducia in se stessi attraverso l’apprendimento della speranza). ➢ L’antropologo Michel Agier ha adottato il principio del “care,cure and control”: in quest’ottica è importante promuovere la possibilità di restituire al soggetto la capacità di agency, ovvero di azione, tale da poter influenzare e modificare le strutture sociali e politiche che lo condizionano, acquisire dunque potere su di sé e sul mondo che lo circonda. ➢ CONCETTO DI “agon”: prestazione alla vita quotidiana in cui l'individuo compete con se stesso e con il trauma. • Riabilitazione: ➢ Significa ristabilire per i minori un quadro di normalità, una regolarità nei ritmi quotidiani e fornire quelle strategie di adattamento e di ricollocazione, aiutarli ad abilitarsi alla quotidianità di una vita diversa, spesso neppure scelta e ricercata. ➢ Abilitare e riabilitare devono pertanto assumere il significato di costruire o ricostruire la fiducia di un individuo nelle proprie capacità, nella propria autonomia e forza personale. ➢ Il processo di riabilitazione alla vita quotidiana si sviluppa in tre fasi: 1. la prima avviene sin dallo sbarco, 2. la seconda nella distribuzione e collocazione all'interno dei centri di accoglienza, 3. la terza nell'integrazione «autonoma» nella società di arrivo, agendo su diversi aspetti della persona. Per i MSNA la terza fase si realizza, nell'atto pratico, con la partecipazione e il coinvolgimento a giochi di squadra o a partite calcistiche, ottimo strumento di riabilitazione e integrazione, in cui gli stessi ragazzi dimostrano il successo di un percorso di empowerment quotidiano seppur faticoso. CAPITOLO 2 Un aspetto sul quale porre attenzione e capire perché i giovani migranti lasciano il proprio paese di origine. Si può fare riferimento alla prospettiva teorica push-pull-factors. - Push factors: fattori di spinta e di allontanamento da condizioni di deprivazione e mancanza di opportunità future nei vari paesi di origine; - Pull factors: fattori di attrazione propri dei paesi di arrivo che spingono il soggetto a lasciare il proprio paese di origine. Cosa hanno in comune i MSNA, in particolare quelli di giovane età? ➢ Sono accomunati dall’esperienza del “viaggio migratorio”, indipendentemente dalla modalità di arrivo nelle comunità di accoglienza; ➢ Altro aspetto in comune è il cultural shock, dettato dalla frattura culturale causata dalla migrazione (concettualizzato da Oberg a metà degli anni 50) → è uno stato naturale di orientamento e disadattamento psicofisico che può manifestarsi quando si incontra un nuovo ambiente; pertanto, la perdita di reti di supporto, l'indipendenza e la capacità di comunicare, combinate con le differenze e le sfide di entrare in una cultura diversa, sono tutti fattori di rischio dai quali potrebbero emergere sentimenti negativi, il cui epilogo è tale shock culturale. ➢ Salute mentale: sono determinati da fattori come disturbo post traumatico da stress, ansia, depressione. ➢ Problematiche sociali: problemi linguistici, culturali, religiosi e sentimenti di intolleranza nei confronti dello straniero. Cosa accade quando i MSNA arrivano nel paese di accoglienza? ➢ Arrivano via mare, vengono ospitati in centri ponte definiti hotspot, all'interno dei quali vengono identificati e sottoposti a screening sanitari. A seguito di una prima valutazione, i giovani che fanno richiesta di asilo vengono trasferiti nei centri di prima accoglienza (CPA), dove vengono trattenuti il tempo necessario per individuare una struttura di seconda accoglienza; ➢ Fondamentale in questa prima fase è l'identificazione dell'età per ridurre le possibilità che i soggetti adulti vengano ospitati in strutture per soli minori, mettendo a rischio se stessi e abusando del sistema di protezione a loro riservato → il più delle volte si presume siano soggetti di minore età, poiché arrivano privi di documento o di riconoscimento; questa condizione richiede la determinazione dell'età attraverso l'accertamento della maturazione ossea del polso, o della mano, che ha un margine d'errore di due anni; ➢ Questi minori dovranno essere avviati in un percorso di autonomia. Viene scritto il progetto educativo individualizzato (PEI) è uno strumento che accompagna il percorso e la storia di ogni singolo minore accolto in comunità, è redatto in forma scritta dagli operatori della struttura in collaborazione con l'assistente sociale e con il minore stesso, ed è soggetto a verifiche periodiche: i contenuti del PEI sono costituiti dalla storia del minore, dagli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere, inoltre, la