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Schemi sul Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza, Rousseau, Appunti di Storia Della Filosofia

Diritto NaturaleTeoria della politicaStoria della Filosofia PoliticaJean-Jacques Rousseau

Schemi sul Discorso sulla disuguaglianza di Rousseau, riassunto dei contenuti di entrambe le parti del discorso, con schematizzazione dei temi più importanti affrontati nel corso di Storia della filosofia moderna, con confronti anche con Smith e Mandeville.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 24/02/2021

vaniemilia
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Scarica Schemi sul Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza, Rousseau e più Appunti in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! JEAN-JACQUES ROUSSEAU 1712-1778 Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini Fonte: Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, in Id., Discorsi, a cura di Luigi Luporini, Bur, Milano 2007 TEMI IMPORTANTI: • RAPPORTO CON LA STORIA: Il suo discorso è dichiaratamente storico e ne affronta problematiche epistemologiche e metodologiche. Impiega il termine GENEALOGIA per sottolineare determinate caratteristiche relative alla ricostruzione storica. La storia è materia prima nella costruzione della teoria, essa prepara ed è presupposto necessario alla critica, in larga misura coincidente con l’analisi storica (che a sua volta è sempre inserita in una prospettiva critica). La critica riposa sull’analisi storica della formazione e dello sviluppo della società. (Questo tema lo affronta nel Primo discorso, ma lo approfondisce meglio nel Secondo. È consapevole che non c’è argomentazione critica efficace senza una caratterizzazione di tipo storico o genealogico. Un discorso storico se è tale, e non è solo apologetico, non può che essere un discorso critico. Mentre la storia maneggia documenti, prove, fatti, la genealogia non possiede prove, è una semplice sequenza teorica, concettuale che si basa su ipotesi e congetture. La critica della società presente quindi deve avvalersi di una ricostruzione storica, ma in mancanza di documenti, si affida al filosofo che compie una genealogia per mezzo di ipotesi teoriche. Per fare la genealogia del male, della corruzione, della violenza, che affliggono la sua società, individua fonti non fattuali in modo inconfutabile, ma analizza gli elementi della società, sviluppando ipotesi e ragionamenti. Rousseau può argomentare la sua tesi senza dimostrarne la fondatezza con prove inconfutabili ≠ storico vuole dimostrare la dimostrazione obbiettiva sul nesso causa-effetto, c’è uno sforzo di indicare delle prove non confutabili (anche se prove inconfutabili non esistono). Origine : fondamenti = storia e storico : genealogia e filosofo Rousseau affronta esplicitamente questi problemi metodologici in cui incorre nella ricerca delle origini e dei fondamenti della disuguaglianza per criticare la società corrente: gli mancano documenti e fatti, e può invece lavorare con ragionamenti, ipotesi e congetture plausibili, ma non documentabili -> tutto ciò viene introdotto nella Prefazione *. • PASSIONI: La società moderna è il frutto del dominio delle passioni, ma Rousseau a differenza di Mandeville le depreca, non pensa che siano naturali, bensì il risultato di una vicenda storica, della costruzione sociale, e che siano rovinose. L’uomo naturale ha solo istinti e bisogni che la natura soddisfa. Le passioni generano disuguaglianza, violenza, asservimento. Nell’ultima risposta a Charles Bordes, Rousseau sostiene che i vizi sono i figli di questi fenomeni sociali che lui ha elencato: proprietà, rapporto servo-padrone, interdipendenza ≠ Mandeville e Smith vedono positivamente l’interdipendenza, la dinamica dello scambio. Se per Mandeville i vizi e le passioni sono il motore sociale e della prosperità, secondo Rousseau invece è il funzionamento corrotto della società che genera i vizi. Quando Rousseau scrive la prefazione nel 1752 a Narciso, o l’amante di se stesso, usa la figura di Narciso come incarnazione della società sua contemporanea, perché impersona la vanità (che per Mandeville era utile: meno male che siamo egoisti, vanitosi), che è fonte di corruzione, decadenza, vizio e violenza. La vanità è caratteristica dell’agire sociale: cercare il superfluo, indifferenza verso sofferenza altrui, cinismo, pur di distinguerci siamo privi di attenzioni verso il prossimo. Sta apertamente criticando l’antropologia di Mandeville e di Hobbes, per cui l’uomo è belva ed egoista -> secondo Rousseau i loro sono sistemi assurdi, essi sono dei narcisi che devono per forza mostrarsi, uscire dal coro, distinguersi sostenendo tesi contro-intuitive per esibirsi. (Rousseau scrive del Narciso perché lui stesso è narcisista, ha scritto per distinguersi, consapevole di prospettare argomentazioni del tutto contro-corrente, lo ha fatto tutta la vita proponendo idee in forza delle quali si distingue dagli altri.) Nel Primo discorso la storia non è solo retorica, ma anche studio teorico e genealogico, e quindi questo tema si ricollega agli argomenti fondamentali del Secondo discorso è: la struttura sociale crea i vizi, bisogna indagare le origini e le conseguenze della disuguaglianza. Non è la natura umana a produrre il male, è il male della società a corrompere la natura umana. Non è l’egoismo naturale a far funzionare il tutto, ma i vizi sono risultato di una struttura sociale corrotta. • CRITICA DELL’IDEOLOGIA: Il discorso che scrive è una critica dell’ideologia, cioè fa emergere le caratteristiche ideologiche