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SCHIAVI DEL CLIC - Perchè lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo?, Appunti di Sociologia Economica

riassunto dettagliato di tutti i capitoli

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 05/11/2022

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ludovica-fanini 🇮🇹

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Scarica SCHIAVI DEL CLIC - Perchè lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? e più Appunti in PDF di Sociologia Economica solo su Docsity! 1 SCHIAVI DEL CLIC – PERCHÉ LAVORIAMO TUTTI PER IL NUOVO CAPITALISMO? INTRODUZIONE Il Testo si divide in tre parti: 1. La prima parte analizza i legami economici e culturali tra il programma scientifico dell'intelligenza artificiale e il programma tecno economico delle piattaforme digitali. Questa prima parte riguarda anche la nostra difficoltà di rappresentare la natura del contributo umano alla produzione isolata dai differenti processi che la compongono. Questo ci porta a credere che basti automatizzare alcune mansioni abitualmente svolte dagli esseri umani perché scompaiano interi mestieri, questa è la teoria della "grande sostituzione tecnologica". Non bisogna invece sottostimare la grande quantità di lavoro incorporata nell'automazione stessa Le inguietudini contemporanee sulla scomparsa del lavoro sono un sintomo della vera trasformazione in atto: non siamo davanti alla scomparsa del lavoro ma piuttosto alla sua digitalizzazione Questa dinamica tecnologica e sociale mira alla trasformazione del gesto produttivo umano in micro operazioni sotto remunerate o non remunerate al fine di alimentare un'economia dell'informazione basata principalmente Sull'estrazione di dati e sull'assegnazione a operatori umani mansioni produttive costantemente valutate. 2. La seconda presenta una serie di esempi che vanno da Uber ad Amazon e da Facebook a Google per mostrare la varietà di forme che assume il lavoro nel momento in cui i modelli economici provano incorporare l'intelligenza artificiale. Il Fenomeno del digital labor - ovvero quel lavoro spezzettato e datificato che serve ad addestrare i sistemi automatici - è stato reso possiblle da due tendenze storiche: l'esternalizzazione del lavoro e la sua parcellizzazione. Queste due tendenze sono apparse in momenti differenti, ma si sono sviluppate seguendo cicli disallineati fino a che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione non le hanno fatte convergere. In questa sezione parleremo anche della piattaformizzazione. All'interno di queste logiche il lavoro generato dagli utenti è necessario per produrre diversi tipi di valore: ➢ il valore di qualificazione, che permette il funzionamento regolare delle piattaforme (gli utenti organizzano l'informazione lasciando commenti o dando voti su beni e servizi o su altri utenti della piattaforma) ➢ il valore di monetizzazione che forisce liquidità breve termine (il prelievo di commissioni o la cessione di dati forniti da attori ad altri attori) ➢ il valore di automazione che si inscrive in uno sviluppo più a lungo termine (l'utilizzo di dati e contenuti degli utenti per addestrare le intelligenze artificiali) 3. La terza fornisce degli strumenti teonci per capire i fenomeni di sovrasfruttamento e di asimmetria legati alla ristrutturazione dei mercati del lavoro. La conclusione propone alcune piste di riflessione per superare questi fenomeni. In questo libro ricordiamo agli strumenti della sociologia, della scienza politica, delle scienze e della gestione aziendale, del diritto e dell'informatica. Vogliamo inquadrare le logiche economiche e sociali che strutturano la società plasmata dalle piattaforme digitali. Capirne i meccanismi di produzione e circolazione del valore, le forme di dominazione e gli squilibri che produce, per immaginarne infine un possibile superamento. Questo approccio teorico porta ad un rovesciamento di prospettiva → non sono le macchine a fare il lavoro degli esseri umani ma gli esseri umani a essere spinti a eseguire il digital labor per conto delle macchine accompagnandole, imitandole, addestrandole Le attività umane cambiano, si standardizzano e si procedurizzano per produrre informazione in forma normalizzata L'automazione segna cosi uno stravolgimento del lavoro e non la sua cancellazione. Parlare di digital labor completare le riflessioni sul lavoro in materiale facendone emergere il lato concreto: quello del dito che tocca lo schermo o mouse, e che in questo modo non solo produce un click ma inoltre restituisce l'etimologia originaria questo lavoro, appunto digitale. 