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Naturalismo e Verismo: Taine, Verga, Nietzsche e il Decadentismo Europeo - Prof. Bani, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Il naturalismo e il verismo in letteratura italiana, con un focus sui pensieri di taine, verga e nietzsche. Anche del decadentismo europeo e i suoi esponenti come d'annunzio, pater, oscar wilde e pascoli. Vengono presentate opere come 'les rougon-maquart', 'mario l’epicureo' e 'i canti di castelvecchio'.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 25/01/2024

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Scarica Naturalismo e Verismo: Taine, Verga, Nietzsche e il Decadentismo Europeo - Prof. Bani e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Letteratura E arte fra Italia ed Europa Naturalismo e verismo → hanno come base comune il realismo, corrente letteraria in cui viene mostrata la realtà per quella che è, senza edulcorarla; si vede il vero volto del secolo. Il naturalismo si sviluppa a partire dalle idee di Taine, il quale afferma che lo scrittore prima che artista deve essere scienziato e deve immortalare con estrema esattezza tutti gli aspetti della vita quotidiana. Chiarisce, inoltre, che la condotta di ogni individuo dipende da 3 fattori: • la stirpe; • l'ambiente; • il frangente storico. Capuana è considerato il teorico del verismo e credeva che lo scrittore dovesse narrare a partire dal vero in modo oggettivo scomparendo nella pagina. A tal proposito è importante ricordare la dichiarazione di Flaubert che vede l’autore come Dio, invisibile ed onnipotente, che si sente, ma non si vede. Teoria visibile nel testo di Zola: Les Rougon-Maquart, opera che si occupa da un punto di vista biologico e sociale di una famiglia in un preciso momento storico (milieu, race, moment) Verga è il maggiore esponente del verismo italiano e le sue opere hanno determinate caratteristiche, quali l'illusione della realtà e l'impersonalità: il testo diventa un documento umano narrato da una voce appartenente al mondo rappresentato, un narratore popolare omodiegetico. Tra le sue opere troviamo sia le novelle, come la raccolta “Vita dei campi” o “Novelle rusticane” che romanzi, come quelli appartenenti al Ciclo dei vinti. Tra i temi principali della sua opera troviamo sicuramente l'ineluttabilità del fato che non si può sconfiggere: è una legge universale che governa i destini umani, e seppur le persone provino ad entrare nella lotta del progresso, rimarranno comunque destinate alla loro condizione originaria. Come l’ostrica, che quando si stacca dallo scoglio muore, così anche le persone che proveranno a cambiare il loro destino andranno incontro ad una tragica sorte. La ricchezza è ciò che domina il mondo dei romanzi di Verga ed è possibile trovare anche l’immagine del self made man, come mastro don Gesualdo, il quale si è arricchito compiendo ciò che i Malavoglia non sono riusciti a fare. Nonostante la ricchezza, in fin di vita si trova solo e, seppur si senta orgoglioso dei progressi compiuti, non sente un sentimento di pienezza. Verga rende negativi due concetti fondamentali del positivismo: il progresso infinito e la la lotta per la vita, che diventa una prevaricazione sui più deboli che soccombono mentre i forti si accaniscono contro di loro. La ricerca del meglio alimenta ciò. Verga Il simbolismo vede il poeta come veggente, dotato di uno sguardo che entra negli abissi dell’ignoto, la verità che trova, però, non è esprimibile a parole. Per questo, la poesia diventa fonosimbolica, cioè affida il proprio messaggio all’impatto ritmico e sonoro delle parole. L’estetismo è il culto idolatrico della bellezza, gli artisti si scagliano contro il cattivo gusto ed esaltano il bello che diventa anche segno di distinzione sociale. Per l’esteta ciò che conta è salvarsi da ciò che è considerato banale, tanto che la loro stessa vita diventa un’opera d’arte che non obbedisce a leggi morali ma a quelle estetiche, ponendosi al di là del bene e del male. Il simbolismo si rifa agli ideali dei poeti francesi, come Rimbaud. Questa coincidenza