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SCHEMI - PROCEDURA PENALE - TONINI, Schemi e mappe concettuali di Diritto Processuale Penale

Schemi manuale di procedura penale Tonini 2009 - 2010

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2011/2012
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Scarica SCHEMI - PROCEDURA PENALE - TONINI e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PARTE I – EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE - LE FONTI CAPITOLO I – SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO La legge penale definisce i “tipi di fatto” che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono, la legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta se è stato commesso un fatto di reato, se l’imputato ne è l’autore e, nel caso, quale pena debba essergli applicata. Il diritto processuale penale regola l’accertamento di una responsabilità penale, quindi prescrive i comportamenti processuali da tenere; si rivolge specificamente al giudice, P.M., e altri soggetti del processo. Le finalità della legge processuale penale sono: Regolare l’attività del giudice e delle parti; Predisporre strumenti logici mediante i quali il giudice, col contributo dialettico delle parti, accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi. Le funzioni del processo penale sono: Tutelare la società contro la delinquenza; Difendere l’accusato dal pericolo di condanna ingiusta. Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al soggetto inquirente. Le principali caratteristiche del sistema inquisitorio sono: iniziativa d’ufficio – l’iniziativa del processo penale deve spettare al giudice; iniziativa probatoria d’ufficio – il giudice è in grado di ricercare le prove con pieni poteri coercitivi; assunzione delle deposizioni in segreto – l’inquisitore ricerca la verità senza utilizzare la contrapposizione dialettica tra le parti; scrittura – delle deposizioni raccolte dall’inquisitore è redatto un verbale; nessun limite all’ammissibilità delle prove – è ammessa dunque anche la tortura, definita “regina delle prove”; presunzione di reità – deve essere l’imputato a dimostrare la sua innocena mediante prove; carcerazione preventiva – poiché l’imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove di innocenza può esser sottoposto a custodia preventiva in carcere; molteplicità delle impugnazioni. Il sistema accusatorio è costruito invece come modello contrapposto a quello inquisitorio. Esso si basa su di un principio opposto a quello di autorità, il principio dialettico: al giudice, indipendente ed imparziale, spetta di decidere sulla base di prove ricercate dall’accusa e dalla difesa. Caratteristiche essenziali del sistema accusatorio sono: iniziativa di parte; iniziativa probatoria di parte; contraddittorio (audiatur et altera pars) – esso ha la duplice funzione di tutela dei diritti di ciascuna parte e di costituire una tecnica di accertamento dei fatti; oralità – chi ascolta può porre domande ed ottenere risposte da colui che ha reso una dichiarazione; limiti di ammissibilità delle prove – solo se il metodo per formare la prova è rispettato, la prova può ritenersi attendibile; presunzione di innocenza – ln base all’art. 27, c. 2 Cost., l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, dunque spetta colui che accusa portare prove che dimostrino la reità al di là di ogni ragionevole dubbio; limiti alla custodia cautelare – quella che può esser applicata è solo una misura cautelare se ed in quanto vi siano prove che dimostrino che in concreto esistono esigenze cautelari; limiti alle impugnazioni. Il sistema misto accoglie elementi del sistema inquisitorio e anche dell’accusatorio. Nel sistema accusatorio, gli strumenti che tendono a ridurre gli arbitrii (nei limiti del possibile) sono la separazione delle funzioni processuali di accusa, difesa e giudizio; la distinzione tra il potere di direzione del dibattimento ed il potere di decidere; la parità tra i poteri delle parti in tema di prova. Gli storici riconoscono all’ordinamento inglese del ‘600 il merito di aver fondato i più importanti principi garantistici sia dello Stato costituzionale sia del processo accusatorio. In Inghilterra il potere del re non fu mai assoluto, esso fu controllato dapprima dai baroni, che nel 1215 ottennero la Magna Charta libertatum; successivamente dal parlamento. Nel 1642 scoppiò la guerra civile: Carlo I Stuart fu processato, condannato e decapitato. Nel 1679 fu approvato l’Habeas Corpus Act , che dava al giudice il potere di valutare la legittimità dello stato di detenzione di qualsiasi persona. Nel 1689 fu approvato il Bill of Rights, che contiene l’elenco dei diritti fondamentali, come quello spettante all’imputato di essere lasciato libero dietro il pagamento di una cauzione non “eccessiva”. Anche la Rivoluzione francese ha importanza per lo studioso del processo penale, perché mostra come dall’incontro tra il sistema inquisitorio ed il sistema accusatorio sia sorto il “sistema misto”. Il Code d’instruction criminelle, promulgato nel 1808, accolse il sistema processuale c.d. “misto”; questo era caratterizzato da una netta separazione di funzioni tra accusa e giudizio. Nel 1913 vide la luce il primo codice di procedura penale italiano. CAPITOLO II – IL PROCESSO PENALE DALLA COSTITUZIONE AL CODICE VIGENTE Lo Statuto albertino trascurava quasi completamente i principi attinenti al processo penale. A causa del tempo limitato a loro disposizione, i costituenti hanno posto solo le garanzie fondamentali. All’orientamento liberale si devono le norme costituzionali che introducono la separazione dei poteri dello Stato, riaffermata con particolare enfasi a garanzia dell’ordine giudiziario. Al medesimo orientamento si possono ricondurre quelle disposizioni che stabiliscono la separazione delle funzioni nel processo penale: il diritto di difesa, proclamato inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, c.2); l’azione penale spettante al P.M. (art. 112); il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, c.1); Il quadro è completato dalla presunzione di innocenza, affermata nell’art. 27.2, che voleva salvare la legittimità della custodia cautelare applicabile in pendenza del processo penale (13.2). All’orientamento personalistico si ricollegano le norme che riconoscono i diritti inviolabili della persona umana. L’elenco è dettagliato anche nelle garanzie di riserva di legge e di giurisdizione, precisate in singoli articoli a tutela della libertà personale (art. 13), della libertà di domicilio (art. 14) e di circolazione (art. 16). Infine, l’orientamento solidaristico trova la sua consacrazione negli articoli 2 e 3 della Costituzione. A tale orientamento si possono ricondurre tutte le norme che tendono a rimuovere gli ostacoli di carattere economico che impediscono l’eguaglianza sostanziale: il artt. 24.3; il 24.4; il 112. Il 22-9-1988 il Governo ha approvato il testo del nuovo codice (entrato in vigore il 24-10-1989). Circa le linee generali del nuovo processo penale, esso si fonda du 3 principi fondamentali: il principio della separazione delle funzioni processuali – il giudice dirige l’assunzione delle prove e non svolge indagini, il P.M. ricerca le prove ma non le assume; vi è una dialettica tra accusa e difesa sotto il controllo del giudice, imparziale, il quale deve decidere sulla base delle richieste delle parti; il principio della netta ripartizione delle fasi processuali – si divide in indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento; il principio della semplificazione del procedimento – sono previsti vari riti speciali: giudizio abbreviato, patteggiamento, giudizio immediato, giudizio direttissimo, procedimento per decreto. Vi sono dei principi attinenti ad ogni processo. Il legislatore costituzionale ha introdotto nell’art. 111 Cost. conque nuovi commi che consacrano i principi cardine ai quali deve informarsi ogni processo ed, in particolare, quello penale: Il processo penale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale, poiché è necessario per applicare la legge penale. Quest’ultima indica i fatti che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono; il processo penale ha invece il fine di accertare i fatti storici che costituiscono reato, di identificarne gli autori e conoscerne la personalità. Si noti che “procedimento” e “processo” non sono sinonimi, ma sono usati in modo differente nel codice di procedura penale. Procedimento penale – indica una serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di una decisione penale, ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo, ed è realizzato in adempimento di un dovere posto dal suo antecedente; ciò fino alla decisione. Quest’ultima potrà essere una sentenza di condanna o di proscioglimento, se si percorre l’estensione massima del procedimento, oppure un decreto di archiviazione, se il procedimento si arresta prima che venga formulata l’imputazione. Il procedimento penale è diviso in 3 fasi: le indagini preliminari, l’udienza preliminare e il giudizio. Processo penale – indica una porzione del procedimento penale; fanno parte del processo penale le fasi dell’udienza preliminare e del giudizio. Il momento iniziale del processo corrisponde all’esercizio dell’azione penale; il momento finale si ha quando la sentenza diventa irrevocabile. Quando il codice impiega l’espressione “in ogni stato e grado del processo”, si intende escludere un periodo meramente procedimentale, e cioè la fase delle indagini preliminari. Con l’espressione “in ogni stato e grado del procedimento” si intende ricomprendere sia le indagini sia il processo. Con il termine “grado” si vuole indicare se il giudice prende cognizione dell’oggetto sul quale deve decidere in primo esame ovvero in appello o in sede di ricorso per cassazione. Col termine “stato” si vuole indicare una fase del procedimento. Azione penale – essa è la richiesta, diretta la giudice, di decidere sull’imputazione. Ai sensi dell’art. 405 c.p.p., nel procedimento ordinario il pubblico ministero esercita l’azione penale quando chiede il rinvio a giudizio dell’imputato; nei procedimenti speciali, che eliminano l’udienza preliminare, l’azione penale è esercitata quando il P.M. formula l’imputazione nell’atto che instaura il singolo procedimento: ad esempio nel giudizio direttissimo il P.M. contesta l’imputazione all’imputato che sia stato condotto direttamente in udienza. F 0 E 0L’imputazione consiste nell’addebitare ad un determinato soggetto un fatto di reato. Gli elementi dell’imputazione sono indicati dall’art. 417 c.p.p.: 1) l’enunciazione del fatto storico di reato addebitato ad una persona; 2) l’indicazione degli articoli di legge che si ritiene siano stati violati; 3) le generalità della persona alla quale è addebitato il reato. L’esercizio dell’azione penale determina due effetti: 1) pone al giudice l’obbligo di decidere su un determinato fatto storico; 2) fissa in modo tendenzialmente immutabile l’oggetto del processo, quindi impone divieto per il giudice di decidere su un fatto storico differente. Il libro primo del codice ricomprende tra i soggetti del procedimento penale il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l’imputato, la parte civile, il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa ed il difensore. Si ritiene che possano esser definiti “soggetti” coloro che sono titolari di poteri di iniziativa nel procedimento, cioè coloro che sono titolari di posizioni soggettive che comportano diritti, facoltà ed obblighi.I soggetti vengono definiti in relazione alla nozione di procedimento penale, e cioè in relazione anche alla fase delle indagini preliminare, quando ancora non è stata esercitata l’azione penale. Il concetto di “parte” invece è correlato a quello di “azione”: ne consegue che sono parti il soggetto attivo e quello passivo dell’azione penale, colui che ha chiesto al giudice una decisione in relazione all’imputazione e colui contro il quale tale decisione è richiesta. Sono parti necessarie il P.M. e l’imputato. F 0 E 0È possibile che venga esercitata l’azione civile in sede di processo penale. Entro il processo penale il danneggiato dal reato può esercitare l’azione civile tendente ad ottenere la condanna dell’imputato al risarcimento del danno derivante dal reato. Il danneggiato esercita l’azione civile costituendosi parte civile in un momento successivo a quello in cui il P.M. ha esercitato l’azione penale. Si tratta di una scelta facoltativa del danneggiato. In tal senso la parte civile è un parte in quanto chiede al giudice una decisione in relazione all’imputazione, ma trattasi di una parte “eventuale”, perché la sua esistenza deriva da una scelta facoltativa. F 0 E 0La parte civile può chiedere il risarcimento dei danni, oltre che contro l’imputato, anche contro il responsabile civile, cioè il soggetto resposabile civilmente per il fatto dell’imputato (ad esempio, il datore di lavoro rispetto al danno del dipendente). In tal caso il responsabile civile divente parte, anche qui parte “eventuale”. Il giudice Il termine giurisdizione può avere un duplice significato; può riferirsi alla funzione ovvero all’organo che la svolge. Nel primo senso può essere definita giurisdizione quella funzione dello Stato consistente nell’applicare la legge al caso concreto con forza cogente da parte di un giudice terzo. Nel secondo senso giurisdizione è quel potere dello Stato impersonato da organi che hanno la caratteristica della indipendenza e della imparzialità. Si può definire competenza quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo. Occorre distinguere tra giudici ordinari e speciali. Organi giudiziari ordinari – sono quelli che hanno una competenza generale a giudicare tutte le persone e che, inoltre, sono composti da magistrati ordinari. I magistrati ordinari sono magistrati che fanno parte dell’ordinamento giudiziario ed ai quali la Costituzione garantisce l’indipendenza e l’autonomia (art. 104); costoro godono delle garanzie di inamovibilità assicurate dalla Carta fondamentale (art. 107). Giudici penali ordinari – Sono giudici penali ordinari di primo grado il tribunale in composizione collegiale (tre magistrati di carriera, cd. togati) o monocratica (un magistrato togato), la corte d’assise (due magistrati togati e sei giudici popolari), il giudice di pace (un magistrato non togato) ed il tribunale per i minorenni (due magistrati togati e due esperti); in particolare, il tribunale per i minorenni è un giudice ordinario specializzato con competenza sui reati commessi dai minori di 18 anni. Giudici ordinari d’appello sono la Corte d’appello, la Corte d’assise d’appello (due magistrati togati e sei giudici popolari)e la Sezione della corte d’appello per i minorenni. Vi è poi la Corte di cassazione: essa può controllare se vi è stata inosservanza della legge e se il giudice inferiore ha motivato in modo corretto (art. 606 c.p.p.); non può condurre un esame di merito. Organi giudiziari speciali – sono quelli competenti a giudicare solo alcune persone e che inoltre sono composti da magistrati speciali, cioè non appartenenti all’ordinamento giudiziario. Sono esempi di giudici speciali i tribunali militari in tempo di pace. Giudici penali speciali – Sono giudici penali speciali i giudici militari e la Corte costituzionale, I tribunali militari in tempo di pace sono competenti solo per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate. In grado d’appello sulle decisioni dei tribunali militari è competente la corte d’appello militare. Per il giudizio di legittimità è competente un giudice ordinario, cioè la corte di cassazione. L’art. 104 Cost. stabilisce che la magistratura è autonoma e indipendente da ogni altro potere dello Stato. Le caratteristiche dell’indipendenza e dell’imparzialità distinguono il potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato, dal potere legislativo con funzione di emanare leggi, dal potere esecutivo, con funzione di emanare atti amministrativi e regolamenti. Il potere giudiziario ha la funzione di emanare sentenze, e cioè di applicare la legge al caso concreto. In base all’art. 101, c.2 Cost. i giudici sono soggetti soltanto alla legge. • Indipendenza del giudice – il giudice è indipendente sia come potere giudiziario che come persona fisica; l’indipendenza è garantita dalla Costituzione attraverso un apposito organo, e cioè il Consiglio superiore della magistratura (art. 104 Cost.); • Imparzialità del giudice – è stabilita dal nuovo comma 2 dell’art. 111 Cost., secondo cui ogni processo si svolge davanti a un giudice terzo ed imparziale; nelle situazioni in cui il giudice è o appare parziale, egli ha il dovere di astenersi; se non lo fa, le parti possono ricusarlo. Non esistono controlli esterni al potere giurisdizionale, poiché altrimenti esso non sarebbe più indipendente; essi sono previsti all’interno dello stesso potere giurisdizionale, ove vi sono giudici che esaminano il processo in primo grado, in secondo grado e, infine, un unico orgnao (la corte di cassazione) che svolge un controllo di legittimità. La Costituzione, così come modificata dalla legge 2/1999 sottolinea come non possa esservi giurisdizione senza un giusto processo; non è sufficiente che la Costituzione garantisca un giudice indipendente da altri poteri dello Stato, ma occorre anche che sia garantito lo svolgimento della sua funzione. Elementi indefettibili del giusto processo sono il contradditorio, la parità delle parti, l’imparzialità del giudice e la ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.). Il giusto processo è un metodo oggettivo di esercizio della funzione giurisdizionale. Circa la competenza, in generale, col tale termine si intende l’insieme delle regole che consentono di distribuire i procedimenti all’interno della giurisdizione ordinaria. Essa definisce anche la parte di funzione giurisdizionale svolta da un determinato organo giudiziario. La competenza è distribuita in base ai criteri della materia, del territorio e della connessione. • La competenza per materia è, a sua volta, ripartita in base due criteri: un criterio qualitativo, secondo la qualità del reato; un criterio quantitativo, secondo la misura della pena edittale. La competenza per materia si ripartisce tra la Corte d’assise, il Tribunale per i minorenni, il Giudice di pace ed il Tribunale. Alla Corte d’assise (giudice collegiale composto da due giudici di carriera e sei giudici popolari) è attribuita la competenza a giudicare i più gravi fatti di sangue ed i più gravi delitti politici. Secondo il criterio quantitativo essa ha competenza per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena di ergastolo o reclusione inferiore nel massimo edittale a 24 anni, salvo alcune eccezioni. Secondo il criterio qualitativo essa è competente per i delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione al suicidio e omicio preterintenzionale; per ogni delitto doloso se dal fatto deriva la morte di persone; per i delitti di ricostruzione del partito fascista o che concernono la personalità dello Stato. Il Tribunale per i minorenni (composto da due giudici togati e da due esperti in psicologia, pedagogia e materie analoghe) è competente per i reati commessi dai minori degli anni 18. Si tiene conto dell’età dell’imputato al tempo in cui fu commesso il reato e si tratta di una competenza esclusiva, poiché la cognizione resta attribuita al tribunale per i minorenni anche se il minore ha commesso un reato che sarebbe di competenza della corte d’assise, del tribunale e del giudice di pace; anche qualora il minore abbia commesso il reato insieme ad adulti resta esclusiva. Il Giudice di pace è un giudice non professionale, nominato a tempo determinato, che conosce una serie di fattispecie attribuite qualitativamente. Si tratta per la maggiore di reati che costituiscono espressione di situazioni di microconflittualità individuale. In generale, il criteri per la determinazione della competenza di tale organo è costituito dalla tenuità della sanzione e dalla semplicità dell’accertamento. Il Tribunale è competente a giudicare i reati che non appartengono alla competenza della Corte d’assise, del Tribunale per i minorenni e del giudice di pace. Oltre a questa competenza residuale, il Tribunale ha una competenza qualitativa a giudicare reati che sono previsti in modo specifico da singole norme di legge, che presuppongono che il magistrato giudicante conosca materie o tecniche di una qualche complessità. Egli conosce anche i reati che appartengono alla competenza del giudice di pace, se ricorrono aggravanti ad effetto speciale in materia di terrorismo, mafia, discriminazione razziale. Esso giudica come: • Tribunale in composizione collegiale (cioè formato da tre giudici) – conosce i reati per i quali è prevista una pena detentiva superiore nel massimo a 10 anni, ma inferiore a 24 anni di reclusione sia nella forma consumata, sia in quella tentata, purché non siano di competenza della corte d’assise, oltre a reati di criminalità organizzata e associazione a delinquere. • Tribunale in composizione monocratica (cioè composto da un solo giudice) è attribuita la cognizione dei reati puniti con pena detentiva fino a 10 anni nel massimo, purché non siano di competenza del giudice di pace. Gli vengono attribuiti molti reati che presentano un notevole tasso di pericolosità sociale (come i delitti contro l’incolumità pubblica o la contraffazione di cose a danno della salute pubblica). • In dottrina si usa distinguere l’ulteriore nozione di competenza funzionale, cioè quella competenza a svolgere determinati procedimenti o particolari fasi o gradi di un procedimento, o a compiere detemrminati atti. • La competenza per territorio è disciplinata dall’art. 8, c. 1 c.p.p. ed è determinata dal luogo nel quale il reato è stato consumato. In tale luogo le prove sono raccolte con maggiore facilità e rapidità. Vi sono tuttavia delle eccezioni: se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l’azione o l’omissione; se si tratta di reato è vincolante nel corso del processo (principio del rebus sic stantibus); la questione può essere riproposta successivamente solo nel caso in cui risultino nuovi fatti dai quali emerga un’incompetenza per materia “per difetto”, di modo che sarebbe competente un giudice inferiore. L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l’invalidità degli atti del procedimento, né l’inutilizzabilità delle prove già acquisite. Nell’ambito delle inosservanze per eccesso possono verificarsi due ipotesi: • può accadere che nell’udienza preliminare il giudice rilevi (d’ufficio o su eccezione di parte) che per il reato doveva procedersi con citazione diretta in giudizio, senza udienza preliminare: in tal caso il giudice deve trasmettere gli atti al P.M. perché questi emetta il decreto di citazione a giudizio; • può accadere che il giudice collegiale in dibattimento rilevi che il procedimento spetti al tribunale monocratico: in tal caso non si ha regressione del procedimento, il collegio deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento. Anche nell’ambito delle inosservanze per difetto possono porsi due ipotesi: • se il giudice monocratico in dibattimento ritiene che il procedimento spetti al tribunale collegiale, deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento; • se il giudice monocratico, nel dibattimento instaurato a seguito di citazione diretta, rileva che si tratta di un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare, si ha una regressio ne ed egli trasmette gli atti al P.M. sia ove ritenga che il reato spetti al tribunale collegiale, sia ove ritenga che il reato sia attribuito al tribunale monocratico. Il P.M. eserciterà nuovamente l’azione penale. Nonostante l’eccezione di parte, può darsi che il giudice ritenga corretta la propria cognizione: in tal caso spetterà ad una delle parti proporre appello. Se la corte d’appello ritiene che la cognizione era del giudice collegiale, annulla la sentenza del giudice monocratico e trasmette gli atti al P.M. presso il tribunale. Nel caso opposto, se ritiene che la cognizione spettava al giudice monocratico, la corte d’appello decide direttamente nel merito. Quando si parla di capacità del giudice si fa riferimento al complesso dei requisiti indispensabili per un legittimo esercizio della funzione giudicante. La dottrina distingue tra: • capacità di acquisto della funzione giurisdizionale – concerne il possesso di tutti i requisiti necessari all’assunzione della qualità di giudice; • capacità di esercizio della funzione giurisdizionale – riguarda l’esistenza delle condizioni richieste per il valido esercizio del potere giurisdizionale: la prima concerne il possesso di tutti i requisiti necessari all’assunzione della qualità di giudice, la seconda riguarda l’esistenza delle condizioni richieste per il valido esercizio del potere giurisdizionale. F 0 E 0In merito alle disposizioni che regolano l’attribuzione e lo svolgimento della funzione giurisdizionale, la sanzione della nullità assoluta è messa a presidio della sola capacità genrica (nomina ed ammissione al ruolo) e non anche all’idoneità specifica, che presuppone la regolare costituzione del giudice nell’ambito di un determinato processo. Circa l’imparzialità del giudice, va detto che tale carattere deve essere fondato su 3 principi: 1) soggezione del giudice alla legge; 2) separazione delle funzioni processuali; 3) garanzie provvedimentali che consentano di estromettere il giudice che appaia parziale (astensione e ricusazione). Dal punto di vista teorico l’imparzialità può essere definita solo in senso negativo sulla base di due fondamentali criteri: • imparzialità in senso oggettivo – quando il giudice non ha alcun legame con le parti o con la questione da decidere; • imparzialità in senso soggettivo – quando il giudice è caratterizzato da impregiudicatezza rispetto alla questione da decidere; il giudice non deve già avere emesso una decisione sullo stesso oggetto. Circa l’incompatibilità del giudice, essa può essere definita come una incapacità a svolgere una determinata funzione in relazione ad un determinato procedimento. La situazione pregiudicante può consistere: • nel fatto che un magistrato abbia svolto nel medesimo procedimento una funzione incompatibilie, che deve restare distinta da quella del giudice; l’art. 34, c.3 indica le funzioni di P.M., polizia giudiziaria, difensore, testimone, perito, consulente tecnico, denunciante e querelante. • nel fatto che un parente o un affine del magistrato designato a giudicare, abbia già svolto nel procedimento la funzione di giudice o di parte (art. 35); • nel fatto che il magistrato abbia già svolto la funzione di giudice nel medesimo procedimento penale (art. 34); in particolare è situazione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 34, c.1,2, a) l’aver pronunciato la sentenza in un precedente grado del procedimento; b) l’aver emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare; c) l’aver emesso il decreto penale di condanna; d) l’aver disposto il giudizio immediato; e) l’aver deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere. Circa i motivi comuni ad astensione e ricusazione, il giudice deve astenersi (art. 36) e può essere ricusato (art. 37) anzitutto se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli artt. 34 e 35 del codice o dalle leggi sull’ordinamento giudiziario e quando egli abbia legami con le parti o con l’oggetto del procedimento. Il giudice inoltre ha l’obbligo di astenersi (art. 36) e può essere ricusato (art. 37): • se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli; • se è tutore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; • se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie; • se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; • se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; • se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di P.M. La dichiarazione di astensione è valutata da un altro giudice, di regola, il presidente dell’organo giudicante al quale appartiene il magistrato (art. 36, c.3). Essa non può essere accolta automaticamente, ma è accolta se si accerta che in concreto esistono le situazioni che mettono in pericolo l’imparzialità. Come abbiamo visto, l’art. 36 indica dei casi specifici in cui il giudice deve astenersi; tuttavia esso individua anche una clausola aperta, e cioè quando vi siano gravi ragioni di convenienza. Per quanto riguarda la ricusazione, le parti possono ricusare il giudice in base ai medesimi motivi previsti per l’astensione, con due precisazioni: non è possibile ricusare per gravi ragioni di convenienza, mentre è possibile ricusare il giudice che nell’esercizio delle sue funzioni abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. Sulla ricusazione di un giudice di tribunale, corte d’assise o corte di assise d’appello decide una sezione della corte stessa, diversa da quella cui appartiene il giudice ricusato. Sulla ricusazione di un giudice della corte di cassazione decide una sezione della corte, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato. Una volta accertata la situazione pregiudizievole viene designato un altro magistrato secondo le norme sull’ordinamento giudiziario. Nel frattempo, il giudice ricusato non deve sospendere le sue attività, ma non può pronunciare una sentenza. Circa la rimessione del processo, vi possono essere casi nei quali è pregiudicata l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante territorialmente competente. In questi casi il codice prevede lo spostamento della competenza per territorio ad un organo giurisdizionale (con la medesima competenza per materia) situato presso quel capoluogo del distretto di corte d’appello individuato in base all’art. 11 (caso in cui un magistrato sia imputato o persona offesa o danneggiato). Lo spostamento è deciso dalla corte di cassazione. La richiesta motivata di rimessione può esser presentata solo dall’imputato, dal P.M. presso il giudice che procede e dal Procuratore generale presso la corte d’appello. Nei tre casi nei quali è prevista la rimessione devono essere presenti gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili: 1) quando sono pregiudicate la sicurezza e l’incolumità pubblica; 2) quando è pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo; 3) quando vi siano gravi situazioni locali che determinano motivi di legittimo sospetto; si tratta di una grave ed oggettiva situazione locale, idone a rappresentare un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso come l’intero ufficio giudicante della sede in cui si svolge il processo. La corte di cassazione, investita della richiesta, verifica l’esistenza di una delle situazioni che impongono la rimessione; essa decide in camera di consiglio, e, ove accolga la richiesta trasferisce il processo ad altro giudice che abbia la medesima competenza per materia e sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello individuato ex. art. 11. Il giudice designato provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rimessione quando è richiesto da una delle parti e non si tratti di atti di cui è diventata impossibile la ripetizione. Nel momento in cui deve accertare la responsabilità dell’imputato, il giudice penale può avere la necessità di risolvere una questione pregiudiziale; in senso lato, è pregiudiziale una questione che si pone come antecedente logico-giuridico per pervenire alla decisione; in senso stretto, una questione può dirsi pregiudiziale quando l’iter logico per approdare alla decisione sull’imputazione presuppone la risoluzione di una controversia non appartenente alla diretta cognizione del giudice procedente. Il