3 tipi di digital labor: A. on demand (subordinazione mascherata) B. microlavoro (delocalizzazione) C. lavoro sociale in rete (nuova frontiera) 2 1 _ GLI ESSERI UMANI SOSTITUIRANNO I ROBOT? Si intende liberare il campo di riflessione da un malinteso ricorrente ovvero quello che le macchine intelligenti potrebbero diventare autonome da ogni intervento umano ricorrendo alle proprie presunte capacità cognitive. I DUE DIGITAL LABOR Questa cibernetica delle attività umane si manifesta nel contesto economico attuale attraverso il Digital Labor. Questa espressione che traduciamo in maniera imperfetta parlando di lavoro digitale ha due significati nel dibattito pubblico: 1. il primo è stato adottato negli anni 10 del 2000 negli ambienti dei consulenti aziendali, degli innovatori e presso gli esperti dei think tank. Per loro il Digital Labor definisce l'automatizzazione completa dei processi produttivi coniugando le innovazioni del settore della robotica con quelle dell'analisi dei dati. 2. la seconda espressione è stata utilizzata a partire dalla metà degli anni 2000 dagli universitari, dai militanti e dagli analisti politici. In questo caso si può parlare di Digital Labor per indicare al contrario l'elemento umano che le tecnologie digitali contribuiscono a rendere produttivo spingendolo a eseguire azioni che producono valore. Questo concetto ha anche una dimensione politica, perché denuncia il modo in cui il lavoratore viene invisibilizzato da chi progetta e possiede le piattaforme, il lavoro umano e occultato dietro le macchine proprio come grandi scacchisti stavano nascosti dietro a Deep Blue. Il Digital Labor definisce il processo di scomposizione in mansioni elementari e ratificazione delle attività produttive umane che caratterizza l'applicazione nella sfera economica delle tecnologie di intelligenza artificiale e di apprendimento automatico. Si tratta di una costellazione di pratiche all'incrocio tra lavoro atipico, lavoro indipendente, lavoro a cottimo micro remunerato, hobby professionalizzato, passatempo monetizzato eppure è semplice e fusione spontanea di dati. LA TENTAZIONE AUTOMATICA Fin dalle sue origini la nostra civiltà si interroga sugli effetti dei dispositivi tecnici sulla società civile, ma l'idea che la paura dell'automazione sia una caratteristica peculiare della nostra epoca è piuttosto discutibile. Il discorso sulla grande sostituzione del lavoro umano da parte delle macchine ha almeno due secoli. Altri pensatori sostengono che la sostituzione del lavoro degli uomini con quello delle macchine non sia un modo per sostituire interamente il lavoro umano ma abbia come scopo finale quello di ridurre il costo del lavoro. In questo libro mostreremo che la vera sostituzione portata dalla rivoluzione digitale è quella tra le mani e le dita, lavoro digitale in senso stretto GLI SCARTI DELLA SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE Per qualificare l'impatto delle tecnologie informatiche sull'evoluzione contemporanee del lavoro bisogna concentrarsi sulle simmetrie tra i lavoratori e proprietari dei mezzi di produzione. Manuel Castells dalla fine degli anni 90 con la sua trilogia sulla ”società in rete” propone una delle letture più convincenti sul ruolo dell'automazione come vettore di nuove relazioni industriali. Più che alla fine del lavoro, l'automazione implica una dualizzazione, una segmentazione e in fin dei conti una decomposizione del lavoro come forza sociale. Lo studio dell'università di Oxford firmato da Carl Benedikt Frey e Michael Osborne nel 2013 arriva conclusioni drastiche: il 47% degli impieghi ha una forte probabilità di scomparire a fronte di un'ondata innovazione tecnologica basata sull'apprendimento automatico e sulla robotica mobile. I numeri di questa scomparsa annunciata del lavoro sollevano parecchie critiche perché gli autori non sembrano prendere in considerazione come gli effetti della sostituzione possano essere compensati dalla creazione di nuove attività: mestieri che non esistono ancora, mestieri il cui contenuto sarà riconfigurato dall'innovazione tecnologica eccetera. La critica più grande, tuttavia, riguarda la fallacia nella concettualizzazione dell’automazione da parte dei ricercatori, essi concepiscono l'innovazione come un processo che trascende i rapporti sociali di produzione e quindi immaginano che l'introduzione di soluzioni automatiche possa farsi senza resistenze. 5 L’AUTOMAZIONE COME SPETTACOLO DI BURATTINI (SENZA FILI) Per capire in che misura l'automazione intelligente degli ultimi anni non sia in realtà che un processo di esternalizzazione, parcellizzazione e dequalificazione, basta osservare quali sono oggi le soluzioni di intelligenza artificiale esistenti rivolte al pubblico di massa. Nella sfera del largo consumo abbiamo piuttosto a che fare con intelligenze artificiali deboli, è il caso del pilota automatico della Tesla o Siri di Apple e Alexa di Amazon. Quale sia il loro grado di perfezionamento queste intelligenze artificiali incorporano una quota notevole di lavoro non artificiale, non sostituiscono gli esseri umani, ma li assistono. Anche i servizi di assistenza per i clienti funzionano per mezzo di una sinergia tra lavoratori umani e soluzioni informatiche. Il coinvolgimento umano è necessario per ragioni sia tecniche sia commerciali. Le intelligenze artificiali si basano su procedimenti di apprendimento automatico che viene “definito supervisionato”: le macchine imparano a interpretare le informazioni e a realizzare le azioni accumulando interazioni, sotto la sorveglianza di istruttori umani. La sola intelligenza