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Schiavi del Clic di Antonio Casilli, Sintesi del corso di Mercato E Politiche Del Lavoro

Casilli esplora le strategie e le regole del nuovo taylorismo, nel quale Amazon, Facebook, Uber e Google sono gli attori principali grazie alla capacità di sfruttare i propri utenti inducendo gesti produttivi non remunerati. Servono tutti gli strumenti della sociologia e della scienza politica, del diritto e dell’informatica per smascherare le logiche economiche della società plasmata dalle piattaforme digitali.

Tipologia: Sintesi del corso

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Caricato il 20/02/2022

Senshoku.Kiiro
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Scarica Schiavi del Clic di Antonio Casilli e più Sintesi del corso in PDF di Mercato E Politiche Del Lavoro solo su Docsity! SCHIAVI DEL CLIC Antonio Casilli Prefazione L’avvento del lavoro moderno non ha eliminato deterministicamente tutte le dolorose forme di schiavitù che l'epoca attuale conosce ancora. Permangono sacche di arretratezza pre capitalistica nelle nostre economie, ma con la presenza di legami storici tra l'istituzione del lavoro libero e quella del lavoro servile. Il patto che unisce lo schiavo al suo padrone rischia di essere visto come una servitù volontaria, ma per alcuni autori il riconoscimento della natura volontaristica di questo asservimento è anche un'arma per combatterlo. I sistemi attuali di produzione e circolazione dell'informazione a fini politici o commerciali sono basati su incentivi non tanto a sottomettersi volontariamente, ma quanto a praticare una scelta volontaria obbligatoria: eseguire gesti e adottare comportamenti che producono informazioni come se fosse una nostra scelta. È la mancanza di una coscienza e di una solidarietà di classe a ostacolare oggi la strutturazione di un orizzonte di lotte intorno al digital labor. Per superare lo sfruttamento attuale chiediamo di accantonare la retorica schiavistica perché ci impedisce di vedere in che misura tutti i lavoratori del click non sono servi esclusi dal corpo sociale ma, al contrario, costituiscono una collettività in cerca di coscienza e portatrice di una missione storica di emancipazione. Introduzione Il Testo si divide in tre parti: 1- La prima parte analizza i legami economici e culturali tra il programma scientifico dell'intelligenza artificiale e il programma tecno economico delle piattaforme digitali. Questa prima parte riguarda anche la nostra difficoltà di rappresentare la natura del contributo umano alla produzione isolata dai differenti processi che la compongono. Questo ci porta a credere che basti automatizzare alcune mansioni abitualmente svolte dagli esseri umani perché scompaiano interi mestieri, questa è la teoria della “grande sostituzione tecnologica”. Non bisogna invece sottostimare la grande quantità di lavoro incorporata nell’automazione stessa. Le inquietudini contemporanee sulla scomparsa del lavoro sono un sintomo della vera trasformazione in atto: non siamo davanti alla scomparsa del lavoro ma piuttosto alla sua digitalizzazione. Questa dinamica tecnologica e sociale mira alla trasformazione del gesto produttivo umano in micro operazioni sotto remunerate o non remunerate al fine di alimentare un'economia dell'informazione basata principalmente Sull'estrazione di dati e sull'assegnazione a operatori umani di mansioni produttive costantemente svalutate. 1 2- La seconda presenta una serie di esempi che vanno da Uber ad Amazon e da Facebook a Google per mostrare la varietà di forme che assume il lavoro nel momento in cui i modelli economici provano incorporare l'intelligenza artificiale. Il Fenomeno del digital labor - ovvero quel lavoro spezzettato e datificato che serve ad addestrare i sistemi automatici - è stato reso possibile da due tendenze storiche: l'esternalizzazione del lavoro e la sua parcellizzazione. Queste due tendenze sono apparse in momenti differenti, ma si sono sviluppate seguendo cicli disallineati fino a che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione non le hanno fatte convergere. In questa sezione parleremo anche della piattaformizzazione. All'interno di queste logiche il lavoro generato dagli utenti è necessario per produrre diversi tipi di valore: ➢ il valore di qualificazione, che permette il funzionamento regolare delle piattaforme (gli utenti organizzano l'informazione lasciando commenti o dando voti su beni e servizi o su altri utenti della piattaforma) ➢ il valore di monetizzazione che fornisce liquidità breve termine (il prelievo di commissioni o la cessione di dati forniti da attori ad altri attori) ➢ il valore di automazione che si inscrive in uno sviluppo più a lungo termine (l'utilizzo di dati e contenuti degli utenti per addestrare le intelligenze artificiali) 3- La terza fornisce degli strumenti teorici per capire i fenomeni di sovrasfruttamento e di asimmetria legati alla ristrutturazione dei mercati del lavoro. La conclusione propone alcune piste di riflessione per superare questi fenomeni. L'autore crede che non siano le macchine a fare il lavoro degli esseri umani, ma gli esseri umani a essere spinti a eseguire il Digital Labor per conto delle macchine accompagnandole, imitandole, addestrandole. Le attività umane cambiano, si standardizzano e si procedurizzano per produrre informazione in forma normalizzata. L’automazione segna così uno stravolgimento del lavoro e non la sua cancellazione. 2 mansioni umane. Si tratta di un processo a sé stante che modifica la sostanza del lavoro portando all'estremo due tendenze di lungo periodo: la standardizzazione e l'esternalizzazione dei processi produttivi. La riduzione del gesto produttivo o una sequenza standardizzata di attività parcellizzate lo rende compatibile con le procedure automatizzate. La digitalizzazione di alcune mansioni umane non porta a processi essenzialmente automatici, sono soprattutto gli utenti i consumatori i clienti ad avere la responsabilità di far funzionare le macchine. Ecco perché attraverso le tecnologie digitali non si realizza una sostituzione del lavoro, ma il suo trasferimento, con la delega di un numero crescente di mansioni produttive a dei non lavoratori. Cominciamo a intravedere il principio del “lavoro del consumatore” che risulterà centrale nell'analisi dei capitoli che seguiranno ed è quello che chiameremo lavoro di consumo non remunerato. È indispensabile aprire gli occhi sul contributo necessario di gruppi umani che hanno avuto difficoltà sia ad accedere al lavoro sia a essere riconosciuti nel mondo nato dalla rivoluzione industriale: minoranze, donne ed esclusi. In questo senso il lavoro del consumatore richiama paradossi simili a quelli del lavoro domestico. Entrambi permettono alle aziende di sfruttare al massimo le logiche di dipendenza che caratterizzano gli ecosistemi umani situati attorno - e non all'interno - del classico luogo di lavoro. Vedremo in seguito che una parte importante delle attività produttive di valore viene spesso occultata nel Back Office. Altre volte viene miniaturizzata nella forma del micro lavoro oppure cancellata dal campo visivo attraverso la delocalizzazione, realizzata da lavoratori precari dall'altro capo del mondo. Spesso è la sua stessa natura di attività lavorativa ad essere negata perché la si interpreta semplicemente come un gioco, una forma di partecipazione, di cura e realizzazione personale. Automazione o digitalizzazione? Il lavoro digitalizzato non è “lavoro morto”, per riprendere l'espressione che nel lessico marxista definisce le macchine nelle fabbriche. Non è nemmeno “lavoro scomparso” sul quale fantasticano i profeti dell'automazione. La digitalizzazione va intesa come esternalizzazione delle mansioni produttive standardizzate: una riorganizzazione del rapporto tra interno ed esterno dell'azienda che porta a diminuire la quota di valore prodotta all'interno e accrescere quella prodotta all'esterno. Dobbiamo superare la prospettiva del lavoro automatizzato per mettere a fuoco quella che è la vera posta in gioco: quella del lavoro di digitalizzato. Innanzitutto perché include in sé l'elemento fisico, il movimento attivo del digitus (il dito che serve a contare ma anche quello che clicca sul tasto), opposto all'immobilità astratta del numerus (il numero inteso come concetto matematico). Questo ritorno all'etimologia ci libera da una visione del digitale come campo dominato da esperti e scienziati, si tratta di spostare la nostra attenzione verso tutti gli individui impegnati nelle mansioni più umili, ordinarie ed elementari. È il lavoro nel senso dell'identità professionale: il job. Noi parleremo soprattutto della seconda accezione del lavoro ovvero della sua dimensione collettiva distinta da quella più individualistica, il lavoro come fondamento stesso della socialità in quanto implica di per sé un essere in società. Il Digital Labor rappresenta così un modo di concettualizzare in 5 maniera più solida la tecnica: non più come semplice fattore esogeno della sfera sociale, ma come insieme di pratiche e di azioni concrete attraverso le quali trasformiamo il nostro ambiente per orientarci a vivere. Per capire il digital labour bisogna tenere a mente che lavoro non può essere pensato senza prendere in considerazione il contesto tecnico nel quale si sviluppa, non esiste lavoro senza strumento e quindi ci si deve distaccare e rompere la falsa dicotomia tra questi due mondi. Concentrarsi esclusivamente sulle attività non remunerate che producono valore a partire dalla connettività sociale resa possibile dalle tecnologie digitali rischierebbe di occultare l'altro lato della medaglia del digital labor, ovvero le dinamiche di precarizzazione dei lavoratori e lo scandimento delle loro condizioni lavorative. Per questo motivo il concetto di Digital Labor non può indicare soltanto il lavoro gratuito, ma anzi designa un continuum tra attività non remunerate, attività sottopagate e attività remunerate in modo flessibile. L'automa e l'operatore Interrogare le frontiere tra lavoro ed extra lavoro richiede quel cambio di prospettiva già evocato che consiste nel passare dal