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“Schemi” puntati modulo A letteratura italiana A. Manganaro, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Schemi puntati sugli argomenti del modulo A di letteratura italiana, corso di lettere di UNICT, tenuto dal professore A. Manganaro Gli appunti vanno da A.1 ad A.2

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 03/01/2023

limonielavanda
limonielavanda 🇮🇹

4.5

(56)

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Scarica “Schemi” puntati modulo A letteratura italiana A. Manganaro e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Già mai non mi conforto, Rinaldo D’Aquino XIII secolo Già mai non mi conforto Ormai non trovo più pace nè mi voglio ralegrare. né mi interessa cercare di rallegrarmi. Le navi son giute a porto Le navi sono giunte al porto e [or] vogliono col[l]are. e stanno per issare le vele. Vassene lo più gente Il più nobile degli uomini in terra d’oltramare se ne va in terra d'oltremare ed io, lassa dolente, ed io, triste e sofferente, como degio fare? cosa debbo fare? Vassene in altra contrata Egli se ne va in un altro paese e no lo mi manda a diri senza nemmeno mandare qualcuno a dirmelo, ed io rimagno ingannata: ed io resto ingannata: tanti sono li sospiri, sono tanti i sospiri che mi fanno gran guerra che non mi danno pace la notte co la dia, di giorno e di notte, nè ’n celo ned in terra non mi sembra di stare non mi par ch’io sia. né in cielo né in terra. Santus, santus, [santus] Deo, Santo, santo, santo Iddio, che ’n la Vergine venisti, che ti sei incarnato nella Vergine Maria, salva e guarda l’amor meo, salva e proteggi l'amor mio, poi da me lo dipartisti. dal momento che lo hai allontanato da me. Oit alta potestade O Dio temuta e dot[t]ata, potentissimo e temuto, la mia dolze amistade ti raccomando ti sia acomandata! Il mio dolce amico. La croce salva la gente Quella stessa croce che salva la gente e me face disviare, a me fa invece smarrire; la croce mi fa dolente la croce mi fa soffrire e non mi val Dio pregare. e a nulla mi vale pregare Dio. Oi croce pellegnina, O croce dei pellegrini, perchè m’ài sì distrutta? perché mi hai distrutta a questo modo? Oimè, lassa tapina, Ohimè, misera infelice, chi ardo e ’ncendo tut[t]a! che ardo d’amore! Lo ’mperadore con pace L’imperatore con la pace tut[t]o l[o] mondo mantene governa tutto il mondo ed a me[ve] guerra face, ma a me fa la guerra, chè m’à tolta la mia spene. Perché mi ha portato via la mia speranza, Oit alta potestate O Signore temuta e dottata onnipotente e temuto, la mia dolze amistate a voi raccomando il mio dolce amico! vi sia acomandata! Quando la croce pigliao, Certo (a ciò che accade ora) non pensai certo no lo mi pensai, quando prese la croce, quelli che tanto m’amao colui che tanto mi amò ed illu tanto amai, e che io tanto amai, chi [eo] ne fui bat[t]uta al punto di essere picchiata, e messa en pregionia rinchiusa e in celata tenuta e tenuta segregata per la vita mia! per causa del mio amore. Le navi sono collate Le navi hanno già spiegate le vele, in bonor possano andare che col vento favorevole possano andare con elle la mia amistate e con esse l’amor mio e la gente che v’à andare! e tutti quello che devono andare. [Oi] padre criatore, O Padre creatore, a porto le conduci. guidale sicure alla meta, chè vanno a servidore dal momento che vanno de la santa Cruci. a servire la Santa Croce. Però ti prego, Duccetto, Però ti prego, (Rinalduccio?), [tu] che sai la pena mia, tu che conosci il mio dolore, che me ne faci un sonetto facci sopra un sonetto e mandilo in Soria. e mandalo in Siria. Ch’io non posso abentare Che io non posso trovar pace [la] notte nè [la] dia: né di giorno né di notte: in terra d’oltremare laggiù, in terra d’oltremare, sta la vita mia ! si trova il mio amore! Rinaldo D’Aquino (Montella 1227/28-1279/81) - Poeta che appartiene alla scuola siciliana di Federico II - Di lui restano un sonetto e 12 canzoni Poesia: - Poesia composta alla corte di Federico II di Svevia - Poesia dedicata alla sesta crociata (1227-1229) - È una canzonetta, variante della canzone provenzale (ebbe successo nel 600 e 700) - Racconta di una donna il cui amato parte per la crociata in guerra santa - L’imperatore e la croce hanno ingannato la donna sottraendogli il suo amore - Questo la condanna alla pena, al languore, alla prigionia alla solitudine La canzonetta è contro la guerra - La canzonetta è contro la guerra, come le donne che con i bambini portano il peso di