tra vita e opera d’arte si trova per la prima volta nel romanzo “Mario L’Epicureo” di Walter Pater, e poi in D’Annunzio e Oscar Wilde Questi ideali vengono presi dalla filosofia di Nietzsche D’Annunzio è uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Nella lettura di Nietzsche e Wagner trova la legittimazione filosofica per il vivere inimitabile, sprezzante di ogni morale comune e che avrebbe caratterizzato gran parte della sua opera e della sua vita. Tra le sue opere troviamo: • Il piacere -> è il primo romanzo e successo dell’autore, nel quale il protagonista incarna la figura dell’’esteta che come unico scopo ha quello di fare della propria vita un’opera d’arte. Egli sottomette tutto a questo intento, senza freni morali. • Giovanni episcopo; • L’innocente; • Il poema paradisiaco -> da un lato è caratterizzato dal fascino della poesia simbolista e del mistero, dall’altro abbassa un po’ il tono del fraseggio; • Il fuoco -> contiene l’ enunciazione più compiuta delle convinzioni estetiche e l’autore lega insieme poesia, musica e danza. • Le vergini delle rocce • Le Laudi -> i libri sono tre, Maia, Elettra e Alcione, i nomi riprendono le stelle della costellazione delle pleiadi. È il capolavoro poetico di D’Annunzio, in esso la vacanza dei protagonisti si risolve in un’occasione per mettere alla prova le ambizioni dell’uomo superiore che aspira a diventare simile a dio, ciò avviene attraverso quattro fasi che si svolgono nei rispettivi 4 ditirambi: l’ebrezza dionisiaca, l’immersione panica, la fase mitica e la fase eroica. Qui è presente a visione dannunziana del superuomo, colui che aspira ai più alti traguardi e che secondo l’autore è incarnato dalla figura di Icaro, morto eroicamente e ricordato dai postumi. D’Annunzio Da ricordare i rimandi a Nietzsche, sia per la figura del superuomo, ma anche per l’immagine dionisiaca. Inoltre, nelle Vergini delle Rocce, vediamo il biasimo nei confronti del conformismo borghese e del pietismo cristiano. *Il superuomo nietzschiano (dal tedesco . Übermensch) non è altro che un nuovo tipo umano che riassume in sé il primitivo spirito dionisiaco, che si pone “al di là del bene e del male”, la cui morale è basata sulla volontà, sulla “fedeltà alla terra” e sul ripudio di qualunque consolazione metafisica. La stagione delle avanguardie I crepuscolari -> non diedero vita ad una scuola poetica vera e propria, non sottoscrissero un manifesto né fondarono una rivista, principalmente a causa della loro dispersione geografica. Furono accomunati da un rifiuto per la tradizione poetica carducciana e per il mondo estetizzante di D'Annunzio. Furono chiamati così da Borgese in un articolo del giornale “La Stampa” (1910) in quanto secondo lui si era davanti al crepuscolo della tradizione letteraria italiana I due gruppi più influenti sono quello di Torino e quello di Roma, con Gozzano e Corazzini La loro poesia illustra situazioni ricorrenti nel mondo della provincia che, oltre ad essere un modo è una dimensione dell'anima; a ciò corrisponde l'uso di un linguaggio appiattito sull'uso quotidiano e senza colore poetico. Da ricordare anche Moretti con "a Cesena" nella quale é ben visibile la realtà provinciale e monotona cui i crespuscolari sono protagonisti. I futuristi -> il futurismo fu un’avanguardia che non si limitò solo al campo letterario, ma portò la sua visione anche nell’arte e nella politica. Fondatore fu Marinetti che pubblicò il manifesto sia sul quotidiano “Poesia” che su “le Figaro”, ottenendo così grande visibilità in tutta Europa. Nel manifesto sono enunciate le linee guida di questa corrente di pensiero, che come caposaldo ha sicuramente il dinamismo. “La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno..” Gli ideali dovevano essere presenti anche nella scrittura, per questo ne pubblicato anche il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” che sottolineare il bisogno di liberare le parole dalle prigione del latino, senza più punteggiatura né aggettivi: il testo deve essere leggero. I vociani -> prendono il loro nome dalla rivista che li ospitò, “La voce”, diretta