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Scienza e Religione, letteratura tra XVI e XVIII secolo, Appunti di Letteratura Italiana

In questo documento si analizza l'evoluzione della letteratura nelle epoche che vanno dalla seconda metà del XVI secolo alla seconda metà del XVIII secolo.

Cosa imparerai

  • Che argomento scelse Tasso per la composizione di Gerusalemme Liberata?
  • Come si trattò la controversia tra la poetica aristotelica e l'aristotesco in relazione alla Gerusalemme Liberata?
  • Che autori si succedettero a Tasso nella composizione di Gerusalemme Liberata?
  • Quali difficoltà editoriale incontrò Tasso a causa della censura controriformista?
  • Come si descrivono le tematiche e i temi trattati nella Gerusalemme Liberata?

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 24/08/2020

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Scarica Scienza e Religione, letteratura tra XVI e XVIII secolo e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Scienza e Religione: la letteratura tra il XVI e il XVIII secolo Capitolo Primo 1.Introduzione alla relazione: confronto tra scienza e religione In questa relazione si vuole proporre l’evoluzione del rapporto tra religione e letteratura durante i secoli XVI-XVIII secolo articolata in più punti: in un primo momento verrà delineato un quadro storico all’interno del quale, successivamente, si procederà con la descrizione del contesto sociale. Poi si procederà con una descrizione dei vari movimenti culturali che hanno caratterizzato questi secoli, esponendone le caratteristiche e, laddove possibile, le innovazioni e le differenze con gli altri movimenti. Infine, ogni capitolo si concluderà con la trattazione dei principali esponenti dei secoli dal XVI al XVIII, rispettivamente Torquato Tasso, Galileo Galilei e Giuseppe Parini. 1.1 L’Italia tra il XVI e XVIII secolo La storia dell’Italia dal punto di vista politico in questi secoli fu molto difficile, iniziando dalla discesa di Carlo VIII in Italia nel 1494: dal 1494 al 1559, Pace di Cateau-Cambresis, hanno inizio le Guerre d’Italia. L’Italia era ancora frammentata in numerosi Stati, tra i quali emergevano lo Stato della Chiesa, le Repubbliche marinare di Genova e Venezia ed i territori italiani sotto il dominio spagnolo, ovvero tutto il Sud Italia, le isole maggiori e i territori del l’ex ducato di Milano. Le cause della guerra furono molteplici, ma soprattutto erano esterne al contesto italiano: i diversi scontri riguardavo nel particolare la Francia di Enrico II di Valois che combatteva contro il Regno di Spagna, inizialmente di Carlo V e successivamente di Filippo II. Ed è proprio con la Spagna di Filippo II che nel 1559 fu stipulata la pace di Cateau-Cambrésis, che si sanciva il passaggio dell’Italia sotto il dominio spagnolo. Gli intellettuali dell’epoca, come Baldassarre Castiglione, definiranno questo periodo come la “ruina d’Italia”. Nel 1527 per opera dei Lanzichenecchi venne saccheggiata Roma, distruggendola quasi del tutto. Altro avvenimento importante, che ricoprì la prima metà del Cinquecento, fu Riforma protestante del monaco agostiniano Martin Lutero che avviò nell’ ottobre del 1517, in seguito all’affissione delle 95 tesi, che condannavano alcune pratiche ecclesiastiche del clero, alle porte della cattedrale di Wittenberg. Questo “movimento di ribellione” avrà ripercussioni non solo sulla Chiesa e la fede cristiana in Italia, ma anche nel resto d’Europa. Nel 1520 Papa Leone X gli notificò la scomunica tramite la bolla papale, che il monaco rigetto pubblicamente, creando così una frattura nella fede cristiana dividendo l’Europa in due ideologie religiose simili ma con diversità molto profonde. Per trovare una soluzione alla crisi religiosa nata dal Protestantesimo, la Chiesa convocò il Concilio di Trento, il quale non attenne i risultati sperati: dal Concilio, più volte interrotto e che durò dal 1545 al 1563, emerse l’impossibilità di un accordo tra cattolici e protestanti. La Chiesa fu costretta a riorganizzarsi dando inizio alla Riforma Cattolica o Controriforma. Nel 1552 con papa Paolo III venne istituito il Tribunale dell’Inquisizione, che divenne la principale arma della Chiesa per la repressione degli eretici con l’aiuto dell’Ordine dei Gesuiti. Tra le numerose riforme effettuate vi furono la formazione del teatro dei Gesuiti, l’evangelizzazione del Vecchio e del Nuovo Mondo e nel 1559 la prima pubblicazione dell'«Index Librorum Prohibitorum»1, Indice dei libri proibiti con un elenco delle pubblicazioni ritenute contrarie ai principi della dottrina e della morale cattolica. Tutto ciò portò a una vera e proprio opera di censura, che modificava o eliminava parti dell’opera in modo da renderla consona ai principi della fede cattolica, cambiandone, però, il significato stesso. L’intellettuale si ritrovò assoggettato al potere della Chiesa e per evitare un fallimento letterario, iniziò ad affiancarsi a personalità influenti sia nella sfera ecclesiastica sia nella sfera politica italiana: nasce così la figura dell’intellettuale cortigiano. Questa figura differiva dall’intellettuale civile, figure entrambe legate all’Umanesimo quattrocentesco. L’intellettuale cortigiano scriveva opere dedicate a personalità influenti, quali signori di corte o alte cariche religiose, mentre l’intellettuale civile scriveva opere dedicate più all’ascolto pubblico e quindi dedicato alla popolazione più che alle cariche nobiliari. Nello stesso periodo, le numerose polemiche letterarie avanzate dagli intelletuali dell’epoca diedero luogo ad un vero e proprio genere di scrittura: si assistette ad una ricca produzione di libelli, composti e stampati velocemente. Questi libelli servivano ad approfondire analisi ed interpretazioni delle opere letterarie di quegli anni ed a definire con maggiore chiarezza il senso di alcune scelte culturali. Contemporaneamente alla censura dell’Inquisizione e al nascere del genere della critica, si osserva il nascere di una problematica che spingerà molti intelletuali a porsi la stessa domanda, trovare un modello linguistico che possa essere definito italiano. Diverse furono le proposte avanzate dagli intellettuali: alcuni prelidigevano l’uso del fiorentino contemporaneo, differente dal fiorentino di Dante o Petrarca; altri la linea cortigiana, con l’utilizzo esclusivamente dei dialetti padani che si distinguevano solo in emiliano e lombardo; infine l’uso del volgare. A prevalere fu quest’ultima, avanza da Pietro Bembo che esaltava due tipologie di modelli di scrittura: Petrarca e Boccaccio. Negli anni successivi si assiste al nascere di una grave e veloce decadenza economica, il XVII secolo appare così