questo orrore - Canzonetta di 8 strofe, ciascuna di 8 versi, quadripartiti in piedi e volte (ottonari) - Schema ritmico: AB, AB, CD, CD - Il testo è strofico (stesso numero di versi dello stesso tipo, nello stesso ordine e con lo stesso schema ritmico) - Sirma di tre settenari seguiti da un senario o da un settenario - Il registro è popolareggiante - Protagonista è la donna, e il suo amore che parte per la crociata, è lei a parlare - La croce simbolo di salvezza a lei provoca dolore e tormento 1. GUERRA OGGETTIVA E GUERRA SOGGETTIVA - Guerra oggettiva: si combatte tra eserciti e tra i singoli soldati - Guerra soggettiva: si combatte nell’interiorità di ciascuno - Tasso esplora la dimensione psicologica ed emotiva dei suoi personaggi - È nello scontro oggettivo che il personaggio risolve la propria guerra interiore e viceversa 2. LA GUERRA È AMBIVALENTE - Per Tasso la guerra è manifestazione di forza, eroismo e autoaffermazione personale - È atroce e disumana fonte di sofferenza e lutto - Tasso vuole trasmettere la dimensione dolorosa della guerra 3. L’INSENSATEZZA DELLA GUERRA - Il punto di vista di Tasso mette a fuoco la distinzione del campo di battaglia ricoperto da cadaveri di vinti e vincitori - Lo scintillio delle armature e i fregi lasciano il posto a corpi morti, sventrati e scomposti - Armi rotte e calpestate in un bagno di sangue - Si pone l’accento sulla legittimazione dell’annientamento del nemico per conquistare il Santo Sepolcro - La vittoria dei crociati è priva di toni trionfalistici e di ideali cortesi e cavallereschi - Connaturata all’esistenza la guerra è una condizione antologica “Il canto di Ulisse”, Se questo è un uomo (1947) Primo Levi «Pikolo mi diede una delle due stanghe, e ci incamminammo sotto un chiaro cielo di giugno. Cominciavo a ringraziarlo, ma mi interruppe, non occorreva. Si vedevano i Carpazi coperti di neve. Respirai l'aria fresca, mi sentivo insolitamente leggero. […] Il rancio si ritirava a un chilometro di distanza; bisognava poi ritornare con la marmitta di cinquanta chili infilata nelle stanghe. Era un lavoro abbastanza faticoso, però comportava una gradevole marcia di andata senza carico, e l'occasione sempre desiderabile di avvicinarsi alle cucine. Rallentammo il passo. […] Parlavamo delle nostre case, di Strasburgo e di Torino, delle nostre letture, dei nostri studi. Delle nostre madri: come si somigliano tutte le madri! Anche sua madre lo rimproverava di non saper mai quanto denaro aveva in tasca; anche sua madre si sarebbe stupita se avesse potuto sapere che se l'era cavata, che giorno per giorno se la cavava. [per Pikolo] è indifferente parlare francese o tedesco? È indifferente, può pensare in entrambe le lingue. È stato in Liguria un mese, gli piace l'Italia, vorrebbe imparare l'italiano. Io sarei contento di insegnargli l'italiano: non possiamo farlo? Possiamo. Anche subito, una cosa vale l'altra, l'importante è di non perdere tempo, di non sprecare quest'ora. […] … Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto. …. Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la ragione, Beatrice è la Teologia. Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato: Lo maggior corno della fiamma antica Cominciò a crollarsi mormorando, Pur come quella cui vento affatica. Indi, la cima in qua e in là menando Come fosse la lingua che parlasse Mise fuori la voce, e disse: Quando... Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l'esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere «antica». E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sì Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: «... la piéta Del vecchio padre, né 'l debito amore Che doveva Penelope far lieta...» sarà poi esatto? ... Ma misi me per l'alto mare aperto. Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché «misi me» non è «je me mis», è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l'orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c'è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. […] «Mare aperto». «Mare aperto». So che rima con «diserto»: «quella compagna Picciola; dalla qual non fui diserto», ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d'Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi: … Acciò che l'uom più oltre non si metta. «Si metta»: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:- Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir virtute e conoscenza. Come se anch'io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle. Li miei compagni fec'io sì acuti… […] ... Quando mi apparve una montagna, bruna Per la distanza, e parvemi alta tanto Che mai veduta non ne avevo alcuna. Sì, sì, «alta tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano.., le montagne … oh Pikolo, Pikolo, di' qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino! Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda. Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. […] E tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere: Tre volte il fe' girar con tutte l'acque, Alla quarta levar la poppa in suso E la prora ire in giù, come altrui piacque... Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell‘intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui .... Siamo oramai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. - Kraut und Rüben? - Kraut und Rüben? Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: - Choux et navets. - Káposzta és répak. Infin che 'l mar fu sopra noi rinchiuso. Analisi: - Jean è un compagno di prigionia di Levi a cui i tedeschi hanno affidato l’incarico di “pikolo” - Pikolo: aveva varie mansioni tra cui trasportare il rancio per il proprio gruppo di internati - Jean poteva scegliere una persona per aiutarlo, poiché il suo lavoro era molto pesante per una sola perona - Sceglie Levi, che nel tragitto fino alle cucine gli tiene una lezione - Jean parla perfettamente il francese e il tedesco (ha origini alsaziane), chiede a Levi di insegnargli l’italiano - Levi usa come approccio il XXVI canto dell’inferno, ovvero “Il canto di Ulisee” - Il canto servirà per fare una riflessione sulle condizioni dei deportati in un campo di concentramento - Jean e Levi ricordano la propria vita prima del campo di sterminio - L’obiettivo nazista è quello di rendere l’uomo un animale, privandolo di un’identità e annientandone la dignità - il “darsi pace” del titolo, è il problematico esito di un conflitto, con sé e con gli altri - la vita del soldato è troncata, e l’esistenza della donna è tormentata - ella resta sola, priva di notizie, sospettando l’abbandono - la protagonista ritorna nel luogo dove ebbe inizio la novella, ma con un altro uomo - perché la vita è una ripetizione di gesti, e il tempo finisce con logorare anche i sentimenti e gli affetti più cari - in assenza del corpo del caduto, e dunque di una tomba, la donna per debellare la gelosia del nuovo amante gli mostra il certificato di morte del fidanzato - la memoria del caduto in guerra non viene preservata, ma è un fastidioso intralcio per chi continua a vivere - la morte in guerra si dimostra priva di senso - l’insensatezza della guerra per Verga si rivela un Epopea spicciola (1893) Ragazzo di zinco (1992) di Svetlana Aleksievic: - la guerra narrata nel romanzo è abbastanza recente - viene esclusa dall’epicizzazione perché diversa dal termine di paragone della storia russa, la “grande guerra patriottica” di liberazione dal nazismo (testimoniata dal punto di vista femminile in un altro libro dell’autrice) - la guerra in Afghanistan fu una guerra di occupazione (vedeva coinvolta una superpotenza contro un paese del Terzo Mondo) - per l’Afghanistan partirono dall’ex unione sovietica un milione di ragazzi e ragazze - i corpi ritornarono in patria in bare di zinco, sigillate e consegnate ai familiari che potevano seppellirle ma senza vedere i corpi dei caduti - la narrazione è resa tramite le voci dei testimoni - in parte sono superstiti, per la maggior parte sono però donne che hanno atteso invano il ritorno dei soldati partiti per il fronte - l’opera dell’Aleksievic non rientra nella fictio realistica, ma nella non fiction, con l’intento di dare voce alle molteplici esperienze individuali, di vite vissute - chi narra, oltre a non essere un personaggio, ha come destinatario non il lettore ma chi ascolta, chi coglie la confessione - a narrare è la pluralità di voci ascoltate dall’autrice e poi riportate nelle sue scritture - la non fiction contemporanea da un assunto di verità, è paradossalmente più storica dello storico - l’aver vissuto o meno l’esperienza della guerra, nella sua essenza primordiale, determina tra gli uomini una linea di demarcazione antropologica - le persone che non hanno mai visto un uomo uccidere un altro uomo, sono diverse da coloro che l’hanno fatto - di questo ci avverte anche una delle voci riportate dall’autrice - a ciò è connessa la difficoltà del narrare la guerra - chi ha avuto l’esperienza diretta della guerra possiede un sapere che