codice accoglie la regola secondo la quale il giudice penale ha il potere di risolvere ogni questione da cui dipenda la sua decisione, salvo che una norma di legge disponga diversamente. La pronuncia del giudice penale che risolve incidentalmente (poiché il giudice riscontra la questione solo mentre sta accertando la responsabilità dell’imputato) un’altra questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. Nel risolvere la questione pregiudiziale il giudice penale di regola non è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, tranne che nel caso delle questioni pregiudiziali sullo stato di famiglia e di cittadinanza F 0 E 0Il particolare rilievo delle questioni sullo stato di famiglia o di cittadinanza si manifesta sotto un ulteriore profilo, oltre all’aspetto del giudicato, cioè la possibilità che il giudice disponga la sospensione del processo, per consentire che il giudice civile decida su tale questione. Il giudice penale in base al 3.1 può sospendere il processo solo quando la questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza abbia due requisiti concorrenti, e cioè: • la questione deve essere “seria”; • l’azione a norma delle leggi civili deve essere già in corso. In casi limitatissimi (art. 479 c.p.p.) il codice consente al giudice penale di sospendere il processo per devolvere la decisione di una questione pregiudiziale civile o amministrativa “diversa” da quelle sullo stato di famiglia o di cittadinanza: è posto come condizione che il giudice civile o amministrativo pronunci una sentenza irrevocabile entro un anno dal momento della sospensione del processo penale. Inoltre, sulle questioni relative alla conformità delle leggi (o di atti aventi forza di legge) alla Costituzione, il giudice penale deve provocare l’intervento della Corte costituzionale se la questione è “rilevante” e “non manifestamente infondata” (c.d. pregiudiziale di costituzionalità: l. 87/1953). Ed ancora, il giudice penale può rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee le questioni previste dal 234 del Trattato istitutivo della Comunità (c.d. pregiudiziale comunitaria: l. 204/1958). Il pubblico ministero Il pubblico ministero è quel complesso di uffici pubblici che rappresentano nel procedimento penale l’interesse generale dello Stato alla repressione dei reati. È un organo frazionato in molti uffici, ognuno dei quali svolge una sua funzione. Le funzioni del P.M. nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono svolte, presso il tribunale monocratico e collegiale, da un ufficio unitario denominato procura della repubblica presso il tribunale. Tale ufficio svolge altresì le funzioni di P.M. per i reati di competenza della corte d’assise e del giudice di pace. Presso il Tribunale per i minorenni vi è un apposito ufficio di procura della repubblica. Per i delitti commessi dal Presidente della Repubblica (art. 90 Cost.) le funzioni di P.M. sono svolte da uno o più commissari eletti dal Parlamento in seduta comune. Per i giudizi d’appello vi è una procura generale presso la Corte d’appello. Presso la Corte di cassazione vi è un ufficio di procura generale. • i procedimenti sono connessi a norma dell’art. 12 (e non sono stati riuniti); • si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza; • la prova di più reati deriva anche in parte dalla stessa fonte. In presenza di tali situazioni, il codice pone ai diversi uffici del P.M. l’obbligo di coordinarsi F 0 E 0gli uffici devono scambiarsi gli atti e le informazioni e devono comunicarsi reciprocamente le direttive impartite alla polizia giudiziaria. Il legislatore sanziona la violazione dell’obbligo di coordinamento mediante l’istituto dell’avocazione; si tratta di avocazione obbligatoria. In relazione al cordinamento tra i vari uffici, importante è il ruolo della procura distrettuale, l’ufficio della procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente. A tale ufficio sono attribuite le funzioni del P.M. in primo grado in relazione ai delitti di criminalità organizzata mafiosa e assimilati, e ai delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo F 0 E 0All’interno della procura distrettuale è costituita una direzione distrettuale antimafia (D.D.A.) , il gruppo (pool) di magistrati che hanno chiesto di dedicarsi ai procedimenti riguardanti la criminalità organizzata mafiosa. Essa fa sì che le indagini sulla criminalità mafiosa siano attribuite alle 26 procure distrettuali; si tratta di un ufficio con sede in Roma; capo di questo ufficio è il Procuratore nazionale antimafia, sottoposto alla sorveglianza del procuratore generale presso la Corte di cassazione, unico organo a cui risponde, poiché il procuratore non risponde ad organi del potere politico. Il Procuratore nazionale antimafia ha poteri di coordinamento che non toccano l’indipendenza dei singoli uffici del pubblico ministero F 0 E 0Il procuratore nazionale non può dare direttive vincolanti nel merito alle procure distrettuali, né compiere direttamente indagini, ma può avocare le indagini condotte da quella procura distrettuale che abbia dimostrato una grave inerzia o che non abbia voluto coordinarsi con gli altri uffici. La polizia giudiziaria Polizia giudiziaria e polizia amministrativa sono le due funzioni svolte dalle forze di polizia. • La polizia amministrativa si occupa dell’osservanza della legge e dei regolamenti amministrativi. Essa si distingue a sua volta in molte specializzazioni, quali ad es. la polizia tributaria, la polizia sanitaria, la polizia stradale e la polizia di sicurezza. In particolare, la polizia di sicurezza ha un compito di tutela della collettività contro i pericoli e le turbative ad interessi essenziali per la vita di una società civile, quali l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone; essa tende a prevenire il compimento di reati. • La polizia giudiziaria è definita dall’art. 55 c.p.p., secondo cui essa deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale. Quando svolge la funzione amministrativa o di sicurezza, la polizia non gode di poteri coercitivi, e quindi non può direttamente limitare le libertà fondamentali. Viceversa, non appena giunge la notizia che è stato commesso un reato, viene esercitata la funzione di polizia giudiziaria, con uso di poteri coercitivi, con impiego di arresto in flagranza o fermo di indiziato, oltre a perquisizione di persone e luoghi ove necessario. La funzione di polizia di sicurezza è diretta da un organo unitario, cioè il ministro dell’interno; in sede locale spetta al prefetto ed al questore; la funzione di polizia giudiziaria è svolta invece sotto la direzione del P.M. e sotto la sorveglianza del Procuratore generale presso la corte d’appello, che può dare inizio al procedimento disciplinare contro l’ufficiale o l’agente. Tuttavia, ogni funzionario di polizia resta sotto la dipendenza di un ufficiale, fino al ministro di giustizia. In definitiva, colui che svolge la funzione di polizia giudiziaria dipende funzionalmente dal pubblico ministero ed organicamente dal potere esecutivo. Per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata, la funzione di polizia giudiziaria è svolta da un organo centrale, la Direzione investigativa antimafia (D.I.A.), posto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore nazionale antimafia. Per evitare pericolo che le direttive dell’autorità giudiziaria sia contrastate da quelle di organi dell’esecutivo, si cerca di attuare il principio secondo cui l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ex. art. 109. Il codice distingue tre strutture che svolgono funzioni di polizia giudiziaria: • le sezioni di polizia giudiziaria – in esse si riscontra il maggior grado di dipendenza; si tratta di organi costituiti presso gli uffici del P.M. di primo grado e composti, di regola, da ufficiali ed agenti della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza; il P.M. le dirige e coordina e dispone direttamente del personale della sezione; • i servizi di polizia giudiziaria – in essi si riscontra un minor grado di dipendenza funzionale, ove il magistrato del P.M. dà un incarico non personalmente ad un ufficiale della P.G., bens^ impersonalmente all’ufficio; i servizi sono costituiti presso i corpi di appartenenza (questore, comandi dei carabinieri e della guardia di finanza); a prescindere dalla loro denominazione, si considerano servizi tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispettive amministrazioni il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni di polizia giudiziaria; • gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria – gli organi che non sono ricompresi nelle sezioni o nei servizi restano comunque sotto la dipendenza funzionale della magistratura F 0 E 0in base all’art. 59, c.3 c.p.p. gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti loro affidati dall’autorità giudiziaria F 0 E 0l’art. 58 stabilisce poi che l’autorità giudiziaria può ordinare singoli atti alla sezione, ad ogni servizio o ad altro organo di polizia giudiziaria; ufficiali ed agenti possono avere una competenza generale per tutti i reati (art. 57, c.1), o una competenza limitata all’accertamento di determinati reati (art. 57, c.3). L’imputato All’inizio del procedimento penale le indagini possono svolgersi contro ignoti oppure contro un indagato. La polizia giudiziaria trasmette la denuncia al P.M. e questi ordina alla segreteria di iscriverla nell’apposito registro, denominato “registro delle notizie di reato”. Svolte le indagini, può darsi che gli elementi raccolti consentano di addebitare il reato alla responsabilità di una determinata persona: allora il P.M. ordina alla segreteria di iscrivere nel registro, accanto all’indicazione della denuncia, il nome del soggetto al quale il reato è attribuito F 0 E 0Costui è il soggetto che il codice denomina persona sottoposta alle indagini preliminari (c.d. indagato). Tuttavia, solo in relazione al momento conclusivo delle indagini il codice usa il termine “imputato”. F 0 E 0Le differenze tra indagato e imputato sono legate al momento in cui si costituisce il secondo (con la richiesta di rinvio a giudizio), importante perché affinché si possa avere una imputazione è necessaria una consistente base probatoria; lo si desume dall’art. 125 disp. att., in collegamento con l’art. 405 del codice; occorre che gli elementi raccolti nelle indagini preliminari siano idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Inoltre la distinzione è legata al fatto che si è cercato di untilizzare un termine “neutro”, che non comportasse alcuna imputazione, prima dell’esercizio dell’azione penale; è vero infatti che il P.M. può, durante le indagini preliminari, formulare un addebito provvisorio nei confronti dell’indagato; ma ciò avviene solo a fini di garanzia, perché mette quest’ultimo in grado di esercitare il diritto di difesa. In particolare, l’art. 61, c.1, sempre a fini di garanzia, stabilisce che i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. L’imputato è la persona alla quale è attribuito il reato nell’imputazione formulata con la richiesta di rinvio a giudizio o con l’atto omologo nell’ambito del singolo procedimento speciale (richiesta di giudizio immediato, richiesta di applicazione della pena ad iniziativa congiunta delle parti; richiesta di citazione diretta a giudizio e atto introduttivo del giudizio direttissimo; davanti al tribunale monocratico, con decreto di citazione a giudizio)(art. 60, c.1) F 0 E 0L’imputazione è composta dalla enunciazione in forma chiara e precisa del fatto storico di reato e dalla indicazione delle norme di legge violate e della persona alla quale il reato è addebitato. La qualità di imputato è disciplinata dall’art. 60, il quale precisa che il momento dell’acquisizione e stabilisce al comma 2 che essa si conserva in ogni stato e grado del processo sino a che non sia più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna, o sia diventato esecutivo il decreto penale di condanna. L’atto più rilevante che coinvolge direttamente l’imputato/indagato è l’interrogatorio, che può essere svolto dal giudice, dal P.M., ovvero dalla P.G. su delega del P.M.. Quando tale atto viene svolto in sede dibattimentale, prende il nome di “esame di parte.” A tutela delle garanzie e dignità dell’imputato e dell’indagato, il loro interrogatorio è sottoposto a una disciplina minuziosa, contenuta all’interno degli artt. 64 e 65 del codice. Le regole dell’interrogatorio, oltre alla necessità del previo avviso del difensore di fiducia o d’ufficio, che ha la facoltà di presenziare, sono: • l’imputato deve presentarsi libero nella persona innanzi all’interrogante: dall’interrogatorio si potranno ottenere dichiarazioni solo se e nei limiti in cui l’indagato decide liberamente di renderle (art. 64, c.1); • non possono essere utilizzati, neppure con il consenso di indagato/imputato, metodi o tecniche che influenzano la capacità di autodeterminarsi o di ricordare i fatti (art. 64, c.2); • l’interrogante deve preventivamente contestare con precisione i fatti e gli elementi di prova (art. 65). La legge 63/2001 sul giusto processo ha previsto una novità importante in tema di dichiarazioni rese dall’imputato/indagato nell’interrogatorio: il terzo comma dell’art. 64, infatti prevede che questi debba ricevere una serie di avvisi prima che abbia inizio l’interrogatorio: a) deve essere avvertito che le dichiarazioni rese potranno sempre essere utilizzate contro di lui; se l’autorità inquirente omette di rivolgere tale avviso, le dichirazioni rese dall’interrogato sono inutilizzabili; b) deve essere avvertito che ha la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, e che se anche non risponde, il procedimento seguirà comunque il suo corso; egli è altresì avvertito che ha l’obbligo di rispondere secondo verità sulla sua identità personale; anche in questo caso l’omissione o l’irritualità dell’avviso è sanzionata con l’inutilizzabilità F 0 E 0 l’art. 62 dispone che le dichiarazioni rese nel corso del dibattimento (ad esempio dichirazioni autoincriminanti) dall’imputato/indagato non possono essere oggetto di testimonianza da parte di altri, poiché in tal modo verrebbe meno il diritto al silenzio da parte dell’imputato stesso, basato sul principio “nemo tenetur se detergere”; c) è avvertito che, in relazione alle dichiarazioni coinvolgenti la responsabilità di altri, assumerà la veste di testimone; l’omissione di tale avviso comporta, in primo luogo che le dichirazioni così rese su altri sono inutilizzabili nei loro confronti; in secondo luogo egli non assumerà la veste di testimone. Il P.M., prima di rivolgere domande all’indagato, deve rendergli noto in forma chiara e precisa il fatto che gli è attribuito; quindi deve indicargli gli elementi di prova esistenti contro di lui; infine deve comunicargli le fonti di prova, salvo che ciò comporti un pregiudizio per le indagini. In primo luogo l’indagato può rifiutare di rispondere a tutte le domande o solo ad alcune di esse. In secondo luogo, l’indagato può rispondere, ma non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. In terzo luogo l’indagato può rispondere dicendo il falso F 0 E 0Da un lato egli non commette delitto di falsa testimonianza, né di false informazioni al P.M., poiché non è sentito come testimone; da un altro lato, in relazione ad unlteriori reati che possa integrare mentendo, egli è comunque protetto dalla causa di non punibilità , ex. art. 384 c.p. (scusante per delitti commessi mentendo al fine di salvarsi da un grave pregiudizio a libertà ed onore). Vi sono però dei limiti alla possibilità di mentire, ove l’indagato/imputato è punibile: • quando afferma falsamente un reato che nessuno ha commesso (art. 367 c.p.) • quando calunnia un’altra persona, e cioè incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente (art. 368 c.p.). L’imputato e l’indagato si trovano in una situazione differente da quella del testimone, e di persona informata. Infatti la persona che ha conoscenza dei fatti che devono essere accertati nel procedimento penale, è qualificata come: • testimone – se depone davanti al giudice; • persona informata/persona che può riferire su circostanze utili ai fini delle indagini – se è esaminata dal P.M. o dalla polizia giudiziaria. Entrambe hannol’obbligo di dire la verità; se il testimone, di fronte al giudice dice il falso o tace, egli commette falsa testimonianza; se invece lo fa la persona informata dinnanzi al P.M., essa commette il delitto di “false informazioni”; il testimone che dica il falso innanzia alla polizia giudiziaria, se la sua condotta aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, commette delitto di favoreggiamento (art. 378 c.p.). Può accadere che nel corso della deposizione il testimone o il possibile testimone renda, più o meno consapevolmente, dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico (c.d. dichiarazioni autoindizianti); in base all’art. 63, in tal caso l’autorità procedente deve: La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Quando la procura speciale è apposta in calce o a margine dell’atto di costituzione effettuato dalla parte, la autografia della sottoscrizione può essere certificata solo dal difensore; quando non è apposta in calce o a margine, essa deve essere depositata in cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichirazione di costituzione di parte civile (lo stesso vale per il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria). La procura speciale si considera conferita solamente per un determinato grado del processo, salvo non sia espressa volontà diversa; in forza di tale atto il difensore può compiere o ricevere per conto della parte rappresentata tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati. La legge 217/1990 ha istituito il patrocinio a spese dello Stato in favore delle persone non abbienti (reddito annuo non superiore a 10.600 euro). Il patrocinio è concesso su istanza ai soggetti che sono parti private: imputato, indagato, condannato, offeso, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria; ad esse si garantisce l’erogazione della difesa tecnica retribuita ad opera di un avvocato scelto dallo stesso interessato (di fiducia) o nominato d’ufficio dall’A.G.La procedura è attivata su richiesta dell’interessato, che deve produrre motivata istanza al giudice che procede. Il giudice decide sull’ammissione immediatamente, se l’istanza è avanzata in udienza, oppure entro 10 giorni negli altri casi, ciò a pena di nullità assoluta. L’art. 106, c.1 prevede la possibilità che la difesa di più imputati sia assunta da un difensore comune, purché non vi sia incompatibilità tra le loro diverse posizioni. Affinché sia qualificabile questa incopatibilità occorre che vi sia un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole ad un altro imputato. Quando l’autorità giudiziaria rileva la sussistenza di una situazione di incompatibilità, deve indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla; essa può essere eliminata in due modi: • mediante la rinuncia del difensore a sostenere una o più difese; • mediante la revoca della nomina da parte dell’imputato. Nel caso in cui l’incompatibilità non venga rimossa entro il termine fissato, il giudice la dichiara e provvede a sostituire il difensore incompatibile con un difensore d’ufficio. Il legislatore ha disposto che un difensore non può assistere più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento F 0 E 0ciò al fine di evitare che il difensore scambi informazioni tra imputati che hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui, inducendoli a conformare le rispettive affermazioni. Il consiglio dell’ordine forense ha la competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative ai casi di abbandono della difesa e rifiuto della difesa d’ufficio. Circa le garanzie per il libero esercizio attività difensiva, vi sono: • garanzie di carattere generale – consistenti in una forte tutela del segreto professionale, assicurata dall’art. 200 c.p.p. agli avvocati, i quali non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ministero; • garanzie di carattere speciale – riguardanti la tutela dell’ufficio e dei colloqui con i clienti e finalizzate ad assicurare la libertà di predisposizione delle loro strategie difensive. Lo studio legale nel quale opera il difensore ha le seguenti tutele: • le intercettazioni sono vietate; • ispezioni, perquisizioni e sequestri sono vietati; sono ammessi in casi tassativamente previsti dalla legge, con modalità da osservarsi a pena di inutilizzabilità. I casi previsti dalla legge sono: quando i difensori risultano imputati, limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito/ per rilevare le tracce o altri effetti materiali del reato/ per ricercare cose o persone specificamente determinate nascoste nell’ufficio dell’avvocato/ il sequestro è consentito solo in relazione ad oggetti che costituiscano corpo del reato F 0 E 0 tali atti, dove ammessi, devono essere compiuti da un giudice personalmente; nel corso delle indagini, possono essere compiuti dal P.M., purché autorizzato dal giudice con decreto motivato F 0 E 0occorre però che tali magistrati abbiano preventivamente, a pena di nullità, avvisato il presidente del consiglio dell’ordine, perché vi assista; • divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra difensori, investigatori privati, consulenti tecnici e loro ausiliari, nonché tra di essi e i loro assistiti, in relazione al procedimento; se tale divieto è violato, gli atti prodotti sono inutilizzabili. Ulteriore garanzia consite nel fatto che si riconosce la possibilità di conferire col difensore anche quando l’imputato è sottoposto ad arresto, fermo o custodia cautelare, e deve potersi esercitare sin dall’inizio dell’esecuzione della misura. A tal fine egli è avvisato della facoltà di nominare un difensore di fiducia; questi ed il difensore d’ufficio devono essere immediatamente informati dell’avvenuta esecuzione della misura; quindi il difensore ha diritto ad accedere al luogo della custodia senza alcuna autorizzazione. Nel corso delle indagini preliminari il diritto a conferire con il difensore può essere dilazionato per un tempo non superiore a 5 giorni, con decreto motivato dal giudice, su richiesta del P.M.. La persona offesa dal reato La persona offesa dal reato può essere definita come il titolare dell’interesse giuridico protetto, da quella norma incriminatrice che si assume sia stata violata dal reato. Il codice attribuisce alla persona offesa la qualifica di “soggetto” del procedimento; la qualifica di “parte” le viene riconosciuta solo se, nella veste di danneggiato dal reato, la persona offesa abbia esercitato l’azione risarcitoria costituendosi parte civile F 0 E 0 Il codice di procedura penale prevede almeno un caso di persona offesa di “creazione legislativa”: ai sensi dell’art. 90, c.3, qualora una persona sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge in favore della persona offesa sono esercitati dai “prossimi congiunti”, e cioè dai parenti e dagli affini fino al terzo grado. La persona offesa dal reato, nella sua qualità di soggetto del procedimento, può esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge (art. 90, c.1), come i poteri sollecitatori dell’attività dell’autorità inquirente e i diritti di informativa: • avviso della facoltà di nominare un difensore; • accesso al registro delle notizie di reato tramite richiesta al P.M.; • quando il P.M. compie un accertamento tecnico non ripetibile, esso informa offeso, indagato e difensori del giorno, luogo e ora del conferimento dell’incarico, informandoli anche della possibilità di nominare un consulente tecnico di parte; • avviso di data e luogo dell’udienza preliminare; • notificazione del decreto che dispone il giudizio. La persona offesa, che abbia nominato un difensore, ha anche dei poteri di partecipazione al procedimento: • Il difensore nominato dalla persona offesa può limitarsi ad assistere ai pochi atti di indagine per i quali è ammessa la sua presenza, oppure può attivarsi fino a svolgere le c.d. “investigazioni difensive”. Scopo di tali investigazioni è quello di permettere al difensore di ricercare ed individuare elementi di prova e di intervistare le persone che possano dare informazioni.Tali documenti possono essere presentati al p.m., o anche direttamente al giudice. • La persona offesa può chiedere per scritto al P.M. di promuovere un incidente probatorio, nel quale venga assunta una prova non rinviabile al dibattimento. • La persona offesa è sentita come testimone in dibattimento e come possibile testimone durante le indagini preliminari. All’offeso sono attribuiti poteri di tipo penalistico, come il potere di chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato. Tuttavia l’offeso non ha potere per esercitare un’azione penale, ma gli sono attribuiti poteri di controllo sull’eventuale inattività del P.M.: essi consentono all’offeso di mettersi in contatto col G.I.P. e presentargli le proprie conclusioni in due delicate ipotesi, e cioè quando il P.M. abbia chiesto al giudice la proroga delle indagini o l’archiviazione. La parte civile Il reato può avere provocato in concreto un danno. In tal caso colui che l’ha commesso è obbligato a risarcirlo, e se necessario a restituire la cosa sottratta, in conformità all’art. 185 c.p. (Restituzioni e risarcimento del danno: Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui). La persona danneggiata è il soggetto che ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale derivante dal reato. Il danno risarcibile può manifestarsi in tre forme: • il danno patrimoniale – consiste nella privazione o diminuzione del patrimonio nelle forme del danno emergente e del lucro cessante; è quantificato per equivalente pecuniario; • il danno non patrimoniale (detto comunemente “danno morale”) – consiste nelle sofferenze fisiche e psichiche patite e nel pregiudizio sociale subìto a causa dell’offesa (2059 c.c.: Danni non patrimoniali: Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge); esso è calcolato con modalità di tipo satisfattivo; • il danno biologico – consiste nella menomazione dell’integrità fisico-psichica del soggetto, leso nel suo diritto alla salute (riconosciuto dal 32 Cost. quale fondamentale diritto dell’individuo). Il danneggiato dal reato può esercitare nel processo penale l’azione civile tendente ad ottenere il risarcimento del danno: ove egli abbia esercitato tale azione, e cioè si sia costituito parte civile, il codice gli permette di esercitare poteri di tipo civilistico. L’illecito penale e l’illecito civile derivano dal medesimo titolo, e cioè dal fatto di reato. Spesso la medesima persona riveste sia la qualifica di persona offesa dal reato,sia la qualifica di persona danneggiata dal reato. L’azione civile ospite nel processo penale mantiene la sua natura e le sue caratteristiche civilistiche; i poteri e il comportamento processuale della parte civile sono disciplinati dal codice di procedura penale. Circa i doveri della parte civile, questa deve deporre, con l’obbligo penalmente sanzionato di dire la veritò quando citato come testimone. Il danneggiato che esecita l’azione civile nel processo penale ha dei vantaggi: • non deve anticipare le spese del procedimento; • non deve spendere tempo a ricercare le prove; • gode di tempi più brevi della giustizia penale, rispetto a quella civile. Gli svantaggi sono costituiti dal fatto che: • la parte civile si trova in un procedimento nel quale l’iniziativa e le scelte fondamentali spettano al P.M.; • la sentenza di assoluzione impedisce al giudice civile di condannare al risarcimento del danno La costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo. Essa deve essere fatta con apposita dichiarazione resa per iscritto ai sensi dell’art. 78 c.p.p.; essa deve essere sottoscritta dal difensore della parte civile, perché il danneggiato sta in giudizio non personalmente ma mediante il difensore munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata F 0 E 0La dichiarazione svolge la funzione dell’atto di citazione in un processo civile; essa deve contenere a pena di inammissibilità i seguenti elementi: • generalità della persona fisica; • generalità dell’imputato verso il quale esercita l’azione civile; • nome, cognome, difensore e indicazione della procura a questi rilasciata; • l’esposizione delle ragioni che giustificano la “domanda” (petitum), che consiste nella richiesta al giudice di pronunciare la condanna dell’imputato al risarcimento del danno; • sottoscrizione del difensore. Vi sono due termini per costituirsi parte civile: 1) il primo scatta all’inizio dell’udienza preliminare nel momento in cui il giudice accerta la regolare costituzione delle parti. 