un secolo insido. La Spagna, in seguito alla crisi che la colpì dopo la guerra dei Trent’anni tra il 1618 e il 1648, attuò una serie di riforme fiscali molte diverse tra loro nei diversi domini: la meno colpita fu Milano, la quale era vista come un punto strategico contro i francesi e austriaci. Al contrario, invece, il territorio del Sud Italia ed isole fu trattato al pari delle colonie del Sud America e tassato quindi fino ai limiti. Il XVII secolo per l’Italia si presenta a prima vista come un periodo oscuro, ma ciò non è del tutto veritiero: un nuovo movimento letterio, il Barocco che si diffuse in tutta Europa con molti nomi diversi, tutte espressioni di uno stesso movimento letterario che esaltava il concetto di natura. Mentre in Europa il Barocco ebbe un’importanza secondaria, in Italia interessò tutti i campi della cultura, dalla letteratura, all’architettura e all’arte. Evento epocale in questo periodo fu la Rivoluzione scientifica avviata da Galileo Galilei, che nei suoi numerosi scritti scientifici sosteneva apertamente le teorie copernicane, che andavano di netto contrasto ai principi teologici ecclesiastici. Tutto ciò non fece altro che creare nella Chiesa cattolica un’ulteriore spaccatura al suo interno: con il processo dell’Inquisizione alla teoria copernicana di Galileo e l’editoria, che fino a quel momento aveva pubblicato ogni scritto di Galieo, molti intellettuali iniziarono a cambiare la loro visione del 1 AA. VV, Il piacere dei testi, l’Umanesimo, il Rinascimento e l’età della Controriforma in Il piacere dei testi, Volume II; Torino, Paravia, 2012, pag. 564 pedagogici. Tasso però riconosce che la poesia non può essere separata dal «diletto» e che il diletto deve essere finalizzato al «giovamento». Il diletto è assicurato dal «meraviglioso», ma Tasso respinge il “meraviglioso fiabesco” e “fantastico” del romanzo cavalleresco, poiché comprometterebbe irreparabilmente il verisimile. La soluzione proposta da Tasso è il “meraviglioso cristiano” e, per questo, respinge il modello dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Altro criterio indispensabile è la varietà del poema: deve contenere realtà diverse, deve parlare di battaglie e di amori ma il tutto deve essere legato in una struttura rigorosamente unitaria. Infine Tasso tratta della problematica dell’elocuzione, dello stile; dei tre livelli indicati nella tradizione retorica classica, sublime, mediocre e umile, quello che conviene al poema eroico è senza dubbio quello sublime. Fonte di magnificenza all’interno dello stile è anche l’asprezza ottenuta col «parlar disgiunto»3, ottenuta attraverso il frequente utilizzo di enjambements. 1.4.1 Tra epica e romanzo Negli anni successi alla pubblicazione dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto nel 1532 nel panorama letterario italiano si accese un’animata discussione attorno alla antura di quell’opera. Se il successo straordinario del poema ariostesco non poteva essere messo in dubbio, assai più difficile riusciva giustificarne temi e tecniche narrative alla luce dell’Ars Poetica di Orazio e della Poetica di Aristotele. Ai tentativi di difendere per via teorica il romanzo ariostesco si oppone chi desiderava applicare in modo più rigido e rigoroso le norme aristoteliche, creando così una discussione letteraria che si propagherà negli anni tra l’uscita del poema di Ariosto e l’uscita della Gerusalemme liberata del Tasso. Attorno agli anni 1562-1564, Tasso aveva già dato delle prove sul genere epico e cavalleresco, con il Gierusalemme in 118 ottave e il Rinaldo, poema più prossimi alla tradizione ariostesca, la sua riflessione eroico giunge a un significativo approdo con la composizione dei Discorsi dell’arte poetica. Articolati in tre libri, rispettivamente dedicati all’individuazione dell’argomento del poema (inventio), alla disposizione ed organizzazione del racconto (dispositio) e allo stile (elocitio), i Discorsi affrontano i principali nodi teorici relativi al genere epico così vivacemente discussi in questi anni. Tasso, a differenza della poetica di Ariosto, proponeva di basare il racconto su di un argomento storico e sacro, in un passato non troppo lontano dalla contemporaneità per calibrare il suo racconto sul criterio del verosimile. Si profila, inoltre, nei Discorsi un’idea di poema verosimile che non rinuncia agli elementi meravigliosi, ma li riconduce sapientemente all’interno della sfera religiosa: Tasso propone di recuperare la dimensione meravigliosa attraverso il credibile della religione cristiana: Attribuisca il poeta alcune operazioni, che di gran lunga eccedono il poter de gli uomini, a Dio, a gli angioli suoi, a demoni o a coloro a’ quali da Dio e da’ Demoni è concessa questa podestà, quali sono i santi, i maghi, le fate. Queste opere, […], verisimili saranno giudicate; perché, avendo gli uomini nostri bevuta nelle fasce insieme co’l latte questa opinione, ed essendo poi loro confermata da maestri de la nostra santa fede […] non parrà loro fuor del verisimile quello che credono non solo esser possibile, ma stimano spesse fiate esser avvenuto e poter di novo molte altre volte avvenire.4 3 Ivi, pag. 618 4 Torquato Tasso, Introduzione in Gerusalemme Liberata a cura di Franco Tomasi; Milano, Bur Rizzoli, 2019, pag.8. Viene quindi recuperato l’elemento dilettevole attraverso il «meraviglioso cristiano»5, ma Tasso nei difende anche la necessità di un poema che nella sua dimensione unitaria non vada perdendo la ricchezza e varietà garantita dalla presenza di molteplici episodi. Contro l’interpretazione restrittiva della Poetica aristotelica avanzata da Sperone Speroni, che sarà poi uno dei revisori della Liberata, Tasso propone una «unità mista»6, cioè un poema focalizzato su un’azione principale, ma vivacizzato da numerosi episodi e digressioni. Per rappresentare questa idea Tasso fece ricorso alla celebre immagine del «picciolo mondo»7, perfettamente armonico ed equilibrato, in tutto e per tutto simile, nella finzione letteraria, al mondo creato da Dio, complesso e multifore, ma regolato armonicamente dalla sua mente creatrice. Al poeta spetta, dunque, il difficile ruolo di farsi una sorta di altro Dio, creatore di un universo verosimile ma in sé perfettamente logico e capace persino di bilanciare i suoi opposti in una superiore armonia. Giudico che da eccellente poema […] un poema formar si possa nel quale, quasi in un piccolo mondo, qui si legano ordinanze d’esserciti, qui battaglie terresti e navali, qui espugnazioni di città, […]; ma che nondimeno uno sia il poema che tanta varietà di materie contenga, una la forma e la favola sua, e che tutte queste cose siano di maniera composta che l’una