inizialmente da Prezzolini e poi da De Robertis, che la trasformò in una rivista letteraria. Essi concorsero al rinnovamento del linguaggio novecentesco, andando in direzione della lirica, dell'autobiografia, dell'esame di coscienza e dei bilanci esistenziali. L'opera che maggiormente rappresenta questa avanguardia è “Esame di coscienza di un letterato" di Roberto Serra. Alla base della poetica vociana c’é la ricerca di una dizione pura che fosse espressione autentica del vissuto, ricerca sicuramente influenzata dal lavoro di Benedetto Croce. Tra gli esponenti delle avanguardie troviamo anche Camillo Sbarbaro e Clemente Rebora. Nasce in Liguria nel 1888 e nel 1911 inizia a pubblicare su riviste come "La voce" e "Riviera ligure", nel 1914 pubblica l'opera lirica "Pianissimo", considerata una delle più importanti del ‘900. La lingua, confidenziale, povera e asciutta, si mantiene su un livello medio e comune. I testi presentano un andamento compatto e coerente, disegnando un tentativo di evoluzione psicologico – esistenziale. Sbarbaro si sente completamente estraneo alla vita sociale: i mille obblighi gli pesano, la gente lo infastidisce, per cui si chiude in un mondo tutto suo. Egli comprende che questa situazione non dipende solo dagli altri: è anche lui che non riesce ad appassionarsi alla vita. Allora cerca di vincere l’aridità sentimentale muovendosi in tre direzioni: fare leva sugli affetti familiari, cercare nella vita notturna il contatto violento con i drammi dei miserabili, per provare un po’ di pietà; e infine “assaporare le cose buone della terra”. Ma ogni sforzo è vano, l’aridità prende il sopravvento ed egli non ha più la forza di spiccare il volo. Oltre ai componimenti lirici, abbiamo anche delle prose. Esse sono raccolte in due opere: • “Trucioli” sono i cascami della vita, residui sparsi, ottenuti tagliando dei frammenti isolati dal mondo. Le prose aspre e asciutte di quest’opera sono un tratto caratteristico della poesia vociana. • “Ribet” è la seconda serie di prose ed è stato pubblicato nel 1928 col titolo di Liquidazione. Alcuni brani sono dedicati ad amici letterati e artisti come Dino Campana e Ardengo Soffici. Il poeta registra sempre con ironia e sarcasmo i vizi e i difetti dei suoi simili. Lo Sbarbaro di Liquidazione appare più sereno, come se avesse trovato un sistema per riconciliarsi con la vita. La Liguria è uno di temi fondamentali nelle sue opere, le riviere fanno da sfondo, anche se l’attitudine dell’autore nei loro confronti cambia. Nelle prime poesie infatti parla di una terra inospitale, gonfia d torrenti che trascinano valle tutto quello che trovano. Più avanti il clima si addolcisce, e l’autore impara a godere delle piccole cose che la vita riserva. Nasce a Milano le 1885, dove si laurea in lettere nel 1910. Il lessico è molto originale e viene selezionato sulla base delle durezze foniche. La sintassi è caratterizzata dal ricorso frequente allo stile verbale e nominale. La metrica è libera e varia: gli enjambements tendono a creare rotture brusche, così come l'alternanza di versi brevi e lunghi. Con la letteratura vociana, Rebora ha comune alcune tematiche, tra cui il contrasto tra città e campagna, il caos dell’esistenza: e l’espressionismo linguistico e tematico. La poetica di Rebora è caratterizzata da una costante, e per molti versi drammatica, ricerca spirituale. Dalla sua prima opera, Frammenti lirici (1913), emerge un impegno assoluto accompagnato da una convinta attenzione filosofica e morale verso i problemi esistenziali dell’uomo. Il rapporto doloroso, inquieto con la realtà si concretizza in tematiche e soluzioni stilistico-formali tendenti alla deformazione espressionistica. Il poeta si sforza di trovare degli accordi, o quantomeno dei compromessi con la frenetica ed indifferente vita cittadina, necessari per sopravvivere. Criticando il progresso, la società capitalistica ed industriale, Rebora è il portavoce di una poesia soffocata dalla modernità, una poesia agonizzante che reclama la propria grandezza svanita nel caos della moltitudine. L’io del poeta, solo, perduto