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SCIENZE POLITICHE E DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI, Appunti di Scienza Politica

Corso di Laurea Triennale in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 10/02/2023

kourybvk
kourybvk 🇮🇹

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Scarica SCIENZE POLITICHE E DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI e più Appunti in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! SOCIOLOGIA: RIASSUNTI “INTRODUZIONI ALLA SOCIOLOGIA” Ambrogio Sant’Ambrogio La sociologia è la scienza che studia la società, il vivere in comunità, con metodo empirico. La società, dal latino societas, ha assunto significati diversi nel corso del tempo ed è frutto di un processo storico: non è da sempre esistita (questa la differenza principale con il metodo empirico applicato in fisica sulla natura, da sempre esistita). Sociologia e oggetto della sociologia vanno di pari passo: la sociologia è un prodotto della società moderna, ma allo stesso tempo la conoscenza sociologica collabora alla costruzione della realtà sociale. La sociologia si occupa anche, ampiamente, del campo della devianza: essa è lo studio del comportamento di uno o più soggetti che violino le norme della società; viene definito un atteggiamento “deviante” per l’effetto che ha sulla società. Per spiegare la nascita della società, ci rifacciamo a due filosofi: Locke e Hobbes. HOBBES => spiega il passaggio da stato di natura a Stato (non esistono relazioni sociali intermedie), come la scelta razionale di essere sottomesso e protetto invece di libero e costantemente in pericolo. Per lui gli uomini non nascono già con l’idea di dover vivere in comunità ma, anzi, con una forte individualità e volontà di raggiungere i propri obiettivi, mossi da impulsi egoistici e non altruistiche (stato di natura): in questo, gli altri uomini fungono da ostacolo e si crea una sorta di conflittualità, che innesca la consapevolezza di doversi proteggere gli uni dagli altri. L’unico modo per proteggersi è la sottomissione a un sistema politico, certamente fonte di limiti alla libertà personale fino ad allora posseduta. Solo il sovrano, a quel punto, manterrà la condizione di solitudine, libertà e indipendenza, rispetto a tutti gli altri. Meglio liberi ma in pericolo, o sottomessi ma protetti? LOCKE => la visione hobbesiana è superata da Locke, che vede la possibilità di altri tipi di relazioni sociali tra uomini, indipendenti dallo Stato. L’insieme di queste relazioni darebbe vita alla “società naturale”, un’idea molto originaria e poco sviluppata di quella che diventa poi la società. Locke si concentra molto anche su alcuni diritti indipendenti dallo stato: la proprietà, le relazioni familiari, i commerci. In particolare, il principio di proprietà viene spiegato come possesso del frutto del proprio lavoro, a patto che si lasci anche agli altri la possibilità di fare la stessa cosa con lo stesso bene (in Locke ci sono fondamenti religiosi, esempio della sorgente e dell’uomo che riempie il proprio secchio). Una cosa è mia perché me la sono guadagnata, ma lascio anche agli altri la possibilità di fare lo stesso. Il lavoro è il mezzo con cui l’uomo può guadagnarsi tutto, la naturale estrinsecazione dell’umanità dell’uomo; l’uomo è proprietario di sé stesso e tutti gli uomini hanno eguali possibilità di realizzare loro stessi mediante il lavoro. A loro due si aggiunge anche ROUSSEAU => si differenza completamente da Locke e leggermente da Hobbes. Rousseau pensava che non fosse da criticare una forma di relazione sociale invece di un’altra, ma la forma sociale in quanto tale; secondo lui, l’uomo poteva essere sé stesso e raggiungere la sua felicità solo nel suo stato di natura, situazione in cui non aveva limiti di alcun tipo. La differenza con Hobbes è che per Rousseau è impensabile rifiutare a qualcosa come la libertà. INDIVIDUO L’individuo e l’individualità come concetto hanno radici religiose, in quanto sono il risultato della cristianità e del processo di secolarizzazione che ha riguardato quest’ultima. Il cristianesimo l’ha messo così al centro da operare un distinguo tra aspetto religioso e materiale (“diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”), processo chiamato privatizzazione della religione. All’interno del processo di secolarizzazione, tuttavia, emerge anche la Riforma: con essa, l’individuo non esce più solo fuori dalla sfera statale/materiale, ma inizia a concepire la religione come qualcosa di privato, individuale, da non esternare necessariamente. Una scelta soggettiva. Secondo Dumont, tutte le società sono gerarchiche (l’unica a non esserlo è quella moderna occidentale, la nostra, perché ha sostituito al principio gerarchico quello egualitario). La gerarchia esclude l’eguaglianza: si appartiene ad una determinata categoria e non si può cambiare ciò. In una società individualista ed egualitaria, invece, non si pensa che tutti siano uguali, ma che la società sia al servizio dell’individuo e non il contrario, e che ognuno possa dispiegare al meglio le proprie potenzialità. Le gerarchie che esistono nella società moderna sono, invece, di ruolo: si tratta di status (nobiltà, ad esempio), diversa dall’essere ad esempio borgese, condizione volatile e non permanente. IL METODO SOCIOLOGICO: La sociologia si è posta l’obiettivo di raggiungere gli stessi grandiosi livelli delle scoperte naturali in ambito di fisica, con metodologia empirica e scientifica, che assicura oggettività e una conoscenza certa e stabile. I due processi fondamentali della sociologia sono l’osservazione e la generalizzazione. Il limite del primo è che non tutto è materiale e dunque osservabile; quello del secondo è che la generalizzazione deve essere ancorata all’esperienza. 1.Quale tra i due processi viene prima? Due teorie: induttivismo (secondo cui viene prima l’osservazione => fatti, teorie, fatti) e deduttivismo (secondo cui ci deve essere già qualche teoria prima dell’osservazione dei fatti => teorie, fatti, teorie). Entrambe portano allo stesso risultato, ossia alla formazione di teorie che restano valide e vengono formalizzate, anche chiamate leggi. 2. Quando, in seguito al processo di generalizzazione, si può dar vita al processo di universalizzazione? Esempio di una mosca, che ha 8 zampe => tutte le mosche avranno, allora, 8 zampe? Hume ci dice che non c’è una vera e propria risposta, ma che solitamente ci si affida alla scienza, che fino a questo momento non ha tradito la fiducia dei sostenitori del suo metodo. Questa concezione della scienza è chiamata positivismo: il positivismo ottocentesco e la sua ineguagliabile importanza è ciò che ha sempre posto su un gradino superiore le scienze naturali rispetto a quelle sociali, che tutt’oggi soffrono complessi di inferiorità e subiscono critiche da svariati punti di vista. Ma gli uomini non possono essere studiati come può essere studiata la scienza perché essi possono modificare i loro comportamenti, mentre la natura resta immutata, così com’è. Alla spiegazione, in ambito sociologico, quindi, si affianca la comprensione. Le azioni umane non vanno solo spiegate, ma soprattutto interpretate e comprese. Limite: Come faccio a comprendere il comportamento altrui? A questo la sociologia risponde dicendo che non è l’azione in sé per sé a dover essere compresa, ma l’azione come anello di una catena che dà vita a un nucleo di atteggiamenti umani da comprendere e rendere generali. A tal proposito, la sociologia fatica a ottenere leggi che possano essere valide per tutti, essendo essa stessa lo studio della diversità dei comportamenti umani che convergono poi nello studio di un’unica tendenza… Due momenti sono memorabili nello studio della sociologia e nella ricerca di un metodo che potesse rendere scientifiche delle scoperte in ambito sociologico: 1. Falsificazionismo di K. Popper => secondo Popper, si può definire scientifica un’azione che possa essere sottoposta a falsificabilità e che resista ai tentativi di confutazione. La falsificabilità viene dimostrata con controlli empirici. 