l’altra riguardi, […], si che una sola parte o tolta via o mutata di sito, il tutto ruini.8 Da ultimo Tasso nei Discorsi affronta il problema dello stile più conveniente alla poesia epica, lo individua nello «stile magnifico»9, cioè lontano dallo stile umile e comune tale da suscitare nel lettore un effetto di sospesa meraviglia. Rispetto alle gerarchie stilistiche e al loro rapporto con generi però al poeta epico, in virtù della varietà dei temi che affronta, è possibile variare e riprendere istanze stilistiche e retoriche della poesia lirica come di quella tragica, come afferma lo stesso Tasso « lo stile eroico è in mezzo fra la semplice gravità del tragico e la fiorita vaghezza del lirico, e avanza l’una l’altra nello splendore d’una meravigliosa maestà; ma la maestà sua di questa è meno ornata, di quella men propria»10. Benché non si debba vedere nei Discorsi un progetto poi meccanicamente realizato nella Liberata, perché teoria e prassi continuano a intersecarsi in un gioco di reciproche corrispondenze, è pur vero che queste istanze teoriche costituiranno l’ideale base di partenza per il poema, un poema che, cercando di corrispondere alli’idea del «picciolo mondo» in sé perfetto e capace di armonizzare gli opposti, sarà inteso da Tasso come un vero e proprio sistema nel quale tutti gli elementi siano logicamente necessari. 1.4.2 I temi La scelta dell’argomento del poema risponde puntualmente ai principi che Tasso enuncia nei Discorsi dell’arte poetica: scegliere la Prima Crociata consente all’autore di introdurre nel poema un meraviglioso che sia verisimile e credibile, fatto di cavalli volanti e armi magiche. La necessità di una nuova crociata era un motivo che si era affacciato nella cultura occidentale sin dalla conquista turca di Constantinopoli, avvenuta nel 1453, ma il tema era diventato di estrema 5 Ivi. pag. 9. 6 Ibidem 7 Ibidem 8 ibidem 9 Torquato Tasso, Introduzione in Gerusalemme Liberata, a cura di Franco Tomasi; Milano, Bur Rizzoli, 2019, pag. 10 10 Ibidem attualità solo con l’avanzata dei Turchi nel Mediterraneo nel secondo Cinquecento. La materia trattata da Tasso non è quindi costituita da belle favole in un tempo mistico, ma da una storia vera, che deve stimolare la coscienza cristiana del pubblico dinanzi a problemi di grande urgenza; da queste scelte deriva al poema una fisionomia ben diversa da quella del genere “romanzasco”, a cui appartengo i capolavori di Boiardo ed Ariosto. Oltre all’intento celebrativo della idealità religiose, della maestà della Chiesa e dell’eroismo guarriero, il poeta mira ad un fine didascalico e pedagogico. Sulla tematica religiosa si ritrovano nel poema contradizioni di tipo ideologico, da una parte vi troviamo una celebrazione scenografica della maestà della religione, dall’altra una religiosità meno esplicita e molto più intima del senso di colpa e del bisogno di purificazione interiore. Altro esempio di questa contradizione è data della religione, fondata su verità razionalmente definite dalla teologia e dall’atrazione intima, per il sovrannaturale magico e demoniaco irrazionale e inquietante. Queste ambivalenze si registrano anche a livello formale, la struttura unitaria sembra più volte sul punto di dissolversi e di diperdersi in vari filoni narrativi, proprio secondo i moduli di quel romanzo cavalleresco che Tasso si proponeva di superare. Questo “bifrontismo” tassesco investe la struttura più profonda del poema, lo scontro stesso fra cristiani e pagani. I pagani sono portatori di una visione laica, esaltazione dell’individualismo e della forza dell’uomo che è artefice del proprio destino; al contraio i cristiani sono portatori del codice culturale tipico dell’età della Controriforma. L’antagonisa della religione cristiana non è un’altra religione, ma una negazione della stessa; i valori rinascimentali laici vengono visti come prodotti di forze demoniache. La contrapposizione molteplice-uno ha radici profonde nel poeta. Tasso è in realtà attratto dalle devianze che si manifestano nelle forme della molteplicità; si è sempre rivelato come nel poema sia evidente una simpatia per i devianti, per i nemici, per gli sconfitti. L’identificazione emotiva profonda del poeta per loro è ciò che fa si che i personaggi devianti siano quelli artisticamente più felici. 1.4.3 composizione, revisione e pubblicazione Il 1565 segna per Tasso un momento lieto e carico di attese per il futuro, il poeta giunge infatti a Ferrara sotto il servizio del cardinale Luigi D’Este. Nonostante la giovanissima età, vanta un curriculum letterario di tutto rispetto, dato che ha già all’attivo la pubblicazione di un poema cavalleresco, il Rinaldo. Proprio al suo arrivo a Ferrara Tasso comincia a progettare la composizione di un altro poema cavalleresco. Sicuro di voler prendere a soggetto la storia di carattere sacro di epoca medievale, nel 1565 Tasso si dichiarava ancora incerto tra tre diverse scelte: la guerra di Belisario contro i Goti oppure le vicende di Carlo Magno nel contesto della Prima Crociata. La scelta ricadde su quest’ultimo argomento, già stato soggetto del primo esperimento del Tasso con la Gierusalemme. Il lavoro dovette proseguire nelle sue prime fasi molto celermente, se già nella primavera del 1566 Tasso poteva dare notizia di esser giunto al canto sesto, per ragion non sempre facili da riconoscere, ebbe momenti di prolungata sospensione. Nel 1575 Tasso annunciava di esser ormai pronto a dare il suo poema alle stampe, indicato nelle sue lettere con il titolo di Gottifredo o Goffredo. Per dare al poema una veste ufficiale e collettiva, il poeta decise di organizzare un’ultima revisione, quella che poi è stata ricordata come revisione romana, e tra la primavera del 1575 e l’estate del 1576, sottopose il suo poema alla lettura di una sorta di comitato editoriale raccolto a Roma attorno alla figura del cardinale Scipione Gonzaga. Il metodo di lavoro, prevedeva la spedizione dei canti da parte di Tasso ai revisiori, che avvrebbero espresso il loro parere e segnalato al poeta le parti eventualmente bisognose di ripensamenti e Capitolo Secondo 2. Il XVII secolo e l’inizio della crisi: il nuovo secolo e la nascita del Barocco. Successivamente al grande successo della Gerusalemme Liberata di Tasso, sempre più autori iniziano a seguire il modello tassiano, dimostrando quanto fosse grande l’influenza della Chiesa, dopo la Controriforma, nell’editoria e nella letteratura del XVII secolo. Durante il secolo si assiste ad un deterioramento economico in quasi tutta Europa, specialmente in Spagna dove la crisi porta ad un collasso delle istituzioni con ripercussioni anche nei territori italiani di dominio spagnolo. La crisi