considerare l'impiego nella sua totalità al concentrarsi sulle singole operazioni (task) che lo compongono. Assistiamo ad un passaggio dalla produzione alla parcellizzazione, quella che l'antropologa Mary Gray ha chiamato “taskification”. Parcellizzazione, esternalizzazione e precarizzazione procedono di pari passo. Sottovalutare la diffusione di questa logica produttiva centrata sulle micro mansioni sotto qualificate, continuando a focalizzarsi sul tema dall'impiego, ci pone principalmente di fronte a due rischi: ➢ il primo è di non riuscire a concettualizzare le ore “non lavorate”: l'ottica del lavoro formale, inquadrato contrattualmente situato in uno spazio appare evidentemente inadeguato per includere il lavoro di individui e gruppi umani formalmente autonomi, ma sostanzialmente legati alle filiere di produzione, dal lavoro domestico al lavoro del consumatore, dal lavoro dei dilettanti al lavoro dei volontari, dal cosiddetto audience labor svolto dai fruitori di un servizio ➢ il secondo rischio è di rinchiuderci dentro le frontiere nazionali. la possibilità di ricorrere alla delocalizzazione per comprimere i costi o razionalizzare un parco di stabilimenti non è più soltanto una prerogativa delle multinazionali. L’automazione come spettacolo di burattini (senza fili) Per capire in che misura l'automazione intelligente degli ultimi anni non sia in realtà che un processo di esternalizzazione, parcellizzazione e dequalificazione, basta osservare quali sono oggi le soluzioni di intelligenza artificiale esistenti rivolte al pubblico di massa. Nella sfera del largo consumo abbiamo piuttosto a che fare con intelligenze artificiali deboli, è il caso del pilota automatico della Tesla o Siri di Apple e Alexa di Amazon. Quale sia il loro grado di perfezionamento queste intelligenze artificiali 6 incorporano una quota notevole di lavoro non artificiale, non sostituiscono gli esseri umani, ma li assistono. Anche i servizi di assistenza per i clienti funzionano per mezzo di una sinergia tra lavoratori umani e soluzioni informatiche. Il coinvolgimento umano è necessario per ragioni sia tecniche sia commerciali. Le intelligenze artificiali si basano su procedimenti di apprendimento automatico che viene “definito supervisionato”: le macchine imparano a interpretare le informazioni e a realizzare le azioni accumulando interazioni, sotto la sorveglianza di istruttori umani. La sola intelligenza artificiale possibile al momento è limitata e sostanzialmente inefficace in assenza dell'intervento umano. A essere centrale per noi non è la bolla degli esperti informatici che concepiscono i sistemi di intelligenza artificiale ma sono in realtà i miliardi di operatori che ogni giorno azionano i fili del burattino dell'automazione debole. L’intervento umano si manifesta sia attraverso azioni di facilitazione, sia di addestramento, se non addirittura di sostituzione delle intelligenze artificiali. Il nano e le condizioni materiali dell’automazione. L’automazione tanto desiderata dagli investitori e tanto temuta dai tecnofobi è innanzitutto una forma di lavoro umano invisibilizzato. Studiare il Digital Labor ci porta precisamente a svelare il ruolo di primo piano giocato dagli operatori umani negli strumenti software, ovvero i produttori e ripulitori dei dati raccolti attraverso le piattaforme, che lavorano in sinergia con i dispositivi computazionali. La figura che rappresenta al meglio l'innesto dell'uomo al cuore della macchina è quello del “turco meccanico” che ritroviamo nel quarto capitolo. Il turco meccanico è di fatto una metafora filosofica e Walter Benjamin paragona questo macchinario al materialismo storico, dottrina che riusciva a sconfiggere ogni suo avversario soltanto perché nasconde al suo interno l'ignobile nano della teologia, una metafisica piccola e brutta. Per spiegare le condizioni immanenti delle società umane è necessario ricorrere a un pensiero della trascendenza. Possiamo anche rovesciare la metafora: e il materialismo storico, ovvero l'attenzione per le condizioni materiali di esistenza dei produttori di valore, che si è fatto rachitico, ridotto al ruolo di omuncolo che non deve lasciarsi vedere e nascosto dentro la credenza astratta in un'intelligenza realmente artificiale - la teologia del machine learning. Una moltitudine di nani gobbi si nasconde dietro gli onnipresenti bot, gli algoritmi presumibilmente infallibili e neutrali. Osservare il digitale con lenti materialiste permette di prendere in considerazione le trasformazioni del lavoro e della sua dimensione tecnica materiale. I giganti della rete esercitano la loro egemonia economica sul mercato mondiale attraverso un sistema di gestione della forza lavoro che segue le logiche già evocate di esternalizzazione, parcellizzazione e dequalificazione. La promessa sempre rimandata dell'automazione L’economia delle piattaforme digitali non produce degli impieghi, ma delle mansioni per i lavoratori che vengono descritti come subappaltatori e indipendenti - se non addirittura come produttori – dilettanti, consumatori, appassionati o semplici utenti. Il suo sviluppo presuppone il superamento della relazione classica tra datore di lavoro e 7 insistendo sulle tecnologie a forte valore aggiunto si occulta l'elemento umano, il mito della neutralità smarca le piattaforme da ogni responsabilità mascherando il loro impatto sociale. La precisione e l'autonomia rivendicata da queste entità tecniche occulta la quantità di lavoro necessaria al loro funzionamento e alla loro manutenzione. Una struttura senza contorni Se le piattaforme possono essere considerate una risposta alle carenze del paradigma di mercato, e anche ai limiti dell'azienda che la loro ascesa risponde. Oggi stiamo assistendo alla decomposizione di un modello organizzativo che ha dominato il ventesimo secolo. È in crisi il suo metodo di creazione del valore, basato sull'impiego congiunto del lavoro e del capitale in vista di una crescita economica dettata principalmente dagli investimenti e dall'innovazione. Una crisi determinata dal peso crescente del capitale finanziario. Secondo Blanche Segrestin e Armand Hatchuel l'azienda si è allontanata dalla sua missione storica, ovvero costruire un progetto d'innovazione collettivo mettendo in relazione quelli che portano il loro capitale e quelli che si sottomettono ha una forma di governo del lavoro. Le aziende sono passate attraverso lunghi cicli di fusione, acquisizione e razionalizzazione che hanno provocato una compressione del personale formalmente impiegato. Questo processo ha avuto come conseguenza un'importante trasformazione e indebolimento dei collettivi di lavoratori insieme alle aziende. La figura del lavoratore salariato lascia campo libero ai nuovi paradigmi del lavoro atipico: freelance, precari e subfornitori. Se queste trasformazioni prefigurano una logica che il lavoro digitale sulle piattaforme porterà alle sue estreme conseguenze, sono anche il sintomo di una tendenza più profonda, caratteristica delle aziende in declino: lo sviluppo di relazioni mercantili all'interno dello stesso spazio aziendale. Ma questo modello sussiste fintanto che il costo per mantenere la relazione salariale resta inferiore a quello che avrebbe una contrattualizzazione sistematica dei rapporti con dei lavoratori indipendenti. Proteggendosi contro certi rischi e conflitti tradizionalmente le imprese garantiscono ai lavoratori una forma di sicurezza. L’ascesa delle piattaforme digitali contemporanee segnala che si è in qualche modo dissolta la frontiera tra il luogo della gerarchia della sicurezza (l'impresa) e il luogo della libera coordinazione attraverso i prezzi (il mercato). Un ecosistema coordinato Le piattaforme condividono alcuni tratti con i mercati, esibiscono una neutralità e un'assenza di gerarchia fondata sull'apparente orizzontalità dei rapporti tra i loro membri, i clienti ai fornitori o i semplici utenti della piattaforma. In questo modo, tutti gli scambi si dispongono sullo stesso piano in forma di rapporti di reciprocità. L’efficacia delle piattaforme come meccanismi di intermediazione è fondata sulla loro capacità tecnica di minimizzare quei costi di transazione che ogni attore sul mercato deve abitualmente sostenere. Storicamente questa ultima funzione era stata assicurata dalle imprese e contrariamente alle imprese le piattaforme non ricorrono né a gerarchie definite né a un'autorità istituzionale. Le piattaforme fanno ricorso a logiche di abbinamento 10 algoritmico, registrano o calcolano le preferenze di ogni utente sotto forma di dati per poi assemblarle, processarle e stabilire quale altro utente o gruppo di utenti sarebbe in grado di soddisfarle. Le piattaforme sono strutture multi versanti che mettono in relazione diverse tipologie di clienti. Un aspetto che le piattaforme digitali hanno in comune con i mercati two-sided è che il prezzo pagato per utilizzarle può essere a seconda dei casi positivo, negativo pari a zero. Ma a differenza di quest'ultimi dove è solitamente semplice distinguere i consumatori dai produttori, nelle strutture multi sided digitali c'è una certa confusione tra le categorie di consumatore e di produttore di servizi, contenuti o dati. Kevin Kelly, allora direttore della rivista Wired aveva sviluppato un brevetto per remunerare la lettura di ebook, in questo caso siamo di fronte a una piattaforma con tre versanti e tre categorie di utenti: acquirenti non lettori che pagano il libro al prezzo di mercato, acquirenti lettori che pagano il libro a prezzo negativo ovvero sono remunerati per la lettura e infine gli editori che trasferiscono verso i secondi una parte degli utili generati dalla vendita dei primi. Il coordinamento tecnico (attraverso l'abbinamento algoritmico) e il coordinamento economico (attraverso il sistema degli incentivi) richiedono anche un coordinamento sistemico. Lo possiamo definire come la tendenza delle piattaforme a costituire degli ecosistemi, ovvero ambienti popolati e da utenti. Per riuscire a funzionare, questi ecosistemi devono integrarsi tra loro riuscendo a essere pienamente compatibili. Proprio osservando in che modo questi ecosistemi si costituiscono