Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

SCHEMI STORIA FILOSOFIA 900, Schemi e mappe concettuali di Filosofia

Riassunto e schemi del corso di filosofia del 900

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 04/11/2022

Fbcrr
Fbcrr 🇮🇹

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica SCHEMI STORIA FILOSOFIA 900 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia solo su Docsity! 5 LEZIONE FILOSOFIA DEL NOVECENTO: 18/12/2020 Con questa lezione incominciamo il 2° filone dedicato alla cosiddetta filosofia analitica, in particolare alle sue origini e ai grandi padri fondatori. In particolare ci concentreremo su Frege, Russel e Wittgenstein. Questa etichetta di filosofia analitica è un’etichetta che viene usata comunemente oggigiorno e spesso la si contrappone alla filosofia continentale. E da un punto di vista storiografico è un’etichetta emblematica, si potrebbe discutere a lungo sulle sue caratteristiche e o se abbia senso isolare la filo analitica rispetto ad altre correnti filosofiche. Altrettanto problematica è l’etichetta di filosofica continentale, che è legata a una determinazione geografica, e già solo per questo sembrerebbe discutibile. Non si dilungherà nel discutere quest’etichetta di filosofia analitica. LA LOGICA: UN PO’ DI STORIA Per il momento diamo per scontato che abbia un senso parlare di filosofia analitica. Le origini della filo analitica sono strettamente legate a importanti sviluppi nella logica che si sono avuti a fine 800 e inizio del 900. Questi sviluppi sono sicuramente importanti per la logica di per sé, ma per la nostra storia generale sono anche importanti perché ne hanno profondamente influenzato le origini. Quindi, per affrontare queste origini e il lavoro dei padri fondatori, avendo un minimo sfondo in cui essi sono collocati, è forse utile spendere alcune parole intorno alla storia della logica fino a quel momento. Sarà quindi un racconto molto coinciso della storia della logica, ma ci servirà per capire perché gli sviluppi della logica tra 800 e 900 siano stati così importanti. La logica ha naturalmente, nel corso della storia della filosofia, una storia molto lunga. Esiste fin dall’antichità. Gli stoici per esempio distinguevano tre grandi branche della filosofia: la logica, la fisica e l’etica. Anche nella filosofia di Aristotele, la logica aveva un ruolo importante. A dire il vero, per Aristotele, la logica non era una vera e propria disciplina quanto piuttosto uno “strumento” = organon. Uno strumento nel senso che essa era uno strumento che doveva servire poi a tutte le altre discipline. Ciò che ora ci interessa è che la logica Aristotelica (logica medievale), che è stata per secoli e secoli la logica per eccellenza (non che non ci siano stati sviluppi e progressi: dal rinascimento inizia a cambiare qualcosa) ha due caratteristiche fondamentali che a noi possono sembrare abbastanza ovvie: è formale e deduttiva. Formale significa che la logica tratta delle leggi del ragionamento indipendentemente dal ragionamento stesso, cioè sono leggi che si applicano indipendentemente dal contenuto specifico del ragionamento. La legge di non contraddizione non è che valga quando parliamo di botanica e non quando parliamo di zoologia: vale indipendentemente dall’argomento specifico. È poi una logica deduttiva, si contrappone quindi alla logica induttiva, cioè riguarda la derivazione necessaria e non ampliativa di conclusioni a partire da premesse. La logica riguarda le inferenze, cioè il ricavare conseguenze a partire da premesse (ciò è quello che fa il sillogismo aristotelico). Ma questa derivazione di conclusioni ha due caratteristiche nel caso della logica deduttiva: è necessaria ( se le premesse sono vere, la conclusione deve essere vera) e non ampliativa (non amplia la nostra conoscenza, nel senso che la conclusione è implicita nelle premesse). Perché è significativo sottolineare queste due caratteristiche? Perché si parla spesso di logica facendo riferimento alla logica induttiva, che non è né necessaria né non ampliativa. È quella in base alla quale, a partire da un certo numero di osservazioni individuali, ricaviamo una certa legge generale. Parliamo di inferenza induttiva. Essa non è necessaria perché le premesse possono non essere vere e neanche la conclusione. Le conclusioni delle inferenze induttive sono solo probabili e ampliative, vale a dire che nella conclusione si afferma qualcosa di più rispetto alle nostre premesse. Invece, nella logica deduttiva la derivazione è necessaria e non ampliativa. Se è vero che le premesse sono vere allora deve essere vera anche la conclusione. La logica aristotelica è deduttiva in questo senso. Per lungo tempo, la logica viene concepita in questo modo: formale e deduttiva. A un certo punto cominciano a diffondersi varie critiche (questo a partire dal rinascimento). La critica maggiore che viene mossa alla logica aristotelica è che essa non è una logica della scoperta. Questo perché non è ampliativa, non ci conduce a fare scoperte nuove. Nel corso dell’età moderna vengono sviluppate cosiddette logiche della scoperta, che ci dovrebbero invece portare a fare nuove scoperte. Metodologie che sono in parte ispirate dalla rivoluzione scientifica dell’età moderna. Si ritiene anche che la logica, in quel senso ristretto aristotelico, sia una disciplina che non ha avuto una grossa evoluzione nel corso del tempo. Una famosissima affermazione in questo senso la trovate nella prefazione della 2° edizione della critica della ragion pura di Kant: “La logica (formale)… a cominciare da Aristotele in poi non ha dovuto fare nessun passo indietro… né ha potuto fare alcun passo avanti, tanto da doversi considerare… conclusa e completa”. Ecco l’opinione di Kant a fine del 700. Può essere che Kant non avesse ragione su tutti i punti, ma