di un’altra teoria (falsità, il suo connotato strumentale). In questo caso critica il NATURALISMO: la vicenda storica (che chiama in causa responsabilità ed è determinata) viene ignorata e ridotta ad una presunta configurazione naturale delle cose. Questo è un modo di offendere il creatore (cui si addebitano colpe umane) e viene trasformata una delle tante possibili configurazioni storiche come l’unica possibile (appunto poiché proposta come naturale). • ORDINE SOCIALE: La società nasce da un patto stabilito sull’inganno, sull’impostura, che va smascherato. La nascita della PROPRIETÁ PRIVATA fondiaria, della terra, segna l’inizio della disuguaglianza, della violenza e della corruzione. La sua genealogia mira a cercare l’origine della corruzione e della violenza presenti nella società in cui vive, e trova le loro radici nella DISUGUAGLIANZA, che è “la fonte prima del male”, da essa sono venute le ricchezze, poi il lusso e l’ozio, dal lusso nascono le belle arti e dall’ozio le scienze. • DIVISIONE SOCIALE DEL LAVORO: Ne evidenza le conseguenze perverse: la perdita dell’autosufficienza, l’accesso alla dinamica dello scambio crea un concatenamento, che porta alla perdita della libertà. • È POSSIBILE UN’ALTRA SOCIETÁ? SI. Pensa alla ‘vera giovinezza del mondo ’, nulla imponeva di incatenarci, non vi è determinismo. L’uomo è responsabile, la storia è frutto delle nostre colpe. La critica non avrebbe senso se non si credesse ad altra possibilità. • LA STORIA MOSTRA UN PROGRESSO? Rigetta la visione di Mandeville (c’è conflitto quindi progresso). Dalla corruzione della società dei pastori non si può più parlare di progresso, o, al limite, si tratta di progresso di violenza, della disuguaglianza e della ingiustizia. Secondo Rousseau c’è conflitto ma non c’è progresso, si certo sono aumentate ricchezze e agi, ma in altri ambiti la situazione è regredita. BIOGRAFIA: Rousseau nasce ginevrino nel 1712 per anagrafe anche se è un autore francese a tutti gli effetti, morirà a 66 anni in Francia. Figlio di famiglia di minuta borghesia, vita disordinata, è un autodidatta, vagabondo, lascia un corpus teorico vastissimo, composito, articolato, di straordinaria ricchezza, è un’enciclopedia vivente. L’incontro della vita è con la cerchia degli enciclopedisti: Diderot, D’Alembert, collabora anche con l’Encyclopedie. L’Accademia di Digione bandisce un concorso sull’elaborazione del seguente tema: “Il progresso tecnico si accompagna con un progresso morale?”, e Rousseau, a differenza della maggioranza che difende la tesi per cui il progresso rinsalda la morale, nel 1750 scrive il primo Discorso sulle scienze e sule arti, dove sostiene che lo sviluppo della civilizzazione, delle tecniche, delle competenze intellettuali, delle scienze e delle arti valore e viene usata in modo apologetico, applicata in seguito a qualcosa per costruire giustificazioni, legittimità, senza permetterne un giudizio o una critica. Dal Prologo: Tutti i filosofi che parlavano dello stato di natura attribuendovi caratteri non propri stavano in realtà parlando dell’uomo selvaggio mentre dipingevano l’uomo civilizzato. Stiamo descrivendo noi stessi, noi uomini europei -> critica ai suoi contemporanei (Hobbes, Locke). • DALLO STATO DI NATURA ALLO STATO CIVILE: I classici del 600-700 hanno questo schema: la società civile nasce ponendo fine allo stato di natura, quando gli uomini si mettono d’accordo, stipulano un contratto. Lo stato di natura è una costruzione che permette una determinata organizzazione dello stato civile -> quindi gli intellettuali dipingono uno stato di natura utile e strumentale a giustificare l’organizzazione della società civile presente. Hobbes è accusato da Rousseau di creare un sistema assurdo in cui rovescia il ruolo dei vizi e della società. Non è vero che l’uomo all’origine è un fascio di passioni e di vizi, una bestia feroce, perché le passioni sono prodotti sociali e storici. Secondo Rousseau l’uomo allo stato di natura ama se stesso, tende a conservarsi, ma ha un egoismo moderato, perché prova anche pietà e solidarietà verso gli altri, infatti quando siamo sicuri della nostra conservazione allora per natura ci prendiamo cura degli altri e partecipiamo della sofferenza altrui -> sempre critica a Mandeville (Parte prima pg.122-123). Nella Prefazione scrive di aver scorto due principi anteriori alla ragione che caratterizzano l’uomo: • La conservazione di noi e del nostro benessere; • La “ripugnanza naturale” a veder perire o soffrire ogni essere sensibile, e principalmente i nostri simili. È dalla combinazione di questi due principi che Rousseau sostiene di poter far scaturire tutte le regole del diritto naturale, “regole che la ragione è in seguito costretta a ristabilire su altri fondamenti, quando, per i suoi sviluppi successivi, sia riuscita a soffocare la natura”. “Se io sono obbligato a non fare alcun male al mio simile ciò sia non tanto perché egli è un essere ragionevole, quanto perché è un essere sensibile, qualità comune tra la bestia e l’uomo, che quindi deve dare alla prima il diritto di non essere maltrattata inutilmente dal secondo”. L’uomo in origine ha dunque amore di sé (self-love) e pietà, bada a se stesso, ma si interessa anche degli altri, soprattutto di chi soffre. Durante il processo storico però l’uomo perde sempre di più la pietà a favore dell’amore di sé, inizia ad avere un’ossessione per se stesso, vuole avere di più, godere e dominare -> l’amore di sé quindi si trasforma, degenerando, in amor proprio, in un orgoglio distruttivo e violento. È la storia che compie questa trasformazione, questa