italiana del XVII secolo non è da attribuire, però, esclusivamente alla crisi spagnola: un altro motivo importante lo si può ritrovare nello scarso rinnovamento delle istituzioni, ancora basate su una struttura di tipo feudale e allo scarso stare al passo con un’economia sempre più in evoluzione nei mercanti, nelle manifatture e con i commerci europei. Inoltre, mentre gli Stati europei favorivano questo sviluppo delle proprie, la scoperta dell'America aveva spostato il centro del commercio internazionale dal mar Mediterraneo all'Oceano Atlantico ed infine traffici con l'Oriente divennero secondari rispetto a quelli con l'Occidente. Dunque, questo spostamento del baricentro commerciale andò a penalizzare le città mediterranee, e quindi i porti italiani, a beneficio di quelle collocate sull'Atlantico. In questo periodo di crisi e decadenza si sviluppò sotto differenti forme il Barocco, movimento culturale che dagli intellettuali del XVIII secolo verrà così chiamato in senso dispregiativo, poiché si pone in netto contrasto con il Rinascimento. Mentre in quest’ultima prevalevano i canoni della cultura classica, dominata dalla linearità, dall'equilibrio e dall'armonica proporzione delle parti, l'architettura del XVII secolo era caratterizzata dall’utilizzo della linea curva, che permetteva di ottenere con quel gioco di rientranze e sporgenze effetti chiaroscurali e una prospettiva indefinita nello spazio. Stile barocco significò, pertanto, stile di cattivo gusto che presumeva di essere nuovo ed originale, ma in realtà era bizzarro ed involuto. Sull'origine della parola non c'è concordia tra gli studiosi: alcuni ritengono che sia l'italianizzazione del termine spagnolo “Barrueco” oppure portoghese “Barroco”, utilizzato per indicare un tipo irregolare di perla. Con il termine Barocco si vuole identificare quel movimento culturale e letterario inserito nel quadro storico, sociale e politico di tutto il XVII secolo. Esso è molto vario e comprende, oltre alle arti figurative, completamente rivalutate, il barocco letterario, detto anche Secentismo o Marinismo, dal nome del poeta Giovan Battista Marino; vi è anche il Barocco filosofico, rappresentato da Giordano Bruno e Tommaso Campanella; il Barocco scientifico, rappresentato da Galilei e il Barocco storico, rappresentato da Paolo Sarpi. Il più superficiale e manierato dei diversi aspetti del Barocco fu quello letterario, ridotto a puro “giuoco di forme e esercizio retorico”, perché mancò in Italia un poeta autentico, dalla personalità vigorosa e dal profondo sentire, capace di portare a grandi altezze la propria poesia. Più importanti, invece, sono gli altri aspetti del Barocco, specialmente quello filosofico e scientifico: in un'età di assolutismo oppressivo e repressivo e di generale conformismo politico e religioso, in opposizione alla cultura ufficiale fondata sui dogmi e sull'autorità di Aristotele, esso riaffermò l'autonomia della ragione e l'assoluta libertà della ricerca filosofica e scientifica, continuando in tal modo la migliore tradizione rinascimentale. 2. 1 Il contrasto tra religione e scienza Durante il Barocco andò man mano crescendo e poi affermando un pensiero individuale non conforme alla politica ecclesiastica. Infatti, anche se nella seconda metà del secolo la Chiesa con il Tribunale dell’Inquisizione si organizzava per gestire e riorganizzare la cultura non poteva fermare l’avanzare delle idee: ed è proprio in questo periodo si verifica una rivoluzione del pensiero scientifico. Il senso di questa rivoluzione è contenuto in un’opera di Niccolò Copernico, grande fisico e matematico, frutto dei suoi studi di astronomo intitolata “De Revolutionibus orbium caelestium”, Le Rivoluzioni delle città celesti, scritta e pubblicata nel 1543, dove si vuole spiegare il passaggio da un sistema geocentrico, quindi antropocentrico, stabilito da Aristotele prima e Tolomeo poi, ad uno eliocentrico. In quest’opera Copernico presenta un nuovo sistema, una nuova visione dell’universo che metteva in crisi la teoria ecclesiastica dell’uomo e della Terra al centro dell’universo. Queste nuove scoperte portarono anche a una rivoluzione di pensiero, poiché cambiò la visione stessa della vita. La scoperta di Copernico, con l’avanzamento delle nuove tecnologie, divenne verità, andando contro l’ideologia tolemaica. Tolomeo, ottimo fisico, aveva elaborato un sistema geocentrico, al centro del quale vi è la Terra, intorno alla quale girano gli altri pianeti che tracciano orbite di natura circolare, i cui centri si muovono di moto uniforme. Ponendo la Terra al centro dell’universo, Tolomeo aveva posto al centro anche l’uomo. al centro di un sistema in cui sono inseriti anche altri pianeti. L’universo sia per Aristotele sia per Tolomeo era formato da due parti: il «mondo etereo», ovvero un mondo appartenente a Dio e incorruttibile e il «mondo terrestre», ovvero la Terra, il mondo sensibile appartenente all’uomo, rappresentato al centro, perché tende al peccato. La cosa andò complicandosi quando i padri della Chiesa fanno proprie queste teorie, facendole rispondere a principi morali ed etici della società del tempo. La Chiesa capì che queste teorie rispecchiavano la visione dettata dalla Bibbia ed è per questo che la fanno propria, non considerandole più solo una verità di scienza, ma una vera e propria verità di fede, di religione. La teoria aristoletico- tolemaica rispecchiava una visione morale, Dio ha posto la sua creatura al centro; la visione dell’universo diventa quindi quella della Bibbia e della Chiesa. Nella mente della gente veniva impressa questa visione così radicalmente, che fu difficilissima da scardinare. Solo con Galileo Galilei, Keplero e Giordano Bruno si cercò di demolire l’autorità del sistema geocentrico. Giordano Bruno, accusato di contraddire le teorie del tempo, avendo rifiutato di abiurare, venne considerato eretico e fu arso al rogo nel 1600 nel Campo di Fiori a Roma. Nel 1584 scrisse il De infinito universo et mundi, L’universo infinito e il mondo, dove proponeva la teoria riguardante il nuovo sistema. Nell’opera la visione della Terra viene relativizzata nell’universo: la Terra non è più al centro, perché l’universo è relativo, ed essendo tale, non ammette la presenza di un centro, «tutto è centro, nulla è centro»17. Non ha senso parlare di due mondi, uno terrestre e uno etereo, perché la Terra è come qualsiasi altro pianeta, è relativo come qualsiasi altro pianeta e tutti i pianeti sono della sua stessa materia. Ambedue questi mondi sono manifestazione della creazione divina e con questa affermazione si arriva all’eresia massima: Dio diventa materia, si arriva alla sua materializzazione nella concezione panteistica per la Chiesa. 