costruzione di questo strumento consente al minore di sentirsi responsabile e protagonista rispetto alle decisioni che lo riguardano, anche in vista dello sgancio con la struttura. ➢ ASPETTO IMPORTANTE DEL PEI: deve prevedere un percorso di uscita del minore dalla comunità, dunque, di accompagnamento e di facilitazione della transizione verso l'età adulta. Transizione verso l’età adulta: ➢ È un compito di sviluppo molto delicato ed estremamente complesso perché coincide con la conclusione dei processi educativi ed integrazione. I fattori protettivi ed il rischio si possono suddividere in quattro aree: 1. Percorso di accoglienza: è il periodo che precede la fase della transizione verso l'età adulta e, quindi, verso l'autonomia; 2. Sviluppo dell’identità personale: racchiude la rappresentazione di sé, l'equilibrio personale, il senso di sicurezza e di fiducia nelle proprie capacità; 3. Percorso scolastico/lavorativo: l'acquisizione di abilità e competenza a livello scolastico e/o lavorativo facilita l'inserimento nel mondo del lavoro; 4. Fase di transizione: dal contesto di appartenenza protetto verso l'autonomia; ➢ È opportuno pensare a delle buone pratiche che consentano di seguire modalità di intervento sistematico e multidimensionale, per esempio il lavoro di rete tra i servizi: 1. Lavoro in rete: prevede la gestione di casi singoli attraverso un lavoro di equipe; 2. Lavoro con la rete: dove reti primarie spontanee e non professionali vengono fortificate aumentando gli aiuti immediati nel quotidiano; 3. Lavoro di rete: una forma di organizzazione dei servizi che si riuniscono in modo coordinato, perseguendo gli stessi obiettivi di un progetto condiviso. CAPITOLO 3 Competenze professionali → L'opportunità per gli operatori sociali di acquisire conoscenze e competenze pratiche- operative sulla vita quotidiana delle minoranze etniche è fondamentale poiché offre la possibilità di scongiurare il rischio di burnout (inteso come malattia contagiosa che riguarda chi è coinvolto e non, poiché si propaga) tipico delle professioni di aiuto nelle quali la relazione coinvolge attivamente i suoi protagonisti. Gli helping professional, infatti, impegnati in operazioni di supporto a favore delle giovani vittime sopravvissute a traumi, nell'intento di offrire loro un sostegno sia fisico che psicologico, possono andare incontro alla sindrome di esaurimento emotivo. FLIPPED CLASSROOM: ➢ Questo corso è stato pensato per i professionisti che si interfacciano con i minori stranieri non accompagnati a Palermo. La metodologia di erogazione è stata quella della classe capovolta (Flipped Classroom), che consente di ottenere risultati vincenti al di là dei classici contesti curricolari → una metodologia pedagogica che mira a rinforzare la natura sociale e collettiva versus lo sviluppo della competitività e dell'individualismo. La flipped classroom combina due elementi educativi: l'apprendimento attivo e la lezione, inserendosi perfettamente nella categoria più vasta del blended learning, un programma educativo formale che incrocia le istruzioni fornite face to face e l'utilizzo di una piattaforma web. Gli studenti in tal modo possono accedere anticipatamente al contenuto delle lezioni, ai video ed altri materiali. ➢ Il corso è stato implementato anche con la presenza di tre giovani migranti in qualità di trainer. Arrivati in Sicilia come MSNA, hanno fatto il loro ingresso in aula in qualità di Care Leavers, poiché hanno affrontato il percorso di autonomia abitativa e lavorativa. Focus della proposta formativa è stato lo storytelling che apre forti dinamiche interpersonali fondate sul riconoscimento dell'esigenza dell'outgroup (migranti) e a livelli personali una capacità di autoriflessione. I giovani migranti hanno rappresentato episodi di vita, raccontato guerre, violenza, povertà, dunque ricostruzioni identitarie che potrebbero favorire la cura del trauma migratorio. ➢ Sono 4 i pilastri della flipped classroom: 1. Ambiente flessibile: spazio flessibile affinché un docente possa creare postazioni per il lavoro individuale o in piccoli gruppi. 2. Cultura dell'apprendimento: il docente inverte i ruoli docente/discente, come un coach lascia che gli studenti possano imparare attivamente e autonomamente. 