gli altri non hanno, si può acquisire solo sul campo di battaglia - la Aleksievic ripropone una narrazione polifonica, un montaggio di voci di vite reali, che trovano forma nella tradizione letteraria - il suo modello è ripreso da quello di uno scrittore suo compatriota, Ales’ Adamovic (autore di Io, da un villaggio in fiamme, narrazione composta da voci raccolte dalla realtà) - la Aleksievic ha riportato le affermazioni di Adamovic (che riprende l’affermazione di Adorno sul come fosse impossibile fare poesia dopo Auschwitz), su come avesse avvertito un sacrilegio scrivere prosa d’invenzione dopo gli orrori della guerra - le voci raccolte dall’autrice narrano esperienze che lei traduce in scrittura, però la sua scrittura non assimila le singole voci, ma le distingue, non uniformandole in una massa anonima - le sue narrazioni sono giustapposizioni di racconti orali, di testimoni che narrano fatti vissuti - scrivere tutta la verità su se stessi è, come ha osservato Puskin, fisicamente impossibile, per questo l’autrice sceglie la non fiction, con la consapevolezza dell’inevitabile parzialità di ogni voce raccolta - la scrittrice rifiuta la “selezione” mimetica, e si abbandona a quella che Hegel “cattiva infinità”, l’accumulazione di innumerevoli piccole storie individuali, a cui i narratori per restituire la totalità dovrebbero abbandonarsi - la moltiplicazione quantitativa del “piccolo” tende a sostituire il “grande” - in Ragazzi di zinco emerge l’esperienza della guerra vissuta da coloro che sono ritornati come corpi mutilati, dilaniati nella carne e nello spirito - a levarsi più in alto sono soprattutto le voci delle madri che si sono viste consegnare una bara di zinco contenente un corpo nascosto, non il figlio ma appunto un “ragazzo di zinco” - per le madri dei caduti lo strazio infinito che causa la guerra non avrà mai fine F. De Sanctis, A’ miei giovani, Prolusione al Politecnico di Zurigo, Verso il realismo, a cura di N. Borsellino - De Sanctis ebbe la nomina alla cattedra di letteratura italiana nel Politecnico di Zurigo nel 1856 - Dopo un primo corso estivo sulla Storia della letteratura italiana nel secolo XIV, dava inizio con la suddetta prolusione alle lezioni del primo semestre invernale dell’anno 1856-1857 Dal testo: - La letteratura non è un fatto artificiale, essa risiede all’interno dell’animo umano - La letteratura è il culto della scienza, l’entusiasmo dell’arte, l’amore per ciò che è nobile, gentile e bello - La letteratura educa ad operare non solo per il guadagno da cui se ne potrebbe ritrarre, ma anche per esercitare e nobilitare l’intelligenza - Questa è la vocazione letteraria - L’umanità grazie ai giovani ogni volta si spoglia delle sue rughe e si ribattezza a vita più bella (cioè è come se rinascesse ogni volta, prendendo spunto dal nuovo, dal bello e dal giovane) i giovani sono il futuro - Bisogna discostarsi da coloro che fanno uso della letteratura come se fosse una mercanzia, adoperandola solo per trarne guadagno - La letteratura non è un ornamento sovrapposto alla persona, è il senso intimo di ciò che ciascuno ha di nobile e bello, che fa fuggire da ogni atto vile e brutto - La letteratura pone l’uomo davanti a una perfezione ideale, a cui ogni anima studia per accostarsi - In tutti i tempi civili l’istruzione letteraria è sempre stata alla base della pubblica educazione - La professione che meno ha legame con questi studi è quella dell’ingegnere Appunti: - La prolusione “A miei giovani” è stata letta nel 1856, da De Sanctis al Politecnico di Zurigo - De Sanctis sostiene una lezione di letteratura di fronte ai futuri ingegneri - Egli spiega la grande importanza dell’educazione letteraria e umanistica - La celebre massima “voi prima di essere ingegneri siete uomini” appare tutt’oggi in un basso rilievo al Politecnico di Zurigo (frase enunciata da De Sanctis alla lezione inaugurale del primo semestre invernale dell’anno accademico 1856-57) - Fu una lezione accademica non tradizionale, quasi opposta al mondo rigido della lingua tedesca, abituato al silenzio sepolcrale (De Sanctis scriveva che nelle università tedesche gli applausi fossero proibiti, e i professori senza considerazione degli allievi) - Egli presenta la sua lezione inaugurale, pubblicata in Italia nel 1856, sotto forma di un discorso “amichevole”, dichiarandosi un “maestro zelantissimo del bene”, a cui sta a cuore il bene degli studenti - la lezione è indirizzata “a miei giovani”, ovvero, i suoi allievi - in quei giovani, De