2) il limite “finale” per costituirsi parte civile è il momento in cui il giudice accerta la regolare costituzione delle parti, prima di dichiarare aperto il dibattimento. si spoglia del caso F 0 E 0Dal punto di vista della forma, la sentenza deve essere sempre motivata; l’obbligo della motivazione è posto direttamente dalla Costituzione (art. 111, c.6) e ripetuto dal codice, che prevede la sanzione della nullità (relativa) per l’eventuale inosservanza. L’ordinanza – È il provvedimento col quale il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento; essa deve essere sempre motivata a pena di nullità ed è emessa dopo che si è svolto un contraddittorio fra le parti. Di regola, è revocabile dal giudice. Il decreto – È un ordine dato dal giudice. Deve essere motivato solo se la legge lo precisa espressamente. Esso risolve singole questioni senza chiudere in modo definitvo un procedimento. Di solito è pronunciato in assenza di contradditorio tra le parti. È un tipo di atto che può essere emesso, oltre che dal giudice, anche dal P.M. nei casi previsti dal codice. Il giudice ha l’obbligo di dichiarare immediatamente d’ufficio determinate cause di non punibilità. Si tratta di quelle che concernono l’assenza di responsabilità dell’imputato, l’estinzione del reato e la mancanza di una condizione di procedibilità; più precisamente il codice enumera le seguenti formule: il fatto non sussiste; il fatto non costituisce reato; il fatto non è previsto dalla legge come reato. Ai sensi dell’art. 129 , la pronuncia del giudice deve intervenire immediatamente in ogni stato e grado del processo, cioè in momenti successivi all’esercizio della azione penale F 0 E 0Nella fase dell indagini preliminari però il giudice non può attivarsi d’ufficio per il semplice fatto che, prima dell’esercizio dell’azione penale, non vi è processo. L’art. 130 prevede la procedura di correzione degli errori materiali. Il procedimento avviene in camera di consiglio; la competenza spetta al giudice autore dell’atto; l’iniziativa spetta al giudice che provvede, su richiesta del P.M. o della parte interessata. L’ordinanza recante la correzione deve essere annotata sull’originale dell’atto. L’istituto richiede almeno 4 requisiti: 1) sono oggetto di correzione degli errori materiali solo gli atti del giudice riferibili al modello delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti; 2) l’errore non deve essere causa di nullità dell’atto; 3) l’errore deve essere materiale; 4) l’eliminazione dell’errore non deve comportare una modifica essenziale sell’atto. Il giudice dispone anche di poteri coercitivi nell’esercizio delle sue funzioni, al fine del sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede. Per essi la legge non impone particolari formalità, l’ordine può essere soltanto orale ed è riprotodotto nel verbale di udienza. Se necessaria il giudice può chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e della forza pubblica. F 0 E 0Tra gli atti che costituiscono espressione di tale potere vi è l’accompagnamento coattivo (artt. 132 e 133), il quale comporta una restrizione della libertà personale. Esso ha una finalità limitata che è quella di condurre una persona davanti al giudice per rendere possibile l’acquisizione di un contributo probatorio. Vi è poi un ulteriore limite, indicato nel 132, cioè nei casi previsti dalla legge. Tra i destinatari del procedimento di accompagnamento coattivo vi sono l’imputato (o indagato), il testimone, il perito, il consulente tecnico, l’interprete ed il custode di cose sequestrate. La persona sottoposta ad esso non può però essere tenuta a disposizione oltre il compimento dell’atto previsto e di quelli consequenziali per i quali è richiesto; gli atti successivi devono essere legati ai precedenti da un nesso logico-funzionale. In ogni caso nessuna persona può essere trattenuta oltre le 24 ore. Per imputato ed indagato, l’accompagnamento deve essere preceduto da un invito a presentarsi o una citazione; se questi non si presentano senza legittimo impedimento, il giudice dispone l’accompagnamento coattivo e può condannarli anche al pagamento di una somma di denaro e delle spese processuali derivanti dalla mancata comparizione. Gli atti delle parti Il libro secondo del codice individua due modelli generali di atti delle parti; le richieste e le memorie. In realtà, dal libro quinto in poi, il codice prevede altri tipi di atti; si pensi alle conclusioni; piuttosto che al consenso, all’accettazione, alla rinuncia o alla revoca, o ancora all’impugnazione. La richiesta – Essa consiste in ogni tipo di domanda che le parti rivolgono al giudice al fine di ottenere una decisione. Sulla richiesta formulata dalle parti il giudice deve provvedere senza ritardo e comunque entro 15 giorni, salvo specifiche disposizioni di legge. Se non adempie a tale obbligo, la parte può presentargli formale istanza in merito alla responsabilità dei magistrati. La memoria – Essa ha un contenuto meramente argomentativo teso ad illustrare questioni in fatto o in diritto. Il procedimento in camera di consiglio Il codice utilizza l’espressione “camera di consiglio” per indicare due situazioni diverse. In base all’art. 125, c.4, il giudice delibera in segreto i provvedimenti in camera di consiglio; in questo caso tale espressione indica il luogo in cui il giudice si ritira per formare il proprio convincimento sulla singola questione da decidere. L’art. 127 disciplina il modello generale di procedimento in camera di consiglio; qui si intende la modalità di svolgimento di un’attività giurisdizionale, alla quale le parti e le altre persone interessate hanno il diritto di partecipare. Si tratta di una procedura semplificata per adottare una decisione in tempi rapidi e vi è la necessità di attivare un contradditorio eventuale. Le parti vi partecipano su avviso, ma non è obbligatorio che lo facciano. Il procedimento in camera di consiglio presenta due caratteristiche: • l’assenza del pubblico; • la non necessaria partecipazione delle parti, delle persone interessate e dei loro difensori. Nel modello ordinario, l’atto iniziale del procedimento è un decreto di fissazione dell’udienza. Alle parti, interessati e difensori è dato avviso della data fissata per l’udienza almeno 10 giorni prima dell’udienza stessa, a pena di nullità. Fino a 5 giorni prima dell’udienza gli interessati possono presentare memoria presso la cancelleria del giudice. All’udienza il contradditorio è soltanto eventuale. Il provvedimento conclusivo della procedura camerale assume di regola la forma dell’ordinanza che è impugnabile mediante ricorso per cassazione. La documentazione degli atti Gli atti del procedimento penale devono essere documentati perché se ne possa conservare traccia. A tale documentazione si provvede mediante verbale redatto dall’ausiliario che assiste il giudice o il P.M.. Il verbale deve riprodurre sia la domanda che la risposta. Mediante il verbale l’ausiliario si limita ad attestare ciò che è avvenuto in sua presenza e le dichiarazioni ricevute. Spetterà poi al giudice valutare il significato probatorio del suo contenuto e cioè valutare se le sue dichiarazioni sono vere o false F 0 E 0il verbale di un atto del procedimento può essere sottoposto ad una verifica da parte del giudice quanto alla correttezza e alla veridicità della descrizione di ciò che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza. Nel processo penale la documentazione può essere effettuata con almeno tre modalità differenti: • Il verbale in forma integrale – in dibattimento di regola deve essere redatto il verbale in forma integrale con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale. • Il verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica – riassuntivo non significa riassunto del concetto delle dichiarazioni, ma sommaria esposizione degli elementi extra-dichiarativi. • Il verbale in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica – esso si effettua quando vi sia una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici o anche quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza. La notificazione Essa è lo strumento previsto dalla legge per rendere noto al destinatario un atto (o un’attività) del procedimento, di cui occorre fornire conoscenza ai loro destinatari, affinché questi possano esercitare i propri diritti. Di regola essa è eseguita mediante la consegna di una copia dell’atto (o dell’avviso) al destinatario. L’organo che esegue la notificazione è, di regola, l’ufficiale giudiziario, che è un ausiliario del giudice. In casi eccezionali le notificazioni possono essere svolte dalla polizia penitenziaria o da quella giudiziaria. Due sono le esigenze cui sono sottese le notificazioni: 1) Portare a conoscenza effettiva del destinatari l’atto da notificare; 2) Accertare il reato e assicurare la celerità degli adempimenti formali in modo da non ritardare il corso del procedimento penale. Della consegna dell’atto è redatto verbale che viene chiamato relazione di notificazione. La notificazione disposta dal giudice avviene mediante consegna per intero da parte dell’ufficiale giudiziario al destinatario. Nei procedimenti con detenuti o davanti al tribunale del riesame, il giudice può disporre in caso di urgenza che le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Esistono forme equipollenti alla notifica, quali la consegna di copia dell’atto all’interessato da parte della cancelleria, la lettura dei provvedimenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice agli interessati che siano presenti. Le notificazioni di atti del P.M. sono eseguite dall’ufficiale giudiziario o dalla polizia giudiziaria per i soli atti che sia delegata a compiere. Sono previste forme equipollenti rispetto alle modalità ordinarie: la consegna di copia dell’atto da parte della segreteria e la lettura di provvedimenti e avvisi in presenza degli interessati. Le parti private possono effettuare le notificazioni di loro interesse secondo le regole ordinarie, oppure valersi di una modalità semplificata: si tratta dell’invio di copia dell’atto da parte del difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. • Le notificazioni che hanno come destinatario il P.M. sono eseguite nel modo ordinario o anche direttamente dalle parti mediante consegna di copia dell’atto alla segreteria. • Le notificazioni al difensore sono eseguite in modo ordinario. Una forma semplificata può essere disposta sia dal giudice che dal P.M.; in ogni caso l’ufficio che invia l’atto deve attestare in calce ad esso di aver trasmesso il testo originale. • Le notificazioni all’imputato detenuto devono effettuarsi nel luogo di detenzione con consegna di copia alla persona. Se questa si rifiuta di ricevere l’atto, la copia rifiutata è consegnata al direttore dell’istituto o a chi ne fa le veci. • Le notificazioni all’imputato non detenuto avvengono sulla base della dichiarazione o elezione di domicilio da lui effettuate: infatti, ai fini di rendere più celere ed agevole l’attività di notificazione, all’imputato (o all’indagato) non detenuto, nel primo atto compiuto con il suo intervento, il giudice lo invita a dichiarare o eleggere il proprio domicilio; dichiarare il domicilio significa indicare il domicilio ove gli atti gli saranno notificati; eleggere il domicilio significa indicare il domiciliatario cui consegnare una copia dell’atto da notificare all’imputato (una volta consegnata la copia dell’atto al domiciliatario, l’atto si considera legalmente conosciuto). Egli è inoltre avvertito che ha l’onere di comunicare ogni variazione del domicilio e ove non faccia ciò oppure non elegga o dichiari il domicilio, le notificazioni avverranno presso il suo difensore. Nel caso in cui non sia stato possibile per l’imputato dichiarare o eleggere il domicilio, la prima notificazione avverrà in mani sue, in domicilio o altrove e se ciò non è possibile si procede ove egli è reperibile. Se egli risulta irreperibile il giudice o il P.M. emettono un decreto di irreperibilità, con cui viene designato un difensore all’imputato che ne sia privo e viene ordinato che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore. • Le notificazioni all’imputato all’estero si svolgono mediante invito a lui rivolto presso la sua residenza o dimora all’estero di eleggere o dichirare domicilio nel territorio dello Stato entro 30 giorni; in mancanza di ciò le successive notificazioni avverranno presso il suo difensore. • Le notificazioni alla persona offesa, alla parte civile o al civilmente obbligato sono eseguite con le modalità della prima notificazione all’imputato non detenuto, e cioè mediante consegna di copia alla persona. Se vi è una pluralità di persone offese o impossibilità di identificarne alcune, la notificazione avviene per pubblici annunci. Se parte civile o civilmente obbligato si sono già costituiti in giudizio, la notificazione avviene presso i loro difensori. • Le notificazioni all’imputato interdetto o infermo di mente si svolgono mediante metodo ordinario ma anche presso il loro tutore o curatore. sentenza che decide sulla impugnazione o sulla opposizione. L’ordinanza che respinge la richiesta di restituzione nel termine è automaticamente impugnabile. F 0 E 0 1° rimedio speciale: restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale – Si presume che il giudice abbia dichirato la contumacia (quando l’imputato non compare all’udienza preliminare o dibattimentale e la sua assenza non risulta dovuta ad impossibilità assoluta a comparire o a legittimo impedimento). Presupposto per il rimedio è che la sentenza contumaciale deve avere il carattere della irrevocabilità e la richiesta. La richiesta può essere presentata soltanto dall’imputato che deve farlo presso il giudice competente entro 30 giorni da quello in cui l’imputato ha avuto conoscenza effettiva del provvedimento; il termine è a pena di decadenza. Vi è un’inversione dell’onere della prova, in quanto, quando l’imputato ha presentato richiesta di restituzione nel termine, il rimedio deve essergli concesso, salvo che sia accertato: A) che l’imputato ha avuto conoscenza del procedimento e abbia rinunciato a comparire; B) che l’imputato abbia avuto conoscenza del procedimento e abbia rinunciato alla impugnazione. Se la conoscenza effettiva non viene accertata, il giudice deve accogliere la richiesta con ordinanza. La sentenza non è annullata, ma ne viene eliminato il carattere di irrevocabilità ed essa è sottoposta a sospensione dell’esecuzione. F 0 E 0 2° rimedio speciale: restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna – Esso è costruito sul modello del rimedio previsto per la sentenza contumaciale di condanna, con adattamenti. Al G.I.P. spetta la competenza sulla richiesta di restituzione nel termine, in quanto a lui tocca la decisione sulla ammissibilità o meno della opposizione. 3) La nullità colpisce un atto del procedimento che è stato compiuto senza l’osservanza di quelle disposizioni che sono imposte dalla legge a pena di nullità. In base all’art. 177 l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge F 0 E 0Non è possibile applicare la nullità per analogia: se un caso dovesse apparire simile ad una ipotesi sanzionata con nullità, comunque esso non potrebbe essere regolato dalla nullità. Inoltre, una volta accertata la nullità, non è possibile valuitare se vi sia stato pregiudizio per l’interesse protetto o se l’atto nullo abbia raggiunto i suoi effetti. Non danno luogo a nullità gli erori in giudicando che trovano il loro rimedio nelle impugnazioni. Si distingue tra: • nullità speciali – quelle previste per una determinata inosservanza, precisata nella species (ad es. le inosservanze relative alla lingua degli atti del procedimento). • nullità generali – sono previste per ampie categorie di inosservanze e sono indicate nell’art. 178 (Nullità di ordine generale: È sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario; b) l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua partecipazione al procedimento; c) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio, della persona offesa dal reato e del querelante). Per quanto riguarda il regime giuridico, le nullità si distinguono in tre tipi: assolute, intermedie e relative. • nullità assolute – colpiscono le inosservanze più gravi previste dall’art. 179 e che riguardano i soggetti necessari del procedimento penale; sono rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e sono insanabili; esse sono sanate soltanto dall’irrevocabilità della sentenza. Tra di esse rientrano: i casi di nullità generali previste dall’art. 178/ la violazione delle disposizioni relative all’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale/ l’omessa citazione dell’imputato o del suo difesore nei casi in cui ne è richiesta la presenza. Vi possono essere delle nullità speciali che prevedono espressamente il regime giuridico della nullità assoluta, come l’art. 525 che impone che alla deliberazione della sentenza concorrano, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. • nullità intermedie – colpiscono le inosservanze di media gravità che sono disciplinate nell’art. 180 e riguardano una sfera più ampia di soggetti; esse sono rilevabili anche d’ufficio entro determinati limiti di tempo; sono sanabili. Fra di esse rientrano: l’inosservanza delle disposizioni attinenti alla partecipazione del P.M. nel procedimento (quindi anche prima del processo)/ l’inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante/ l’omissione di informazioni di garanzia nei confronti dell’indagato. • nullità relative – sono quelle nullità speciali che non rientrano tra quelle assolute e quelle intermedie; sono disciplinate dall’art. 181 e dichiarate su eccezione di parte ed entro brevi limiti di tempo, mentre al giudice è precluso rilevarle d’ufficio; esse sono sanabili. I termini per eccepirle sono più brevi rispetto a quelli previsti per le nullità intermedie. Ove, una volta eccepite, il giudice non provveda a dichiararle, esse devono essere eccepite con l’impugnazione della sentenza. Il codice distingue tra limiti di deducibilità e sanatorie generali. Il limite di deducibilità dà luogo ad un difetto di legittimazione della parte, di modo che quest’ultima trova un ostacolo ad eccepire la nullità. Le nullità intermedie e relative non possono essere eccepite da colui che vi ha dato o ha concorso a darvi causa, né possono essere eccepite da colui che non ha interesse alla osservanza della disposizione violata. Inoltre, quando la parte assiste ad un atto, la nullità dello stesso deve essere eccepita prima del suo compimento o, se non possibile, immediatamente dopo. La sanatoria è quel fatto giuridico ulteriore e successivo rispetto all’atto viziato che affiancato ad esso lo rende equivalente all’atto valido. Il codice distingue tra sanatorie generali e speciali. • sanatorie generali – si applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo; non si applicano alle nullità assolute per espressa disposizione dell’art. 179, c.1. Ai sensi dell’art. 183 la nullità è sanata se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirla ovvero ha accettato gli effetti dell’atto anche tacitamente (ad esempio se al difensore dell’imputato non viene dato aviso di un accertamento tecnico non ripetibile, ma egli stesso utilizza i risultati di tale accertamento per chiedere al giudice un provvedimento). Altra causa di sanatoria generale si ha quando la parte si è avvalsa della facoltà, al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato (ad esempio nel caso precedente il difensore nomina un consulente tecnico di parte); si tratta di una sanatoria per raggiungimento dello scopo. • sanatoria speciale delle nullità di citazioni, avvisi, notificazioni – è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire; è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. La comparizione deve essere personale e volontaria. Il giudice dichiara la nullità di un atto quando non vi sono limiti di deducibilità, né si sono verificate sanatorie applicabili a quel tipo di nullità. Gli effetti della nullità si estendono in modo che la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (art. 185). L’estensione della nullità tocca soltanto gli atti che, oltre ad essere “successivi”, siano anche logicamente e giuridicamente “dipendenti” dall’atto viziato; occorre quindi che l’atto nullo sia una condizione necessaria del valido compimento dell’atto successivo F 0 E 0L’estensione della nullità produce effetti gravi allorché il vizio colpisca un atto propulsivo del procedimento; per atti propulsivi si intendono quegli atti di impulso che devono necessariamente essere compiuti per il proseguire del procedimento (se il decreto che dispone il giudizio sia dichiarato nullo, ne sono travolti tutti quelli compiuti successivamente). Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha originato la causa di nullità per dolo o colpa grave. La rinnovazione non è possibile quando l’atto è all’origine non ripetibile o lo è diventato successivamente. Se si tratta di una prova, il medesimo giudice provvede alla rinnovazione se necessaria e possibile. Se si tratta di un atto propulsivo, la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito. 4) Il termine inutilizzabilità descrive da un lato il “vizio” da cui può essere affetto un atto o un documento, da un altro lato il “regime giuridico” al quale l’atto viziato è sottoposto. Essa colpisce il valore probatorio dell’atto e non l’atto in sé. L’atto, pur valido dal punto di vista formale, è colpito nel suo aspetto sostanziale, cioè il fatto che esso non possa essere messo a fondamento di una decisione del giudice, oppure di un atto del P.M. o della polizia giudiziaria. • inutilizzabilità assoluta dell’atto – è tale quando il giudice non può basarsi su di esso per emettere un qualsiasi provvedimento; • inutilizzabilità relativa – è tale quando la legge indica le persone nei confronti delle quali non può essere utilizzato un determinato atto o la categoria di provvedimenti che non possono basarsi su tale atto. • Inutilizzabilità speciale – si ha ogniqualvolta una norma del codice commini espressamente tale sanzione per il mancato rispetto delle condizioni previste per l’acquisizione di una determinata prova (es: sono inutilizzabili, ex. art. 271, le intercettazioni eseguite fuori dai casi consentiti); • Inutilizzabilità generale – si riferisce a categorie di inosservanza determinate nel genere. Vi è una fondamentale distinzione tra due tipi di inutilizzabilità: quella patologica e quella fisiologica. • inutilizzabilità patologica – consegue ai vizi più gravi del procedimento probatorio (ammissione, assunzione e valutazione della prova). • inutilizzabilità fisiologica – deriva invece dall’inosservanza del principio della separazione delle fasi del procedimento ed è posta a tutela del principio del contradditorio, tendendo ad evitare che siano utilizzate per la decisione prove raccolte nel corso delle indagini preliminari F 0 E 0L’inutilizzabilità patologica di tipo generale è disciplinata dall’art. 191, c.1, secondo cui le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. Il divieto idoneo a provocare l’inutilizzabilità patologica è solo quello previsto da una norma processuale: si capisce ciò osservando l’art. 191, il quale si riferisce alle prove illegittimamente acquisite; se il divieto avesse avuto ad oggetto la legge penale sostanziali, si sarebbe utilizzata l’espressione “prove illecitamente acquisite”, dunque se ne deduce che le prove raccolte violando una norma della legge penale sostanziale sono utilizzabili, mentre non lo sono più se si viola una psecifica norma processuale. Il giudice d’ufficio, o su richiesta di parte, dichiara che l’atto è inutilizzabile. L’inutilizzabilità deve essere rilevata dal giudice in ogni stato e grado del procedimento. Essa non può essere sanata (a differenza della nullità). In base all’art. 191 l’inutilizzabilità è la conseguenza che deriva dall’aver acquisito una prova violando un divieto probatorio. Il vizio consiste nel fatto che il giudice ha eseguito, nell’acquisizione della prova, un potere che la legge processuale vietava. La prova diventa inutilizzabile se tale sanzione è prevista espressamente dalla legge come conseguenza della violazione di quella modalità di assunzione. Il legislatore non ha tradotto in una determinata disposizione il principio di tassatività, né per l’inammissibilità, né per l’inutilizzabilità. Eppure, anche per l’inutilizzabilità vale il principio di tassatività. F 0 E 0Circa l’inutilizzabilità fisiologica, il codice pone la regola in base alla quale il giudice può utilizzare ai fini della deliberazione solo le prove legittimamente acquisite nel dibattimento. In tali casi l’atto è stato compiuto regolarmente, ma prima del dibattimento. Dunque la prova acqusita al di fuori del dibattimento non può essere usata in dibattimento, non perché non sia valida, ma perché è “diversa” da quella che deve impiegarsi per legge nel dibattimento, perché non fondate sul rispetto del contradditorio: con questo strumento si munisce di una sanzione processuale il principio del contraddittorio. 5) Dottrina e giurisprudenza hanno creato ulteriori cause di invalidità: l’atto inesistente e l’atto abnorme. Tali interventi sono dovuti al fatto che si è ritenuto iniquo lasciare senza tutela quelle imperfezioni dell’atto che sono più gravi delle nullità assolute insanabili. In particolare, l’inesistenza di una sentenza impedisce che si formi il giudicato, di modo che l’invalidità può essere rilevata dal giudice anche dopo che la sentenza sia divenuta irrevocabile e quindi non impugnabile.un’ulteriore causa di invalidità: la sentenza inesistente. Fra i casi di inesistenza, comunemente riconosciuti, possiamo ricordare i seguenti: la carenza di potere giurisdizionale del giudice (ad es., sentenza penale emessa dal prefetto); la sentenza pronunciata contro un imputato totalmente incapace perché coperto dall’immunità F 0 E 0In tali casi l’atto non esiste in senso giuridico. Diverso è il provvedimento abnorme, che può essere sottoposto a ricorso per cassazione prima dell’irrevocabilità della sentenza. È affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale (abnormità strutturale), ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, quando l’atto determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (abnormità funzionale). Il provvedimento giudiziario abnorme è ricorribile per cassazione, applicandosi direttamente l’art. 111, c.7 Cost.: Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra . In materie che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina; si parla di legge scientifica. Da un lato la legge scientifica dà maggiore certezza, poiché è possibile conoscere in quanti e quali casi risulta attendibile; dall’altro lato restano margini di opinabilità, poiché si tratta di scegliere la legge scientifica da applicare al caso di specie; valutare in quale modo essa deve essere applicata; individuare a quali fatti applicarla. Le leggi scientifiche sono sperimentabili (perché riconducibili ad esperimenti misurabili quantitativamente dagli scienziati), generali (non ammettono eccezioni, il margine di errore è esattamente conosciuto), controllabili (perché la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità degli esperti). Le regole di comune esperienza sembrano invece essere carenti di tali caratteri: non sono sperimentabili (perché il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile, né misurabile quantitativamente), non sono controllabili (perché non ci sono tecnici in grado di seguire con procedure comunemente accettate il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità), non sono generali (perché le regole del comportamento umano ammettono eccezioni), non sono nemmeno autonome rispeto ai casi da cui sono ricavate (perché dipendono da essi). F 0 E 0per tali ragioni il giudice deve essere cauto nell’utilizzare una regola di esperienza, da costruirsi comunque con un metodo che si avvicini il più possibile a quello scientifico. L’indizio non è una prova minore, bensì una prova che deve essere verificata. Esso è idoneo ad accertare l’esistenza di un fatto storico di reato solo quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell’accaduto. Il principio è formulato all’art. 192, c.2: L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. • La gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è grave l’indizio resistente alle obiezioni. • Gli indizi sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni, ma soprattutto la circostanza indiziante deve essere ampiamente provata. • Gli indizi sono concordanti quando convergono tutti verso la medesima conclusione. Se l’oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico operata nell’imputazione, è sufficiente anche un solo indizio: intendiamo riferirci all’alibi, cioè quella prova logica che dimostra che l’imputato non poteva essere aquell’ora sul luogo del delitto, perché nel medesimo momento era in un altro luogo ben distante. Oltre alle leggi scientifiche, nel processo possono essere impiegata anche le cd. leggi probabilistiche, le qualli hanno un grado di predizione non elevato. Un esempio è quello delle leggi della scienza medica, come la dattiloscopia e quindi le impronte digitali. Nel processo di ragionamento del giudice occorre tenere presente anche la probabilità logica, cioè il giudizio circa l’idoneità di una o più leggi scientifiche a spiegare il singolo caso concreto sottoposto alla attenzione del giudice. La probabilità logica è apprezzata dal giudice sulla base di elementi di prova raccolti in un determinato processo. La legge scientifica da sola non basta, ma soltanto l’esame del complessivo materiale probatorio consente al giudice di emettere una sentenza. Il procedimento probatorio è regolamentato dal codice nei fondamentali momenti della ricerca, dell’ammissione, dell’assunzione e della valutazione della prova. Nel sistema accusatorio i poteri in materia di prova risentono del principio di separazione delle funzioni processuali. I poteri sono ragolamentati dalla legge ed il controllo spetta al giudice imparziale: principio della “legalità processuale in materia probatoria”. Vi è una parità di armi tra le parti, ove il diritto alla prova (art. 190) si compone di: a) Ricerca della prova: la ricerca delle fonti di prova spetta alle parti: in primo luogo al P.M., sul quale incombe l’onere della prova, e cioè l’onere di convincere il giudice della reità dell’imputato; successivamente spetta all’imputato, al fine di confutare le tesi dell’accusa, ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte o della inattendibilità dell’elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente. b) Ammissione della prova: l’ammissione del singolo mezzo di prova deve essere chiesta, di regola, dalle parti al giudice (art. 190); esse hanno l’onere di introdurre il singolo mezzo di prova o lo adempiono chiedendo l’esame di un testimone o l’acquisizione di un documento. Il giudice ammette la prova in base a 4 criteri: deve essere pertinente (deve riguardare l’esistenza di un fatto storico enunciato nella imputazione); non vietata dalla legge; non superflua; rilevante (il suo probabile risultato è idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare). Il giudice decide sulla richiesta di ammissione senza ritardo, con un’ordinanza motivata. Il diritto di ottenere l’ammissione della prova di tipo dichiarativo è stato limitato nelle ipotesi di imputazione avente ad oggetto il delitto di associazione mafiosa, i delitti ad esso collegati o alcuni reati in materia di violenza sessuale e di pedofilia; se la persona, che una parte vuole sentire in dibattimento, ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio, l’esame è ammesso soltanto in due casi: 1) se riguarda fatti o circostanze diversida quelli della precedenti dichirazioni; 2) se il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. F 0 E 0Diritto alla prova contraria: la parte avversa ha diritto all’ammissione della prova che ha per oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a dimostrare che esso non è avvenuto o che si è verificato con una differente modalità. F 0 E 0Poteri di iniziativa probatoria del giudice: il giudice di regola non può introdurre un mezzo di prova senza una richiesta di parte, cioè non può d’ufficio. Inoltre in dibattimento egli può ammettere, in via eccezionale, una prova quando essa sia assolutamente necessaria; ha dunque un poteredi supplenza alla inerzia delle parti. c) Assunzione della prova: l’assunzione della prova avviene, se si tratta di dichiarazioni rese in dibattimento, col metodo dell’esame incrociato. Rientra nel diritto alla prova la partecipazione delle parti alla assunzione del mezzo di prova attraverso la formulazione diretta delle domande al dichiarante. Il codice prevede quali tra di esse sono inammissibili, spetta al giudice il potere di vietarle. L’esame incrociato è ritenuto il modo migliore per valutare se il dichiarante risponde secondo verità. Se correttamente usato esso consente di smascherare la persona che dice il falso, a causa dei difetti nella percezione o nella memoria. Se al giudice fosse affidato il compito istituzionale di porre le domande, egli , anche senza volere, finirebbe per scegliere una ipotesi ricostruttiva dei fatti, perdendo così la parzialità. Il codice attribuisce al presidente del tribunale di porre domande solo dopo che le parti hanno concluso l’esame incrociato. Il giudice ha una funzione di mero chiarimento. Il termine acquisizione della prova è utilizzato dal codice con un significato in senso stretto di ammissione della prova precostitutita, formata cioè fuori dal procedimento o prima del dibattimento; in senso lato, ricomprendente anche l’ammissione e assunzione della prova non precostituita, come la dichiarazione. F 0 E 0Principio della libertà morale della persona nell’assunzione della prova: L’art. 188 sancisce che non possono utilizzarsi, neanche con il consenso dell’interessato, metodi o tecniche idonee ad influire sulla libertà di autodeterminazione della persona, o ad alterare la capacità di ricordare o valutarei fatti. d) Valutazione della prova: la parti hanno il diritto di offrire al giudice la propria valutazione degli elementi di prova. In dibattimento ciò avviene al momento della discussione finale. Al diritto delle parti corrisponde il dovere del giudice di dare una valutazione logica dell’elemento di prova raccolto nella sentenza, fornendo anche motivazione di risultati acquisiti e criteri adottati (art. 192,c.1 sul libero convincimento del