3. Contenuto intenzionale: del docente di individuare sia le tematiche da approfondire in aula sia quelle da introdurre per mezzo delle video lezioni caricate su piattaforma web. 4. Educatori professionali: un'adeguata formazione dei professionisti che lavorano nell'intercultura deve essere continua, anche per garantire il successo della metodologia in ogni sua parte. Seconda parte CAPITOLO 1 Comunità penale: ➢ L'incontro tra il sistema di giustizia penale e il minore si realizza nel momento in cui quest'ultimo commette un reato. al fine di far transitare il meno possibile il minore autore di reato nel contesto della giustizia, si ispira ai principi: - La minima offensività, per il quale il processo penale non si trasforma in un'ulteriore fonte di rischio per il minore; - de-stigmatizzazione, per evitare tracce di comportamento deviante nel giovane; - no de-istituzionalizzazione, quindi individuare la risposta detentiva solo in casi estremi - dell'attitudine resta uno stabilizzante che pone l'accento sulla valenza educativa del processo e sulla crescita personale e sociale del minore. ➢ La comunità penale rappresenta una delle forme non detentive di intervento alle quali la giustizia minorile ricorre in via prioritaria, sono tre le comunità gestite direttamente dall’amministrazione minorile: Bologna, Catanzaro e Reggio Calabria. ➢ Range minorenni 14-18 anni. ➢ Coloro che hanno commesso il reato da maggiorenni, ovvero nella fascia di età compresa tra i 18 e 25 anni, non rientrano nell’ambito dei reati commessi da minorenni. L’innalzamento dell’età massima è finalizzato alla possibile riduzione sia di recidiva, ovvero il potenziale ritorno al comportamento antisociale, sia del sovraffollamento negli istituti penitenziari che accolgono gli adulti. L’intervento che si deve realizzare in comunità deve essere orientato alla costruzione dell’autonomia del/la ragazzo/a e deve coinvolgere operatori sociali appartenenti a differenti categorie professionali come, all’area tecnico-pedagogica che è fondamentale per l’accoglienza del minore, o giovane adulto, al momento del suo inserimento, per le procedure di sistemazione dello steso all’interno della struttura e, contemporaneamente, per l’offerta delle informazioni inerenti il momento istituzionale che sta affrontando. di solitudine grazie al confronto, al patto di corresponsabilità e alla suddivisione delle azioni da svolgere. Gli operatori riconoscono l'importanza delle équipe e del ruolo fondamentale di ciascuno dei suoi membri e, nonostante le difficoltà, si impegnano per creare le condizioni affinché tale strumento risulti sempre più efficace. l'EM, dà un contributo significativo alla stesura e realizzazione dei progetti individualizzati e svolge un'importante funzione di ampliamento del progetto di vita dei ragazzi e delle ragazze verso orizzonti sempre più vasti. Laddove gli incontri di équipe sono programmati e costanti il/la care leavers è maggiormente consapevole del suo protagonismo. Il lavoro interdisciplinare permette un monitoraggio più attento del percorso di autonomia e una calibratura in itinere degli obiettivi individualizzati. 1.3.1 L’autovalutazione dei tutor per l’autonomia: Nella scheda di autovalutazione sono indagate sei aree centrali nell'azione di accompagnamento all'autonomia e previste dalla sperimentazione. Una parte della scheda mira inoltre a indagare alcuni aspetti legati al genere. I tutor per l’autonomia al tempo TO nel 2021: La prima area analizzata dalle schede riguarda le azioni messe in campo nell'ambito dell'accompagnamento individualizzato. La seconda area, la gestione del gruppo, i punti di forza principali individuati dai tutor riguardano in prima battuta la capacità di dare «il giusto spazio a ogni ragazzo nell'esposizione del proprio punto di vista». Lla terza area, il lavoro di équipe; i punti di forza di questa area sono individuati in parole e attività riconducibili alla condivisione» di linguaggi, valori, approcci multidisciplinari, opinioni e obiettivi. Nella quarta area indagata, relativa al lavoro di rete, mediazione, collaborazione, semplificazione delle relazioni, connessioni e possibilità di reperire le informazioni sono i principali termini impiegati dai tutor di questo gruppo per illustrare i punti di forza del lavoro di rete. Nell'area relativa a formazione e supervisione sono positive le considerazioni dei tutor sull'efficacia delle proprie azioni professionali, soprattutto riguardo la consapevolezza sui compiti e le funzioni collegate al proprio ruolo e sui limiti professionali dello stesso. I tutor per l’autonomia dopo il primo anno di attività (T1 nel 2021): Nell'area relativa all’accompagnamento individualizzato si segnalano livelli di autoefficacia positivi. I principali punti di forza sono di natura relazionale e professionale: presenti anche risposte relative alle motivazioni del care leavers come aspetti determinanti per la buona riuscita della sperimentazione. Le criticità di quest'area sono ricondotte ai complessi rapporti tra care leavers e famiglie. 