2. Kuhn => dice che la scienza va avanti con rivoluzioni e scoperte rivoluzionarie, non con metodo cumulabile (aggiungendo informazioni a una stessa scoperta). Distingue tra scienza normale e rivoluzionaria; la seconda è quella progressista. La scienza non studia valori, ma fatti; la sociologia sì. KARL MARX Karl Marx fu un filosofo del XIX secolo, che studiò la società umana. Il marxismo (diffusosi principalmente grazie ad Engel, suo contemporaneo) e la sua storia si differenziano da quella che è la vera e propria ideologia di Marx: egli aspirava a diventare il Darwin delle scienze sociali, mediante uno specifico strumento, la critica. Durkheim vuole considerare i fatti sociali come delle cose: per lui, tutto ciò che è osservabile è dato come cosa. Tutto ciò che può essere studiato è tale => una delle sue affermazioni sul metodo sociologico più criticata. Per spiegarli, inoltre, è necessario trovarne la causa efficiente, il motivo per cui sta accadendo; in questo modo, la spiegazione diventa indipendente dall’individualità del soggetto ed è in questo che si differenziano principalmente le scienze psicologiche da quelle sociali. Ogni società ha il proprio modo di costruire i fatti sociali e non c’è un criterio in base al quale alcuni criteri siano giusti e altri sbagliati: tutto è valido per il contesto in cui è inserito. LA COSCIENZA COLLETTIVA e LA SOLIDARIETÀ Abbiamo tre tipi di solidarietà per Durkheim: sociale, meccanica, organica. La coscienza collettiva è la capacità del mondo sociale di influenzare la coscienza individuale. Questa coscienza, secondo l’autore, si può sviluppare in due metodologie: per integrazione e per regolamentazione. Nel primo caso, essa è il frutto dell’integrazione dei contributi provenienti da altri soggetti con noi; nel secondo, la coscienza si forma regolamentando gli impulsi profondi e tipici dell’essere umano. È in questo campo che si sviluppa la solidarietà meccanica: molto spesso ci sono impostazioni sociali, come la coscienza collettiva, che non lasciano spazio alla nostra individualità di intervenire e che, pur non essendo obbligatorie, indirettamente lo diventano per l’individuo (vedi caso del matrimonio in chiesa). Quando, invece, queste credenze e valori collettivi crollano si va incontro all’anomia: per Durkheim la nostra società è anomica; è, cioè, esente da punti saldi su cui contare. Questo fa sì che l’uomo si trovi, in un certo senso, smarrito e inizi a sviluppare una certa dipendenza dagli altri. È qui che si parla di solidarietà organica: gli uomini diventano tutti membri di uno stesso grande organismo e dipendono gli uni dagli altri. Questo organismo è paragonabile a un meccanismo socioeconomico in cui le parti sono interdipendenti; la debolezza dell’uomo singolo si concretizza in unione con gli altri. DUE TIPI DI FARE LEGAME SOCIALE: - m e t o d o p r e m o d e r n o -metodo moderno. Cambia anche la visione che Durkheim ha dello stato: da sociologo, egli crede che esso non possa più molto influire sul rapporto tra società e individuo, a differenza di ciò che faceva il giusnaturalismo. Durkheim analizza anche un altro tema molto importante => la devianza. Deviante è tutto ciò di non conforme alle regole, tutto ciò che si contrappone alla coscienza collettiva, il contrario di ciò che farebbero tutti. Essa è il prodotto della tensione tra costrizione sociale e autonomia. Es: tutti passano con il verde e chi passa con il rosso ha un comportamento deviante. Ma ciò che farebbero tutti non è detto che equivalga al concetto di “giusto”: questo dipende molto dal contesto e non è qualcosa da generalizzare. Senza devianza, tuttavia, non ci sarebbe il progresso o il cambiamento nella società: non è, pertanto, qualcosa da condannare a prescindere. SUICIDIO “Ogni caso di morte compiuto dalla vittima stessa, consapevole di produrre questo risultato, che risulti direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo”. “Positivo” =>fare qualcosa per morire; “negativo” => non fare qualcosa per morire (non curarsi, non bere, non mangiare”. Il risultato è lo stesso. Questo è un tema trattato nell’opera durkheimiana sul suicidio: quest’ultimo è ovviamente affrontato in un’ottica sociologica, invece che psicologica (tenta di spiegare, cioè, un fatto sociale); tenta di generalizzarlo, invece di provare a spiegare la causa dietro il singolo suicidio. Ad esempio, ci dice che il tasso di suicidi è maggiore per i protestanti rispetto ai cristiani, e giustifica ciò con la teoria che il protestantesimo è più anomico del cristianesimo, che invece colloca i suoi seguaci all’interno di una struttura salda e gerarchicamente definita). Secondo Durkheim abbiamo quattro tipi di suicidio: fatalista, egoista, altruista, anomico. 1. FATALISTA => avviene per eccesso di regolamentazione, per l’estremizzazione di regole e imposizioni sociali che non lasciano libero l’individuo, che pertanto si sente obbligato, costretto e -in certi casi- decide di togliersi la vita. 2. EGOISTA => avviene per difetto di integrazione; essi diminuiscono in situazioni di interazione sociale (come la guerra) e aumentano in situazioni di pace, perché vi è mancanza di rapporti sociali a cui appoggiarsi. 3. ALTRUISTA => avviene per eccesso di integrazione e un esempio potrebbe essere il suicidio terroristico: ci si lascia così prendere da ideali comuni, collettivi, sociali, che si è capaci di perdere la propria vita per onorare questi ultimi. Altro esempio è il marinaio che invece di salvarsi affonda insieme alla sua nave. 4. ANOMICO => avviene per difetto di regolamentazione; l’assenza di regole e istituzioni solide lascia l’individuo in balìa dei propri illimitati desideri (caratteristica tipica della società moderna, alquanto materialistica), causandogli un senso di perdita e di incertezza a cui l’uomo non sa far fronte. Suicidio versanico: si basa sullo stato mentale dell’individuo. Per Durkheim, il suicidio si può ulteriormente dividere in: diretto e indiretto. Nel primo caso, esso è un atto volontario compiuto direttamente; nel secondo, un’azione qualsiasi può portare l’uomo a morire indirettamente (violare lei leggi ai tempi dell’Impero Romano significava essere puniti con la morte). RELIGIONE VS RAGIONE L’autore affronta entrambi i temi nella sua opera “Le forme elementari della vita religiosa”. Nella sua ottica, essi sono entrambi fatti sociali, prodotto di attività collettive; solo l’individuo socializzato è razionale. RAGIONE => prendendo in considerazione le categorie kantiane con cui è spiegato il contatto tra uomo e realtà, Durkheim le critica ritenendole prodotto di attività sociale, ugualmente. Il tempo, ad esempio, non è qualcosa presente a priori (come sostiene Kant) ma il prodotto del pensiero umano di una certa società, probabilmente diverso in ogni contesto in cui si sviluppa. Circolarità tra pratiche e categorie: le prime pongono le basi per le seconde, che sono però condizione delle prime. RELIGIONE => se la società si basa sulla religione, la religione si basa sulla società. Per Kant la religione è l’insieme di credenze socialmente diffuse, che l’uomo crea per “comodità” (vedi gli dèi o Dio) e che restano astratte, pur producendo effetti reali; il concetto di sacralità è riducibile a oggetti o figure a cui noi attribuiamo una particolare forza comune, collettiva, che in certi casi prende il nome di effervescenza collettiva. In questo fenomeno l’individualità viene meno, si fonde la collettività, lo spirito di gruppo. Come può, allora, restare immutato lo spirito collettivo in tutti questi cambiamenti? L’unica cosa che resta immutata è l’individualità del soggetto; il culto dell’individuo, non a caso, sta diventando sempre più interiore e personale, sempre più in divenire. MAX WEBER IL RPOCESSO DI RAZIONALIZZAZIONE Max Weber è il primo grande teorico dell’azione sociale; ha una grande passione per la politica e, in realtà, in vita si occupa di tantissimi e diversificati ambiti. A partire dalla politica, che lo porterà a far parte del processo di formazione della costituzione di Weimar, per continuare con la sociologia, l’economia etc. In vita finisce per occupare tantissime cattedre, principalmente di economia politica, scienze sociali e politiche; entra in uno stato depressivo della sua vita a partire dalla morte del padre, stato dal quale partono svariate riflessioni sull’insensatezza umana. In vita scrisse molteplici opere e tenne svariate conferenze; fondamentale fu il saggio “Economia e società”, famosissimo, portato a termine dalla moglie a partire dal 1920, anno della sua morte. La sua riflessione più famosa e rilevante nasce sulla curiosità di comprendere il ruolo dell’Occidente nella storia e nel mondo, che finisce per essere un vero e proprio processo di razionalizzazione della società. Il metodo che Weber utilizza è ben diverso dal classico positivismo francese -secondo cui, per parlare di sociologia, era necessaria la generalizzazione delle leggi-; trattando egli di argomenti ben diversi da quelli naturali, facilmente generalizzabili ed estraibili dal caso concreto, l’autore si avvicina molto di più allo storicismo e al suo punto di vista in merito. Weber, infatti, senz’altro riconosce l’unicità e la particolarità dell’azione umana, che assolutamente non può essere generalizzata e uniformata senza comprenderne prima l’essenza. A tal proposito, egli ritiene necessario un processo di comprensione, che si ottiene mediante l’interpretazione. La comprensione di un atteggiamento, tuttavia, non dà per scontata la comprensione di tutti gli altri atteggiamenti simili. Questa ricerca della comprensione e dell’empatia compongono il fulcro della lotta per il metodo, anche detta “Methoden Strike”, citata successivamente nel campo della fenomenologia. Storia => insieme delle azioni umane. La sociologia, per Weber, si pone come obiettivo quello di spiegare un evento casualmente nel suo corso e nei suoi effetti. Oggetto della sociologia è l’azione sociale; soggetto della sociologia è l’attore sociale. L’attore sociale, quindi, si pone come obiettivo quello di interpretare i fatti sociali di altri attori. Per farlo, Weber si serve tantissimo degli ideal-tipi: costruzioni astratte e mentali che racchiudono un concetto estremizzato di una specifica realtà. Anche detto “tipo ideale”, esso non è altro che uno stesso concetto privo di particolarità, nel suo senso più generale: un esempio è dato dal quaderno “rosso”. Il rosso che noi vediamo sulla copertina è solo una delle possibili manifestazioni e combinazioni del rosso che invece rappresenta il concetto generale, ossia quel colore dato dall’unione di giallo e viola. Questo è il metodo che l’autore usa per far fronte a quelle che sono le incompatibilità tra unicità del comportamento umano e generalizzazione => obiettivo del sociologo è generalizzare qualcosa di particolare senza perdere l’unicità del fatto. Così facendo, si può trovare un senso alla storia, senso che