17 Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, dal Cinquecento al Settecento in Storia della letteratura, volume II; Milano, Mondatori, 2016, pag.296 A ispirare la dottrina barocca della meraviglia e a promuovere il desiderio di novità, la nuova visione del mondo e dell'uomo, determinata dalle scoperte scientifiche, aveva messo definitivamente in crisi l'antropocentrismo rinascimentale. Alla concezione geocentrica ed antropocentrica dell'universo, tutto ordinato e finalizzato a fare da cornice all'opera dell'uomo e a soddisfare le sue esigenze di creatura privilegiata, Galilei contrapponeva, confermandola con l'uso del cannocchiale, la verità ormai inconfutabile del sistema eliocentrico copernicano: dilatava così all'infinito i confini dell'universo e riduceva la Terra a un pianeta insignificante, errante nell'immensità dello spazio. Alle straordinarie scoperte di Galilei nel campo astronomico si aggiungeva, nel campo biologico, quella del bolognese Giovanni Malpighi, il quale, servendosi del microscopio, scoprì nella cellula il principio fondamentale comune a tutti gli esseri viventi. L'effetto di queste scoperte era duplice e contraddittorio: da una parte suscitarono negli uomini del tempo l'orgoglio di possedere conoscenze che gli antichi non avevano mai avuto, convincendo gli uomini dell'assoluta superiorità dei moderni sugli antichi; dall'altra, esse avevano prodotto un senso di sgomento, perché, perdendo la certezza secolare di essere una creatura privilegiata posta al centro dell'universo, l'uomo avvertì il senso della propria fragilità e della propria pochezza nel contesto della vita universale, congiunto alla responsabilità di nuovi compiti e doveri che cadevano sopra di lui. La convinzione della superiorità dei moderni sugli antichi portò poeti e scrittori ad una serrata polemica anticlassicistica e al rifiuto delle regole imposte dai retori, che imbrigliavano la loro impaziente fantasia. La nuova visione dell'universo invogliò gli uomini ad esprimere la loro meraviglia e a ritrarre in nuovi modi la realtà instabile e mutevole delle cose. Con questi nuovi atteggiamenti ha inizio quel momento di passaggio culturale a cavallo tra i due secoli, dove l’atteggiamento ideologico e stilistico dei poeti di scrivere una nuova opera cambiano. In questo periodo cambiarono i modelli classici di riferimento: ai poeti dell'età augustea come Virgilio, Orazio e Livio si sostituirono gli autori dell'età argentea, come Ovidio, Lucano, Apuleio, Tacito, Seneca, perché sentiti più vicini alla nuova sensibilità per il loro stile immaginoso. Successivamente, quando divenne comune la convinzione della superiorità dei moderni sugli antichi, i manieristi prima e i secentisti poi si ribellarono alle regole del classicismo, soprattutto a quella della presenza delle unità aristoteliche nelle opere d'arte, presi dal desiderio assillante di creare una poesia nuova. Essi però non intesero tale rinnovamento come un ritorno al sentimento, che è la vera sorgente della poesia, ma come rinnovamento di sole forme, rivolto cioè a creare nuovi modi espressivi. 2.2 Galileo Galilei Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564. Il padre Vincenzo era un esponente di rilievo della cultura fiorentina, soprattutto per la sua attività teorica e compositiva in ambito musicale. La prima formazione si svolse a Firenze, dove la famiglia si era trasferita, e si caratterizzò per la vastità degli stimoli e degli interessi culturali. Nel 1581 ritornò a Pisa per intraprendere gli studi di medicina presso l’università. Furono, tuttavia, gli insegnamenti di matematica e fisica, impartiti da Ostilio Ricci, a suscitare nel giovane studente la volontà di approfondire i testi e di verificare con ricerche sperimentali le teorie di Archimede. Dopo quattro anni, Galilei dovette rientrare a Firenze per le disagiate condizioni familiari, senza essersi laureato, ma avendo ormai chiarito la sua vocazione scientifica. A un’intensa attività di studio, affiancò l’insegnamento privato, ma solo un incarico ufficiale come docente poteva garantirgli una maggiore tranquillità economica. Accettò, dunque, la cattedra di Capitolo Terzo 3.1 Il XVIII secolo e il pensiero scientifico Il Settecento, storicamente parlando, si presenta come un “secolo dualistico” che presenta caratteri opposti che convivono: gli storici parlano di “‘700 conservatore e ‘700 innovatore”. Il Settecento fu il secolo delle Rivoluzioni americana (1776), francese (1789) e infine di quella industriale (1790), che si presenteranno come forma di cambiamento irreversibile, e delle guerre di Successione spagnola (1701-1713), di Successione polacca (1730-1738) e infine quella di Successione austriaca (1740-1748), le quali ebbero ripercussioni enormi sia per l’Europa sia per l’Italia, che fu oggetto di contesa e fu coinvolta nei trattati di fine guerra. È importante sottolineare che le guerre del Settecento non furono combattute con il solo fine di distruggere, poiché gli Stati erano interessati a conquistare i territori senza rovinarlo e senza danneggiare eccessivamente il proprio esercito. I nemici, una volta coscienti dell’impossibilità dell’impresa, si arrendevano anche perché non si puntava al totale annientamento dell’avversario. Il Settecento conservatore lo si può riassumere con l’Ancien Régime: la conservazione della tradizione feudale diventa sinonimo di assolutismo. La società si basa su forme politiche assolutamente inadeguate alle richieste di una società sempre più dinamica e attiva, che avanza sempre più richieste. Tutto ciò, probabilmente, non fu altro che la continuazione di un processo iniziato nel 1600 in Francia, quando Luigi XIV, il Re Sole, concesse sempre più spazio nella vita politica alle richieste dei borghesi, la detta “nobiltà di toga”, confermando la loro ascesa politica e il rafforzamento economico col tentativo di ridimensionare la nobiltà di spada. Il ‘700 innovatore ha come punto di riferimento l’Inghilterra: in campo economico l’innovazione ha il suo elemento chiave nella Rivoluzione industriale del 1790 e nell’affermazione del capitalismo. La politica subirà bruschi cambiamenti dovuti, soprattutto, alle due rivoluzioni politiche che avranno un impatto mondiale: quella americana e quella francese. La Rivoluzione americana scoppiò nel 1776 e fu importante per il corso degli avvenimenti successivi, perché si assistette all’insurrezione delle tredici colonie americane nei confronti della madre patria inglese, cosa mai accaduta fino ad allora. Le cause di tale evento furono molteplici con il crollo della Compagnia delle Indie l’Inghilterra, che incominciò ad avere