nel naufragio dell’evoluzione selvaggia non può più fare affidamento alla solidarietà, è costretto ad emigrare verso una dimensione metafisica che ha i contorni favolosi, ed al tempo stesso beffardi, dell’illusione. Pirandello Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in italiano e in siciliano) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto. A causa di problemi economici gravi all ditta di su padre, la sua scrittura diventa un modo per guadagnarsi da vivere Tra le sue opere principali troviamo: • il saggio sull’umorismo -> sicuramente la più compiuta esposizione di poetica, nella quale l’autore distingue tra “umoristico” e “comico”, il secondo fa solo ridere, mentre il primo porta con sé delle riflessioni profonde che sfociano in un riso amaro, a metà tra il divertimento e la tristezza. • Il fu Mattia Pascal -> viene considerato il capolavoro di Pirandello, nel quale l’autore, attraverso la voce del protagonista, esprime la sua visione del mondo, quella secondo cui le persone sono marionette. • Uno nessuno centomila -> contiene il ragionamento pirandelliano per eccellenza: quando il protagonista si rende conto che la moglie ha un immagine di lui diversa da quella che lui si era fatto di sé, egli capisce che ciascun individuo possiede un numero potenzialmente infinito di identità, tante quante sono le persone con cui egli si rapporta, questo però porta alla frantumazione dell’identità e, dato che ognuno attribuisce alle cose o alle persone un significato differente, non si potrà mai comunicare. • Sei personaggi in cerca d’autore -> anche qui è presente una grande riflessione sull’identità umana e sull’ incomunicabilità. La lanterninosofia è una concezione umana dell’esistenza secondo cui ogni uomo ssaebbe dotato di un lanternino, che ciascuno di noi porta acceso in sé, in grado di farci vedere sulla terra il bene e il male, la felicità e la tristezza. Al di là del cerchio di luce proiettato dal lanternino vi è l’ombra paurosa della morte, ma l'ombra esiste proprio perché esiste anche quel lanternino. “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!” All’interno dell’opera troviamo riflessioni riguardanti il teatro, questa tecnica era già stata utilizzata sia nell’età del manierismo che del barocco, ma solo nel teatro novecentesco viene rivisitata da Pirandello con una precisa finalità: mettere in discussione il teatro. Ed è questo che induce Pirandello ad una reale innovazione, consistente nel porre il teatro come finzione scenica e il metateatro come discussione di tale finzione. Se ognuno di noi indossa una maschera, non siamo tutti dei personaggi? Nasce la poesia orfica, il cui capostipite fu Dino Campana. I tratti comuni a questa corrente sono la contemplazione della natura come opera divina e l’assunzione dell’incantesimo fanciullesco per contemplarla. Sempre in ambito d poesia, troviamo anche il modernismo che procede verso un sistematico e selettivo recupero della tradizione caratterizzato da forme auliche e di difficile interpretazione, da rigore geometrico e architettura, con lo scopo di rinnovare il gusto delle forme poetiche e creare un equilibrio tra tradizione ed innovazione. Da ricordare “The waste land” di T. S. Eliot Una corrente letteraria che ha abbastanza successo in questo periodo è l’ermetismo, termine coniato da Francesco Flora che indica una poesia oscura e incomprensibile. Questa corrente trova terreno fertile grazie allo spiritualismo cattolicesimo, sensibile ai risvolti mistici e religiosi della letteratura. Pe gli ermetici la poesia è la voce che parla nell’interiorità dell’uomo, questa poesia ha il compito i svelare i frammenti di senso nelle pieghe della quotidianità insignificante. È una poesia che si popola di metafore e analogie in una trama evocativa Carlo Bo fu il teorico riconosciuto e le sue riflessioni si racchiudono in: “Otto studi” e “‘L’assenza, la poesia”. Vincenzo Cardarelli Nacque a Tarquinia nel 1887, collaborò con alcune riviste, sia politiche come “Avanti!” Che letterarie, tra cui “La Voce” e “Il Marzocco”, fino a fondarne una: La Ronda, rivista che