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Scienze politiche E RELAZIONI INTERNAZIONALI, Appunti di Scienza Politica

Scienze politiche e relazioni internazionali LM 52

Tipologia: Appunti

2014/2015

Caricato il 29/01/2022

Pieruzzo888
Pieruzzo888 🇮🇹

4.1

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Scarica Scienze politiche E RELAZIONI INTERNAZIONALI e più Appunti in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! ANALISI DELLE POLITICHE PUBBLICHE E SCIENZA DELLA POLITICAGLI OBIETTIVI DELLA POLICY SCIENCE La scienza delle politiche pubbliche, policy science, è una disciplina relativamente recente, diffusasi in Nord America e in Europa dopo la seconda guerra mondiale, quando alcuni studiosi di scienza politica cominciarono a interessarsi al rapporto fra i governi e i cittadini. Prima di allora le ricerche sulla vita politica si erano incentrate sulla dimensione normativa o morale dello Stato, o su dettagli del funzionamento di specifiche istituzioni politiche. Gli studiosi, occupandosi della dimensione normativa dello stato, studiavano i grandi testi della filosofia politica occidentale cercando di approfondire lo scopo del governare e le attività da intraprendere per tentare di garantire una vita felice ai cittadini. Nonostante questo, il divario fra la teoria politica prescrittiva e la pratica politica degli Stati moderni spinse molti studiosi a ricercare un altro metodo per esaminare la politica, tramite il quale conciliare la teoria e la pratica nell'analisi empirica degli ordinamenti civili esistenti. Quasi tutte le ricerche sulla struttura formale delle istituzioni politiche, si limitarono al livello descrittivo, senza riuscire a gettare le basi per una valutazione dei punti di forza debolezza delle strutture considerate. Ci furono nuovi metodi di sviluppo politico. Alcuni di essi si concentravano, al livello micro, sul comportamento umano e sulla psicologia dei cittadini, degli elettori, dei leader politici delle masse; altri studi si orientavano verso le caratteristiche delle società e delle culture nazionali; altri ancora verso la natura dei sistemi politici nazionali e globali. Molti di questi approcci hanno vissuto alterne fortune, dovute alla necessità degli accademici di sperimentare continuamente metodi di studio. Uno di questi metodi è arrivato fino a noi, il suo argomento principale non è tanto la struttura del potere politico, né il comportamento degli attori della politica, né le attività di governo auspicabili o necessarie, quanto leattività di governo nella loro progettazione e realizzazione. Questo approccio, che si basa sulle linee e sulla definizione degli obiettivi delle politiche pubbliche, fu denominato policy science dai suoi iniziatori. Fondata da Harold Lasswell, la scienza delle politiche pubbliche avrebbe dovuto sostituire gli studi politici tradizionali, integrando teoria e pratica senza cadere nella sterilità di ricerche formali collegate al diritto. Secondo Lasswell, la policy science doveva essere caratterizzata da tre elementi che l'avrebbero distinta dagli approcci precedenti: sarebbe stata multidisciplinare, orientata alla risoluzione dei problemi ed esplicitamente normativa. Con l'aggettivo multidisciplinare, Lasswell, indicava la necessità di liberare la policy science dalle restrizioni tipiche della ricerca sulle istituzioni e sulle strutture politiche, facendo propri il lavoro e le scoperte di altri campi quali la sociologia, l'economia, il diritto e la politica. Con problem-solving, Lasswell invece prefigurava un'analisi delle politiche pubbliche aderente al criterio della pertinenza, orientato quindi alla soluzione dei problemi del mondo reale piuttosto che ai dibattiti accademici e a volte sterili. Con esplicitamente normativo, intendeva invece la necessità, nell'accostarsi allo studio delle azioni di governo di non nascondersi dietro il pretesto dell'oggettività scientifica, ma di riconoscere l'impossibilità di separare il fine dai mezzi o meglio il calcolo dell'utilità dell'applicazione delle tecniche. La policy science è ora una disciplina vera e propria, con tutta una serie di concetti, interessi, definizioni e termini che le appartengono. Il concetto stesso di multidisciplinarietà è cambiato, in quanto gli accademici non sono più tanto interessati agli elementi da mutuare da altre discipline, sono ora gli stessi studiosi che devono essere esperti in almeno due campi: l'aria di interesse e le tematiche di policy science da una parte e, dall'altra la storia e le questioni che