artificiale possibile al momento è limitata e sostanzialmente inefficace in assenza dell'intervento umano. A essere centrale per noi non è la bolla degli esperti informatici che concepiscono i sistemi di intelligenza artificiale ma sono in realtà i miliardi di operatori che ogni giorno azionano i fili del burattino dell'automazione debole. L’intervento umano si manifesta sia attraverso azioni di facilitazione, sia di addestramento, se non addirittura di sostituzione delle intelligenze artificiali. IL NANO E LE CONDIZIONI MATERIALI DELL’AUTOMAZIONE. Sei robot sono manovrati dagli esseri umani, se le intelligenze artificiali non sono poi tanto artificiali e se le macchine sono sempre animate dagli esseri viventi, è l'ontologia stessa di queste entità a cambiare radicalmente: l’automazione tanto desiderata dagli investitori e tanto temuta dai tecnofobi è innanzitutto una forma di lavoro umano invisibilizzato. Studiare il Digital Labor ci porta precisamente a svelare il ruolo di primo piano giocato dagli operatori umani negli strumenti software, ovvero i produttori e ripulitori dei dati raccolti attraverso le piattaforme, che lavorano in sinergia con i dispositivi computazionali. La figura che rappresenta al meglio l'innesto dell'uomo al cuore della macchina è quello del “turco meccanico” che ritroviamo nel quarto capitolo. Il turco meccanico è di fatto una metafora filosofica e Walter Benjamin paragona questo macchinario al materialismo storico, dottrina che riusciva a sconfiggere ogni suo avversario soltanto perché nasconde al suo interno l'ignobile nano della teologia, una metafisica piccola e brutta. Per spiegare le condizioni immanenti delle società umane è necessario ricorrere a un pensiero della trascendenza. Possiamo anche rovesciare la metafora: e il materialismo storico, ovvero l'attenzione per le condizioni materiali di esistenza dei produttori di valore, che si è fatto rachitico, ridotto al ruolo di omuncolo che non deve lasciarsi vedere e nascosto dentro la credenza astratta in un'intelligenza realmente artificiale - la teologia del machine learning. Una moltitudine di nani gobbi si nasconde dietro gli onnipresenti bot, gli algoritmi presumibilmente infallibili e neutrali. Osservare il digitale con lenti materialiste permette di prendere in considerazione le trasformazioni del lavoro e della sua dimensione tecnica materiale. I giganti della rete esercitano la loro egemonia economica sul mercato mondiale attraverso un sistema di gestione della forza lavoro che segue le logiche già evocate di esternalizzazione, parcellizzazione e dequalificazione. 6 LA PROMESSA SEMPRE RIMANDATA DELL'AUTOMAZIONE L’economia delle piattaforme digitali non produce degli impieghi, ma delle mansioni per i lavoratori che vengono descritti come subappaltatori e indipendenti - se non addirittura come produttori – dilettanti, consumatori, appassionati o semplici utenti. Il suo sviluppo presuppone il superamento della relazione classica tra datore di lavoro e dipendente. In questo modo le piattaforme finiscono per indicare un nuovo paradigma della creazione di valore, basato su due principi: − una piattaforma non può essere ridotta semplicemente a un'azienda. Si tratta di un meccanismo di coordinazione tra attori sociali e il suo funzionamento esonda dalle modalità classiche di commercializzazione attraverso il prezzo di allocazione delle risorse da parte di un'autorità centrale. − quando si tratta di mettere in relazione l'offerta alla domanda di lavoratori, le piattaforme moltiplicano le tecnologie di incentivo economico: salari, onorari, ricompense, remunerazioni a cottimo eccetera. In questo modo come vedremo destrutturano e ricompongono proprio vantaggio alcuni istituti ereditati dalla rivoluzione industriale: impiego, subordinazione e protezione sociale. Per le piattaforme l'automazione è uno strumento per disciplinare il lavoro, sventolando lo spettro della grande sostituzione di fronte ai lavoratori e l'automazione il bastone che disciplinò la forza lavoro ed eventualmente la carota che attira gli investitori. Le tecnologie hanno la funzione di assoggettamento politico del lavoro invece che la funzione dell'aumento di produttività. Il discorso tecnologico che accompagna l'emergere delle intelligenze artificiali può essere letto come una formula propiziatoria che mira a inibire l'organizzazione dei lavoratori e a ridurre il loro potere contrattuale, ostacolando così la costituzione di ogni movimento di opposizione. 