dipende dai nessi tra eventi storici con relazione di mezzo-scopo. La rilevanza del singolo evento storico dipende propriamente dal peso causale che quell’evento ha all’interno del nesso storico. Qualcuno potrebbe opporsi all’oggettività dello scienziato sociale, essendo anch’egli un attore sociale e interpretando anch’egli la società a modo proprio; questo anche perché interpretare vuol dire, per forza di cose, entrare in sintonia con gli altri attori sociali che compiono l’azione. In realtà, Weber ci dice che anche per un attore è possibile essere oggettivi, semplicemente escludendo il “giudizio di valore” e facendo solo “riferimento al valore”. Lo scienziato deve anche eliminare la totalità storica: non è possibile, infatti, spiegare un concetto in quanto tale, al massimo è possibile spiegarne i nessi causali e le dietrologie. A tal proposito, Weber critica il metodo marxista di spiegare il capitalismo. Alla sua tesi, oppone la teoria secondo cui il capitalismo non è altro che il frutto del processo di razionalizzazione, dietro al quale ci sono anche fondamenti religiosi che analizza nel suo percorso. Tutto sommato, la concezione sociologica weberiana è di stampo individualistico: l’attore crede che sia l’individuo preso singolarmente a dover trovare un senso alla propria esistenza, alla propria vita, alle proprie azioni. Tutto ciò è molto più complicato rispetto alla passività, all’essere assuefatti dal modo di concepire il mondo e la vita di altri. L’azione si distingue per il senso consapevole e intenzionale che il soggetto le dà, a differenza di ciò che accade con i “comportamenti”, molto spesso irrazionali o abitudinari; ancora, l’azione semplice si distingue dall’azione sociale: l’azione sociale è quella rivolta ad altri. Pregare in camera o in chiesa con altri è un esempio di differenza tra azione e azione sociale. Weber identifica quattro tipi ideali di azione, due di tipo razionale e due di tipo irrazionale. Mai nessuna azione concreta corrisponderà a uno solo di questi quattro tipi, interamente. 1. AGIRE TRADIZIONALE => rappresenta tutte le azioni che compiamo sulla base di abitudini a cui probabilmente neanche facciamo più caso, sono cose che ci aspettiamo già (es. ci aspettiamo che nel periodo natalizio i negozi si riempiranno). 2. AGIRE AFFETTIVO => rappresenta tutte le azioni compiute sulla base di sentimenti irrazionali come l’amore, la rabbia, la paura. Azioni che non riusciamo a controllare e che rientrano nella nostra sfera più impulsiva dell’uomo. 3. AGIRE RAZIONALE RISPETTO AL VALORE => sulla base del concetto secondo cui se non c’è razionalità non c’è personalità, distinguiamo la razionalità in due tipi. In entrambi i casi, l’autore è razionale, consapevole, intenzionale, pertanto anche autonomo. Pertanto, è possibile affermare la netta differenza tra scienza e sociologia: probabilmente, dice Simmel, è possibile ricavare schemi interpretativi che si ripetono, a patto che non siano univoci o vincolanti (visto che l’oggetto è qualcosa di molto propenso alla mutazione, in quanto parliamo dell’agire umano). RAPPORTO TRA VITA E FORMA Simmel considera la vita come un incessante fluire che si manifesta attraverso delle forme; il tutto è paragonabile alla lava di un vulcano che, rapprendendosi e raffreddandosi, si manifesta sempre in maniera diversa, con forme diverse. Questa diversificazione di forme è ciò che comporta anche il cambiamento culturale. Tuttavia, le forme di cui parla Simmel sono diverse dalle forme Kantiane. Le prime sono il risultato della vita sociale, non dello studio; il soggetto non è trascendentale, ma l’uomo sociale. Con questa differenziazione tra forma e contenuto appare più facile comprendere che l’oggetto dello studio sociologico dell’autore è il rapporto tra forme dell’interazione sociale, insieme delle interazioni e forme che esse assumono; tutto è in rapporto con tutto e ciò che domina nella realtà sociale è l’azione reciproca tra elementi che interagiscono. Gli individui, in particolare, si attraggono e si respingono, creando un’infinita gamma di situazioni mai prese in considerazione prima di allora. Es: “non si parla di triangolo”, ma di “oggetto a forma triangolare” => mette al centro dell’attenzione la mutevolezza. SOCIETA’ => è essa stessa una forma, la forma della somma di queste interazioni sociali. È diversa da una realtà concreta, non è una cosa concreta o un organismo autonomo. Proprio per questo, Simmel rifiuta la sistematicità di un metodo sociologico troppo astratto per lo studio delle interazioni. Definisce la sociologia, a tal proposito, una scienza formale. Lo stesso uomo appare determinato dall’azione reciproca, che hanno le loro basi negli impulsi umani, i quali rappresentano la materia della società, non la società stessa. Questi impulsi diventano la società nel momento in cui creano relazioni. Le forme di associazione prodotte dall’influenza reciproca sono l’oggetto della sociologia. Individuo: punto di incontro delle relazioni sociali. Società: l’insieme di reti di relazioni. Le due cose non sono contrapposte, non sono entità. La forma che le relazioni assumono può presentarsi in più contesti. Il contenuto si esprime solo con la forma (non con una forma, con la forma) e la forma esprime un contenuto. Una società può non contenere tutte le forme pure (quelle basilari, esclusione, divisione del lavoro, concorrenza), ma non può non contenerne nessuna. Ci parla di liberazionismo simbolico => individui e società non sono separabili o distinguibili se non in modo analitico. Per l’autore in ogni cosa si può trovare un’interpretazione, non univoca ma secondo tre punti di vista differenti: 1. dell’individuo; 2. delle forme di azione reciproche; 3. dei contenuti astratti (senza forme). >PROBLEMA SOCIOLOGICO DI SIMMEL => include nella macrosociologia (in cui astrae le forme dai contenuti) la microsociologia (in cui analizza i particolari delle relazioni sociali), in una prospettiva mai usata prima e con contenuti mai visti prima. >RAPPORTO TRA GRUPPO SOCIALE E INDIVIDUO => processo di differenziazione e individualizzazione; più c’è differenziazione, più c’è individualizzazione; meno c’è differenziazione, più il gruppo sociale è compatto e fuso, quindi meno c’è individualizzazione. Il gruppo sociale, addirittura, arriva a perdere forza sia quando è ampio, sia quando c’è individualizzazione. A un aumento di individualizzazione, inoltre, corrisponde un aumento della gamma di possibilità di scelta di gruppi sociali da parte dell’individuo. Se, in un simile contesto, manca il fenomeno dell’intersecazione delle cerchie sociali, l’individuo si ritrova costretto a scegliere così aumentando la sua individualizzazione. L’appartenenza a più cerchie può talvolta portare al conflitto ma, soprattutto, può portare alla differenziazione individuale: l’assunzione, cioè, di posizioni differenti e contrastanti tra loro, a seconda della cerchia sociale in cui agiamo (esempio: donna cattolica e con ideologie di sinistra). Questi conflitti interiori possono anche portare alla crisi di identità, alla frammentazione dell’io e alla perdita della propria personalità. Importante è, in questi casi, riuscire a preservarla. Altra opera importante è “Filosofia del denaro”, opera in cui Simmel analizza la complementarità della filosofia e della scienza; la prima, per quanto astratta, pone le basi della seconda e del suo processo scientifico. Questo libro analizza anche l’effetto non irrilevante del denaro sulla società, sulla persona, sulla cultura; inoltre, è lì analizzato il processo di alienazione che tale mezzo innesca. SIMMEL E L’ECONOMIA Per Simmel l’economia è basata sul rapporto di scambio e produzione; per Marx, ad esempio, l’economia era basata sui processi di produzione. L’impostazione simmeliana è individualistica e fondamentale per lui è il concetto di utilità => tutto è soggettivo, l’utilità di qualcosa dipende solo ed esclusivamente dalle esigenze personali. Tuttavia, altro aspetto del libro è riassunto nella formula “La modernità rappresenta la tragedia della cultura”: per Simmel il denaro, oltre ad aver avuto riscontri positivi, è anche un mezzo altamente distruttivo, che ha portato anche molteplici conseguenze negative. Esso è un mezzo di scambio, indifferente al contenuto; può applicarsi a un’ampia quantità di relazioni e ha un carattere sempre più quantitativo che qualitativo. Da mezzo, diventa esso stesso fine. Avendo esso un effetto molto forte sulle persone, Simmel identifica due tipi di individui e ne analizza il rapporto con esso: parliamo dell’individuo cinico e dell’individuo blasè. Il primo è assolutamente indifferente al valore delle cose ma interessato alla loro natura; il secondo è indifferente alla qualità in quanto è annoiato dalla vita, ma è in cerca di stimoli, di sensazioni diverse da provare. Prendendo in esame l’economia monetaria, essa ha avuto i suoi lati positivi e negativi. Sicuramente, se paragonata al feudalesimo, un aspetto positivo è l’indipendenza rispetto ad altri, a differenza di ciò che accadeva con i proprietari terrieri e coloro ai quali venivano ceduti i territori (in quanto l’elemento personale è sempre minore). Proprio a tal proposito, però, ecco l’aspetto negativo: la persona è vista sempre più come un macchinario e come un mezzo attraverso cui produrre, v’è la crescente mancanza di relazioni sociali e di rapporti personali tra datore di lavoro e lavoratore, oltre che tra lavoratori. >TEORIA TRAGICA DELLA CULTURA MODERNA => sempre sulla base del