1.3.2 La valutazione degli operatori: L'attività di valutazione ha visto coinvolti i referenti di ambito, gli assistenti sociali e i tutor per l'autonomia ai quali è stato chiesto di compilare un questionario in forma anonima, diversificato per ogni figura professionale per raccogliere la valutazione sul lavoro svolto. Tutte e tre le figure coinvolte hanno visto piena sintonia tra la loro formazione professionale e gli obbiettivi generali che la sperimentazione ha inteso raggiungere. PUNTI FONDAMENTALI: ● L'importanza che il progetto sperimentale possa diventare un livello essenziale delle prestazioni e che possa quindi portare a misure a favore dei giovani adulti esigibili e omogenee su tutto il territorio; ● Iniziare a preparare i ragazzi all'autonomia già da prima del compimento del 18esimo anno di età; ● Allargamento del target dei beneficiari; ● Importanza di continuare a effettuare momenti formativi e di confronto fra professionisti provenienti da realtà territoriali diverse per poter scambiare buone pratiche; ● Maggiore flessibilità nelle regole per l'erogazione della borsa per l'autonomia. CAPITOLO 2: I CARE LEAVERS 2.1.2 I progetti individualizzati per l’autonomia: All'interno del sistema informativo sono riportate le parti essenziali del progetto per l'autonomia, che può essere sviluppato operativamente dall'équipe attingendo anche ad altri strumenti che facilitino la progettazione individualizzata e il dialogo con i giovani coinvolti. Le quattro schede (Equipe, Percorso, Obiettivi e Swot) che compongono il progetto. permettono di monitorare l'andamento delle progettazioni individualizzate ad alcune macro dimensioni e al tempo stesso. Il tentativo di agevolare il lavoro delle équipe unificando strumenti di progettazione e di monitoraggio, sicuramente il lavoro di compilazione online viene percepito come generalmente gravoso e soprattutto l'aggiornamento dei dati (richiesto semestralmente), mostra livelli di adesione da parte degli operatori non sempre soddisfacenti. La scheda Percorso permette all'équipe di definire il tipo di percorso sul quale ciascun care leavers definisce i suoi obiettivi. La scheda Percorso consente inoltre di indicare i contributi economici che si intende attivare a supporto del progetto per l'autonomia e quelli che sono attivi al momento della prima compilazione della scheda. La lettura di questi dati non permette di cogliere la complessità ed eterogeneità delle situazioni che si riscontrano nella possibilità di accedere a dispositivi economici a supporto dei percorsi di autonomia. La scheda contenente gli obiettivi di autonomia, scelti da ciascun ragazzo e ciascuna ragazza, consente l'individuazione, da parte dell'équipe, di uno o più obiettivi generali, ognuno dei quali può articolarsi in uno o più obiettivi specifici che vanno a costituire i singoli progetti di autonomia. L'analisi della scheda Obiettivi offre spunti di riflessione sulle modalità operative di compilazione in merito alla definizione delle azioni e degli interventi da realizzare, sull'attribuzione del ruolo di responsabile o soggetto facilitatore in relazione agli impegni che si assume il ragazzo e la ragazza e alle risorse umane da coinvolgere e sui tempi per il raggiungimento degli obiettivi specifici. Nell'ottica dei progetti individuali l'analisi Swot - quale strumento di pianificazione volto a far emergere i punti di forza, le debolezze, le opportunità e i rischi di un progetto - permette l'individuazione di elementi che possono facilitare o ostacolare la realizzazione degli obiettivi scelti dai care leavers. Il quadro Swot rappresenta dunque un'opportunità per far emergere tali elementi in una dimensione di condivisione all'interno dell'équipe. CAPITOLO 3: PARTECIPAZIONE E VALUTAZIONE PARTECIPATA 3.1 Youth conference: La sperimentazione prevede, tutto il percorso di implementazione, varie fasi e strumenti per il monitoraggio e la valutazione in cui i vari attori protagonisti, operatori e care leavers, partecipano in modo attivo. Lo strumento di valutazione e monitoraggio, prende forma nelle Youth conference. L'azione partecipativa e di protagonismo dei care leavers è proseguita con lo svolgimento delle YC sia a livello locale che a livello regionale. I tutor per l'autonomia, che hanno il compito di organizzare, programmare, condurre e verbalizzare gli eventi, sono stati supportati costantemente