7 3 _ IL DIGITAL LABOR ON DEMAND Il primo tipo di Digital Labor è il lavoro on demand su piattaforme come Uber e Deliveroo, che mettono in relazione la domanda e l'offerta di prestazioni. È la cosiddetta economia dei lavoretti (gig economy). In questo caso le mansioni svolte non possono essere confuse con una forma di svago e l'utente dipende dalla piattaforma, sia economicamente sia, talvolta, contrattualmente. Il lavoro digitale on demand non presuppone un alto livello di qualificazione ed è circoscritto in contesti geografici precisi. Le forme contrattuali della remunerazione vanno dal subappalto alla remunerazione oraria e includono talvolta persino il cottimo. Si parla di “economia collaborativa” quando le prestazioni richiedono la coordinazione tra diversi individui. Vedremo però che questa definizione non corrisponde alle caratteristiche reali del capitalismo delle piattaforme in quanto esiste un sistema di sfruttamento dei professionisti atipici, dei precari e dei sottopagati. Queste categorie cominciano oggi a sviluppare forme di conflittualità attorno ai loro diritti, alle condizioni di lavoro e alle modalità di remunerazione. UNA GENERALIZZAZIONE DEL LAVORO ATIPICO Le piattaforme di digital labor on demand propongono servizi molto diversi: alcune offrono piccoli interventi a domicilio mentre altre entrano in concorrenza frontale con settori classici dell'economia formale a prezzi competitivi. − Le app come Deliveoo e Uber Eats possono remunerare alcuni dei loro utenti con un minimo orario anche se per di più tendono a pagare a consegna. − Instacart si presenta come un servizio basato sulle mance, ma in seguito ad una denuncia l'azienda ha dovuto assumere a tempo parziale una parte della sua forza lavoro. − Altre piattaforme come LaborMe e TaskRabbit funzionano secondo una logica di gara al ribasso delle remunerazioni. Questa eterogeneità ha prodotto una confusione sulla natura delle piattaforme e l'economia on demand è stata da principio assimilata a fenomeni come l'economia collaborativa, la sharing economy, l'economia circolare o dei servizi. L’occultamento del lavoro necessario per farle funzionare si è ottenuto designando le attività degli utenti come “favori” ,“dare una mano”. Chi svolge un'attività su una piattaforma on demand sta effettivamente facendo un lavoro in quanto partecipa alla produzione di beni e servizi. I sistemi di abbinamento algoritmico mettono in relazione la domanda espressa da una categoria di utenti con un'altra categoria e si svolge sia online che nel mondo esterno (l'abbinamento tra clienti lavoratori si opera attraverso l'applicazione, ma le prestazioni sono svolte dal vivo). > importante peculiarità Il boom che sta vivendo il lavoro on demand ha suscitato dibattiti sugli effetti che ha sul diritto del lavoro. La comunicazione di queste aziende insiste sulle opportunità che vengono offerte ai lavoratori nell'ambito della flessibilità degli orari e del reddito complementare che forniscono. In compenso i detrattori sottolineano lo sfruttamento e la precarizzazione che hanno prodotto. Si assiste all'apparizione di una zona grigia tra lavoro salariato e lavoro indipendente, sia in termini di reddito che di formazione e protezione sociale. Nei paesi dell'unione europea i regimi di lavoro a durata determinata riguardano una porzione sempre più grande degli attivi occupati: dal 27,4% del 2002 si è passati al 32% del 2014. Se l'economia on demand da sola non basta spiegare la tendenza, contribuisce visibilmente a questa dinamica di precarizzazione. “occupazioni non standard” Uno studio degli economisti Katz e Krueger indica che il 94% dei nuovi impieghi creati negli Stati Uniti tra il 2005 e il 2015 rientra in questa categoria, la percentuale di lavoratori atipici è passata dal 10,7% al 15,8% nell'ultimo decennio. Le conseguenze di questa trasformazione sono considerevoli e i lavoratori guadagnano molto meno in media rispetto ai loro omologhi con un contratto tradizionale. 10 Il sistema di valutazione permette ai conducenti di apprezzare la loro puntualità, la reattività e l'utente affronta il medesimo imperativo: dare un voto per ricevere un voto e verificare incessantemente che questo non scenda. Infine i passeggeri garantiscono un'importante lavoro affettivo digitale che consiste nel produrre negli altri utenti delle disposizioni comportamentali attraverso interazioni dal vivo oppure via applicazione. Il management dei comportamenti influisce così sul passeggero facendo di lui, più che un consumatore, un utente-lavoratore come gli altri. CHI GUIDA I VEICOLI A GUIDA AUTONOMA? Fino ad ora si è per di più parlato dei metodi che le piattaforme on demand come Uber utilizzano per estrarre valore dei loro utenti. Alcuni metodi consistono in un lavoro di: → qualificazione: gli utenti si valutano tra loro, compilano i loro profili, scelgono percorsi e selezionano dei prezzi. → monetizzazione: i conducenti proprio come i passeggeri producono continuamente dati che sono resi accessibili previo pagamento a terze parti. → automazione che i suoi utenti devono garantire per appoggiare gli sforzi di innovazione produttiva della piattaforma. Gli sforzi più visibili portano verso lo sviluppo di macchine a guida autonoma e le grandi piattaforme digitali e i principali costruttori di automobili hanno lanciato programmi di ricerca da quasi un decennio. Nel 2009 Google ha creato la sua campagna specializzata in veicoli autonomi Waymo, anche Baidu ed Apple sviluppano queste tecnologie mentre le industrie Tesla, General Motors, Volvo e Ford sviluppano sistemi di guida assistita dall'intelligenza artificiale. Si pensa che la guida sia senza conducente e completamente autonoma, la realtà è del tutto