dominò il panorama letterario del dopoguerra e a cui si attribuisce la “prosa d’arte”, che appariva sulla terza pagina del giornale. I rondisti lavoravano di riflesso, inventando storie su personaggi noti, come quelli mitici, sui quali, però, si rifletteva una profanazione che sottraeva loro dignità. Egli esordì con un prosimetro: i “Prologhi”, esso ha 30 componimenti lirici, alcuni in prosa e altri in versi e si rivela molto vicino allo stile dei vociani, infatti, ha un taglio diaristico e un distacco di riflessione morale o metafisica. Sono ricorrenti autoritratti e ritratti morali, delusioni d’amore ed età della vita. Negli anni tra e due guerre le prose di guerra furono ricercate, Cardarelli documenta il suo viaggio in Unione Sovietica e le corrispondenze furono raccolte in “Viaggio di un poeta in Russia”. Tuttavia, i suoi spostamenti non sono solo quelli spaziali, infatti pubblica anche “Viaggi nel tempo” nei quali entra in gioco la memoria, spesso autobiografica. Italo Svevo Aronne Ettore Schmitz nasce nel 1861 a Trieste, che fino a prima della guerra era stato un importantissimo centro commerciale, in quanto era il porto dell’impero asburgico. Il suo nome letterario, Italo Svevo, esibisce una duplice nazionalità, sia quella italiana che quella tedesca, proprio come Trieste. Lo scrittore, inoltre, ha anche una componente ebraica derivante dal padre. A 13 anni si trasferisce in Germania per imparare il tedesco, lingua che ogni triestino doveva padroneggiare bene, dopo quattro anni torna in Italia. Nel 1892 conosce Livia Veneziani con cui si sposa, andrà poi a lavorare nell’industria dei suoceri, furono frequenti i viaggi con l’azienda, per questo decide di imparare l’inglese. Fu James Joyce a dargli ripetizioni ed è a lui che si deve lo slancio di Svevo nel mercato europeo. La scrittura e la letteratura non erano particolarmente considerate nella città commerciale di Trieste, Svevo pubblica a sue spese i primi due romanzi, “Una vita” e “Senilità”, i quali caddero nell’indifferenza. Questo successo lo umiliò talmente tanto che giurò di non scrivere mai più, passando 25 anni prima che pubblichi “La Coscienza di Zeno”. Scrive anche dei racconti di ascendenza darwiniana con cui esordisce sul giornale triestino “L’Indipendente”. Essi son intitolati “Una lotta” e “L’assassinio di Belpoggio”. In entrambi egli si pone dalla parte del meno adatto, mostra la sensibilità del perdente. “Una vita” è il primo racconto di Svevo, con il quale egli introduce la figura dell’antieroe inetto. I vinti del 1800, benché abbattuti dalla vita, conservano la statura dell’eroe tragico facendo empatizzare il lettore e affascinandolo con la loro forza. Esso è costituzionalmente negato per la lotta, ridicolo, destinato ad attraversare la vita senza possederla, è frustato e scontento, marginale e disadattato, non fa nulla per cambiare la sua condizione tanto da essere trattato come un essere inferiore. Il lettore non riesce ad empatizzare con lui, anzi, vederlo inerme suscita rabbia e frustrazione. Svevo racconta la vita ridotta al minimo, in quanto narratore, gli importa illustrare i contraccolpi interni, le ripercussioni di un evento, le ferite e i complessi. La sfera della coscienza occupa un grandissimo spazio, tuttavia, essa gira a vuoto, non porta a nulla. Il protagonista, infatti, è in balia dei sensi di colpa, delle spinte irrazionali e dei desideri. C’è qualche ragionamento sofistico, ma essi son palliativi in quanto il malcontento di impadronisce dell’anima del personaggio che si tratta di una cieca volontà di vivere, la quale spinge ogni essere alla ricerca di una felicità irraggiungibile.una volta compreso che il suo malessere è inestirpabile, l’unica cosa che resta da fare per il protagonista è il suicidio. Riprende le idee del filosofo Arthur Schopenauer, secondo cui tutta la vita scorre tra desiderio e dolore e il possesso mette fine all’attrattiva, portando dunque alla rinascita del desiderio e a un nuovo bisogno. Ecco spiegato il senso di nausea che prova il protagonista dopo essersi sposato. Senilità è il secondo romanzo di