fatto che Simmel critica la modernità, è importante ricordare che questa alienazione di cui abbiamo parlato diventa uno dei punti fermi del pensiero sociologico dell’autore. L’alienazione simmeliana è diversa da quella kantiana, ma la sua conseguenza principale è l’indifferenza verso gli eventi. >PROCESSO DI INTELLETTUALIZZAZIONE => accanto alla razionalizzazione weberiana, prende piede quest’altro processo, che diventa altrettanto importante. Il nome intellettualizzazione riassume il fatto che la cultura diventa sempre più dominata dal calcolo, che non vuol dire sempre più capace di affrontare la vita, ma vuol dire che include sempre più la funzionalizzazione e l’oggettivizzazione del sapere. Nel volume “Sociologia”, Simmel si chiede come sia possibile la società. Egli discute alcuni tratti della stessa ritenuti abbastanza atipici, tratti come le lotte, la subordinazione, la sottomissione; affronta anche due temi importantissimi, quali lo spazio sociale e la distanza sociale. SPAZIO SOCIALE => lo spazio, inteso come concetto, alla fine non è altro che la gestione di un confine; quest’ultimo non è un fatto geografico ma psicologico. Lo spazio è anche espressione di relazione sociale: il legame tra spazio e individuo c’è in tutti i casi, ma può essere più o meno forte. Pensando ai nostri antenati, infatti, lo spazio sociale era sicuramente particolarmente “sentito”: non ci si allontanava troppo dal proprio ambiente, la propria zona era ritenuta migliore per qualsiasi motivo, era importante mantenere il patriottismo. DISTANZA SOCIALE => quest’altro concetto, invece, riguarda il rapporto sociale tra persone su uno stesso territorio. Questa distanza sociale varia in baso al grado di indifferenza dei rapporti sociali. Lo straniero è una forma che assume un rapporto di interazione: è colui che oggi viene e domani rimane, colui che -anche se è vicino- noi consideriamo lontano, è membro di uno stesso gruppo che -nonostante ciò- noi sentiamo lontano. È vicino a noi solo per cose molto generali, come l’essere uomo o la nazionalità; questo ci porta, addirittura, a considerarli talvolta come stranieri di un tipo e neanche più uomini (egli non è più il signor Alì, ma un arabo; non è Yang, ma un cinese etc). METROPOLI => è solo un nome che diamo a un insieme di relazioni. Rappresenta perfettamente il mondo moderno, una concentrazione di persone che vanno e vengono, rappresenta l’eterno fluire e l’instabilità della società. Inoltre, questo è un luogo tipico, adatto all’individuo blasè che -annoiato dall’eccesso di possibilità- è indifferente a tutto. In un ambiente come la metropoli: 1. Libertà diventa indifferenza; 2. Molteplicità di alternative diventa superficialità; 3. Autonomia diventa artificialità dei rapporti. L’uomo moderno è libero, sradicato, vivace, proprio come l’abitante della metropoli; la mutevolezza della modernità sta nel cogliere l’attimo, ci si adatta all’essere sfuggente dell’uomo e anche dell’universo stesso. Analisi simmeliana: in conclusione, essa è sempre bilaterale; mette in luce il carattere contraddittorio e i molteplici punti di vista per uno stesso fatto, non si ferma mai solo all’aspetto positivo o negativo. Alla ragione inizia ad essere preferito l’intelletto, che esclude il senso e si basa solo sui fatti; la difficoltà dell’uomo sta nella sfida con qualcosa che lui stesso ha prodotto, la cultura oggettiva, che si scontra con quella soggettiva. Obiettivo è far valere l’io nella società. RIASSUNTO SUI PRECURSORI DELLA SOCIOLOGIA- 10 PUNTI COMUNI: 1. TEORIA DELLA MODERNITÀ=> tutti gli autori effettuano una loro teoria circa la modernità, da diversi punti di vista (Marx economico, Durkheim sociale, Weber individuale, Simmel culturale). 2. ATTEGGIAMENTO CRITICO => una novità del rapporto tra sociologia e realtà consiste proprio nel fatto che quest’ultima inizia ad essere affrontata con criticismo; tutti gli autori in questione hanno preso in considerazione alcuni aspetti contemporanei e ne hanno criticato l’essenza, innalzando questioni, dubbi, problematiche. 3. SOSTITUZIONE DELL’ASPETTO QUANTITATIVO A QUELLO QUALITATIVO => dipende principalmente dal diffondersi dell’era capitalistica; il sostituirsi del lavoro spersonalizzato ai rapporti sociali crea le basi di una società molto più quantitativa che qualitativa. 4. CONTINUO CAMBIMENTO =>la mutevolezza e le continue trasformazioni sociali. 5. SECOLARIZZAZIONE => la graduale assenza di religione nelle cose, analizzata da svariati autori come Durkheim, Weber, Simmel etc. In particolare, questo tema è implicitamente fondamentale nell’anomia di cui parla Durkheim, quella mancanza di punti saldi di cui molti sono contenuti proprio nelle teorie religiose. 6. LAVORO => trattato da tutti; non è più motivo di umiliazione o sottomissione ma, anzi, uno dei pochissimi modi che l’uomo ha per far fuoriuscire la sua vera essenza. 7. FONDAMENTO RAZIONALE => bene o male, in più casi ci si è chiesto se la società avesse un fondamento razionale -sulla scia dell’illuminismo-. Per molti la risposta è negativa: il fondamento risulta essere ancora prevalentemente morale, in particolare per Simmel e Weber. 8. PORTATA UNIVERSALIZZANTE => le questioni riguardano tutti. 9. DIZIONARIO SOCIOLOGICO => con Marx abbiamo analizzato i rapporti di scambio, di produzione, la struttura e la sovrastruttura, la lotta tra classi; con Durkheim l’essena della società e la sua anomia; con Weber il processo di razionalizzazione; con Simmel quello di intellettualizzazione. 10. DISTINZIONE TRA INDIVIDUO E SOCIETÀ => questa distinzione in alcuni è presente come contrapposizione principale, in altri come semplice messa a punto. In particolare, i due autori che se ne occupano principalmente sono Weber -da un punto di vista individuale- e Durkheim -da un punto Egli cerca di spiegare la società attraverso la funzione che essa si propone e le strutture di cui si serve per portare a termine i suoi obiettivi. Un precursore del funzionalismo potrebbe essere considerato Durkheim, con il suo funzionalismo organicistica (parlava di società), che Parsons si prefissa di superare. Come quest’ultimo, i funzionalisti in generale si chiedono: “con che criterio stabilisco la funzionalità?” Per alcuni l’organismo funziona se garantito il mantenimento della vita, ma Parsons si chiede: “qual è il fine sottratto al funzionamento? “. Sistema, struttura, funzione e processo sono i concetti base del funzionalismo. In questa corrente di pensiero ci si chiedeva se esistesse una società a prescindere dal suo contesto, a prescindere dal fine, una società in quanto tale che non dipendesse da fattori esterni. TALCOTT PARSONS Talcott Parsons nasce nel 1902 e muore nel 1979. Si colloca in una posizione intermedia tra Durkheim e Luhmann; in vita è stato molto vicino e interessato allo studio della filosofia, della biologia, dell’economia e della sociologia. Parsons scrisse svariati libri, i più importanti sono “La struttura dell’azione sociale” e la “teoria dell’azione”. Fu un sociologo che portò lo struttural-funzionalismo dall’America al resto del mondo e furono in tantissimi gli altri autori a ispirarsi a lui; questa corrente di pensiero entrò, tuttavia, in crisi a causa delle innumerevoli critiche che Parsons si portò dietro: si pensava che non tenesse conto del mutamento sociale e delle disuguaglianze, della situazione dei poveri e delle persone sfortunate. Nonostante ciò, Parsons cerca di costruire una teoria generale della società, anche se controcorrente; funge da spunto per tanti altri, in particolare per Habermas e Luhmann. Parsons distingue tre elementi, che possiamo considerare i punti più importanti del suo studio: la teoria generale della società, l’interiorizzazione dei valori sociali per l’integrazione, la differenziazione funzionale. Altro aspetto ricorrente è il quesito su come comunità senza individui e società di individui potessero essere messe a paragone. Parsons cerca di non ricondurre la sociologia a qualcosa di diverso, cerca di trattare la sociologia in quanto tale; in ciò si differenzia tantissimo da Durkheim e molti altri, che vedevano nell’azione una natura sociale. Parsons si distingue per il concetto di volontarietà, di azione per interessi individuali e non generali come quelli dell’homo economicus trattato da Durkheim. Questa volontarietà rimanda sì a valori socialmente condivisi, al senso comune, ma -a differenza di altri autori che ci parlano di senso comune- emerge qui una maggiore preponderanza dell’aspetto individualistico. Per Parsons la sociologia e la teoria della società nel mondo moderno è generalizzabile, motivo per cui egli fu oggetto di innumerevoli critiche. Parsons si chiede cosa accomunasse le diverse società, come fosse possibile mettere a paragone comunità senza individui e società di individui: la spiegazione sta nella funzione. I problemi comuni, non le istituzioni, dovevano essere messi a paragone. Da qui deriva l’idea di funzionalismo, di come risolvere tali problematiche a prescindere dal resto. Tali funzioni sono svolte da strutture sociali (la scuola, lo Stato,), strutture destoricizzate che mantengono la loro funzione per il processo di astrazione del soggetto dal ruolo. Non si tratta, quindi, di uno studio che va dalla realtà a formulare la teoria, ma di uno studio che dalla teoria compone la realtà, che funge da oggetto di studio. Il lavoro di Parsons può essere distinto in due principali momenti: 1. il primo, teorico, in cui egli stabilisce la sua concezione astratta di sistema sociale. 