giudice nella valutazione della prova e sull’obbligo di motivazione), indicando le prove poste alla base della decisione e le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie. Il giudice è perciò libero di convincersi, ma anche obbligato a motivare razionalmente, ricostruendo il fatto secondo logica e sencondo le risultanze processuali. Di fronte alla motivazione che sia carente di tali requisiti le parti possono proporre impugnazione mediante appello o ricorso in cassazione. Nel processo penale non esiste l’istituto della prova legale (cioè l’ipotesi in cui la legge si sostituisca al libero convincimento del giudice nella valutazione di un determinato elemento di prova), come invece esiste nel processo civile F 0 E 0esempio nel processo civile può essere la confessione, la quale fa piena prova contro chi la produce, salvo non coinvolga diritti indisponibili; nel processo penale essa è invece sempre liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerla anche non attendibile. Per quanto riguarda l’onere della prova, l’art. 27, c.2 Cost. dichiara che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. In un’unica formula si sono volute combinare una regola di trattamento ed una regola di giudizio. La regola di trattamento vuole che l’imputato non sia assimilato al colpevole sino al momento della condanna definitiva; e cioè impone il divieto di anticipare la pena. La regola di giudizio vuole che l’imputato sia presunto innocente (vuole cioè l’effetto dell’ art. 2728.1 c.c.: Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite). Pertanto l’onere della prova ricade sulla parte che sostiene la reità dell’imputato. L’onere è definibile come la situazione giuridica attraverso la quale l’ordinamento impone ad un soggetto di comportarsi in un determinato modo se questi vuole ottenere un qualche vantaggio. Alla difesa spetta di provare la mancanza di credibilità delle fonti o l’inattendibilità delle prove d’accusa; ovvero spetta di dare la prova dell’esistenza di fatti favorevoli alla difesa (ad es. di una causa di giustificazione o di non punibilità). L’imputato può anche voler provare direttamente che egli non ha tenuto la condotta asserita dall’accusa o che un evento non è avvenuto: si tratta della c.d. prova negativa, di cui un esempio può essere l’alibi. Le parti hanno l’onere di ricercare le fonti e di introdurre nel processo i mezzi di prova: si tratta di un onere formale, che appare distinto dall’onere sostanziale della prova. Esso è previsto dall’art. 190, c.1, secondo cui le prove sono ammesse a richiesta di parte. Esso attribuisce alle parti il compito di ricercare le fonti di prova; valutare la necessità del mezzo di prova al fine di ottenere il risultato vantaggioso e dimostrare l’esistenza del fatto affermato; chiedere al giudice l’ammissione del mezzo di prova. Una parte soddisfa invece l’onere sostanziale della prova solo dopo che ha convinto il giudice dell’esistenza del fatto storico da essa affermato, poiché vige il principio secondo cui chi agisce in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono fondamento. L’aver soddisfatto l’onere comporta l’accoglimento della domanda. L’onere della prova costituisce una regola probatoria nel senso che individua la parte sulla quale ricadonole conseguenze per non aver convinto il giudice dei fatti affermati. Una volta acquisito l’elemento di prova il giudice deve valutare se esso è idoneo a dimostrare l’esistenza di un fatto oggetto di prova, ciò a prescindere dalla circostanza che sia stato introdotto o meno dalla parte che aveva l’onere sostanziale della prova. Ad ogni modo, terminata l’acquisizione delle prove, se risulta “assolutamente necessario”, il giudice può disporre anche d’ufficio, l’assuzione di nuovi mezzi di prova. Occorre distinguere tra: F 0 E 0fatto notorio: fatto di pubblica conoscenza in un determinato ambito territoriale. L’esistenza di un simile fatto è conosciuta dal giudice senza la necessità che le parti chiedano l’ammissione di un determinato mezzo di prova. Occorre che il fatto sia indubitabile ed incontestabile. F 0 E 0fatto pacifico: fatto di conscenza non pubblica affermato da una parte e ammesso esplicitamente o implicitamente dalla controparte. Esso non ha allora bisogno di essere provato. Per quanto riguarda il c.d. quantum di prova (standard probatorio), nel processo penale colui che accusa ha l’onere di provare la reità dell’imputato in modo da eliminare ogni ragionevole dubbio. La prova dell’accusa che lascia residuare un ragionevole dubbio è equiparata alla mancata prova. Precedentemente, l’art. 530 si limitava a stabilire che il giudice doveva pronunciare sentenza di assoluzione quando la prova che il fatto sussiste era “insufficiente” o “contradditoria”, ma non vi era una norma espressa che consentisse di indivuare il parametro di valutazione della insufficienza e contradditorietà della prova. Dal canto suo la giurisprudenza applicava allora il principio di reità da provarsi oltre ogni ragionevole dubbio. Tale principio è stato poi introdotto dal legislatore nel 2006, modificando l’art. 533 relativo alla sentenza di condanna, in modo che essa possa essere pronunciata nel caso in cui sussista tale circostanza. Ragionevole significa “comprensibile da una persona razionale”; non potrà trattarsi di un dubbio meramente psicologico o congetturale, percepito soggettivamente dal giudice. Tale principio costituisce sia una regola probatoria, che disciplina nel quantum l’onere della prova che è a carico del P.M.; sia una regola di giudizio, che il giudice deve applicare. Il dubbio sull’esistenza di un fatto impeditivo o estintivo va a favore dell’imputato, anche quando questi ha l’onere della prova, dovendo dunque convincere il giudice dell’esistenza di un fatto favorevole. Ciò è dovuto al fatto che nel processo penale non vi è una sostanziale equivalenza tra le posizioni soggettive contrapposte, a differenza del processo civile, poiché è solo l’imputato che può ricevere dalla decisione un pregiudizio nei confronti della propria libertà personale. Principio di oralità: In prima approssimazione al termine oralità si può attribuire il significato di “comunicazione del pensiero mediante la pronuncia di parole destinate ad essere udite”. Si ha oralità in senso • l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali (art. 198). • l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte: se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza. Abbiamo visto che non possono essere utilizzati neppure con il consenso della persona interessata metodi o tecniche indonee ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti. F 0 E 0La violazione di questo divieto determina l’invalidità dell’atto così acquisito. La deposizione è resa in dibattimento con le forme dell’esame incrociato. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Le domande devono essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Inoltre devono avere ad oggetto fatti determinati (art. 194); di conseguenza il testimone non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti. Infine, non può deporre su voci correnti nel pubblico. Le deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici. Le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due limiti. • Il primo è posto dall’art. 194, c.2: nella seconda parte esso dice che La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona. • Il secondo riguarda i procedimenti per i delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone: le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono consentite se sono necessarie alla ricostruzione del fatto. Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza mediante: F 0 E 0 testimonianza diretta – quando ha percepito personalmente il fatto da provare con uno dei 5 sensi F 0 E 0 testimonianza indiretta (o de relato)– quando ha appreso il fatto da una rappresentazione che altri ha riferito a voce, per iscritto, o con altro mezzo. La persona da cui si è sentito dire è il teste di riferimento.; quest’ultimo può aver percepito personalmente il fatto oppure può averlo sentito dire da un’altra persona. Quando il fatto è conosciuto dal testimone per sentito dire occorre che sia possibile accertare l’attendibilità sia del testimone indiretto, sia del tesimone diretto. È per tale ragione che il codice pone alcune condizioni all’utilizzabilità della deposizione indiretta: • Il testimone indiretto deve indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame. La mancata individuazione impedisce di valutare la credibilità e l’attendibilità di quanto è stato riferito. • La concessione opera solo quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto, il giudice è obbligato a disporne la citazione. Se il giudice non dispone la citazione la testimonianza indiretta non è utilizzabile. In via eccezionale la testimonianza indiretta è utilizzabile quando l’esame del testimone diretto risulti impossibile per morte, infermità o iireperibilità. È vietato assumere deposizioni su fatti appresi da persone vincolate da segreto professionale o d’ufficio, salvo che queste abbiano comunque divulgato tali fatti. Vi è divieto di testimonianza sulle dichiarazioni comunque rese dall’imputato o dall’indagato in un atto del procedimento. La prova delle dichiarazioni rese dall’imputato e dall’indagato in un atto del procedimento deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve essere redatto ed utilizzato con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento. 1) In primo luogo, il divieto ha natura oggettiva, e cioè pare riferirsi a chiunque riceva le dichiarazioni. 2) In secondo luogo, il divieto ha per oggetto dichiarazioni in senso stretto, e cioè espressioni di contenuto narrativo: risultano quindi riferibili per sentito dire quelle dichiarazioni che costituiscono espressioni di volontà o meri comportamenti. 3) In terzo luogo, le dichiarazioni nei cui confronti opera il divieto sono quelle rese nel corso del procedimento: l’espressione deve essere intesa nel senso di “in occasione” di un atto tipico e non “durante la pendenza” del procedimento. 4) Infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell’imputato che abbiano una valenza di prove, e non quelle che siano rilevanti come fatti storici di reato (che devono essere accertati mediante un processo penale). Secondo l’art. 195, c.4 gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sia sul contenuto delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi, sia sul contenuto delle denunce, querele o istanze, delle informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato. Fuori delle ipotesi di espresso divieto la testimonianza indiretta della polizia è ammessa (ad esempio nel caso di dichiarazioni ricevute al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni; oppure su dichiarazioni percepite nel corso di attività tipiche, come identificazioni, o atipiche, quali i pedinamenti. La Corte costituzionale ha inoltre dichiarato che non solo è inutilizzabile quella dichirazione indiretta che la polizia ha appreso dalla persona informata e ha regolarmente verbalizzato, ma anche la medesima dichiarazione quando la polizia non ha adempiutoa tale obbligo, pur ricorrendone le condizioni. Circa l’incompatibilità a testimoniare, il codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare (art.196). Tuttavia vi sono delle eccezioni ex art. 197. Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l’esame ai sensi dell’art. 210) gli imputati concorrenti nello stesso reato (coimputati); gli imputati in procedimenti connessi nel caso in cui i reati per cui si procede sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri (c.d. connessione teleologica); gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati, quando la prova di un reato influisce sulla prova di un altro reato o un’altra circostanza F 0 E 0a quest’ultima regola sono state poste due eccezioni: • i soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena; • gli imputati menzionati divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell’interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti altrui: in questo caso la compatibilità è parziale perché è limitata ai fatti altrui. Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere dichiarazioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti e, quindi, senza l’obbligo penalmente sanzionato di dire il vero. Non possono essere assunti come testimoni coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario. Sono altresì incompatibili il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione dell’intervista. Il codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell’esame. Tuttavia il codice stabilisce che il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Si individua così un privilegio del teste, poiché egli ha diritto a non rispondere non solo alla singola domanda, ma anche a tutte le domande su fatti dai quali emerga una responsabilità per un reato commesso in passato. Alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l’obbligo di informarlo che può non rispondere, né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone. In ogni caso il testimone è libero, se crede, di rispondere. In base all’art. 198, c.2, destinatario di questo divieto probatorio è il giudice. Quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di costringerlo a parlare. La violazione di un divieto probatorio comporta l’inutilizzabilità del dato che è stato acquisito. Ciò ovviamente opera nel caso in cui il testimone eccepisca il privilegio in modo fondato e non pretestuoso. F 0 E 0Quando il testimone rifiuta di rispondere ed oppone il privilegio, egli deve dare una giustificazione allo stesso, non essendo ovviamente obbligato a dare troppi dettagli. Una volta che il testimone abbia reso una dichiarazione dalla quale emergano indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente, e cioè in questo caso il giudice, deve interrompere l’esame ed avvertire il soggetto che a seguito di tali dichiarazioni potranno esser svolte indagini nei suoi confronti, ed invitare lo stesso a nominare un difensore. Il codice prevede per tali dichiarazioni la inutilizzabilità soggettivamente relativa (verso la persona che le ha rese). A questa norma va aggiunta quella che dispone una inutilizzabilità assoluta delle dichirazioni rese dalle persone che avrebbero dovuto essere sentite sin dall’inizio come indagato o imputato (le quali avrebbero dovuto essere avvertite della loro facoltà di non rispondere), sia contro di esse, che contro altre persone. I prossimi congiunti dell’imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni. Sono prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; fra i prossimi congiunti non si comprendono gli affini allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole (307.4 c.p.). F 0 E 0 Il codice di procedura penale impone che il testimone prossimo congiunto dell’imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal rendere la deposizione. Se l’avviso è omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa e l’eventuale reato di falsa testimonianza non è punibile. Nel caso in cui il prossimo congiunto decida di non astenersi e, quindi, deponga come testimone, egli va incontro all’obbligo di verità e non può più rifiutarsi di rispondere alle singole domande. Prima che inizi l’esame incrociato, il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale. Quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità, solo il giudice può rivolgergli l’ammonimento a rispettare l’obbligo di dire il vero. Le parti non possono ammonire il testimone, ma possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere. Può accadere che il testimone rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. In tal caso il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre secondo verità. F 0 E 0Se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge. Può anche accadere che il testimone renda dichiarazioni contradditorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite. Anche qui il giudice gli rinnova l’avvertimento dell’obbligo di dire il vero. In ogni caso è fatto divieto di arrestare in udienza il testimone per reati concernenti il contenuto della deposizione (476.2), e cioè per la testimonianza falsa o reticente. In merito al segreto professionale, la possibilità di non rispondere spetta solo ai professionisti indicati espressamente dall’art. 200. Per segreto si intende la notizia che non deve essere portata all’altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria. Il professionista non rientrante nelle categorie indicate nel 200, cd. professionista “comune”, ha l’obbligo di deporre nel processo penale anche se al di fuori di questo è tenuto al segreto professionale. Infatti egli è penalmente tenuto a non rivelare senza giusta causa i segreti, dei quali è venuto a conoscenza per ragione della propria professione, quando ciò possa nuocere all’interessato, ma deve rispondere secondo verità quando è sentito come testimone nel processo penale (giusta causa). Il professionista “qualificato”, rientrante nelle categorie del 200, può invece rifiutarsi di rispondere alla singola domanda che lo induca a narrare un fatto segreto appreso nell’esercizio della sua professione. Se egli dovesse comunque deporre si individuerebbe una violazione del segreto professionale. Di regola si tratta di un segreto rivolto a tutelare gli interessi costituzionali del cliente (fede, salute, difesa in ogni tipo di processo). F 0 E 0ovviamente: 1)il segreto non opera nel caso in cui riguardi un fatto conosciuto al di fuori dell’esercizio delle professioni ex art. 200.; 2) è necessario che il professionista qualificato non abbia unn obbligo giuridico di riferire quel fatto all’autorità giudiziaria, come invece accade ad esempio nel caso di un referto di autopsia medica. Possono opporre il segreto professionale, quando sono sentiti in qualità di testimoni: • i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; • gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; • i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; • gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre, determinata dal segreto professionale. • Il segreto professionale è esteso ai giornalisti, con alcuni limiti; esso può essere mantenuto relativamente ai nomi delle persone dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell’esercizio della professione; inoltre possono opporre questo segreto solo i giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale; • il giornalista è comunque obbligato ad indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia. Vi sono poi testimoni che in virtù di una loro qualifica pubblica hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti in ragione del loro ufficio. Il segreto d’ufficio vincola il pubblico ufficiale, il pubblico commesso. Le sue dichirazioni sono utilizzabili solo in presenza di riscontri che ne confermino l’attendibilità. Fino al 2006 questa disciplina si applicava a tutti gli imputati di processi con sentenza irrevocabile, anche se essa fosse stata di assoluzione. Attualmente, invece, l’imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto deve essere trattato in modo simile al testimone comune. • Testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile – opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell’imputato collegato o connesso teleologicamente: affinché scatti l’obbligo di deporre come testimone è necessario in primo luogo che l’imputato sia stato ritualmente avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l’ufficio di testimone; in secondo luogo, una volta avvertito, l’imputato collegato o connesso teleologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. Egli prende l’impegnativa di deporre secondo verità, sia pure limitatamente al fatto altrui già dichiarato. Il legislatore ha riconosciuto al testimone assistito un privilegio singolare. I testimoni assistiti possono infatti non rispondere sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei loro confronti. Quando i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere si estende inevitabilmente anche al fatto altrui. Tuttavia, se il teste assistito decide di rispondere ha l’obbligo di verità penalmente sanzionato. Va detto che l’art. 197 lettera a) e b) non menziona tra i provvedimenti che determinano l’incompatibilità a testimoniare, i provvedimenti di archiviazione e di non luogo a procedere, sicché la giurisprudenza ritiene che gli imputati connessi per concorso del medesimo reato, sottoposti a questi provvedimenti, siano da equiparare a coloro che sono sottoposti ad un procedimento pendente, e dunque incompatibili con la qualità di teste. Nei loro confronti si applicherà invece l’esame ex. art. 210. Per quanto riguarda il collaboratore di giustizia, cioè la persona che ha maifestato la volontà di collaborare, questi deve entro 180 giorni fornire al P.M. tutte le notizie utili in suo possesso ai fini della ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui qauli è interrogato, nonché degli altri fatti di maggiore gravità e allarme sociale di cui è a conoscenza, oltre che utili alla individuazione e cattura dei loro autori; insieme alle informazioni utili a procedere a sequestro e confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità. Il collaboratore di giustizia sarà sentito come imputato connesso o come testimone assistito a seconda del tipo di legame che intercorre tra il proprio procedimento e quello nel quale è chiamato a deporre, oltre che a seconda dell’oggetto delle precedenti dichiarazioni. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali Il confronto consiste nell’esame congiunto di due o più persone (testimoni o parti) chesiano già state esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti (art.211). La ratio dell’istituo è quella di vagliare le dichiarazioni contrastanti. Primo presupposto di questo mezzo di prova è l’esistenza di un disaccordo tra due o più persone su fatti e circostanze importanti; il secondo che le persone da mettere a confronto siano già state esaminate o interrogate. Il confronto può svolgersi così fra imputati o fra testimoni (in posizione omogenea), oppure fra imputati e testimoni (in posizione eterogenea). Il confronto può essere disposto nella fase delle indagini preliminari, quando siano già raccolte dichiarazioni; in udienza preliminare; in dibattimento; nel giudizio di rinvio e nel giudizio di revisione. Il mezzo può inoltre essere esperito in incidente probatorio, quando vi sia il pericolo di dispersione o di inquinamento della prova. Circa le modalità, la normativa esalta il ruolo del giudice (o del P.M. nelle indagini), al quale spetta un potere propulsivo e direttivo. È ridotto il potere delle parti, limitato al controllo della regolarità di svolgimento dell’atto. Il giudice chiama i protagonisti alle loro precedenti dichirazioni discordanti e chiede loro se le confermano. Ove il disaccordo persista, egli le invita a rciproche contestazioni. Tutto deve essere verbalizzato. F 0 E 0In ogni caso l’imputato continua a godere del diritto al silenzio. La ricognizione è il mezzo di prova mediante il quale ad una persona che abbia percepito coi propri sensi una persona o una cosa si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili. Essa è disposta quando occorre procedere al riconoscimento di persone, cose, voci, suoni o altri elementi oggetto di percezioni sensoriali. Il suo svolgimento è disciplinato minuziosamente dal codice, poiché una modalità irregolare può infirmare l’attendibilità dell’elemento di prova. L’atto può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell’incidente probatorio e si svolge nel rispetto del contradditorio tra le parti. Ex. art. 213, il giudice invita il ricognitore a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda. Gli chiede poi se sia stato chiamato in precedenza ad eseguire il riconoscimento; se prima o dopo il fatto per cui si procede abbia visto, anche se in foto, la persona da riconoscere; se la stessa gli sia stata indicata o descritta; se vi siano altre corcostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento. Circa la predisposizione della scena; l’art. 214 prevede che in assenza di colui che è chiamato ad effettuare il riconoscimento, il giudice dispone che siano presenti almeno 2 persone il più possibile somiglianti, anche nell’abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Nuovamente introdotto il ricognitore, il giudice gli chiede se riconosce taluno dei presenti; nel caso in cui il ricognitore affermi di riconoscere qualcuno, il giudice lo invita ad indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certo. Il verbale, a pena di nullità, deve menzionare le modalità di svolgimento della ricognizione. Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione il giudice dispone che l’atto sia compiuto senza che quest’ultima possa vedere la prima (art. 214.2). Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato o di altre cose pertinenti al reato, si osservano modalità analoghe a quelle esposte: l’art. 215 (Ricognizione di cose) richiama l’art. 213, per cui il giudice dispone che siano procurati almeno due oggetti simili a quello da riconoscere. L’esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo (art. 218.1). L’esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. Ovviamente il fatto storico di reato è irripetibile; scopo dell’esperimento è quello di valutare la verosomiglianza della ricostruzione dello stesso, riproducendone le modalità di svolgimento. Il giudice dirige lo svolgimento dell operazioni. L’esperimento giudiziale si distingue dalla ispezione, che ha ad oggetto una percezione statica della situazione attuale di una cosa o di una persona, poiché con l’esperimento si rappresenta nel presente un fatto già avvenuto, mettendo in movimento persone o cose. Tale mezzo di prova può essere dipsosto in dibattimento, ma può essere condotto anche durante le indagini preliminari con lo strumento dell’incidente probatorio, se deve svolgersi su cosa o luogo il cui stato è soggetto a modificazione inevitabile. Oggi è possibile ricostruire mediante computer nella realtà virtuale, sulla base delle prove raccolte. La prova scientifica La prova scientifica è quella prova che, partendo da un fatto dimostrato, utilizza una legge scientifica per accertare l’esistenza di un ulteriore fatto da provare. Ciascuna delle parti deve poter dimostrare se per caso al fatto storico non sono applicabili regole diverse che diano una spiegazione alternativa all’accadimento, oltre ad indagare se tutte queste conseguenze si siano verificate. Inoltre nessuna parte deve avere il potere di nascondere alla altre parti le fonti, né il diritto di modificare unilateralmente in modo irreversibile gli elementi di prova. Oggi la consulenza tecnica di parte è un vero e proprio mezzo di prova. Per quanto riguarda l’ammissione della prova scientifica, il legislatore non fornisce al giudice un criterio esplicito che indichi quando questa possa essere introdotta nel processo. Il codice non indica al giudice il criterio per valutare in positivo o in negativo la scientificità di un metodo; vi è un vuoto normativo colmato con il consenso della comunità scientifica, sulla base di alcuni criteri che devono essere valutati dal giudice nel momento in cui questi ammette il mezzo di prova scientifico: a) se il metodo è in astratto valido per ottenere un elemento di prova scientifico; b) se il metodo in concreto è idoneo a ricostruire il fatto da provare; c) se il metodo è controllabile nei momenti della assunzione e valutazione; d) se l’esperto è qualificato; e) se lo strumento è comprensibile, perché il giudice e le parti devono poterlo dominare. La perizia è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del giudice con quelle di un esperto. Essa ha la duplice natura di mezzo di prova e di mezzo di valutazione della prova ed è necessaria quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. La perizia adempie a 3 funzioni (art. 220): • svolgere indagini per acquisire dati probatori; • acquisire gli stessi dati selezionandoli ed interpretandoli; • acquisire valutazioni sui dati assunti. Il perito dà una valutazione sul fatto, dunque la perizia è un mezzo di valutazione della prova. In realtà a volte essa è anche una prova rappresentativa di ciò che il perito ha fatto o percepito con il proprio lavoro. La perizia non è l’unico strumento che permette di raggiungere le finalità indicate nell’art. 220: esiste anche la consulenza tecnica di parte entro e fuori dei casi di perizia; inoltre sia il P.M. sia le parti private possono avvalersi dell’opera di esperti fin dalla fase delle indagini preliminari, al fine di raccogliere elementi di prova. Il giudice deve utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte o disporre una perizia. La perizia si caratterizza per essere un mezzo di prova particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell’incarico si instaura un contraddittorio tra il perito ed i consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste. Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte, eccezionalmente può esser disposta d’ufficio nel dibattimento. Il giudice deve motivare adeguatamente l’ordinanza che rigetta la richiesta di ammissione della perizia. Il provvedimento può essere impugnato. Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli. Egli deve scegliereuna persona iscritta in appositi albi, o eccezionalmente, al di fuori di tali albi, ma tra coloro che siano forniti di particolare competenza tecnica. Sono comunque previste situazioni di incompatibilità ed incapacità del perito, simili a quelle previste per il giudice F 0 E 0il perito deve essere in una situazione di terzietà ed impregiudicatezza, vista la delicata funzione che questi è chiamato a svolgere. Il perito che sia stato citato come testimone non può svolgere ufficio. Il perito deve presentarsi in udienza ed impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità. I consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presentare al giudice osservazioni e riserve e, infine, proporre specifiche indagini. Una volta che il giudice ha precisato i quesiti, il perito gode di propri poteri di direzione e d’impulso. Egli resta sotto il controllo del giudice, il quale ha il potere di adottare tutti gli altri provvedimenti che si rendano necessari per l’esecuzione delle operazione peritali. Il prodotto finale di questo particolare mezzo di prova è la relazione che il perito svolge, di norma oralmente; eccezionalmente per iscritto. Dopo di ciò il perito è sottoposto ad esame incrociato su richiesta di parte. Il giudice può comunque disattendere le conclusioni dando adeguata motivazione, poiché, al pari di quanto avviene per gli altri mezzi di prova, egli non è vincolato dalla perizia. È fatto divieto di ammissione di perizie volte ad accertare carattere e personalità dell’imputato; abitualità o prefessionalità nel reato e tendenza a delinquere. Sono ammesse solo quelle che tendono ad accertare una malattia mentale. Dopo differenti questioni di costituzionalità sollevate in merito a prelievi ed accertamenti medici coattivi da parte del giudice, in caso di rifiuto dell’individuo ad esse sottoposto, con relativo intervento della Corte costituzionale, la quale aveva dichiarato incostituzionale l’art. 224, c.2 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva i casi e i modi nei quali il giudice poteva ordinare tali attività, la legge 95/2009 ha introdotto il nuovo art. 224-bis, il quale reca una regolamentazione di tali ipotesi. I prelievi possono essere: F 0 E 0con il consenso dell’individuo – quando l’interessato sia consenziente. Sono posti in essere nel corso delle comuni attività peritali senza particolari formalità. Resta comunque il limite derivante dall’art. 5 c.c. in relazione agli atti di disposizione del proprio corpo: l’individuo non può consentire ad atti che comportino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o psichica o ledano la sua dignità. La prova documentale può esser valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l’autore del documento. Nel solo caso in cui si sia in presenza di un documento anonimo, ove sia ignoto l’autore, per la dichiarazione anonima il codice prevede la sanzione dell’inutilizzabilità (art. 240. Del documento anonimo che contenga una rappresentazione diversa dalla dichiarazione il codice non dà alcuna regolamentazione. Il documento cessa di essere anonimo quando il suo autore ne riconosce la paternità. L’autore può anche essere identificato attraverso un mezzo di prova, come per esempio la perizia. Sono previste dunque due eccezioni al divieto di utilizzare il documento contenente dichiarazioni anonime. La prima eccezione costituisce un’applicazione dell’art. 235, realtiva ai documenti costituenti corpo del reato qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga. La seconda eccezione permette di utilizzare quella dichiarazione anonima che provenga “comunque” dall’imputato; si intende quella dichiarazione anonima della quale sia venuto “comunque” in possesso. Il codice vieta l’acquisizione di documenti aventi determinati oggetti. La violazione del divieto comporta l’inutilizzabilità dell’elemento di prova che se ne potrebbe ricavare. Lart. 234, c.3 vieta l’acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti dei quali si tratta nel processo, o di documenti concernenti la moralità delle persone che partecipano al processo. È stabilito invece l’obbligo di acquisire i documenti che costituiscono corpo del reato, qualunque sia la persona che li abbia formati o che li detenga. F 0 E 0Ai sensi dell’art. 253 sono “corpo del reato” le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. È consentita l’acquisizione anche d’ufficio di qualsiasi documento proveniente dall’imputato anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto. Tale disposizione trova un limite nel divieto di sequestro in presenza di segreti tutelati dal codice di procedura penale, come il segreto professionale. Vi è anche il divieto di sequestrare presso il difensore carte o documenti relativi all’oggetto della difesa e la corrispondenza tra l’imputato ed il proprio difensore. Circa l’uso di atti di altri procedimenti, l’art. 238 sui verbali di prove di altri procedimenti, permette alle parti di ottenere che siano acquisite le prove e gli atti che sono stati assunti in un altro procedimento penale o civile. Vi è però un limite, consistente nel fatto che le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l’esame della persona le cui dichiarazioni sono state acquisite. F 0 E 0Vige un regime differente a seconda della ripetibilità o meno nel procedimento ad quem: 1) Se gli atti assunti nel procedimento a quo sono ripetibili nel procedimento ad quem, i verbali degli atti di indagine sono utilizzabili in due ipotesi: F 0 E 0se l’imputato del procedimento ad quem vi consente; F 0 E 0se la persona che ha reso le dichiarazioni viene esaminata nel procedimento ad quem e risulta che essa è stata sottoposta a condotta illecita. I verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento sono utilizzabili sia nelle due ipotesi appena menzionante (consenso dell’imputato o minaccia sul dichiarante), sia se il difensore dell’imputato del procedimento ad quem ha partecipato all’assunzione della prova; 2) Se gli atti assunti nel procedimento a quo non sono ripetibili nel procedimento ad quem, i relativi verbali sono utilizzabili in due ipotesi: F 0 E 0se si tratta di impossibilità di ripetizione originale; F 0 E 0se si tratta di non ripetibilità sopravvenuta, purché essa sia dovuta a circostanze non prevedibili nel momento in cui l’atto è stato compiuto. Un principio peculiare è stato stabilito in merito alle prove formate in un giudizio civile chiuso con sentenza irrevocabile, l’art. 238-bis consente che le sentenze irrevocabili possano essere acquisite allo scopo di accertare l’esistenza di fatti oggetto di prova. L’art. 240, c.2 disciplina due categorie di documenti predisposti attraverso attività di spionaggio e dossieraggio illeciti. Per essi è prevista la sanzione dell’inutilizzabilità rafforzata dall’obbligo di distruzione. Per spionaggio illecito si intendono dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico o telematico illegalmente formati o acquisiti. Per dossieraggio illecito si intendono documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Ci si riferisce ad un trattamento illegale di informazioni, in violazione del codice della privacy. Per queste due categorie di documenti sono previsti degli obblighi e dei divieti: 1) Il P.M. deve disporre l’immediata secretazione e custodia in luogo protetto; 2) È vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento; 3) Vi è inutilizzabilità dei documenti illegali previsti nell’art. 240, c.2; 4) Il P.M., entro 48 ore, deve chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la distruzione dei relativi documenti F 0 E 0le operazioni di distruzione si svolgono nel contradditorio tra le parti, in udienza in camera di consiglio, la quale è finalizzata ad accertare la tipologia e la illegalità dei materiali con modalità e tempi decisamente contratti. La Corte costituzionale ha stabilito che il verbale di distruzione diviene un vero e proprio surrogato di quel corpo di reato che è distrutto e in esso vanno incluse tutte le circostanze che hanno caratterizzato l’attività diretta all’intercettazione, alla detenzione e alla acquisizione del materiale; non si può fare però riferimento alle informazioni contenuto nel documento illecito. CAPITOLO IV – I MEZZI DI PROVA Il codice definisce “mezzi di ricerca della prova” le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni di comunicazioni. La differenza con i mezzi di prova è giustificata nella Relazione al progetto preliminare: i mezzi di prova si caratterizzano per l’attitudine ad offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di conversione. Al contrario i mezzi di ricerca della prova non sono di per sé fonte di convincimento, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria. • L’elemento probatorio si forma in seguito all’esperimento del mezzo di prova; ad esempio il testimone racconta fatti che ha percepito; attraverso il mezzo di ricerca della prova entra invece nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso, ad esempio con la perquisizione si mira ad acquisire al procedimento una cosa pertinente al reato. • I mezzi di ricerca della prova possono essere assunti soltanto davanti al giudice nel dibattimento o nell’incidente probatorio; essi possono essere disposti oltre che dal giudice, anche dal P.M. e in alcune ipotesi possono essere compiuti dalla P.G. durante le indagini preliminari. • I mezzi di ricerca della prova si basano sul fattore sorpresa e non consentono il preventivo avviso al difensore dell’indagato quando sono compiuti nella fase delle indagini. Per quanto riguarda i mezzi di ricerca della prova informatica, prima della legge 48/2008,l’ispezione, la perquisizione ed il sequestro di un sistema o di un supporto informatico ricevevano nella prassi un inquadramento giuridico che la legge stessa non accettava, poiché alcuni inquirenti lo ritenevano un mezzo atipico di ricerca della prova, svincolato da regole e dal contradditorio; altri invece ritenevano di poter applicare a tale sequestro le stesse norme in materia di sequestro cartaceo. La legge 48/2008 ha introdotto almeno 5 tipi di garanzie fondamentali in relazione ai mezzi di ricerca del documento informatico: 1) Il dovere di conservare inalterato il dato informatico originale nella sua genuinità; 2) Il dovere di impedire l’alterazione successiva del dato orginale; 3) Il dovere di formare una copia che assicuri la conformità del dato informatico acquisito rispetto a quello orginale; 4) Il dovere di assicurare la non modificabilità della copia del documento informatico; 5) La garanzia della installazione di sigilli informatici sui documenti acquisiti. L’ispezione L’ispezione (art. 244), la quale consiste nell’osservare e descrivere persone, luoghi e cose allo scopo di accertare le tracce e gli altri effetti materilai del reato. Essa ha prevalentemente una finalità descrittiva di persone, luoghi e cose, disposta di regola dall’autorità giudiziaria quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Se necessario, l’ispezione si svolge con l’impiego di poteri coercitivi. Sia il giudice, che il P.M. possono chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica. Poiché il potere coercitivo incide su libertà protette dalla Costituzione, il codice prevede determinate formalità per le ispezioni delle persone dei luoghi. In ogni caso l’ispezione è disposta con decreto motivato. • L’ispezione personale – ha ad oggetto il corpo di un essere umano vivente o parti di esso, sia celate che normalmente visibili. Ai sensi dell’art. 245 l’interessato è precedentemente avvertito della facoltà di farsi assistere da una persona di fiducia; deve però essere reperibile e idonea (non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento: a) i minori degli anni quattordici e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. La capacità si presume sino a prova contraria; b) le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione). L’ispezione personale è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto. Essa può essere compiuta anche da parte di un medico, che può non essere un medico legale. • L’ispezione di luoghi o cose – Ai sensi dell’art. 246, la persona che ha la disponibilità del luogo in cui è eseguita l’ispezione ed anche l’imputato hanno diritto, se presenti, ad avere copia del decreto che autorizza l’ispezione stessa. L’autorità giudiziaria, oltre a poter disporre della forza pubblica, può anche ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore. Nel corso dell’udienza preliminare o dibattimentale l’ispezione di persone, luoghi o cose è disposta dal giudice. Durante le indagini preliminari l’ispezione è disposta di regola dal P.M., che può delegare la polizia giudiziaria; è compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di urgenza sotto la forma di “accertamenti e rilievi”. Quando il P.M. procede ad ispezione personale, il difensore dell’indagato deve essere preavvisato almeno 24 ore prima. Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione della prova, il P.M. può procedere anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo, o anche senza darne avviso, se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate; è fatta salva in ogni caso la facoltà del difensore di intervenire. Quando omette l’avviso o procede prima del termine, il P.M. deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell’avviso. La perquisizione La perquisizione (art. 247) è un mezzo di ricerca che ha la finalità di assicurare al processo una cosa o di consentire l’arresto di una persona, attraverso la loro ricerca. • La perquisizione personale – è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato. • La perquisizione locale – è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso. • La perquisizione informatica – è disposta quando vi è un fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telemativo; devono adottarsi misure tecniche idonee alla conservazione dei dati orgiinali e ad impedirne l’alterazione. La perquisizione è disposta dall’autorità giudiziaria (cioè dal giudice o dal P.M.) con decreto motivato. Alla perquisizione può procedere l’autorità giudiziaria, o delegarne l’esecuzione ad un ufficiale di polizia giudiziaria. Se si cerca una cosa determinata, anziché procedere con la perquisizione, l’autorità giudiziaria può limitarsi ad invitare taluno a consegnare la cosa: se l’invito è accolto non si fa luogo a perquisizione, salvo che sia utile procedervi per la completezza delle indagini. I tabulati telefonici sono conservati dal fornitore per 24 mesi dalla data in cui la comunicazione alla quale si riferiscono è intervenuta. Il P.M. ne dispone con decreto motivato l’acquisizione presso il fornitore anche su istanza del difensore dell’imputato, dell’indagato, dell’offeso e delle altre parti private. Le videoriprese consistono in registrazioni di quanto avvenuto in un luogo all’insaputa di chi in esso si trovi. Possono essere disposte in luogo pubblico o in luogo di privata dimora. Si può avere ripresa di: • comportamenti comunicativi – relativa a due soggetti che dialogano tra loro; costituisce una forma di intercettazione e ne segue la forma e la disciplina; • comportamenti non comunicativi – se effettuata in luogo pubblico, si tratta di un atto non ripetibile dalla P.G. che nel dibattimento può essere utilizzata come prova atipica; se effettuata in luogo non pubblico, occorre distinguere tra quelle effettuate in luoghi costituenti domicilio, e in tal caso le riprese devono considerarsi vietate; e in luoghi diversi dal domicilio, ma comunque caratterizzati da particolare riservatezza, ove possono impiegarsi come prova atipica, purché autorizzate con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. CAPITOLO VI – LE MISURE CAUTELARI Le misure cautelari sono quei provvedimenti provvisori, ma immediatamente esecutivi, che tendono ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli: • il pericolo per l’accertamento del reato (qundo vi è pericolo di inquinamento delle prove); • il pericolo per l’esecuzione della sentenza (quando vi è pericolo che l’imputato fugga o disperda il proprio patrimonio); • il pericolo che si aggravino le conseguenze del reato o che venga agevolata la commissione di ulteriori reati. Le principali caratteristiche delle misure cautelari sono: • strumentalità – strumentalità rispetto al procedimento penale, poiché tali misure evitano che il trascorrere del tempo possa provocare i pericoli di cui sopra; • urgenza – essa ricorre quando un ritardato intervento rende probabile il verificarsi di uno dei fatti temuti; • prognosi di colpevolezza allo stato degli atti – il diritto affermato dalla parte deve avere un minimo di elementi di prova della sua esistenza, che l’accusa è riuscita a raccogliere sin dall’inizio delle indagini; • immediata esecutività – il provvedimento si dice “esecutivo” quando la polizia giudiziaria ha il potere di adempiere al relativo comando in modo coercitivo, cioè anche contro la volontà di colui che vi si oppone F 0 E 0il provvedimento cautelare ha lacaratteristica di restare esecutivo anche se contro di esso è stata proposta impugnazione; • provvisorietà – gli effetti del provvedimento sono provvisori, e cioè non condizionano la decisione finale del giudice; il provvedmento cautelare mantiene la propria efficacia, fino a che non sia divenuta esecutiva la sentenza definitiva; inoltre è revocabile o modificabile in attesa della sentenza definitiva; • previsione per legge –la Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento dell’autorità giudiziaria può porre limiti alle predette libertà (artt. 13 e 14 Cost.); • giurisdizionalità – le misure cautelari sono disposte con un provvedimento emanato dal giudice, perciò di regola il P.M. e la polizia giudiziaria non hanno il potere di disporre misure cautelari. Tuttavia, sia la Costituzione (art. 13.3) sia il codice ammettono che i provvedimenti temporanei possano essere disposti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria: tali provvedimenti sono definiti “precautelari”; essi devono essere sottoposti a convalida da parte del giudice entro un tempo predeterminato, altrimenti l’indagato deve essere rimesso in l ibertà; • impugnabilità – nei confronti dei provvedimenti cautelari è possibile presentare impugnazione. La Costituzione (art. 111.7) impone al legislatore, quanto meno, il ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutti i provvedimenti che comportano una limitazione della libertà personale. Il codice ha esteso questa garanzia perché ha previsto per tutti i provvedimenti cautelari anche un’impugnazione di merito, e cioè l’appello o il riesame. Il codice prevede varie categorie di misure cautelari: A. Misure personali – comportano limiti alla libertà personale o alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e sociali; esse si dividono in misure coercitive e misure interdittive. Le misure coercitive sono enumerate in ordine crescente di gravità e vanno dal divieto di espatrio alla custodia cautelare in carcere. Esse si distinguono in: 1) Misure obbligatorie – tra di esse rientrano: • Divieto di espatrio – impone all’imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l’autorizzazione del giudice, che può dare tutte le disposizioni necessarie per assicurare l’esecuzione del provvedimento (es: ritiro dei documenti per l’espatrio). • Obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria – nelle ore e nei giorni indicati. • Divieto di dimora e Obbligo di dimora – il primo impone all’imputato di non dimorare in un dato luogo e di non accedervi senza autorizzazione del giudice; il secondo prescrive all’imputato di non allontanarsi, senza autorizzazione del giudice, dal comune o dalla sua frazione. • Allontanamento dalla casa familiare – il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, o di non farvi più ritorno e di non accedervi senza autorizzazione; vi si possono aggiungere obblighi accessori, come il divieto di avvicinarsi a luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, o l’obbligo di versare un assegno periodico ai convenuti (si applica soprattutto in materia di violenza in ambiente familiare). • Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa – il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, o suoi prossimi congiunti o persone ad essa legate da relazione affettiva; si può vietare all’imputato anche di comunicare con qualsiasi mezzo con tali persone. 2) Misure custodiali – esse comportano per l’imputato una situazione di custodia, dalla quale derivano due conseguenze: quella negativa consiste nella configurabilità del delitto di evasione, ove l’imputato si allontani dal luogo di custodia; quella positiva sta nel fatto che il periodo trascorso in custodia sarà computato come esecuzione della pena detentiva, nel caso in cui questa debba essere eseguita in seguito a condanna. Vi fanno parte: • Arresti domiciliari – impongono all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora o da un luogo pubblico di cura o di assistenza. In alcuni casi si può disporre una attenuazione di tale misura, come nel caso in cui si autorizzi l’imputato a recarsi al lavoro perché non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in una situazione di assoluta indigenza. • Braccialetto elettronico – è una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari volta a controllare gli spostamenti dell’imputato.; può essere disposta ab initio, o anche in sostituzione della custodia in carcere: • Custodia in carcere – è la più grave delle misure coercitive; con il relativo provvedimento il giudice dispone che l’imputato venga immediatamente condotto in un istituto di custodia a disposizione della autorità giudiziaria. • Custodia cautelare in luogo di cura – viene disposta dal giudice se l’imputato necessita di cure specialistiche che non possono essere fatte in un luogo di detenzione; se ne caso il giudice adotta anche i provvedimenti necessari ad impedirne la fuga (la giurisprudenza la ritiene una particolare forma di custodia in carcere); se la malattia è una infermità mentale e l’imputato non è socialmente pericoloso, il giudice può disporne il ricovero presso il servizio psichiatrico ospedaliero, se invece egli è socialmente pericoloso, dovrà disporne il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (se infermo di mente totale) o in casa di cura e custodia (se infermo di mente parziale). Le misure interdittive consistono nell’applicazione provvisoria a scopo cautelare di determinati divieti. Sono volte a far fronte alle esigenze cautelari con misure meno gravi di quelle custodiali, quando sia possibile evitarle. Sono previsti tre tipi di misure interdittive: • Sospensione (temporanea, del tutto o in parte)dall’esercizio della potestà dei genitori; • Sospensione (temporanea, del tutto o in parte)dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio; • Divieto di esercitare (temporaneamente, del tutto o in parte) determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Vi possono comunque essere misure di sicurezza applicate provvisoriamente a scopi cautelari. Si tratta del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario per l’imputato che sia affetto da vizio di mente totale, e del ricovero in una casa di cura e custodia per l’imputato semi infermo di mente. Occorre che vi siano gravi indizi di commissione del fatto e che l’imputato sia socialmente pericoloso; che non siano applicabili in concreto le cause di giustificazione, di non punibilità o estinzione del reato. B. Misure reali – toccano singoli beni mobili o immobili ed impongono il divieto di disporre di tali beni, il codice vi prevede il sequestro conservativo (a tutela della garanzia del pagamento delle somme dovute per le spese del procedimento penale o danni cagionati dal reato) e il sequestro preventivo (al fine di evitare le conseguenze dell’aggravamento delle conseguenze del reato). F 0 E 0È possibile individuare una riserva di legge nell’adozione di misure cautelari. La Costituzione infatti permette la restrizione della libertà personale solo nei casi e modi previsti dalla legge (art. 13, c2: Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge) F 0 E 0 il codice precisa i casi e i modi quando nell’art. 272 afferma che “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo”, il quale si riferisce alle misure cautelari personali. Allo stesso tempo l’art. 272 ammette anche misure diverse da quelle cautelari, come il fermo e l’arresto. Ci si riferisce counque sia alle misure cautelari personali che toccano la libertà personale in senso stretto, sia quelle che impongono ulteriori divieti, come le misure interdittive. F 0 E 0Si ha poi una riserva di giurisdizione, attuata dell’art. 279, in base al quale sull’applicazione e sulla revoca delle misure nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. La Costituzione all’art. 13, c.2 permette la limitazione della libertà personale solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria: per “autorità giudiziaria” si deve intendere il “giudice” quando si tratti di materia attinente alla libertà personale, poiché il P.M. può solo richiedere e non disporre tali misure. All’inizio del procedimento, prima dell’esercizio dell’azione penale, tale organo è il G.I.P.. Per far accettare la propria richiesta di misure coercitive presso il giudice, il P.M. fornisce atti a sostegno della stessa. Dopo che la misura coercitiva è stata eseguita (o notificata), l’imputato ha diritto di essere sentito dal giudice in un interrogatorio definito “di garanzia”. In questo momento il difensore ha la possibilità di conoscere la richiesta del P.M. e gli atti che quest’ultimo ha presentato al giudice. I presupposti che consentono di disporre le misure sono suddivisi tra: le condizioni generali di applicabilità, le esigenze cautelari, i criteri di scelta delle misure. • Il codice pone le seguenti condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali: Gravità del delitto: Non sono applicabili le misure coercitive ed interdittive nei procedimenti per le “contravvenzioni” (ove possono applicarsi solo misure cautelari reali) e al di sotto di una soglia minima di gravità del delitto addebitato. Tale soglia fa riferimento alla pena detentiva stabilita nel massimo in astratto per il delitto; a tale quantità vanno poi aggiunti circostanze aggravanti ad effetto speciale o diminuzioni per attenuanti. Si individuano 3 categorie: 1° categoria – delitti punibili nel massimo con una reclusione fino a 3 anni; per qeusti delitti nessuna misura cautelare personale può essere disposta; 2° categoria – delitti punibili nel massimo con la reclusione superiore a 3 anni, ma inferiore a 4; sono applicabili misure coercitive (diverse dalla custodia in carcere); 3° categoria – delitti punibili con la reclusione di almeno 4 anni o con l’ergastolo; si applica la custodia in carcere, la quale è estesa anche alla 2° categoria se si è trasgredito alle misure cautelari per essa disposte inizialmente. inoltre, deve svolgersi entro 48 ore se il P.M. ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare. Il compito di porre le domande all’indagato spetta al giudice, e solo a lui. Il P.M. può anche non esser presente all’interrogatorio. Se nel caso concreto il P.M. è assente e il difensore presenta eccezioni, il giudice può non conoscere i risultati delle indagini, e quindi può non essere in grado di decidere; infatti non sono depositati tutti gli atti compiuti durante le indagini, ma solo quelli che sono stati selezionati dal P.M.. Ed ancora, se la difesa chiede la revoca o la sostituzione della misura ed il P.M. è assente, il giudice non ha il potere di decidere subito: in base all’art. 299, deve attendere fino a due giorni per conoscere l’eventuale parere del P.M. sulla richiesta dell’indagato. Il codice prevede tre ipotesi nelle quali può esser modificata la misura cautelare applicata: 1) La revoca – deve essere immediatamente disposta: a) quando si accerti che le condizioni generali di applicabilità (gravità del delitto, gravi indizi di reità, punibilità in concreto del delitto) risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti (art. 299.1); b) quando si accerti che siano venute meno completamente le esigenze cautelari. 2) La sostituzione in melius – è disposta solo su richiesta del P.M. o dell’imputato e eccezionalmente è concessa d’ufficio durante l’interrogatorio di garanzia, o in udienza; essa deve esser disposta: a) quando le esigenze cautelari, pur non essendo venute meno, risultano “attenuate”; b) quando la misura non appare più proporzionata all’entità del fatto od alla sanzione che si ritiene potrà essere inflitta; 3) La sostituzione in peius – può esser disposta dal giudice solo su richiesta del P.M.. Ciò avviene a) quando le esigenze cautelari risultano essersi aggravate; b) quando l’imputato ha trasgredito alle prescrizioni che concernono la misura. Le misure cautelari personali si estinguono in due modi differenti: 1) per provvedimento del giudice – che accerta il modificarsi dei presupposti applicativi (ope iudicis); si verifica nelle ipotesi di sostituzione e revoca appena esaminate; 2) di diritto, per perdita di efficacia dovuta al verificarsi di determinati eventi previsti dalla legge (ope legis); si verifica in vari casi, come: quando per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona, alla quale è stata applicata la misura, intervenga un provvedimento anche non definitivo che esclude l’addebito/ quando sia decorso il termine massimo di durata della singola misura cautelare/ quando la misura non sia rinnovata entro il termine fissato dal giudice/ quando, disposta la misura, l’imputato non sia interrogato dal giudice entro il termine per legge/ quando a seguito di condanna la pena irrogata è inferiore o eguale alla custodia cautelare già subita. Il termine massimo è stato posto allo scopo di attuare due garanzie costituzionali: • Art. 13, c.5 Cost.: La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva; • Art. 27, c.2 Cost.: L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. L’istituto della decorrenza del termine serve ad evitare che nell’applicazione pratica venga stravolta la funzione cautelare delle misure coercitive. I termini massimi di custodia cautelare coprono il periodo di tempo che va dall’esecuzione della misura coercitiva o dal tempo dell’arresto, fino a quando la sentenza di condanna è diventata irrevocabile. Il codice prevede due tipologie di termini: i termini massimi intermedi (o di fase), ricollegati a determinate fasi (o gradi) del procedimento, ed il termine massimo complessivo: • il primo termine intermedio copre il periodo di tempo che va dall’inizio delle indagini preliminari al rinvio a giudizio o all’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato. In relazione ai più gravi delitti, entro 1 anno deve intervenire il decreto che dispone il giudizio; • il secondo termine intermedio copre il periodo di tempo che va dal rinvio a giudizio fino alla sentenza di condanna di primo grado. In relazione ai più gravi delitti, la condanna deve intervenire entro 1 anno e 6 mesi; • il terzo termine intermedio copre il periodo di tempo dell’appello. La condanna in grado di appello deve intervenire entro 1 anno e 6 mesi; • il quarto termine intermedio copre il periodo di tempo del ricorso per cassazione. La sentenza irrevocabile deve intervenire entro 1 anno e 6 mesi; • il termine massimo complessivo si riferisce alla durata dell’intero procedimento. Esso costituisce il limite entro il quale deve intervenire la sentenza di condanna irrevocabile ed opera a prescindere dalla durata dei singoli termini intermedi. Estinzione: ove la custodia cautelare superi i termini massimi previsti dal codice, la stessa si estingue di diritto e l’imputato deve essere liberato immediatamente (306). La custodia è comunque ripristinata se l’imputato ha trasgredito le prescrizioni della nuova misura cautelare o se è stata emessa sentenza di condanna in primo o secondo grado e vi è pericolo di fuga. Complesso è il caso delle cd. “contestazioni a catena”, casi in cui l’imputato venga colpito da una pluralità di misure cautelari, in tempi successivi, nello stesso processo o in processi diversi, per il medesimo fatto o per fatti tra di loro connessi. In merito, la Corte costituzionale ha stabilito che: • in caso di più ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, o per fatti legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera automaticamente, senza dipendere dalla possibilità di desumere elementi idonei a giustificare le nuove misure; • in caso di più ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare; • in caso di più ordinanze emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza; • in caso di più ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi per fatti senza connessione qualificata, la retrodatazione della seconda ordinanza opera solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del P.M. e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti di emissione della prima. Si può avere sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare soltanto in ipotesi tassativamente indicate e per una durata che non può eccedere un ammontare prefissato. Cause sospensive generali: 1) La prima causa sospensiva generale è prevista in caso di sospensione o rinvio del dibattimento, dell’udienza preliminare o del giudizio abbreviato per impedimento dell’imputato o del suo difensore, oppure su richiesta di questi ultimi. 