degenerazione dell’uomo. L’uomo non è un animale che per natura ha le caratteristiche attribuitogli da Mandeville, presuntuoso, egoista, arrogante per natura, ma sono vizi morali che si sono formate storicamente secondo un processo corruttivo. L’amor proprio che caratterizza l’uomo di oggi, risulta dalla corruzione dell’amor di sé, dall’eclisse di solidarietà e pietà. • TEORIA STADIALE: L’uomo di natura esiste ancora se accettiamo l’ipotesi che i selvaggi incarnino gli uomini naturali. La convinzione che la storia degli uomini abbia una configurazione stadiale è ben presente nell’epoca di Rousseau, ed egli se ne serve per criticarla. I selvaggi vengono presentati come uomini naturali: è questo il passo naturalistico che Rousseau rifiuta, viene completamente cancellato lo sviluppo storico dei selvaggi. Quando dice la filosofia sembra non viaggiare, sostiene che gli europei pensano di essere il paradigma del progresso, della società più avanzata, che a differenza delle altre si è evoluta, mentre le altre sono rimaste ferme. La società presente del XVIII secolo agricola/commerciale non va considerata in modo più progredito, perché invece è regredita. Gli agricoltori solo perché vengono dopo non vuol dire che siano più evoluti o progrediti. Vari intellettuali sostennero la tesi che i selvaggi rappresentavano gli antenati dell’uomo europeo, ossia gli stadi più originari e primitivi del genere umano: • Montesquieu, è la fonte primaria per la teoria stadiale, nel 18° libro della 3° parte dello Spirito delle leggi, parla della teoria stadiale perché insegna a ragionare sul sostentamento per capire le leggi, e le forme statali. I diversi governi non sono altro che specchio della diversa conformazione territoriale e conseguentemente della diversa attività economica prevalente. • Lafitau fu forse il primo che compì un’analisi comparata delle religioni e delle lingue, era gesuita missionario e andò in Canada, nel 1724 pubblicò un testo importante: I costumi dei selvaggi canadesi/americani comparati ai costumi della nostra antichità -> già questo mostra una mentalità specifica, in America non si trattava solo di un’altra cultura, ma un altro tempo, e quindi simile alla nostra cultura nel passato, si faceva un viaggio nello spazio e nel tempo. • Questi intellettuali però stavano compiendo un circolo ermeneutico: per capire i selvaggi mi servo degli antichi, e per capire gli antichi mi servo dei selvaggi. Questo discorso implica un’unica sequenza evolutiva, ma non è così, non esiste un’unica sequenza, ci sono differenze. • Allo stesso modo di Lafitau anche Volney parla di un’analogia tra i selvaggi e gli antichi popoli della Grecia e dell’Italia. I selvaggi diventano fossili viventi del passato, studiarli è come fare un viaggio nel tempo. • Anche Degérando parla di un “viaggio nel passato”, e del fatto che le isole sconosciute sono “la culla della società umana”. • Edmund Burke critica la rivoluzione in modo violento, perché rivuole la tradizione, la storia è processo evolutivo e progressivo che si compie in modo spontaneo, e quando si tenta di modificare questo processo non è qualcosa di positivo. Questo testo ci mostra sempre questo modello per cui i selvaggi sono gli uomini di natura, e in cui vediamo un accenno alla TEORIA STADIALE: “Ho sempre pensato con te che noi siamo di gran lunga avvantaggiati rispetto al passato riguardo alla conoscenza della natura umana. Possiamo ora tracciare la storia in tutti i suoi stadi e periodi […]. Ora la grande mappa dell’umanità è interamente spiegata davanti a noi; e non v’è stato o grado di barbarie, né forma di raffinatezza che non sia sotto in nostri occhi. Le diverse città dell’Europa e della Cina; la barbarie di Tartari e Arabi; lo stato selvaggio del Nordamerica e della Nuova Zelanda.” Lettera di Edmund Burke a William Robertson, 9 giugno 1777 1° Cacciatori: Nordamerica e Nuova Zelanda. 2° Pastori: Tartari e Arabi. 3° Agricoltura: Cina 4° Commercio: Europa. • Vedendo i vari pareri è evidente il circolo ermeneutico in cui incappano, e il giudizio di valore che danno dei selvaggi americani -> Rousseau critica, in modo meno radicale rispetto alla critica del naturalismo, la teoria stadiale (di cui Smith sarà il più importante teorico), da un lato condivide la sequenza, ma rovescia il giudizio di valore, perché non ritiene che sia una sequenza esemplificatrice del progresso. Essere come gli antichi non vuol dire essere arretrati, ma essere migliori, più sani, più virtuosi, meno corrotti. • Vi sono anche stati alcuni autori con pareri simili a quello di Rousseau sul progresso/regresso: per esempio Ferguson considera la società commerciale come lo stadio ultimo della successione di fasi storiche, ma mette l’accento sul fatto che non debba essere considerata una società progredita, avanzata e risultante da un progresso reale. L’uomo moderno vive una condizione in cui la concorrenza con i simili è caratterizzata dalla violenza. Ci si comporta con il prossimo come con il bestiame e il terreno. • Anche Johann Gottlieb Herder viene influenzato da Rousseau e scrive che in Europa abbiamo abolito la schiavitù in base ad un calcolo economico, e ci siamo serviti degli altri continenti come di schiavi. Emerge la polifonia di un secolo caratterizzato dalla auto-apologia dell’Europa, ma non privo di voci critiche. • CONCETTO DI DISUGUAGLIANZA: Analisi del concetto di disuguaglianza: si articola in 6 punti: 1) La distinzione tra le due forme di disuguaglianza, naturale o storica; 2) Le conseguenze dell’una e dell’altra forma di disuguaglianza; 3) Quale connessione vi è tra la disuguaglianza naturale e artificiale? Come intendiamo le relazioni tra le due? 4) Vi è una relazione, ma non è relazione necessaria e inevitabile, piuttosto prodotta dalla storia stessa, non è una relazione attribuibile naturalmente. 