vediamo emergere le due tendenze parallele già evocate nel primo capitolo: esternalizzazione e parcellizzazione del lavoro. Dal momento che l'azienda non produce più niente al suo interno, delega agli attori della piattaforma l'insieme della produzione del valore. La forza lavoro viene espulsa in quanto tale per essere recuperata in forma di massa di sub fornitori esterni. Quello nelle piattaforme è un nuovo tipo di esternalizzazione, poiché il lavoro non è delegato a una persona o a un collettivo bensì a una rete composta da una miriade di unità di produzione. L’attività umana viene scomposta in elementi standardizzati, normalizzati e semplificati attraverso la divisione del lavoro in mansioni o addirittura micro mansioni. Questa standardizzazione assicura un elevato livello di produttività mobilitando in massa gli utenti e la parcellizzazione delle mansioni incoraggiata dalle piattaforme, distinguendosi dalla frammentazione che caratterizzava le aziende del secolo passato. La propensione alla flessibilità e all'improvvisazione è ideale per coordinare le mansioni spezzettate e normalizzate svolte da una massa di individui intercambiabili, per poter sviluppare ed evolvere i loro servizi le piattaforme devono parcellizzare. Un sistema di estrazione del valore prodotto dagli utenti Le piattaforme privilegiano l'estrazione rispetto alla produzione del valore e questo modello economico funziona con l'estrazione attiva del valore prodotto dal lavoro degli utenti. Trovare il modo per stimolare la collaborazione, l'innovazione e la partecipazione 11 dei loro utenti è fondamentale e sta al cuore di tutto. In ogni caso le piattaforme vengono alimentate dalle informazioni messe a disposizione dagli utenti, che sono dei veri e propri creatori del valore commerciale. La commercializzazione dei contenuti generati dagli utenti è solo uno dei modi, e neanche il più redditizio, per estrarre valore dalle reti. Gran parte degli utili proviene dalla monetizzazione dei dati e dei metadati degli utenti. I dati personali, in quanto permettono poi un targeting pubblicitario personalizzato, vengono monetizzati attraverso accordi commerciali. È necessario qui sottovalutare che la captazione del valore non si realizza soltanto sulle mansioni cognitive, quali la pubblicazione di messaggi o la condivisione di informazioni personali, ma anche sui comportamenti e sulle attività fisiche degli utenti e un unico contributo dato da un utente può essere sfruttato e molti modi contemporaneamente. Un paradigma seducente La captazione del valore non riguarda esclusivamente i pure players, ovvero le piattaforme nate all'interno del perimetro digitale. Le aziende private ma anche quelle statali e parastatali hanno iniziato un processo di piattaformizzazione per riprodurre quel modello. Negli ultimi anni sono stati creati neologismi per descrivere questo processo di adattamento: l'azienda virtuale, l'organizzazione cellulare, l'organizzazione ipertestuale. Nel settore dei trasporti, sempre più aziende sfruttano i dati degli utenti per generare dei profitti complementari grazie alla pubblicità. È il caso dell'azienda pubblica dei trasporti della città di Dusseldorf che ha sperimentato l'applicazione di un app che propone come alternativa al pagamento dei biglietti dell'autobus la visione di spot pubblicitari. Il trasporto dei passeggeri diventa meno importante rispetto alla circolazione delle informazioni e il servizio venduto ufficialmente altro non è che un pretesto per stimolare il lavoro di produzione dei dati. Un settore particolarmente toccato da queste formazioni è quello dei media, la stampa deve affrontare una duplice minaccia da parte delle grandi piattaforme come Google e Facebook. ➢ La prima di natura infrastrutturale, attraverso la circolazione online dei suoi contenuti, articoli e lanci. ➢ La seconda è di natura istituzionale: al fine di appropriarsi anche dei dati dei media e dei loro lettori le piattaforme offrono parallelamente degli strumenti per misurare le performance dei contenuti attraverso gli strumenti di analytics. Siamo di fronte a un paradosso: i media d'informazione fungevano tradizionalmente da organismi di controllo degli attori economici, ma nel momento in cui diventano dipendenti dalle piattaforme digitali si trovano prigionieri di un classico meccanismo di “regulatory capture”, ovvero quando l'agenzia preposta alla regolamentazione di un settore industriale finisce per adottare le convinzioni e i valori per ragioni di convivenza o di interesse. 12 percentuale di lavoratori atipici è passata dal 10,7% al 15,8% nell'ultimo decennio. Le conseguenze di questa trasformazione sono considerevoli e i lavoratori guadagnano molto meno in media rispetto ai loro omologhi con un contratto tradizionale. Secondo l'organizzazione internazionale del lavoro possono essere identificate quattro tipologie di occupazione non standard: ➢ gli impieghi temporanei ➢ il lavoro a tempo parziale ➢ l'attività multi datore di lavoro ➢ il lavoro dissimulato (in nero) Le aziende ricorrono a figure atipiche per ottimizzare la forza lavoro, minimizzare i costi salariali o attirare una popolazione meno interessata occupazioni regolarizzate, a durata indeterminata o a tempo pieno. Per esempio la crescente proporzione di donne nella manodopera mondiale è anche legata alla crescente esternalizzazione del lavoro domestico: ne sono esempi piattaforme come care.com, helpling che propongono rispettivamente servizi alla persona, pulizie o cucina a domicilio. Più generalmente le applicazioni di lavoro on demand sollevano questioni importanti riguardo i diritti dei lavoratori: la definizione dell'orario di lavoro, le modalità di remunerazione. la sanità e la sicurezza, il versamento di contributi, la rappresentanza, le esigenze di formazione. L'inflessibile flessibilità del lavoro on demand I rischi legati alle attività specifiche degli utenti sulle piattaforme di lavoro on demand sono spesso dissimulati dalla retorica degli ideatori delle app, per esempio uno studio citato insiste sul fatto che per i lavoratori precarizzati di Uber la precarietà sia compensata dalla flessibilità e dall’autonomia. Questa libertà esiste ma è in pratica irrealizzabile, vi sono diverse limitazioni di natura tecnica (nel caso di alcuni corrieri bisogna munirsi di smartphone e mezzo di trasporto) oppure requisiti imposti dalla piattaforma. Un’altra limitazione è costituita da certi vincoli accessori imposti dall'esecuzione della prestazione come per esempio la presenza del logo sull'uniforme dei rider. Vale lo stesso per la flessibilità degli orari perché sebbene ufficialmente gli utenti abbiano la libertà di scegliere di lavorare solo nelle ore più redditizie, molte piattaforme premiano con incentivi simbolici economici gli utenti lavoratori che si mettono a disposizione nelle ore utili e penalizzano quelli che rifiutano. Nel caso di Uber l'azienda è stata citata in giudizio nel 2015 in quanto aveva adottato dei dispositivi tecnici per disattivare i conducenti il cui tasso di accettazione delle corse fosse troppo basso. Per generare degli incentivi in continuazione le app devono permanentemente acquisire informazioni dai loro utenti, le piattaforme raccolgono enormi quantità di dati sui loro membri, non sempre nel rispetto delle legislazioni sul trattamento informato dei dati. La geocalizzazione e la cronologia di navigazione dei loro utenti viene recuperata da queste piattaforme che avranno poi il diritto di accedere a immagini in calendario e contatti sul loro smartphone. Nel corso degli ultimi anni i contenziosi che hanno opposto i nuovi 15 servizi digitali ai loro abbonati e collaboratori riguardavano principalmente rivendicazioni professionali. Alcuni utenti svolgono prestazioni riconosciute come chiaramente lavorative in quanto corrispondono ai servizi offerti dalle piattaforme in cambio di una remunerazione: guidare, consegnare, occuparsi di persone anziane ecc.. queste prestazioni possono essere definite attività ostensive in quanto sono visibili e più evidenti rispetto alla produzione discreta di dati. Così alle norme di sicurezza, di remunerazione o agli orari si aggiunge l'esigenza di applicare un regime di protezione sociale per i lavoratori. I rider per esempio nel momento in cui hanno un incidente in Francia non godono di una copertura per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro. Sventolare la promessa di remunerazioni più invitanti rispetto a quelle degli attori tradizionali del mercato serve a convincere gli utenti lavoratori a ignorare la questione dei contributi e della protezione sociale. Nel momento in cui la favola della flessibilità e dei guadagni appare come un'illusione, non stupisce che molti utenti indipendenti pretendano di essere riconosciuti come regolari dipendenti per poter ottenere almeno i diritti che spetterebbero loro. Sorvegliare e datificare Se le attività ostensive dei loro utenti espongono le piattaforme ai rischi della regolazione, invece le loro attività più sotterranee sono raramente oggetto di rivendicazioni. La selezione di utenti operata da certe piattaforme sulla base del sesso della classificazione etnica è particolarmente significativa. Le piattaforme assumono donne o persone di origine straniera per svolgere mansioni meno remunerate, replicando così le disuguaglianze tipiche del mercato del lavoro. Alcuni esperti denunciano l’emergere di una discriminazione digitale, essendo le applicazioni basate sull'estrazione e l'abbinamento di informazioni non soltanto sui prodotti, ma anche sulle persone che le vendono. I profili possono così facilitare la discriminazione in base all'origine etnica, al sesso o all'età. La sorveglianza e l'estrazione di dati non sono dimensioni accessorie dell'attività delle piattaforme, sono anzi le informazioni raccolte che stanno al cuore del processo di estrazione del valore, ovvero la monetizzazione dei dati personali degli utenti-lavoratori ai fini di targeting pubblicitario. Uber incarna uno stile di gestione del lavoro basato su algoritmi e dati allo scopo di controllare i collaboratori - valutare la velocità e la performance dei veicoli, localizzare