problemi con le tratte d’oltre mare e decise di aumentare le tasse delle colonie per saldare i debiti. Altra causa fu la mancanza di dialogo che si venne a creare tra le colonie e l’Inghilterra: le colonie avanzarono la richiesta di poter essere rappresentate in Parlamento, ovviamente l’Inghilterra rifiutò e fu allora che i rapporti si ruppero definitivamente: nel luglio del 1776 le colonie americane presentarono la Dichiarazione d’Indipendenza dall’Inghilterra. Non ci furono lotte o opposizioni da parte dell’Inghilterra, che con i nascenti Stati Uniti d’America mantennero rapporti amichevoli e di alleanza che ancora oggi durano. La novità di questa rivoluzione non deriva dai risvolti politici, ma dagli ideali: si parla del primo caso di decolonizzazione. La rivoluzione francese scoppiò nel 1789 nella Francia di Luigi XVI in un contenuto sociale diverso da quella americana. La causa principale fu l’incapacità della “vecchia” monarchia assoluta di controllare un’aristocrazia ambiziosa di potere, un ceto borghese in crescita e che costituiva il tessuto produttivo della nazione e, infine, soprattutto il mal contento degli strati più umili della società. La richiesta fondamentale del popolo francese era quella di sottoscrivere una Costituzione su modello americano o inglese. Il carattere sociale e la predominanza di un’opinione pubblica, formata per lo più da letterati che nell‘800 farà da portavoce del popolo, che acquisisce più consapevolezza di sè, ebbe un ruolo importante, ma non bastò a impedire alla rabbia del popolo che non seppe gestirsi di sfociare in violenza. Sulla scia delle due rivoluzioni anche i popoli dei vari Regni europei chiesero ai propri sovrani la stesura di una Costituzione, col tentativo di passare da una monarchia assoluta a una monarchia costituzionale, proprio come in Inghilterra: a questa richiesta alcuni regni, come l’Austria di Giuseppe II e la madre Maria Teresa, definiti “sovrani illuminati”, acconsentirono, altri, invece per non perdere il proprio potere, prima la concessero e poi la ritirarono, come accadde nel Regno di Napoli con la conseguenza dello scoppio di una rivolta popolare, poi fu duramente repressa. Infine, con la Rivoluzione Industriale in Inghilterra del 1790 vi fu un progressivo aumento delle industrie e più in generale un mutamento della vita sociale, dando vita a una nuova classe sociale, il proletariato, e a un nuovo soggetto socio-economico, l'operaio. Tutto ciò portò ad un profondo mutamento dell’istituzione della famiglia, la quale perse ogni valenza educativa. Anche le donne e i bambini furono inseriti nel sistema di fabbrica e le loro condizioni di vita diventarono durissime. Le conseguenze della rivoluzione industriale iniziarono a diffondersi poi in tutta Europa: oltre a cambiare lo stato sociale della popolazione cambia anche la configurazione delle città, le quali in periferia presentavano zone industriali che permettevano agli operai di svolgere tutte le attività basilari e di prima necessità. Un esempio può essere proprio la città di Londra. Durante le guerre europee della prima metà del XVIII secolo l’Italia, sempre più marginale dal punto di vista politico, non è neppure più campo di scontri tra le grandi potenze europee: gli Stati italiani fungono, ormai, da semplici pedine di scambio nel gioco di guerre e alleanze tra le diverse dinastie europee. In Paesi socialmente e culturalmente più sviluppati, come Francia e Inghilterra, l’Italia è vista come un simbolo di decadenza intellettuale e morale e di schiavitù politica. Con la caduta della dominazione spagnola nel 1713, gli intellettuali italiani riallacciarono i rapporti con l’Europa e la cultura europea: si assiste alla nascita delle prime riviste, come “il Giornale de’ letterati d’Italia” a Venezia e le “Novelle letterarie” a Firenze. Nei primi decenni del secolo la cultura italiana è ancora dominata dalla mentalità controriformistica e dall’ortodossia cattolica, mentre in Europa si assiste all’evoluzione e allo sviluppo dei pensieri di Newton e Cartesio: la cultura settecentesca in Europa e in Italia, in questo periodo “viaggiano” su due binari diversi ed è in questo periodo di cambiamento che si afferma, in campo culturale e poi letterario, l’Illuminismo. L’ideologia illuminista nasce e cresce su idee che hanno origine dell'Empirismo filosofico inglese di Locke, Berkeley e Hume, che poi si diffuse la Francia grazie a filosofi come Voltaire, Montesquieu, Diderot, D'Alembert, Rousseau, tra l’altro tutti collaboratori della grande "Encyclopedie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des mètiers", Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, opera che fu strumento di diffusione di un nuovo pensiero basato esclusivamente sull'esaltazione della ragione e sulla negazione di ogni speculazione di tipo metafisico e religioso. Con quest’opera si identifica "l'età dei Lumi", così detta perché si pone in contrapposizione all'oscurantismo dogmatico ed astratto della Controriforma del secolo precedente. Artefice di questi mutamenti fu la nuova classe borghese, formata da intellettuali che iniziarono a provare insofferenza per le vecchie regole che mettevano al vertice della società e del potere le classi privilegiate. Il Settecento iniziò e portò a compimento quel processo di laicizzazione che andò a toccare anche l'ambito educativo. Infatti, vennero costituiti modelli educativi molto lontani dai principi religiosi del passato, che miravano alla formazione di un uomo come cittadino-artefice del proprio destino. Tutto ciò portò alla realizzazione di una società moderna intesa in senso borghese: una società dinamica e strutturata intorno a centri economici, politici e sociali. 