questa era un’opinione condivisa da molti. Anche Kant ritiene che non sia così interessante questa logica. Tanto che egli le accoppia quella che lui stesso chiama logica trascendentale, che è un tipo di disciplina completamente diversa. Essa riguarda la formazione di concetti empirici e di concetti puri e in quanto tale è costitutiva della conoscenza. Essa ha la pretesa di costituire conoscenza a differenza di quella di Aristotele. LOGICA: L’OTTOCENTO Andiamo avanti nella nostra storia della logica. Hegel e l’idealismo portano avanti una tendenza che era già stata iniziata da Kant, per cui c’è la logica trascendentale che è costitutiva della conoscenza. A questo si deve aggiungere però, nell’idealismo, che se la conoscenza è a sua volta costitutiva della realtà (tesi fondamentale dell’idealismo) allora la logica stessa è costitutiva della realtà e quindi la logica viene a coincidere con la metafisica. Ovviamente la logica di cui gli idealisti parlano non è quella formale ma trascendentale. Nel corso dell’800, le varie concezioni della logica coesistono tutte quante. C’è chi porta avanti la vecchia concezione aristotelica-scolastica, ci sono gli idealisti, ci sono quelli che mescolano la logica tradizionale con la logica induttiva o con la teoria della conoscenza (molti trattati di logica dell’800 contengono non solo quella che noi oggi chiamiamo logica, ma contengono molte altre cose che metteremmo sotto il titolo di teoria della conoscenza o epistemologia). Questa grande confusione sullo status della logica è stato per esempio così riassunto da Adamson (filosofo scozzese dell’800) in un’opera che doveva dare un’idea dello stato della logica nel 1882: Nel corso dell’Ottocento, le opere di logica divennero così diverse l’una dall’altra da sembrare non le molteplici espressioni della medesima scienza, ma tante scienze diverse”. Molti parlavano di logica, ma spesso intendevano cose molto diverse. A questa varietà di approcci se ne deve aggiungere un altro, perché cominciano a svilupparsi i primi tentativi di una trattazione matematica della logica. A questo riguardo i nomi più significativi sono quelli dei matematici inglesi: George Boole (1815- 1864) e Augustus De Morgan (1806-1871). Quindi una situazione molto complessa e variegata. PSICOLOGISMO Sempre nel corso dell’800 dobbiamo considerare un ulteriore fenomeno che riguarda la logica: lo psicologismo. Di psicologismo abbiamo già parlato con Husserl (psicologismo e anti-psicologismo). In generale quando si parla di psicologismo nella logica si intende: l’identificazione della logica con la psicologia del ragionamento. Se la logica si occupa delle leggi del ragionamento, deve essere concepita come una branca della psicologia. Studia certi processi mentali specifici che sono quelli del ragionamento. Questo tipo di atteggiamento psicologistico è molto comune nel corso dell’800. Alcuni personaggi che possono essere considerati psicologisti: Jakob Friedrich Fries (1773-1843), Friedrich Eduard Beneke (1798- 1854), John Stuart Mill (1806-1873), Christoph von Sigwart (1830-1904). Spesso le loro concezioni filosofiche e le loro ragioni a favore dello psicologismo sono molto diverse. Per esempio trovate Fries e Beneke che arrivano a una posizione di tipo psicologistico partendo dalla filosofia di kant. È la cosiddetta psicologizzazione del trascendentale di Kant. In kant la nozione di trascendentale non aveva nulla di IL PROGETTO LOGICISTA Si può dire che l’opera di Frege sia dominato da un programma logicista. Ma per capire meglio cosa sia il logicismo è bene fare un passo indietro per collocarlo nel quadro della matematica. Questa storia inizia con l’analisi, cioè il calcolo differenziale e integrale, originariamente basato su nozione di infinitesimali. L’analisi è stata inventata da Leibniz e Newton. (Newton ne dava una versione leggermente diversa ma si può fare un discorso analogo) Tuttavia si concentriamo sulla concezione leibniziana che ha avuto più successo, tranne che in Inghilterra. Nel corso del 700 si ha un grande sviluppo tecnico di questa branca della matematica. Si può pensare Laplace, Lagrange, Eulero, Gauss. Ma mentre da una parte si poteva osservare questo sviluppo tecnico, dall’altra i fondamenti concettuali dell’analisi rimanevano piuttosto insoddisfacenti. Qualcuno aveva persino osservato che c’erano delle contraddizioni nei fondamenti concettuali: Berkeley per esempio vi scrive un’opera. La critica di Berkeley era che questi numeri infinitesimali venivano trattati nell’analisi in un modo incoerente, perché da una parte in certi calcoli che venivano fatti, con la scusa che erano infinitamente piccoli, venivano considerati zero; dall’altra parte però, per quanto infinitamente piccoli, in altri momenti venivano considerati come numeri non uguali a zero, perché li si doveva poter sommare. Ciononostante, il calcolo differenziale e integrale erano calcoli utilissimi e che di fatto funzionavano nelle loro applicazioni per esempio alla fisica. E quindi i matematici non si preoccupavano a sottigliezze come quelle di Barkley. Nel corso dell’800 le cose iniziano invece a cambiare, perché alcuni matematici cominciamo a pensare che tutta l’analisi dovrebbe essere ricostruita su basi più solide. Dal pdv tecnico lo strumento di cui ci servirà per ricostruire l’analisi è la nozione matematica di limite, che in genere viene fatta risalire al matematico francese Augustin-Louis Cauchy (1789-1857), ma in realtà anche Bolzano aveva sviluppato un concetto simile. Ci saranno poi molti matematici a lavorare su questo progetto di rinnovare l’analisi. Forse il più importante è Karl Weierstrass (1815-1897) (che abbiamo già incontrato perché egli è stato il professore di matematica di Husserl). Con Weierstrass viene condotta a termine questa rivoluzione dell’analisi (pienamente