i guidatori e stabilire se stanno lavorando per un'azienda concorrente. La vita quotidiana dei conducenti Uber è fatta innanzitutto di mansioni informatiche svolte sullo schermo dello smartphone, essi devono districarsi tra le notifiche necessarie per svolgere la loro attività e quelle che servono soltanto a incentivarli a fare quello che vuole l'interfaccia. Le testimonianze dei guidatori aiutano anche a capire un'ulteriore sforzo richiesto dal lavoro digitale: evitare le detrazioni di salario (wage theft). I conducenti avrebbero diritto ad essere rimborsati in caso la chiamata venga annullata, ma il processo richiede un'operazione complessa per ottenere il rimborso. Altro problema è quello degli incentivi a lavorare durante il fine settimana, realizzare un certo numero di corse oppure essere 16 presenti in certi luoghi: spetta al conducente assicurarsi che la piattaforma abbia effettivamente registrato la sua adesione a questi programmi che dovrebbero garantire entrate fisse. Nel caso di Uber la e-reputation non rappresenta per il conducente una vaga questione di popolarità o di astratto capitale sociale, ma ha conseguenze molto concrete. Se il punteggio del conducente scende sotto un certo livello il suo account rischia di essere disattivato, questo obbliga i conducenti a dedicarsi di più alle interazioni con i passeggeri. Il tempo passato sull’app a cercare nuovi passeggeri o in macchina ad avvicinarsi alle zone a forte densità di chiamate non viene remunerato dalla piattaforma. I conducenti chiamano questi tempi “chilometri morti” (dead miles) e cercano di minimizzarli (questi possono occupare fino ai 2/3 della loro giornata). Si nota una grande asimmetria tra utente-conducente e piattaforma. Il primo è pagato soltanto per una piccola porzione del suo tempo di lavoro effettivo, mentre la seconda trae un beneficio anche dai tempi morti, che le sono estremamente preziosi. Quando il conducente non sta trasportando persone sta generando dati e questi possono essere monetizzati e condivisi. Questi dati servono anche a determinare l'equilibrio tra offerta di conducenti e domanda di passeggeri, per fare questo la piattaforma utilizza l'algoritmo di tariffazione dinamica, conosciuto come surge pricing. Il management dell'utente Uber è una società tecnologica, perché i suoi prodotti principali sono il suo algoritmo di tariffazione dinamica e il suo programma di veicoli autonomi. Uber è contemporaneamente un'azienda in grado di governare il lavoro è un mercato che esercita funzioni di regolazione tra vari gruppi di esseri umani. Malgrado la retorica della libertà, della flessibilità e dell'autodeterminazione di cui potrebbero essere sia i passeggeri sia i conducenti, è invece questo algoritmo a fissare i prezzi delle corse, concepire i percorsi standard e attribuire le mansioni produttive. Il suo funzionamento disvela una specifica concezione del valore estratto dalla piattaforma e il ruolo fondamentale dei passeggeri in quanto produttori e non semplici consumatori. Tuttavia se consideriamo Uber come un'azienda che analizza dati in tempo reale, allora l'algoritmo opera come strumento per incentivare i passeggeri a svolgere un lavoro di produzione di informazione. Il sistema di valutazione permette ai conducenti di apprezzare la loro puntualità, la reattività e l'utente affronta il medesimo imperativo: dare un voto per ricevere un voto e verificare incessantemente che questo non scenda. Infine i passeggeri garantiscono un'importante lavoro affettivo digitale che consiste nel produrre negli altri utenti delle disposizioni comportamentali attraverso interazioni dal vivo oppure via applicazione. Il management dei comportamenti influisce così sul passeggero facendo di lui, più che un consumatore, un utente-lavoratore come gli altri. Chi guida i veicoli a guida autonoma? Fino ad ora si è per di più parlato dei metodi che le piattaforme on demand come Uber utilizzano per estrarre valore dei loro utenti. Alcuni metodi consistono in un lavoro di: 17 della base degli utenti. Dal 2013 Amazon ha limitato le nuove iscrizioni ai soli Stati Uniti e da quel momento i Tucker situati in altre parti del mondo sono diventati una categoria minoritaria. In America i Tucker sono principalmente in nuclei familiari da reddito mediano e l'uso della piattaforma era innanzitutto generare un reddito complementare: il 57% dei lavoratori del click sono di fatto delle lavoratrici. In India al contrario il micro lavoro costituisce la risorsa principale di famiglie il cui reddito mediano è molto più basso e gli uomini rappresentano fino al 70% della manodopera. Fino all'inizio degli anni 10 del 2000, il 90% delle mansioni non generava più di 10 centesimi l'una, con un'ampia maggioranza di Penny tasks. Da allora la situazione è leggermente migliorata, la maggior parte delle mansioni genera attorno ai 5 centesimi. Per un lavoratore questo significa una remunerazione oraria fino agli 8 $, ma per la maggior parte non supera mai i 5 $. I Tucker contestano il sistema di tariffazione perché ragionare in termini orari non è ideale su una piattaforma che paga all'unità. La possibilità per i Tucker di portare a casa a fine mese complessivamente un ammontare monetario equivalente a un salario minimo e limitato dal numero di mansioni realizzabili ogni giorno. Inoltre ogni 45 minuti i lavoratori devono interrompersi per compilare un test captcha necessario per verificare che non siano dei bot artificiali. Nel gergo della piattaforma, ogni attività realizzata da un Tucker e chiamata “mansione a intelligenza umana”, queste richiedono un livello di competenza non troppo elevato, nella maggior parte dei casi serve solo valutare una situazione usando il buon senso ma le micro mansioni richiedono processi cognitivi specifici per fornire un'analisi soggettiva, le macchine non riescono a farlo. Ludificazione e quantificazione La natura delle attività su Amazon mechanical turk è oggetto di aspre controversie, una hit (human intelligence Task/mansione a intelligenza umana) può essere qualificata come lavoro a pieno titolo? In realtà è un servizio sviluppato da giganti tecnologici per esternalizzare alcuni processi produttivi e ridurre i costi. La piattaforma si sforza in ogni modo di situare le attività svolte dai micro lavoratori in attività di extra lavoro, inscrivendole in un immaginario di gioco e socialità. L’interfaccia del servizio è progettata per dare agli utenti l'esperienza di essere in un social network. Il fatto che molte micro mansioni riguardino la gestione di contenuti multimediali aggiunge un elemento di divertimento all'esperienza produttiva che autorizza la piattaforma a considerare i suoi utenti come “consumatori-lavoratori”. Inoltre gli ideatori della piattaforma hanno progettato procedure di ludificazione (gamification) del lavoro. Per valutare le competenze dei tuker, Amazon assegna loro dei questionari concepiti in maniera divertente come test di personalità. Le lavoratrici e i lavoratori più qualificati e più assidui ricevono dei badge e punteggi di performance. Gli elementi di emulazione, di sociabilità e di creazione di un senso della comunità sono strumenti di controllo. Questa comunità non è apparentemente fondata sullo spirito di affinità e di cooperazione, Amazon mechanical turk mette gli utenti in competizione tra loro in particolare per l'accesso alle mansioni. Alla fine di ogni mansione la qualità della realizzazione viene giudicata dal cliente oppure rifiutata e in questo caso il Tucker non viene remunerato e il suo punteggio diminuisce. I Lavoratori non ricevono un vero e proprio salario ma delle cifre simboliche definite come ricompense. Una parte importante delle attività di mechanical turk non è remunerata e serve ai Tucker per acquisire competenze 20 complementari. Un quarto del tempo lavorato è dunque occupato da attività non retribuite, vale a dire che per ogni ora di lavoro remunerato, i lavoratori passano 18 minuti a svolgere attività di prospezione o di preparazione non pagate. I Tucker non sono protetti e l'unico modo che hanno di rispondere ai soprusi è contattare direttamente il cliente per negoziare oppure dargli a sua volta un voto basso. L’applicazione Turkopticon, opera di ricercatori e attivisti, è diventata il punto di riferimento per misurare l'onestà dei clienti: i lavoratori possono valutarli con criteri molto precisi come: comunicabilità, generosità, equità, reattività… La modificazione serve a creare una competizione tra gli utenti, che siano clienti o lavoratori, perché si controllino tra loro: si tratta di un meccanismo di disciplinamento del lavoro. Una conseguenza ulteriore di questo sistema è che permette ad Amazon di realizzare una prima forma di astrazione del valore attraverso le attività di qualificazione incrociata, questo lavoro di qualificazione è necessario per selezionare le lavoratrici ai lavoratori non più motivati, nonché i clienti più scrupolosi. Monetizzare le micro mansioni La forma contrattuale proposta dalla piattaforma è anch'essa strutturata in modo da aggirare l'inquadramento lavorativo classico. Non si tratta di un contratto di lavoro ma di un “accordo di partecipazione” concepito in termini che rendono opaco il rapporto di subordinazione. Come nel lavoro sulle app di servizi on demand, gli utenti sono considerati fornitori indipendenti. Amazon attenua sistematicamente il suo ruolo di intermediario e si presenta come semplice ecosistema nel quale i clienti lavoratori entrano in contatto. Tuttavia l'azienda ha di fatto una funzione di intermediazione che costituisce la sua seconda fonte di guadagno ovvero la monetizzazione diretta attraverso tre strumenti: ➢ le commissioni sulle micro-mansion → quando un cliente pubblica una hit il prezzo che paga ad Amazon è composto da una ricompensa per i micro lavoratori nonché da una commissione dovuta alla piattaforma. Ufficialmente l'ammontare di quest'ultima sta tra il 20% e il 40% della somma versata ai Tucker, ma a questo prezzo si aggiungono anche supplementi legati al tipo di lavoro richiesto. Se si vuole che le micro mansioni vengano effettuate da lavoratrici e lavoratori esperti (master Tucker) verrà