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"Scienza nuova" di G. Vico e integrazione del commentario "Introduzione alla Scienza nuova" di L. Amoroso, Sintesi del corso di Storia Della Filosofia

Questa è una sintesi integrale (NON È UNO SCHEMA) che rispecchia e segue l'ordine del testo preso in causa, ossia Principi di scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazione del 1744, e comprende una suddivisione dei capitoli inerenti al commentario di Leonardo Amoroso. Dunque alle parti di testo citate direttamente dal Vico è integrata una puntuale spiegazione dei concetti chiave dell'opera. NB: le parti in grigio sono meno importanti ma parte del testo e quindi vanno studiate.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica "Scienza nuova" di G. Vico e integrazione del commentario "Introduzione alla Scienza nuova" di L. Amoroso e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni (1744)di G. Vico e commentario di L. Amoroso CAP. 1: Approccio a Vico Prima di passare all’analisi della Scienza nuova o Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni (1725-1730-1744) è bene avere un’idea del progetto culturale di G. Vico, fornito dall’autore nella sua autobiografia intellettuale, composta sull’invito di un erudito del tempo, Giovanartico di Porcia, che aveva intenzione di raccogliere i profili autobiografici dei letterati italiani viventi. La Vita di Giambattista Vico scritta da sé medesimo (1728), differentemente dal Discorso sul metodo, è scritta in terza persona con un lessico aulico fitto di reminiscenze letterarie, nomi e date. Inoltre qui accusa Renato delle Carte di aver logicizzato o razionalizzato lo stesso racconto della propria vita allo scopo di esaltare I saperi razionali tramite un inganno consapevole. Vico, in opposizione al razionalismo astratto di matrice cartesiana, si presenta come paladino della cultura umanistica, volendo essere istorico e filosofo (infatti il progetto culturale vichiano Se in una integrazione di filosofia e filologia1). Inoltre qui il Vico enuncia gli autori decisivi nella propria formazione intellettuale che sono due dotti antichi e due moderni: Platone, Tacito, Bacone e Grozio. Platone e Tacito2 sono per Vico due autori complementari, poiché Tacito contempla l’uomo qual’è, Platone qual dee essere (Vita). Pertanto Platone è il simbolo dell’ideale, mentre Tacito lo è del reale; Platone indica il bene, Tacito l’utile; Platone rappresenta la sapienza riposta, Tacito quella volgare, il senso comune. Sono i due momenti della filosofia (ossia del vero) e della filologia (ossia del certo) che nella Scienza nuova Vico tenterà di integrare pienamente l’uno nell’altro. Bacone fu uomo ugualmente d’incomparabile sapienza e volgare e riposta (Vita), in quanti fu al contempo politico e filosofo. Inoltre ha il merito di tentare una sintesi sistematica di tutte le scienze, ma per quanto riguarda il mondo degli uomini non si solleva ad una visione universale e storica3 che è invece quanto tenta Grozio che congiunge filosofia e filologia nello studio del diritto universale4 (nella Vita, Vico rievoca la lettura del De iure bellis ac pacis di Grozio grazie al quale si interessa più intensamente ai problemi del diritto. Egli non si pone nell’ottica di essere un mero continuatore di Grozio o dei giusnaturalisti protestanti. Accoglie il giusnaturalismo 4 La filologia viene definita da Vico come storia delle lingue e al contempo storia delle cose, storie che procedono di pari passo e vanno pertanto studiate nel loro rapporto. 3 Nell’orazione inaugurale De nostri temporis studiorum ratione, Vico sostiene strumentalmente lo sperimentalismo baconiano ed il metodo dell’induzione, contro il deduttivismo della fisica cartesiana, nonostante prenda le distanze dalla concezione della scienza moderna come strumento di dominio dell’uomo sul mondo (MAN.). Qui poi non si schiera a favore dei moderni nella querelle tra antichi e moderni, ma indica vantaggi e svantaggi della cultura degli uni e degli altri, ricercando per quel che è possibile, un’integrazione. 2 Che Vico ammirava due soli sopra tutti gli altri dotti (Vita). 1 La storia nasce come studio del certo alla luce del vero; la scienza del vero e dei principi universali è la filosofia, mentre la filologia è la scienza del certo e dei fatti concreti. 1 come fondamento del diritto positivo, ma non accetta la pretesa di giusnaturalisti eretici di elaborare un insieme di regole di convivenza valide solo per il loro carattere razionale, indipendentemente da ogni presupposto tecnologico (manca quindi il riconoscimento del ruolo della provvidenza nella storia e la distinzione tra storia del popolo eletto e della gentilità) e sottolinea l’errore di proiettare anacronisticamente all’indietro una razionalità assente nelle prime epoche della storia umana, caratterizzate dal dominio della fantasia). Il senso globale dei 4 autori è il medesimo della nuova scienza vichiana, ossia una sintesi sistematica (Bacone) di filosofia (Platone) e filologia (Tacito) operata nel campo del diritto universale (Grozio). 5 Tale atteggiamento è conforme alla sua professione di docente di retorica presso l'Università di Napoli. In questa veste egli pronunciò per sette anni le orazioni inaugurali e la più famosa è De nostri temporis studiorum ratione (1709), ossia Il metodo degli studi del nostro tempo, apologia della retorica contro il razionalismo6. Egli ritiene che educando i giovani solo per mezzo di materie astratte e logico-razionali non si tiene conto della stessa natura dei fanciulli in cui prevalgono, la memoria e la fantasia. Dunque ad una ragione astratta e meramente deduttiva, come quella cartesiana, egli contrappone l’ingegno, una facoltà versatile, concreta e indispensabile nella vita pratica, nella quale rientrano memoria e fantasia. Inoltre qui si sostiene il metodo dell’induzione baconiano contro il deduttivismo della fisica cartesiana e viene embrionalmente enunciata la teoria del verum factum o verum ipsum factum, rigettando di poter raggiungere la verità sulle cose di fisica differentemente dalla geometria; le proposizioni geometriche le dimostriamo perché le facciamo, mentre i fenomeni fisici non possono essere dimostrati e sono destinati ad essere oggetto di una conoscenza solo verosimile. Infine De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda o L’antichissima sapienza degli Italici7 da ricavarsi dalle origini della lingua italiana (1710), teso a dimostrare l'origine italiana del primo linguaggio filosofico. Vi è un tentativo di confutazione del cogito: lo scettico non dubita né di esistere né di avere coscienza di esistere, ma semplicemente nega che la coscienza sia scienza, dal momento che 7 Gli italici non sono nè i romani nè gli abitanti della Magna Grecia ma gli abitanti autoctoni della penisola italica portatori di un sapere antichissimo. Tale concezione muterà nella S.n. in cui viene rigettata l’ipotesi di una sapienza riposta. 6 La convinzione vichiana dell’impossibilità di un unico metodo valido per le scienze geometrico-matematiche e le scienze dell’uomo si espleta quando Vico affronta il problema dell’ordine degli studi. Per Cartesio il punto di partenza obbligato era costituito dal preliminare processo di purificazione dei sensi e di un allontanamento dalla dimensione sensibile che Vico definisce col termine critica e a proposito del quale affermerà che il precoce apprendimento della critica rischia di rendere i giovani inadatti alla vita in società, minando in essi la capacità di agire in una realtà fatta non solo di verità, ma anche di cose verosimili e false, e soprattutto non rispetta la natura dei fanciulli, caratterizzata dalle predominanza della fantasia e della memoria. Classifica oppone la topica termine che indica un atteggiamento che dà il giusto valore alla percezione e all'esperienza e non idolatra una ragione astratta e solo deduttiva. 5 Ugualmente importanti sono Virgilio e Omero, mentre per quanto riguarda l’oratoria Vico si rifà a Cicerone, imitandone anche il periodare. Oltre Platone, più correttamente sovrapponibile al concetto di neoplatonismo, (antichi) importanti sono Lucrezio e la fisica degli epicurei, che trova il suo culmine nella fisica gassendiana. Inoltre simpatizza per lo zenonismo e si forma con la neoscolastica (di Suarez soprattutto). 2 attraverso l'altra figura umana della dipintura: la statua di Omero (4), la cui base rovinata allude all'infondatezza di una dottrina tradizionale concernente la poesia di Omero e più in generale la sapienza poetica degli antichi, prima sapienza del mondo, che non fu opera di filosofi, ma fu una sapienza volgare, espressione spontanea della sensibilità e della fantasia dei primitivi (la discoverta del vero Omero permetterà di dar luce alla dimensione delle origini della civiltà). I tre principi fondamentali del mondo delle nazioni sono: (a) religioni [rappresentate dall'altare], (b) matrimoni [rappresentanti da alcuni degli oggetti che si trovano sopra all'altare] e (c) sepolture [rappresentante dall'urna cineraria]. Altro geroglifico è il globo mondano (5) sovrastato dalla metafisica, che in quanto tale si slancia al di sopra del mondo fisico o naturale. Fin ora i filosofi ne hanno solamente dimostrato una parte, avendo contemplato la divina provvidenza per lo sol ordine naturale. Essi non lo contemplarono per la parte che era più propria agli uomini: la natura d'essere socievoli. Da qui la necessità di una nuova scienza che sia una teologia civile ragionata della provvidenza divina, ossia una considerazione razionale del modo in cui Dio provvede al mondo civile. Nella fascia dello zodiaco (6) che cinge il globo mondano compaiono i due segni zodiacali del Leone e della Vergine, i quali alludono entrambi al passaggio dalla natura alla cultura e alla storia umana12. Il globo è sostenuto dall'altare (7), in quanto, per Vico, il mondo civile cominciò con le religioni. Al di sopra dell'altare vi sono alcuni oggetti: ● un lituo (8) che simboleggia la divinazione, essendo le religioni primitive fondate sulla divinazione attraverso pratiche augurali e scopo della Scienza nuova è spiegare l’origine delle civiltà pagane dal punto di vista della vera religione; ● un urciuolo (9) contenente dell'acqua che rinvia alla religione, poiché con l'acqua o col fuoco si compivano pratiche religiose come abluzioni13 o sacrifici14; 14 Tale dimensione orizzontale è fondata in quella verticale. 