coerente e priva di contraddizioni). Diventa quindi uno strumento totalmente affidabile. Più in generale, sempre nel corso dell’800, ha luogo un processo che viene a volte chiamato processo di aritmetizzazione della matematica. Alcuni nomi che hanno contribuito: George Cantor, Richard Dedekind. Cos’è l’aritmetizzazione della matematica? È l’idea che le branche più sofisticate della matematica, come l’analisi, possano essere ricondotte alle branche più elementari, come l’aritmetica. L’analisi lavora con numeri reali. Quando si parla di aritmetizzazione della matematica si intende l’idea che il sistema dei numeri reali possa essere definito nei termini del sistema dei numeri naturali. È tutto un processo di progressiva rigorizzazione della matematica, in cui le parti più sofisticate vengono ricondotte a quelle più elementari, di cui abbiamo una conoscenza più certa e solida. C’è poi un passaggio ulteriore che è quello dell’assiomatizzazione dell’aritmetica. Supponiamo che abbiamo fatto vedere con Weierstrass che l’analisi stessa può essere ricondotta a una serie di concetti che, contrariamente a quelli degli infinitesimali, sono pienamente coerenti. Poniamo anche che abbia avuto successo questo processo di aritmetizzazione della matematica. Il passaggio successivo, dovuto soprattutto al torinese Giuseppe Peano (1858-1932), è di assiomatizzare l’aritmetica: far vedere come tutta l’aritmetica elementare possa essere fatta derivare da un numero limitato di assiomi. Peano infatti parla di assiomi dell’aritmetica. C’è questo processo per gradi successivi di rigorizzazione e consolidamento della matematica stessa. Il progetto del logicismo può essere visto come un ulteriore passo in questa direzione. L’idea è quella di ridurre ulteriormente i concetti fondamentali dell’aritmetica e gli assiomi fondamentali dell’aritmetica alla logica. Il logicismo è esattamente questo: che l’aritmetica sia riducibile alla logica. E se l’aritmetica è riconducibile alla logica, e tutta la matematica è riconducibile all’aritmetica ne deriverà che tutta la matematica è riducibile alla logica. Ciò comporta due operazioni: (1) bisogna mostrare che tutti i concetti dell’aritmetica possono essere definiti nei termini dei concetti fondamentali della logica. Non abbiamo bisogno di altri concetti oltre quelli della logica per definire quelli dell’aritmetica. (2) dobbiamo anche dimostrare che tutte le verità dell’aritmetica (teoremi) possono essere dimostrati a partire dai principi fondamentali della logica. Questo è il logicismo. È il grande progetto della vita di Frege: mostrare che l’intera matematica è riducibile alla logica. Notiamo anche che dire che l’intera matematica si fonda sulla logica significa escludere un’altra tesi: cioè che la matematica si basi sull’intuizione. Questa era una tesi di Kant. Per Kant la geometria si fonda sulla forma a priori dell’intuizione del senso esterno, cioè lo spazio; la matematica si fonda sulla forma a priori dell’intuizione del senso interno, cioè il tempo. Ma c’è sempre un ruolo dell’intuizione. La tesi logicista si contrappone tra le altre cose a questa concezione della matematica. Ma si oppone anche alla tesi psicologista della matematica: secondo cui la matematica, così come la logica, non sarebbe altro che una serie di generalizzazioni induttive a partire da certi nostri processi di ragionamento… In un senso un po’ più ampio, Frege cercherà di eliminare il ruolo dell’intuizione dalle dimostrazioni matematiche. Cosa vuol dire? Che si promette di rendere più rigorose le dimostrazioni matematiche, perché fino a quel momento si era sempre proceduto per via di intuizione. In che senso? Nel senso per cui spesso, nelle dimostrazioni matematiche, si sentono cose tipo “e qui si vede facilmente che/ si vede chiaramente che”. Può anche darsi che si veda chiaramente che..., però l’osservazione di Frege è che per quanto un certo passaggio possa sembrare assolutamente ovvio, è sempre un po’ pericolo basarci su queste nostre supposizioni di ovvietà, perché lì potrebbero annidarsi degli errori o delle premesse nascoste del nostro ragionamento. Quindi bisogna eliminare il ruolo dell’intuizione nei passaggi dimostrativi in matematica e fare sì che tutti i passaggi siano totalmente espliciti. Quest’idea di Frege è un ulteriore passaggio di quella rigorizzazione della matematica di cui abbiamo parlato. FUNZIONE E ARGOMENTO Ora incominciamo a vedere come Frege lavora per portare a termine questo suo impegnativo programma. Un primo argomento che va trattato è quello delle nozioni di funzione e argomento. C’è anche un suo articolo intitolato Funzione e argomento in cui spiega dettagliatamente cosa vi intende. Le nozioni di funzione e argomento, nella logica così come la concepisce Frege, vengono a sostituire le nozioni di soggetto e predicato della logica tradizionale. Nella logica tradizionale un enunciato si concepiva come costituito da un soggetto e un predicato, e un giudizio in questa logica consisteva nella combinazione di un soggetto con un predicato. Socrate (soggetto) è mortale (predicato). Questa logica basata sulla combinazione di soggetto e predicato veniva chiamata logica terministica. Introducendo invece le nozioni di funzione e argomento, in un certo senso Frege supera la logica terministica. Quando Frege parla di funzione e argomento si riferisce proprio alla nozione matematica di funzione e argomento, quella che si scrive f(x), dove f è la funzione e x l’argomento della funzione. E l’applicazione della funzione all’argomento produce un valore. La funzione viene normalmente definita come una corrispondenza tra due insiemi tale che a ogni elemento del primo (argomenti) corrisponde uno e un solo elemento del secondo (valori). In realtà è una nozione molto semplice ed elementare. Immaginiamo che f sia la