pagato un supplemento del 5% e se invece si vuole che vengano realizzate da segmenti specifici della popolazione scegliendo tra 132 criteri di selezione (Premium qualification: età, genere, formazione, attività sportiva, abitudini digitali, lingua) deve prevedere un supplemento che va dai 5 centesimi ai 12,8 $. ➢ la rivendita dei dati personali a terze parti → Amazon riesce in questo modo a tenere alta la sua commissione e la prima è un qualification viene fatta partire dai dati personali che Amazon richiede ai Tucker e sui quali monetizza. ➢ il servizio Amazon payment → Amazon si comporta di fatto come un istituto bancario: prima di poter pubblicare una mansione sul sito propone ai clienti di acquistare dei crediti prepagati tramite il servizio Amazon payment. L’uso Di Amazon payments non è imposto soltanto ai clienti, ma anche i Tucker che ricevono da parte loro delle ricompense in forma di credito. Possono scegliere di conservarle sul loro conto o di convertirla in carte regalo per acquistare prodotti 21 del catalogo Amazon oppure versarle su un conto bancario, opzione limitata fuori dagli Stati Uniti. Il terzo gode Progettando le interazioni tra clienti lavoratori in modo che si controllano a vicenda, e vendendo agli uni i dati degli altri, Amazon sta di fatto traendo vantaggio dalle tensioni che crea è questo e ciò che distingue le piattaforme di micro lavoro dal lavoro on demand, nel quale i conflitti sociali finiscono per rivolgersi contro le piattaforme stesse. Negli ecosistemi del micro lavoro l'attività di produzione del valore è più discreta e, a causa di una frammentazione geografica, i lavoratori non possono confrontarsi con un interlocutore chiaramente definito. Abbiamo già citato l'app Turkopticon, che permette ai micro lavoratori di esercitare un controllo sui clienti valutando i loro comportamenti, ma ci sono anche altri forum di lavoratori come MTurk crowd, Turker Nation, Turkerhub mTurk Grind ecc che non rappresentano una particolare minaccia per Amazon. Questo perché la situazione è doppiamente vantaggiosa: ➢ il fatto che controllano a vicenda gli utenti significa che vengono distolti da ogni rivendicazione collettiva ➢ in secondo luogo tra i due litiganti il terzo gode, ovvero Amazon. Il lavoro di qualificazione che gli utenti fanno sugli altri utenti può essere sfruttato per ottimizzare il proprio meccanismo di coordinamento tra domanda e offerta. Le persone chiedono che Amazon si prenda le sue responsabilità nella mediazione dei conflitti, nella gestione dei percorsi di carriera e nelle eventuali sanzioni ai lavoratori. Bezos non ha reagito direttamente alle lettere che i Tucker spedirono a Natale del 2014 per esprimergli le loro rivendicazioni e lamentele, la contestazione è stata silenziata e i micro lavoratori di wearedynamo ne hanno subito le conseguenze. Questo era infatti diventato quasi un simile sindacato fondato da ricercatori e militanti americani e canadesi vicino ai creatori di tukopticon, ma quando Bezos ha capito che aspiravano ad essere un vero e proprio vettore di organizzazione sindacale piuttosto che un semplice strumento a disposizione dei tuker, l’ha neutralizzata. Questo ha chiaramente provocato sentimenti di frustrazione nella comunità dei tucker e ha portato alla creazione di un servizio sperimentale che si presenta come una piattaforma di micro lavoro auto governata: Daemo. Qui il potere è spartito in maniera equilibrata tra clienti e micro lavoratori, i quali definiscono assieme le mansioni, gli obiettivi e le remunerazioni. I travet dell’IA Oltre alla qualificazione (ovvero quando gli utenti valutano i prodotti e gli altri utenti) e la monetizzazione diretta (ovvero quando l'azienda rivende i dati, preleva delle commissioni sulle hit e centralizza i pagamenti), Amazon estrae una terza forma di valore utilizzando i gesti produttivi dei suoi utenti a fini di automazione. Gli esseri umani realizzano un lavoro che i sistemi intelligenti e le unità software non sono in grado di effettuare, per realizzare queste mansioni si può ricorrere a lavoratori specializzati oppure appoggiarsi a una moltitudine di individui non specializzati intercambiabili. Ricorrere a quest'ultima modalità permette di coordinare il lavoro umano semplicemente 22 principalmente concentrati nei paesi ricchi mentre l'offerta di lavoro è dispersa nel resto del mondo. Il flusso di dati tra nord e sud del globo costituisce un indicatore di questa tendenza e anche una piccolissima azienda una start up studentesca può oggi delocalizzare alcune mansioni per qualche ora. Abbiamo a che fare con la delocalizzazione-come-servizio. Il migliore dei mondi (del lavoro) Le statistiche indicano che soltanto la metà della manodopera mondiale dispone di un'occupazione stabile e contrattualizzata, tasso che scende fino al 20% nell'Asia del Sud est in Africa subsahariana. La maggioranza delle persone entrate nella popolazione attiva nel 2015 proviene dalle economie in via di sviluppo e queste zone del mondo forniscono gran parte degli effettivi dei servizi di micro lavoro. Le persone professionalmente ed economicamente più vulnerabili risiedono principalmente in centrafrica, Asia del Sud est e Sud America. La protezione sociale in queste regioni copre fasce ristrette della popolazione, l'assenza di programmi pubblici universali di protezione sociale in gran parte di questi paesi esclude i lavoratori rurali, gli indipendenti, gli impiegati part-time e precari. Le nuove generazioni che entrano oggi nei mercati globalizzati del lavoro si trovano in una situazione confusa: sebbene attivi, sono spesso esclusi dalla protezione sociale dalla stabilità che consideriamo associata all'occupazione. Nei paesi del Sud il micro lavoro intermediato da siti web e applicazioni immobili viene celebrato dai rappresentanti del mondo imprenditoriale come l'unico futuro del lavoro possibile. Si inneggia a diventare imprenditori di se stessi e questa retorica della flessibilità seduce i micro lavoratori occultando le basse remunerazioni, il lavoro a cottimo e l'assenza di sicurezza occupazionale. Dopo l'introduzione da parte della Rockefeller Foundation dell’impact sourcing, ovvero il principio di esternalizzazione responsabile, si sono moltiplicate le iniziative per associare una “motivazione sociale” a ogni investimento tecnologico da parte delle aziende del nord in un altro paese. Sama Hub accoglie solo micro lavoratori che provengono da popolazioni che vivono sotto la soglia della povertà e che hanno vissuto lunghi periodi di disoccupazione negli Stati Uniti, in Africa, in India o ai Caraibi. L’impact sourcing è stato accusato di essere un vettore di filantropo-capitalismo facendo convergere la moda del microcredito alla fine del secolo passato con l'ondata delle piattaforme digitali contemporanee. In questo senso il discorso di empowerment economico, sotto i nobili principi della responsabilità sociale, occulterebbe le logiche di dominazione e di spoliazione. Anche quando etico questo tipo di modello economico rischia di costituire un ostacolo alla realizzazione di infrastrutture di assistenza pubblica o di solidarietà collettiva. Queste iniziative finiscono per partecipare attivamente all'ondata di esternalizzazione e di dumping sociale internazionale che allinea verso il basso le remunerazioni e le condizioni di lavoro nel mondo intero. Se lo scopo dell’impact sourcing è di contribuire a ridurre le disuguaglianze, allora fallisce su due fronti: primo perché non favorisce necessariamente l'occupazione nei paesi del Sud, secondo perché trasporta le disuguaglianze della precarietà nei paesi del nord. 25 Dannati del click e servitori devoti all'automazione Le catene di esternalizzazione globale non costituiscono tuttavia il solo modo per le piattaforme di allocare mansioni informazionali agli esseri umani. La delocalizzazione attraverso il micro lavoro richiede sia una più ampia estensione dell'area geografica sia una trasformazione del rapporto di produzione. Ma c'è un altro modo di delocalizzare, ovvero esternalizzare direttamente al consumatore. Ai consumatori si affidano delle operazioni di gestione dei dati, per esempio si richiede di taggare delle immagini o trascrivere brevi righe di testo durante la navigazione quotidiana, e questo senza nessuno scambio monetario, ma attraverso applicazioni concepite appositamente per estrarre lavoro gratuito. Alphabet/Google ha saputo sviluppare al meglio queste piattaforme di micro lavoro non retribuito, il colosso di mountain view ha lanciato per esempio il Crowdsource, un progetto sperimentale che riproduce la logica di Amazon mecchanical turk attraverso un'app che chiede esplicitamente agli utenti di contribuire al miglioramento delle intelligenze artificiale di Google. Gli utenti non pagano per installare app e gli ideatori non remunerano il lavoro degli utenti al suo interno, e si ottengono badge e cambiano livello come in un videogioco. Ogni ricerca su Google ha due effetti: l'utente riceve risposte alla domanda che ha posto e compilando una ricerca si produce sostanzialmente un voto sulla popolarità di quella stessa ricerca. Nel presentare app del genere Google insiste sempre sulla retorica della partecipazione a una scoperta scientifica e l'utente è incentivato a sentirsi parte di una comunità e insignito della missione di realizzare il sogno dell’automazione per conto di Google. Il paradosso sta nel fatto che il lavoro del cittadino nei paesi industrializzati viene esaltato come una devozione alla causa dell'automazione, mentre la laboriosa attività micro remunerata dei lavoratori nel sud del mondo viene occultata. Clic dopo click gli utenti insegnano all'intelligenza artificiale Google a riconoscere volti, semafori ecc… E Google non fa nulla per nascondere il lavoro degli utenti anzi l'azienda vanta la capacità di sfruttare gli esseri umani trasformandoli in vettori del suo flusso di informazione. Le stesse operazioni di calcolo umano che i micro lavoratori realizzano ovunque nel mondo in cambio di una bassissima remunerazione sono effettuate ogni giorno in maniera volontaria da centinaia di migliaia di utenti. È qui che il micro lavoro