5) Questa connessione si intende nei termini di un effetto di moltiplicazione, quando entrano in connessione la disuguaglianza artificiale è moltiplicata, radicalizzata. 6) Cosa si dovrebbe fare affinché quelle due forme di disuguaglianza, entrambe reali e inevitabili, Rousseau infatti non è un egualitarista radicale, si manifestino senza effetti negativi. “Avendo avuto la fortuna di nascere tra voi, come potrei meditare sull’uguaglianza che la natura ha posto tra gli uomini e sulla disuguaglianza che essi hanno istituito, senza pensare alla profonda saggezza con cui l’una e l’altra, felicemente combinate in questo Stato, concorrono, nel modo più vicino alla legge naturale e più favorevole alla società, al mantenimento dell’ordine pubblico e alla felicità dei privati?” (Discorso sulla disuguaglianza, Dedica) Rousseau nasce a Ginevra, anche se considerato un autore francese, si rivolge polemicamente contro la patria francese d’adozione, dedica il suo Discorso agli svizzeri, per dire implicitamente ai francesi che non è in Francia che si è realizzato il più giusto sistema di relazioni sociali, ma in un altro paese, ossia Ginevra, una città-Stato, vista come esempio del buon governo. Una meditazione sul tema della disuguaglianza non può prescindere dall’esempio virtuoso di buon governo quale è Ginevra. Con il pretesto della dedica sin dalle prime pagine Rousseau ci dà elementi teoricamente rilevanti per comprendere il suo pensiero in merito alla questione sull’uguaglianza e la disuguaglianza. Gli uomini sono per natura uguali, saremmo uguali se non ci fossimo allontanati dalla nostra condizione naturale, ma gli uomini nel loro agire storico, hanno generato disuguaglianza. Quindi uguaglianza naturale e disuguaglianza artificiale. La buona politica consiste nel felicemente combinare i due elementi, ossia fare in modo che la disuguaglianza nata in società, si combini, in modo felice e armonico, per generare effetti positivi, con l’uguaglianza naturale. La disuguaglianza artificiale non è sempre distruttiva, perché se si vive in uno stato ben governato, si può avere una disuguaglianza rispettosa del bene comune, ossia si deve rispettare l’uguaglianza naturale. In questa Dedica sembra che la disuguaglianza sia solo artificiale, ma non è così come vediamo nel Discorso: • Prologo: Nella specie umana vi sono due tipi di disuguaglianze: - Disuguaglianza naturale o fisica (physis, non fisicità corporea, ma anche spirituale), stabilita dalla natura, consiste nella differenza d’età, salute, forze del corpo e qualità spirituali o dell’anima -> non siamo identici dal punto di vista della costituzione naturale, né fisicamente, né per abilità o talenti; - Disuguaglianza morale (mores) o politica (polis), dipende da una convenzione, ed è stabilita dal consenso degli uomini, consiste nei privilegi di cui alcuni godono a danno di altri (più ricchi, Da un lato c’è giustizia nel rispettare le disuguaglianze naturali (che sono ininfluenti), perché la società dovrebbe avvantaggiare chi ha più capacità, per permettergli di aiutare gli altri, dall’altro sono comunque differenze naturali scarse, molto minori rispetto alle disuguaglianze artificiali (differenze di potere e ricchezza) -> le società europee sue contemporanee sono radicalmente disuguali, ma di una disuguaglianza storica, salda grazie all’istituzione della proprietà, che ha interagito con la diseguaglianza naturale amplificandola, moltiplicandola, traducendola e trasformando anche quella in una causa di violenza e di iniquità. Per queste sue posizioni è molto criticato anche da Voltaire, il quale pensa che l’argomentazione su come sia fatta la società, e le fonti della disuguaglianza tradisca la volontà di riportarci allo stato animale delle origini, lo accusavano in molti di essere un primitivista. Ma Rousseau, che sta criticando aspramente la società del suo tempo, sostiene che essendo l’uomo ormai corrotto, non potrà mai tornare alla virtù, né tornando allo stato di uguaglianza primitiva, né con una rivoluzione che è “temibile quanto il male che potrebbe guarire” (Osservazioni a Stanislao di Polonia). In questo Rousseau segue Montesquieu, non crede di poter fare e disfare il futuro a proprio piacimento, è un critico ma al tempo stesso teme il mutamento perché diffida della razionalità umana. Rousseau non si illude alla chimera di riformare l'umanità, ormai l'umanità è corrotta, però critica la corruzione e l'ingiustizia sociale e rivendica il diritto al disprezzo (come in Nota I). • L’ISTITUZIONE DELLA PROPRIETÁ PRIVATA: Tra lo stato originario di natura e lo stato civile vi è un lungo interregno che è al tempo stesso naturale e artificiale: naturale perché Rousseau considera stato di natura tutta la condizione umana fino a quando non nasce la proprietà privata. Le società dei cacciatori o le società dei pastori, per unanime convinzione di tutti questi autori, non conoscono la proprietà privata in senso proprio. Nelle società dei cacciatori la proprietà privata non è riconosciuta come un diritto, era riconosciuto che il cacciatore andava a caccia, catturava la preda, che era sua nella misura in cui la possedeva, la aveva con sé, poi la portava nella sua capanna e la mangiava con il suo clan. Ma non c'era una proprietà nel senso di una realtà esterna che, anche in assenza di un proprietario, potesse essere considerata sua. Per arrivare a