Sanctis, non vedeva i liquidatori della classe dirigente precedente - egli vedeva in quei giovani un passaggio di testimone tra generazioni, di un’umanità che ciclicamente si rinnova in un processo tendenzialmente progressivo - nel 1856 si rivolge ad allievi ben diversi rispetto a quelli della sua prima scuola napoletana - i suoi nuovi allievi hanno deciso di seguire le sue lezioni spontaneamente - il Politecnico di Zurigo era una struttura volta all’istruzione della nuova classe dirigente, sullo sviluppo industriale e tecnologico; dunque, il corso di De Sanctis era diverso rispetto agli altri, le sue lezioni erano di fatto facoltative - letteratura, filosofia e storia erano materie non obbligatorie per gli studiosi del Politecnico, tenuti a frequentare le lezioni tecniche - Nell’uso comune il volgare non era parlato da nessuna parte, ma era in uso ovunque, come fonte primaria da cui discendevano tutti i dialetti - Il nome generico della nuova lingua, per essere distinto dal latino, era il “volgare” (cioè la nuova lingua parlata in tutta Italia dal volgo nei suoi dialetti) - Con il ritorno della cultura molti dialetti rimasero comunque rozzi, altri invece si pulirono e svilupparono dagli elementi locali e plebei, prendendo una fisionomia più civile e vicina all’ideale comune, utilizzato ancora come criterio per distinguere fra loro i dialetti più o meno conformi allo stampo del volgare - Proprio della cultura è: 1) suscitare nuove idee e bisogni meno materiali, 2) formare una classe di cittadini educata e civile, 3) mettere in comunicazione la suddetta classe con la cultura straniera 4) avvicinare e accumunare le lingue sviluppando in esse ciò che vi è di comune. - La cultura italiana produsse un doppio fenomeno: la restaurazione del latino e la formazione del volgare - Le classi più civili iniziarono a scrivere in un latino meno scorretto, e iniziarono anche a esprimere i sentimenti intimi e familiari della nuova vita - Lasciarono alla plebe i dialetti - Si cercarono forme più gentili nel linguaggio, il dialetto s’intravedeva ancora ma si notava anche uno sforzo per allontanarsene e prendere gli usi che più si addicevano alla gente educata, che meglio li distinguevano dalla plebe - Questo linguaggio si forma con facilità nei grandi centri di cultura (che avvicinava le classi colte) - Questo avvenne a Palermo, nella corte di Federico II, dove convivevano siciliani, pugliesi, toscani, romagnoli, ecc… - Il dialetto siciliano era sopra agli altri, come lo confessa persino Dante - In Sicilia vi era un volgare cantato e scritto, esso non era più il dialetto siciliano, ma non era ancora nemmeno la lingua italiana; ma è certamente una lingua comune a tutti i rimatori italiani - Esso diviene il linguaggio delle persone civili Centro culturale in Italia nel 1200: - La Sicilia aveva avuto 2 grandi epoche di cultura: 1) l’araba: che portò il mondo fantastico 2) la normanna: che portò il mondo cavalleresco germanico (i normanni ebbero parte alle Crociate) - In Sicilia, più che in altre parti d’Italia, viveva la grande epoca dei canti dei trovatori, delle novelle orientali, del mito della Tavola Rotonda; il contatto con queste culture straniere aveva risvegliato al sud la cultura e la vita intellettuale e morale - La Sicilia divenne il centro della cultura Italina - Sotto Federico II, l’Italia aveva come capitale colta Palermo - Tutti gli scrittori si chiamavano “siciliani” - Scrivevano in un latino meno rozzo, più ricercato e pretenzioso (i sentimenti e le idee nuovi venivano espressi nel “romano rustico”, fondo comune di tutti i dialetti e divenuto il parlare della gente colta, il volgare, il più simile al latino La Commedia: - Dante entrando nel regno dei morti vi porta tutte le passioni dei vivi - Egli dimentica di essere un simbolo o una figura allegorica, - Dante diviene l’individualità più potente di quel tempo - Egli rappresenta l’esistenza dell’epoca con le sue astrattezze, le sue estasi, con le sue passioni impetuose, con la sua civiltà e barbarie - Alla vista e alle parole dell’uomo vivo, le anime rinascono per un istante, risentendo l’antica vita ritornano uomini - La poesia abbraccia tutta la vita, cielo e terra, tempo ed eternità, umano e divino - Il poema soprannaturale diviene umano e terreno, con la propria impronta dell’uomo e del tempo - Riappare la natura terrestre come opposizione o paragone - Riappaiono la storia e la società nella loro vita esterna e interiore - Spunta la tradizione virgiliana, con Roma