funzione +2, possiamo applicare questa funzione agli argomenti che vogliamo. La funzione +2 applicata al numero 1 ha come valore il numero 3 ecc. Questa è la nozione da cui Frege parte. Prima però è importante capire perché questa novità sia così rilevante. Una delle ragioni è che contribuisce a risolvere una vecchia difficoltà della logica tradizionale terministica. Quale difficolta? È una difficoltà importante perché nella logica tradizionale si portava avanti dai tempi di Aristotele fino a Frege. Il problema è che sembra che ci siano alcuni tipi di inferenze che questa logica non è in grado di trattare in modo soddisfacente. Il problema riguarda quelle inferenze che riguardano enunciati che contengono al tempo stesso quantificazione multiple e predicati relazionali. Se mettiamo insieme questi due dati, la logica tradizionale aristotelica non è capace di dare una trattazione sistematica di tutte le inferenze che riguardano enunciati di questo tipo. Esempio: “Tutti sono amati da qualcuno”. Nella notazione logica, che è quella che usiamo oggigiorno possiamo notare che questo enunciato è ambiguo perché potrebbe essere letto in due modi diversi: (1) ∀x ∃y Ayx, cioè per ogni x esiste un y tale che y ama x (per tutte le persone c’è una qualche altra persona che la ama. Ma questa altra persona può variare a seconda delle x) (2) oppure ∃x ∀y Axy, cioè esiste un x tale che per ogni y, x ama y. (tutti sono amati da qualcuno e quel qualcuno è sempre lo stesso; c’è una persona che ama tutte le persone) –> lettura un po’ improbabile e artificiosa ma è una lettura possibile. In questo enunciato abbiamo sicuramente un predicato relazionale (amare), perché quel predicato non è come “essere giallo”, cioè un predicato che ha un solo posto (un certo oggetto è giallo  ci sarà la G e poi dopo una sola lettera). Se invece abbiamo una relazione a due posti come quella di amare dobbiamo avere due lettere dopo la A (x y), perché c’è qualcuno che ama qualcun altro. Inoltre, in questo enunciato abbiamo delle quantificazioni che sono indicate nella nostra notazione della logica del primordine con la ∀ (per ogni/per tutti) e la E (esiste). Notiamo come l’ordine in cui i due quantificatori sono collocati dà origine a due letture diverse. In un certo senso dipendono l’uno dall’altro. Questo è esattamente l’esempio di un tipo di enunciato che mette in difficoltà la logica terministica. Perché se dobbiamo avere una logica che renda conto di tutte le inferenze che si possono stabilire tra enunciati di questo tipo, la logica terministica non ce la fa, non è in grado di fornire una trattazione sistematica di queste inferenze. Nella storia della logica sono stati fatti molti tentativi per risolvere questo problema. Per esempio: la logica medievale (della suppositio) tra le altre cose doveva servire a rendere conto di alcuni di questi casi. Ma tutte queste soluzioni erano solo parziali, locali. Problema che si portava dietro da 2500. Con Frege si ha il prima sistema logico che riesce a trattare in modo sistematico e del tutto soddisfacente tutte queste inferenze. Questo è un enorme passo avanti per la logica formale deduttiva. Quindi quell’impressione di Kant, che la logica non avesse fatto passi avanti da Aristotele, a questo punto non è più corretta. E da lì in avanti avrebbe fatto molti altri passi avanti. Frege non è l’unico a occuparsene in questi anni, anche Charles Sanders Peirce, il filosofo pragmatista americano aveva elaborato un sistema che più o meno riusciva a fare le stesse cose, ma la soluzione di Frege ebbe più successo. Questo per dire che anche da un pdv tecnico le innovazioni di Frege sono strettamente importanti. Tra l’altro, è anche significativo che nell’ambito del sistema di Frege le proprietà e le relazioni vengano poste sostanzialmente sullo stesso piano. Questa è anche una novità rispetto alla logica tradizionale, perché siccome uno degli elementi che causava delle difficoltà alla logica tradizionale era la presenza di predicati relazionali, una delle cose che la logica tradizionale cercava spesso di fare era sbarazzarsi di questi ultimi. E quindi un tentativo che spesso veniva fatto era di cercare di ridurre le relazioni a proprietà, perché le proprietà si potevano trattare in modo più semplice. E quindi questo creava una certa asimmetria tra il caso delle relazioni e il caso delle proprietà. Che è un’asimmetria presente nella filosofia aristotelica ma che si era riprodotta nel corso della storia della logica. Con Frege non c’è più bisogno di introdurre questa asimmetria e le proprietà e relazioni possono essere trattati allo stesso modo. Abbiamo detto che la nozione di funzione e argomento che Frege introduce di funzione e argomento è la nozione tradizionale della matematica. Nell’introdurla però nell’ambito della logica, l’innovazione di Frege è che egli amplia enormemente gli oggetti che possono essere gli argomenti o i valori di una funzione. Nel campo della matematica essi erano numeri, nella logica possiamo liberalizzare questi oggetti. Qualunque tipo di oggetto può diventare l’argomento o il valore di una funzione. Quelli che  Questi sono i due esempi indicati come A e B -> condizionale e negazione. I due esempi sotto C e D, sono gli esempi della congiunzione (quando il connettivo E) e della disgiunzione (connettivo O). Abbiamo detto che Frege sceglie come primitivi il ‘’se allora’’ e la negazione e quindi la congiunzione e la disgiunzione non hanno una notazione grafica specifica perché li si può definire nei termini del condizionale e della negazione. Come si fa? Si fa in quel modo li. Vedete la congiunzione definita in termini di condizionale e negazione e la disgiunzione altresì definita in termini di condizionale e negazione. Siccome appunto, non siamo molto abituati a leggere le ideografie di Frege, in rosso