2) Seconda causa è la mancata presentazione, l’allontanamento o la mancata partecipazione di uno dei difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati. 3) La terza causa scatta nel giudizio ordinario o nel rito abbreviato durante la pendenza dei termini per la redazione della motivaizone Causa sospensiva speciale: È prevista in relazione ai dibattimenti e ai giudizi abbreviati relativi a delitti di criminalità organizzata, terrorismo et simila, qualora l’accertamento risulti particolarmente complesso. È disposta dal giudice su richiesta del P.M.. Circa le impugnazioni contro le misure cautelari personali, il codice prevede tre mezzi di impugnazione dei provvedimenti che costituiscono, modificano o revocano le misure cautelari: il riesame, l’appello ed il ricorso per cassazione. Si noti che il procedimento relativo al singolo mezzo di impugnazione si svolge in modo autonomo rispetto al procedimento penale, che segue il suo corso, dunque l’impugnazione contro la misura cautelare costituisce un procedimento incidentale. I tre mezzi di impugnazione non hanno efficacia sospensiva sul provvedimento che limita la libertà personale. Il riesame Il riesame (art. 309) è ammesso contro le ordinanze che applicano per la prima volta (ab initio) una misura coercitiva; la richiesta può esser proposta esclusivamente dall’imputato o dal suo difensore, non dal P.M.; si tratta di una impugnazione completamente devolutiva, che permette all’imputato di ottenere il controllo giurisdizionale sulla legittimità e sul merito del provvedimento che applica una misura coercitiva ab initio. Poiché si tratta di un’impugnazione completamente devolutiva, il tribunale ha il potere di valutare la legittimità ed il merito della misura coercitiva senza essere vincolato né dagli eventuali motivi del ricorso dell’imputato, né dalla motivazione del provvedimento che ha applicato la misura. Esso dà luogo ad un veloce procedimento, in quanto il tribunale della libertà deve decidere sulla richiesta dell’imputato o del suo difensore entro termini brevi e perentori, a pena di perdita di efficacia della misura coercitiva. Oggetto del riesame è quindi il provvedimento che applica ab initio la misura coercitiva, e quindi non ha ad oggetto l’intero rapporto giuridico attinente alla libertà personale dell’indagato. Il tribunale della libertà valuta i presupposti della misura coercitiva tenendo conto sia degli atti che erano conosciuti dal giudice che ha emanato il provvedimento, sia degli atti e documenti che le parti hanno presentato successivamente al tribunale stesso. La richiesta di riesame deve essere presentata nella cancelleria del tribunale della libertà dall’imputato o dal suo difensore (legittimato a proporlo è solo la difesa, poiché solo essa ha interesse a dolersi dell’ordinanza applicativa della misura) entro il termine di 10 giorni a pena di inammissibilità. Essa può essere motivata o meno. Ricevuta la richiesta, il presidente del Tribunale richiede all’A.G. procedente (normalmente nelle indagini preliminari è il P.M.) l’invio degli atti su cui è fondata la misura e necessari per la decisione e la richiesta, il quale devve avvenire entro 5 giorni dalla richiesta di riesame. Il tribunale provvederà poi a fornire la propria decisione entro 10 giorni dalla loro ricezione F 0 E 0i termini di 5 e 10 giorni sono perentori, altrimenti la misura cercitiva perde efficacia. Il tribunale ha un potere cognitivo limitato; può decidere sugli atti scritti presentati dal P.M. e non su tutti gli atti di indagine raccolti fino a quel momento: non si può disporre l’audizione di persone, né l’assunzione di prove non rinviabili, né imporre al P.M. di svolgere determinate indagini. L’udienza si svolge in camera di consiglio e cioè con un contraddittorio facoltativo. F 0 E 0Il P.M. ed il difensore dell’imputato devono essere preavvisati e possono partecipare all’udienza: se presenti, essi hanno il diritto di esporre oralmente le proprie conclusioni. Il tribunale della libertà può pronunciare quattro tipi di decisione: • inammissibilità della richiesta di riesame (ad es. se è stata presentata oltre i termini); • può annullare l’ordinanza per carenza di uno degli elementi essenziali o per vizi di merito; • può riformare, e cioè modificare la misura, ma solo in modo più favorevole all’imputato; • può confermare la misura coercitiva anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento originario. In realtà in tal modo il tribunale può anche supplire al difetto di motivazione dell’ordinanza che aveva applicato la misura coercitiva. L’appello L’appello (art. 310) è un mezzo di impugnazione residuale rispetto al riesame e limitatamente devolutivo perché permette di controllare tutti quei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, che non sono sottoponibili a riesame. Esso può essere proposto dall’imputato, dal difensore e dal P.M.. Competente a decidere sull’appello è il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel quale ha sede il giudice che ha disposto la misura. Il P.M. può presentare appello al tribunale della libertà contro l’ordinanza del giudice che ha applicato una misura cautelare personale meno grave di quella da lui richiesta; o ancora, contro l’ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione della misura su richiesta dell’imputato. Imputato e difensore possono presentare appello contro i provvedimenti cautelari personali diversi da quelli che applicano per la prima volta una misura coercitiva. L’appello deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 10 giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento. Le modalità di svolgimento del procedimento di appello ed i poteri di cognizione del tribunale sono in buona parte simili a quelli previsti per il riesame. La più importante differenza consiste nelle formalità che regolano Nella fase delle indagini preliminari è previsto l’intervento del giudice per le indagini preliminari: questi svolge una funzione di controllo imparziale sui provvedimenti più importanti, senza esercitare poteri di iniziativa. In particolare: • Esso ha una giurisdizione semipiena, perché incontra due limiti fondamentali: la funzione è esercitata soltanto nei casi previsti dalla legge e su richiesta di parte. • Esso ha una cognizione limitata. • Eccezionalmente di fronte al G.I.P. sono assunte le prove non rinviabili al dibattimento: ciò avviene in una udienza in contraddittorio, denominata incidente probatorio (art. 392 ss.). • Quando interviene nel corso delle indagini preliminari, prima della formulazione della imputazione, il giudice non ha una cognizione piena del quadro probatorio, ma deve decidere solo sulla base delle informazioni che gli vengono fornite da delle parti potenziali (P.M., indagato, offeso). • Un’altra particolarità sta nel fatto che la funzione giurisdizionale è svolta in tali casi prima dell’esercizio dell’azione penale, in ciò derogandosi al principio generale nulla iurisdictio sine actione. La notizia di reato è un’informazione che permette alla polizia giudiziaria ed al P.M. di venire a conoscenza di un illecito penale. La presenza di una notizia di reato produce tre effetti: 1) segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza alla funzione di polizia giudiziaria; 2) impone alla polizia giudiziaria che abbia appreso la notizia l’obbligo di informare il P.M.; 3) impone al P.M. l’obbligo di provvedere all’immediata iscrizione della notizia nel registro delle notizie di reato. Il codice regola espressamente due notizie di reato: la denuncia ed il referto. Inoltre prevede le condizioni di procedibilità, e cioè la querela, l’istanza, la richiesta di procedimento e l’autorizzazione a procedere: questi atti contengono sia l’informativa sull’illecito penale, sia la manifestazione della volontà che si proceda contro il responsabile dello stesso. • La denuncia – può esser presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato, in modo scritto o orale, e può essere presentata sia ad un ufficiale di polizia giudiziaria, sia direttamente al P.M.. Essa contiene l’esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizia di reato, nonché le fonti di prova già note, oltre a generalità e quanto serva per l’identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (art.332). Di regola, la denuncia è facoltativa, ma vi sono delle ipotesi in cui essa è obbligatoria, sotto la minaccia di sanzioni penali. F 0 E 0il privato ha obbligo di denuncia: 1) quando sia cittadino italiano e abbia avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce l’ergastolo (364 c.p.); 2) quando abbia ricevuto cose provenienti da delitto; 3) quando conosca di materie esplodenti situate nel luogo da lui abitato; 4) quando abbia subito un furto di armi o esplosivi ; 5) quando abbia avuto conoscenza di un delitto di sequestro di persona a fini di estorsione. F 0 E 0I pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di presentare denuncia quando vi è una determinata relazione tra la funzione o il servizio da loro svolto e la conoscenza del reato. L’obbligo scatta per i reati di cui il soggetto abbia avuto conoscenza nell’esercizio o a causa della sua funzione o servizio; si richiede altresì che la notizia riguardi un reato procedibile non a querela. La definizione delle qualifiche di pubblico ufficiale e oncaricato di pubblico servizio è data dagli artt. 357 e 358 c.p.. Vi è un requisito comune: la funzione ed il servizio sono “pubblici” quando sono disciplinati da “norme di diritto pubblico e da atti autoritativi”. Comune è anche la caratterizzazione di tipo oggettivo: ciò che rileva non è l’esistenza di un rapporto di impiego pubblico, ma l’esercizio in concreto di una funzione o servizio pubblici. In particolare, sono funzioni pubbliche (ed in quanto tali integrano la qualifica di pubblico ufficiale) le funzioni legislative, giudiziarie ed amministrative. Al fine di consentire una precisa delimitazione del concetto di pubblica funzione, con particolare riferimento a quella amministrativa, l’art. 357, c.2 c.p. afferma che la stessa deve avere almeno una di queste caratteristiche: deve consistere nella “formazione” o “manifestazione” della volontà della pubblica amministrazione o deve svolgersi per mezzo di “poteri autoritativi” o “certificativi”. Nella definizione di incaricato di pubblico servizio vi è il fatto che devono mancare le caratteristiche proprie della funzione pubblica, e cioè lo svolgimento di poteri certificativi o autoritativi o la formazione o la manifestazione della volontà della P.A.; inoltre il servizio non deve comportare l’esercizio di semplici mansioni d’ordine, né la prestazione di un’opera meramente materiale. F 0 E 0Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti ad informare il P.M. di tutti i reati procedibili d’ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza; quindi anche fuori del servizio svolto. F 0 E 0Il difensore e i suoi ausiliari non hanno obbligo di denuncia nemmeno in relazione ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte (art. 334-bis). • Il referto – è una particolare forma di denuncia alla quale è tenuto colui che, nell’esercizio di una professione sanitaria, ha prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio. Questi deve far pervenire il referto entro 48 ore al P.M. o alla polizia giudiziaria (art. 334 c.p.p.). L’obbligo viene meno quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Pertanto, se dal medico si fa assistere la persona offesa dal reato, il sanitario ha l’obbligo del referto. Tuttavia, se il responsabile del reato si fa assistere da un medico privato, l’obbligo di referto non sussiste. Se il medico è dipendente pubblico, anche in quest’ultimo caso egli ha sempre l’obbligo di denuncia-referto, in quanto è un incaricato di pubblico servizio. Una volta che la polizia giudiziaria abbia ricevuto una notizia di reato qualificata, e cioè espressamente prevista dalla legge, scatta l’obbligo per la polizia stessa di informare il P.M., poiché l’informativa è la fonte stessa da cui il P.M. attinge la notizia di reato; essa deve precisare gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi di prova e le attività compiute (art. 347.1), insieme all’indicazione precisa circa il giorno e l’ora in cui la notizia di reato è stata acquisita. Circa i termini per la trasmissione dell’informativa, questi variano: • essa deve essere trasmessa immediatamente, quando sussistono ragioni di urgenza o quando si tratta di gravi delitti o di criminalità organizzata; • entro 48 ore, nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia compiuto atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore dell’indagato; • l’avvenuto arresto in flagranza impone alla polizia giudiziaria l’obbligo di informare immediatamente il P.M.. Analizziamo ora le condizioni di procedibilità. Il codice pone la regola della procedibilità d’ufficio (art. 50, c.2 sull’azione penale: Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata di ufficio). Le condizioni di procedibilità sono atti ai quali la legge subordina l’esercizio dell’azione penale in relazione a determinati reati per i quali non si debba procedere d’ufficio. Sono condizioni di procedibilità la querela, l’istanza, la richiesta di procedimento e l’autorizzazione a procedere. In mancanza di una condizione di procedibilità possono essere compiuti gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall’art. 392. • La querela – è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si persegua penalmente il fatto di reato che essa ha subito; ciò a prescindere dal soggetto che risulterà esserne l’autore (120 c.p.). Essa si compone di 2 elementi: la notizia di reato e la manifestazione della volontà che si proceda penalmente in ordine al medesimo. È chiara la differenza rispetto alla denuncia: quest’ultima può essere presentata da chiunque (non solo dalla persona offesa) e non deve necessariamente contenere una manifestazione di volontà. Il diritto di querela deve essere esercitato, di regola, entro il termine di 3 mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato; nel caso di delitti contro la libertà sessuale il termine è di sei mesi. Il codice consente alla persona offesa di effettuare rinuncia al diritto di querela; la rinuncia è un atto irrevocabile ed incondizionato, espresso o tacito, con cui la persona offesa, prima di aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subìto. Di regola, la querela una volta proposta può esser revocata; a tal fine il codice penale prevede l’istituto della remissione: si tratta di quell’atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il fatto di reato; la remissione estingue il reato. La remissione non produce effetto se il querelato l’ha ricusata espressamente o tacitamente. Nel caso di delitti in materia sessuale, la querela proposta è irrevocabile. • L’istanza – è un atto col quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda per un reato che è stato commesso all’estero e che, se fosse stato commesso in Italia, sarebbe procedibile d’ufficio. • La richiesta di procedimento – è l’atto con cui il ministro della Giustizia manifesta la volontà che si proceda per un determinato reato commesso all’estero o per altri reati espressamente previsti. • L’autorizzazione a procedere – è un atto discrezionale ed irrevocabile emanato da un organo dello Stato. Due sono le ragioni per le quali la legge pone l’autorizzazione come condizione per l’esercizio dell’azione penale e per il compimento di singoli atti del procedimento: • Che venga in considerazione la qualità di imputato che è un rappresentante di un organo pubblico che si vuole proteggere da influenza dell’autorità giudiziaria (come un ministro); • Che venga in considerazione la qualità della persona offesa dal reato, che è un organo pubblico che è un organo pubblico del quale si vuole evitare che venga compromesso il prestigio in un processo penale. In mancanza delle condizioni di procedibilità, la polizia giudiziaria di regola non ha l’obbligo di informare il p.m. della notizia di reato; l’obbligo scatta solo se vengono compiute indagini (art. 112 disp. att.). Lo svolgersi del processo penale genera un contrasto tra opposte esigenze, per la necessità di proteggere la ricerca della verità dagli atti che possono mettere in pericolo l’acquisizione o la genuinità della prova, oltre alla volontà di assicurare l’esercizio del diritto di difesa. L’esigenza di tutela delle indagini impone di coprire col segreto gli atti iniziali del procedimento. La garanzia del diritto di difesa richiede che gli atti possano essere conosciuti dall’indagato e dalle altre potenziali parti private. Qui si colloca l’art. 111, c.3 Cost., secondo cui l’accusato ha il diritto di essere informato riservatamente, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi, dell’accusa elevata a suo carico. Si ha allora il segreto investigativo. Con il termine “segreto” si indica un limite posto dalla conoscibilità di fatti; di essi viene assicurata la conoscenza esclusiva in favore di determinati soggetti F 0 E 0Per gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria è previsto, di regole, l’obbligo del segreto. Tale vincolo comporta che l’atto di indagine non debba essere rivelato ed opera in modo oggettivo, nel senso che grava su tutti i soggetti che siano a conoscenza dell’atto segreto. Ovviamente l’atto può essere rivelato dall’inquirente a soggetti “autorizzati” a conoscerlo. Il soggetto autorizzato a conoscere l’atto è, a sua volta, vincolato dall’obbligo del segreto. Circa gli atti conoscibili dall’indagato, alla regola della segretezza sono poste varie deroghe in favore della difesa: • Atti garantiti – sono quelli ai quali il difensore ha il diritto di assistere previo avviso che deve essergli dato almeno 24 ore prima del compimento degli stessi; si tratta dell’interrogatorio, dell’ispezione e del confronto, ai quali partecipa l’indagato e dell’ispezione alla quale non deve partecipare l’indagato F 0 E 0quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo nel compimento di uno degli atti menzionati possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può compiere l’atto prima del termine, ma deve comunque dare tempestivamente avviso al difensore d’ufficio o a quello di fiducia. L’avviso può essere omesso quando il P.M. procede ad ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati; in ogni caso è fatta salva la possibilità del difensore di intervenire. Tra gli atti garantiti rientra anche l’accertamento tecnico non ripetibile, disposto dal P.M. su persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione. è imposto l’obbligo di contestare all’indagato un addebito provvisorio, né di rendere noti gli elementi a suo carico. - dichiarazioni spontanee, le quali possono essere ricevute se provenienti dall’indagato libero o arrestato; ciò comporta dunque che la polizia non abbia posto alcuna domanda, con iniziativa dell’indagato. Il codice non pone l’obbligo di avvisi ex. art. 64. - informazioni per la prosecuzione delle indagini, sulla base di domande poste dalla polizia anche senza la presenza di un difensore; ma delle notizie assunte è vietata sia la documentazione, sia l’utilizzazione in dibattimento ed in fasi precedenti. Sono inoltre posti due limiti: le domande devono essere poste all’indagato solo sul luogo o nell’immediatezza del fatto di reato; deve inoltre trattarsi di notizie utili ai fini della prosecuzione delle indagini. Tali notizie non sono utilizzabili in procedimento, e, anche in questo caso, il codice non impone alla polizia gli avvisi ex. art. 64 F 0 E 0poiché sono state raccolte esse possono sempre indirizzare le indagini, ma non possono integrare i requisiti di un successivo atto del giudice (come i gravi indizi di colpevolezza). Sommarie informazioni da persone informate – si tratta di informazioni provenienti dalle persone informate, le quali hanno posizione sostanzialmente analoga a quella di un testimone, poiché hanno l’obbligo di dire la verità, inoltre ad esse si estende l’incompatibilità a testimoniare prevista in relazione all’imputato. Il possibile testimone ha l’obbligo di presentarsi alla polizia, se convocato; ove non si presenti, può essere incriminato per inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità (650 c.p.). Inoltre, egli ha l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date (ad es. identificare cose o persone). Egli ha l’obbligo di dire la verità, ma questo non è sanzionato. L’obbligo di dire la verità si riferisce alle dichiarazioni rese al P.M. personalmente e non quelle rese alla polizia giudiziaria che agisce per esso. Tuttavia nel caso in cui si fanno dichiarazioni rese con la consapevolezza di aiutare una persona a eludere le investigazioni dell’autorità o sottrarsi alle ricerche di questa, si commette comunque delitto di favoreggiamento personale. La persona informata può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale. Essa può opporre all’inquirente l’esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge. Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale, di regola non utilizzabile in dibattimento, salvo siano ripetibili. Identificazione – (art. 349) essa costituisce un atto non garantito con cui viene dato un nome ad un volto; la persona è stata quindi identificata, ma non se ne conoscono le generalità. Possono essere sottoposti ad identificazione tutti coloro che hanno avuto a che fare con il reato, direttamente o indirettamente. Ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare, oppure fornisce generalità o documenti di cui si possa ritenere la falsità, è possibile un accompagnamento coattivo per identificazione. Questo consiste nel portare la persona identificata negli uffici di polizia ed ivi trattenerla per il tempo strettamente necessario per l’identificazione e comunque non oltre le 12 ore. In caso di accompagnamento coattivo occorre dare notizia al P.M. tanto dell’avvenuto accompagnamento, quanto dell’avvenuto rilascio della persona; Il P.M. può ordinare in qualsiasi momento il rilascio della persona accompagnata per l’identificazione. La persona sottoposta alle indagini è invitata a dichiarare le proprie generalità, con l’avviso che costituisce reato sia rifiutarsi di fornirle, sia il darle false, poiché il diritto di non rispondere non si applica alle dichiarazioni sulla propria identità personale. Inoltre la persona sottoposta alle indagini viene invitata ad eleggere un domicilio per le notificazioni che si renderanno necessarie nel corso del procedimento. Dell’identificazione è redatto verbale integrale, conservato nel fascicolo del P.M.. Norme particolari valgono per l’identificazione dell’indagato: per es. se gli accertamenti comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero. F 0 E 0Gli atti fondamentali di tipo investigativo sono i rilievi e gli accertamenti urgenti. Attività di conservazione –l’attività generica di conservazione consiste nel curare che le cose o tracce pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell’intervento del P.M. Rilievi urgenti – consistono nell’attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, nonché nella descrizione delle tracce o degli effetti materiali del fatto-reato. I rilievi devono esser compiuti di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria in presenza di due presupposti: che il P.M. non possa intervenire tempestivamente, e che vi sia il pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute (c.d. urgenza). Accertamenti urgenti – sono un’operazione di tipo tecnico che deve essere compiuta dalla polizia in presenza dei presupposti che il P.M. non possa intervenire tempestivamente, e che vi sia pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute. Ad essa può procedere di regola solo un ufficiale e, in casi eccezionali di urgenza, anche un agente. Qualora debbano esser compiute attività che richiedono specifiche competenze tecniche, la polizia giudiziaria può avvalersi dell’opera di esperti: i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria. Vi è differenza tra ausiliario e consulente tecnico: l’ausiliario svolge l’atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale, perciò si tratta di un atto compiuto dalla polizia giudiziaria; il consulente tecnico svolge attività in proprio dietro mandato del P.M., al quale dovrà riferire i risultati. Un accertamento che comporti la modifica dell’elemento di prova è riservato al P.M., che lo compirà nelle forme garantite dall’art. 360 (accertamento non ripetibile da svolgersi con preavviso all’indagato e all’offeso). Dunque la polizia giudiziaria può compiere solo quegli accertamenti urgenti che, se anche manipolano una cosa, non comportano modifiche dell’elemento di prova. Sopralluogo su supporti e sistemi informatici – se a seguito del sopralluogo, sul posto siano reperiti dati, informazioni e programmi informatici o sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria devono adottare le misure tecniche ed impartire le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione ed impedirne l’alterazione. Sequestro probatorio – è la tipica attività di assicurazione delle fonti di prova. F 0 E 0I rilievi, gli accertamenti urgenti e il sequestro sono atti non ripetibili, e quindi saranno inseriti nel fascicolo per il dibattimento dopo che il G.U.P. avrà deciso il rinvio a giudizio. Si tratta di atti a sorpresa, cui può assistere, senza preavviso, il difensore dell’indagato. Tra gli altri atti di iniziativa della polizia giudiziaria vi sono: Perquisizioni da parte della polizia giudiziaria – essa deve avere alcuni requisiti: 1) oggetto da ricercare, individuabile in cose o tracce pertinenti al reato, o la persona dell’indagato o dell’evaso; 2) la perquisizione può essere eseguita solo in particolari situazioni: a) flagranza del reato; b) in caso di evasione; c) se si deve procedere a fermo o all’esecuzione di una ordinanza che dispone la custodia cautelare, o la carcerazione per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; 3) il pericolo nel ritardo: occorre cercare subito cose o tracce, altrimenti l’elemento di prova potrebbe andare perduto, sia casualmente, sia per volontà dell’autore del reato o dei suoi complici; 4) fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano cose o personda ricercate. All’indagato, la polizia giudiziaria deve dare avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia, il quale può assistere all’atto. Inoltre la polizia, entro 48 ore deve trasmettere al P.M. del luogo in cui viene eseguita la perquisizione, il relativo verbale, affinché il P.M. disponga la convalida entro le successive 48 ore F 0 E 0 La doppia funzione di polizia di sicurezza, e polizia giudiziaria, impone loro la redazione di una relazione di servizio. Si tratta di un atto destinato al dirigente dell’ufficio, al quale viene riferito tutto quello che è emerso durante il servizio. Tale atto dovrà essere trasmesso anche al P.M. la giurisprudenza afferma che essa debba essere inserita nel fascicolo del dibattimento, in quanto atto non ripetibile. Attività ad iniziativa del pubblico ministero È il momento di esaminare l’attività di iniziativa del pubblico ministero. L’arrivo dell’informativa proveniente dalla polizia giudiziaria fa sorgere a carico del P.M. l’obbligo di iscrivere la notizia di reato nell’apposito registro (art. 335). Al P.M. spetta il potere di indicare alla segreteria in quale registro debba essere iscritta la notizia di reato. Esistono tre tipi di registri. 1) Registro ordinario – È quello che contiene le notizie di reato (art. 335); il P.M. nel momento in cui ordina che sia iscritta nel registro la singola notizia di reato può non essere in grado di individuare la persona alla quale debba essere addebitato il medesimo. Quando ritiene di formulare un addebito nei confronti di una persona il P.M. ordina alla segreteria di iscrivere il nominativo dell’indagato nel registro, accanto alla notizia di reato già inserita. Successivamente l’iscrizione può essere aggiornata sia se muta la qualificazione giuridica del fatto, sia se ne risultano modificate le circostanze. Viceversa, si dovrà procedere ad iscrizioni del tutto nuove se a carico della medesima persona sono addebitati reati concorrenti ovvero se il medesimo fatto è addebitato anche ad altre persone. Dalla data in cui è iscritto nel registro il nome della persona alla quale il reato è attribuito, decorre il termine (di regola, 6 mesi) entro cui il P.M. deve decidere se esercitare l’azione penale, chiedere l’archiviazione o chiedere la proroga delle indagini. 2) Registro degli atti non costituenti notizia di reato – In esso il P.M. ordina che siano iscritti tutti quegli esposti dai quali non sia possibile ipotizzare in alcun modo un fatto di reato. 