dalle tutor nazionali di riferimento. I tutor per l'autonomia hanno potuto utilizzare i documenti predisposti dall'assistenza tecnica e al fine di poter rendere efficace lo strumento valutativo, hanno potuto confrontarsi durante gli incontri mensili di macroarea o contare sulla consulenza individuale. Dal confronto delle varie esperienze riportate, dalla condivisione dei programmi utilizzati, è stato possibile affinare metodologie di conduzione del gruppo e strutturare programmi utili a rendere gli incontri più partecipativi, Inoltre con l'avvio della seconda annualità della hanno fatto ingresso nella Youth conference locale (YCL) nuovi beneficiari che avevano già compilato assieme all'équipe il proprio progetto per l'autonomia. Nonostante nella sperimentazione si auspichi di svolgere una YCL per ogni ambito, nei territori dove il numero dei beneficiari era inferiore a tre sono state organizzate in una dimensione sovralocale. Il metodo di lavoro maggiormente utilizzato è stata la tecnica del focus group, i conduttori per stimolare la riflessione in alcuni casi hanno utilizzato foto e filmati relativi a spezzoni di film, cartoni animati e video musicali. Per gli incontri svolti in presenza, al termine dei lavori, è stato organizzato un momento conviviale e/o un'attività ricreativa. → Attività online: Nonostante le limitazioni dettate dalla pandemia i care leavers hanno potuto comunque incontrarsi a distanza utilizzando differenti piattaforme e i tutor e le tutor hanno potuto strutturare e arricchire tali incontri con l'utilizzo di strumenti condivisi in un'occasione formativa nazionale. → Attività programmate: Quando è stato possibile incontrarsi in presenza sono state organizzate cene serate al cinema, uscite culturali, viaggi, giochi, merende, ecc. → Attività strutturate: Altre attività più strutturate sono state pensate dai tutor e dalle tutor al fine di favorire lo sviluppo di competenze trasversali e di potenziare i progetti. Diverse attività sono state programmate a seguito di proposte dei ragazzi che in alcune occasioni, si sono incontrati anche in autonomia. CAPITOLO 4: I PROCESSI IN ATTO 4.1 Formazione e supervisione: Nell'anno 2021 sono stati organizzati incontri di formazione rivolti ai diversi attori coinvolti nella sperimentazione nazionale a partire dai tutor per l'autonomia, gli assistenti sociali, i referenti locali e regionali, i care leavers stessi, le comunità residenziali che accolgono i ragazzi e le ragazze e i comuni quali titolari delle funzioni di assistenza sociale e attori fondamentali per le politiche locali a favore dei giovani. Gli argomenti trattati nei diversi percorsi di formazione hanno riguardato tematiche strettamente alla sperimentazione e agli strumenti della stessa o comunque fondamentali per la realizzazione dei progetti di autonomia, ma sono stati anche un'occasione per favorire l'integrazione con la rete locale e promuovere sinergie con le politiche pubbliche e i servizi del territorio. Incontri di macroarea: Su sollecitazione iniziale dei tutor per l'autonomia, mensilmente l'assistenza tecnica programma e coordina incontri suddivisi per macroarea. Gli incontri hanno registrato in media una buona presenza di operatori che hanno avuto modo di confrontarsi su tematiche da loro stessi individuate o programmate dalla tutor nazionale di riferimento. Per affrontare alcuni temi, le tutor nazionali che organizzano e conducono gli incontri, hanno predisposto dei laboratori. In alcune macroaree, individuare la data dell'appuntamento mensile non è stato sempre semplice, poiché alcuni professionisti svolgono anche altre attività lavorative. Questi incontri offrono l'occasione al tutor per l'autonomia di confrontarsi sia con i colleghi degli altri territori della stessa regione, sia con tutor che lavorano nelle altre regioni e con la tutor nazionale di riferimento. Questo ha offerto possibilità di confronto, di condivisione di prassi e di esperienze ancora maggiori tra operatori che avevano già maturato una certa esperienza e chi si affacciava per la prima volta in questa progettualità. Si tratta di momenti in cui si affrontano temi disparati, che vanno dagli strumenti progettuali previsti dalla sperimentazione alla costruzione e potenziamento della rete territoriale, al supporto dei progetti, dalle Youth conference al paradigma dell'autonomia e a come questo viene fatto proprio da tutti i soggetti coinvolti nella sperimentazione. 