diversa, fatta di contributi umani a monte e a valle della pura programmazione dei veicoli: da una parte per insegnare la guida ai veicoli e dall'altra per continuare a guidarli malgrado la sedicente autonomia. I veicoli sperimentali messi a disposizione hanno sempre un operatore di veicolo pronto ad occuparsi della manutenzione della macchina è in grado di gestire situazioni impreviste. I passeggeri vengono trasformati in automobilisti dando loro la responsabilità di manovrare il veicolo o le interfacce presenti al suo interno. Si tratta di mansioni produttive che gli vengono affidate e che servono proprio ad assistere il veicolo e assicurare il funzionamento del servizio. Quando parliamo di veicolo senza conducente, stiamo sottintendendo che di fatto è il passeggero il vero conducente. Il passeggero non si limita a realizzare un lavoro di guida dissimulato ma è anche produttore di dati il cui valore può essere estratto. Le macchine a guida autonoma realizzano e trasmettono le registrazioni video alla piattaforma e questo spesso pone problemi rispetto alla privacy e alla proprietà dei dati personali. L’insieme dei dati raccolti, con l'aggiunta di quelli raccolti dalle macchine non autonome, è cruciale del processo di automazione. L’apprendimento automatico ha bisogno di esempi e casi concreti, bisogna tenere in considerazione il contributo sostanziale che i lavoratori umani danno a queste macchine mentre imparano e prendono decisioni. Si tratta di una moltitudine di micro lavoratori, spesso sub fornitori che operano in centri specializzati situati nei paesi in via di sviluppo. Il lavoro consiste nell’insegnare ai sistemi automatici a distinguere gli elementi dell'ambiente nel quale si trovano i veicoli. È dalla precisione di questi micro lavoratori e dalla loro capacità di discernimento umana che dipende la sicurezza dei pedoni e dei passeggeri: un lavoro minuzioso, composto da una miriade di piccole mansion 11 5 _ IL LAVORO SOCIALE IN RETE Il lavoro sociale in rete si basa sulla partecipazione degli utenti dei social media come Instagram o Facebook. Si tratta di mansioni spesso assimilate al tempo libero, alla creatività e alla socialità. La produzione di contenuti, la loro condivisione in seno a comunità di amici, la dimensione relazionale di questa attività contribuiscono a decostruire le categorie di piacere, di fatica, di autonomia di subordinazione, di scelta e di vincolo - o piuttosto a rendere la realtà delle seconde meno tangibile. Anche qui la produzione di valore e la sua estrazione si scompone in valore di qualificazione, valore di monetizzazione e valore di automazione, ma il lavoro degli utenti è meno visibile e l'allocazione delle mansioni meno sistematica rispetto alle piattaforme di micro lavoro. L’utente-produttore di contenuti o di dati non è fondamentalmente subordinato alla piattaforma, tuttavia viene sottoposto ad incentivi per realizzare delle azioni, incentivi a volte simbolici e a volte economici. Sui social media questo lavoro gratuito presuppone comunque il lavoro dei moderatori, dei produttori di viralità e degli innumerevoli micro lavoratori che producono valutazioni e condivisioni di ogni tipo. L’ERA DEI PRODUSER Le piattaforme social si presentano da principio come semplici supporti per produrre contenuti da condividere e consumare, ma il personal branding e la costruzione di micro celebrità sui primi social media come Orkut o Myspace, e poi youtube, Instagram o snapchat, nascondono in verità vincoli e condizioni che le piattaforme impongono in cambio di certe opportunità. Le “piattaforme mondo” rinchiudano l'utente dentro un infrastruttura: ognuno dei suoi post, ogni sua foto, ogni cosa scritta è centralizzata e convertita in valore estraibile dai proprietari della piattaforma. Sui social questo processo di estrazione è nutrito dalla retorica che spinge gli utenti a non essere spettatori passivi, ma a contribuire arricchendo la piattaforma di contenuti. prosumer (producer + consumer): dimensione autonoma / produser (producer + user): dimensione eteronoma I prosumer, ovvero i produttori-consumatori descritti dal futurologo, sono diventati dei produttori-utenti insomma dei produser, “una manodopera riconfigurata dalle aziende produttrici d’informazione e divertimento”. L’esplosione dei siti web e servizi basati sui contenuti generati dagli utenti è stata così interpretata come segnale di un nuovo “capitalismo del prosuming”. Il produser non è un “consumatore artigianale” che realizza la sua produzione in modo “autentico”. Il suo contributo è eminentemente sociale, ovvero fondato sulla circolazione e la valutazione di contenuti tra individui. LAVORISTI ED EDONISTI L’apparizione negli anni 2000 della figura del producer ci ha fatto chiedere in che modo e in che misura ogni utente di un social media può essere identificato come un lavoratore. Sono due le posizioni a riguardo: − in una si considera la partecipazione ai social come una relazione sociale assimilabile al lavoro, e da lì allo sfruttamento, caratterizzata dall'appropriazione del valore da parte delle grandi piattaforme; − mentre nell'altra si considera il produsage come semplice espressione della ricerca di una soddisfazione personale, partecipazione consenziente a una nuova cultura del dilettantismo - negando con ciò la pertinenza stessa del concetto di Digital Labor Approccio lavorista L’approccio lavorista nasce contemporaneamente e ha origini antiche. Discende da ricerche che fin dagli anni 80 descrivevano i mezzi di comunicazione come “mezzi di produzione” e i pubblici della televisione come “lavoratori dei media o produttori sia di valore che di plusvalore”. Tre questioni erano emerse fin da subito: − quella della gratuità dei contributi online, − quella dello sfruttamento degli utenti − quella degli elementi ludici associati ai gesti produttivi. 