Svevo, pubblicato nel 1898. Qui l’autore si allontana dal naturalismo di “Una vita” e sviluppa strutture narrative più consone all’esplorazione dell’interiorità: riduce i personaggi ad un quartetto, rinuncia alla descrizione degli ambienti e abbandona la prospettiva oggettiva del narratore esterno, adottando il campo visivo dei due protagonisti. L’universo del romanzo ha confini decisamente ristretti. Il protagonista è una sorta di fratello maggiore del protagonista del romanzo precedente: un essere debole, in preda all’ agitazione, soggiogato dai superiori e disposto a cullarsi nel suo dolore piuttosto che estirparlo. Si tratta di un altro inetto, un adulto nel limbo di una vita che non è riuscita a sprigionarsi, la protagonista non è altro che la copia al femminile. Il passare del tempo gli ha resi ripiegati in una triste inerzia, vasi vuoti, apatici e insoddisfatti. La coscienza di Zeno è considerato il capolavoro di Svevo, uscì nel 1923 e i suoi capitoli più corposi presentano una forma diaristica: si tratta di memorie sollecitate al protagonista, Zeno Cosini, dal dottor S, un medico di scuola freudiana che l’ha preso in cura. Questo romanzo è diverso dagli altri, se negli ultimi troviamo una narrazione che segue il filo degli accadimenti, qui lo scorrimento degli eventi riportati dal protagonista genera la percezione di un tempo fluttuante e capita che ci siano ripetizioni o sovrapposizioni. Il romanzo viene definito come il romanzo di una psicanalisi, si direbbe che Svevo abbia concepito per fare i conti con le teorie di Freud che erano state rimbalzate a Trieste grazie divulgatori. Egli credeva che la psicanalisi fosse fallimentare, la considerava disgustosa e quando, nell’ultimo capitolo, Zeno la liquida in blocco, non parla solo di sé, ma fa anche da portavoce all’autore. L’opera inizia con una prefazione dell’analista e un preambolo di Zeno in cui racconta la sua vita. Federigo Tozzi Nasce a Siena nel 1883, sin dall’infanzia suo padre è una figura opprimente ed egli crebbe nella costante fuga del suo fantasma. Fondò una rivista “la torre” e grazie alla protezione di Borgese e Pirandello riuscì ad accedere a Treves È stata una casa editrice Italia con sede a Milano, attiva dal 1861 al 1939. Tra le sue opere troviamo “Con gli occhi chiusi”, nella quale egli tenta di liberarsi dai traumi della propria adolescenza oggettivandoli è un romanzo di formazione che affronta i nodi nevralgici della crescita e il titolo è metaforico in quanto il protagonista ha gli occhi chiusi perché non sa nulla del mondo e non vede, la sua maturazione inizia con l’apertura degli occhi anche se questo gli costerà il crollo dell’illusioni. Vi sono poi altre due opere: “tre croci” e “il potere”, in entrambe trionfa sempre il male, in particolare nella prima i tre fratelli sono moralmente netti in quanto non sono in grado di controllare i propri istinti, mentre nella seconda tutti si scagliano contro il protagonista. Giuseppe Ungaretti Nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888, studiò al collegio da un bosco e poi presso una scuola svizzera, in Egitto strinse amicizia con i fratelli Thuile, che gli raccontarono l’inabissamento del porto di Alessandria, evento che lo colpì molto, tanto che tornerà poi nel “Porto sepolto”. Si iscrisse poi alla Sorbona dove conobbe Bergson, egli gli ispirò la poetica della memoria e il sentimento del tempo. Tornò in Italia allo scoppio della prima guerra mondiale e fu spedito in prima linea sul fronte del Carso, vi rimase fino alla ritirata di Caporetto e in trincea, a contatto con la morte, si scopre uomo di pena: scrisse alcune liriche brevi ma dense, annotate dove capitava. Era tipico che i soldati scrivessero un po’ dappertutto, sulla carta del pane, su cartoline o tovaglioli Il “Porto sepolto” è il primo libro di Ungaretti e viene stampato nel 1916 durante la guerra. esso allinea 32 liriche composte in zona di operazioni belliche e ha un aspetto di un diario, in quanto i componenti mostrano luogo e giorno di stesura, questa forma traduce l’esperienza di Ungaretti in guerra, quotidianamente esposto