si trasforma in un altro tipo di Digital Labor: il lavoro sociale in rete. 26 CAPITOLO 5 Il lavoro sociale in rete Il lavoro sociale in rete si basa sulla partecipazione degli utenti dei social media come Instagram o Facebook. Si tratta di mansioni spesso assimilate al tempo libero, alla creatività e alla socialità. La produzione di contenuti, la loro condivisione in seno a comunità di amici, la dimensione relazionale di questa attività contribuiscono a decostruire le categorie di piacere, di fatica, di autonomia di subordinazione, di scelta e di vincolo - o piuttosto a rendere la realtà delle seconde meno tangibile. Anche qui la produzione di valore e la sua estrazione si scompone in valore di qualificazione, valore di monetizzazione e valore di automazione, ma il lavoro degli utenti è meno visibile e l'allocazione delle mansioni meno sistematica rispetto alle piattaforme di micro lavoro. L’utente-produttore di contenuti o di dati non è fondamentalmente subordinato alla piattaforma, tuttavia viene sottoposto ad incentivi per realizzare delle azioni, incentivi a volte simbolici e a volte economici. Sui social media questo lavoro gratuito presuppone comunque il lavoro dei moderatori, dei produttori di viralità e degli innumerevoli micro lavoratori che producono valutazioni e condivisioni di ogni tipo. L’era dei produser Le piattaforme social si presentano da principio come semplici supporti per produrre contenuti da condividere e consumare, ma il personal branding e la costruzione di micro celebrità sui primi social media come Orkut o Myspace, e poi youtube, Instagram o snapchat, nascondono in verità vincoli e condizioni che le piattaforme impongono in cambio di certe opportunità. Le “piattaforme mondo” rinchiudano l'utente dentro un infrastruttura: ognuno dei suoi post, ogni sua foto, ogni cosa scritta è centralizzata e convertita in valore estraibile dai proprietari della piattaforma. Sui social questo processo di estrazione è nutrito dalla retorica che spinge gli utenti a non essere spettatori passivi, ma a contribuire arricchendo la piattaforma di contenuti. I prosumer, ovvero i produttori-consumatori descritti dal futurologo, sono diventati dei produttori-utenti insomma dei produser, “una manodopera riconfigurata dalle aziende produttrici d’informazione e divertimento”. L’esplosione dei siti web e servizi basati sui contenuti generati dagli utenti è stata così interpretata come segnale di un nuovo “capitalismo del prosuming”. Il produser non è un “consumatore artigianale” che realizza la sua produzione in modo “autentico”. Il suo contributo è eminentemente sociale, ovvero fondato sulla circolazione e la valutazione di contenuti tra individui. Lavoristi ed edonisti L’apparizione negli anni 2000 della figura del producer ci ha fatto chiedere in che modo e in che misura ogni utente di un social media può essere identificato come un lavoratore. Sono due le posizioni a riguardo: 27 speranza. Gli esempi sono tanti e vanno dai più tradizionali (fotografie che mettono in mostra la loro produzione su Flickr) fino ai più innovatori (i gamer che ambiscono una carriera da sportivi digitali su twitch). I lavoratori della speranza vogliono ottenere un'occupazione stabile e cercano di farlo attraverso il proprio investimento partecipativo. Questo tipo di lavoro viene realizzato dai membri attivi dei social come un ponte ideale tra lavoro digitale presente e la remunerazione che in futuro potrebbe essere associata a un'eventuale esperienza professionale. Per farla finita con la gratuità Sia i sostenitori sia gli avversari dell'approccio lavorista convergono su un punto: l'attività sulle piattaforme social, indipendentemente dal considerarla o meno un lavoro, sarebbe gratuita. Si tratta d'altronde di un vero paradosso per i lavoristi, in quanto la gratuità costituisce il principale ostacolo al riconoscimento del lavoro sociale in rete. Questa convergenza deriva innanzitutto dalla tendenza a confondere lavoro gratuito e lavoro volontario, in secondo luogo dalla propensione a confondere gratuita scelta e gratuita subita. Su qualsiasi piattaforma social, esiste una parte della popolazione attiva che riesce a farsi remunerare per il proprio contributo, la gratuità non è una situazione generalizzata o naturale dei social media. Per la maggior parte degli utenti, però, continua a funzionare il principio della doppia gratuita: da una parte i servizi sono forniti in modo gratuito e dall'altra gli utenti non verranno remunerati. Ma sono soprattutto le nuove piattaforme e i social media in fase di lancio a pagare sistematicamente i loro utenti che guadagnano denaro o regali guardando video pubblicitari, scaricando applicazioni o condividendo pareri. Alcune app offro un mix di micro mansioni e scambi sociali, come earn.com che retribuisce i suoi utenti per ricevere mail con piccole attività da svolgere (rispondere a questionari o visitare siti web per esempio) pagate in forma di gettoni virtuali o Bitcoin. Alcune piattaforme remunerano il fatto stesso di essere online. L’esistenza e la sopravvivenza delle piattaforme riposano sulla loro capacità di attirare gruppi distinti di utenti attraverso sconti, vantaggi di varia natura, o utilizzare la piattaforma a costo negativo (venire pagati per farlo). Ma quando gli utenti non sono pagati né per i loro contenuti né per la loro partecipazione allora si parla del secondo elemento della doppia gratuita. L’esperienza dello sfruttamento viene vissuta in modo diverso a seconda della popolazione delle piattaforme. Il lavoro gratuito raramente viene remunerato, ma quando succede allora viene iper valorizzato. La struttura di guadagno degli utenti sulle piattaforme social manifesta una forte polarizzazione come per esempio su youtube, dove i profitti per un video vanno dagli 0 centesimi ai due milioni di dollari. Ovunque si pratichi il digital labor si presenta uno scarto tra valore prodotto e remunerazione percepita dagli utenti. L’economia dei legami Entrambi gli orientamenti, lavorista ed edonista, condividono la stessa difficoltà nel concettualizzare il lavoro degli utenti a causa della loro insistenza sulla produzione di contenuti a scapito di altre produzioni come quella di informazioni personali e strutture 30 sociali in rete. Una porzione crescente del valore viene estratta da un'altra fonte, ovvero da quella specifica tipologia di contributi degli utenti costituita dai dati: informazioni personali, cronologia della navigazione o dell'interazione. Più recentemente ci si è concentrati sul machine learning e i dati prodotti dalle pratiche digitali che sono le fonti principali di esempi per parametrare gli algoritmi di apprendimento e misurare la performance delle macchine. È proprio estraendo questi dati dalle strutture sociali e dai comportamenti di cui contenuti sono la condizione di produzione che si creano un flusso di monetizzazione e delle opportunità di investimento. Non è dunque la creazione di contenuti a essere importante, ma la condivisione e l'interazione attraverso commenti, valutazioni, filtri e tutta la sfera in cui vengono prodotti nuovi dati. Qualificazione e monetizzazione: come si calcola il valore di un like? Per capire quanto vale un dato bisogna osservare la triangolazione del suo utilizzo ai fini di qualificazione, di monetizzazione e di automazione. Il valore di qualificazione viene estratto dal lavoro effettuato dagli utenti per designare oggetti, informazioni o altri utenti, allo scopo di far funzionare le architetture informatiche stesse. Il vero carburante dei social non è tanto lo user generated content, ma la user generated content classification. Per offrire un’informazione pertinente e personalizzata gli algoritmi si basano sui gusti e sulle abitudini degli utenti. Per questi l'esperienza delle piattaforme social è costellata da occasioni di qualificazione: commenti su blog, critiche sui forum ecc… questi permettono agli utenti delle piattaforme social di valutare, aggregare e ordinare informazioni. Oltre a qualificare questi contenuti gli utenti si qualificano tra di loro attraverso meccanismi reputazionali. Altri dati personali sono principalmente estratti a scopi di monetizzazione. La loro commercializzazione costituisce un mercato miliardario orientato soprattutto al targeting pubblicitario. Facebook riesce a raccogliere i dati di diverse app e accedere a foto, video, contatti telefonici degli iscritti nonché a identificare e memorizzare le connessioni Wi-Fi utilizzate. Un ultimo sistema di monetizzazione può essere illustrato dal paradigma Facebook Partners che permette alla piattaforma di siglare accordi commerciali con grandi data brokers, questi incroceranno i propri set di dati con quelli dei partner specializzati nella monetizzazione di dati personali e Facebook contribuisce a profilare le abitudini di 500 milioni di internauti in tutto il mondo. I data brokers aggregano informazioni sulla salute, le opinioni politiche, gli orientamenti sessuali o le credenze religiose dei cittadini. Gli occhi e le orecchie dell'automazione La qualificazione e la monetizzazione non esauriscono tutte le forme di estrazione di valore da parte delle piattaforme. Se la prima è una condizione imprescindibile del loro funzionamento e la seconda assicura il profitto necessario per farle prosperare, una terza forma di valore, il valore di automazione, è orientato verso gli investimenti tecnologici innovativi. Le informazioni prodotte dagli utenti sono utilizzate in questo caso per addestrare gli algoritmi o costruire dei database necessari ad ambiziosi progetti The 31 Deep learning. I progressi nel settore non sono dovuti a scoperte o miglioramenti nel metodo occorsi negli ultimi anni, ma alla disponibilità massiccia di centinaia di milioni di esempi di immagini, testi o suoni in milioni di categorie. Nel 2017 con il pretesto della lotta contro le fake news e revenge porn l'azienda ha lanciato la funzione Face Captcha, per garantire la paternità dei loro post gli utenti devono mostrare una foto riconoscibile del proprio viso. Poi le immagini verranno etichettate dall'utente permettendo a Facebook di associare in maniera