12 Tiziana Terranova → articolo pioneristico che sta all'origine del concetto di digital Labor. La ricercatrice ha individuato due caratteristiche principali di questo nuovo tipo di lavoro: 1. la sua gratuità = queste attività non vengono remunerate 2. la sua dimensione sociale = si fondano su un tessuto di relax azioni umane al di fuori dei luoghi abitualmente consacrati alla produzione del valore Un altro modo di concepire lo sfruttamento del lavoro sociale in rete e quello proposto da Christian Fuchs e Sebastian Sevignani. Per questi due autori l'accumulazione del capitale da parte delle piattaforme digitali non dipende soltanto dalla gratuità. I producer secondo gli autori perdono soprattutto il senso della loro forza lavoro, se non proprio la coscienza stessa di essere al lavoro. Quando questa coscienza è sospesa, non riconosciamo più lo sfruttamento dietro al valore di scambio di un post, di una foto, di un emoji, il valore d'uso del pensiero, dell'immagine, del sentimento da cui era scaturito. Trebor Scholz → Le sue posizioni mettono al centro la questione dell'erosione sulle piattaforme della distinzione tra lavoro e svago. Da questo punto di vista è possibile riconoscere che i produser ottimizzano il loro capitale sociale mescolando Queste due dimensioni, pur senza disconoscere le pressioni culturali e politiche che gli attori dell'economia delle piattaforme fanno pesare su di loro, giocando su l'ambiguità del confine tra lo spazio privato dello svago e lo spazio pubblico del lavoro. Prospettiva edonista L’attività del produser è produttiva di valore ma non remunerata con un salario → si tratta di effetti di rete resi possibili dalla fusione tra tecnologia e umanità. Il lavoro sociale in rete è caratterizzato da un nuovo tipo di surplus cognitivo legato allo sviluppo di un cervello sociale costituito dalla partecipazione volontaria – e ‘piacevole’ – di innumerevoli individui Arvidsson & Colleoni (2012): riprendono il concetto marxiano di general intellect per indicare nella partecipazione in rete una modalità di messa in comune del sapere, della creatività e delle relazioni. C’è produzione di valore, ma poiché è un’attività gradevole e non coercitiva il problema della gratuità non si pone. Flichy → secondo lui stiamo assistendo alla costruzione di una società di dilettanti più democratica, meno elitista e aperta a tutti i saperi, nonché allo sviluppo di una soggettività basata sulle passioni quotidiane. In questo nuovo mondo che sta emergendo, il dilettante entusiasta non si oppone all'esperto, al professionista, all'autore, all'artista, ma anzi lo completa diventando un quasi professionista (pro dilettante). Tuttavia continua a essere distinto da lui, precisamente per via della gratuità dei suoi contributi, il che dovrebbe tecnicamente proibirgli di parlare di lavoro > se non c’è retribuzione, non si parli di lavoro Critica a entrambe le prospettive: ci si concentra sui contenuti del LSR e non sui dati che esso produce. − La prospettiva lavorista si focalizza troppo sul nesso lavoro-svago, perdendo di vista la connessione profonda tra LSR e microlavoro. − La prospettiva edonista si focalizza troppo sulle politiche ‘partecipative’ messe in atto dalle piattaforme, perdendo di vista la dinamica che trasforma tale partecipazione in un segmento di processo lavorativo > produser come portatore di forza-lavoro. Occorre dunque leggere il LSR come parte del più ampio processo di trasformazione del lavoro dovuto alla digitalizzazione del capitalismo. QUANDO GLI UTENTI LOTTANO PER FARSI PAGARE I social media cercano di allontanare uno degli elementi costitutivi della dialettica tra capitale e lavoro: la conflittualità. Questa, però, emerge sotto forma di rivendicazioni e azioni legali. È il caso delle piattaforme di lavoro ondemand in cui gli utenti hanno preteso di essere riqualificati come dipendenti o di essere indennizzati per il loro lavoro. Nel 2015 anche i commentatori del sito yelp chiesero di essere riqualificati, ma persero la causa. Le cose cambiano leggermente in seguito al regolamento gdpr del 2018. Malgrado la dimensione di queste lotte sul lavoro nelle community, il tema dell'estrazione dei dati personali fa meno scalpore rispetto alle tensioni che si manifestano attorno all'attività dei producer sui social media, in particolare attorno alla produzione di contenuti multimediali. La controversia sulla remunerazione dei contributori di Wikipedia costituisce un ultimo esempio di conflitto. 