caratterizzano l'area sostanziale delle politiche da esaminare. Negli ultimi quarant'anni d'interesse esclusivo di molti studiosi verso la soluzione di problemi concreti si è dissolto. Se nei primi anni si era sperato di portare delle risoluzioni alle problematiche, quest’ultimo tentativo è miseramente fallito, per la complessità del processo politico stesso, nel quale gli organi di governo si sono spesso rivelati di difficile gestione o restii ad accettare consigli degli esperti in materie di loro competenza. Anche la necessità che la policy science rimanesse esplicitamente normativa è cambiata nel tempo, seppure in misura minore rispetto agli altri principi fondanti. La maggior parte degli studiosi di policy si è rifiutata di escludere giudizi di valore dalle proprie analisi, insistendo invece sulla valutazione degli obiettivi, dei mezzi e del processo di definizione della policy. DEFINIZIONE DI "PUBLIC POLICY" Tra le varie e contrastanti definizioni di politica pubblica, come il fatto che le politiche pubbliche siano il risultato di decisioni prese dal governo e che le decisioni di non agire del governo siano atti di policy così come le decisioni di agire. Thomas Dye propone una definizione concisa delle politiche pubbliche, descrivendo le come "qualsiasi cosa un governo scelga di fare o di non fare". Questa non fornisce però del tutto una concettualizzazione chiara di politica pubblica compresi tutti gli aspetti della politica e dei comportamenti di governo. Per prima cosa, Dye specifica chiaramente che l'attore decisivo del policy making è il governo. Ciò significa che decisioni imprenditoriali private o decisioni prese da organizzazioni di beneficenza, gruppi di interesse, individui o altri gruppi sociali non sono politiche pubbliche. Bisogna dire che quando si parla di quest’ultime bisogna subito parlare delle azioni di governo, anche se le azioni di attori extra governativi influenzino le azioni e le decisioni del parlamento in vigore, questi attori non fanno parte delle politiche pubbliche. Dye sottolinea come le politiche pubbliche implichino la scelta da parte del governo, di agire o di non agire. Tale decisione viene presa da funzionari ed agenzie statali. Politica pubblica è la scelta del governo di intraprendere o meno una serie di azioni. Un concetto più difficile da cogliere e quello della "non-decisione", cioè le situazioni in cui un governo decide di non agire, di non elaborare un nuovo programma o semplicemente di mantenere lo status quo. Queste decisioni devono comunque essere ponderate, come nel caso in cui si decida di non aumentare le tasse e non destinare quindi fondi alla cultura o alla sanità. Il concetto di politica pubblica di William Jenkins è un po' più preciso di quello proposto da Dye. Jenkins definisce public policy "un insieme di decisioni interrelate, prese da un attore politico od un gruppo di attori, sulla selezione degli obiettivi e dei mezzi atti a loro raggiungimento all'interno di una situazione specifica in cui gli attori hanno, in linea di principio, il potere di prendere tali decisioni". Jenkins considera la politica pubblica come un processo, diversamente da Dye che la definisce invece come una scelta, presupponendo quindi l'esistenza di un processo soggiacente, ma non affermandolo esplicitamente. Jenkins riconosce inoltre come la politica pubblica sia un "insieme di decisioni interrelate". Molto difficilmente il governo decide di risolvere il problema con un singola decisione. la maggior parte delle politiche implica una serie di decisioni, alcune delle quali non volute piuttosto che intenzionali. Per arrivare a comprendere pienamente la politica sanitaria di un governo bisogna considerare tutte le decisioni di tutti gli attori di governo coinvolti nel finanziamento e nella gestione delle decisioni relative alla sanità. Jenkins individua rispetto a Dye sostenendo che il governo attuando le proprie decisioni è un punto a proprio favore, ammette che un governo è soggetto a limitazioni che ne restringono le possibilità di scelta in una determinata area di policy. La scelta di una certa politica può essere ad esempio limitata dalla mancanza di risorse o dall'opposizione a livello internazionale o nazionale verso alcune delle opzioni proposte. Jenkins introduce inoltre l'idea di definizione delle politiche pubbliche come comportamento del governo finalizzato ad uno scopo, offrendo così uno strumento di misura per la loro valutazione. Le politiche pubbliche consisterebbero nella decisione presa dai governi di