un impianto giuridico basato sulla proprietà della terra come attribuzione a un individuo della proprietà di quella terra, ci sono quindi delle fasi intermedie (che abbiamo chiamato dei pastori e dei cacciatori), che non sono propriamente né storia, né natura. Il momento in cui nasce la storia è quello in cui il diritto succede alla violenza, la natura è sottoposta alla legge. Secondo Rousseau, la violenza non è mai una bella cosa, ma quando c'è poi vi si reagisce e la si neutralizza. Il diritto invece non è una buona cosa, perché il diritto è il diritto positivo, è quello della legge, che, è vero, viene dopo la violenza, ma viene dopo la violenza sottoponendo a sé la natura, e il diritto positivo, cioè il diritto dei codici, ha la precisa funzione di legittimare quella diseguaglianza morale e politica che è a sua volta fatta di privilegio, di strutture, di rapporti di comando. “Catena prodigiosa” è ironico: lo scambio tra tranquillità e perdita di felicità reale è del tutto irrazionale. Continua nel Prologo a parlare di ciò che hanno fatto i filosofi intenti a cercare lo stato di natura senza trovarlo, attribuendogli nozioni scorrette (giusto e ingiusto, diritto naturale di conservare ciò che appartiene, governo con autorità del più forte sul più debole), e parlando di bisogni, avidità, oppressione, desideri, orgoglio -> parlavano dell’uomo selvaggio, ma dipingevano l’uomo civile. Prologo: affermazioni metodologiche -> dice che bisogna “escludere tutti i dati di fatto, perché non concernono la questione”, le ricerche che fa non sono verità storiche, ma ragionamenti ipotetici e condizionali, “più adatti a chiarire la natura delle cose che a mostrarne la vera origine, e simili a quelli che fan sempre i fisici intorno alla formazione del mondo”. Rousseau si sta domandando cosa sarebbe potuto diventare il genere umano se fosse rimasto abbandonato a se stesso, si propone di fare ipotesi, perché non possiede documenti. Si propone di studiare l’uomo leggendo la natura, “che non mente mai”. Nella Prima parte del discorso Rousseau rilegge la TEORIA STADIALE, e descrive gli uomini naturali come i cacciatori, abituati alle intemperie, temprati dal clima e dalla fatica, essi erano capaci di soddisfare i loro bisogni, erano autosufficienti e quindi liberi. Questo già ci fa capire che la storia invece di essere un progresso, è un regresso verso minore autosufficienza, ossia verso l’INTERDIPENDENZA, e verso minore LIBERTÁ. “La vera giovinezza del mondo”, il periodo in cui gli uomini hanno vissuto meglio è quello dei pastori in piccoli gruppi di nomadi, senza litigiosità, senza invidia, senza divisione del lavoro, ogni gruppo familiare bastava a se stesso, e nessun gruppo dipendeva dagli altri (come il cacciatore bastava a sé), mancava la dipendenza reciproca, la divisione del lavoro e c’era più libertà. • Lo stato di natura (cacciatori e pastori), di indipendenza e di libertà finisce con l’introduzione della PROPRIETÁ PRIVATA: Il vero fondatore della società civile, è colui che si prende la terra, che la recinta (riferimento al fenomeno delle enclosure) -> si parla di proprietà della terra perché sono società agricole, e dunque l’appropriazione della terra equivale all’appropriazione del mezzo di sostentamento sociale decisivo e quindi in definitiva dello strumento di comando, di dominio, di potere e di ricchezza maggiore che si potesse immaginare. La società civile, la società nella quale viviamo, la società delle “leggi, della giustizia e del diritto”, si fonda su un gesto di inganno, su un gesto di impostura, su un gesto di violenza. Per Rousseau la modernità inizia con la società agricola, frutto di un’usurpazione, frutto di guerre, uccisioni. Quando parlavamo di Mandeville parlavamo delle recinzioni, ossia le enclosure dell’Inghilterra, perché egli riconosce il progresso grazie alle recinzioni -> tema della moltitudine dei poveri, da lasciare ignoranti perché una società moderna e ricca necessita di molte persone povere e ignoranti che lavorino in modo bestiale. Alla coltivazione delle terre seguì necessariamente la loro spartizione e per riconoscere la proprietà privata venne introdotta una nuova specie di diritto. Nuova specie di diritto (positivo) ≠ legge naturale. Rousseau contribuisce alla filosofia del diritto distinguendo tra ciò che è legale e ciò che è legittimo. La legge è legale, ma può essere non giusta, non legittima. Il diritto di proprietà, è legale ma non legittimo, perché è fondato su quel gesto dell'inganno e della violenza. Se per Locke la proprietà privata è qualcosa di naturale perché per natura, per legge di natura abbiamo ciò che ci appartiene, secondo Rousseau la proprietà privata viene imposta in modo violento e ingannevole nella storia. Per entrambi la proprietà nasce dal lavoro, e con la nascita della proprietà nasce anche una nuova specie di diritto che non è più naturale, ma contro-natura, un diritto positivo. Con la nascita della società agricola non vede progresso, ci sono di sicuro più ricchezze, ma nasce anche la schiavitù ossia l’interdipendenza. Rousseau parla di una “Catena prodigiosa di fatti” che ha portato alla proprietà-> c'è un prodigio da spiegare: come mai è accaduto questo? Come mai c’è consenso? E allora da qui la necessità di risalire, cioè di ripercorrere questa catena di fatti. La ricostruzione della catena dei fatti va scandita in tre tempi: 1. Punto di partenza: stato di natura, “gli uomini quali erano usciti dalle mani del creatore, quali la natura li aveva generati" (Prologo), condizione statica extrastorica, non in mutamento, è la condizione della bestia (quella da cui secondo Mandeville era una fortuna essere usciti, sennò saremmo senza progresso). Questa condizione non è rimpianta da Rousseau, perché l’uomo qui come un animale non distingueva il bene dal male, viveva da solo nei boschi, guidato dall’istinto, senza relazioni sociali, tanto da non avere consapevolezza dei suoi simili. Condizione di isolamento, assenza di consapevolezza, assenza di libertà e assenza di temporalità. 