2. Il secondo, concreto, prevede l’applicazione di questo modello alla ricostruzione dell’evoluzione delle società storiche nel tentativo di spiegare come emerga il mondo moderno all’interno di tale evoluzione. Parsons crede che l’azione sia ricondotta a significati che l’attore dà su una base prettamente individualistica; questo, visibilmente, si distacca dal pensiero comportamentalista secondo cui noi agiamo sulla base di ideali collettivi. Parsons ci parla anche di “atto elementare “, che sarebbe l’azione base, composta da quattro elementi: 1. Attore che agisce, il soggetto in questione; 2. Un fine, uno scopo; 3. Un contesto, un ambiente in cui agire, le condizioni e i mezzi in vista del fine; 4. Relazione tra questi vari elementi dell’azione. Questi quattro elementi, proprio perché in relazione tra loro, compongono un sistema di azione sociale; questa stessa relazione comporta una decisione tra alternative ed è proprio in questo caso che emerge il volontarismo: scegliere di agire in un modo invece che in un altro è simbolo di libertà e di espressione della propria soggettività. Queste decisioni vengono, tuttavia, prese sulla base di alcuni orientamenti normativi: ciò che distingue Parsons da altri è la messa in luce della soggettività, questo volontarismo, il fatto che la risposta agli stimoli possa essere diversa da individuo a individuo e non dipende da leggi generiche. Tuttavia, Parsons riconosce l’importanza di un orientamento normativo collettivo, sulla scia di Durkheim, che ci parlava di coscienza sociale: quest’orientamento normativo, seppur in maniera ridotta, orienta l’azione individuale. Parsons distingue tre sistemi di azione: -sistema di azione sociale, curato dalla sociologia; -sistema di azione della personalità, prese in considerazione della psicologia; -sistema di azione culturale, preso in considerazione dall’antropologia culturale. Questa correlazione tra sistemi d’azione crea l’ordine sociale e la stabilità dell’ordine sociale è garantita dal ruolo sociale. Cos’è un ruolo? Il ruolo è indipendente dalla persona; è definito dalle aspettative di ruolo (da cosa le persone si aspettano che chi ricopre quel ruolo faccia) e dalla messa in atto delle aspettative di altri ruoli nei suoi confronti. A loro volta, le aspettative sono frutto di istituzionalizzazione. Alle aspettative del ruolo corrispondono premi (per quando vengono soddisfatte) e sanzioni (quando vengono disattese). La ricompensa per gli atteggiamenti positivi serve principalmente a orientare la popolazione. Cos’è il sistema sociale? È l’insieme integrato di ruoli che hanno interiorizzato le credenze collettive sulla base delle aspettative sociali. Altro processo importante è, quindi, l’interiorizzazione dei valori: è fondamentale, perché Parsons spiega il rapporto tra coscienza individuale e collettiva rifacendosi anche a Durkheim a Freud. Riprende il problema dell’uomo duplex, trattato da Durkheim ma lasciato irrisolto, e giustifica questa doppia natura dell’uomo -un po’ teso a seguire la collettività, un po’ teso a seguire la soggettività-, con il super-io di Freud. Sin da bambino, infatti, l’individuo è sempre più vicino alla sua società, anche se inconsapevolmente; tanto più il processo di interiorizzazione è forte, tanto più il soggetto agirà, inconsapevolmente, secondo gli schemi della società, fino ad arrivare ad essere il poliziotto di sé stesso. Per Parsons quindi i processi di socializzazione che ci seguono per tutta la nostra vita hanno un’importanza non trascurabile. Da agenzie di socializzazione, cioè da strutture sociali ad essi preposte, nascono i processi di socializzazione: in famiglia ci insegnano ad essere figli, a scuola ci insegnano ad essere scolari, nelle chiese ci insegnano ad essere credenti. È il sistema culturale che poi si occupa di preservare gli orientamenti normativi nel tempo. A questo punto sembrerebbe venir meno la volontarietà di cui Parsons ci ha parlato dall’inizio, ma è qui che interviene il tema della devianza: nonostante i processi di socializzazione ci impongano un determinato comportamento, l’uomo è libero di agire diversamente e di assumere un atteggiamento di deviante. A tal proposito Parsons identifica alcuni dilemmi dell’azione che, pur essendo socialmente strutturati, lasciano il soggetto la libertà di muoversi all’interno di un insieme di alternative. I dilemmi sono cinque e vengono anche chiamati variabili strutturali: -affettività \neutralità: a seconda della presenza o meno delle altre variabili strutturali, decidiamo di agire in maniera impulsiva e sulla base dell’affetto, o in maniera neutrale sulla base di razionalità; -diffusione \ specificità: questa variabile strutturale dipende dall’ampiezza del raggio di azione, che può essere più o meno diffuso, in base alla sua estensione (la relazione con il proprio coniuge è un’azione più diffusa rispetto all’elettricista che ci deve aggiustare la lampadina); -universalismo \ particolarismo: un’azione può essere influenzata da criteri universalistici (la legge), oppure particolaristici (come la madre decide di educare il proprio figlio); -realizzazione \ ascrizione: prendiamo in considerazione caratteri acquisibili nel tempo che ci farebbero sentire realizzati (titolo di studio) oppure indipendenti dalla nostra volontà (sesso, età, etc)? -orientamento verso il sé \ orientamento verso la collettività: prendiamo in considerazione criteri che sono stati elaborati dal soggetto, quindi da noi stessi, oppure sono quelli sociali uguali per tutti? I tre diversi sistemi di azione sono oggetto specifico di studio e, proprio mettendo questi in relazione, Parsons ha creato il sistema a AGIL, che contiene la compiuta formulazione dei quattro fondamentali imperativi funzionali di ogni sistema sociale. Le quattro funzioni sono: l’adattamento, il raggiungimento degli scopi, la latenza, l’integrazione. Queste quattro funzioni sono il risultato dell’incrocio tra una dimensione spaziale interno ed esterno e una dimensione temporale strumentale (futuro) consumatorio (presente). A: sta per adattamento delle risorse esterne all’interno del sistema (futuro); G: sta per goal achievement, raggiungimento degli scopi in una dimensione spaziale esterna ma nel presente; I: sta per integrazione, in una dimensione interna e presente; si tratta delle interazioni tra i vari attori del sistema per mantenerlo attivo; L: sta per latenza (mantenimento della struttura latente-gestione delle funzioni), in una dimensione interna e futura. Si occupa di fornire meccanismi per la gestione delle tensioni interne; tiene insieme le parti e fa sentire gli attori parte di una cultura. Ogni funzione il proprio campo di azione, le proprie istituzioni impegnate ad occuparsene, il proprio mezzo di interscambio: all’adattamento pensa l’ambito economico e come mezzo di scambio ha il denaro; al raggiungimento degli scopi pensa la politica, che ha come mezzo di scambio il potere; all’integrazione pensa la società, la sociologia, che ha come mezzo di scambio l’influenza sulle persone; alla latenza pensa la cultura, che ha come mezzo di scambio il mezzo di valore simbolico (rientra nel sottosistema fiduciario). Tutto ciò compone un sistema di interscambio funzionale. Interessante e anche l’analisi del potere che Parsons fa, paragonando lo stesso al denaro. L’autore critica l’ideologia per cui il potere è una quantità in forma zero, ossia una somma fissa da distribuire a tal punto che all’aumentare del potere di uno diminuisce il potere di un altro; l’autore definisce un valore simbolico, proprio come il denaro, che varia da istituzione a istituzione. Come la moneta di carta dei 50 € rappresenta solo simbolicamente il valore, così il ruolo politico rappresenta solo simbolicamente le azioni che si possono arrivare a compiere. >Parsons si chiede anche se esista uno stesso schema evolutivo che va da società più semplici a società più complesse. La differenziazione funzionale è la spiegazione ad alcuni schemi che si ripetono di società in società: prima tutte le funzioni erano svolte da un’unica cellula; adesso ogni cellula svolge un’unica funzione in cui si è specializzata. La differenziazione funzionale è il principale metodo di sviluppo e di mantenimento dell’ordine sociale di società in società. La differenziazione degli orientamenti premoderni è molto diversa dagli orientamenti moderni: prima gli orientamenti normativi imponevano al figlio del contadino di essere un contadino, al figlio del medico di studiare medicina, schemi sociali si ripetevano senza prendere in considerazione la volontà dell’individuo. Con gli orientamenti normativi moderni ci sono, solo a grandi linee e genericamente, degli atteggiamenti da seguire a cui attenersi, ma la società principalmente impone agli individui di essere liberi, probabilmente proprio perché individualizzata. Uno tra i principali esponenti della sociologia fenomenologica, insieme a Husserl, è Alfred Schutz, che nasce a Vienna nel 1899. È laureato in legge e si avvicina in tarda età alla sociologia; vuole mostrare come si manifesta il senso intenzionato soggettivo la cui oggettiva interpretazione fa sì che diventi senso oggettivo. Per farlo utilizza le cosiddette tipologie, tipizzazioni. Schutz si spira sia a Weber che ad Husserl; il suo oggetto di studi è il senso, sia in chiave oggettiva sia in chiave soggettiva: vuole spiegare la circolarità tra le due tipologie, che rimanda al concetto per cui gli individui producono la società, ma sono prodotti dalla stessa. Il senso