15 Inserisce la funzionalità “segnala questo post come fake news” che verranno poi controllate da micro lavoratori, le attività vengono anche subappaltate di altri paesi. Se crediamo a Facebook, i micro lavoratori e gli utenti migliorano la qualità dell'informazione e permetteranno alle intelligenze artificiali di prendere decisioni autonome. Spesso nel caso delle fake news valutare le informazioni su una piattaforma rischia di avvicinarsi a una forma di filtraggio di quelle che non corrispondono alla sensibilità dei suoi utenti e dei suoi creatori, facendo dei micro lavoratori dei moderatori. Queste attività di moderazione possono anche essere svolte dagli utenti. Che sia volontario o remunerato, il filtraggio dei contenuti è un'attività necessaria al funzionamento dei media online. Le conseguenze di questa attività di moderazione sono spesso disastrose sulla salute mentale il benessere dei lavoratori, alcuni sviluppano disturbi e forme di stress post traumatico in seguito alla visione quotidiana di immagini estreme (decapitazioni, stupri ecc..). Spesso la moderazione segue traiettorie di delocalizzazione e viene delegata a paesi del Sud del mondo. Il micro lavoro completa il digital labor gratuito degli utenti che alimentano il corpus di dati per l'apprendimento automatico. 16 CONCLUSIONE Sventolando La promessa ingannevole dell'emancipazione attraverso l'automazione e lo spettro minaccioso dell'obsolescenza del lavoro umano, le piattaforme digitali condannano una crescente moltitudine di operai del click a un alienazione radicale: contribuire senza requie alla propria cancellazione nascondendosi dietro macchine di cui sono e resteranno gli ingranaggi indispensabili. Per contrastare questo funesto destino il riconoscimento del Digital Labor si impone oggi come obiettivo politico primario, al fine di dotare i lavoratori digitali di una vera e propria coscienza di classe in quanto produttori di valore. Sono due le strategie principali: − la prima si sforza di estendere al digital labor le conquiste sociali che venivano in precedenza associate all'impiego formale nel paradigma aziendale; − la seconda preferisce ripensare il rapporto tra l'utente lavoratore e le infrastrutture di raccolta e trattamento dei dati seguendo la logica dei beni comuni, al fine di concepire nuove modalità di condivisione delle risorse e ricollegarsi al l'aspirazione politica originaria delle piattaforme. RIASSORBIRE IL DIGITAL LABOR NELLA SFERA DELLA SUBORDINAZIONE? Questo primo approccio vuole trasporre ai lavoratori digitali diritti e le tutele di cui hanno storicamente goduto i dipendenti in quanto il lavoratore dipendente e il lavoratore digitale sono accomunati dalla condizione di subordinazione, contrattualizzazione e sorveglianza. L'obiettivo è rivendicare l'esistenza di un rapporto di soggezione imposto dalle piattaforme malgrado la loro smentita. In Europa, Asia e negli Stati Uniti alcuni trasportatori e rider sono riusciti a ottenere retribuzione minima oraria e indennità per i tempi di attesa con gli incidenti sul lavoro. Anche i micro lavoratori hanno ottenuto migliori remunerazioni e limitazioni degli abusi da parte dei committenti con azioni collettive. Sui social media abbiamo assistito a scioperi degli utenti o alla creazione di sindacati per gli iscritti. Si ricorda che dal 2010 sono nati in Italia poi in Spagna nel Regno unito in Francia dei sindacati autonomi per i rider. Più difficile includere all'interno di queste lotte sociali il digital labor non ostensivo, sebbene questo costituisca il cuore dei processi di automazione. Le forme più classiche di mobilitazione però si rivelano incapaci di cogliere l'aspetto più problematico del lavoro al tempo delle piattaforme e non riescono a tenere conto della dimensione planetaria del Digital Labor. L’assenza di coordinamento tra i sindacati dei diversi paesi li priva di una capacità di azione a fronte del dumping sociale su larga scala. Uno dei rari tentativi per stabilire regole sul piano internazionale è stata la dichiarazione di Francoforte emanata nel 2016 da una rete di sindacati europei e nordamericani allo scopo di armonizzare i salari minimi, i tribunali competenti e le misure di tutela sociale. Invece di unire i lavoratori digitali attorno alla difesa dei loro diritti, queste iniziative individualizzano la loro domanda di riconoscimento e contribuiscono alla negazione della natura lavorativa delle loro attività. UN’ALTRA PIATTAFORMIZZAZIONE È POSSIBILE A partire dal 2014 emerge il movimento del cooperativismo delle piattaforme. Questa Confederazione internazionale di attori sociali promuove la proprietà collettiva dei mezzi digitali di produzione e aspira a un'economia cooperativa. Ha l’ambizione di creare un internet calibrato sugli esseri umani che promuova principi di giustizia, di economia sociale e davvero solidale oltre che di sostenibilità ecologica. Possono testimoniare la sostenibilità di questo modello cooperative di lavoratori on demand come coopify, allbnb, coopcycle ecc. Nel suo libro manifesto del 2016 Scholz definisci alcuni principi di cooperativismo largamente coerenti con l'azione dei sindacati a favore dell'integrazione del Digital Labor nella droga della subordinazione protetta precedentemente descritta, le piattaforma e cooperative devono garantire i loro membri remunerazioni decenti e la sicurezza del lavoro, un inquadramento legislativo, la portabilità delle assicurazioni sanitarie e dei diritti pensionistici. A questi principi si aggiunge la proprietà collettiva delle piattaforme nelle mani delle persone che generano la maggior parte del valore. 