alla morte. Nelle liriche troviamo varie tematiche, come una dedica a un ufficiale che l’aveva aiutato nella sua pubblicazione “gentile Ettore Serra”, un tributo a un amico morto suicida, l’amore per la propria patria e la sua concezione di poesia. Nell’omonima poesia il porto sepolto, egli si si occupa di definire il ruolo del poeta, domina il porto sommesse di Alessandria, raggiungibile solamente solamente immergendosi. Il poeta deve fare lo stesso, deve immergersi per raggiungere il porto sepolto nella profondità dell’anima e trarne i suoi canti. Per accreditarsi definitivamente come poeta, Ungaretti pubblica “Allegria di naufragi”, un testo in cui sembra voler certificare le l’ineluttabilità della propria vocazione, raccoglie 76 liriche accorpate in cinque sezioni cronologiche. Allegria di naufragi è un ossimoro, il naufragio fa pensare a un destino avverso, il viaggio diventa simbolo dell’esistenza e il naufragio ne evoca lo sbocco negativo, i sentimenti dominanti sono pietà e terrore. L’imminenza della morte però provoca l’attaccamento del poeta alla vita, dato che un soldato potrebbe morire morire da un momento all’altro, apprezza ogni istante della sua vita effimera. Il sentimento del tempo è un’opera la cui genesi coincide con il trasferimento di Ungaretti a Roma. Infatti, senza l’immersione del poeta nella città questo non esisterebbe, Roma e la campagna laziale non solo forniscono degli scorci poetici e fondali paesaggistici ma trasmettono al poeta il senso del tempo della memoria. Nell’opera si ha una meditazione sul destino dell’uomo, sul sentimento della caducità e della rovina del tempo. Oltre che dalle vestigia della Roma antica, Ungaretti fu influenzato anche dal barocco romano, per il quale ha il sentimento della vanità delle cose terrene destinato a consumarsi con il passare del tempo. Il barocco romano è collegato anche al sorgere nel poeta del problema religioso, esso infatti rappresenta lo specchio della sua stessa fede inquieta che si aggrappa all’idea dell’eterno per far fronte all’orrore insopportabile della fine. Ungaretti si avvicina anche alla mitologia: nei testi appare un mondo di divinità pagane e, non per nulla, un’intera sezione del libro si chiama leggende. In essa, il personaggio si cala in una figura universale. Il poeta afferma che il libro è risultato della lenta conquista dei valori della tradizione. Montale Nasce a Genova nel 1896, dopo la guerra inizia a pubblicare su alcune riviste e su “Primo tempo” pubblica la sua raccolta più famosa, Ossi di seppia. Scisse alcuni saggi, tra cui quello in onore di Svevo, e avviò anche alcuni progetti di traduzione. Nel 1975 vinse il Nobel per la letteratura. Fu dichiaratamente antifascista, firmò il manifesto degli intellettuali, e dato che non aderì al partito fu allontanato dalla direzione del gabinetto Viesseux Ossi di seppia -> è il frutto maturo di una personalità compiuta, nel quale si esprime, in toni composti e meditativi, una visione negativa dell’esistenza. La vita viene visa come un muro che ha in cima “cocci aguzzi di bottiglia”; l’unica speranza che si può avere è la natura e l’uomo, prigioniero di un cielo senza sogni, può trovare conforto in una scintilla accesa qua e là. Le “occasioni” è il libro più compiuto, quello in cui la regola corregge l’emozione in un equilibrio perfetto, vi è un lirismo disteso e senza accessioni. Ci si avvicina alla metafisica e al realismo magico, gli oggetti vengono straniati dal loro contesto naturale e acquistano una realtà diversa. L’unico argine che viene visto in questa follia è la protezione offerta da una donna indomita e coraggiosa dai tratti mitico-angelici. In “La bufera”, il poeta fissa il senso di un’immobilità fattasi rovina, una bufera che può arrivare in ogni momento della nostra vita ed è legata alla consapevolezza di essere mortali. Il libro si conclude con l’indizio di un nuovo inizio, di una vita che risorge e ricomincia. Nell’attesa però non c’è nulla di consolatorio ed essa è un consapevole tentativo di opporsi ad uno scetticismo ineluttabile. La poesia dell’ultima stagione si