come capitale del mondo e la monarchia prestabilita - Così la vita s’integra, l’altro mondo esce dalla sua astrazione dottrinale, cielo e terra si mescolano - Dante è spettatore, attore e giudice - La vita vista dall’altro mondo acquista nuove attitudini, sensazioni e impressioni - L’altro mondo visto dalla terra veste le sue passioni e i suoi interessi - Sono due mondi onnipresenti che si succedono, s’incrociano, si spiegano e s’illuminano a vicenda, in un perpetuo ritorno l’uno dell’altro - La loro unità è nella stessa materia, unità interiore e impersonale, vivente indivisibile unità organica, in cui momenti si succedono nello spirito del poeta - Cielo e terra sono termini correlativi, l’uno non è senza l’altro, la loro unità è nella stessa materia, unità interiore e impersonale, vivente indivisibile unità organica, i cui momenti si succedono nello spirito del poeta - Cielo e terra sono termini correlativi, l’uno non è senza l’altro: il puro reale e il puro ideale sono due astrazioni - Ogni uomo porta con sé il suo inferno e il suo paradiso - Poiché i due mondi sono la vita stessa nelle sue due facce, si viene a sviluppare un antagonismo: l’altro mondo rende i corpi ombre, ma in quelle ombre freme ancora la carne, trema il desiderio - Gli uomini con le proprie passioni, vizi e virtù rimangono eterni, come statue, in quell’espressione d’odio, di sdegno, di amore, che sono stati colti dall’artista - La Commedia contiene al suo interno svariati generi, dunque non è facilmente classificabile (contiene materia epica ma non è epopea, vi è lirica ma non è lirica, ha un’impostazione drammatica ma non è dramma; al suo interno contiene tutte le forme poetiche, nessun genere di poesia vi è distinto ed esplicato: l’uno entra nell’altro, l’uno si compie nell’altro) - I vari generi sono fusi tra di loro in maniera tale che nessuno può capire dove finisca uno e inizi l’altro - È il contenuto universale di cui tutte le poesie sono frammenti, il “poema sacro”, l’eterna logica della creazione incarnata nei tre mondi cristiani - La sfera immobile del mondo teologico, entro di cui si muovono tempestosamente tutte le passioni umane - L’idea che anima la mole e genera la sua vita è il concetto di salvazione, la via che conduce l’anima dal male al bene, dall’errore al vero - È il concetto cristiano e moderno dell’unità di Dio sostituita alla pluralità pagana - La vita è un antagonismo, una battaglia tra carne e spirito, tra Dio e il demonio - La sua storia è la vittoria dello spirito, la consapevolezza e libertà sotto le forme in cui vive, il suo scorporarsi e idealizzarsi fino a Dio; assoluto spirito, la Verità, la Bontà. - Il concetto dantesco è dunque la progressiva dissoluzione delle forme, un costante elevarsi da carne a spirito, l’espiazione e il dolore, la collisione tra satanico e divino, l’inferno e il paradiso - Omero trasporta gli Dei in terra e li materializza; Dante trasporta gli uomini nell’altro mondo e li spiritualizza - I fatti umani si riproducono come fantasmi dinnanzi alla memoria, la Terra è una rimembranza che fluttua come una visione, il reale, il presente e l’infinito spirito - Questo assottigliamento è progressivo: il velo si fa sempre più trasparente - L’inferno è la sede della materia, il dominio della carne e del peccato - La pena non modifica i caratteri e le passioni, il peccato continua anche nell’altro mondo e s’immobilizza in quelle anime incapaci di pentimento: peccato eterno, pena eterna - Nel Purgatorio cessano le tenebre e ricompare il sole, la luce dell’intelletto, lo spirito sciogliendosi dallo sporco si avvia al compiuto possesso di sé, alla salvezza - Nel Paradiso l’umana persona scompare, tutte le forme si sciolgono e s’innalzano a luce, più si va e più questa gloriosa trasfigurazione s’idealizza. Al cospetto di Dio, l’assoluto spirito, la forma svanisce e non rimane che il sentimento Machiavelli: - Di ogni scrittore muore una parte, e anche di Machiavelli una parte è morta, quella per la quale ha avuto celebrità - È la sua parte più grossolana, è uno scarto quello che di lui viene comunemente considerato vitale - L’Italia viene definita la patria di Dante e di Savonarola, mentre di Machiavelli si tace - Noi italiani stessi non ci identifichiamo più in lui - Viene chiamato “machiavellismo” quello che in realtà nella sua dottrina è mero accessorio, e si è dimenticato quello che vi è di assoluto e di permanente - Così è nato un Machiavelli di convenzione, proposto da un lato poco interessante - Nel Machiavelli vi è una logica formale e un contenuto - La sua logica ha come base la serietà dello scopo, da lui chiamata virtù - Essere uomo significa proseguire nei propri scopi, ma nel seguirli gli uomini sbagliano, poiché hanno l’intelletto e la volontà confusi dai sentimenti, e finiscono così per giudicare secondo le apparenze - Sono spiriti deboli coloro i quali stimano le cose solo attraverso la loro apparenza e non per come esse sono realmente - Per Machiavelli dunque essere un uomo è riuscire a cacciare le apparenze, e proseguire nel proprio scopo con lucidità e fermezza di volontà - Ciò a cui guarda Machiavelli è se l’uomo riesce a rinnovare il proprio stato di declino - Nella sua logica la virtù corrisponde al carattere o alla tempra, mentre il vizio corrisponde alla paura e all’incoerenza - Questo pensiero deve essere di lezione per ogni uomo, cattivo o buono che esso sia; vi s’impara ad essere un uomo prima di tutto - Vi s’impara che la storia, come la natura, non è regolata dal caso, ma da forze intelligenti e calcolabili, fondata sulla concordanza dello scopo che giustifica i mezzi - L’uomo, come essere collettivo, non può essere degno di questo nome se non sia anch’esso una forza intelligente - Assoluti e permanenti sono nel mondo di Machiavelli: 1) la serietà della vita terrestre col suo strumento; 2) il lavoro col suo obbiettivo; 3) la patria col suo principio; 4) l’eguaglianza e la libertà col suo vincolo morale; 5) la nazione col suo fattore; 6) lo spirito o il pensiero umano immutabile e immortale col suo organismo; 7) lo stato autonomo e indipendente con la disciplina delle forze con l’equilibrio degli interessi - Il fondamento scientifico di questo mondo è la cosa effettuale per come viene posta dall’esperienza e l’osservazione - L’immaginazione, il sentimento e l’astrazione sono dannosi per la scienza, come nella vita - l’attività intellettuale e l’ardore rimasero però privilegio dell’opposizione, poiché dove si trovi sentimento intellettuale, si trova anche opposizione - e la storia di questa opposizione non è altro che la storia della ricostruzione della coscienza nazionale - nella scienza non vi era nulla: non Dio, non patria, non famiglia, non umanità - non vi era più nemmeno la negazione, anch’essa vita, anzi vi era una simulazione dei più nobili sentimenti con la più profonda indifferenza - bisogna mirare agli uomini nuovi, zelo della verità e del sapere, i primi uomini del mondo nuovo che avrebbero portato in seguito alla formazione di una nuova Italia e di una nuova letteratura - Giordano Bruno cominciò come poeta, egli aveva una vasta immaginazione e spirito, due qualità alla base dei poeti e letterati - Bruno aveva qualità eccezionali che trovavano sfogo nei suoi studi, egli aveva di fatto la visione intellettiva, e aveva sviluppatissima la facoltà sintetica - Egli però non era di ugual forza nell’analisi, non mostrava pazienza e sagacia d’investigazione - È però grazie alla sua sofisticata acutezza d’ingegno che fa di lui l’ultimo degli scolastici nelle argomentazioni - Supplisce all’analisi con l’immaginazione (spesso le sue idee sono immagini, e le sue speculazioni sono fantasie e allegorie) - Era un filosofo, attraversato da forme poetiche che gli guastano la visione e lo dispongono a costruire egli stesso il mondo - La sua conoscenza è vasta, e si dimostra dimestico dei filosofi greci e di quelli contemporanei (il suo preferito si dimostra essere Pitagora) - I migliori ingegni emigravano al tempo dell’Inquisizione, e Bruno era frate e domenicano, come egli uscì dal convento s’ignora, ma a quel tempo bastava poco per essere considerato eretico - Bruno fuggì a Ginevra dove trovò un Papa ancora più intollerante - Fuggi allora a Tolosa, a Lione e a Parigi ebbe una tregua, dove pubblicò il suo primo lavoro nel 1502 - Nella commedia “Il Candelaio”, Bruno vi sfoga le sue qualità poetiche e letterarie - La scena è a Napoli, la materia è il mondo plebeo, il concetto è l’eterna lotta tra gli sciocchi e i furbi, lo spirito è mosso dal profondo disprezzo e fastidio nei confronti della società, la forma è cinica (sarà la base per la commedia italiana da Boccaccio ad Aretino) - Si chiama “accademico di nulla accademico detto il Fastidio”, nel tempo classico delle accademie il suo titolo è di non essere accademico (Il “fastidio” da la chiave del suo spirito) La nuova letteratura: - La conciliazione tra il vecchio e il nuovo, tollerata come nuova necessità politica, sembrava una profanazione