13 Lʼabluzione è un lavaggio rituale a scopo di purificazione spirituale; variante da cultura a cultura, può essere parziale o totale. 12 Per entrambi Vico propone catene associative; il Leone allude al leone ucciso da Ercole, il quale morì vomitando fuoco e disboscando la selva, che fu poi coltivata e con l'agricoltura ebbe origine anche la numerazione degli anni [olimpiadi in memoria di quella fatica di Ercole]; la Vergine ha una corona di spighe e allude anch'essa all'agricoltura, essendo il frumento il vero oro dell'età di Saturno [nesso con la temporalità presente anche in tal caso poiché Krònos:= Saturno e tempo] o età dell'oro. 5 ● una fiaccola (10) che rinvia alla prima delle cose umane, ovvero il matrimonio. La seconda delle cose umane, ovvero la cura dei morti, è simboleggiata da un'urna ceneraria (11). I tre principi (religioni-matrimoni-sepoltura) sono gli elementi fondamentali del senso comune, inteso come l'insieme di valori e di credenze che costituiscono l'orizzonte di senso della comunità degli uomini. Inoltre, Vico è sempre attento agli aspetti economici, giuridici e politici (infatti l'urna accenna anche all'origine della divisione dei campi, in quanto appartiene ai figli la terra dove sono sepolti i progenitori). La proprietà privata nacque quando i primi uomini, giganti di sformate forze e stature15, misero fine al loro divagamento ferino e alla loro promiscuità sessuale, divenendo stanziali e fondando, tramite matrimoni, le prime famiglie. L'occasione provvidenziale che li spinse ad un progressivo incivilimento fu il timore verso i fenomeni naturali, in particolare i fulmini e i tuoni del cielo, che essi interpretarono come segni di una divinità. Così essi si nascosero in certi luoghi e al coperto celebrarono i matrimoni e fecero certi figliuoli, fondando le famiglie. La certezza dei figli nati da matrimoni riconosciuti è la condizione perché la proprietà privata possa essere trasmessa in eredità. Immediatamente sotto l'altare si trovano: un aratro (12), un timone (13) e la tavola di alfabeti (14). L’aratro (12) simboleggia il fatto che ogni nazione ha i propri Ercoli fondatori. Questi primi padri erano forti, giusti, prudenti e temperati e domarono le prime terre del mondo mettendole a cultura. Tali virtù si radicano nel fatto che essi si mettono in rapporto con la divinità, praticando la divinazione e celebrando matrimoni. Nello stato delle famiglie è necessario che i figli riveriscano e temano i padri come vivi simulacri di Dio. Il fondamento religioso dell'autorità dei padri è indicato nella dipintura stessa, poiché aratro e altare sono contigui. L'aratro si appoggia all'altare per darci a intendere che le terre arate furono i primi altari della gentilità16. L'aratro allude anche alla fase della civiltà successiva della nascita delle città, il cui perimetro fu tracciato con l'aratro. Le città sorgono quando i padri precedentemente isolati si alleano, divenendo patrizi, per far fronte alla rivolta dei loro famoli, assimilabili ai plebei. Al lato destro dell'altare vi è un timone (13), situato dalla parte opposta rispetto all'aratro. Il timone sta a significare l'origine della trasmigrazione dei popoli 16 Gli eroi che introdussero l'agricoltura furono al contempo i detentori del potere religioso. 15 I primi signori dei primi uomini della terra furono i giganti, ossia i figliuoli della terra, cioè discendenti dai seppelliti. Tali giganti erano di sformate forze e statore essendo vissuti fino a poco prima in uno stato degenerazione quasi bestiale, differentemente dagli ebrei che furono sempre di giusta corporatura. 6 avvenuta per mezzo della navigazione. I primi che crearono le colonie oltramarine furono alcuni famoli, originariamente sottomessi agli eroi, i quali, dopo essersi ribellati, per trovare la salvezza, si affidarono in parte alla fortuna del mare e fondarono delle colonie nei lidi dove approdarono. I famoli erano rimasti in una condizione bestiale più a lungo rispetto agli eroi o padri, privi di religione e di una regolamentazione morale della sessualità. I più deboli dei famoli, per sfuggire alla violenza altrui, cercarono i padri, i quali uccisero i violenti e ricevettero in protezione i deboli, non considerandoli mai al loro pari. Così si formò una struttura sociale organizzata. I famoli erano considerati dai padri come esseri inferiori e pertanto non partecipavano alla gestione del sacro e ai riti matrimoniali; di conseguenza non potevano avere una discendenza certa e riconosciuta alla quale trasmettere un’eredità (tale divisione è simboleggiata dall’opposizione fra aratro e timone). Fra l’aratro ed il timone vi è una tavola su cui sono riportati l'alfabeto latino, ABK, e l'alfabeto ultimo, ABC (14). Questa tavola denota l'origine delle lingue e delle lettere. Rispetto alla lingua verbale, la scrittura alfabetica ha un’origine più tarda, come simboleggia la colonna corinzia su cui si poggia la tavola (infatti l'ordine corinzio è quello più moderno nell'architettura). La vicinanza della tavola rispetto all'aratro allude a una sorta di radicamento di ogni lingua nella terra natia di un popolo. La tavola inoltre è lontana sia dal timone sia dalla statua di Omero, poiché le lettere non erano state già tutte inventate al tempo di Omero, rappresentante di una tradizione orale. Inoltre, la tavola degli alfabeti è posta in mezzo ai geroglifici divini ed umani. Questa posizione strategica è dovuta al fatto che le false religioni incominciarono a svanire con le lettere, dalle quali ebbero il principio le filosofie. Inoltre, l'autore aggiunge che la migliore filosofia, ossia quella platonica, ben si accorda con la religione vera, quella cristiana. L’ultima serie di geroglifici in ultima fascia rinviano a fasi più recenti della storia e pertanto sono collocate nel piano più illuminato di tutti, trattandosi dei geroglifici significanti le cose umane più conosciute. Su questo piano si trovano: un fascio romano (15), una spada (16), una borsa (17), una bilancia (18), il caduceo di Mercurio (19) e il petaso di Mercurio (20). Il fascio romano (15) è un fascio di litui, simbolo sia della divinazione sia dell'autorità di coloro che la praticavano, ossia i padri. Difatti la loro unione è simboleggiata dal fascio. I padri si allearono per resistere ai famoli che si sollevarono contro di loro. Così si formarono i primi ordini di senati regnanti. Tuttavia, per contenere i famoli, i padri dovettero concedere qualcosa: accordarono loro una legge agraria, che fu la prima legge civile. In tal modo, si configura un primo assetto economico, politico e giuridico: le città. Coloro che nello stato delle famiglie erano stati famoli costituiscono adesso i primi plebei della città17. Per dare valore al 17 Vico basa la sua ricostruzione storica sulla legge delle 12 tavole. 7 Inoltre Vico, differentemente dai filologi, crede che lingue e lettere siano nate contemporaneamente, essendo che nacquero esse gemelle [...], in tutte e tre le loro spezie, le lettere con le lingue24. Infine, negli ultimi capoversi dell'introduzione, l’autore fornisce tre diverse interpretazioni e ricapitolazione circa la dipintura ed il significato dell’opera; (1° interpretazione→) ricapitola il significato di molti geroglifici della dipintura, associandoli alle tre età, sostenendo che altare, liuto, acqua, fuoco, urna cineraria, aratro e timone apparterrebbero all’età degli dei, mentre la tavola degli alfabeti separa questi geroglifici divini da quelli più propriamente umani, che includono simboli riconducibili all’età degli eroi e degli uomini25; (2° interpretazione→) la dipintura viene letta dal basso verso l’alto, procedendo dal mondo delle nazioni, al mondo della natura, fino al mondo delle menti e di Dio; (3° interpretazione→) infine l’autore interpreta la dipintura in relazione alla Scienza nuova (1744) che è pentapartita nei cinque libri. CAP. 3: Materie e forme della nuova scienza Il libro I Dello stabilimento de’ principi è preceduto da una Tavola cronologica e si apre con una serie di Annotazioni che abbraccia un periodo di circa duemila anni (dal diluvio universale alla II guerra punica26) ed espone in comparsa il mondo delle nazioni antiche (I annotazione)27. La (I) prima sezione è costituita dalle Annotazioni alla Tavola Cronologica; nelle quali si fa l’Apparecchio delle materie, la (II) seconda, dal titolo Degli elementi, tratta delle varie dignità, la (III) terza, intitolata De’ principi, è dedicata ai principi e la (IV) quarta, il cui titolo è Del metodo, tratta al metodo. La prima colonna della tavola è dedicata agli ebrei28, poiché questi furono il primo popolo del nostro mondo che non ha vissuto la storia di imbarbarimento e successivo incivilimento narrata nella Scienza nuova. Il popolo ebraico come popolo originario e della memoria, separato dagli altri (V. tiene a ribadire la distinzione tra storia sacra vs profana) e sempre uguale a sé stesso, costituisce una sorta di modello paradigmatico di umanità compiuta. Pertanto 28 In particolare la colonna tratta di 4 grandi figure bibliche: Noè, Abramo, Mosè e Saul. 27 È bene notare che Vico difende la cronologia biblica, fissando la data della creazione del mondo circa 6 millenni di anni fa. 26 La Scienza nuova tratta solo dell’a.C., non essendo un’opera di filosofia cristiana della storia, ma una ricerca antropologica sulle origini della civiltà. Ciò non toglie che nell’elaborazione di questa scienza abbia un ruolo rilevantissimo i presupposti di matrice cattolica. 25 I simboli in questione sono fascio (simboleggia le prime Repubbliche eroiche), spada (simboleggia le guerre pubbliche, successive ai duelli), borsa (simboleggia i commerzi con danaio), bilancia (simboleggia l’uguaglianza) e caduceo (simboleggia le guerre pubbliche intimate che terminano con le paci). Il passaggio dai geroglifici eroici a quelli più propriamente umani è rappresentato dalla borsa, che simboleggia il passaggio dalle divise, insegne e medaglie proprie degli eroi, alle monete proprie degli uomini. 24 Dunque è stato un errore dei grammatici e dei dotti separare l’origine delle lettere da quella delle lingue. Scrittura e parola sorsero contemporaneamente nel senso che innanzitutto tutte le nazioni prima parlarono scrivendo poiché si espressero attraverso segni visivi, ossia gesti, cose e figure (geroglifici). Fu comune naturale necessità di tutte le prime nazioni di parlar con geroglifici. Infatti, oltre agli egiziani, vi furono vari popoli extraeuropei, come messicani, indiani e cinesi. 10 (polemica contro gli eruditi del Seicento→) la civiltà più antica è quella degli ebrei e non quella egiziana, la cui cultura, secondo Vico, era volgare, barbara, né intellettuale né civilizzata (Annotazioni). Si passa poi alla storia profana: Vico sostiene che gli uomini discendono tutti dalla stirpe di Adamo, il quale ha generato una discendenza che si è andata allontanando dal rapporto con la divinità. Da qui l’esigenza di un nuovo inizio, simboleggiato dal diluvio universale, che è qui considerato un fatto storico. Noè si sottrae al diluvio con la sua famiglia e dai suoi tre figli, Sem, Cam, Jafet, discende l’umanità. Due di loro si allontanano dagli insegnamenti impartiti, dando origine alle stirpi gentili, le quali, disperdendosi, erano divenute errabonde e bestiali. Alcuni di questi bestioni o giganti hanno progressivamente riconosciuto il carattere divino del mondo a partire dai fenomeni naturali (nello specifico il cielo che folgora la terra). Terminata la tavola cronologica, Vico, sapendo che per pervenire a qualcosa di vero si deve utilizzare un metodo e dei principi elenca delle degnità (114 in totale), che sono come il sangue per il corpo. Tali assiomi hanno il compito di dare certezza alla materia informe e oscura della tavola. Le prime 4 costituiscono una sorta di pars destruens, mentre dalla 5 alla 22 vi è una pars costruens. Inizialmente Vico sostiene l’infondatezza della boria delle nazioni e di quella dei dotti29: la boria delle nazioni consiste nel fatto che ogni popolo tende ad attribuirsi origini remote, credendo d’essere il più antico di tutti e conservare memorie sin dal principio del mondo per gloriarsi di aver fondato e propagato nel mondo le istituzioni civili (radice che produce l’erronea credenza in sterminate antichità); infine la boria dei dotti fa sì che ciò che i dotti sanno vogliono che sia antico quanto il mondo e pertanto attribuiscono la loro conoscenza razionale, in modo anacronistico, a qualche nome leggendario di epoche tutt'altro che razionali, ma l’umanità è sorta dall’oscurità e l’uomo alle sue origini fu piccolo, rozzo e oscuro (ciò spiega errore di affermare l’esistenza di una sapienza filosofica originaria, riposta)30. L’autore, dopo aver distrutto quanto affermava il suo tempo, si occupa del vero, ossia di filosofia. Innanzitutto riconosce un ruolo centrale alla provvidenza divina, come insegna Platone, o meglio la concezione neoplatonica del Vico. Infatti l’uomo non è socievole per natura e solo l’intervento positivo della provvidenza ha fatto sì che gli uomini si incivilissero. L’uomo può passare dall’egoismo all’altruismo, mettendo a freno le proprie passioni ed essendo aiutato da Dio naturalmente, senza gli aiuti gli aiuti straordinari/soprannaturali della grazia, comprendente miracoli e rivelazione. In sintesi, tutto seguì dalla religione. A tal proposito ribadisce la distinzione tra storia sacra e profana dell’umanità gentilesca. Successivamente al diluvio universale, le popolazioni pagane hanno abbandonato la vera religione e sono per questo precipitate in uno stato di semi-ferinità. Infatti questi uomini erano giganteschi, simili a bestie anche nelle sembianze fisiche, e vagavano dispersi per le selve della terra, 30 Fine pars destruens. 29 Contro tale boria, Vico sostiene una tesi anti-diffusionista, secondo la quale credenze religiose e morali simili sorgono spontaneamente e separatamente tra le varie nazioni quando queste ultime attraversano fasi storiche simili, essendovi una storia ideale eterna (vd. p.27?). Inoltre sostiene che le somiglianze che troviamo tra le lingue non dipendono dal fatto che vi sia una lingua originaria, ma dalla comune natura. Successivamente stabilisce un nesso tra libero arbitrio e senso comune 11 privi di ogni forma di linguaggio e di pudore. Tale promiscuità sessuale favori per rapporti incestuosi. L’incivilimento di questi bestioni è stato favorito dalla provvidenza, la quale ha agito sulle passioni umane, in particolare il timore suscitato dalla vista dei primi fulmini. Ciò ha favorito la nascita di religioni divinatorie che, seppur false, erano una condizione necessaria e sufficiente a consentire la pacifica convivenza degli uomini e la nascita del mondo delle nazioni gentili (i primi ad “umanizzarsi” e incivilirsi furono una minoranza e ciò è ben visibile nel caso dei famoli). Pertanto Vico ritiene siano esistiti realmente i giganti di cui fanno menzione i miti, Tacito e Cesare, le cui forme d’espressione furono inizialmente delle melodie e dei versi accompagnati da gesti. Dai monosillabi si va a parole articolate. Poi Vico sostiene una tesi anti-diffusionista, secondo la quale credenze religiose e morali simili sorgono spontaneamente e separatamente tra le varie nazioni quando queste ultime attraversano fasi storiche simili, essendovi una storia ideale eterna (vd. p.27?). Inoltre sostiene che le somiglianze che troviamo tra le lingue non dipendono dal fatto che vi sia una lingua originaria, ma dalla comune natura. Successivamente stabilisce un nesso tra libero arbitrio e senso comune, in quanto gli individui sono regolati da un sentire comune pre-concettuale che permette di cogliere il reale (D1-70). La Scienza nuova è quindi un metodo di indagine che cerca di mediare il metodo deduttivo, proprio dei filosofi, e quello induttivo, proprio dei filologi31. Seguendo il verum factum32, l’opera intende dimostrare come nel mondo ci sia una provvidenza che ha disposto il mondo secondo ordinamenti universali ed eterni insiti nella stessa natura umana, costituendo una sorta di scienza del mondo civile. Essa è quindi lo studio filosofico delle forme di organizzazione sociale e dei suoi fondamenti o principi che sono: (1) matrimoni solenni→ tutte le civiltà contraggono matrimoni solenni e se il matrimonio non fosse indissolubile, i figli potrebbero, una volta terminata l’attrazione, venire abbandonati; (2) religione→ tutte le nazioni hanno una qualche religione, senza la quale non potrebbero darsi matrimoni solenni e figli legittimi educati alla religione33; (3) sepolture→ ogni società esistente seppellisce i propri morti per far sì che l’ambiente non fosse impestato e incoltivabile. In tal modo si ha una eterogenesi dei fini, poiché viene messa una passione egoistica al servizio di qualcosa di positivo, che in tal caso è una comunità in progressiva espansione (ad esempio, gli uomini sono guidati dall’amor proprio e dall’utile, ma dopo l’istituzione dei matrimoni conta non solo la propria salvezza, ma anche quella della propria famiglia).Per quanto concerne il metodo, le prove divine si legano alle prove logiche o filosofiche, in quanto la scienza vichiana si presenta quindi come una storia delle idee umane, nel senso di una storia del senso comune. Questa "metafisica della mente umana" ebbe inizio in forma di metafisica poetica, non razionale. Tuttavia per ricostruire la storia della mente occorre una nuova arte critica, la sua, il cui criterio è il senso comune, poiché inscritto dalla provvidenza 33 In caso contrario, il mancato riconoscimento dei figli porterebbe al tabù dell’incesto. 32 Secondo cui la conoscenza storica finisce per essere la sola vera conoscenza che tiene assieme il vero e il certo. 31 Ovverosia grammatici, storici e critici che si sono occupati delle lingue, dei costumi e dei fatti storici accertabili. 12 Il cap. III, Del diluvio universale e de’ giganti, affronta nuovamente la storia postdiluviana dei giganti. Dopo il Diluvio molti rinunciarono alla vera religione di Noè, dissolsero i matrimoni e si dispersero lungo la Terra, in uno stato bestiale, inseguendo donne. I figli abbandonati crebbero senza apprendere i costumi umani, finirono in uno stato bestiale. La degenerazione riguarda anche i corpi, deformi e giganteschi a causa dell’autoconcimazione e relativo sforzo fisico. Le madri allattavano, per poi lasciare i bambini nudi negli escrementi e abbandonarli. Rotolandosi, la dilatazione dei muscoli assimilava le sostanze fertilizzanti (sali nitri), si ingrandirono le carni e le ossa. Della corporatura gigantesca di questi uomini-bestioni Vico porta come prove il confronto con popolazioni selvagge di cui ha testimonianze (antichi Germani e abitanti della Patagonia), nonché una prova paleontologica: le ossa e i teschi giganti rivenuti sopra i monti dove l'acqua, dopo il Diluvio, si ritirò prima e dove questi giganti meglio poterono scrutare il cielo. Altre prove sono tratte dalla storia delle lingue. Termini come aborigeni, autoctoni, indigeni denotano i giganti come "figli della Terra". Il termine ingenui passò a significare i nobili e liberi, in quanto le prime città si composero di giganti "nobili" (padri, divenuti patrizi). Altre speculazioni etimologiche riguardano lavacri e purificazioni con l'acqua, e si collega la pulizia e il greco politèia: il governo civile. Il capitolo si conclude ribadendo che il primo mondo fu composto da ebrei, di giusta corporatura, e di giganti, autori delle nazioni gentili. È bene notare i giganti iniziarono a tornare di giuste dimensioni quando cominciarono a lavarsi, che una pratica legata alla religione (avendo scopi purificativi) e al vivere associato. Inoltre solo una parte dei giganti subisce questo sviluppo36. I giganti non pii sono i famoli, i quali non riescono ad entrare nella società se non sottomettendosi. La sezione Della Metafisica poetica, che ne dà l’Origini della Poesia, dell’Idolatria, della Divinazione, e dei Sagrifizi tratta della Metafisica poetica, tronco della sapienza, a partire dalla quale, filosofi e filologi devono cominciare le riflessioni sui gentili, partendo dai bestioni, dall’infanzia dell'umanità. La metafisica è la scienza che reperisce le sue prove dei principi del mondo civile dalle modificazioni della mente di chi le medita (tali modificazioni sono da intendersi in senso storico). La sapienza poetica, prima sapienza della gentilità, dovette cominciare da una metafisica poetica, sentita e immaginata, esperienza dell'essere in generale e dell'Essere supremo in particolare. Ma l'essere che venne esperito dai primi uomini era l’essere sensibile che attribuirono al mondo, divinizzandolo. La loro poesia è naturale, spontanea, nata da ignoranza e meraviglia, divina perché attribuivano le ragioni delle cose che sentivano a dèi. La poesia dei primi uomini dà per la prima volta un senso al mondo. Se si vuol vedere un'applicazione del verum ipsum iactum lo si fa così: dal greco poièo ("faccio") segue pòiesis ("poesia, o "produzione") e poietès ("poeta", "produttore"). L'uomo può imitare ingegnosamente il modello divino, ma questa mimesi si rivela quasi una parodia involontaria: Dio crea 36 Quando il cielo folgora la terra i giganti divengono pii e nasce la morale, intesa come contenimento delle passioni. Con la prima forma di religione cessa l’erramento ferino (vita stanziale). Dalla morale si origina l’iconomica, poiché dalla repressione e dall’autocontrollo hanno origine le prime famiglie e da qui il processo di incivilimento più in generale. 15 il mondo nell'atto in cui lo conosce; l'uomo produce il mondo grazie a una fantasia che ignora la vera natura delle cose. La creazione umana è sia poietica che poetica, sia produzione che poesia. Vico ripensa nozioni e dottrine della poetica e retorica tradizionali, verso un'estetica antropologica. Il sublime vichiano per es. è il prodotto volgare di una fantasia scossa da un evento naturale (come un fulmine) di cui ignora le cause. Non c'è un poeta filosofo che educhi i popoli, ma questi si educano da sé, con la loro poesia. 3 i compiti della poesia: "ritrovare favole sublimi comprensibili al popolo, perturbare all'eccesso e insegnare a operare virtuosamente". La prima e più grande favola divina è quella di Giove, descritta con 3 aggettivi che esprimono 3 compiti: popolare, perturbante e insegnativa. La favola divina di Giove è l'espressione fondamentale della metafisica poetica. Disseccatasi la terra dopo il Diluvio, il cielo tornò a tuonare con fulmini, e alcuni giganti spaventati alzarono gli occhi al cielo scorgendoci i segni divini di Giove. Più in generale, tutta la natura è popolata di divinità nell'esperienza animistica e antropomorfica dei primitivi. Ma per noi uomini civilizzati e iper-razionali è impossibile calarci nella loro immaginazione. La nostra mente è troppo lontana dai sensi, mentre i primitivi erano soffocati dalle passioni e seppelliti nei corpi. Dove non può spingersi l’immaginazione può arrivare a fatica il nostro intelletto, purché si apra a ciò che non è in sé razionale, per comprenderlo. Attribuirono il loro modo di essere a cielo e natura, immaginarono che il cielo fosse un corpo animato, chiamato Giove, e che attraverso i fulmini e tuoni volesse dirgli qualcosa. Ciò che fece dei primi popoli sublimi poeti è la capacità di esprimersi attraverso universali fantastici37, il primo fu certamente Giove, originatosi dalla credenza che il cielo fosse un grande corpo animato. Questa fu la loro metafisica, l’esperienza dell'essere. Ma data la solidarietà di essere e linguaggio, la metafisica è anche una logica: un'esperienza del linguaggio. Infatti, credettero che i segni (fulmini, tuoni) fossero parole di Giove, e la natura la sua lingua da interpretare con la divinazione. Il presunto linguaggio divino appare una proiezione antropomorfica del linguaggio umano primitivo; può essere visto come imitazione del linguaggio divino e risposta a esso. Giove meritò nel mondo arcaico gli epiteti di ottimo, massimo, salvatore (non uccideva col fulmine) e fermatore (rese stanziali i giganti). Giove è un carattere divino, il primo universale fantastico, che incarna tutto ciò che ha a che fare con la religione. Le nazioni gentili cominciarono la sapienza poetica da questa poetica metafisica di contemplare Dio secondo l'attributo della provvidenza. Il capitolo termina con una ripresa della poetica tradizionale. Aristotele nella Poetica dice: in poesia è da preferirsi l'impossibile credibile al possibile non credibile. Vico fa proprio dell'impossibile credibile l'oggetto della poesia. Intende la poesia come mitopoiesi dei tempi primitivi: così l'impossibile credibile aristotelico diventa frutto della creatività della mentalità primitiva. Se il primo universale fantastico, Giove, è la provvidenza divina poeticamente intuita, l'impossibile credibile ne è un aspetto fondamentale, cioè l'onnipotenza anch'essa poeticamente intuita. Il meraviglioso in poesia esprime un senso nascosto che i 37 Gli universali fantastici sono immagini poetiche o fantastiche rappresentative di caratteri tipici e universali del mondo o della vita. 16 popoli hanno dell'onnipotenza di Dio. Il riferimento ad Aristotele è occasione per criticare l'intera poetica tradizionale. Contro la boriosa tradizione, per V. la poesia nasce sublime perché connessa all'ignoranza primitiva. La loro fu sapienza volgare di legislatori che fondarono il genere umano, non riposta. Compito della Scienza Nuova è rimuovere tutti i significati mistici dati dai dotti ai miti greci, geroglifici egizi, riscoprirne gli originari significati storici. Il carattere storico va inteso come registrazione di fatti, ma anche attribuzione a essi di un significato, produzione di un mondo culturale e umano. Vico conclude la sezione riproponendo gli aspetti principali della sua scienza, perlopiù menzionati alla fine del libro I. La "poesia" dei primi uomini è sia una metafisica che una Logica poetica. La logica vichiana è più propriamente una "filosofia del linguaggio", che studia i sistemi di segni dei primi uomini. Vico attribuisce un'importanza fondamentale al linguaggio, in stretto rapporto al pensiero e con l'essere stesso. Si potrebbe vedere in Vico un precursore di quella svolta linguistica abitualmente collocata nel '900. Vico attribuisce molti significati a lògos, ma non quello di "ragione". Essendo quella primitiva una logica poetica, il lògos fa tutt'uno col mito e la poesia. E proprio in base alla natura poetica del lògos arcaico, afferma la solidarietà di linguaggio, pensiero ed essere. All'origine quindi il lògos è "favella" e "parola", a conferma che la logica originaria è esperienza del linguaggio. Ma anche esperienza dell'essere, come indica il rapporto tra lògos o verbum, e fatto e cosa. Della solidarietà di linguaggio ed essere Vico chiama anche la lingua ebraica, per la ricchezza di significato del termine davàr ("parola", "cosa"). Un indizio interessante che suggerisce forse un'affinità di pensiero tra Vico e la tradizione ebraica, dove il linguaggio è fondamentale. La logica poetica si configura come dottrina del pensiero fantastico. In fondo lògos è anche "idea": e siccome il primo linguaggio si rivolge alla vista si può richiamare l'etimologia di "idea": in origine significava immagine. Questo rapporto tra linguaggio e pensiero è sostenuto anche dal carattere muto dei primi segni, a sua volta collegato al carattere poetico e fantastico del linguaggio. Le associazioni principali collegano "favella" a "favola" e il latino "mutus" al greco "mythos". Il primo linguaggio fu fantastico, le prime parole furono le immagini di dèi ed eroi, le prime frasi i miti. Poco dopo mythos viene tradotto con "vera narratio" e "parlar naturale". Il parlar naturale del linguaggio originario esprime quindi la natura di quegli uomini, il loro naturale animismo antropomorfico. La mentalità primitiva scopre e instaura nessi producendo universali fantastici, come Giove e Nettuno. Pensare e parlare per immagini è il modo naturale e spontaneo di pensare e parlare. In questo senso quel linguaggio fu vero e fantastico. La fantasia primitiva pensa direttamente per immagini, al contrario di quella erudita che parte dal concetto e inventa per esso un'immagine. La retorica è dunque successiva alla logica poetica e nasce da una sua intellettualizzazione. Il passaggio è dal sensibile al razionale, dalla cosa al segno. Ma si può anche ipotizzare una sorta di retorica originaria non ancora intellettualistica. A tale retorica originaria Vico risale con la dottrina dei tropi. In retorica, un tropo è il procedimento con cui si modifica il significato di una parola facendole assumere un significato figurato. Ma siccome nel linguaggio fantastico dei primitivi, primario è quel significato che definiremmo figurato, parlare di tropi assume 17 e famoli, alla divisione in nobili e plebei. Il passaggio alla terza è decisivo nella tendenza della storia umana verso una maggiore secolarizzazione, astrazione, razionalità, convenzionalità. I popoli nella loro varietà (dovute a condizioni climatiche) "hanno guardato le stesse necessità della vita con aspetti diversi". Ricostruire una struttura profonda sottostante alle varie lingue è come compilare un "dizionario mentale". È difficile spiegare il passaggio dalla prima alla seconda e infine alla terza. A tal proposito, Vico ripensa la tripartizione delle lingue in un senso più tipologico che storico. Un possibile ponte di passaggio è l'onomatopea, che ha da un lato un carattere imitativo, e dall'altro natura vocale. La sua teoria dell'origine del linguaggio non concerne solo la forma (il modo in cui si parla), ma soprattutto il contenuto. L'onomatopea esemplare è quella che nominò Giove, chiamato dai latini "Ious", per il fragore del tuono; e dal fischio del fulmine fu detto Zeus dai greci. Giove è il referente principale nella storia delle "parti del discorso", di rilievo per la connessione del linguaggio all'esperienza dei primi uomini. Così l'interiezione o esclamazione di meraviglia di fronte a Giove fulminante fu "pa!", che produsse il sostantivo "padre", fino alla "intepatratio" (interpretazione) degli auspici. Dopo le interiezioni sorsero i pronomi: a comunicare le idee anche in assenza di nomi. I pronomi furono in origini monosillabi: hoc è un deittico che nacque per indicare il cielo (Giove). Sorsero poi preposizioni, nomi, verbi, che presuppongono la cognizione filosofica del tempo. La forma originaria fu l'imperativo, usato dai padri. Ci dà l'ordine con cui nacquero le parti dell'orazione, in riferimento all'esperienza dei primi parlanti. Il cap. chiude con una battuta ai dotti che invece di tentare una spiegazione per cause naturali, si appoggiarono alla filosofia di Aristotele. Altri elementi di “logica poetica”→ Il cap. V mette in primo piano la locuzione poetica, verbale e poetica insieme, che funge da forma intermedia. "Nacque dalla povertà della lingua e necessità di spiegarsi: in questo senso i primi lumi della locuzione poetica sono le descrizioni, similitudini, metafore, perifrasi, digressioni, ritmo" (in antichità diverso da quello piano della prosa). La locuzione poetica è nata prima della prosa. Al pensiero fantastico è dunque legato anche un linguaggio di segni acustici (oltre a quello di segni visivi), avente una natura poetica. Concetti e parole nella fase più matura nascono per contrazione di frasi della locuzione poetica, es. passando da "mi bolle il sangue nel cuore" a "ira". Un analogo processo di contrazione e razionalizzazione conduce dal geroglifico alla scrittura alfabetica. Le nozioni fondamentali legate alla locuzione poetica in questo cap. sono "canto" e "verso". Ciò significa che la poesia è intesa non tanto come espressione fantastica, ma in opposizione alla prosa. Vico afferma la priorità della poesia sulla prosa. "Il primo verso nacque nell'età degli eroi, e fu il verso eroico", ossia l'esametro. I versi diventarono sempre meno ritmati e più rapidi, producendo infine la prosa. Così confuta l'errore dei grammatici. Rielabora nozioni di retorica e poetica, metrica e prosodia, usandoli come strumenti di comprensione antropologica. Tutti i primi popoli furono di poeti. Nella fase arcaica della civiltà, leggi e storie sono in versi per venir meglio memorizzate e ricordate per la sopravvivenza dei popoli. Nel cap. VI torna a parlare della prima favola divina riguardante Giove. La semiotizzazione del mondo: la strutturazione in un mondo di segni, inizia con la personificazione del cielo nella figura di Giove, che parla con fulmini e voli di uccelli. Tale divinizzazione del cielo è universale, un dato in tutte le culture costante. Fanno eccezione gli ebrei, che adoravano Dio. La semiotizzazione è legata pure alle origini 20 dell'economia. Mercurio è il carattere poetico che simboleggia le origini di scrittura, leggi e commerci: "mercare" (marcare) è contrassegnare con lettere bestiame o altro da vendere. Affronta poi le origini di imprese gentilizie e di medaglie." Questo tipo di segni è caratteristico della lingua eroica e torna in auge ai tempi della cavalleria medievale. Vico collega quei segni che sono le "imprese" e le "insegne" con la divisione dei campi e la delimitazione delle proprietà, poi con la simbologia militare, le medaglie, poi le monete. Ma l'ambito che maggiormente considera è del diritto. I giusnaturalisti moderni non hanno saputo interpretare i sistemi arcaici di segni, a causa del razionalismo astratto. Il cap. VII reinterpreta la logica poetica nei termini di una topica sensibile. Attribuisce all'ingegno la competenza della topica, per lui l'arte della percezione e dell'esperienza, contrapposta alla critica (ovvero al razionalismo astratto cartesiano). Topica in riferimento alla mentalità dei primitivi, diversa da quella degli eruditi: è sensibile perché le sue operazioni sono irriflesse e immediate. Prodotto della topica sensibile sono i "generi poetici". Se è l'arte della percezione (prima operazione mentale), è propria della prima età del mondo. I primi uomini abbiano sviluppato l'ingegno prima della ragione, la topica prima della critica. Dopo la fase del senso, l'antecedente diretto della filosofia sono le favole, come quelle di Esopo. Egli ragionò con l'esempio, che persuade il volgo ignorante. Il concetto universale è invece raggiunto più tardi dalla dialettica socratica e platonica. La logica si perfeziona col sillogismo aristotelico, si tende già a un pensiero formale e analitico. Gli stoici come Zenone sono paragonati ai cartesiani, il cui metodo assottiglia l'ingegno. Contro di loro, Vico si schiera dalla parte di Bacone, sostenitore dell'induzione. Il caso esemplare è considerato l'antecedente del concetto universale. L'esempio corrisponde all'universale fantastico, che si trova nelle favole e nel diritto: in origine gli exempla giuridici erano singoli castighi esemplari. CAP. 5: Altri saperi poetici Il primo ramo della sapienza poetica comprende (1) la Morale poetica, (2) l’Iconomica poetica, (3) la Politica poetica e (4) la Storia poetica. Il quarto sapere, la Storia, è una sorta di riepilogo dei primi tre che non sono saperi simultanei, ma successivi, corrispondenti a fase storiche differenti: il primo è proprio dei primordi dell’umanità pagana (Morale poetica), il secondo è proprio dello stato delle famiglie (Iconomica poetica), il terzo corrisponde alla fase storica delle città (Politica poetica). ● LA MORALE POETICA→ Ai primordi dell'umanità quando, in conseguenza al timore per le divinità, si sviluppa il pudore e sorge la regolamentazione morale della sessualità coi matrimoni. Gli strumenti principali per la ricostruzione di questi periodi arcaici sono l'interpretazione di miti e la ricerca etimologica, soprattutto sul latino. Per Vico i miti sono espressione di una realtà storica, le allegorie di cui questa lingua della fantasia si costituisce sono espressione immediata e spontanea di una sapienza volgare, avente un significato storico e socio-antropologico. Dunque opponendosi all’interpretazione dominante in chiave di sapienza riposta, definisce i miti come il modo in cui gli uomini costruiscono il loro mondo, dandogli un senso. "Storici" perché con essi gli uomini fanno la storia. Fra i personaggi mitologici che passa in rassegna spiccano le 11 21 divinità maggiori dopo Giove, protagonista della Metafisica e Logica poetica, e a ciascuna di esse dà un significato. Giove: divinazione, Giunone: matrimoni, Diana: acqua, Apollo: luce civile, Vulcano: fuoco, Saturno: seminagioni, Cibele: terra coltivata, Marte: contese eroiche, Venere: bellezza civile, Minerva: aristocrazie armate, Mercurio: leggi agrarie, Nettuno: colonie oltremare. Il capitolo dedicato alla Morale poetica tratta delle origini delle virtù insegnate dalla religione coi matrimoni. L'immagine terribile di Giove fulminante atterrò menti e corpi dei giganti, rendendoli pii. Polifemo è la personificazione di questi giganti che posero fine al divagamento ferino, si nascosero nelle grotte e svilupparono una primitiva pietas, un sentimento religioso e morale. La morale poetica cominciò dalla pietà, madre di tutte le morali. La pietà cominciò dalla religione, dal timore della divinità. La funzione fissante della religione è confermata dall'etimologia, religio: legare, incatenare. Le catene di Tizio e Prometeo vanno interpretate in questo senso, mentre l'aquila che divora il cuore e le viscere è simbolo della spaventosa religione degli auspici di Giove. Quindi la morale originaria nasce dalla religione e riguarda principalmente la regolamentazione della sessualità coi matrimoni. La virtù morale sorse dal conato volontario con cui i giganti frenarono i loro corpi, ponendo fine al loro erramento e promiscuità sessuale. Spaventati dal fulmine, ciascuno trascinò per sè una donna nella grotta, la resero compagna di vita e fecero uso della loro sessualità umana con pudicizia. Il pudore, morale e sessuale, è l’altro vincolo, dopo il timore religioso, che tiene unite le nazioni. I matrimoni sono pudiche unioni carnali fatti col timore della divinità. Vico nomina 3 solennità che accompagnano i matrimoni: (1) gli auspici che li regolano (i "consorti" tali poiché compartecipi dei medesimi auspici); (2) velo delle donne (simbolo di pudore); (3) prendersi le spose con una forza simulata, in ricordo di quella vera con cui i giganti trascinarono le prime donne nelle grotte. Se Giove è la prima divinità, primo principio della Scienza Nuova [le religioni], simbolo del secondo principio, ossia i matrimoni, è Giunone, sorella e moglie di Giove38. Vico interpreta sempre la mitologia in riferimento a situazioni sociali: così la gelosia di Giunone è politica. E il mito di Giunone legata in aria con una fune a collo e mani, e sassi ai piedi, è immagine del matrimonio, il quale avviene sotto gli auspici del cielo e le nozze hanno la stabilità dei macigni. Etimologie arbitrarie e significative gli permettono di collegare Era (Giunone) con gli eroi, Eros, l'eredità ed Ercole. Così delinea i mores, i costumi, della morale poetica dei primordi dell'umanità: la pietà e la religione fecero i primi uomini naturalmente prudenti, forti, temperati e magnanimi. Queste sono le virtù dell'età dell'oro, ma mescolate di religione e cose immani, come sacrifici umani e l'antropofagia. Un'età dell'oro intrisa di fiera superstizione, da cui sorsero tuttavia luminose nazioni, mentre con l'ateismo non ne nacque nessuna. 38 In origine i primi matrimoni solenni si originarono da fratelli e sorelle. 22 stati aristocratici per far fronte alla ribellione dei famoli (vd. fascio) e sono poi attraversate dalla lotta di classe tra patrizi e plebei. Vico prende come paradigmatica la storia di Roma e interpreta in questo senso anche la storia del diritto romano arcaico, il periodo che va dalla fondazione delle città alle conquiste della plebe (dall’ottavo al terzo sec. a.C). Le prime Repubbliche sono aristocratiche, e solo dopo sorsero le Democrazie e le Monarchie. Lo stato delle famiglie è il punto di vista dal quale si deve partire per capire l'origine delle Repubbliche aristocratiche. Nelle famiglie, le vite dei famoli e dei figli erano in balia dei signori, come è manifestato dai caratteri poetici dei famoli: Tantalo41 e Sisifo42. L'ardente sete di Tantalo è sete di libertà, in quanto l'uomo brama sottrarsi alla servitù. Di qui la necessità della ribellione dei servi. Necessaria è l'unione degli eroi in ordini per resistere ai famoli insorti. Nei regni eroici, i padri diventano patrizi, in virtù del loro comune interesse per la patria. Pertanto nascono gli Stati civili. Le Repubbliche aristocratiche della Grecia, a Roma, furono dette d'ottimati. Il greco aristòs ed il latino optimus denotano forza, potenza. Tali repubbliche furono tutte ordinate a conservare potenza de’ nobili, in particolare attraverso la custodia degli ordini e de’ confini. Ciò è adombrato nel mito di Saturno43, carattere de’ famoli, che vuol divorare Giove bambino, ossia lo stato aristocratico nato in conseguenza della ribellione. I sacerdoti di Cibele nascosero e salvarono Giove, e così il patto 43 Saturno – che per affermare il suo potere ha dovuto spodestare il padre Urano, evirandolo e liberando tutti i Titani suoi fratelli che erano stati ingoiati dal genitore – è vittima della stessa preoccupazione paterna, teme cioè di essere spodestato dai propri figli. Inghiotte allora tutte le creature divine che gli partorisce la sposa Rea: Era (la romana Giunone), Posidone (il romano Nettuno), Ade (Plutone). A un certo punto, però, Rea ordisce un inganno: invece dell’ultimogenito, Zeus (Giove), fa divorare a Crono un macigno avvolto nelle fasce. Zeus, cresciuto all’insaputa del padre, lo evirerà a sua volta e lo costringerà a risputare tutti gli altri dei che aveva divorato. Nasce allora una lotta tremenda e straordinaria tra le due generazioni divine: da una parte Crono, i Titani e i Giganti nati da Gea; dall’altra Giove, gli dei olimpici, i Ciclopi e gli Ecatonchiri, enormi mostri dalle cento braccia. È una battaglia totale, uno scontro senza esclusione di colpi, raccontato dal poeta greco Esiodo nella Teogonia. 42 Sisifo fu re di Corinto, che, mentre cercava di risolvere il problema della scarsità dell'acqua a Corinto, si ritrovò nei pressi della rocca di Corinto, dove vide Zeus con una bella ninfa di nome Egina che era figlia del dio fluviale Asopo (rapita da Zeus). Il dio Asopo si presentò allora a Sisifo e gli chiese notizie di sua figlia. Sisifo disse di averla vista, senza però rivelare subito chi l'aveva rapita, preferendo chiedere una fonte d'acqua per la sua città in cambio dell'informazione. Asopo promise che gli avrebbe dato la fonte e Sisifo, mantenendo il patto, rivelò che la ninfa era stata rapita da Zeus. Soddisfatto, Asopo fece dono al re della sorgente. Quando Zeus venne a sapere ciò che Sisifo aveva rivelato ad Asopo, chiese a suo fratello Ade di rinchiuderlo nel Tartaro. Come punizione per la sagacia dell'uomo che aveva osato sfidare gli dèi, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte. Tuttavia, ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il masso rotolava nuovamente alla base del monte ed ogni volta, e per l'eternità, Sisifo avrebbe dovuto ricominciare da capo la sua scalata senza mai riuscirci. 41 Tàntalo fu un re di Lidia, che per discendenza divina era ben voluto dagli dei, ma si rese responsabile di diverse offese nei loro confronti e violò senza riguardo le regole della xenia, cercando di rapire Ganimede, rubando dell'ambrosia (il nettare divino) che in seguito distribuì ai suoi sudditi ed organizzando il furto di un cane d'oro creato da Efesto che custodiva. Gli dei punirono Tantalo infine organizzò un banchetto a cui invitò gli dei stessi e per mettere alla prova la loro onniscienza, uccise suo figlio Pelope e lo fece servire agli dei come pasto, ma questi si accorsero subito dell’atrocità di quanto si stava verificando.Tantalo gettandolo nel Tartaro e condannandolo ad avere per sempre una fame e una sete impossibili da placare. 25 dei padri resta segreto. La moltitudine dei famoli ruppe lo stato delle famiglie, cambiandolo in quello delle città. Simbolo di questo cambiamento è Minerva, che deriverebbe da minuere, cioè diminuire, nel senso che con la diminuzione del potere di Giove si passa dallo stato delle famiglie a quello delle città. Minerva in Omero è guerriera, predatrice, a cui furono consacrate la civetta e l'oliva per significare la notte de’ nascondigli co’ quali si fondò l’umanità, ovvero la segretezza del patto dei patrizi contro i plebei, col quale nascono le città. In origine le città (come Atene, legata ad Atena-Minerva) erano composte da nobili, che comandavano. Necessitando però di qualcuno che servisse, attuarono piccole concessione ai plebei (possibilità dei matrimoni riconosciuti tra loro, trasmissioni ereditarie e cittadinanza)44. Nel cap. II, Mercurio porta ai famoli ammutinati la legge nella verga divina, cioè col caduceo, richiamandoli a vita sociale dopo che, usciti dalla protezione degli eroi, erano tornati a dispersi nello stato eslege. Mercurio è anche dio delle mercatanzie, e il primo tipo di commercio fu i frutti raccolti dalla terra. Vico ribadisce, le prime città furono fondate sopra ordini di nobili e su caterve di plebei. A patrizi e plebei fa anche coincidere la distinzione di sapienti e volgo, dove per sapienza intende quella dei sacerdoti, e al volgo è attribuito l'aggettivo profano in quanto non ha parte nella gestione della religione. Altra distinzione esplicativa è quella tra civis e hostis, dove il secondo termine significa ospite, straniero, nemico. Così, i plebei erano "ospiti" delle città eroiche, e perciò considerati dai patrizi come nemici. Tali ostilità sono testimoniate da vari miti come quello in cui Mercurio inventa la lira, ovvero la legge; con la lira i poeti teologi greci fondarono e stabilirono l'umanità della Grecia. La sezione sulla politica poetica prosegue con tre brevi capitoli. I cap. III e IV sono dedicati a momenti della storia di Roma arcaica: alle origini del censo e dell'erario a favore dei patrizi e all'origine dei comizi romani. Il cap. V ha invece un taglio più filosofico ed enuncia la tesi per cui la divina provvidenza è l'ordinatrice delle repubbliche e del diritto naturale delle genti. Nella storia delle origini dell'umanità va ravvisato un disegno. Essa portò prima a temere la divinità, diventarono sedentari e si unirono con certe donne per restarci per sempre e fondare con loro le famiglie, e infine, con l'aprirsi degli asili, fondarono le clientele e quindi le città. Così guidati dalla provvidenza, gli eroi convennero in un bene universale civile, che si chiama repubblica. Insomma, dall'egoismo dei singoli nasce inaspettatamente un bene comune. Vico, con una variatio rispetto ai tre principi (religioni, matrimoni e sepolture), qui nomina i quattro elementi dell'universo civile: religioni, matrimoni, asili e la prima legge agraria. Il risultato finale è lo stato come "sovrana civil persona" composta di mente e corpo in cui è necessario un ordine di sapienti che esercitino la mente nella sapienza civile, mentre altri esercitano il corpo in arti e mestieri. E i primi comandano sui secondi. La 44 In questa ricostruzione della storia economica, sociale, giuridica e politica della Roma arcaica Vico proietta strutture proprie del feudalesimo medievale (per la tesi della natura eterna dei feudi, vd. cap. sul ricorso). 26 storia delle origini del mondo umano, ordinata dalla provvidenza, è allo stesso tempo la storia del diritto naturale delle genti. Infatti, col passaggio dalle famiglie alle città (con l'unirsi dei padri in ordini), sorge il diritto dei popoli. E il diritto naturale delle genti è per Vico divino, perché fondato dagli eroi nell'età degli dèi e perché corrisponde a quello ordinato da Dio. La storia dell'età degli eroi continua nel cap. VI, dal titolo Siegue la politica degli eroi. Tutti gli storici fanno iniziare il secolo eroico coi corseggi di Minosse e la spedizione navale di Giasone. Nettuno è appunto l'ultima delle divinità maggiori, perché solo in una fase tarda della civiltà gli uomini scendono dai monti al mare, o viaggiano per mare. Vari miti greci sono interpretati in riferimento alle guerre per mare o alla pirateria. Il tridente di Nettuno è per esempio visto come un grande uncino per afferrare le navi. Allo stesso modo il minotauro o toro di Minosse è una nave corsara, e Arianna l'arte marinaresca che insegna col filo della navigazione come uscire dal labirinto di Dedalo, ossia il mar Egeo. L'età degli eroi è segnata da una generale inospitalità dei popoli eroici. Sono ladroni, stranieri e nemici gli uni per gli altri e si fanno guerre continue con ladrocini e corseggi. Di questa condizione di guerra perpetua è esempio emblematico la storia dell'Iliade, con i 10 anni dell'assedio di Troia. Le guerre fra le città degli eroi sono presentate come una continuazione e conseguenza delle lotte tra patrizi e plebei. Vico interpreta anche alcuni episodi dell'Odissea, come quello delle sirene o di Circe. I passeggeri, che si addormentano o sono trasformati in porci, sono i plebei in lotta con gli eroi per conseguire da loro la compartecipazione agli auspici, ma restano vinti e puniti. Lo stesso schema interpretativo è applicato al mito di Vulcano, rappresentante il plebeo, azzoppato da Giove, o a quello di Fetonte che cade dal cielo perché vuol portare via il carro d'oro del padre, cioè avere il dominio dei campi di frumento. Elementi comuni in questi miti sono i mostri, che interpreta nel senso della natura discordante dei plebei, uomini nell'aspetto, ma non considerati tali dai patrizi. Per diventare uomini, rivendicano il diritto di trarre gli auspici e contrarre nozze religiose. In conclusione, a dare il nome di età degli eroi furono le contese eroiche, nelle lotte tra patrizi e plebei e nelle guerre tra città. Col riconoscimento della natura umana anche dei plebei si chiude l'età degli eroi e più in generale la sapienza dei poeti teologi. Il cap. VII, Politica poetica, è dedicato, come III e IV, alla storia romana arcaica: la tesi è che fin dai 4 secoli che vanno dalla fondazione alla legge Canuleia45 il popolo romano si compose di soli nobili, ossia fu uno stato aristocratico. Per questo l’autore polemizza contro le illusioni degli interpreti d’intorno alle cose romane antiche legate al fraintendimento degli interpreti di 3 parole: "popolo" è stato inteso dagli storici come comprendente i plebei (mentre comprendeva solo i nobili), "re" in senso monarchico (ma significava semplicemente reggitore), "libertà" è stata intesa nel senso di libertà di tutti (ma riguardava solo i nobili). Il cap. VIII, ultimo di questa ampia sezione dedicata alla Politica poetica, dedicato all'eroismo dei 45 La legge Canuleia (in latino Lex Canuleia de Conubio Patrum et Plebis) è una legge proposta dal tribuno della plebe Gaio Canuleio nel 445 a.C. con la quale venne abolito il divieto di nozze tra patrizi e plebei, risalente alle tradizioni dell'epoca arcaica di Roma e codificato dalle Leggi delle XII tavole. 27 invece non dovette essere più profondo della sorgente delle fontane, di cui fu dea Diana. Questo inferno poco profondo è anche la fossa, poi il solco, e rimanda a sepolture e agricoltura. Infine l'inferno fu preso per pianure e valli, dove restarono i dispersi nell'infame comunione, come rivelano figure mitologiche quali l'orco. Solo dopo i filosofi attribuirono a questi miti idee morali e metafisiche, mentre per i poeti teologi esprimevano idee politiche. Ciò vale anche per i miti di discese di eroi all'inferno, fra cui quello di Enea. La cosmografia poetica considera il territorio. Il mondo poetico fu diviso in 3 regioni: cielo di Giove, terra di Saturno e inferno di Plutone. E fu formato di "4 elementi civili": aria (Giove), fuoco (Vulcano), terra (Cibele), acqua (Diana). Pertanto il mondo fu in origine il complesso di questi regni ed elementi civili, e solo più tardi coincise con l'universo naturale. L'astronomia poetica si sviluppò da questa cosmografia originaria, con le menti umane che si alzano sempre più su al cielo. Fra i popoli antichi l'astronomia nacque dunque da origini volgari uniformi, con gli dèi saliti ai pianeti (stelle erranti) e gli eroi alle costellazioni (stelle fisse). In questo modo la storia fu scritta in cielo. Venere divenne il pianeta più bello, il sanguinoso Marte una stella rossa. In conformità a tale astronomia, i poeti teologi diedero il via alla cronologia poetica. Vico ci parla di Saturno, dio dei seminati e del tempo, e non a caso le prime nazioni (di contadini) cominciarono a contare gli anni con le raccolte di frumento. Inoltre, i greci celebravano le Olimpiadi in ricordo dell'uccisione del leone nemeo (simbolo del disboscamento col fuoco). E non a caso Leone e Vergine, coronata di spighe, sono vicini nello Zodiaco. Poi propone una cronologia, in cui l'età degli dèi durò 900 anni, divisi in 12 periodi corrispondenti alle 12 divinità. I vari personaggi leggendari vanno ricollocati nei periodi, tenendo conto del significato socio-politico del mito che li concerne. Per esempio, Deucalione e Pirra, che nel mito fondarono le famiglie, vanno collocati nell'epoca di Giunone, dea delle nozze. Viene fornito un canone cronologico per dare le origini alla storia universale. Queste origini precedono i tempi della monarchia, ultima delle tre forme dei governi civili e che presuppone tutto il corso precedente. Insomma, la nuova cronologia ha inizio dove ha inizio la sua materia. Resta quindi la geografia poetica nella sezione XI. La tesi è che le antiche nazioni portandosi in terre lontane diedero i nomi natii alle città, fiumi, monti, ecc. Vico argomenta inoltre l'esistenza di un'antica città greca nel Lazio, da cui sarebbero state trasmesse ai romani le lettere dell'alfabeto: a ciò alluderebbe il mito della venuta di Enea in Italia. Accenna anche al problema linguistico dei prestiti da una lingua all'altra: da quando cominciano a ingentilirsi, i popoli si dilettano infatti delle lingue straniere, la boria delle nazioni si vanta di origini straniere, e subentra la necessità di usare parole straniere per cose che non possono spiegare coi termini della lingua natia. La sezione si conclude trattando nomi e descrizioni dei luoghi. In tali considerazioni di toponomastica ricorda che i primi insediamenti umani furono tutti "are" e propone vertiginose associazioni linguistiche tra latino, greco e persino "siriache" (ara, arx, arma, Ares, ari). La conclusione del libro Della sapienza poetica ribadisce che essa ha fondato il genere umano della gentilità, ma non come pretendono la boria delle nazioni e dei dotti, attribuendole una vana magnificenza. Sulla sapienza degli antichi, l'accento è sulla qualifica di "poeti", perché quella sapienza fu poetica, non razionale. I miti, considerati embrioni della sapienza, contengono rozzamente i principi del sapere, più tardi chiariti dalla riflessione con raziocinio dei dotti; i poeti teologi furono il senso, e i filosofi l'intelletto della sapienza umana. CAP. 6: Il vero Omero 30 Nel III libro intitolato Della discoverta del vero Omero, che è una sorta di corollario del libro II47, fa una analisi specifica della questione omerica. Ed è volta a dimostrare ● che l’Iliade e l’Odissea sono frutto di una serie di stratificazioni successive e sembrano appartenere a luoghi e tempi diversi, come mostrano le vistose differenze fra i suoi due poemi; ● che Omero è un universale fantastico48 così come lo sono i suoi personaggi, essendo soprattutto un idea, ossia la personificazione della creatività popolare dei greci dell’età arcaica. Al fine di disvelare il vero Omero, Vico si pone diverse domande. 1) Omero è mai stato filosofo? Platone ha attribuito ad Omero una sapienza filosofica riposta, ma Vico fa notare che egli narra vicende che non hanno nulla a che fare con la razionalità e che i personaggi omerici hanno comportamenti tutt’altro che ammirabili o edificanti e privi di intento moralizzante. Pertanto i poemi omerici, lungi dall’essere filosofici, sono l’espressione immediata di un mondo di uomini animati da violentissime passioni e robuste fantasie. 2) Chi fu e dove visse Omero? La risposta va rintracciata in Omero stesso. La sua lingua è una commistione di più dialetti. Tale lingua composita è dovuta ad una incongruenza geografica fra i due poemi, dato che l’Omero dell’Iliade visse a nord-est, non lontano da Troia, mentre quello dell’Odissea a sud-ovest, non lontano da Itaca. Inoltre Omero sembra appartenere a due tempi differenti, poiché l’Omero dell’Iliade è assai precedente a quello dell’Odissea, in cui il rigoroso diritto eroico è già terminato dato che vengono celebrati matrimoni con stranieri e i figli illegittimi ereditano. Oltretutto i due poemi fanno riferimento ad armi, metalli e costumi appartenenti ad età distanti fra loro (l’Omero dell'Odissea è collocato da Vico ai tempi di Numa, Re di Roma, e dunque lontanissimo dalla guerra troiana). 3) Omero è davvero contraddistinto da un inarrivabile facultà poetica già ribadita da Aristotele e Orazio? I personaggi omerici sono universali fantastici e la lor bellezza consiste nel fatto che essi sono stati formati da una intera nazione, essendo espressione del sentire comune. Dunque sublime e bello vanno necessariamente insieme al popolaresco. Tali caratteri poetici nacquero da necessità di natura (anche Dante nella Divina commedia fece comparire persone vere e rappresentò veri fatti de’trapassati; quindi anche la sua poesia è storia). In conclusione, Omero è poeta [N.B: la poesia guarda al concreto e al particolare], non filosofo, ed è grandissimo. 48 Gli universali fantastici sono immagini poetiche o fantastiche rappresentative di caratteri tipici e universali del mondo o della vita. Ad esempio, Achille è l’universale fantastico del coraggio, mentre Ulisse lo è dell'astuzia. 47 Essendo Omero simbolo della sapienza poetica stessa. 31 4) Alle precedenti prove filosofiche Vico fa seguire quelle filologiche. L’autore fa riferimento alla tradizione orale dell’epica greca, ossia ai rapsodi che vagavano da una città all’altra raccontando sotto forma di canto le vicende omeriche, cucendole assieme (infatti “rapsodi” etimologicamente equivale a “cucitori di canti”). I pisistratidi49 riuniranno assieme questi canti da parte di Aristarco. Tutto ciò spiegherebbe verosimilmente le varie incongruenze tra i due poemi. 5) Conclusasi la ricerca del vero Omero, Vico asserisce che tale Omero visse per le bocche e nella memoria dei popoli greci: questo Omero fa certo acquisto di tre immortali elogi: ⤷esser stato l'ordinatore della greca polizia50; ⤷essere stato padre di tutti gli altri poeti; ⤷essere il fonte di tutte le greche filosofie. Non merita tali elogi l’Omero fino ad ora creduto che venne molto dopo la fondazione della civiltà greca, molto dopo l’età dei poeti teologi e perché i filosofi nelle favole omeriche non ritruovarono, ma ficcarono essi le loro filosofie. CAP. 7: Corso e ricorso Nel IV libro intitolato Del corso che fanno le nazioni sistematizza secondo un insistito schema diacronico triadico quanto già esposto nei primi 3 libri. Alle tre età degli dei, degli eroi e degli uomini collega una serie di triadi (10), la cui unità generale è garantita dalla divina provvidenza: 1) Tre spezie di NATURE→1) La prima fu una natura poetica, ricchissima di fantasia e debole di raziocinio, creatrice e divina. È quella dei poeti teologi per mezzo delle religioni frenarono la bestialità degli uomini; 2) La seconda fu una natura eroica, creduta da questi eroi di origine divina che si pensavano figli di Giove e quindi di razza diversa dai plebei, naturalmente nobile; 3) La terza fu una natura umana, benigna e ragionevole. 2) Tre spezie di COSTUMI→ 1) I primi costumi furono cosparsi di religione e pietà; 2) I secondi furono collerici e puntigliosi come Achille; 3) I terzi officiosi, cioè attenti al dovere. 3) Tre s. di DIRITTI NATURALI→ 1) Il primo diritto fu divino, credendosi tutto in ragione degli dèi; 2) Il secondo diritto eroico (o formalistico), della forza 50 Da politéia che nel linguaggio storico-politico è un grecismo che indica al tempo stesso il regime politico, il corpo civico e il diritto di cittadinanza, nozioni strettamente interconnesse: Quindi è talvolta usato come equivalente del latino res publica, per indicare l’organizzazione come bene comune di tutti i cittadini. 49 Dinastia di tiranni ateniesi, fondata da Pisistrato, di cui fecero parte anche i figli Ipparco e Ippia. Il loro governo durò un cinquantennio e rappresentò, almeno nella fase in cui fu al potere Pisistrato, un momento di crescita economica e culturale per Atene. 32 quella dei sacerdozi, e quindi alla custodia delle leggi e di come interpretarle. Tale sapere è prima tenuto segreto dai sacerdoti, ovvero i padri. È questa la fase del tempo divino in cui la religione riguarda l'osservanza scrupolosa delle leggi divine. Tuttavia anche nella fase eroica le leggi sono custodite in modo rigido (legge delle XII Tavole). E in tale custodia della legge sta per Vico la ragione della grandezza di Roma. Le rigide distinzioni triadiche vengono attenuate quando Vico ammette forme di transizione, forme miste, interpretabili come una persistenza, all'interno di una forma statuale, della forma di governo propria dell'età precedente: in questo modo i governi familiari dei polifemi perdurano nelle prime repubbliche aristocratiche, e i governi aristocratici perdurano nelle prime repubbliche libere popolari. E siccome in queste ultime i cittadini guardano sempre più ai propri interessi, nasce naturalmente la monarchia, ma, poiché i principi hanno bisogno dell'appoggio del popolo, anche la monarchia nasce e si mantiene come forma mista: per natura le monarchie si governano popolarmente. Altre pruove del corso delle nazioni sono fornite dall'evoluzione delle pene e delle guerre. Le pene furono dapprima crudeli (exempla nel senso di castighi esemplari), poi divennero benigne nelle repubbliche popolari (perché la moltitudine è di deboli, inclini a compassione) e ancor di più nelle monarchie dove i prìncipi si compiacciono del titolo di clementi (magnanimità caratterizza le Repubbliche e le Monarchie). Un'ultima prova del corso è fornita dall'ordine dei numeri: i governi cominciarono dall'uno, con le monarchie famigliari; passarono a pochi con le aristocrazie eroiche, e quindi ai molti e tutti nelle repubbliche popolari. E infine tornarono all'uno nelle monarchie civili. La parte conclusiva del IV libro intitolato Del corso che fanno le nazioni è dedicata al rapporto tra poesia, diritto e filosofia. Vico comincia col menzionare alcune solennità dei tempi mutoli in cui appaiono i simboli della mano e della maschera, antropologicamente rilevanti. Per quanto riguarda la mano, le forme di trasferimento di dominio cominciarono con vera mano, che in tutte le nazioni la mano significò potestà. La maschera è invece avvicinata ai nomi e insegne delle famiglie: sono cioè universali fantastici la cui rappresentazione ha luogo nel foro, prima che nel teatro. "persona" viene da personari, ossia vestire pelli di fiere, come il leone di Ercole, il che conferma che la persona rappresenta i padri, gli eroi. Il nesso tra poesia e diritto risiede nel fatto che l'antica giurisprudenza fu poetica, e introdusse maschere vane e senza soggetti, ma tali finzioni poetiche nascondono delle verità mascherate e storiche. Il passaggio dall'età della fantasia a quella dell'intelletto, da universali fantastici a intelligibili, avviene dapprima nell'ambito dell'esperienza civile e giuridica, che è il presupposto del sorgere della filosofia. La filosofia nasce come metafisica legale, poiché l'induzione socratica, le idee di Platone, la teoria della giustizia di Aristotele presuppongono l'esperienza giuridica. Vico vede l'avviso di Solone agli ateniesi, nosce te ipsum, ovvero “conosci te stesso”, come un invito a far valere la loro uguaglianza coi patrizi. Da esso uscirono le repubbliche popolari, 35 quindi le leggi e infine la filosofia. Se non ci fossero state le religioni, e quindi le repubbliche, non ci sarebbero state le leggi. Il capitolo si conclude con una considerazione generale sulla storia del linguaggio, dall'età poetica del certo a quella razionale del vero. Se la natura umana era stata interpretata dalla tradizione filosofica precedente come un composto di mente e corpo, Vico aggiunge l'elemento del linguaggio o favella, a cui attribuisce una posizione intermedia.Il certo d’introno al giusto cominciò ne’ tempi dal corpo poi con le favelle che si dicon articolate passò alle certe idee, ovvero formole di parole, infine, essendosi spiegata tutta la nostra ragione umana, andò a terminare nel vero delle idee d’intorno al giusto59. Nel V libro intitolato Del ricorso delle cose umane nel risurgere che fanno le nazioni Vico espone in forma sistematica la tesi del ricorso o ritorno, nel Medioevo, della storia favolosa o barbara. È bene notare che è una tesi impropria quella secondo cui Vico sarebbe il filosofo dei corsi e ricorsi, presupponendo una concezione ciclica della storia, che è un'ipotesi falsa di fatto. Non ha mai sostenuto una posizione così netta né in merito ad una concezione ciclica né riguardo ad una lineare. Infatti la Scienza nuova (1744) suggerisce una valutazione positiva di certi aspetti della cultura dei tempi favolosi e di quelli umani [ossia la concretezza, la ricca fantasia, la genuinità, da un lato, mentre dall’altro l’intelligenza, la civiltà, l’uguaglianza tra gli uomini], indicandone al contempo gli aspetti negativi [ossia la credulità e la crudeltà, da un lato, e dall’altro l’intellettualismo e la decadenza]. Si tratta di ricercare un equilibrio tra le due modalità di esperienza, quella poetica e quella razionale, espresse nelle due epoche. Pertanto la storia non segue linearmente l’articolazione triadica della storia ideale eterna, ossia la struttura che sorregge il corso temporale delle nezioni, alla quale si avvicina maggiormente la romanità60, ma possono verificarsi dei ricorsi, ossia dei regressi parziali ad età precedenti. Questo è un estremo rimedio, non qualcosa di ineluttabile, posto dalla provvidenza se non vi è altro modo per garantire la storia del genere umano. L’attenzione dell’autore converge sul Medioevo, la barbarie ritornata. In questo ripresentarsi di condizioni primitive di vita, la provvidenza fa sì che si conservi la religione, facendo del Medioevo l’età cristiana per eccellenza. Così 60 Dato che trapela dal testo che il corso normale, o per meglio dire naturale, delle nazioni è quello dei romani. 59 Quest’ultimo, il vero ideale, è indicato infine da Vico con un'espressione metaforica di sapore neoplatonico: esso è la forma informe di ogni forma particolare, che a guisa di luce di sè informa i corpi opachi dei fatti. 36 1. Tornano l’investitura religiosa dei principi e le pura et pia bella61, le guerre di religione, contro l’eresia interna (quella ariana62) ed esterna (quella musulmana); 2. Vi è un ritorno al diritto barbarico, come prova il fatto che i medievali si strappavano reciprocamente le reliquie; 3. La religione ritorna a determinare la politica e tutte le manifestazioni socio-culturali della vita dei popoli; 4. Torna la lingua eroica e muta, nel senso che i popoli non sapevano parlare il latino o scriverlo e pertanto dilagava l’analfabetismo; 5. Tornano le schiavitù eroiche, come mostra la forte disuguaglianza dovuta al mancato riconoscimento della natura umana comune; 6. Ritornò il diritto romano nel diritto feudale. La tesi è in fondo quella della natura eterna dei feudi. Il feudalesimo ha carattere tipologico, poiché le sue strutture sono caratteristiche di ogni forma primitiva e barbara di società, essendo espressione della divisione in classi, presupposta da ogni organizzazione sociopolitica. Nei tempi eroici ritornati, si ripropone anche la distinzione tra natura eroica e natura umana, che riproduce quella antica di padri e famoli. l rapporto di vassallaggio di fonda su una discriminazione. Pertanto il rapporto feudale è definito alleanza ineguale, essendoci da una parte molti obblighi e dall’altra pochi doveri. I vassalli erano legati al loro signore o eroe, che dovevano servire e seguire. I signori dei feudi furono detti baroni, i quali oltre che signori sono detti anche padroni, nel senso di protettori. I primi feudi sono dunque feudi rustici, personali, in cui vige un rapporto di obbligazione personale tra vassallo e barone. Riproducono cioè le clientele antiche, su cui Romolo fondò Roma. In una fase seguente del feudalesimo, al rapporto di obbligazione personale si sostituisce quello di obbligazione reale, legato a una res, un bene immobile; 7. Inoltre si instaurano delle Monarchie che sono di fatto delle Repubbliche aristocratiche, dato che il Re era primus inter pares, ovverosia primo tra i pari, cioè i nobili, molto potenti, che eleggono di volta in volta un rappresentante del quale si disfano tramite congiure. Si deve concludere quindi che nel ricorso medievale ritornano i tempi divini. La dottrina del ricorso permette di gettare una luce retrospettiva sui fatti passati e di estendere quanto accertato alla totalità delle nazioni. Infine egli espone il fatto che la geografia e il clima possono favorire o sfavorire il ricorso, essendo che nella zona temperata il corso è paragonabile a quello romano e vi sono le Repubbliche popolari, 62 L'arianesimo è il nome con cui è conosciuta una dottrina cristologica elaborata dal presbitero, monaco e teologo cristiano Ario, condannata al primo concilio di Nicea. Sosteneva che la natura divina del Figlio fosse sostanzialmente inferiore a quella di Dio e che, pertanto, vi fu un tempo in cui il Verbo di Dio non fosse esistito e che dunque esso fosse stato soltanto creato in seguito. 61 Ossia guerra pura e santa. 37
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