vi è tradotto lo schemino dell’ideografia che si trova in C e quello che si trova in D. C -> Si sta dicendo che la congiunzione di ‘’p’’ e ‘’q‘’ viene definita ‘’come’’ e la formula che segue è esattamente la trascrizione nella nostra annotazione dello schemino ideografico che si trova alla lettera C e ci dice che ‘’non è vero che\non si dà il caso che se ‘’p’’ (p sotto il gancio) allora non ‘’q’’ ‘’ perché c’è una seconda sbarretta di negazione. Discorso analogo si può fare per la disgiunzione -> ‘’p O q’’ viene definito come ‘’se non q allora p’’, ora, ‘’p O q’’ è vero e falso in un solo caso, cioè, è vero purché sia vero almeno uno dei due disgiunti ed è falso nel caso in cui siano falsi tutti e due. Questo viene definito in termini di condizionale e negazione come ‘’se non q allora p’’ che è esattamente quello che sta scritto qui nell’annotazione ideografica di Frege, se l’antecedente del condizionale è la Q che è scritta sotto il gancio ma questa Q viene negata (perché c’è la sbarretta di negazione) quindi ‘’se non q allora p’’ il conseguente del condizionale che è scritto di seguito alla linea orizzontale principale. FILOSOFIA DELLA MATEMATICA Nella nostra presentazione di Frege abbiamo incontrato già diverse delle opere di Frege, abbiamo già incontrato i suoi articoli su funzione concetto, su concetto oggetto, abbiamo incontrato l’ideografia, abbiamo incontrato le leggi fondamentali dell’aritmetica che è la grande opera che dovrebbe essere, in un certo senso, l’opera conclusiva del progetto del logicismo. Ora parliamo di un'altra opera di Frege ‘’i fondamenti dell’aritmetica’’; è un libro per certi aspetti, un po' meno tecnico e un po' più filosofico degli altri, perché è un libro dedicato alla filosofia della matematica, ed è un libro in cui Frege difende la sua concezione della matematica basata su logicismo, contro le concezioni avversarie, in particolare contro due altre possibili filosofie della matematica che erano per altro diffuse ai tempi di Frege, il formalismo e lo psicologismo. Formalismo -> la tesi è quella secondo cui la matematica è una combinazione secondo certe regole di simboli che di per se sono privi di significato. Cioè, una specie di gioco formale con dei simboli. Questa è una concezione che Frege non accetta per il suo carattere perché rende la matematica stessa un’attività puramente convenzionale. Allo stesso tempo Frege non accetta una concezione psicologistica. Psicologismo -> Per Mill (che è uno dei rappresentanti più tipici dello psicologismo), il numero (concetto fondamentale della matematica) deve essere inteso come una proprietà di un aggregato di oggetti (oggetti fisici). Proprietà che viene ottenuta dall’osservazione di molti aggregati di oggetti fisici per il tramite del processo di astrazione. L’idea è ‘’osservo un aggregato di quattro mele, un aggregato di quattro pere, un aggregato di quattro cavalli, un aggregato di quattro matite e per mezzo del processo di astrazione noi prescindiamo, mettiamo da parte le caratteristiche specifiche di questi aggregati, ci concentriamo solo su quello che tutti questi aggregati hanno in comune, e, che cos’hanno in comune? Hanno in comune il fatto che sono tuti aggregati di quattro oggetti, e quindi in questo modo otteniamo, per mezzo dell’astrazione, questa proprietà ‘’il numero quattro’’ che poi si applica sia all’aggregato d quattro mele, sia all’aggregato di quattro pere e così via.  questa è la concezione che Mill ha del numero e una concezione tipica dello psicologismo. Frege ha diverse obiezioni da muovere a questa concezione dello psicologismo del numero. Innanzi tutto, questa concezione si basa su una confusione, una premessa di questa concezione e una confusione tra l’aritmetica e la sua applicazione. Mill in un certo senso, sta parlando in realtà, non dell’aritmetica pura ma sta parlando dell’applicazione dell’aritmetica mentre quello che interessa a Frege è l’aritmetica ‘’pura’’. Inoltre, possiamo considerare che se per certi numeri il processo per il mezzo del quale secondo Mill ricaviamo questi concetti di numero, può essere più o meno plausibile, ci sono dei casi in cui il processo previsto da Mill è assolutamente implausibile. L’esempio non a caso lo abbiamo fatto con il numero quattro, ma come potremmo ricavare per astrazione da un certo numero di casi il numero zero per esempio? Che cosa vuol dire osservare un aggregato di zero mele? Non c’è l’aggregato, o di zero pere, non c’è l’aggregato  è evidente che per il numero zero non potrebbe essere ricavato per astrazione in questo modo. Ma non solo il numero zero, presumibilmente lo stesso processo proposto da Mill non funzionerebbe nemmeno nel caso di numero molto grandi. In che senso si può pensare di applicare un processo di astrazione all’osservazione di aggregati di un numero enormemente alto di oggetti? È qualcosa che va del tutto al di là delle nostre possibilità, non riusciamo neanche a distinguere un aggregato che abbia un milione di mele da un aggregato che abbiamo un milione e uno di mele (da notare che non è nemmeno un numero così grande). Davvero vogliamo pensare che si proceda per astrazione anche in questi casi? Sembra del tutto implausibile una procedura come quella proposta da Mill. E poi se vogliamo, c’è un’obiezione ancora più grave che Frege muove alla concezione psicologistica del numero  la concezione psicologistica del numero presuppone in qualche modo che i numeri appartengano agli oggetti ma che appartengano a questo aggregato di oggetti indipendentemente dal modo in cui noi percepiamo gli oggetti. Ma le cose non stanno così secondo Frege. Proviamo a porci questa domanda: Quanti oggetti ci sono in questa stanza? (dove ‘’questa stanza’’ è la mia stanza o la stanza in cui vi trovate?) non è facile rispondere a questa domanda perché dipende un po' da come li concepiamo questi oggetti. Che cos’è che costituisce un oggetto tale per cui dobbiamo contarlo come un oggetto? Immaginiamo di avere una scatola di matite colorate: è un oggetto? Oppure dovete pensare che ogni matita che si trova nella scatola è un oggetto e quindi in un caso conta per uno mentre nell’altro caso poniamo che la scatola sia di 36 matite avrete 37 oggetti (36 matite + scatola vuota), oppure si possono fare molte suddivisioni diverse di oggetti nella stanza. Quindi diciamo che la domanda ‘’quanti oggetti ci sono nella stanza?’’ è una domanda che non ha una risposta univoca per così dire, dipende un po' da come concepiamo gli oggetti e questa è la posizione di Frege. E quindi, la conclusione di Frege: il numero non è qualcosa che attribuiamo ad un oggetto o ad un gruppo di oggetti, il numero lo attribuiamo ad un concetto. Quindi c’è proprio questo errore fondamentale nella concezione di numero come una proprietà di aggregato di oggetti fisici, il numero non è una proprietà di un aggregato di oggetti fisici, è piuttosto una proprietà di un concetto. Quindi, partendo da questa idea che il numero deve essere attribuito ad un concetto e non ad un oggetto o ad un aggregato di oggetti, Frege propone la propria definizione dicendo che il numero che appartiene ad un concetto F (dove F è un concetto qualunque) è uguale all’estensione del concetto equi numeroso al concetto F. Esempio -> il numero che appartiene al concetto ‘’i nani di Biancaneve’’ è l’insieme delle classi composta da sette oggetti. Possiamo vedere come Frege definisce il numero zero: zero è il numero che appartiene al concetto diverso da se stesso. È chiaro che non c’è nulla di diverso da se stesso, tutte le cose sono identiche a se stesse e quindi, il numero che appartiene al concetto diverso da se stesso, è la classe delle classi vuote. Uno poi viene definito: il numero che appartiene al concetto uguale a zero. Ora, di classi vuote ce n’è solo una, è dunque è la classe delle classi con un solo elemento e così via. C’è un dettaglio da osservare in questa definizione: si potrebbe obbiettare, per definire la nozione di numero, Frege si serve della nozione di ‘’equi numeroso’’. Può darsi che la scelta del termine da parte di Frege non sia tanto felice, ma in realtà il punto è che la definizione di equi numerosità, può essere definita senza fare ricorso alla nozione di numero in base alla corrispondenza biunivoca tra insiemi e quindi all’esistenza di funzioni tra insiemi, comunque il punto essenziale è che non c’è circolarità. Il concetto ‘’equi numeroso’’ ad un certo concetto può essere definito senza ricorrere alla nozione di numero. La cosa anche interessante è che in numeri non vengono introdotti come concetti primitivi e in tutta la definizione, Frege fa uso esclusivamente di concetti che possiamo definire ‘’concetti logici’’, quindi in questo senso rimane all’interno del suo progetto logicista. Ultima osservazione -> nel fornire la definizione di numero come anche in altri casi, Frege adotta e si attiene a quello che lui chiama ‘’il principio di contestualità’’  cioè l’idea che il significato delle parole deve essere indagato nel contesto dell’enunciato in cui occorrono e non considerando queste parole isolatamente. Quindi il significato delle parole deve essere indagato andando a vedere qual è il ruolo che queste parole svolgono nell’enunciato in cui occorrono. Non si può considerare il significato di una parola in isolamento rispetto a questo ruolo. Non c’è, per così dire, un significato di una parola isolata, le parole hanno significato in quanto corrono all’interno di un enunciato. Un principio che Frege ritiene molto importante e che effettivamente avrà poi una lunga storia nella semantica. SENSO E RIFERIMENTO semantica che prevede che ciascuna di queste espressioni ‘’stella del mattino’’ e ‘’stella della sera’’ abbia semplicemente un certo significato che è quel corpo celeste che è Venere in entrambi casi alla fin fine staremmo dicendo che Venere è uguale a Venere. Non è neanche una soluzione dire che in realtà quello di cui stiamo parlando che in realtà la nostra identità non riguardi la venere ma riguardi le espressioni linguistiche che usiamo per riferirci a venere. Quando l’astronomo babilonese dice che la stella del mattino è la stella della sera, l’affermazione che lui sta facendo non riguarda i nostri usi linguistici (cioè che si possa trovare all’interno di un dizionario o che possa essere utile per un linguistico, non è una scoperta linguistica) ma è una scoperta astronomica quindi anche questa non è una soluzione. La teoria semantica che abbiamo visto precedentemente sembra non riuscire a rendere conto della differenza tra questi due tipi di identità eppure è una differenza sembra esserci. Per rendere conto di questa differenza Frege ritiene che si debba adottare una semantica un pochino più articolata e si debbano distinguere due tipi di significato che Frege chiama ‘’Sinn’’ e ‘’Bedeutung’’ che qui chiameremo senso e riferimento. Ora, l’idea di Frege è che tutte le espressioni linguistiche hanno sia un senso che generalmente un riferimento (si vedrà perché ‘’generalmente un riferimento’’). Tutte le espressioni linguistiche (abbiamo detto) secondo Frege le categorie fondamentali di espressioni linguistiche sono tre: 1. Termini singolari -> cioè quelle espressioni linguistiche che si usano per riferirsi ad un oggetto individuale (Frege non le chiamava così ma le chiamava ‘’Nomi propri’’ ma usava questo termine in un senso molto lato. I nomi propri certo sono dei termini singolari ma non sono le uniche espressioni che usiamo per riferirci ad oggetti individuali. L’altro tipo di espressioni che usiamo per riferirci ad oggetti individuali sono quelle che poi si sarebbero chiamate ‘’descrizioni definite’’ (ne abbiamo