della scienza, una fiacchezza morale - Il sistema non funzionava più: inizia la ribellione - Mancava la fede nella stessa filosofia, ricomparirono il dubbio e il mistero, di questo mistero fu l’eco Giacomo Leopardi con la solitudine del suo pensiero e del suo dolore - Il suo scetticismo annuncia la dissoluzione del mondo teologico-metafisico, e inaugura il regno dell’arido vero - I suoi Canti sono le voci della transizione chiamata “secolo decimonono” - Ciò che ha importanza è l’esplorazione del proprio animo, la virtù, la libertà, l’amore; tutti gli ideali della religione, della scienza e della poesia - Il mistero distrugge il mondo intellettuale, e lascia inviolato il mondo morale - Questa visione tenace di un mondo interno, malgrado la caduta del mondo teologico e metafisico, è l’originalità di Leopardi, e dà al suo scettiscismo un’impronta religiosa - Lo strumento di questa rinnovazione è la critica, - L’idea vivente, calta nel reale - Rimane intatta la critica, ricomincia il lavoro di analisi, vi è un ritorno di Galileo e Vico - La rivoluzione, prima arrestata e divisa in organismi provvisori, riprende la sua libertà - Compaiono: il socialismo in politica e il positivismo in letteratura - Il verbo non è più solo “libertà”, ma anche “giustizia”; la democrazia non solo giuridica ma effettiva - La letteratura si trasforma, rigetta le classi, le distinzioni, e i privilegi - Non vi sono più ne bello ne brutto, non ideale, e non reale, non infinito, e non finito. - L’idea non soprastà al contenuto, il contenuto non spicca rispetto alla forma - Vi è solo il vivente - Dall’idealismo compare il realismo nella scienza, nell’arte e nella storia - Vi è un’ultima eliminazione di elementi fantastici, mistici, metafisici e retorici - La nuova letteratura, rifatta la coscienza, acquista una vita interiore, emancipata da aspetti classici e romantici, eco della vita contemporanea - Essa prende il nome di “letteratura moderna” - L’Italia costretta a lottare per acquistare l’indipendenza e le istituzioni liberali, assiste ora al disfacimento del sistema teologico-metafisico-politico, che le ha dato ciò che le poteva dare - L’ontologia con le sue sintesi aveva oltrepassato le tendenze positive del secolo - Ora ripete sempre le stesse cose, diventa accademica, perché accademica e arcaica è la forma delle dottrine stazionarie - Erede dell’ontologia è la critica, nata con essa, non ancora libera dai temi fantastici, ma con visibile tendenza meno a porre e a dimostrare che a investigare - La monografia prende il posto delle sintesi filosofiche e letterarie - I sistemi sono sospetti, le leggi vengono accolte con diffidenza, niente si ammette più a meno che esso sia risultato di fatti accertati - Accertare un fatto desta più interesse che stabilire una legge - Le idee e i motti che un giorno destavano lotte e passioni, ormai non rispondono più allo stato attuale dello spirito (c’è passato sopra Leopardi) - Quando s’è formata l’Italia, si è anche formato il mondo intellettuale e politico da cui è nata - L’Italia è stata rappresentata fin ora come la sfera della libertà e della nazionalità, da cui n’è nata una filosofia e una letteratura, la quale ha la sua leva fuori di lei - Deve cercare sé stessa, con vista chiara, rifacendosi al pensiero di Galileo e di Machiavelli - In questa ricerca degli elementi reali lo spirito italiano rifarà la sua cultura, restaurerà il suo mondo morale, troverà nella sua intimità nuove forme d’ispirazione: la donna, la famiglia, la natura, l’amore, la libertà, la patria, la scienza, la virtù, come oggetti concreti e familiari divenuti suo contenuto - Una letteratura simile suppone studi originali e diretti in tutti i rami del conoscibile, guidati da una critica libera da preconcetti, paziente ed esploratrice (esplorando ogni singolo aspetto che caratterizza l’uomo: costumi, idee, pregiudizi, qualità buone o cattive) - Questa è la propedeutica della letteratura nazionale moderna Geografia e storia della letteratura italiana C. Dionisotti - Prima dell’ultima guerra tornò il quesito se e fino a quale momento la storia d’Italia potesse definirsi unitaria - Croce pubblicò nei “Proceedings of the British Academy” un saggio in cui ribadiva la tesi, che non fosse possibile parlare di una storia d’Italia anteriore al Risorgimento, risolvendosi essa nella storia delle singole unità politiche, regionali o municipali, in cui l’Italia per secoli era stata divisa -
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