2. Storia naturale, ossia momento intermedio, processo di trasformazioni, ma assenza di istituzioni della società civile. Ci sono le prime relazioni informali, pensiamo alle società dei cacciatori o alla società dei pastori, caratterizzate da una serie di villaggi, forme, relazioni, amicizie, parentele, conflitti, e dalla assenza di quello che poi diventerà la società in senso proprio, si associavano piuttosto in branco senza obbligarsi. Si fanno le prime scoperte (fuoco, linguaggio, armi, sentimenti-> famiglie). Accadono i primi conflitti, e si sviluppano le prime passioni. Gli uomini di questa età non pensavano al domani, ma solo al presente. Iniziarono anche a procurarsi alcune comodità fino ad allora sconosciute, che divennero le prime fonti del male, perché li portavano a rammollirsi. “La vera giovinezza del mondo”, il periodo in cui gli uomini hanno vissuto meglio è quello dei cacciatori e pastori in piccoli gruppi di nomadi, senza litigiosità, senza invidia, senza divisione del lavoro, ogni gruppo familiare bastava a se stesso, e nessun gruppo dipendeva dagli altri (come il cacciatore bastava a sé), mancava la dipendenza reciproca, la divisione del lavoro e c’era più libertà. Tutti i progressi successivi compiuti verso la perfezione dell’individuo, non hanno portato ad altro che alla decrepitezza della specie. Ogni uomo provava amore di sé, ma anche pietà verso il prossimo, e quindi si prendeva cura anche degli altri. È di questo periodo che Rousseau ha nostalgia, dei pastori e cacciatori, non dell’uomo- bestia originario. Rousseau giudica bene anche i selvaggi del Nuovo mondo, gli uomini naturali; per alcuni sono soltanto dei primitivi incivili e barbari, per altri invece, come Rousseau, sono gli uomini migliori, gli uomini che non sono ancora ispirati da passioni distruttive, non c'è ancora l'amor proprio, c'è ancora la pietà, e testimoniano lo stallo in questo stato di giovinezza del mondo. Nelle società dei cacciatori e dei pastori vigeva l’autosufficienza, l’indipendenza, il selvaggio (cacciatore) portava se stesso sempre con sé (Prologo). Rousseau pensa che la storia umana sia in larga misura frutto del caso, in questo caso un caso funesto, se invece ritenesse che esiste Dio e soprattutto esiste la Provvidenza a governare la storia umana, ne darebbe un'immagine assolutamente paradossale, perché la storia purtroppo ai suoi occhi è andata proprio come non si sarebbe dovuta evolvere, è andata nella direzione sbagliata. Tutta la storia naturale delle prime società è una storia tutto sommato positiva e progressiva, perché quelle passioni, è vero, hanno modificato un po’ la pietà, ma non al punto da distruggerla, hanno seminato un po’ di invidia e di rancore, ma non al punto di avvelenare le relazioni, e invece hanno consentito lo sviluppo di forme appunto di famiglia e di società, di convivenza, di rapporti umani molto sani e molto dolci, purtroppo poi le cose sono andate avanti degenerando. 3. Società civile: si verifica una vera e propria cesura tra la storia naturale e la società civile. Quando gli uomini si accorsero di necessitare il lavoro altrui, di dover fare provviste, l’uguaglianza scomparve e fu introdotta la PRORPIETÁ, il lavoro divenne necessario, e nelle campagne crescevano le messi assieme alla schiavitù e alla miseria. Si fa riferimento al consenso, le persone hanno creduto alla pretesa di proprietà, alla base dell’inganno dell’appropriazione della terra c’è un consenso, fine dello stato di natura e inizio dello stato civile grazie al consenso per l’impostura, all’accettazione dell’inganno. Le arti di cui parlava inizialmente erano le arti compatibili con la autosufficienza del singolo, mentre qua si parla delle nuove arti, quelle che portano alla istituzione della proprietà. La nascita dell’agricoltura e della metallurgia, è responsabile agli occhi di Rousseau della grande rivoluzione che porta alla fine della società naturale, alla fine dell'uguaglianza, alla nascita della proprietà, alla istituzione del lavoro necessario. -> detto ciò tutti corsero incontro alle catene convinti di assicurarsi la libertà, vedevano i vantaggi ma non i pericoli di una costituzione politica -> questa è l’origine della società delle leggi: distruggendo la libertà naturale, fissando la legge della proprietà e della disuguaglianza, chiamando diritto “un’accorta usurpazione”. Sta polemizzando contro il contrattualismo, contro i giusnaturalisti come Locke, che avevano detto che c'era stato un contratto sociale in cui ciascun singolo aveva deciso di rinunciare a qualcosa, a qualche vantaggio di cui godeva nello stato di natura, in cambio dei benefici che la società avrebbe offerto. Invece quando si arriva a quel famoso contratto sociale che secondo voi dà vita alla società, vi si arriva quando la diseguaglianza si è già approfondita e radicalizzata, ci sono già i potenti e i prepotenti, e i deboli sono costretti ad obbedire. Si sta raccontando la stessa scena della recinzione della terra: il fatto che lui, l’impostore, mettendo i paletti intorno alla terra dica che quello è suo, e il fatto che dica "Uniamoci!" e tutti corrono incontro alle catene, solo apparentemente sono due scene diverse, in realtà è la stessa scena, perché quello che conta è la risposta della controparte, di quegli ingenui che gli prestano fede e acconsentono all’inganno. Sta criticando anche Mandeville, che per quanto non ne parli esplicitamente come i giusnaturalisti, parla implicitamente di un patto basato sull’ignoranza e sull’inganno. La massima fondamentale di ogni diritto pubblico è che i popoli si sono dati dei capi per difendere la loro libertà e non per asservirli; “Chiamano pace una infelicissima servitù”, citazione da Tacito, Historiae. Dato che le forme di governo traggono origine dalle differenze più o meno grandi tra i singoli al momento dell’istituzione del governo -> monarchia se c’era un uomo al potere, eminente in virtù, ricchezza o credito; aristocrazia se molti quasi uguali tra loro prevalevano su tutti gli altri, eletti insieme; democrazia se quelli che avevano meno sproporzione tra fortuna e ingegno, e si erano allontanati meno dallo stato di natura, conservavano in comune l’amministrazione. • In cosa consiste la modernità di Rousseau, un autore così critico di quel periodo? Non è un nostalgico che si attarda nell'elogio di un passato remoto, è invece ben consapevole delle caratteristiche proprie della società moderna. Gli autori del ‘700 si rendono conto che il processo della divisione sociale del lavoro, per quanto esistesse già, si radicalizza in quel secolo, e lo testimonia il fatto che la moltiplicazione dei ruoli sociali conobbe una accelerazione vorticosa tra ‘600 e ‘700. La modernità di Rousseau consiste nella attenzione per il processo di divisione sociale del lavoro, ma consiste anche in un altro grande tema, che è la centralità dell'economia, la centralità della relazione economica e del potere che si sviluppa dalla relazione economica. Le società antiche, pre-moderne, non erano società che ruotassero intorno allo scambio mercantile o all'attività produttiva, erano società che ruotavano prevalentemente intorno a due aspetti del potere: - il conflitto militare, erano società costruite in relazione all'impiego e all'affermazione della forza, del potere che derivava immediatamente o essenzialmente dall'uso della forza armata, militare -> lavoro sotto coercizione: il servo della gleba, per non parlare dello schiavo, era costretto dalla violenza militare. - l'esercizio del potere religioso, del potere inerente al monopolio o all'oligopolio delle così dette verità rivelate, o almeno al potere derivante dall'affidamento dei credenti. La stessa violenza militare, salvo l'aiuto della violenza religiosa, provvide a garantire la ricchezza necessaria alla riproduzione delle società europee fino a tutto il Medioevo, ed era garanzia del mantenimento delle gerarchie sociali assieme al potere religioso. Nella società moderna invece la funzione di garante delle gerarchie sociali non è più svolta dalla violenza militare, e cioè dalla frusta o dal bastone o dalla lancia o dalla spada, e non è neanche più affidata alla minaccia dell'Inferno e della pena eterna, dalla minaccia del rogo o dalla minaccia dell'anatéma e dell'ostracismo, ma è invece affidata alla diversa remunerazione del lavoro, al fatto che sei povero e che quindi non c'è bisogno della frusta, basta la povertà per costringerti. Nella modernità non è più la coazione militare, extra-economica, a governare i rapporti, ma è la coazione economica, il potere del denaro. Il processo o “progresso” della disuguaglianza, come lo definisce Rousseau in modo ironico, ha visto tre tappe: 1) La prima è l'impostura e l'instaurazione della legge positiva sul diritto di proprietà, e questa comporta l'autorizzazione della condizione di ricco e di povero, che non fu più considerata come un'ingiustizia e una violenza ma invece come una cosa giusta. 2) La seconda tappa ruota intorno all'istituzione della magistratura, che lui intende come tutte le figure che operano e che si collocano all'interno della sfera istituzionale, dello Stato, della cosa pubblica o res publica. Quindi significa l’istituzione del governo che genera la condizione di potente e di debole. 3) La terza tappa è la degenerazione degli effetti delle prime due nell'arbitrio, con il rapporto più violento, quello di ultimo grado della disuguaglianza, in cui tutti gli altri elementi finiscono per sfociare, e che è il rapporto del vero e proprio asservimento: vi sono i padroni e vi sono gli schiavi. Ricchi e poveri sono anche padroni e schiavi, salvo che diventano tali quando la diseguaglianza economica è diventata radicale, assoluta, e non dipende più dalle armi, perché ci sono le leggi, le magistrature, il governo. La schiavitù c’è non per le armi, ma perché il povero non ha nulla e il ricco ha tutto -> tutto si basa sull’economia. Si può essere diseguali per ricchezza, per nobiltà, o per meriti personali. L'indice più certo della buona o cattiva Costituzione è il ruolo che ha la terza piuttosto che la prima (slide 68). La diseguaglianza artificiale ha acuito di tantissimo gli effetti di quella naturale: il più forte non dispiega effetti positivi dalla sua forza sugli altri, ma negativa, la disparità di forza è molto maggiore della disparità di capacità naturali, e spesso diventa più ricco non chi ha più talenti naturali. “Il selvaggio vive in se stesso; l’uomo socievole, sempre fuori di sé, non sa vivere che nell’opinione altrui, e per così dire, solo dal loro giudizio trae il sentimento dell’esistenza propria.” La disuguaglianza, quasi nulla nello stato di natura, trae la sua forza e il suo accrescimento dallo sviluppo delle nostre facoltà e dai progressi dello