apre con Montale che mostra un gergo colloquiale e, mentre il verso cede alla prosa del tempo, il poeta guarda il mondo dall’alto, affidandosi all’ironia e al sarcasmo. Essa mette in mostra il tramonto dei valori e delle idealità eroiche. “Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie e le macchine devono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una merce […] La poesia tende a schiudersi in forme architettoniche, sorgono i metri, le strofe, le cosiddette forme chiuse. Ancora nelle prime saghe nibelungiche e poi in quelle romanze, la vera materia della poesia è il suono. Ma non tarderà a sorgere con i poeti provenzali una poesia che si rivolge anche all'occhio. Lentamente la poesia si fa visiva perché dipinge immagini, ma è anche musicale: riunisce due arti in una. Naturalmente gli schemi formali erano larga parte della visibilità poetica. Dopo l'invenzione della stampa la poesia si fa verticale, non riempie del tutto lo spazio bianco, è ricca di «a capo» e di riprese. Anche certi vuoti hanno un valore. Ben diversa è la prosa che occupa tutto lo spazio e non dà indicazioni sulla sua pronunziabilità. E a questo punto gli schemi metrici possono essere strumento ideale per l'arte del narrare, cioè per il romanzo.” La funzione della cultura Con la censura fascista, gli intellettuali furono messi di fronte ad un bivio: diventare intellettuali di regime, o appartarsi nell’autonomia letteraria? Gli oppositori venivano messi a tacere e alla stampa fu messo il bavaglio Gli intellettuali si impegnarono all’indomani della seconda guerra mondiale; • Elio Vittorini -> pubblica “una nuova cultura” nel quale chiede agli intellettuali di dar vita a una società capace di lottare contro la fame e ed eliminare sfruttamento e schiavitù, dato che la vecchia cultura non è riuscita ad impedire la guerra. • Gramsci -> condannato a vent’anni di reclusione per cospirazione contro lo Stato, raccoglie le sue riflessioni politiche e storiche su 33 quaderni. In essi elabora un modello dell’intellettuale in grado di guidare i processi storici, credeva che le élite culturali di una determinata classe sociale fosse parte integrante del gruppo dirigente. • Charles Percy Snow -> pubblica le due culture, in cui sostiene che una convergenza tra saperi umanistici e ricerca scientifica avrebbe potuto risolvere i problemi del mondo. Il problema era che gli scienziati non potevano contare sull’intelligenza immaginativa, mentre i letterati assumevano atteggiamenti aprioriristicamente refrattari a ogni progresso. Calvino, per esempio immagina una collaborazione fra letteratura, filosofia e scienza, impegnate a risolvere problemi non dissimili che però si mettevano in crisi a vicenda. Questo protagonismo degli scrittori fu di breve durata, in quanto si comprese che la politica non si lascia guidare dalla cultura, anzi, vorrebbe averla al suo servizio. I gruppi di intellettuali diedero vita a un’opposizione senza sconti, ergendosi a coscienza critica della nazione. L’espressione di questa critica può essere trovata in Pasolini, che fu profeta di sventure e annunciava gli scompensi fisici e mutamenti antropologici provocati dall’industrializzazione. Anche Franco Fortini svolse um’implacabile critica politica ideologica, in particolare contro lo stalinismo e l’industria culturale. Letteratura e societa Alla fine degli anni 30 del 1900 viene introdotto il termine neorealismo è indicare gli autori che si proponevano di riannodare i fili con la tradizione veristica. Viene descritta una nuova realtà sociale, tra i temi principali abbiamo la guerra, la resistenza e la condizione degli emarginati, mentre tra gli ambienti ricorrenti vi sono i quartieri popolari. I neorealisti assumono un atteggiamento critico nei confronti del fascismo e la letteratura, attraverso un linguaggio asciutto e concreto, simile al parlato, diventa uno strumento di denuncia e impegno sociale. La nascita del neorealismo fu introdusse nell’Italia fascista le opere di Steinbeck e Caldwell, facendo sorgere un amore per l’America.
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