17 Questo movimento manifesta la volontà di riformare il capitalismo delle piattaforme e contribuire alla piattaformizzazione eticamente responsabile delle cooperative tradizionali. Il rischio è che si limiti a inoculare un po' di diversità in un passaggio dominato dal Digital Labor senza con ciò riuscire a rovesciare l'attuale sistema. UN DIGITAL LABOR “IN COMUNE” I sostenitori del cooperativismo delle piattaforme difendono il loro impegno a favore dei beni comuni planetari, ovvero di ogni risorsa globale condivisa in maniera sovranazionale e più in particolare di quella risorsa digitale costituita da Internet. Vogliono dare ai dati lo status di risorse sostanzialmente sociali e condivisibili. Questo principio presuppone l'elaborazione di una governance comune sui dati. Poiché la presenza online degli utenti fabbrica e trasforma i dati, si tratta contemporaneamente di un gesto di espressione di sé e di una produzione di valore economico, preservare l'integrità delle informazioni degli utenti delle piattaforme consiste dunque nel garantire loro diritti in quanto lavoratori. Non si tratta di diritti relativi alla proprietà privata né di una comproprietà dei mezzi di produzione, ma di un sistema di protezione basato sul regime di allocazione delle risorse che ricorda la proprietà sociale, ovvero un insieme di beni collettivi messi a disposizione dei nomi proprietari. Tra gli strumenti a disposizione per raggiungere questi scopi ci sono le class action degli utenti contro le piattaforme per riprendere il controllo dei contenuti, dei servizi e delle informazioni. Per far ciò servirebbero degli accordi collettivi negoziati con le piattaforme che nel diritto del lavoro possono essere abrogati solo in meglio, solo se vengono proposte condizioni più favorevoli. La trasposizione nel contesto delle piattaforme di un contratto collettivo permetterebbe una normalizzazione dei termini di servizio secondo regole più rispettose dei diritti degli utenti e ostacolerebbe ogni tentativo di estorcere loro il consenso allo sfruttamento gratuito dei dati. In una visione più radicale si potrebbe pensare alla collettivizzazione dei dati che diventerebbero una proprietà sociale, diretta, indivisibile e inalienabile. Un’altra soluzione più coerente con i quadri istituzionali dei paesi del nord passa dalla fiscalità dei dati tassando le piattaforme. IL NODO GORDIANO DELLA REMUNERAZIONE Casilli propone una via più radicale, quella del reddito sociale digitale. L'ipotesi di un reddito di base associato al Digital Labor è stata principalmente presa in considerazione come misura riparativa, un meccanismo di compensazione sociale per reagire alla distruzione delle occupazioni presuntamente provocata dall'automazione, una sorta di tassa sui robot. A differenza di queste mezze misure il reddito sociale digitale vuole essere la fonte primaria di risorse economiche per gli individui e non un reddito complementare. Non sarebbe né un sostituto né un concorrente del welfare pubblico e sarebbe versato lasciando inalterate le altre prestazioni sociali preesistenti. Gli economisti Monnier e Vercellone hanno esaminato le condizioni del finanziamento di tale tipo di reddito e difeso il principio a fronte dello sfruttamento strutturale dell'informazione in seno al l'attuale regime di capitalismo cognitivo. Il finanziamento del reddito sociale digitale potrebbe appoggiarsi parzialmente sulle misure fiscali sopra evocate. Un metodo complementare consisterebbe nell’erogarlo in forma di beni o servizi primari secondo il modello della proprietà sociale. Si tratta di riassorbire nei beni comuni quello che viene socialmente prodotto e in questa prospettiva, seguendo la tradizione mutualista all'origine del sistema di produzione sociale, le risorse raccolte per finanziare questo dispositivo potrebbero essere messe in una cassa comune. Questa proposta non si limita a dare impulso ai commons, ma ha come vocazione quella di spingere le piattaforme a rinunciare alla chiusura proprietaria e all'opacità delle loro tecnologie per mettere fine al l'assoggettamento del lavoro umano. In questo modo le piattaforme realizzerebbero la loro triplice vocazione originaria: la sostituzione della proprietà sociale alla proprietà privata, il superamento del lavoro assoggettato da parte di un lavoro senza vincoli e infine la sostituzione di ogni forma di privatizzazione da parte di infrastrutture realmente comuni.
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