spirito umano, e diventa infine stabile e legittima per l’introduzione della proprietà e delle leggi. Nota I: Tutto questo ci porterà solo alla follia, non ha alcuna utilità, è un uso delirante e malato del potere conquistato attraverso la violenza e la sopraffazione (slide 69). Integrazioni: Parte prima: La maggior parte dei nostri mali sono opera nostra (cattivo nutrimento, ozio o troppo lavoro, impulsività delle passioni, stanchezza etc.) e li avremmo evitati quasi tutti conservando la maniera di vivere semplice, uniforme e solitaria che ci era prescritta dalla natura. Nello stato di natura l’uomo vive sano al pari degli altri animali, in equilibrio con l’ambiente, poi quando inizierà ad adottare uno stato d’animo teso alla riflessione (incivilimento) la sua salute diventerà sempre più precaria. L’uomo diventando civile e schiavo diventa debole e timoroso, non ha più forza né coraggio. I primi uomini vivevano benissimo senza tutte le nostre comodità, vivevano grazie a ciò che la natura dava loro, e non gli servivano strani rimedi o medicine. La sua unica cura è la sua stessa conservazione, ed esercita quelle facoltà che gli sono utili per attaccare e difendersi, hanno alcuni sensi più sviluppati di altri, in modo diverso rispetto all’uomo moderno (vista, udito, odorato). Definisce l’animale come una macchina ingegnosa, a cui la natura ha dato i sensi per ricaricarsi da sé e proteggersi da ciò che potrebbe distruggerla -> lo stesso vede nell’uomo, con una differenza: che l’uomo agisce liberamente e concorre in queste operazioni, che per la bestia governa solo la natura -> l’animale segue l’istinto, mentre l’uomo decide liberamente, spesso a suo danno. Non è l’intelligenza la differenza specifica tra uomo e animale, il quale “ha idee poiché ha sensi”, ma la sua qualità di agente libero -> la natura comanda e la bestia ubbidisce, l’uomo consente o resiste all’istinto -> nella potenza del volere, nell’atto di scegliere vediamo atti puramente spirituali, inspiegabili tramite leggi meccaniche. La qualità più evidente che differenzia uomini e animali è la facoltà di perfezionarsi -> la bestia non acquisisce nulla, e non ha nulla da perdere, mentre l’uomo, che può perdere molto per vecchiaia o altri motivi può perdere tutto ciò che la sua perfettibilità gli aveva fatto acquistare. È questa facoltà che lo trae fuori dallo stato originario, e fa sbocciare nel tempo la sua capacità intellettuale, suoi errori, i suoi vizi e le sue virtù, rendendolo il tiranno di se stesso e della natura. L’intelletto deve molto alle passioni -> non cerchiamo di conoscere se non perché desideriamo godere, le passioni poi traggono origine dai nostri bisogni e progrediscono grazie alle conoscenze. I desideri dell’uomo poi non oltrepassano i bisogni fisici. I progressi spirituali quindi si sono proporzionati ai bisogni dei popoli e per conseguenza alle passioni che portavano a provvedere dei loro bisogni. Tutto sembra allontanare l’uomo selvaggio dalla tentazione di cessare di essere tale (pg.109). vive nel presente senza pensare all’avvenire, così fa anche il “Caraibo”, il selvaggio del Nuovo Mondo che vive alla giornata. Rousseau esplica le varie difficoltà che immagina siano accadute nel passare un “così grande intervallo”, tra stato di natura e società civile. Come è possibile che gli uomini abbiano acconsentito a lasciare uno stato così felice, sottoponendosi ad un duro lavoro? Siamo molto debitori all’uso della parola, per sviluppare le lingue e le grammatiche ci sono voluti secoli e secoli. Parla dell’origine delle lingue (112) e fa riferimento a Condillac. Arriva a sostenere che è convinto dell’impossibilità che le lingue abbiano potuto nascere con mezzi puramente umani, quasi a parlare di un’origine divina del linguaggio. Critica poi Hobbes e quanti sostengono che nello stato di natura si vivesse nella misera, dato che non poteva essere tanto miserabile chi viveva libero, con il cuore in pace e con buona salute ≠ uomo miserevole è abbagliato dai lumi, tormentato dalle passioni, ragionante su uno stato diverso dal suo. Non conoscevano né bene né male i selvaggi, non avevano relazioni morali -> su questo punto è d’accordo con Hobbes, Spinoza e in contrasto con i giusnaturalisti, ma secondo Rousseau non avevano nemmeno vere e proprie relazioni sociali istituzionalizzate. VS Hobbes -> lo stato di natura, essendo quello in cui la cura della nostra conservazione è meno dannosa all’altrui, era il più adatto alla pace e il più conveniente al genere umano. Hobbes ha attribuito all’uomo una quantità di passioni che sono in realtà il prodotto della società, e che hanno reso necessarie le leggi. I selvaggi non sono cattivi perché non sanno cos’è essere buoni, è l’ignoranza del vizio e la calma delle passioni impediscono loro di far male. Rousseau è contrario all’antropologia hobbesiana e sostiene che nello stato di natura l’uomo era piuttosto un impasto di amor di sé, per la propria conservazione, e pietà, ossia ripugnanza innata nel veder soffrire il proprio simile, virtù tanto naturale che precede ogni riflessione e che appartiene anche agli animali -> critica Mandeville, come “denigratore più esagerato delle virtù umane”. Dalla pietà naturale derivano tutte le virtù sociali, la generosità, la clemenza, l’umanità, la benevolenza, l’amicizia. È la ragione invece a generare l’amor proprio (degenerazione dell’amor di sé), viene fortificato dalla riflessione, dalla filosofia, per la quale l’uomo dice in segreto di fronte ad un uomo che soffre “Muori, se vuoi: io sono al sicuro”.
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