3.2 La supremazia della ragione: l’Illuminismo L'Illuminismo, vasto movimento di pensiero che sorge in Europa nel Settecento, fu così chiamato perché il suo metodo di ricerca si proponeva d'indagare la verità con i soli «lumi della ragione»19, indipendentemente da ogni autorità o rivelazione soprannaturale, di “illuminare” le menti degli uomini per liberarle dall'ignoranza, dai pregiudizi e dalle superstizioni, frutto della “cattiva” influenza della religione, infondendo in essi la fede nel progresso ed il senso della felicità della vita. Il movimento illuministico nacque in Inghilterra, ma subito trovò terreno fertile in Francia dove le condizioni politiche e sociali dell'Ancien regime esigevano un rinnovamento. Successivamente si diffuse in tutta l'Europa anche per merito di scrittori particolarmente brillanti, come Voltaire, Diderot, D'Alembert, Rousseau, Wolff, Lessing e Kant in Germania e poi Pietro Verri, Cesare Beccaria, Gian Battista Vico e Mario Pagano in Italia. Uno degli strumenti di diffusione dalla straordinaria efficacia, fu l’Enciclopedia, che come afferma Fischer: «in trentaquattro volumi, che rese non soltanto alla Francia, ma a tutta l'Europa, un incomparabile servizio, combattendo tutte le forme di crudeltà e di superstizione, tutto ciò che di antiquato, inadeguato ed ingiusto ancora esisteva nella costituzione della società europea e nelle sue credenze religiose e sociali.»20 L’Illuminismo presenta le sue radici in movimenti di pensiero anteriori al '700, che coincidono in particolare con il Rinascimento, posto non a caso dagli storici come l'inizio dell'età Moderna: i diversi precetti, sparsi disorganicamente nelle precedenti epoche, confluirono nella nuova corrente di pensiero che li fuse e li organizzò in una visione unitaria della vita, investendo tutti i campi dell'attività umana. La genesi filosofica dell'Illuminismo va rintracciata essenzialmente nel razionalismo cartesiano e l'empirismo inglese, poiché dal primo gli illuministi presero il concetto del primato della ragione, dal secondo presero il concetto del “cooprimato dell'esperienza sensibile”: infatti, già Cartesio, partendo dal dubbio metodico, fece della ragione la sola fonte delle conoscenze umane. Gli illuministi accettarono la pars destruens del suo pensiero, cioè il rifiuto della Rivelazione, della tradizione e della metafisica, ossia l'idea innata di Dio. Ben accetto fu anche il pensiero di Locke, che nel Saggio sull'intelletto umano attribuiva all'esperienza l'unica fonte del sapere. Stabilita la pars destruens della loro ideologia, consistente nella lotta contro la religione e l'assolutismo, gli illuministi prospettano anche una pars construens, ovvero creare una società nuova, fondata sulla libertà, sulla giustizia e sulla fraternità degli uomini e dei popoli tra loro. Ma, per creare una società nuova, occorre educare il popolo a una nuova coscienza e ai suoi diritti. 19 Ivi, pag.371 20 Fischer A.H.L, Illuminismo in Storia d’Europa, Rinascimento, Riforma, Illuminismo in Storia d’Europa, volume II, Bari, Laterza, 1973, pag.150 avvenute nella bottega di caffè tra gruppi di amici, così come nei salotti esclusivi della nobiltà, dove si discuteva delle nuove idee illuministiche, ma con toni più leggeri. Anche la Napoli della seconda metà del secolo si trasformò in un ambiente nel quale, grazie al riformismo illuminato di Carlo III di Borbone, poté svilupparsi il nuovo pensiero: tuttavia, rispetto all'Illuminismo lombardo, quello napoletano ebbe carattere più speculativo e teorico e si interessò soprattutto di problemi giuridici. Tra gli illuministi napoletani più importanti si ricordano Antonio Genovesi, discepolo del Vico, Ferdinando Galiani, Mario Pagano e Vincenzo Russo. In ogni caso, le opere degli Illuministi lombardi e napoletani rientrano solo in senso lato nella storia della letteratura, perché esse hanno piuttosto carattere giuridico o trattano di economia, finanza, scienze, tecnica e politica. 3.4 Giuseppe Parini Nacque nel 1729 in un paesino in provincia di Como, nel 1739 si trasferì a Milano presso una parente che, dopo la morte, gli lasciò in eredità una cospicua somma di denaro, che gli permise di completare gli studi per diventare prete. In questo periodo entrò in contatto con la letteratura, i classici italiani, scoprendo così la sua vocazione letteraria. Nel 1752 pubblica le Poesie di Ripano e Eupilino, dove mostra la sua bravura nel destreggiare lo stile di Petrarca, dell’Arcadia e del Berni. Grazie a questo volume entrò nell’Accademia dei Trasformati, che promuoveva un moderato rinnovamento letterario sulla scia della politica illuminata. Nel 1754 diventa sacerdote ed entra a servizio come precettore dei duchi Serbelloni e, successivamente, nel 1764 viene assunto sempre come precettore dalla famiglia Imbonati. Questi sono gli anni in cui nella cultura milanese si afferma la cultura illuminista e maturano le condizioni per una collaborazione tra gli intellettuali e il governo austriaco. Nel decennio 1756-1766 Parini compone le sue opere più importanti, modellate sul pensiero illuministico: le Odi civili, improntante sui problemi sociali, Il Mattino nel 1763 e Il Mezzogiorno nel 1765, prime due parti del poema incompiuto il Giorno, che è la descrizione della vita quotidiana di un giovane aristocratico. Parini professa dell’Illuminismo un cristianesimo umanitario e solidaristico, ne accetta il principio fondamentale dell’uguale dignità di tutti gli uomini, basato sulla ragione e sulla legge della natura: nel Dialogo sopra la nobiltà, scritto nel 1757, Parini descrive la scena in cui sono presenti un uomo aristocratico e un poeta di origine plebea che, dopo la morte, si incontrano e discutono animatamente di questo tema. Il poeta fa notare all’aristocratico che entrambi sono morti e che nella tomba non esistono differenze sociali. Le punte estreme del pensiero illuministico che il Parini non può condividere sono le tesi materialistiche e antireligiose da un lato, le critiche radicali all’ordinamento sociale dall’altro, che sfociano in continue rivoluzioni. In una posizione intermedia si colloca il pensiero di Parini nei confronti della nobiltà, bersaglio polemico e principale destinatario del Giorno. Il suo scopo non è quello di abbattere la classe aristocratica, ma di guarirla dai vizi e dall’inerzia per farla ritornare economicamente attiva e socialmente utile. Negli stessi anni Parini interviene più volte sulla questione della lingua, che mette in subbuglio la vita culturale di Milano, difendendo l’uso del dialetto milanese e sostenendo che la lingua toscana può essere arricchita dall’utilizzo di parole e forme nuove. Per Parini la poesia ha lo scopo fondamentale di produrre un «un vero, reale e fisico diletto»22, che nasce dai sensi e si origina da “fisiche sorgenti”. Difendendo il valore autonomo della poesia come piacere estetico, Parini si differenzia ancora di più dai colleghi del Caffè, che affidavano la loro azione di rinnovamento politico e culturale a forme di scrittura considerate più efficaci e attuali, come l’articolo di giornale o il saggio breve. Grazie alla fama ottenuta con Il Mattino e Il Mezzogiorno Parini ottiene l’attenzione del governo austriaco che lo chiama per dirigere incarichi amministrativi: dirige la direzione pubblica del “La Gazzetta di Milano” nel 1768, sarà professore della cattedra di Eloquenza alle Scuole Palatine nel 1769 e all’Accademia delle Belle Arti nel 1773. Dal 1766 al 1780 Parini non scriverà più nulla. Nel 1780 muore Maria Teresa e sale al trono il figlio Giuseppe II che, a differenza della madre, intraprende una politica più autoritaria e centralista. Dieci anni dopo, gli effetti della Rivoluzione francese e la salita al trono austriaco di Leopoldo II segnano la fine della politica illuminata. Dunque, il periodo culturale in cui vennero scritte le Odi e Il Giorno è tramontato: Parini continua a lavorare sul suo capolavoro senza riuscire a terminarle e nelle Odi di quegli anni accantona le tematiche sociali e politica per dedicarsi a una poesia più intima. A differenza degli altri intellettuali, Parini non ha in mente una struttura sociale alternativa a quella dell’Ancien Regime: nella società del Giorno non esiste la classe borghese come opposto a quella nobiliare. Il poeta si spense nella sua abitazione di Brera il 15 agosto 1799. Se ben si nota, Giuseppe Parini è stato un intellettuale capace di ben coniugare la scienza dell’Illuminismo e la religione in quanto sacerdote. 