4.2 Azioni di sistema 4.2.2 Anci: Il ruolo di Anci all'interno della sperimentazione risulta cruciale sia a livello di governance nazionale sia per la sua funzione di stimolo a livello di governance locale e di raccordo con i territori coinvolti nel progetto. La governance del progetto si articola infatti attraverso una struttura multilevel finalizzata a creare una condivisione e una supervisione delle linee di progettazione generali a livello nazionale (mediante la costituzione del comitato scientifico e della cabina di regia nazionale) coinvolgendo al tempo stesso una rete di attori impegnati a livello locale a sostenere la definizione specifica delle attività e la sua realizzazione. Anci ha designato un proprio rappresentante all'interno della cabina di regia progettuale, principale strumento di governance a livello nazionale con compiti di coprogettazione programmazione, analisi e verifiche in Itinere e finali sull'attuazione della sperimentazione e sugli esiti positivi dell'intervento. Anci si è coordinata con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in attività di promozione di politiche di housing in favore dei beneficiari della sperimentazione e di sensibilizzazione presso gli uffici anagrafe rispetto alla questione della residenza fittizia. Il confronto e la collaborazione fra Anci e Ministero del lavoro e delle politiche sociali sui rilevanti elementi dell'abitare e della residenza hanno portato alla redazione di una nota a firma congiunta del Direttore generale del Mips e del Segretario generale di Anci. 4.2.3 Nota RdC: È stata evidenziata una difficoltà di coordinamento, riscontrata in alcune realtà territoriali, fra i servizi che si occupano dei care leavers e i servizi incaricati dell'erogazione del Reddito di cittadinanza. Tale mancanza di comunicazione si sarebbe potuta rilevare potenzialmente deleteria per l'elaborazione di un proficuo percorso verso l'autonomia, ed è per questo motivo divenuta oggetto di riflessione in seno agli organismi di governance progettuale. Viene ribadita la necessità di una costante sinergia fra le équipe multidisciplinari del patto per l’inclusione, i centri per l’impiego e le équipe multidisciplinari finalizzate ad attuare la sperimentazione. 4.2.4 Aggiornamenti dello strumentario Compedio amministrativo: Il Compendio amministrativo, quindi, rappresenta un addendum del Progetto guida care leavers finalizzato a integrare e approfondire alcuni degli aspetti giuridico-amministrativi da quest'ultimo toccati, nonché a sistematizzare le informazioni derivanti dagli atti approvati in questi anni di sperimentazione al fine di renderle più chiare e maggiormente fruibili. Offre, dunque, una panoramica completa delle regolamentazioni che sono state adottate per facilitare l'attuazione degli obiettivi della sperimentazione, da un lato in relazione alla corretta spesa del fondo povertà quota care leavers, dall'altro per facilitare la governance e garantire le necessarie connessioni con le misure esistenti (quali il reddito di cittadinanza e il collocamento mirato), giacché uno degli elementi di maggior complessità della sperimentazione a favore dei care leavers risiede proprio nelle intersezioni e sinergie richieste tra operatori appartenenti a diversi servizi che afferiscono ad aree che non sempre sono abituate a interagire e collaborare tra loro. 4.3 Child Guarantee: A seguito dell'inclusione nel 2020 dell’Italia tra i Paesi target per i quali la Commissione europea ha stabilito l'avvio della sperimentazione pilota del Child guarantee (Garanzia europea per l'infanzia finalizzata a prevenire e combattere l'esclusione sociale garantendo l'accesso dei minori bisognosi a servizi ritenuti fondamentali), è stato istituito il gruppo di lavoro interministeriale (Steering- Committee) per l'implementazione della suddetta fase pilota del Child guarantee in Italia. Tale organismo è composto da rappresentanti del Ministero del lavoro, del per le politiche della famiglia, da referenti delle rispettive assistenze tecniche a cura dell'Istituto degli Innocenti e da rappresentanti di Unicef. 4.3.2 Ricerca housing: L'housing, promuove interventi finalizzati a prevenire condizioni di povertà ed esclusione sociale, permettendo ai neomaggiorenni di completare il percorso di crescita verso l'autonomia, con particolare attenzione agli aspetti dell'housing sociale e cohousing, supportando i servizi sociali dei comuni d'intervento attraverso due livelli di azione: 1. l'affiancamento di équipe multidisciplinari per l'identificazione di ragazze/i da inserire in contesti di semiautonomia; 2. il supporto delle ragazze/i così inseriti.
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