statisticamente affidabile un nome a un viso e così addestrare i suoi algoritmi a riconoscere le persone. La traduzione di altre lingue viene fatta spesso in maniera partecipativa da utenti che parlano lingue differenti ed è un settore privilegiato per il machine learning. Duolingo, inventata dal creatore di recaptcha, Luis von Ahn, permette agli utenti di esercitarsi nella lingua straniera traducendo gratuitamente le pagine web dai partner commerciali dell'azienda. L’ondata chatbot del 2015 è un altro indizio dell'importanza del digital labor degli utenti e della sua conversione in valore di automazione. Un chatbot è un agente conversazionale capace di fornire informazioni complesse interagendo con l'utente. Pur presentandosi come completamente automatizzati, i chatbot delegano alcune mansioni informatiche di verifica e di addestramento a degli esseri umani. Prendiamo il caso di Tay, il bot conversazionale di Microsoft che doveva svilupparsi autonomamente a partire dagli scambi con gli esseri umani su Twitter. Alcuni utenti per testarne i limiti hanno iniziato a suggerire al bot dei comportamenti illegali o delle espressioni razziste, il bot le ha prontamente restituite senza inibizione e questo ha portato alla sua soppressione. Eroi o spazzini: la catena del valore dai moderatori remunerati a quelli volontari Le piattaforme social non ricorrono esclusivamente ai loro utenti per calibrare gli algoritmi e perfezionare il deep learning. Sulle piattaforme social, gli utenti non sono i soli fornitori di Digital Labor, cresce il numero di micro lavoratori indispensabili per il funzionamento delle piattaforme. Queste due categorie si combinano e si iscrivono nello stesso flusso di produzione e di valorizzazione. Nel 2016 i vecchi subfornitori di Facebook rivelano che dietro al sistema che suggerisce le tendenze (personalized trending topics) che si credeva interamente automatizzato, si nasconde una squadra di operatori umani. La piattaforma si affretta a licenziare tutta la squadra e dichiara di averla sostituita con un algoritmo, ma abbandonato a sé senza la supervisione umana, il sistema diventa facilmente manipolabile da parte dei produttori delle suddette fake news (piattaforma accusata di avere giocato un ruolo importante nelle elezioni presidenziali vinte da Donald Trump). In seguito a questo feuilles book reintroduce il digital labor umano nel processo. Inserisce la funzionalità “segnala questo post come fake news” che verranno poi controllate da micro lavoratori, le attività vengono anche subappaltate di altri paesi. Se crediamo a Facebook, i micro lavoratori e gli utenti migliorano la qualità dell'informazione e permetteranno alle intelligenze artificiali di prendere decisioni autonome. Spesso nel caso delle fake news valutare le informazioni su una piattaforma rischia di avvicinarsi a una forma di filtraggio di quelle che non corrispondono alla sensibilità dei suoi utenti e dei suoi creatori, facendo dei micro lavoratori dei moderatori. Queste attività di moderazione 32 dedicato a un media commerciale deve essere considerato tempo lavorato nel momento in cui l'attenzione rivolta ai programmi appare fondamentale alla creazione del valore. Ciò che distingue l'audience labor dal digital labor è il fatto che i pubblici del digital labor non solo si limitano a guardare i contenuti, ma li creano con i loro stessi indicatori di sociabilità. Gli utenti delle piattaforme sono doppiamente al lavoro perché mettono a disposizione la loro attenzione e contribuiscono attivamente ad animare i social media. Per ultimo c'è il fatto che oggi il pubblico svolge mansioni di computazione umana per addestrare algoritmi e fornire esempi utili al machine learning. Il playbor senza tempi morti Julian Kucklich propone il nuovo concetto di playbor per descrivere una nuova generazione di attività che mescolano ricreazione e lavoro. Il termine è nato studiando l'industria dei videogiochi, i gamer non si limitano a guardare uno schermo, ma realizzano importanti funzioni di test, di debugging, di produzione di personaggi e addestramento dei motori del gioco. Questo intreccio di vita pubblica e privata, lavoro e svago, si ritrova sempre di più in altri settori di attività attraverso una vera e propria gamification del mondo. La ludificazione è onnipresente nei diversi settori del Digital Labor e le piattaforme stimolano l'engagement e la propensione alla socialità degli utenti al fine di incoraggiarli a produrre dati e realizzare nella maniera più efficace delle mansioni di qualificazione e di automazione. L’importanza del playbor in questo settore riflette una tendenza più generale all'opera che nelle aziende tradizionali spinge a sviluppare forme originali di coinvolgimento e stimolare la libera iniziativa dei lavoratori. In questo modo le aziende tradizionali e le piattaforme digitali finiscono per condividere lo stesso paradigma manageriale. Sebbene rappresentata come un'attività tempo parziale il Digital Labor è di fatto un’occupazione a tempo continuo che divora il tempo di vita trasformando ogni momento in tempo di lavoro. Il Digital Labor è immateriale? La distorsione operata dalle piattaforme del nostro rapporto con il tempo ci porta al quinto e ultimo antecedente storico del Digital Labor: il lavoro immateriale. Questo concetto è stato reso popolare dal filosofo Maurizio Lazzarato negli anni 90 e designa tutto il lavoro di valorizzazione, di condivisione e di raccomandazione tipico del capitalismo cognitivo delle industrie culturali. Parlare di lavoro immateriale implica analizzare la creazione di valore non come trasformazione materiale della realtà, ma come incremento del contenuto informativo inscritto nella merce. In questo modo, tutta una serie di attività che non venivano abitualmente riconosciute come lavoro, oggi vengono considerate parte integrante della produzione. La differenza tra digital labor e lavoro immateriale sta nel fatto che quest'ultimo resta di tipo intellettuale: in questo senso va inquadrato nel più generale concetto marxiano di General intellect. Questa intellettualità di massa rimanda alle professioni con più elevato contenuto creativo. All’epoca in cui formulavano le loro analisi gli autori avevano sotto gli occhi tutt'altra realtà empirica, ancora dominata dai 35 media tradizionali. Il concetto di lavoro immateriale sottintendeva dunque una visione più nobile delle attività digitali. Lavorare in silenzio o lavorare nell'ombra? L’invisibilità del lavoro nello spazio domestico, il carattere informale di quello dei consumatori o degli spettatori, l'ambiguità del playbor e la dimensione immateriale del capitalismo cognitivo attirano la nostra attenzione sulla difficoltà di identificare e far riconoscere alcune attività come partecipanti al processo di produzione. Il lavoro domestico e quello di cura sono esempi lampanti di come sia difficile caratterizzare un'attività come lavorativa. L’ultimo quarto del ventesimo secolo è stato caratterizzato dall'aumento della disoccupazione, ristrutturazioni aziendali, politiche di esternalizzazione e aumento di forme del lavoro atipico. Tutto ciò ha accentuato questo processo di flessibilizzazione e di precarizzazione del lavoro rispetto al quale la piattaformizzazione rappresenta un passo ulteriore. In quanto lavoro di preparazione dell'automazione, il digital labor è un lavoro oscuro? Il concetto di conspicuousness permette di inquadrare precisamente questo punto. Il concetto di conspicuous consumption, coniato e reso popolare più di un secolo fa dal sociologo americano Thorstein Veblen, letteralmente “consumo estensivo” mostrava quanto fosse importante la visibilità di questa attività. Nel mondo prima di Internet il lavoro non estensivo consisteva essenzialmente in mansioni ripetitive e talvolta pesanti, elaborate o difficili da comunicare. In teoria dunque ogni mestiere poteva essere composto da una parte ostensiva e una parte non ostensiva, quest'ultima più piccola nelle attività creative specializzate e più grande nelle attività meno specializzate. Nel contesto digitale, diverse mansioni di routine sono ugualmente silenziate e rese non ostensive. La parte non ostensiva non è quella più facile da automatizzare: nelle piattaforme sono le mansioni ostensive a essere più spesso delegate ai robot, bene le funzioni più meccaniche che vengono lasciate agli umani. Ma la frontiera tra ostensivo e non estensivo ci offre una diversa prospettiva, attirando la nostra attenzione sulla necessità per le piattaforme di ricorrere all'invisibilizzazione per produrre tutto ciò che oggi ci viene spacciato per automazione. Iperoccupazione L’emergenza del digital Labor è anche la conseguenza di trasformazioni dell'occupazione formale in seguito a varie ondate di ristrutturazioni aziendali, esternalizzazioni e parcellizzazioni tipiche della fine del ventesimo secolo, nonché dello sviluppo dell'automazione della finanziarizzazione del ventunesimo secolo. Assistiamo all'ascesa di un sistema di iperoccupazione, secondo il filosofo Ian Bogost, i lavoratori contemporanei sono costretti a realizzare una parte delle loro attività produttive formali come digital labor può essere richiesto in ogni luogo in ogni momento. L’iperoccupazione costituisce un'estensione del Digital Labor che riguarda sia le occupazioni formali sia le diverse situazioni di extra lavoro d'instabilità professionale già analizzate. Non assistiamo alla fine della tradizionale dipendenza tra datore di lavoro e salariato, ma al contrario alla moltiplicazione delle forme di dipendenza. La posta 36 elettronica incarna e riassume due aspetti cruciali di ogni forma di Digital Labor. Da una parte, trasforma ogni occupazione in attività senza tempi morti, just in time, on demand; dall'altra la sua natura eminentemente sociale mobilita un insieme di competenze relazionali manifestate attraverso la produzione di contenuti multimediali. Il costante incremento di nuovi messaggi produce un'offerta infinita di potenziale lavoro. I rischi professionali di burnout comunicazionale e di esplosione della mole di lavoro toccano sia le persone integrate formalmente nel mercato del lavoro sia quelle in condizioni di vulnerabilità e instabilità. L’iperoccupazione colpisce in maniera diversa il dipendente e il precario. La sola differenza tra la disperazione dell iperoccupato e quella del disoccupato o del sottoccupato è che queste ultime condizioni appaiono inaccettabili, mentre sul fronte degli iperlavoratori si celebra una presunta libertà di condivisione e di connessione, che dovrebbe permettere loro di svolgere più facilmente e con maggiore efficacia, nel comfort della loro macchina o del bagno di casa, delle attività che in passato venivano affidate a persone competenti e remunerate. 