3.5 Il Giorno Il progetto del poema Il Giorno, di cui Parini pubblica le prime due parti, Il Mattino e Il Mezzogiorno rispettivamente nel 1763 e nel 1765, alle quali sarebbe dovuta seguire la terza parte la Sera. Quest’ultima non fu terminata e, quando il progetto dell’opera fu ripreso, venne sdoppiata negli anni successivi nel Vespro e la Notte, alla quale Parini lavorò fino al 1795 non riuscendole, però, a completare e a pubblicare. Si possono distinguere, dunque, due progetti per il Giorno: il primo prevedeva la divisione dell’opera in tre parti, Il Mattino, Il Mezzogiorno e la Sera. Il secondo progetto, invece si divideva nel Mattino, Il Mezzogiorno, il Vespro e la Notte. Il Giorno si presenta come un’opera didascalica in endecasillabi sciolti, in cui un precettore racconta, in prima persona, a un “giovin signore” di una famiglia aristocratica le “leggiadre cure” e le “alte imprese” che lo devono tenere impegnato durante la giornata, per ingannare il “lungo tedio” della sua vita oziosa e viziata. In realtà queste occupazioni sono del tutto insignificanti ma sono rappresentate con solennità e deferenza: il precettore presenta un’incondizionata adorazione nei confronti del suo signore, che viene designato con appellativi come “mio divino Achille”. Ovviamente questi epiteti sono usati con ironia. Quanto più il servilismo del precettore abbassa in riverenze e salamelecchi, tanto più il lettore avverte il contrasto tra l’intonazione aulica delle lodi e la stupidità del suo contenuto e si rende conto che i giudizi espressi dal narratore sono da intendere alla rovescia. Emerge così lo sdegno di Parini per gli ingiusti privilegi della classe nobiliare, per la degenerazione eroica e l’inutilità sociale. 22 Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, dal Cinquecento al Settecento in Storia della letteratura, volume II; Milano, Mondatori, 2016, pag.424 Ci sono rari momenti in cui Parini non veste il ruolo del precettore e quindi non parla direttamente in prima persona: questo avviene quando, sullo sfondo di una vita lussuosa, compaiono scorci delle vittime della violenza dei potenti, come gli indios sterminati dai conquistadores spagnoli, nel Mattino, o il servo licenziato e condannato alla miseria, nel Mezzogiorno. Questi sono punti del poema nei quali Parini dà voce all’egualitarismo. A differenza degli altri intellettuali del Caffè, Parini non ha in mente una struttura sociale alternativa a quella dell’Ancien regime: nella società del Giorno non esiste la classe borghese come opposto a quella nobiliare. A contrapporsi a quest’ultima è quel mondo contadino idealizzato, modellato di operosità, sobrietà e naturalezza. Del resto l’atteggiamento di Parini nei confronti della nobiltà non è univoco: da un lato c’è la rappresentazione di un personaggio-marionetta come il “giovin signore”, circondato da individui vuoti del tutto simili a lui, che sembra esprimere una condanna radicale di tutta la classe; dall’altro il ricorrente confronto tra frivolezza del protagonista e la rudezza dei suoi avi manifesta l’intenzione di sferzare la nobiltà del tempo per aiutarla a conquistare una funzione sociale. Questo atteggiamento ambivalente nei confronti della nobiltà che è insieme bersaglio della satira e suo destinatario privilegiato emerge anche da quei punti di vista del poema nei quali Parini sembra sospendere il suo disappunto per descrivere senza commento e con occhi incantati gli oggetti, gli ambienti, i gesti eleganti della vita nobiliare. Ma senza dubbio la figura retorica dominante nel Giorno è l’ironia e Parini ne fa un uso corrosivo e pungente. Per conferire un tono epico alla descrizione dei personaggi più insulsi e dei comportamenti più banali ricorre alle risorse della letteratura classica: il lessico aulico, gli importanti giri della sintassi, le perifrasi. Un’altra caratteristica tipica del Giorno è l’andamento, lo scorrere lentissimo del tempo della narrazione: le minuziose descrizioni di oggetti, abbigliamenti e le frequenti digressioni interrompono continuamente il filo della narrazione, conferendo al poema un carattere di particolare staticità. Spesso i personaggi sembrano muoversi a rallentatore. Altre volte il narratore si sofferma in modo particolare estraendolo dall’insieme e ingrandendolo, o si dilunga nell’elencazione minuta di oggetti apparentemente insignificanti. Questi particolari si possono presentare particolarmente noiosi, ma se si entra nello stile pariniano si scopre che le frequenti pause descrittive sono un modo per tradurre nel ritmo dei versi la meccanica ripetitività dei riti nobiliari, o per catturare la realtà e la concretezza sensoriale delle cose, delle azioni e dei movimenti. È probabile che l’incompiutezza del Giorno sia dovuta alla difficoltà da parte di Parini di incastrare la grande varietà di spunti letterari con i moduli stilistici che erano nelle sue intenzioni. Nella seconda versione del poema questa difficoltà è ancora più evidente. La differenza con la prima redazione del Mattino e del Mezzogiorno dipende dall’inasprirsi della condizione politica che mette in crisi la prospettiva pedagogico-politica entro la quale Parini aveva collocato originariamente il suo progetto: lo slancio dei governi illuminati e degli intellettuali si era interrotto, l’aristocrazia è segnata da un declino assoluto e irreversibile. Specialmente nella Notte il linguaggio raffinato dell’ultimo Parini evoca un mondo completamente in caduta, popolato da figure grottesche e deformi, che appaiono e scompaiono rapidamente dalla scena, sullo sfondo di un grande ricevimento. Ne emerge l’immagine di un’umanità in disfacimento, dipinta con grande eleganza ma con toni cupi e fortemente sarcastici da un poeta che non sente di avere più un pubblico da correggere e da guidare.
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