soggettivo si dimostra la base del senso oggettivo e l’autore cerca nelle sue opere di mettere in chiaro le modalità con cui si costituisce il senso comune. Egli distingue tra intenzionalità e riflessività: l’intenzionalità è l’azione compiuta con uno scopo; la riflessività è il pensiero sull’azione stessa, postumo. L’azione, pertanto, può essere intenzionale e non riflessiva, ossia compiuta consapevolmente ma senza rifletterci. Importante risulta qui anche la dimensione temporale: per Schutz il senso è la dimensione riflessiva della continuità temporale, definizione che da’ ispirandosi a Bergson, per cui il tempo è una durata indivisa, un fluire continuo (e non l’insieme di tanti attimi separati messi uno dopo l’altro). Schutz critica l’arbitrarietà con cui noi lo intendiamo, specificando che se per noi sono le 10 del mattino, è solo perché convenzionalmente abbiamo deciso di spezzare il tempo. Si ispira anche ad Husserl, per cui il fluire del tempo è paragonabile al fluire della nostra coscienza: non manca, infatti, questo parallelismo all’interno delle sue composizioni. Schutz riflette su come ogni attimo sia il presupposto di quello successivo, non facciamo in tempo a dire che sono le 10 che sono già le 10 e 01: è per questo che la convenzione non rispecchia, in realtà, quello che il tempo è davvero; essa ci aiuta semplicemente a coordinarci. Il presente è convenzionalmente così, ma ogni secondo è già passato rispetto a quello successivo; il fluire intenzionale della coscienza è diverso dal riflettere su un evento che riguarda la nostra soggettività: proprio come il tempo, la nostra coscienza è un susseguirsi di eventi intenzionali ma non per forza riflessivi. La riflessione deriva dall’astrazione di un singolo evento, postuma, intorno al quale componiamo dei pensieri riflessivi: riflettere per l’autore è sempre uguale a ricordare, a prendere un prima dal passato e a riportarlo nel presente, ma non a viverlo nel presente. Riflettere vuol dire spezzare la continuità del flusso temporale, prendere coscienza. Schutz lo definisce un’uscita riflessiva dalla continuità temporale. Le nostre azioni acquisiscono un senso solo con la riflessione, che però è postuma rispetto all’azione: quindi l’azione non ha senso finché non viene pensata? In realtà, prima di ciò, Schutz risponde alla questione dicendo che il senso prima della riflessione è nel progetto d’azione. Il progetto d’azione è ciò che precede l’azione in sé, all’interno del quale noi intrinsecamente riponiamo anche il senso e il fine che attribuiamo all’azione che stiamo per compiere. Schutz distingue tra: -senso intenzionale, non appare all’attore; -senso riflessivo: solo con il pensiero, appare solo all’attore. Le conseguenze di cui l’autore ci parla sono: 1. l’azione è divisibile in più pezzi: proprio perché per pensare un evento e aggiungervi l’aspetto riflessivo è necessario astrarlo dal contesto più generale, ossia dal fluire incontrollabile di eventi, gli eventi stessi risultano divisibili. È necessario, per comprenderne il senso, concentrarsi sul fine; 2.il senso non può essere colto da altri se non nel progetto di azione: prima che un’azione venga compiuta è impossibile che attori esterni ne comprendano il senso, perché, come abbiamo detto, esso è attribuito solo in maniera postuma con la riflessività. Tuttavia, dall’esterno, è possibile cogliere il fine che l’attore si prefissa prima di agire => come sappiamo, questo è possibile solo mediante il progetto d’azione. 3.il senso è uguale a un modo per ricostruire esperienze andate perse con l’intervento della riflessività: sempre per il concetto secondo cui pensare vuol dire interrompere il fluire ininterrotto del tempo. 4.la stessa azione può avere un senso diverso a seconda che venga compiuta in contesti diversi o da soggetti diversi: può quindi essere interpretata in diversi modi e il processo interpretativo è cruciale per la comprensione del tempo. 5.l’azione compiuta può essere diversa dal progetto d’azione: tra i due vi è uno scarto temporale che ha una certa rilevanza e che fa sì, molto spesso, che non coincidano. Il progetto d’azione, ossia lo scopo che un attore si prefissa prima di compiere l’azione, non è sempre ciò a cui giunge ad azione compiuta; pertanto, non sarà uguale al senso che verrà fuori mediante la riflessività. A tal proposito, il senso viene diviso tra: senso ex ante e senso ex post. Nel primo caso viene fuori il motivo finale, lo scopo per cui quell’azione è in procinto di essere compiuta; nel secondo caso viene fuori il motivo causale, la ragione per cui quell’azione è stata compiuta. Riflessione sul perché la cosa sia avvenuta in quel determinato modo. Motivo finale motivo causale possono, quindi, anche non coincidere; la tensione ineliminabile tra i due è, però, fondamentale. Come abbiamo detto, lo sguardo riflessivo dà il senso all’azione, che non può che essere un senso oggettivo; la riserva di esperienza o di oggettività è l’insieme delle progressive sedimentazioni di senso prodotte riflessivamente dal soggetto. Ciò che noi siamo è l’insieme del senso che abbiamo attribuito alle nostre azioni; l’identità e quindi insieme sensato delle esperienze passate. Schutz predilige il metodo quantitativo, ma dà anche tantissima importanza al racconto soggettivo; cerca di far parlare il soggetto, di far raccontare l’esperienza, il punto di vista. Il ptogetto di azione degli individui è soggettivo e individuale. Importante è anche il concetto di razionalità: secondo Weber ne avevamo di due tipi, rispetto al valore o rispetto alla tradizione; qui la razionalità esiste quando le azioni sono coerenti per il fine, per il raggiungimento dello scopo previsto. Il raggiungimento dello scopo prevede varie azioni intermedie che possono essere definite uno scopo a sestante, parziale. Ad esempio, se per arrivare in facoltà -in quanto professore di sociologia- devo prendere l’autobus, il fatto di alzare la mano per farlo fermare è un’azione che può essere vista come indipendente (devo semplicemente prendere l’autobus, ma l’autista non sa per fare cosa), anche se appartiene a un progetto più ampio, che è quello di arrivare in facoltà. Ancora, Schutz distingue i mezzi in senso tecnico: tutto ciò che utilizziamo per il raggiungimento degli obiettivi a livello materiale, ad esempio il computer per scrivere un libro, la macchina per arrivare all’università eccetera. Sulla base di ciò vengono distinti tre tipi di opacità, ossia di irriflessività: verso di noi, verso gli altri, verso la validità. Questo perché, se si alza il braccio per richiamare l’attenzione dell’autista, do per scontato che il mio gesto sia sensato intrinsecamente e rispetto al mondo esterno, ma anche che l’autista di al mio già al mio gesto lo stesso senso che gli do io, ma anche che il mio gesto sia quello corretto per ottenere l’effetto sperato. A questi tre tipi di opacità si contrappongono tre tipi di riflessività: autodiretta, etero diretta, critica. La riflessività autodiretta è rivolta a noi stessi e agli eventi che fanno parte del nostro interno bagaglio culturale; quella eterodiretta riguarda la comprensione degli atteggiamenti altrui; quella critica riguarda il senso comune. Riflessività è uguale ad arbitrarietà e soggettività, quindi il senso che attribuiamo mediante la riflessività sarà sempre soggettivo e per certi versi inaccessibile agli altri (seppur non incomprensibile: gli altri possono non accedere ai nostri eventi, ma possono comunque comprenderli se li vedono o glieli spieghiamo). Anche qui continua ad emergere il rapporto con il tempo: quando la riflessività è auto diretta, penso alle mie situazioni passate nel presente; quando io cerco di comprendere gli altri, sono nel presente, nella loro stessa contemporaneità. Il senso oggettivo è fondamentale perché altrimenti tutti sarebbero un io solitario. Esso è basato, come abbiamo detto, sulla contemporaneità e sulla riflessività etero diretta: è da questo processo che vi è la formazione del tu contrapposta all’io, ed è da ciò che si forma il mondo ambiente. Il mondo ambiente è tutto ciò che ci circonda nella nostra contemporaneità; la vita dell’alter è inaccessibile, ma noi ci comprendiamo sulla base di un senso comune, di un noi comune, che deriva da alcuni gesti che non sono solo i miei ma di tutti. Potremmo non capire il fine ultimo delle azioni altrui, ma le azioni intermedie sulla base di un noi comune hanno un senso oggettivo, ossia indipendente da ego e da alter. Il senso oggettivo non è altro che senso soggettivo sedimentato, fondatosi sulla base dell’interdipendenza di alter e di ego. Il senso soggettivo viene qui messo in secondo piano e appare quello che noi chiamiamo senso comune tipico: le frange di esperienza immesse dal singolo soggetto scompaiono ed emerge lo strato profondo e sedimentato del mondo ambiente. In base al modo in cui noi utilizziamo lo sguardo riflessivo facciamo emergere soggettività oppure oggettività. Abbiamo tre situazioni possibili: 1. nella prima vivo nella immediatezza irriflessiva sia la soggettività di alter che il noi comune; qui vivo nella massima naturalezza e opacità ed emerge l’io solitario, l’auto riflessività. 2. Nel secondo caso emerge la relazione io tu, sottopongo a riflessività anche l’azione di alter mediante l’etero riflessività, ed emerge il senso oggettivo. 