appena viste qualche esempio perché la stella della sera è una descrizione definita oppure se dico ‘’il maestro di Alessandro Magno’’ è una descrizione definita perché è un’espressione che viene usata per riferirsi ad un singolo oggetto\individuo che in questo caso è Aristotele e anche Aristotele è un termine singolare). Nel gergo filosofico della filosofia del linguaggio dei nostri giorni Frege li chiamava tutti quanti ‘’nomi propri’’ ma noi li chiameremo ‘’termini singolari’’. Nel caso dei termini singolari il riferimento è semplicemente l’oggetto che viene designato. L’espressione ‘’la stella della sera’’ ha come riferimento Venere ma anche l’espressione il nome proprio ‘’Venere’’ ha come riferimento quello stesso oggetto. Il senso di un termine singolare invece, viene definito da Frege come ‘’il modo di darsi dell’oggetto’’ ovverosia quel contenuto che viene compreso da chiunque comprenda quel termine singolare. Diventa particolarmente facile capire cosa sia questo senso se pensiamo al caso della stella della sera e del mattino oppure al maestro di Alessandro Magno e anche ‘’l’allievo più famoso di Platone’’ che è un’altra descrizione definita ed insieme al ‘’maestro di Alessandro Magno’’ si riferiscono entrambe allo stesso oggetto. Però i due termini singolari hanno chiaramente due sensi diversi -> se il significato si esaurisse con il riferimento dovremmo dire che le due espressioni hanno lo stesso significato ma il significato ha questi due piani: quello del riferimento e quello del senso e il senso dell’espressione ‘’il maestro di Alessandro Magno’’ è certamente diverso dal senso ‘’l’allievo più famoso di Platone’’. Il senso è ciò che il parlante deve afferrare per poter dire che comprende quell’espressione à per poter dire che compendiamo l’espressione ‘’il maestro di Alessandro Magno’’ è sufficiente che appunto ne afferriamo il senso, non è necessario che noi sappiamo quale sia il riferimento (uno potrebbe benissimo non sapere che il maestro di Alessandro Magno sia stato Aristotele e questo non vuol dire che non comprenda il senso dell’espressione linguistica ‘’il maestro di Alessandro Magno’’, lo comprende perfettamente solo non sa qual è il riferimento. Così come può comprendere l’espressione ‘’l’allievo più famoso di Platone’’ senza sapere che il riferimento è sempre Aristotele. Possiamo anche immaginare un caso simile con la stella della sera e la stella del mattino e fare una scoperta storica e scoprire che l’allievo più famoso di Platone è il maestro di Alessandro Magno. Che cosa succede quando diciamo una cosa del genere? Come analizzare un’identità di questo tipo ovvero A = B? Quello che siamo dicendo quando affermiamo che la stella della sera è uguale alla stella del mattino o che il maestro di Alessandro Magno è l’allievo più famoso di Platone è di dire che due espressioni che hanno sensi diversi tuttavia hanno lo stesso riferimento à questo è quello che effettivamente stiamo dicendo quando affermiamo che A = B. che due espressioni A e B che hanno sensi diversi hanno lo stesso riferimento. Il senso tra l’altro è ciò che determina il riferimento; il riferimento è quell’oggetto che in qualche modo soddisfa le condizioni che sono formulate all’interno del senso: se noi diciamo ‘’il maestro di Alessandro Magno’’ questo esprime un certo senso e il riferimento è quell’oggetto che soddisfa questa condizione, di essere appunto il maestro di Alessandro Magno e qual è questo oggetto? È Aristotele. Tutto questo risulta particolarmente chiaro quando le espressioni linguistiche che prendiamo in considerazione sono descrizioni come ‘’il maestro di Magno’’, ‘’la stella della sera’’ o ‘’l’allievo di Paltone’’ ma l’idea di Frege è che anche i nomi propri in senso stretto come ‘’Aristotele’’ sono associati ad un certo senso e altresì hanno un certo riferimento. Hanno generalmente un riferimento perché può anche capitare che in certe espressioni linguistiche, certe espressioni singolari, descrizioni definite abbiano un senso ma non abbiano un riferimento. Se per esempio dico ‘’l’attuale Re di Francia’’ (esempio che poi tornerà con Russel) è una descrizione definita che ha certamente un senso e tuttavia non ha un riferimento perché non c’è un’attuale Re di Francia perché nessun oggetto soddisfa la condizione di essere attualmente ‘’Re di Francia’’. Ma questa distinzione tra sensi e riferimenti è una distinzione che non riguarda solo i termini singolari ma riguarda anche gli altri tipi di espressione linguistiche e gli altri tipi di espressioni linguistiche sono per Frege gli enunciati e i predicati. Combinando termini singolari e predicati otteniamo enunciati. Se diciamo ‘’Socrate’’ termine singolare e ‘’mortale’’ predicato otteniamo ‘’Socrate è mortale’’ che è un enunciato. 2. Enunciati -> sono espressioni linguistiche composte\complesse che hanno dei costituenti, in particolare i termini singolari e i predicati. Qui, per Frege il senso è il pensiero espresso dall’enunciato, il riferimento è il suo valore di verità. Il riferimento di un enunciato è o il vero o il falso, ci sono solo due riferimenti possibili per gli enunciati. Dal punto di vista dei riferimenti tutti gli enunciati si dividono i due grandi classi: quelli che si riferiscono al vero e quelli che si riferiscono al falso però per così dire, si possono riferire al vero o al falso in modi diversi a seconda di qual è il pensiero espresso a livello di senso che c’è questa differenziazione. 