37 rapporto di assoggettamento (da cui il prefisso sub-) fondato non sulla dominazione simbolica, ma su un'autorità che si esprime attraverso un flusso di istruzioni (ordines). Da questo punto di vista la dipendenza tra i gruppi di utenti e le piattaforme che agiscono come intermediari tecnologici potrebbe essere definita come subordinazione tecnica. Gli usi prescritti dalle piattaforme impongono dei vincoli all'utente lavoratore per i quali il lessico giuridico prevede un termine specifico: si tratta di un rapporto di soggezione. La soggezione è diretta quando le mansioni vengono imposte secondo il ritmo e l'ordine stabilito dalle piattaforme, la maggior parte di queste include nelle interfacce dei triggers e delle call to action per invitare all'azione. Esistono anche soggezioni periferiche che si manifestano per esempio nell'obbligo imposto agli utenti di ricorrere a certi strumenti specifici per realizzare le loro mansioni. Pensiamo alle app di consegna che impongono ai rider d'indossare il logo. Il panopticon produttivo La subordinazione degli utenti lavoratori delle piattaforme non si esprime soltanto attraverso le sollecitazioni continue che ricevono, ma anche con la registrazione e la valutazione dei loro comportamenti. Il digital labor in scrive allora nella lunga storia della sorveglianza sul lavoro, con la peculiarità che non presuppone più un luogo circoscritto. Le piattaforme impongono indicatori qualitativi e quantitativi che sono di fatto dispositivi di controllo che possono implicare delle sanzioni: se i risultati sono insoddisfacenti, l'utente viene sollecitato dalle notifiche finché il servizio non risulterà meno accessibile. In assenza quasi totale di strumenti collettivi per difendere i diritti, i programmi di sorveglianza permanente di massa si sviluppano sempre di più. Le piattaforme non sviluppano questi sistemi soltanto per proprio uso e consumo, ma li commercializzano mettendoli a disposizione di altre aziende. Alcuni autori vedono in questo fenomeno la nascita di un complesso di sorveglianza innovazione o di un capitalismo della sorveglianza. La sorveglianza non è soltanto un modo di garantire l'efficienza dei flussi produttivi, ma anche di creare valore recuperando ulteriori dati. È il valore di qualificazione ma è anche il valore di monetizzazione, nel momento in cui si rivendono a marche o istituzioni i dati prodotti dall'analisi dei comportamenti. E infine è il valore di automazione ottenuto sfruttando questi stessi dati per addestrare gli algoritmi. I termini di servizio: una chiusura del lavoro? Uno dei momenti chiave dell'adesione degli utenti alla loro auto sorveglianza è il rituale di accettazione dei termini di servizio. Questi non si presentano come contratti d'assunzione eppure stabiliscono chi ha il diritto di utilizzare un servizio digitale, quali sono le modalità della sua eventuale sospensione e chi gode dello sfruttamento dell'informazione che vi circola in forma di dati. Si tratta di contratti di adesione che vogliono limitare le responsabilità delle piattaforme massimizzando il contributo produttivo degli utenti. Inquadrano l'attività degli utenti attribuendo loro specifiche funzioni e definendo certi criteri di qualità del prodotto, determinano le modalità di ripartizione del valore designando i proprietari finali dei dati, contenuti o servizi prodotti. Le 40 piattaforme si sforzano in ogni modo di sottolineare che non sollecitano né sfruttano il lavoro degli utenti, limitandosi a metterli in relazione tra loro. Uber eats per esempio parla di collaboratori indipendenti e si descrive come una società che fornisce servizi tecnologici. Pur rifiutando lo status di datore di lavoro e gli obblighi associati, le piattaforme non rinunciano a sottomettere i loro utenti con i termini di servizio che di fatto li incatenano all'applicazione. Il digital labor. Un lavoro vero, ma slegato dalla remunerazione Il digital labor si situa in sostanza in una zona grigia tra il mercanteggiamento e il lavoro dipendente. Come il primo, si tratta di un'attività svincolata da un luogo fisso, basata tanto sulla socialità e sulla cooperazione quanto sulla subfornitura a cascata. Come il secondo si inscrive in un rapporto, quello tra lavoratori e proprietari di servizi digitali, caratterizzato da subordinazione, e ineguaglianza in termini di diritti. Il digital labor, che venga realizzato da utilizzatori di app on demand, da micro lavoratori o da utenti delle piattaforme social, produce valore. In secondo luogo il digital labor non è un'attività informale. Viene inquadrato da clausole contrattuali che, pur distinguendosi da un contratto di lavoro standard, impongono regole stringenti riguardo alla natura delle mansioni, il modo in cui realizzarle e la proprietà del risultato. In maniera asimmetrica i termini di servizio costringono gli utenti e certi obblighi svincolano le piattaforme da ogni responsabilità nei loro confronti. In terzo luogo l'attività dei lavoratori del click si svolge sotto sorveglianza. Quarto, l'attribuzione di mansioni produttive agli utenti introduce un legame di subordinazione attraverso le soggezioni dirette o periferiche. Il quinto riguarda la questione della remunerazione, se la gratuità o la bassa remunerazione del Digital Labor viene ancora invocata per rifiutare lo status di lavoro, dal punto di vista giuridico questa non è una condizione determinante. Il Digital Labor istituisce un continuum di attività più o meno estensive e più o meno retribuite. A difesa dell'esperienza rende i lavoratori atipici, dei freelance e di altri professionisti nomadi, quella degli utenti lavoratori sulle piattaforme è contraddistinta da forti disparità di condizione che impediscono l'emergere di una coscienza comune della situazione vissuta. Il concetto di gratuità confonde la natura del Digital Labor per via di un sillogismo pericoloso: se l'attività non è remunerata allora non è lavoro. Per le piattaforme si tratta di mansioni produttive di valore realizzate entro un quadro contrattuale, sottoposte a una sorveglianza e vincolate a obiettivi di risultato inscritti entro una relazione di subordinazione. L’occultamento di queste quattro dimensioni permette loro di sottrarsi agli imperativi di remunerazione, di responsabilità e di protezione che nel ventesimo secolo erano diventati consustanziali alla definizione di lavoro. 41 Conclusione Sventolando La promessa ingannevole dell'emancipazione attraverso l'automazione e lo spettro minaccioso dell'obsolescenza del lavoro umano, le piattaforme digitali condannano una crescente moltitudine di operai del click a un alienazione radicale: contribuire senza requie alla propria cancellazione nascondendosi dietro macchine di cui sono e resteranno gli ingranaggi indispensabili. Per contrastare questo funesto destino il riconoscimento del Digital Labor si impone oggi come obiettivo politico primario, al fine di dotare i lavoratori digitali di una vera e propria coscienza di classe in quanto produttori di valore. Sono due le strategie principali: ➢ la prima si sforza di estendere al digital labor le conquiste sociali che venivano in precedenza associate all'impiego formale nel paradigma aziendale; ➢ la seconda preferisce ripensare il rapporto tra l'utente lavoratore e le infrastrutture di raccolta e trattamento dei dati seguendo la logica dei beni comuni, al fine di concepire nuove modalità di condivisione delle risorse e ricollegarsi al l'aspirazione politica originaria delle piattaforme. Riassorbire il digital labor nella sfera della subordinazione? Questo primo approccio vuole trasporre ai lavoratori digitali diritti e le tutele di cui hanno storicamente goduto i dipendenti in quanto il lavoratore dipendente e il lavoratore digitale sono accomunati dalla condizione di subordinazione, contrattualizzazione e sorveglianza. L'obiettivo è rivendicare l'esistenza di un rapporto di soggezione imposto dalle piattaforme malgrado la loro smentita. In Europa, Asia e negli Stati Uniti alcuni trasportatori e rider sono riusciti a ottenere retribuzione minima oraria e indennità per i tempi di attesa con gli incidenti sul lavoro. Anche i micro lavoratori hanno ottenuto migliori remunerazioni e limitazioni degli abusi da parte dei committenti con azioni collettive. Sui social media abbiamo assistito a scioperi degli utenti o alla creazione di sindacati per gli iscritti. Si ricorda che dal 2010 sono nati in Italia poi in Spagna nel Regno unito in Francia dei sindacati autonomi per i rider. Più difficile includere all'interno di queste lotte sociali il digital labor non ostensivo, sebbene questo costituisca il cuore dei processi di automazione. Le forme più classiche di mobilitazione però si rivelano incapaci di cogliere l'aspetto più problematico del lavoro al tempo delle piattaforme e non riescono a tenere conto della dimensione planetaria del Digital Labor. L’assenza di coordinamento tra i sindacati dei diversi paesi li priva di una capacità di azione a fronte del dumping sociale su larga scala. Uno dei rari tentativi per stabilire regole sul piano internazionale è stata la dichiarazione di Francoforte emanata nel 2016 da una rete di sindacati europei e nordamericani allo scopo di armonizzare i salari minimi, i tribunali competenti e le misure di tutela sociale. Invece di unire i lavoratori digitali attorno alla difesa dei loro diritti, queste iniziative individualizzano la loro domanda di riconoscimento e contribuiscono alla negazione della natura lavorativa delle loro attività. 42
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