3. Nel terzo caso rivolgo l’attenzione riflessiva al noi, al mondo ambiente, mediante la riflessività critica; emerge qui il senso comune. Dal mondo ambiente si distingue il mondo dei contemporanei: esso è l’insieme di relazioni con soggetti che escono dal mio mondo ambiente contemporaneo, ma con cui posso comunque intrattenere relazioni seppur mediate, sempre più anonime, sempre più prive di personalità. Questo mondo dei contemporanei è il mondo dei social, è il mondo delle interazioni non di persona, ma mediante dispositivi. È da questo mondo dei contemporanei che si sono sviluppate delle tipizzazioni, che oggi giorno sono alla base della nostra quotidianità. Queste tipizzazioni possono essere talvolta connotate da frange di soggettività, che porteranno la tipizzazione in sé ad assumere qualche caratteristica diversa rispetto alle altre. Le tipizzazioni non sono altro che comportamenti standardizzati allungo sedimentati, sono schemi di senso astratti e generalizzati, come il tedesco che beve la birra, l’italiano che parla con un tono di voce alto, e così via. In questo contesto emerge l’importanza della struttura della rilevanza: siamo in grado di capire quale aspetto diventa più o meno rilevante in una situazione in base a ciò che più ci serve. Conosciamo Alì come vicino di casa, pizzaiolo, bravo giocatore di calcio etc… Ma se mi serve il sale poiché manca in casa, mi rivolgerò a lui solo in quanto vicino di casa, di certo non in quanto bravo giocatore di calcio… Nella vita quotidiana scelgo quindi la tipizzazione che mi serve sulla base della situazione. Per concludere, la sociologia fenomenologica si può definire un tipo di sociologia critica, che cerca di sradicare l’ovvio e capirne nel processo di formazione. Proprio perché il senso comune si basa su un qualcosa di oggettivo, la sociologia si pone l’obiettivo di comprendere quel senso oggettivo, che dipende a sua volta da un senso soggettivo, e di non darlo per scontato come avviene ogni giorno quelle azioni intenzionali e non riflessive. ERVING GOFFMAN Goffman è nato nel 1922 in Canada e si è laureato in sociologia. È diventato in seguito professore e ha pubblicato svariati libri concernenti lo studio delle interazioni. Muore nel 1982. Con lui nasce anche il concetto di istituzione totale, uno dei punti cardine dei suoi studi; per lui la vita non è altro che un palcoscenico in cui i vari soggetti agiscono in quanto attori, la società recita copioni costruiti. Il suo studio è una sorta di etologia umana, perché il metodo dell’autore è quello dell’osservazione sul campo, diretta, il suo stesso sguardo. In secondo luogo, il suo eclettismo e la sua atipicità lo rendono uno scrittore molto particolare: è ironico, ma allo stesso tempo fine, simpatico. Tutto ciò fa sembrare le sue opere prive di metodo, ma in realtà lo stesso è altrettanto rigoroso. Quella di Goffman è una microsociologia: studia ciò che nel suo piccolo riempie le nostre giornate, il campo di studi è proprio la nostra quotidianità. Fondamentale è, quindi, la connessione tra pratiche internazionali e strutture sociali: ne è un esempio il criterio secondo cui noi decidiamo se e quando chiamare le persone per nome, spesso in base al ruolo che ricoprono. Non mi sento libera di chiamare il mio professore Guido, perché è il mio professore, ma mi sento libero di chiamare mio fratello Giacomo, la mia amica Cristina e così via… L’individuo, per Goffman, è il nuovo Dio delle piccole cose di Durkheim. • Il processo di normalizzazione del “diverso”, regole morali per la definizione delle identità; • Lo stigma è la maschera dalla quale non ci si può liberare, come l’essere zoppo o nano; • Il me (nel senso di Mead) cancella l’io; • deformazioni fisiche, il carattere individuale e la differenza culturale e religiosa. JURGEN HABERMAS Habermas nasce nel 1929 e diventa professore di sociologia e filosofia; era da sempre interessato al tema del capitalismo, che reinterpreta passando per Weber e criticando alcuni aspetti delle teorie marxiste. In ciò, l’alienazione diventa fondamentale: secondo lui non è di per sé alienante il lavoro, ma può diventarlo con il suo cattivo utilizzo. Si conforma ai sociologi che criticano il positivismo e le scienze naturali applicate allo studio della società: anche per l’autore la società e le interazioni umane non possono essere studiate con gli stessi metodi delle scienze naturali; pertanto, egli dice sì alle scienze ermeneutiche o critico-emancipative. Quelle naturali, infatti, per lui rappresentavano soltanto il metodo umano di manipolare la natura mediante il lavoro, ma per studiare gli uomini serve l’intesa reciproca tra scienziati, cosa che in uno studio tecnico talvolta manca. Habermas ha un’idea diversa da Marx anche per quanto concerne la storia: per lui essa si costituiva di due modalità principali: 1. il lavoro => mediante il lavoro si arriva all’agire strumentale, una tipologia di azione piuttosto tecnica e pragmatica; 2. l’interazione => mediante l’interazione si arriva all’agire comunicativo, pratico, che mette in interazione gli uomini gli uni con gli altri. È così che gli uomini entrano in contatto tra simili. In sintesi: gli uomini si rapportano attraverso il lavoro con la natura e attraverso l’interazione con i loro simili. Da questa distinzione deriva anche la distinzione tra scienze naturali -applicabili al lavoro, alla natura- e all’agire strumentale e scienze storico-sociali -applicabili all’ambito comunicativo tra uomini e all’interazione. Le seconde devono essere consapevoli delle differenze con le scienze tecniche; non fanno interventi tecnici altrimenti diventerebbero tecnologia sociale. Il loro punto di forza è l’interazione, che è anche il luogo dell’intesa tra uomini. Habermas è fortemente influenzato anche dall’ermeneutica: • Gli esseri umani costruiscono il mondo attraverso un’opera di interpretazione; • I significati sono reperiti nella tradizione culturale alla quale essi appartengono. L’obiettivo di Habermas è sviluppare una teoria dell’agire comunicativo capace di identificare le condizioni per l’intesa, indipendentemente dal contesto in cui la stessa viene. La razionalizzazione, tema trattato da Weber e ripreso da Habermas, secondo l’autore in questione ha più livelli più ambiti: ha un ambito tecnico, economico, sociale e tanti altri. In questo, l’autore distingue il dominio dei fini dal dominio dei mezzi: ciò che gli uomini si prefissano di raggiungere è chiaramente diverso dalle modalità con cui perseguono i loro obiettivi. La razionalizzazione non è di per sé illegittima, lo diventa nel momento in cui invade ambiti non appropriati. Se la logica tecnico-economica invade gli ambiti umani, la razionalizzazione sta diventando illegittima; esiste, infatti, la razionalizzazione umana, che non deve mai essere messa in secondo piano e che connota tutte le interazioni sociali. Un’importante forma di azione indipendente dalla logica della tecnica è il discorso argomentato: per far sì che si verifichi, c’è bisogno di intesa reciproca. L’autore ne parla in un libro, in cui analizza la nascita dell’opinione pubblica a partire dalla nascita della sfera pubblica borghese. Quest’ultima, a partire dalla nascita della formazione di luoghi di ritrovo diversi da quelli politici, come salotti, convegni, riunioni etc, discuteva in luoghi indipendenti dalle istituzioni, mediante l’interazione. Così si arrivava a fare dell’opinione del singolo una critica condivisa, si facevano nascere movimenti, si coinvolgevano persone nella stessa filosofia di pensiero, soltanto mediante uno strumento: la parola. Questo avveniva secondo il principio di “veritas non autoritas facit legem”, ossia è la proposta migliore, non la persona migliore che la propone, a fare la legge. Questo principio rispecchia un po’ l’uscita dallo stato di minorità, dove per minorità si intende l’incapacità di affermare il proprio intelletto senza gli altri, filosofia che si afferma mediante l’Illuminismo e in particolare con Kant. Così facendo la sfera pubblica borghese diventa sfera pubblica democratica, ammissibile o no nel capitalismo moderno era un ceto sociale che si andava sviluppando a prescindere dalle istituzioni, molto spesso controcorrente. Tutto ciò funge da svolta linguistica e sviluppo l’agire comunicativo-razionale nella prassi comunicativa quotidiana. Habermas era un discepolo di Adorno, altro sociologo fondamentale a cui l’autore in questione si ispirò. Tra i due vi erano dei delle differenze, come il concetto di critica, che per il maestro aveva una radice dialettica, mentre per Habermas doveva far emergere la normatività interna alla realtà sociale stessa. Infatti, la comunicazione è il punto cardine dello studio di Habermas; in particolare, egli riconosce che l’agire comunicativo è basato sul linguaggio, che a sua volta un prodotto sociale. Il linguaggio non esiste a priori, è formato dall’uomo, e composto da simboli attraverso i quali ci si può capire. Ancora, esso si basa su regole comunicative implicite, che l’uomo mette in atto senza pensarci; è compito del sociologo far venire fuori quelle regole non dette che sono alla base di una corretta comunicazione. La competenza comunicativa, infatti, comprende due punti: la logica-semantica; la pratica-espressione (oggetto di studio dell’autore). La normativa interna linguaggio prevede anche che vi sia una logica dell’intesa: i soggetti non comunicherebbero se non sapessero che l’altra persona è al corrente della stessa normativa interna, non comunicherebbero se non sapessero che c’è la possibilità di comprendersi, di intendersi anche senza concordare. A tal proposito l’autore ci parla delle cosiddette pretese di validità: queste sono la verità, la sincerità, la correttezza. Verità significa che è un’affermazione deve essere empiricamente verificabile: non posso dire che il libro è nuovo, se è stato acquistato più di cinquant’anni fa, se ha le pagine rovinate e rotte. Posso, pertanto, affermare il contrario verificando empiricamente quanto detto. La sincerità prevede che vi sia fiducia nei confronti del soggetto: è sottinteso che chi parla la faccia senza voler ingannare e l’interlocutore deve in qualche modo riporre fiducia nelle parole pronunciate. La terza pretesa è la correttezza: correttezza nei confronti dei criteri sociali, fiducia nel fatto che quelle parole siano giuste secondo gli standard sociali. Le tre pretese devono essere contemporaneamente valide, in base al contesto può risultare più rilevante una o più rilevanti un’altra, ma devono esserci tutte. Non sono tre pretese a priori o trascendentali, detto in senso kantiano: non sono nate prima del linguaggio, sono sempre un prodotto sociale. Habermas ci parla anche di quella che è la situazione discorsiva ideale: questa è la situazione migliore in cui può avvenire un discorso argomentato ed è una situazione in cui non esiste distorsione, le tre pretese di validità sono tutte e tre presenti e giuste. Proprio perché è ideale, è anche utopica: non serve a capire dove dobbiamo arrivare, serve a misurare la distorsione presente nella vita reale in base a quanto ci distacchiamo dalla situazione ideale. La pretesa di validità è la base per la critica sociale, perché non possiamo criticare la nostra realtà e il nostro agire comunicativo quotidiano se non conosciamo quello che è l’agire comunicativo migliore, giusto. • AGIRE COMUNICATIVO => L’agire consiste nell’interazione di soggetti che cercano una comprensione e un’intesa comunicativa per coordinare, di comune accordo, l’interpretazione delle situazioni in cui vengono a trovarsi, nonché i propri piani di azione e, pertanto, il proprio agire. Anche Habermas ci parla di riserva di sapere, ossia del bagaglio di conoscenze linguistiche organizzate che appartengono all’uomo. • Distingue anche in tre tipi di agire: teleologico, orientato da norme, drammaturgico. L’agire teleologico è l’agire secondo cui si raggiunge uno scopo (da “telos”, greco, “scopo”), mediante la scelta dei mezzi che diventa agire strategico, nel momento in cui l’attore è condizionato dalle decisioni di un altro attore che sta ugualmente agendo per uno scopo. L’agire orientato da norme avviene sulla base dei valori e delle norme condivise. L’agire drammaturgico, infine, è l’agire in cui l’attore si auto presenta agli altri come fosse una scena teatrale, scegliendo autonomamente che idea dare di se stesso. La teoria dell’evoluzione sociale è il punto fondamentale su cui lavora l’autore, che prevede due punti: i sistemi sociali e i mondi della vita. I sistemi sociali ci parlano di tutte le azioni orientate al successo, di strategie e strumenti per raggiungere degli obiettivi. Ci sono sistemi sociali che si contrappongono ai mondi della vita, come il denaro e il potere. I mondi della vita, invece, trattano l’agire comunicativo, le interazioni non volte al conseguimento di obiettivi ma allo stare bene con se stessi e con gli altri. Sono il luogo di attualizzazione della riserva di sapere, aspetto ambientale della riserva di sapere (coordinate temporali, spaziali, sociali). Mondo vitale = riserva di sapere + situazione. Sia i sistemi sociali sia i mondi della vita si affermano in entrambi le logiche del lavoro e dell’interazione. Un esempio di sistema sociale potrebbe essere lo Stato, l’impresa, tutte le organizzazioni che hanno scopi, fini, obiettivi da conseguire mediante strumenti. Esempi di mondi della vita possono essere la famiglia, le associazioni, i movimenti: il fine è il realizzare se stessi e farlo in collettività. Ci sono tre principi sociali a cui l’autore si spira, a cui corrispondono altrettante fasi sociali: le strutture di parentela, lo Stato come primo ambito sistemico, le differenze tra ambiti sistemici e mondi della vita. Il rischio è la colonizzazione del mondo della vita, processo in cui la logica sistemica cerca di imporsi a quella della vita. È un po’ come il discorso sulla razionalizzazione che invade gli ambiti umani: ciò non deve avvenire, viceversa, la razionalizzazione diventa illegittima; anche qui, quello che è da evitare è la colonizzazione del mondo della vita con i processi che riguardano i sistemi sociali. Devono rimanere due cose distinte e separate. • Situazione linguistico-comunicativa reale (mondo vitale colonizzato dal sistema); • Situazione linguistico-comunicativa possibile (razionalizzazione del mondo vitale e del sistema); • Situazione linguistico-comunicativa ideale (fondata sull’agire comunicativo). La razionalizzazione passa attraverso un processo di universalizzazione che supera i particolarismi e rende qualcosa valido per tutti, a prescindere dal caso concreto. relazioni usa e getta. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemico) e le uniche soluzioni per l'individuo senza punti di riferimento sono da un lato l'apparire a tutti i costi, l'apparire come valore e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira tanto al possesso quanto all'utilizzo temporaneo di oggetti di desiderio in cui appagarsi, trovandoli in breve obsoleti, e passando quindi da un consumo all'altro in una sorta di bulimia. In Bauman sono fondamentali cinque temi: l’individuo, l’emancipazione, lo spazio-tempo, il lavoro, la comunità. Parte dall’individuo dall’emancipazione per spiegare il forte bisogno di emanciparsi in una società quanto mai libera. Se la società fosse realmente libera quanto vuole mostrare, l’uomo non avrebbe il bisogno di affermarsi e di emanciparsi, si sentirebbe libero di farlo e basta. Questa finta libertà può portare all’anomia, alla perdita di punti saldi a cui fare riferimento, all’incertezza. È necessario un equilibrio tra desiderio e capacità d’agire: a tal proposito vengono distinti due tipi di individualismo, de jure e de facto (la liberazione del desiderio, nei fatti realizzabile.) Altro punto è la liquidità nello spazio-tempo: lo spazio non è più il potere di accomunare ed è abbattuto del tempo poiché oggi tutto istantaneo, nulla deve aspettare, tutto è raggiungibile. Il tempo, sua volta, non ha più uno spazio a cui fare riferimento: è uguale per tutti. Il lavoro è trattato nei termini in cui non è più la centralità della vita; il rapporto con il capitale ha perso consistenza, è un tema già visto. La comunità non è più un forte legame: l’incertezza divide l’interesse comune perde consistenza, prendono piede gli interessi personali, tutti agiamo per migliorare la nostra condizione, non quella sociale. La comunità è, infatti, detta “comunità guardaroba”: abbiamo una serie di abiti che indossiamo all’evenienza, in base a ciò che ci serve. Tutto è privatizzato; l’individuo de jure nega l’importanza della società: compito del sociologo è far riemergere la solidità pubblica e l’importanza di una comunità unita. ULRICH BECK Per concludere, Beck è un autore importante che analizza la modernità, a partire da Arnold Gehlen, antropologo e sociologo, che sostiene che la caratteristica essenziale dell’essere umano è la sua totale incapacità in quanto essere naturale, animale. Per il politologo l’uomo è inadatto a far fronte alle difficoltà e per questo costruisce una seconda natura con cui gestire le sue vicissitudini; è inadatto qualsiasi ambiente e quindi è adatto a tutti. Per far fronte alla minorità, l’uomo si divide in gruppi sociali, ma questa teoria è commentata da Beck dicendo che in realtà è proprio la società a creare nuovi rischi per l’essere umano. Beck parla della modernità che proprio affermandosi si destabilizza, perché è fortemente incerta. Se l’uomo prima affrontava i rischi in gruppo, adesso deve capire che è la società stessa, è il gruppo, a creare i rischi prima del tutto assenti. Per vincere sui rischi naturali l’uomo ne ha prodotti di artificiali; alla logica positiva dell’appropriazione si sostituisce la logica dello smaltimento, dell’evitare, dello scappare. Il nuovo capitalismo globale scarica sull’individuo l’illusione di una possibile soluzione: quello che non vediamo sta trasformando il mondo, all’illusione di poterlo fermare. La tesi principale di Beck è la contrapposizione dell'attuale "società del rischio" alla precedente "società classista". Il trapasso all'attuale società è stato favorito dal processo di modernizzazione, che ha permesso l'evoluzione della precedente "società di scarsità" (in cui il principale problema era la redistribuzione della ricchezza). Il nuovo problema è dunque la distribuzione del rischio, inteso come "un modo sistematico di trattare le insicurezze e le casualità indotte e introdotte dalla modernità stessa". Il rischio che la società attuale è costretta ad affrontare trascende le abituali frontiere, è difficilmente riconoscibile (e pertanto difficilmente assicurabile) ed è sistemico (derivante cioè dalla natura stessa delle tecniche di produzione moderne, una sorta di "effetto indesiderato" delle stesse). Il vantaggio di tale trasformazione risiede nella maggiore "democraticità" della scienza e della tecnologia: nella società classista scienza e tecnologia sono isolate "su una torre d'avorio", e quindi irraggiungibili dai profani, mentre nell'attuale società trasformata esse sono diventate più "aperte" e autocritiche.
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