3) Registro delle notizie anonime – Di queste non può esser fatto alcun uso nel procedimento penale, almeno di regola (art. 333, c.3 c.p.p.). Secondo l’art. 240 i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato. Una volta che il nome dell’indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, le indagini continuano a svolgersi di regola in segreto: se non vengono compiuti atti conoscibili e non viene disposta alcuna misura cautelare, l’indagato non ha conoscenza “ufficiale” che è in corso un procedimento penale. Prima che gli pervenga l’informazione di garanzia (od atto equivalente), l’indagato può avere una notizia “ufficiale” dell’esistenza di un procedimento nei suoi confronti solo se si attiva, e cioè se chiede alla segreteria del P.M. di avere conoscenza delle iscrizioni a suo carico. Le iscrizioni sono di regola conoscibili dall’indagato e dall’offeso, ma in casi eccezionali restano segrete, sicché l’indagato non può avere conoscenza ufficiale dell’esistenza del procedimento a proprio carico. Il segreto sulle iscrizioni del registro si ha: • Se si procede per delitti di criminalità mafiosa le iscrizioni sono segrete fino a 2 anni (il termine massimo di durata di tali indagini è infatti di 2 anni e la proroga è data in segreto); • Se si procede per gravi delitti non mafiosi, le iscrizioni sono segrete fino ad 1 anno (il termine delle indagini è eccezionalmente di 1 anno, ma l’eventuale richiesta deve essere comunicata all’indagato; • Se si procede per altri reati, il P.M. può disporre la segretazione fino ad un massimo di 3 mesi, ove vi è il pericolo di inquinamento delle prove. Il P.M. che sta per compiere un atto garantito deve ovviare all’indagato e alla persona offesa l’informazione di garanzia, il cui contenuto più importante è l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. Se l’indagato non provvede alla nomina, il P.M. designa per esso un difensore d’ufficio. Il diritto dell’indagato alla tempestiva conoscenza dell’addebito è garantito dal comma 3 dell’art. 11 Cost., secondo cui la legge assicura che la persona accusata di reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico. Si tratta di un principio ripreso dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in forza del principio del “giusto processo”. L’informazione sul diritto di difesa deve essere inviata all’indagato in occasione del primo tra gli atti garantiti che si svolgono su iniziativa del P.M., al fine di rendere effettivo l’istituto della difesa d’ufficio (art. 369-bis). La comunicazione contiene una serie di elementi che hanno la funzione di informare l’indagato degli obblighi e facoltà che sono connessi alla difesa d’ufficio. Nella comunicazione sono indicati: • Informazioni della obbligatorietà della difesa tecnica; • Nominativo del difensore d’ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico; • Precisazione che l’indagato ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia; • Obbligo di retribuire il difensore di fiducia; • Indicazione delle condizioni per l’ammissione al patrocinio spese dello Stato. Quando si debba svolgere un atto garantito, abbiamo visto che il giudice deve preavvisare il difensore dell’indagato, altrimenti l’atto sarebbe nullo per violazione dei diritti di interveto e di assistenza a lui spettanti F 0 E 0 se all’invito a presentarsi si aggiunge l’ulteriore invito a nominare un difensore di fiducia, l’atto in questione equivale alla informazione di garanzia; si parla allora di atto equipollente. Il P.M. può compiere atti di indagine personalmente o delegarli alla polizia giudiziaria (art. 370). La delega può riguardare sia gli atti tipici, che gli atti atipici, purché quelli tipici siano specificamente delegati. Inoltre il P.M. può dare alla polizia giudiziaria una direttiva, ossia l’indirizzo generale da dare alle indagini, all’interno del quale la P.G. opera con gli atti di propria iniziativa. • Interrogatorio dell’imputato in un procedimento connesso teleologicamente o collegato – Tali soggetti sono avvertiti che se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri assumeranno la qualifica di testimoni assistiti limitatamente a tali fatti. Accertamento tecnico operato dal consulente del P.M. – È possibile per la pubblica accusa e per l’indagato chiedere al giudice la nomina di un perito con quell’istituto che è denominato incidente probatorio (art. 392). In alternativa il codice predispone la consulenza tecnica di parte. Il p.m. durante le indagini preliminari può nominare consulenti tecnici quando occorre procedere ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze. Il consulente non può rifiutare la sua opera. La consulenza ha due distinte regolamentazioni in base al seguente criterio: si tratta di valutare se, nel momento in cui è disposto, l’accertamento appare ripetibile, o meno, in dibattimento: • Qualora l’accertamento tecnico appaia ripetibile, il P.M. nomina un consulente tecnico e fa svolgere l’accertamento in segreto. • Qualora l’accertamento tecnico appaia non ripetibile, perché riguarda persone, cose o luoghi soggetti a modificazione, oppure perché lo stesso accertamento può modificare gli stessi, il codice attribuisce a tale atto un’efficacia simile alla perizia, subordinandolo ad un controllo ad opera dell’indagato. Il P.M. deve dare un previo avviso all’indagato, all’offeso ed ai difensori in quanto costoro possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia. L’indagato ha l’ulteriore potere di formulare riserva di promuovere incidente probatorio, costringendo il P.M. a valutare se l’accertamento tecnico può esser differito. Se l’accertamento tecnico non ripetibile è differibile ed è egualmente compiuto nonostante la riserva, il relativo verbale è inutilizzabile nel dibattimento, ma è utilizzabile a tutti gli altri fini; se l’accertamento è non differibile perché in un momento successivo non può più essere utilmente compiuto, il relativo verbale è destinato ad essere inserito nel fascicolo per il dibattimento. Quando occorre eseguire atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli, del DNA, il P.M. può procedervi direttamente attraverso il proprio consulente tecnico, solo se vi è il consenso della persona interessata. Qualora non vi sia il consenso dell’interessato, il P.M. deve chiedere al G.I.P. l’autorizzazione al compimento dell’atto. Il giudice concede l’autorizzazione con ordinanza se ricorrono le condizioni previste dall’art. 224-bis: • che si proceda per un delitto doloso o preterintenzionale, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo ad anni 3 (art. 224-bis, c.1); • non possono essere disposte operazioni che contrastino con espressi divieti di legge; che mettano in pericolo vita, integrità fisica, salute della persona o del nascituro; le operazioni sono eseguite nel rispetto di dignità e pudore di chi vi è sottoposto; a parità di risultato sono scelte le tecniche meno invasive. Individuazione di persone e di cose – Durante le indagini preliminari il P.M. può procedere all’individuazione di persone o cose personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria F 0 E 0Si tratta di un atto simile a quel mezzo di prova che è la ricognizione e che può essere disposto dal giudice in dibattimento o nell’incidente probatorio. Si usa il termine individuazione al posto di ricognizione, per sottolineare che l’atto non è utilizzabile ai fini della decisione dibattimentale: essa è sempre ripetibile in un momento successivo davanti al giudice nella forma della ricognizione. La normativa è basata sul presupposto implicito che l’atto di individuazione sia sempre ripetibile in un momento successivo davanti al giudice, nella forma della ricognizione. Il P.M. nell’eseguire l’individuazione non è tenuto a rispettare le regole che nella ricognizione sono poste a pena di nullità al fine di assicurare l’attendibilità del risultato, ciò in quanto l’atto è ritenuto essere ripetibile. Ai sensi dell’art. 373, c.3 è sufficiente un verbale in forma riassuntiva; tale verbale dell’atto di individuazione, in quanto documentazione di un atto ripetibile, deve essere inserito nel fascicolo del P.M.. Sempre in considerazione della ripetibilità dell’atto, non è prevista la presenza del difensore; il difensore non conosce neanche il verbale dell’atto perché questo è segreto. Il codice si limita a prescrivere che il P.M. proceda ad individuazione di persone o cose quando è necessario per la immediata prosecuzione delle indagini. Tra le altre attività di inziativa del P.M. troviamo le perquisizioni. Si tratta di un atto delegabile alla polizia giudiziaria con decreto, nel quale devono essere specificate i luoghi e le persone, se sia consentito l’ingresso coattivo e se la perquisizione si possa estendere anche ad altri luoghi. Devono invece essere eseguite personalmente dal P.M. perquisizioni e sequestri negli studi dei difensori, l’apertura di plichi o corrispondenza e perquisizioni presso banche. Vi è poi il sequestro probatorio; il P.M., quando delega l’esecuzione del sequestro alla polizia giudiziaria, indica l’oggetto da sequestrare; se egli non indica le cose da sequestrare , si ritiene che la polizia giudiziaria debba chiedere convalida al magistrato. L’ispezione personale è invece un atto riservato all’iniziativa del P.M., il quale, nell’esecuzione materiale può affidarsi all’opera di un medico. Si tratta di un atto garantito, che impone il preavviso di 24 ore al difensore dell’indagato, salvo motivi di urgenza: si noti che ha diritto ad essere presente non il difensore dell’ispezionato, il quale ha comunque diritto a farsi assistere da una persona di sua fiducia, ma il difensore dell’indagato. Le operazioni sotto copertura sono consentite ad alcuni corpi di polizia, autorizzati dal P.M. di svolgere tali operazioni: nell’ambito di tali attività, è possibile che gli infiltrati commettano reati, che sono considerati non punibilli. Controllo sulla legittimazione del pubblico ministero – La legge 479/1999 ha introdotto un procedimento che consente all’ufficio superiore della magistratura di accertare se il P.M. che svolge le indagini sia legittimato, e ciò sia quello che è collocato presso il giudice competente F 0 E 0si tratta di un controllo non giurisdizionale che opera su richiesta di parte. Il richiedente ha l’obbligo di indicare, a pena di inammissibilità, il giudice competente F 0 E 0ciò costituisce una probatio diabolica, se si considera che tali soggetti non hanno conoscenza completa degli atti delle indagini preliminari, che restano di regola segreti. Se il P.M. procedente rigetta la richiesta, l’originario richiedente può riproporla entro 10 giorni, presentandola al Procuratore generale presso la Corte d’appello, o al Procuratore generale presso la Corte di cassazione se il giudice competente appartiene ad un altro distretto: i procuratori determineranno l’ufficio del P.M. legittimato ad indagare; se si procede per delitto di criminalità mafiosa deve sentirsi il Procuratore nazionale antimafia. Arresto in flagranza e fermo Un tema importante è quello dell’arresto in flagranza ed il fermo. Il codice accoglie il principio generale per cui solo il giudice è competente ad applicare una misura cautelare limitativa della libertà personale con un provvedimento avente effetti permanenti nel tempo, anche se tali misure hanno comunque un termine di durata massima. La polizia giudiziaria ha il potere di disporre misure coercitive temporanee denominate arresto e fermo, esse cessano di avere efficacia se entro il termine perentorio non intervenga la convalida del giudice. Queste misure sono dette sinteticamente “precautelari” per indicare che consistono in un anticipo della tutela predisposta mediante le misure cautelari F 0 E 0vi sono comunque misure coercitive che P.M. e P.G. possono porre in essere, senza limitare la libertà personale di chi vi è sottoposto, come alcune forme di accompagnamento coattivo. Arresto in flagranza – È un provvedimento che di regola è disposto dalla polizia giudiziaria ed eccezionalmente dai privati. Esso ha la finalità di assicurare alla giustizia gli autori del reato ed impedire che il reato stesso venga portato ad ulteriori conseguenze. È in stato di flagranza (in senso pieno) colui che viene colto nell’atto di commettere il reato. È in situazione denominata tradizionalmente “quasi flagranza” il soggetto che, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima. L’arresto in flagranza è obbligatorio (art. 380, c.1) per la polizia giudiziaria in presenza di un delitto non colposo (consumato o tentato) per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni e nel massimo a 20 anni. L’arresto è obbligatorio anche in presenza di certi delitti (ad es. associazione mafiosa). Negli stessi casi in cui è obbligatorio per la polizia, l’arresto può essere effettuato dal privato se il delitto è procedibile d’ufficio (art.383, c.1). L’altra ipotesi di arresto è denominata “facoltativa” dal codice, nel senso che è rimesso alla discrezionalità dell’ufficiale od agente di polizia valutare se la misura è giustificata dalla gravità del fatto o dalla personalità del soggetto. Esso è consentito quando si procede sia per un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 3 anni, sia per un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni. Altri casi sono i delitti di falsa attestazione sulla identità personale e fraudolente alterazioni per impedire tale identificazione. L’arresto obbligatorio o facoltativo non è mai consentito quando tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità (art. 385). Qualora si tratti di un delitto perseguibile a querela, l’arresto può essere eseguito se la querela viene proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o agente di polizia presente sul luogo. Fermo – È un provvedimento che può esser disposto di regola dal P.M. quando sono presenti queste condizioni (art. 384, c.1): • che vi siano gravi indizi a carico dell’indagato; • che sussistano specifici elementi di prova che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga; • che si proceda per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo in via sussidiaria nei seguenti casi: a) prima che il P.M. abbia assunto la direzione delle indagini; b) qualora sia successivamente individuato l’indiziato; c) qualora sopravvengano specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l’indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del P.M.. Il P.M. non è titolare del potere di arresto in flagranza, tuttavia può disporre il fermo anche nelle ipotesi nelle quali vi sia la flagranza. Circa la convalida dell’arresto e del fermo, essa attua 2 principi fondamentali: le misure limitative della libertà personale possono essere applicate soltanto dal giudice, pertanto arresto e fermo sono sottoposti alla convalida del giudice; le norme attuano il principio in base al quale la polizia giudiziaria è sotto la diretta disponibilità dell’autorità giudiziaria. Il procedimento di convalida dell’arresto e del fermo può esser suddiviso in tre fasi: 1° FASE – Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno i seguenti doveri di informazione: 1) danno immediata notizia del provvedimento al P.M. e trasmettono l’informativa di reato; 2) avvertono l’arrestato o il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia; 3) se non è nominato un difensore di fiducia, chiedono al P.M. la designazione del difensore d’ufficio; 4) informano immediatamente dell’arresto o del fermo il difensore; 5) senza ritardo e con il consenso dell’arrestato danno ai familiari di quest’ultimo notizia dell’esecuzione della misura; 6) ulteriori adempimenti consistono nel porre l’arrestato o il fermato a disposizione del P.M. al più presto, non oltre le 24 ore; inoltre ufficiali ed agenti devono trasmettere al P.M. il verbale dell’arresto sempre nelle 24 ore. 2° FASE – Ha la funzione di mettere in grado la pubblica accusa sia di formulare la richiesta di convalida, sia di chiedere nella successiva udienza una delle misure cautelari personali. All’inizio dell’interrogatorio l’inquirente, dopo aver dato l’avviso della facoltà di non rispondere, informa l’arrestato del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento, comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti. A tal fine il P.M. può procedere all’interrogatorio dell’arrestato o del fermato dando previo avviso al difensore che ha la facoltà di essere presente all’atto. Il P.M. può liberare l’arrestato o il fermato in due casi: • se l’arresto o il fermo è eseguito per errore di persona o fuori dai casi consentiti dalla legge; La richiesta di incidente è presentata alla cancelleria del G.I.P. ed è notificata alla controparte. A seguito dell’eventuale contraddittorio scritto, il giudice decide sulla richiesta di incidente con un’ordinanza non impugnabile. Il P.M. ha il potere di chiedere al giudice il differimento dell’incidente quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare (art. 397, c.1). La decisione sulla richiesta è presa dal giudice senza contraddittorio ed è comunicata al P.M. e notificata per estratto (e cioè, senza la motivazione) alle persone interessate F 0 E 0Il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l’assunzione della prova. Il codice pone al P.M. l’obbligo di depositare prima dell’udienza i verbali delle dichiarazioni che la persona da esaminare ha rilasciato in precedenza alla polizia giudiziaria ed al P.M.. Atal fine il giudice fa notificare all’indagato, all’offeso e ai difensori l’avviso del giorno in cui avverrà l’incidente probatorio, con l’avvertimento che nei due giorni precedenti l’udienza, essi potranno prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare. L’udienza si svolge in camera di consiglio, e cioè senza la presenza del pubblico. È richiesta la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore (di fiducia o d’ufficio) dell’indagato. Il difensore dell’offeso ha il diritto, ma non l’obbligo, di partecipare all’udienza: in tale sede non può porre domande direttamente al dichiarante, bensì può chiedere al giudice di rivolgerle. A loro volta l’indagato e l’offeso hanno diritto di assistere personalmente all’udienza quando si deve esaminare un testimone o un’altra persona; negli altri casi possono assistere solo su autorizzazione del giudice. Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento (art. 401, c. 5). Poiché non vi è un rinvio generale alla disciplina del dibattimento, il G.I.P. non ha il potere di assumere d’ufficio nuove prove. Il giudice può rivolgere domande alle persone “già esaminate”. L’incidente probatorio ha la funzione di anticipare la formazione della prova garantendo il diritto di difesa dell’indagato nei confronti del quale la prova stessa potrà essere successivamente utilizzata in dibattimento. Per assicurare questa esigenza, il codice vieta di estendere l’oggetto della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all’incidente; inoltre vieta di verbalizzare le dichiarazioni aventi tale oggetto. A tali divieti si può derogare soltanto se si provvede ad integrare il contradditorio. Completa la normativa il divieto di usare in dibattimento nei confronti dell’imputato le prove assunte nell’incidente senza la partecipazione del suo difensore e, quindi, senza la garanzia del contraddittorio. Una normativa simile è prevista in favore del danneggiato dal reato, che non sia stato in grado di partecipare all’incidente probatorio: egli può scegliere di non subire l’efficacia del giudicato, poiché la sentenza pronunciata in dibattimento sulla base di una prova assunta con l’incidente probatorio, non produce gli effetti di giudicato, salvo che il danneggiato non ne abbia fatta accettazione, anche tacita. Circa la deroga ai divieti appena descritti (se si integra il contradditorio), la richiesta è rivolta al giudice. Questi, se l’accoglie, rinvia l’udienza per il tempo strettamente necessario per effettuare le notifiche nei confronti delle persone indiziate e comunque non oltre 3 giorni. L’integrazione non è disposta quando il rinvio dell’udienza pregiudica l’assunzione della prova. L’art. 403 determina i limiti della inutilizzabilità: nel dibattimento delle prove assunte con l’incidente probatorio sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione, dunque, quando viene esteso l’oggetto della prova (cioè le dichiarazioni coinvolgono la responsabilità di persone non assistite dal difensore nell’incidente, il divieto di utilizzazione vale soltanto nel dibattimento, mentre non vale nei momenti anteriori. Si ha un limite di inutilizzabilità oggettivamente relativo, perché opera con riferimento alla sola fase dibattimentale, e soggettivamente relativo, poiché la prova è utilizzabile soltanto nei confronti di determnati imputati e non di altri. CAPITOLO II – LA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI La finalità delle indagini preliminari è quella di permettere al p.m. di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale. I termini di durata delle indagini preliminari, sia quando si procede contro ignoti, sia quando è stato identificato un indagato, possono essere prorogati dal G.I.P. su richiesta del P.M.. Il termine per le indagini nei confronti di un indagato inizia a decorrere dal momento in cui il nome di questi è iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine ordinario è di 6 mesi, in via eccezionale è di un anno se di tratta di delitti gravi o di criminalità organizzata. Entro il termine il P.M. deve chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione; altrimenti chiede la proroga al G.I.P. F 0 E 0Si prevede l’invalidità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine; l’inosservanza del termine obbliga poi il Procuratore generale della corte d’appello ad avocare il procedimento. Vi è una minuziosa regolamentazione dei motivi che possono consentire le proroghe. Il termine può essere prorogato una o più volte, con ordinanza del giudice e su richiesta del P.M. La prima proroga può essere motivata su di una generica “giusta causa”; successive proroghe possono essere richieste dal P.M. nei casi di particolare complessità delle indagini o di oggettiva impossibilità di concludere entro il termine prorogato. Il codice pone alle indagini preliminari un termine massimo, comprensivo di proroghe, di 18 mesi (per casi particolari è previsto il termine di due anni: delitti gravi o criminalità organizzata/ investigazioni complesse/ indagini che richiedono il compimento di atti all’estero/ procedimenti collegati). Prima della scadenza del termine il P.M. può chiederne la proroga al G.I.P. indicando le ragioni che giustificano il proseguimento delle indagini stesse. Il codice prevede un procedimento di proroga di tipo ordinario ed uno speciale, avente ad oggetto le indagini per determinati delitti (ad es. in materia di criminalità organizzata mafiosa e di pedofilia). • Nel procedimento speciale per criminalità mafiosa e reati assimilati non vi è alcun contraddittorio sulla richiesta del P.M. ed il giudice decide sempre senza udienza (de plano) anche quando non dovesse accogliere la richiesta di proroga. • Nel procedimento ordinario è necessario in primo luogo instaurare il contraddittorio. La decisione del giudice è presa senza udienza (de plano) qualora egli allo stato degli atti ritenga di accogliere la richiesta di proroga; in caso contrario, egli fissa la data di una udienza. Il procedimento si svolge in camera di consiglio e la decisione è presa con ordinanza non impugnabile. Se il giudice respinge la richiesta, il P.M. deve formulare l’imputazione o chiedere l’archiviazione. Gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine sono utilizzabili solo se la richiesta di proroga è stata presentata prima della scadenza e il giudice ha (anche successivamente) concesso la proroga. L’eventuale inutilizzabilità opera dunque non solo ai fini della decisione dibattimentale, ma anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Il termine massimo per le indagini preliminari non può essere prorogato. Alla sua scadenza il P.M. deve chiedere o l’archiviazione o il rinvio a giudizio. Se non presenta una delle due richieste, i successivi atti di indagine sono inutilizzabili. Quando si procede contro ignoti, il termine per le indagini preliminari decorre dalla data di iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro. Entro il termine di 6 mesi il P.M. deve chiedere alternativamente l’archiviazione perché è ignoto l’autore del reato, ovvero la proroga del termine per poter proseguire le indagini. La decisione del giudice sulla richiesta di proroga del termine perché è ignoto l’autore del reato è presa de plano (senza formalità), qualora egli allo stato degli atti ritenga di concedere la proroga; in caso contrario il giudice fissa la data di una udienza (come avviene nel procedimento contro un indagato noto). Il giudice può allora prendere tre diverse decisioni: a) può non autorizzare la proroga ed in tal caso il P.M. deve chiedere l’archiviazione; b) può autorizzare il P.M. a proseguire le indagini; c) se ritiene che il reato sia da attribuire ad una persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato. Ciò comporta che inizia a decorrere un nuovo termine di 6 mesi, entro il quale il P.M. deve formulare le richieste di archiviazione o di rinvio a giudizio, ovvero chiedere una ulteriore proroga L’azione penale L’azione penale è stata definita come la richiesta, diretta al giudice, di decidere sull’imputazione. Il P.M. esercita l’azione penale formulando l’imputazione. Nel procedimento ordinario l’imputazione è ricompresa nella richiesta di rinvio a giudizio; nei riti speciali è ricompresa nell’atto che instaura il singolo procedimento (art. 405). Elementi dell’imputazione sono: • l’enunciazione del fatto storico in forma chiara e precisa; • l’indicazione degli articoli di legge violati (il c.d. titolo del reato); • le generalità della persona alla quale è addebitato il reato; • l’indicazione di circostanze aggravanti. L’esercizio dell’azione penale determina due effetti: pone al giudice l’obbligo di decidere su di un determinato fatto storico e fissa in modo tendenzialmente immutabile l’oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di decidere su di un fatto storico differente da quello precisato nell’imputazione.Tenuto conto che, il P.M.. presenta richiesta di archiviazione allorché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio; possiamo derivarne che l’imputazione è formulata dal P.M., quando questi ha raccolto elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, cioè quando i risultati delle indagini sono in grado di permettere al pubblico ministero di dimostrare la fondatezza dell’accusa. Parlando delle caratteristiche dell’azione penale, essa: • è obbligatoria: ai sensi dell’art. 112 Cost. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Il principio di obbligatorietà non impone che il P.M. debba necessariamente “accusare”; l’obbligo istituzionale del P.M. è di controllare che la legge sia rispettata. L’obbligatorietà dell’azione penale ha il fine di assicurare due princìpi fondamentali: il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), perché se la persona offesa non ha capacità economica, ciò non deve impedire che il reato sia perseguito; ed il principio di legalità (art. 25, c.2 Cost.), perché nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Se l’azione penale è obbligatoria, è necessario che sia previsto uno strumento tecnico che renda effettivo l’adempimento di tale dovere: la scelta del P.M. di non esercitare l’azione penale si traduce nella richiesta di archiviazione, che è sottoposta appunto al controllo del G.I.P. F 0 E 0Si tratta di un controllo molto penetrante: Il giudice può indicare al P.M. le indagini che egli reputi necessarie; può altresì ordinargli di formulare l’imputazione (non può, tuttavia, sostituirsi al P.M. nel precisare il contenuto dell’imputazione). • è monopolio del P.M.: tale monopolio non è imposto dalla Costituzione. L’art. 112 Cost. configura tale dovere di esercitare l’azione penale, ma non prescrive che sia solo il P.M. a farlo. La Corte costituzionale ha affermato che tale competenza può attribuirsi anche a soggetti diversi dal P.M., in quanto è sufficiente che ciò non vanifichi il dovere di quest’ultimo ad esercitarla. Tuttavia il legislatore ha attribuito unicamente al P.M. tale potere. Comunque, il principio del monopolio vige solo per i reati rientranti nella competenza del giudice professionale: la riforma che ha attribuito competenze penali al giudice di pace ha infranto per la prima volta nel nostro sistema processuale il predetto monopolio limitatamente ai reati procedibili a querela (la persona offesa ha la facoltà di chiedere con ricorso diretto al giudice di pace la citazione a giudizio del responsabile del reato). • è irretrattabile: l’art. 50, c.3 stabilisce che l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge (ad es. ex. art. 71, se risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento, il giudice dispone con ordinanza che questo sia sospeso). Si può avere sospensione solo quando l’imputato rischia di essere condannato. Mentre il processo è sospeso, è sospeso altresì il termine di prescrizione del reato (art. 159 c.p.). • è procedibile d’ufficio: l’art. 50, c.2 dispone che, quando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata di ufficio. È sufficiente che il giudice rilevi la presenza di un fatto storico previsto per legge come reato, perché possa esercitare, senza necessità di iniziativa altrui, l’azione penale. Non occorre nemmeno che al P.M. pervenga una denuncia; il P.M. può agire di propria iniziativa. Vi sono comunque delle eccezioni a tale regola, ipotesi nelle quali è necessario che sia presente una condizione di procedibilità: querela, istanza, richiesta, autorizzazione a procedere. L’archiviazione Se l’imputato non compare e non vi è la prova del legittimo impedimento, il giudice ne dichiara la contumacia e l’imputato è rappresentato dal difensore. L’imputato anche se impedito può chiedere o consentire che l’udienza preliminare si svolga in sua assenza. In questi casi l’imputato è considerato assente perché ha manifestato espressamente o implicitamente la sua rinuncia a comparire. Egli è rappresentato dal difensore. Se comunque l’imputato, dopo essere comparso, si allontano dall’aula di udienza, è considerato presente. Se il difensore dell’imputato è assente, il giudice designa un sostituto che sia immediatamente reperibile; se l’assenza del difensore è dovuta ad impossibilità assoluta a comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato, il giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notifica all’imputato. La contumacia si distingue concettualmente dall’assenza; poiché nelle ipotesi di assenza l’imputato manifesta la rinuncia a partecipare la processo, viceversa si ha contumacia se l’imputato non è presente all’inizio dell’udienza senza aver manifestato una rinuncia a comparire. Se l’imputato detenuto o a piede libero non compare all’udienza e non risulta sussistere un legittimo impedimento o l’ignoranza incolpevole dell’avviso, il giudice ne dichiara la contumacia con ordinanza F 0 E 0È possibile che l’imputato, dichiarato contumace, compaia prima della decisione: in tal caso il giudice deve revocare l’ordinanza. L’imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se dopo la pronuncia dell’ordinanza dichiarativa della contumacia ma prima della decisione perviene la prova che l’imputato non era comparso a causa della mancata conoscenza incolpevole dell’avviso o per legittimo impedimento il giudice deve revocare l’ordinanza contumaciale. Se si procede a carico di più imputati ed alcuni sono contumaci, il giudice deve disporre la separazione dei processi, salvo che la riunione risulti assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. Il codice prevede che gli atti compiuti restino validi. Se la prova è pervenuta tardivamente e l’imputato dimostra che ciò non è dovuto a sua colpa, il giudice deve disporre l’assunzione o la rinnovazione degli atti che ritiene rilevanti ai fini della decisione. Infine l’ordinanza dichiarativa della contumacia è nulla se al momento della pronuncia vi è la prova che l’assenza dell’imputato è dovuta a mancata conoscenza dell’avviso di udienza o ad impossibilità di comparire per legittimo impedimento. Analizziamo ora lo svolgimento ordinario dell’udienza preliminare: essa si svolge in camera di consiglio (e cioè senza la presenza del pubblico). All’udienza devono comunque essere presenti il P.M. ed il difensore dell’imputato. La persona offesa è avvisata dalla data dell’udienza e può essere presente personalmente e per mezzo del proprio difensore. Dell’udienza è redatto verbale in forma riassuntiva. a)All’inizio dell’udienza le parti possono chiedere al giudice l’ammissione di atti o documenti. b)Il P.M. espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. c)L’imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Si tratta di un atto con funzione deifensiva che non può essere sollecitato dal P.M.. d)I difensori delle parti private svolgono le proprie argomentazioni. L’ordine dell’esposizione rispetta le cadenze dell’onere della prova: inizia la parte civile e proseguono il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e l’imputato. Il P.M. ed i difensori possono replicare una sola volta. e) Il P.M. e i difensori formulano le rispettive conclusioni. Al termine dell’udienza, il giudice può prendere una decisione definitiva o una interlocutoria: • decisione definitiva – la adotta quando pronuncia sentenza di non luogo a procedere o i decreto che dispone il giudizio; • decisione interlocutoria – la adotta quando dichiara di non poter decidere allo stato degli atti, in tal caso indica al P.M. le ulteriori indagini o dispone anche d’ufficio l’assunzione di prove. Dunque il giudice, quando nritiene di non poter decidere allo stato degli atti perché le indagini preliminari sono incomplete, pronuncia ordinanza con la quale indica al P.M. le ulteriori indagini fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Una volta che il P.M. compie le ulteriori indagini si terrà una nuova udienza che avrà come oggetto di discussione i risultati delle indagini. All’esito di tale udienza è possibile che il giudice ritenga di poter decidere allo stato degli atti il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere; in caso contrario il giudice può emettere una nuova ordinanza per l’integrazione delle indagini oppure può disporre una forma di assunzione di prove che è denominata dal codice integrazione probatoria. L’attività di integrazione probatoria (art. 422 c.p.p., modificato dalla legge 479/1999) del giudice consiste nel potere di assumere prove nel corso dell’udienza preliminare. Tale potere è esercitabile quando è impossibile decidere allo stato degli atti. Lo svolgimento dell’udienza in questo caso si compone di vari momenti: • ammissione delle prove – Il giudice le ammette secondo il criterio della “evidente decisività” delle stesse ai fini della sentenza di non luogo