3. Predicati -> il riferimento dei predicati è un concetto. Abbiamo già visto cos’è un concetto per Frege, un particolare tipo di funzione, una funzione che ha come valori sempre i valori di verità. Qui il senso è il modo di darsi di tale funzione anche se a dire il vero, Frege è piuttosto reticente sul senso dei predicati, è un punto su cui non si sofferma troppo e che non viene particolarmente approfondito. Frege enuncia anche a proposito dei sensi e dei riferimenti delle espressioni linguistiche un principio che chiama ‘’principio di composizionalità’’ e vale sia per i sensi che per i riferimenti e dice nella formulazione che riguarda i sensi, che il senso di un’espressione linguistica complessa è funzione dei sensi di espressioni linguistiche costituenti, cioè, date le espressioni linguistiche costituenti e i loro sensi possiamo ricostruire il senso dell’espressione linguistica complessa. Lo stesso vale per i riferimenti, il riferimento di un’espressione linguistica complessa è funzione dei riferimenti delle espressioni linguistiche che ne sono costituenti. Quindi, per esempio se il riferimento di un enunciato, cioè il valore di verità è funzione dei riferimenti delle espressioni linguistiche che lo costituiscono, cioè dei termini singolare e del predicato che lo costituiscono. Il che significa anche che se ad un certo punto, se in una certa espressione linguistica complessa sostituiamo un certo costituente con un altro che ha lo stesso riferimento rimane invariato anche il riferimento dell’enunciato stesso: per esempio, noi possiamo dire ‘’il maestro di Alessandro Magno è nato a Stagira’’ qual è il riferimento di questo enunciato? È il vero. Perché il vero? Perché se io all’interno di questo enunciato sostituisco al termine singolare ‘’il maestro di Alessandro Magno’’ un altro termine singolare che abbia lo stesso riferimento per esempio ‘’l’allievo più famoso di Platone è nato a Stagira’’ otterrò un enunciato il cui valore di verità è immutato appunto per il principio di composizionalità di cui abbiamo parlato prima. Tra l’altro questa è a partire da un ragionamento intorno a questo principio di composizionalità che giunge alla conclusione che il riferimento degli enunciati è il loro valore di verità appunto perché è ciò che non cambia se sostituiamo all’interno di un enunciato un costituente che abbia lo stesso riferimento. Per il principio di composizionalità il riferimento di un enunciato a questo punto non dovrebbe cambiare: che cos’è che non cambia all’interno di un enunciato se noi cambiamo delle espressioni costituenti che rimpiazziamo con una certa espressione costituente con un’altra che abbia lo stesso riferimento? Non cambia nell’enunciato il suo valore di verità e dunque, la conclusione di Frege è che il riferimento degli enunciati è il loro valore di verità. Un’affermazione che a prima vista potrebbe sembrare un po’ strana, è un po’ strano dire che un enunciato può avere solo due riferimenti: il vero e il falso, però questo era un ragionamento attraverso cui Frege giunge a questa conclusione. Quindi abbiamo questa semantica a due livelli che distingue per ciascuna espressione linguistica il livello del senso e quello del riferimento. Bisogna ancora osservare una cosa molto importante: i sensi di cui parla Frege (punto su cui Frege insiste molto) non devono essere concepiti in modo psicologistico\mentalistico, cioè, i sensi non sono rappresentazioni mentali, non sono quello che ci passa per la testa (per così dire), l’immagine mentale che produciamo nella nostra mente quando sentiamo una certa parola, Frege non nega che quando sentiamo la parola ‘’cavallo’’ nella nostra mente possano formarsi certe immagini (presumibilmente queste immagini varieranno da persona a persona), in questo senso le rappresentazioni mentali sono soggettive, il senso invece, dice Frege: è oggettivo intendendo dire che è uguale per tutti i parlanti e se non fosse così, poiché il senso è ciò che dev’essere compreso di un’espressione linguistica per poter dire che la si comprende, la comunicazione sarebbe impossibile perché non potremmo mai sapere se il senso in realtà fosse una rappresentazione mentale che può variare da persona a persona, non sapremmo mai se quel senso che abbiamo afferrato sia o non sia uguale a quello nella mente della persona che ci sta parlando. Invece no, i sensi da questo punto di vista non hanno nulla di mentale, non sono qualcosa che vive e dipende dalle menti. Anche questo è un aspetto dell’anti psicologismo di Frege à i sensi non sono rappresentazioni mentali ma sono appunto oggettivi. C’è un’altra similitudine che Frege usa per spiegare la differenza tra riferimenti, sensi e rappresentazioni mentali soggettive à dice: immaginate la situazione in cui si guarda la luna con il cannocchiale, la luna in questa similitudine è come se fosse il riferimento e poi c’è una certa immagine che di forma sulla lente del cannocchiale che dipende da come è posizionato il cannocchiale e questo significa che ci possono essere più immagini diverse sulla lente del cannocchiale della luna a seconda di come il cannocchiale viene posizionato e questo è del tutto analogo a quanto accade con i sensi e i riferimenti. Ci possono essere più espressioni che hanno sensi diversi ma allo stesso riferimento, abbiamo visto con gli esempi ‘’la stella del mattino e della sera’’ sono due espressioni che hanno sensi diversi ma il riferimento e lo stesso, ‘’il maestro di Alessandro Magno e l’allievo più famoso’’ due espressioni che hanno sensi diversi ma il riferimento e lo stesso, così, a seconda del posizionamento del cannocchiale possiamo avere diverse immagini sulla lente del cannocchiale che corrispondono al senso. L’oggettività del senso qui è rappresentata in questa similitudine dal fatto che tuttavia benché ci possano essere vari sensi, una volta che il cannocchiale è posizionato in un certo modo l’immagine che si forma sulla lente del cannocchiale è quella ed è quella per qualunque osservatore. Poi c’è un’altra immagine che è quella che si forma sulla retina dell’osservatore e questa può darsi che da un osservatore all’altro vari
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved