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SCIENZE DELLA TERRA: TETTONICA, Slide di Scienze della Terra

argomento di scienze della terra affrontato in quinta superiore (liceo scientifico): tettonica.

Tipologia: Slide

2023/2024

In vendita dal 29/06/2024

monikappa
monikappa 🇮🇹

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Scarica SCIENZE DELLA TERRA: TETTONICA e più Slide in PDF di Scienze della Terra solo su Docsity! 1. Com’è fatto l’interno della Terra Il modo in cui si propagano le onde sismiche mostra che l’interno della Terra non è omogeneo, ma è costituito (a grandi linee) da involucri concentrici formati da materiali differenti. Come gli altri pianeti del Sistema solare, anche la Terra ha una struttura a involucri concentrici, che sono separati da superfici di discontinuità sismica, cioè superfici in corrispondenza delle quali la velocità e la traiettoria delle onde sismiche cambiano. 1. La crosta è la parte più esterna, e ha uno spessore di non molti chilometri. 2. Il mantello è la parte intermedia, che arriva fino a circa 2900 km di profondità. 3. Il nucleo è la parte più interna del pianeta, con un raggio che supera i 3400 km; esso è diviso a sua volta in due involucri: il nucleo esterno e il nucleo interno. La struttura a involucri concentrici è legata all’attrazione gravitazionale, che cresce al crescere della densità dei materiali. Il nucleo è l’involucro di densità maggiore e quindi è il più interno; su di esso appoggia il mantello, che ha una densità intermedia, e sul mantello «galleggia» a sua volta la crosta, ancor meno densa. 2. La crosta terrestre La crosta terrestre è di due tipi: crosta continentale e crosta oceanica. La crosta oceanica presenta strutture caratteristiche collegate alla dinamica interna del pianeta. A ■ La crosta terrestre Esistono due tipi di crosta terrestre. ■ La crosta continentale corrisponde ai continenti e alla loro prosecuzione al di sotto del livello del mare; essa comprende infatti anche tutta la piattaforma continentale e parte della scarpata continentale. ■ La crosta oceanica costituisce il fondo degli oceani. I due tipi di crosta mostrano differenze profonde. 1. La crosta continentale ha ovunque uno spessore 5-6 volte maggiore di quello della crosta oceanica. Infatti, in corrispondenza dei continenti la crosta ha uno spessore medio all’incirca di 35 km, raggiungendo al massimo i 70 km in corrispondenza delle montagne più elevate; la crosta oceanica ha invece uno spessore medio di appena 6-7 km. 2. La crosta continentale è formata da rocce di ogni età, da quelle attualmente in formazione fino a rocce formatesi circa 4 miliardi di anni fa. Al contrario, in nessun punto dei fondali oceanici compaiono rocce più antiche di 190 milioni di anni. 3. La crosta continentale è composta di rocce di ogni tipo, molto deformate; quella oceanica da pochissimi tipi, in strati regolari. Da questo deriva anche una diversa densità media, che è più alta nella crosta oceanica. B ■ L’isostasia La crosta terrestre è meno densa degli altri involucri e può «galleggiare» sul mantello. Studi sismici sulla profondità della Moho hanno scoperto che quanto più la crosta terrestre è spessa, tanto più essa affonda. In condizioni di equilibrio il peso della parte di crosta affiorante è controbilanciato dallo sprofondamento, nel mantello, di una parte della crosta sottostante, la quale forma le «radici». Se lo 3. L’espansione e la subduzione dei fondi oceanici Dall’esame delle strutture della crosta oceanica e delle anomalie magnetiche registrate nelle rocce che la compongono, si è giunti a formulare l’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici. A ■ Formazione e consumo della crosta L’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici prevede che lungo la rift valley delle dorsali si formi continuamente nuova litosfera oceanica e che i due fianchi delle dorsali si allontanino reciprocamente (espansione), trascinati da movimenti profondi. Allontanandosi, la litosfera oceanica diventa più fredda e pesante. Se incontra litosfera continentale, più leggera, scende sotto di essa, immergendosi nel mantello con un lento movimento di subduzione; l’incurvamento della litosfera verso il basso determina la formazione di una fossa abissale. La litosfera scende con violenti attriti accompagnati da terremoti, i cui ipocentri sono distribuiti su una superficie inclinata, detta superficie (o piano) di Benioff. La mancanza di ipocentri più profondi di 700 km fa pensare che, a quella profondità, la litosfera si mescoli al mantello. Non tutto il materiale della litosfera è «riciclato» nel mantello: in parte fonde e risale in superficie, dove alimenta l’attività vulcanica che si manifesta parallelamente alle fosse. Globalmente la nuova litosfera prodotta in corrispondenza delle dorsali bilancia quella vecchia riciclata nelle fosse. La crosta oceanica è tanto più antica quanto più ci si allontana dalle dorsali, ma arriva al massimo a 190 milioni di anni. La crosta più antica è stata già «consumata» nel processo di subduzione. B ■ Il paleomagnetismo Come abbiamo visto nell’Unità 3, la Terra possiede un campo magnetico. Molte rocce conservano una magnetizzazione, indotta dal campo geomagnetico al momento della loro formazione. Questo fenomeno, detto paleomagnetismo, consente lo studio del campo magnetico terrestre del passato. In molte rocce la direzione di magnetizzazione è opposta a quella del campo geomagnetico attuale, come se, al momento della loro formazione, i poli magnetici fossero invertiti. Si è così scoperto che periodicamente, nel corso di milioni di anni, si verificano inversioni di polarità: il campo magnetico terrestre passa da normale, cioè orientato con il Polo nord come oggi, a inverso. Dalla datazione e dall’analisi magnetica delle colate di lava solidificate sulla crosta continentale è stata quindi ricostruita la scala paleomagnetica, che riporta la successione dei periodi a polarità normale e inversa negli ultimi 5 milioni di anni. Quando una lava si raffredda, si formano microcristalli di vari minerali. Tra questi ci sono alcuni ossidi di ferro che durante la cristallizzazione vengono magnetizzati dal campo magnetico terrestre. Possiamo pensarli come minuscole calamite che registrano e mantengono il campo magnetico orientato come quello terrestre nel momento in cui la lava si è raffreddata. C ■ Le anomalie magnetiche sui fondi oceanici Un contributo decisivo all’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici venne dalla scoperta di anomalie magnetiche nelle rocce dei fondali. Per anomalia magnetica si intende la differenza tra l’intensità del campo magnetico terrestre teorica (per la località in cui viene effettuata la misurazione) e la misura reale effettuata con il magnetometro. Quando un magnetometro viene trascinato a rimorchio da una nave oceanografica, registra l’intensità totale del campo magnetico che sta attraversando, e cioè percepisce sia l’effetto del campo geomagnetico attuale, sia quello del paleomagnetismo delle rocce basaltiche che formano il tratto di fondo oceanico al di sopra del quale sta transitando. Via via che sono state disponibili misure del campo magnetico per settori sempre più ampi di crosta oceanica, si è scoperto che sui fondi oceanici le anomalie magnetiche mostravano un andamento regolare, formato da numerose fasce di valori alternativamente maggiori (anomalie positive) e minori (anomalie negative), parallele all’asse delle dorsali oceaniche. Le fasce di anomalie mostrano larghezze diverse una dall’altra, ma la successione della larghezza delle fasce si ripete specularmente ai lati della dorsale. Tenendo presente l’inversione periodica del campo geomagnetico, le zone di anomalie magnetiche positive dei fondi oceanici sono state interpretate come risultato dell’interferenza tra campo geomagnetico attuale e porzioni di crosta oceanica aventi magnetismo con orientazione uguale a quella del campo attuale (per cui le intensità dei due campi magnetici si sommano tra loro). Le zone di anomalie negative risulterebbero dall’interferenza tra campo geomagnetico attuale e porzioni di crosta oceanica aventi magnetismo con orientazione contraria a quella del campo attuale (la cui intensità risulta, perciò, diminuita) I basalti che si solidificano sul fondo della rift valley, infatti, si magnetizzano nella direzione del campo magnetico terrestre presente in quel momento. Secondo l’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici, la nuova striscia di crosta che via via si forma viene a sua volta lacerata nel senso della lunghezza dal movimento di espansione e le due strisce che ne risultano vengono allontanate dal centro della rift valley, in direzioni opposte. Quando si inverte il campo magnetico terrestre, le nuove rocce vengono magnetizzate in direzione opposta, mentre il processo di espansione prosegue, ed esse si allontanano dalla dorsale. Questo meccanismo spiega la distribuzione a fasce parallele delle anomalie magnetiche, e ne giustifica anche la disposizione speculare rispetto alla rift valley, da cui ha origine l’espansione. 5. I margini fra le placche A seconda del movimento delle placche litosferiche, si distinguono tre tipi di margine. A ciascun tipo di margine sono associate strutture geologiche caratteristiche, nelle quali la litosfera a seconda dei casi si forma, viene consumata o si conserva. A ■ I tipi di margine I bordi delle singole placche, chiamati margini, sono distinti in tre tipi. 1. I margini convergenti corrispondono alle fosse abissali, dove due placche entrano in collisione e una delle due è trascinata nel mantello mediante il processo di subduzione; questi margini sono detti perciò distruttivi. 2. I margini divergenti corrispondono alle dorsali oceaniche, dove le placche si separano e si ha la formazione di nuova litosfera; questi margini sono detti perciò costruttivi. 3. I margini trasformi coincidono con grandi faglie trasformi, lungo le quali due placche scorrono una a fianco dell’altra in direzioni opposte (o con diverse velocità). Questi margini sono detti conservativi perché non si ha formazione né distruzione di litosfera. B ■ I margini convergenti In corrispondenza dei margini convergenti una placca va in subduzione sotto un’altra. Nel corso di decine di milioni di anni, lungo questi margini si ha in genere la formazione di una catena di vulcani, seguita da un’orogenesi, cioè dal sollevamento di una nuova catena montuosa. Il vulcanismo lungo archi vulcanici o archi di isole vulcaniche, caratterizzato da attività esplosiva, è collegato alla subduzione a causa del riscaldamento e della fusione parziale della placca che sprofonda. Le fosse abissali sono anche sede di intensi terremoti: l’attrito tra le due placche provoca la formazione di faglie nel margine di quella sovrastante. Molti dei terremoti generati in questo caso sono compresi nei primi 50 km di profondità. Gli ipocentri lungo i margini di convergenza, però, diventano progressivamente più profondi. I terremoti in profondità sarebbero conseguenza delle forti compressioni subite dalla placca, fredda e relativamente fragile, che penetra nel mantello. Vediamo che cosa accade a seconda delle porzioni di litosfera coinvolte nella collisione. B.1 Litosfera oceanica sotto litosfera continentale Se i movimenti della litosfera costringono un settore di litosfera oceanica (più denso e quindi più pesante) a scivolare sotto un settore di litosfera continentale (più leggero) si forma un arco vulcanico. Vediamo in che modo. Inizialmente i sedimenti che si trovano sul fondo dell’oceano si accumulano, accavallandosi e deformandosi, lungo il margine della placca continentale. Allo stesso tempo, le rocce che costituiscono la placca oceanica che va in subduzione fondono. I materiali di fusione, che sono più leggeri, risalgono come «bolle» di magma e possono perforare il margine del continente sovrastante e gli accumuli di sedimenti, formando un allineamento di vulcani (cioè l’arco vulcanico); se la crosta entro la quale essi risalgono ha la loro stessa densità, si fermano al suo interno, costituendo dei batoliti. L’arco vulcanico e gli accumuli di sedimenti fortemente deformati, col tempo, costruiscono una grande catena montuosa. In questo modo si è formata la catena montuosa delle Ande in Sudamerica. B.2 Collisione continentale Se la litosfera oceanica che va in subduzione sotto un continente è saldata a sua volta a un continente, i due continenti finiscono per venire a contatto e si ha un’orogenesi. In una prima fase la subduzione della litosfera oceanica porta al progressivo avvicinamento dei due continenti; sul margine di quello vicino alla fossa di subduzione si forma un arco vulcanico. Una volta che si è consumata tutta la litosfera oceanica, i due margini continentali entrano in collisione e si frammentano in enormi cunei tettonici, che scivolano uno sull’altro formando giganteschi ammassi di rocce. La fascia di collisione, deformata e con spessori che possono arrivare a 60-70 chilometri, si solleva e si manifesta in superficie come una nuova catena montuosa. La fascia di collisione viene detta sutura continentale perché salda due lembi di crosta in un unico continente. Sono nate in questo modo le catene dell’Himalaya e delle Alpi. B.3 Litosfera oceanica sotto litosfera oceanica 6. Giacimenti minerari e margini fra le placche I diversi processi geologici legati ai margini fra le placche hanno fornito anche una spiegazione sull’origine e sulla distribuzione – sia sui fondi oceanici, sia lungo gli archi vulcanici – di giacimenti minerari soprattutto di origine magmatica. A ■ I giacimenti sui fondi oceanici Nell’area delle dorsali oceaniche l’acqua del mare, che si infiltra nelle fratture e si riscalda fino a qualche centinaio di gradi, e l’acqua ad alta temperatura che si libera dal magma in risalita sotto la dorsale, sciolgono i minerali dispersi nelle rocce magmatiche in via di raffreddamento e formano soluzioni idrotermali caldissime. Quando queste acque risalgono nella crosta e si liberano sul fondo oceanico, passano a temperature vicine a 0 °C. A causa del raffreddamento, dalle soluzioni precipitano solfuri di rame, di ferro e di zinco che incrostano la zona di fuoriuscita, formando delle strutture alte alcuni metri: i fumaioli neri. Questa parte della crosta si arricchisce così di importanti composti metallici. I basalti della crosta oceanica rivestiti di composti metallici si spostano in seguito verso una fossa abissale, dove entrano in subduzione sotto il margine di un continente. Durante questo processo, l’attrito strappa alla placca in subduzione lembi di crosta oceanica, che si saldano stabilmente alle strutture continentali. Lembi di antica crosta oceanica che hanno seguito questo percorso si trovano in effetti «incastrati» in molte catene montuose e sono noti come ofioliti (o successioni ofiolitifere), formati da basalti e gabbri, a volte metamorfosati, associati a sedimenti marini. Nell’isola di Cipro, come lungo la catena dei Monti Urali e molte altre catene montuose (in misura modesta anche nell’Appennino ligure-toscano), proprio alle ofioliti sono associati ricchi depositi di minerali di rame, i quali si sarebbero originati per circolazione idrotermale lungo antiche dorsali oceaniche, secondo il meccanismo dei fumaioli neri. rilievi del Massiccio di Troodos nell’isola di Cipro. Le rocce di questi rilievi, di origine magmatica, sono lembi di un’antica crosta oceanica e sono ricchi di minerali, come il rame (in latino cuprum, proprio dall’isola di Cipro). B ■ I giacimenti in corrispondenza di archi vulcanici Il rapporto tra Tettonica delle placche e giacimenti non si limita alle mineralizzazioni delle ofioliti, che d’altra parte rappresentano solo una piccola parte della placca oceanica in subduzione. Il resto della placca litosferica, che continua a scendere in profondità, inizia a fondere, a cominciare dalla sottile crosta oceanica basaltica: i minerali in essa concentratisi fondono anch’essi e i prodotti risalgono con i magmi entro la sovrastante crosta continentale, dove si accresce l’arco vulcanico. Secondo questa interpretazione, i ricchi giacimenti di ferro, rame, oro, argento, e altri metalli, disseminati lungo la catena delle Ande, sarebbero il risultato di un lungo processo, avvenuto in due fasi. 1. I magmi basaltici, derivati dalla fusione parziale del mantello, risalgono lungo le dorsali del Pacifico orientale, e nei fumaioli neri si formano depositi idrotermali. 2. In seguito, a causa dell’espansione del fondo oceanico, quando la crosta oceanica è entrata in subduzione e si è fusa, i magmi arricchiti di metalli risalgono e i metalli «impregnano» in tal modo la crosta continentale posta sopra la zona di subduzione, formando ampie fasce di solfuri. Lungo il margine del continente sudamericano si sarebbero così concentrati elementi chimici un tempo dispersi nella massa del mantello sotto le dorsali del Pacifico orientale. Alla luce di queste idee suggerite dai meccanismi della Tettonica delle placche, la prospezione in catene montuose e negli scudi per scoprire ammassi di ofioliti o di resti di antichi archi vulcanici, formati in una zona di subduzione, è ormai diventata un obiettivo strategico della ricerca mineraria. 7. Moti convettivi e punti caldi L’elevato calore interno della Terra viene continuamente disperso verso la superficie, ma non in modo uniforme. Le differenze di temperatura esistenti all’interno del pianeta causano i moti convettivi che coinvolgono i materiali del mantello e sono collegati ai movimenti delle placche. A ■ Il flusso termico Numerosi fenomeni che rientrano nell’esperienza comune, come l’attività dei vulcani o le sorgenti termali calde, ci fanno supporre che l’interno della Terra sia tanto più caldo quanto più si scende in profondità. L’interno della Terra ha una temperatura elevata per due motivi. ■ Il pianeta conserva ancora parte del calore che ha immagazzinato al momento della sua formazione. ■ All’interno del pianeta avvengono reazioni nucleari che coinvolgono elementi radioattivi (uranio, torio ecc.) contenuti in piccola quantità nelle rocce della crosta e del mantello. Gli atomi degli elementi radioattivi decadono, cioè si trasformano spontaneamente in atomi più stabili emettendo energia e altre particelle. Queste particelle urtano altri atomi e la loro energia cinetica (cioè derivata dal movimento) si converte in calore. Il calore interno della Terra viene continuamente disperso verso l’esterno attraverso la sua superficie. La quantità di energia termica che sfugge dalla Terra per unità di area e di tempo viene chiamata flusso termico (o flusso di calore). Poiché la concentrazione di elementi radioattivi non è uniforme, il flusso varia da luogo a luogo della superficie terrestre. Misure del flusso termico effettuate in oltre 5000 punti della superficie terrestre hanno permesso di disegnare una carta della sua distribuzione. Le aree dove esso è maggiore della media sono interessate da intensi fenomeni vulcanici e sismici, cioè sono molto «attive» dal punto di vista geologico. B ■ Le correnti convettive Quando i movimenti delle placche mettono a rischio le infrastrutture Per chi si occupa di progettare infrastrutture come ponti, strade e acquedotti, la dinamica della litosfera, descritta dalla Tettonica delle placche, è una realtà che pone problemi molto concreti. In particolare quando si è in un territorio sul margine tra due placche. Queste zone, infatti, sono soggette all’attività sismica e vulcanica in modo più frequente rispetto al resto della superficie terrestre, e sono anche in continuo lento movimento le une rispetto alle altre. Che effetti ha questo movimento sulle costruzioni umane poste lungo i margini tra le placche? Può succedere, per esempio, che le due sponde collegate da un ponte si allontanino tra loro di qualche centimetro ogni anno, o che il tunnel della ferrovia subisca una pressione da direzioni opposte. Anche se agli ingegneri e ai progettisti di tutto il mondo è, ovviamente, raccomandato di non costruire ponti e altre infrastrutture in questi territori instabili, non sempre è possibile evitarlo. Studiare soluzioni collaborative In alcune zone il problema è particolarmente evidente: in California, negli Stati Uniti d’America, si trova la famosa Faglia di San Andreas, una faglia trasforme lunga circa 1200 km, che separa la Placca del Pacifico e la Placca nordamericana. Si stima che più del 5% dei ponti in questa zona attraversi o sia nelle immediate vicinanze di zone in movimento lungo la faglia. Il problema è talmente diffuso che le autorità locali hanno deciso di affrontarlo su larga scala, invece di limitarsi a valutare i rischi a cui sono soggetti singoli ponti e strade. L’azienda di trasporti locali Caltrans, per esempio, ha deciso di coinvolgere esperti di Geologia, per capire meglio la struttura profonda della faglia e fare una valutazione della vulnerabilità dei ponti. Il problema, però, non colpisce soltanto strade e ponti: per esempio, anche le condutture dell’acqua sono a rischio. A Los Angeles i tre acquedotti principali attraversano la Faglia di San Andreas 32 volte. In occasione di un forte terremoto, i danni alle condutture rischiano di far rimanere senza acqua un’area metropolitana in cui abitano 22 milioni di persone. Ma non è un problema senza soluzioni: San Francisco, un’altra città della California che si trova lungo la linea della faglia, dopo il terremoto catastrofico del 1906 ha costruito un sistema idrico alternativo, che può portare acqua alla popolazione in caso di emergenza Mare mosso Anche il Giappone, che si trova lungo la cosiddetta Cintura di fuoco del Pacifico, è un Paese particolarmente soggetto ai movimenti della litosfera. Il Ponte dello Stretto di Akashi si trova in un punto molto delicato, sul limitare della Faglia di Nojima. Collega la città di Kobe con un’isola nella baia antistante ed è stato costruito su uno stretto della larghezza di appena 4 km, di grande importanza per la navigazione, ma noto per le forti correnti e burrasche. Proprio le difficili condizioni meteorologiche dello stretto portarono il governo giapponese a progettare un ponte che lo attraversasse. Durante gli anni ’40 e ’50 del Novecento, infatti, le condizioni avverse del mare portarono al naufragio di tre traghetti, con la morte di circa 450 persone. Gli studi per costruire il ponte, iniziati nel 1957, si scontrarono subito con le difficoltà tecniche dovute alla costruzione lungo una linea di faglia, per di più in condizioni di frequenti tempeste. Alla fine, i progettisti idearono un ponte a tre campate, con quella centrale tra le più lunghe al mondo: quasi 2 chilometri. La sua struttura era pensata per resistere a venti di 280 chilometri orari, a terremoti di magnitudo fino a 8,5 e a forti correnti marine. La costruzione iniziò nel 1988 e fu portata avanti con rigorosi criteri antisismici, che vennero messi alla prova nel 1995, anno in cui avvenne il violento terremoto di Kobe, che causò la morte di 6400 persone. Il cantiere, tuttavia, resistette, e il Ponte dello Stretto di Akashi fu inaugurato nel 1998 Un ponte olimpico Ci sono esempi di infrastrutture in grado di resistere a sforzi estremi anche più vicino a noi, in Europa. Una di queste è il Ponte Rio-Antirio, in Grecia, che attraversa il Golfo di Corinto: la sua costruzione ha permesso di migliorare il collegamento tra la penisola del Peloponneso con la Grecia continentale, visto che l’unico passaggio è lo stretto istmo di Corinto (a circa 130 km di distanza). Il golfo ha origine tettonica e si trova lungo un margine divergente che ogni anno si allarga di 10-15 mm. Il sito, inoltre, ha altre caratteristiche che lo rendono un luogo difficile per costruire un ponte. Le sponde scendono su acque profonde, con fondali franosi e poco stabili, che si aggiungono all’attività sismica intensa e alla possibilità di maremoti. Per questo, il ponte è stato costruito con tecniche che ne consentono movimenti e deformazioni in modo sicuro: per esempio, i piloni su cui si poggia il ponte sono stati progettati per potersi muovere lateralmente sul fondo del mare. È anche dotato di un sistema di sensori che monitorano continuamente le sollecitazioni a cui è sottoposta la struttura, come i venti e le temperature estreme. La costruzione del ponte durò sei anni e la sua inaugurazione ebbe anche un valore simbolico: venne aperto per la prima volta, infatti, nell’agosto 2004, una settimana prima dell’inizio delle Olimpiadi di Atene. I primi ad attraversarlo furono due tedofori, gli atleti che portavano la torcia olimpica.
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