a procedere; inoltre non potrebbero ammettersi prove tendenti a dimostrare la necessità del rinvio a giudizio. L’art. 422, c.2 precisa che, ove le prove non possano essere assunte immediatamente, il giudice deve fissare la data della nuova udienza e disporre la citazione di testimoni, periti, consulenti tecnici e persone indicate nell’art. 210, di cui siano stati ammessi l’audizione o l’interrogatorio. • assunzione delle prove – L’audizione di testimoni, consulenti tecnici e periti e l’interrogatorio degli imputati connessi sono condotti dal giudice; le parti possono proporre domande a mezzo del giudice. F 0 E 0Si noti la differenza che intercorre tra integrazione probatoria ed incidente probatorio, in quanto l’integrazione probatoria è disposta dal giudice, se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti e con la finalità di assumere prove decisive ai fini della sentenza di non luogo a procedere. Le prove acquisite saranno inutilizzabili in dibattimento. L’incidente probatorio può essere svolto in tutto il corso dell’udienza preliminare quando l’assunzione della prova appare non rinviabile; poiché la prova è assunta con le modalità previste per il dibattimento, i verbali dell’incidente probatorio confluiscono nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili per la decisione finale. • interrogatorio – L’imputato può chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio in ogni caso, senza che il giudice possa sindacare l’ammissibilità di tale atto. Anche l’interrogatorio deve essere condotto dal giudice • conclusioni delle parti – Terminata l’assunzione delle prove, il P.M. ed i difensorri illustrano le rispettive conclusioni, quindi il giudice pronuncia la decisione di rinvio a giudizio o di non luogo a procedere. In base agli elementi emersi nel corso dell’udienza ed alla discussione che si svolge in tale sede, può sorgere l’esigenza di apportare modificazioni all’imputazione originaria. La modifica è possibile alla presenza di 2 condizioni: iniziativa del P.M. e rispetto di determinati limiti di modificabilità F 0 E 0Finché si tratta di variare la descrizione del fatto storico (che comunque deve restare inalterato negli elementi essenziali della fattispecie), il P.M. è legittimato a contestare all’imputato un fatto “diverso” da quello contestato nella richiesta di rinvio a giudizio: lo stesso vale se si tratta di aggiungere una circostanza aggravante, un fatto commesso in esecuzione del medesimo disegno criminoso (reato continuato) o un altro reato commesso con la medesima condotta (concorso formale). Viceversa, quando risulta a carico dell’imputato un fatto “nuovo”, purché procedibile d’ufficio, la parola passa all’imputato, che può consentire o meno. La sentenza di non luogo a procedere Il codice prevede un unico tipo di sentenza di non luogo a procedere, la quale è pronunciata in base a motivi di diritto o di fatto: a) sussiste una causa che estingue il reato (come la prescrizione); b) sussiste una causa per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita; c) il fatto non è previsto dalla legge come reato; d) esiste una prova che l’imputato è innocente; e) è accertato che la persona non è punibile; f) quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. La sentenza di non luogo a procedere può essere pronunciata durante l’udienza preliminare anche ai sensi dell’art. 129, che prevede la declaratoria immediata di determinate cause di non punibilità (se il giudice riconosce che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero è estinto o manca una condizione di procedibilità); tale sentenza può essere pronunciata in ogni stato e grado del processo e il giudice deve fissare a tal fine l’udienza preliminare e solo durante quest’ultima, se ne ricorrono i presupposti, può emettere sentenza di non luogo a procedere. Le sezioni unite della corte di Cassazione hanno riconosciuto al giudice dell’udienza preliminare il potere di ritenere generica o indeterminata l’imputazione che, viceversa, il P.M. avrebbe dovuto formulare in forma chiara e precisa nella richiesta di rinvio a giudizio. Il giudice ha allora il dovere di sollecitare il P.M. a precisare l’imputazione con il meccanismo di adeguamento dell’art. 423 (modificazione dell’imputazione). Se il P.M. non vi procede, il giudice al momento della conclusione dell’udienza preliminare ha il potere di attestare il vizio dell’imputazione e restituire con ordinanza glia tti al P.M. perché la riformuli. L’ordinanza di restituzione degli atti chiude l’udienza preliminare e comporta la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, Si tratta di un provvedimento eccezionale che costituisce una extrema ratio e deve essere adottato solo qualora il P.M. non ottemperi all’ordine del giudice e ometta di modificare l’imputazione nel corso dell’udienza preliminare Il decreto che dispone il giudizio Il decreto che dispone il giudizio è emesso nei casi nei quali il G.U.P. non pronuncia la sentenza di non luogo a procedere (art. 429), Il giudice emette il decreto che dispone il giudizio quando gli elementi forniti dal P.M. a sostegno della richiesta e le prove eventualmente raccolte nell’udienza preliminare fanno ritenere utile l’istruzione dibattimentale. Esso svolge insieme due funzioni: una di decisione ed una di ordine di citazione. Quanto alla funzione di decisione, il decreto non è motivato (si vuole evitare il pregiudizio che deriverebbe all’imputato ove un giudice prima del dibattimento affermasse l’attendibilità degli elementi di prova a carico); esso contiene l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle circostanze, con l’indicazione dei relativi articoli di legge; l’indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono. Il decreto svolge anche la funzione di citazione a giudizio, poiché convoca le parti per il dibattimento. Il decreto deve essere notificato sia all’imputato contumace all’udienza preliminare, sia all’imputato ed alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del decreto stesso. La notifica deve essere effettuata almeno 20 giorni prima della data fissata per il giudizio. I fascicoli Subito dopo aver emesso il decreto che dispone il giudizio, il G.U.P. provvede a formare il fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero nel contraddittorio delle parti. Nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti quegli atti previsti dall’art. 431, compiuti prima del dibattimento, che si sono formati nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall’origine come “non ripetibili” (si esclude qualsiasi atto ripetibile nel dibattimento, che sarebbe idoneo a generare un pre-giudizio nei confronti del giudice del debattimento, innanzi al quale, invece deve formarsi la prova. Il fascicolo per il dibattimento è conosciuto dal giudice (collegiale o singolo) e dalle parti; gli atti in esso contenuti possono essere usati ai fini della decisione. Il fascicolo del pubblico ministero ha un contenuto residuale: vi sono inseriti gli atti “diversi” da quelli inseriti nel fascicolo per il dibattimento, che siano stati fino a quel momento compiuti. Al suo interno confluisce anche il fascicolo del difensore. Il fascicolo del P.M. nel corso delle indagini è formato e conservato presso l’ufficio del G.I.P. e contiene quegli atti di investigazione difensiva che il difensore abbia presentato direttamente al giudice. Il fascicolo del pubblico ministero è conosciuto dalle parti e non dal luoghi pubblici, conversazioni informali mediante telefono, ecc.. L’indagine atipica dovrebbe spettare di regola all’investigatore privato. L’intervista difensiva L’intervista di possibili testimoni e di indagati connessi è il più importante tra gli atti di indagine. L’art. 391- bis disciplina tre distinte modalità di acquisizione: • Colloquio non documentato; • Assunzione di informazioni da verbalizzare; • Rilascio di una dichiarazione scritta. Il colloquio informale può esser svolto sia dal difensore, sia dai suoi ausiliari; viceversa, le informazioni e le dichiarazioni possono essere acquisite solo dal difensore e dal suo sostituto. L’art. 391-bis esclude dall’intervista alcune persone che sono incompatibili con la qualifica di teste (ad es. il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, il giudice, il P.M., etc.). In ogni caso, prima che il colloquio abbia inizio (in una delle tre forme sopra dette) il difensore o il suo ausiliario deve avvertire la persona intervistata, a pena di inutilizzabilità dell’atto: a) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intende semplicemente conferire o ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell’obbligo di dichiarare se è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente rivoltegli dalla polizia giudiziaria o dal P.M. e le risposte date; f) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. È prevista inoltre una disciplina speciale per l’intervista di persone indagate od imputate nel medesimo procedimento o in procedimento connesso o collegato: l’atto, a pena di inutilizzabilità, deve svolgersi con la necessaria presenza del difensore dell’intervistato, che deve essere preavvisato almeno 24 ore prima. Se la persona è priva di difensore, colui che vuole procedere ll’intervista deve chiedere la nomina di un difensore d’ufficio. Il colloquio non documentato è un atto che può essere compiuto anche dagli ausiliari del difensore (consulente tecnico, investigatore privato autorizzato), ed è funzionale ad un’eventuale assunzione di informazioni oppure alla richiesta di una dichiarazione scritta. Esso è finalizzato a vagliare il possibile testimone allo scopo di verificare quali sono i fatti che conosce e se egli può fornire elementi di prova a favore della persona assistita dal difensore. L’assunzione di informazioni costituisce il modello principale di intervista. Il codice non ne precisa in dettaglio le modalità di svolgimento. Le informazioni devono essere verbalizzate dal difensore o dal sostituto secondo le regole generali di documentazione degli atti del procedimento penale “in quanto applicabili”. Per la materiale redazione del verbale il difensore può avvalersi di persone di sua fiducia. All’assunzione delle informazioni non possono assistere l’indagato, l’offeso e le altre parti private. • Vi è infine una apposita disciplina relativa all’ipotesi in cui la persona, che sia stata sentita in qualità di possibile testimone, renda nel corso delle informazioni una dichiarazione dalla quale emergano indizi a proprio carico, cioè delle dichiarazioni autoincriminanti; la normativa è analoga a quella vigente per l’autorità giudiziaria: il difensore o il sostituto devono interrompere l’assunzione delle informazioni, le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Le domande e le risposte devono essere documentate fedelmente e il difensore deve scegliere se non presentarlo o presentarlo nnella sua interezza. Il difensore, una volta assunte le informazioni, può ritenere che le dichiarazioni non siano utili per la posizione del proprio cliente: in tal caso non è obbligato a produrre il verbale nel corso del procedimento; tuttavia, se il difensore decide di produrlo, il verbale non può essere manipolato. La dichiarazione scritta può essere richiesta al possibile testimone o all’imputato. Essa è resa dalla persona intervistata e deve essere da lei sottoscritta; il difensore o il sostituto autenticano la firma. Quindi l’intervistatore deve redigere una relazione, allegandola alla dichiarazione, nella quale riporta: • la data in cui la dichiarazione è stata ricevuta; • le generalità del difensore (o del sostituto) e della persona che ha rilasciato la dichiarazione; • l’attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dalle disposizioni relative all’intervista; • i fatti sui quali verte la dichiarazione. Le modalità di utilizzazione della dichiarazione sono identiche a quelle previste in relazione al verbale relativo all’assunzione di informazioni. L’audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di non rispondere La persona sentita dal difensore ha la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione richiesta. Il difensore ha due strumenti procedurali attivabili nell’ipotesi che la persona convocata si avvalga di tale facoltà: può chiedere che la persona sia sentita con incidente probatorio, oppure chiedere al P.M. di disporre l’audizione del possibile testimone. 1) Incidente probatorio – si procede con questo incidente all’escussione del testimone o all’esame dell’imputato connesso che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere. 2) Audizione presso il P.M. – la richiesta è rivolta solo in relazione al possibile testimone. Il difensore deve indicare al P.M. le corcostanze in relazione alle quali vuole che la persona sia sentita e le ragioni per le quali le circostanze sono utili ai fini delle indagini. Il P.M., valutata la richiesta, dispone l’audizione entro 7 giorni. L’audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande; egli conduce la prima parte dell’esame, successivamente il P.M. procede all’assunzione di informazioni. Il possibile testimone, sentito congiuntamente dal P.M. e dal difensore, non ha più quella facoltà di tacere che gli era riconosciuta nel corso dell’intervista privata. La presentazione della documentazione difensiva Il difensore ha, di regola, la facoltà e non l’obbligo di presentare agli inquirenti pubblici e al giudice la documentazione dell’attività di indagine difensiva svolta. Il difensore palesa al giudice solo quell’aspetto dei fatti che è favorevole al proprio cliente. Il difensore ha interesse ad avvalersi di tale facoltà ove ritenga possibile indurre il P.M. a prendere una decisione in favore del proprio cliente. Il difensore può presentare elementi al giudice tanto in relazione ad un provvedimento da adottarsi a seguito di contradditorio tra le parti, quanto in vista di un eventuale provvedimento che il giudice possa applicare senza necessità di sentire il soggetto interessato. Durante le indagini, la documentazione presentata dal difensore è inserita in un apposito fascicolo, formato e conservato presso l’ufficio del G.I.P. e denominato fascicolo del difensore. Di tale documentazione il P.M. può prendere visione ed estrarre copia solo quando deve essere adottata decisione su richiesta delle altre parti, o con il loro intervento. Altre attività di investigazione difensiva La legge 397/2000 ha previsto una serie di attività di indagine tipiche, ulteriori rispetto all’intervista, che di regola, possono essere svolte sia dal difensore, sia dai supi ausiliari. Abbiamo visto per esempio il caso in cui il difensore può rivolgersi direttamente al giudice per ottenere l’audizione della persona che si sia avvalsa della facoltà di non rispondere. Vi sono poi casi in cui il difensore attiva l’autorità giudiziaria: il difensore può rivolgersi direttamente al giudice per ottenere l’autorizzazione al compimento di un atto; il difensore è tenuto ad interpellare in prima battuta il P.M., solo se questo rigetta la richiesta, il difensore può rivolgersi al giudice. Tra le altre attività abbiamo: Richiesta di documenti alla pubblica amministrazione – È un atto che appare riservato alla titolarità esclusiva del difensore, il quale può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione ed estrarne copia a sue spese. La richiesta è rivolta all’amministrazione che ha fornito il documento; se la p.a. rifiuta, il difensore può chiedere al P.M. l’acquisizione coattiva. Esame delle cose sequestrate – Al difensore spetta ex lege anche la facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano e, se si tratta di documenti, di estrane copia. Il P.M. può disporre con decreto motivato, per gravi motivi, che l’esercizio di tale facoltà sia ritardato per non oltre 30 giorni. Accesso ai luoghi – Nel corso delle investigazioni, il difensore o i suoi ausiliari possono avere necessità di visionare i luoghi o le cose pertinenti al reato. Al difensore sono permesse quelle attività che escludono ogni alterazione dello stato dei luoghi o delle cose. Questi esami hanno un esito, ma non necessariamente la redazione di un verbale.Quando tali attività concernono luoghi pubblici o aperti al pubblico, il difensore non incontra alcun ostacolo: i problemi sorgono quando l’accesso riguarda luoghi privati o non aperti al pubblico; in tal caso egli deve sollecitare il consenso di chi ne ha la disponibilità; se il consenso non è dato, il difensore può chiedere l’intervento del giudice, il quale autorizza l’accesso con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità F 0 E 0Non è consentito l’accesso ai luoghi di abitazione o alle loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. La consulenza tecnica privata al di fuori dei casi di perizia La legge 397/200 ha riconosciuto alle parti il diritto di avvalersi dell’opera di consulenti tecnici per l’analisi e la valutazione del materiale già noto agli organi di indagine pubblica; in tal modo si è escluso che, in ambito tecnico-scientifico, la parte pubblica possa nascondere elementi probatori anche alle parti private. Tale potenziamento è avvenuto in due direzioni: 1) Il legislatore ha ampliato i poteri partecipativi della difesa, permettendo al difensore, mediante un proprio esperto, di venire a conoscenza e di operare valutazioni sul materiale raccolto dal P.M.. 2) Il legislatore ha previsto la possibilità che la difesa proceda, in piena autonomia ed in alternativa al P.M., al compimento di atti irripetibili. Per quanto concerne il primo punto, i poteri partecipativi, la nuova disciplina opera su tre fronti: •Consente al consulente della difesa di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano; i rilievi devono essere tali da non comportare un’alterazione irreversibile dell’oggetto. •Permette al consulente di intervenire alle ispezioni compiute dagli organi di accusa. •Prevede la facoltà di esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. In queste ipotesi, il consulente tecnico può intervenire solo se autorizzato dall’autorità giudiziaria. Rilievi ed accertamenti tecnici compiuti dal difensore Indagato ed offeso, mediante i rispettivi difensori possono nominare consulenti tecnici di parte al fine di svolgere investigazioni specialistiche al di fuori della perizia e anche se non è stata disposta perizia. I rilievi sono quegli atti “urgenti” che non implicano né una valutazione di tali dati, né una modificazione dello stato delle cose: l’urgenza è data dal fatto che i dati sono soggetti ad alterazione per il passaggio del tempo. Gli accertamenti tecnici sono attività di acquisizione e valutazione compiute su persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, ovvero attività che determinano esse stesse la modifica di cose, luoghi o persone. Gli atti non ripetibili sono quegli atti che non potranno essere fruttuosamente esperiti in dibattimento. L’irripetibilità può essere: • Legata al concetto di urgenza, conseguente al naturale deperimento ad opera di agenti naturali o comunque estranei al procedimento penale. Tali atti, se non sono ripetibili in dibattimento a causa del fisiologico corso del tempo, sono fruttuosamente esperibili più di una volta da soggetti diversi. • Assoluta in quanto consegue all’esperimento dell’atto stesso, sicché esso non può più essere utilmente compiuto. La parte che procede all’atto può ledere il diritto alla prova spettante alle controparti. L’unico limite al potere decisionale del giudice consiste nel fatto storico enunciato nell’imputazione: il giudice può dare al fatto storico una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza; pertanto può modificare solo il titolo di reato. Gli atti preliminari al dibattimento La fase degli atti preliminari al dibattimento ha inizio nel momento in cui la cancelleria del giudice competente riceve il decreto che dispone il giudizio ed il fascicolo per il dibattimento, e termina nel momento in cui, in udienza, il presidente dell’organo giudicante dichiara aperto il dibattimento. Il compito di fissare la data dell’udienza dibattimentale è demandato al giudice dell’udienza preliminare. La fase degli atti preliminari al dibattimento svolge varie funzioni. La funzione che viene necessariamente espletata è quella di svelare quali sono i testimoni, consulenti tecnici, periti ed imputati connessi dei quali una parte intende chiedere l’ammissione in dibattimento al momento delle richieste di prova. In base all’art. 468, c.1, le parti che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati connessi o collegati devono depositarne in cancelleria la lista, almeno 7 giorni prima della data fissata per il dibattimento àIl codice impone un onere di svelare in anticipo in mezzi di prova dichiarativa; se l’onere non è osservato, scatta la sanzione della inammissibilità. La funzione della lista è di: a) assicurare una previa conoscenza alle altre parti, in modo da evitare le prove a sorpresa; b) mettere in grado ciascuna delle parti di esercitare il proprio diritto all’ammissione della prova contraria; c) permettere alle parti di preparare il controesame che intendono svolgere nei confronti dei dichiaranti. La fase degli atti preliminari al dibattimento può svolgere altre tre funzioni eventuali. La prima funzione che può essere eventualmente svolta dalla fase degli atti preliminari al dibattimento è quella di ottenere dal presidente del collegio giudicante l’autorizzazione alla citazione dei testimoni, consulenti tecnici, periti ed imputati connessi. Le parti potrebbero, in relatà, presentare testimoni e consulenti tecnici direttamente in udienza. Tuttavia, se vogliono renderne obbligatoria la presenza, hanno l’onere di chiederne la citazione. Il presidente deve in ogni caso disporre la citazione del perito nominato nell’incidente probatorio. Essa può permettere l’assunzione di prove “urgenti”, e cioè non rinviabili al dibattimento: qualora il presidente accolga la richiesta, le prove urgenti sono assunte in una vera e propria udienza dibattimentale anticipata, che si celebra con la presenza del pubblico. Essa può permettere la pronuncia di una sentenza anticipata di proscioglimento nei casi nei quali l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita: questa sentenza può essere emessa solo quando, per accertare l’improcedibilità o l’estinzione del reato, non è necessario assumere prove in dibattimento; occorre inoltre che l’imputato ed il P.M. non si oppongano. La sentenza di non doversi procedere è inappellabile. Una volta emesso il decreto che dispone il giudizio, il P.M. ed il difensore delle parti private e dell’offeso possono compiere attività integrative di indagine con esclusione degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore di questo; si possono dunque assumere quegli atti per i quali non occorre dare preavvisi; ove debba invece essere assunto un atto che prevede il contraddittorio e tale atto non è rinviabile al dibattimento, non vi è altro strumento che l’assunzione della prova “urgente”. Le indagini integrative sono sottoposte ad un contraddittorio successivo. La documentazione delle indagini integrative è inserita nei fascicoli del P.M. e del difensore soltanto quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest’ultimo le ha accolte (art. 433, c.3). I poteri di direzione del dibattimento spettano al presidente, viceversa, i poteri decisori spettano all’intero collegio. L’udienza è il tempo di una singola giornata dedicato allo svolgimento di uno o più processi. Il dibattimento è la trattazione in udienza di un determinato processo. Il verbale di udienza è redatto dall’ausiliario che assiste il giudice ed è inserito nel fascicolo per il dibattimento. Devono essere riprodotte non solo le risposte, ma anche le domande rivolte alla persona esaminata. Valgono per il dibattimento le tre forme di redazione del verbale previste l’art. 134. Uno dei princìpi fondamentali del dibattimento è la pubblicità delle udienze, la quale concerne la possibilità che il comune cittadino conosca quanto si svolge in dibattimento. Pubblicità immediata – si realizza quando soggetti estranei al processo sono presenti in aula ed assistono direttamente all’udienza. Essa subisce un’eccezione quando il giudice dispone che si proceda a porte chiuse in presenza di ipotesi tassativamente previste dalla legge. La decisione di procedere a porte chiuse per l’intero dibattimento (o per alcune parti di esso) non costituisce per il giudice l’espressione di una facoltà, bensì di un dovere imposto dalla legge. Si deve procedere a porte chiuse ed è altresì vietata la pubblicazione degli atti del dibattimento, per esempio, quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell’autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello Stato (art. 472, c.1); quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati (art. 472, c.3). Pubblicità mediata – si attua attraverso la possibilità di pubblicare gli atti del dibattimento tramite la stampa o altro mezzo di diffusione. Essa permette il controllo dell’opinione pubblica sul funzionamento della Giustizia, e costituisce una forma di manifestazione del pensiero mediante la cronaca e la critica giudiziaria. L’art. 147 disp. att., rubricato “Riprese audiovisive dei dibattimenti”, stabilisce che ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza o alla decisione. Il codice prevede dunque il requisito del consenso delle parti, tuttavia, egli non ha l’obbligo di sentirle preliminarmente, né di avvisarle che hanno la facoltà di non consentire; se le parti tacciono, perché ignare di tale facoltà, si ritiene che consentano implicitamente. Se una delle parti non consente, di regola, il giudice non può autorizzare la ripresa o la trasmissione. L’autorizzazione può comunque essere data, anche senza il consenso delle parti, quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto. Non possono in ogni caso essere autorizzate le riprese o le trasmissioni dei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse. Principio del contraddittorio – Esso è attuato, nel suo significato debole, negli atti garantiti durante la fase delle indagini preliminari e, nel suo significato forte, nella fase del dibattimento. significato debole – il principio assicura il diritto del difensore ad essere presente ad un atto di indagine o a conoscere il relativo verbale. significato forte – comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova; per la prova orale la partecipazione avviene attraverso lo strumento dell’esame incrociato. L’attuazione piena del principio del contraddittorio necessita che alle parti sia riconosciuta tutta una serie di diritti strumentali: diritto ad ottenere dal giudice l’ammissione della prova; diritto ad ottenere l’ammissione della prova contraria rispetto alla principale; diritto di porre le domande nell’esame diretto e nel controesame L’esercizio del diritto di porre domande è controllato dal presidente dell’organo collegiale, che valuta la pertinenza e l’ammissibilità della singola domanda. Principio di oralità – Per oralità si intende la forma verbale di comunicazione del pensiero consistente nella pronuncia di parole destinate ad essere udite. Ciò che è espresso oralmente può essere oggetto di documentazione. L’oralità è la regola che il codice di procedura penale accoglie per le dichiarazioni. Vi sono comunque prove che non sono “orali”, come tutte le prove reali (corpo del reato, cose pertinenti al reato e i documenti, tutte le attività compiute e non più ripetibili). Principio di immediatezza – Esso comporta un rapporto privo di intermediazione tra l’acquisizione delle prove e la decisione dibattimentale. Il principio di immediatezza può essere scisso in due corollari. In primo luogo, deve esservi identità fisica tra il giudice che decide ed il giudice di fronte al quale si svolge il dibattimento. L’art. 525, c.2 dispone infatti che alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. In secondo luogo, in base all’art. 526, la decisione deve essere basata sulle prove che sono state acquisite in tale fase. Il principio vale per tutte le prove legittimamente acquisite nel dibattimento, non solo quelle assunte oralmente. Principio di concentrazione – Esso impone che non vi siano intervalli di tempo tra l’assunzione delle prove in udienza, la discussione finale e la deliberazione della sentenza. Tale principio è posto dall’art. 477, c.1, secondo cui, quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo. L’art. 525, c.1 dispone poi che la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento. Il rafforzamento del sistema punitivo e la semplificazione dei meccanismi processuali sarebbero stati inutili, se non si fossero liberate corsie preferenziali per i reati più gravi. Il legislatore ha individuato un meccanismo, consistente nel rendere palese l’opera di scrematura dei reati, mediante la regolamentazione di un istituto denominato “rinvio della trattazione dei processi”. Il rinvio deve avere ad oggetto i reati commessi fino al 2 maggio 2006, in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l’applicazione del’indulto, quando la pena eventualmente da infliggere può essere contenuta nei limiti di tre anni. Il rinvio è operato dai dirigenti degli uffici giudicanti, i quali possono individuare criteri e modalità di trattazione dei processi. Il rinvio non può avere durata superiore a 18 mesi e il termine di prescrizione del reato rimane sospeso per tutta la durata del rinvio. La parte civile costituita può trasferire l’azione in sede civile. È fatto divieto di procedere al rinvio se l’imputato si oppone o se è già stato dichiarato chiuso il dibattimento. Gli atti introduttivi al dibattimento Costituzione delle parti – in udienza, prima che il dibattimento inizi, si svolgono alcune attività che fanno parte ancora degli atti preliminari al dibattimento stesso. Tali attività consistono nel controllo della regolare costituzione delle parti (compiuto dal presidente del collegio giudicante) e nella discussione di eventuali questioni preliminari che siano state sollevate dal P.M. o dai difensori delle parti. Il presidente controlla se vi sono le condizioni indispensabili per la costituzione in giudizio delle parti; se il difensore dell’imputato non è presente nonostante l’avviso, il presidente designa come sostituto un altro difensore. È questo il termine ultimo entro il quale il danneggiato dal reato ha facoltà di costituirsi parte civile, comparendo per mezzo di un difensore. Il codice vuole garantire in modo rigoroso il diritto dell’imputato a partecipare al processo; ove l’imputato non sia presente, impone al giudice di accertare che ciò sia dovuto ad una scelta volontaria e non dipendente da una mancanza di conoscenza incolpevole del decreto che dispone il giudizio à Il giudice deve valutare le cause di assenza dell’imputato; se l’assoluta impossibilità a comparire è dovuta a legittimo impedimento dell’imputato, il giudice deve disporre il rinvio ad una nuova udienza ed ordinare la rinnovazione della citazione. Se risulta che non vi è stata assoluta impossibilità a comparire (e che quindi l’assenza è volontaria), il giudice dichiara la contumacia dell’imputato; quest’ultimo è rappresentato dal difensore. Il giudice può disporre l’accompagnamento coattivo dell’imputato contumace, quando la sua presenza è necessaria per l’assunzione di una prova diversa dall’esame. Se l’imputato dichiarato contumace compare prima della decisione, il giudice deve revocare l’ordinanza. Quando il giudizio è concluso e la sentenza è depositata in cancelleria, al contumace è notificato l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza.
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