stabilire un obiettivo e approntare i mezzi per raggiungerlo. James Anderson propone una definizione più generica e afferma che per politica pubblica si deve intendere "un certo corso d'azione che un attore o un gruppo di attori segue al fine di gestire un problema o una questione di specifico interesse". La definizione di Anderson aggiunge altri due elementi a quelli già evidenziati da Dye e da Jenkins. Innanzitutto, James Anderson evidenzia che le decisioni vengono presi da gruppi di attori, anziché da uno. Le politiche sono quindi risultato non solo di decisioni molteplici, ma di decisioni molteplici prese da molteplici decision makers , a volte appartenenti a diverse organizzazioni governative. In secondo luogo, sottolinea il legame tra l'azione di governo e la percezione, reale o meno, dell'esistenza di un problema o di una questione che rendano necessaria una determinata azione. Pur con le loro limitazioni, danno un loro significato e senso generale al significato di public policy. CAPIRE LE POLITICHE PUBBLICHE. Le politiche pubbliche sono un fenomeno complesso che consiste in svariate decisioni prese da diversi individui ed organizzazioni; esse possono essere modellate da politiche precedenti e sono frequentemente legate ad altre decisioni con le quali non sembrano apparentemente correlate. Uno dei modi di accostarsi al processo di politica pubblica è esaminare la natura del regime politico. Secondo questo orientamento le politiche pubbliche si differenziano in base alla natura del sistema politico ed al loro orientamento ovviamente verso la società. La classificazione dei regimi politici può però costituire soltanto un punto d'inizio nell'analisi delle politiche pubbliche perché non spiega completamente come le caratteristiche del regime si manifestino in singole politiche. Quest'approccio indica semplicemente dove ricercare i fattori che influenzano le decisioni pubbliche e quali relazioni generali possiamo aspettarci di trovare nello studio delle attività di governo. Un'altra direzione verso cui si sono orientati molti teorici e la ricerca di variabili causali dei processi di policy o, come talvolta sono state definite, dei fattori determinanti di policy. Le analisi di questo filone si concentrano sulla questione se le politiche pubbliche siano determinate da fattori socio-economici a livello macro oppure da elementi comportamentali al livello micro. Un'altra branca della letteratura si focalizza sul contenuto della politica. Questo approccio viene strettamente associato alla scuola di pensiero di Theodore Lowi, secondo il quale la natura dei problemi affrontati nelle politiche e le soluzioni proposte spesso determinano il modo in cui i 1 problemi verranno affrontati dal sistema politico. Sarà quindi il contenuto della politica pubblica a determinare il modo in cui essa verrà gestita. Allo stesso modo, James Wilson ha sostenuto che il grado di concentrazione dei costi e dei benefici di una politica pubblica da forma al tipo di processi politici che l'accompagneranno. Anche Lester Salamon ha sostenuto che studiare la natura degli strumenti e dei mezzi a disposizione dei governi per realizzare le politiche pubbliche è il modo migliore di analizzarle e capirle. Un altro filone di studi si concentra sull'impatto, o risultato (outcome), delle politiche. Questo approccio si basa su analisi quantitative dei legami fra specifici programmi di governo e utilizza tecniche di inferenza statistica per mettere in relazione di causa diversi tipi di attività governative. Concentrandosi solo sui risultati delle politiche, questo tipo di approccio non affronta il tema del processo sottostante a tali risultati. La maggioranza della letteratura di public policy è generata da analisti al servizio di organizzazioni non governative. Chi lavora per strutture governative, gruppi e società direttamente coinvolti nelle politiche pubbliche indirizza la propria ricerca sugli outcomes delle politiche. A volte è nel loro interesse bocciare o approvare politiche specifiche in base all'impatto, stimato o reale, delle politiche sull'organizzazione loro cliente. Think tanks privati ed istituti di ricerca godono di una certa autonomia rispetto all'autorità di governo anche se alcuni di essi possono essere influenzati dalle preferenze delle organizzazioni che li sponsorizzano. L'interesse principale rimane se vogliamo il ruolo e lato pratico delle politiche, e in particolare i risultati, gli strumenti e le tecniche che generano tali risultati. Al contrario gli accademici godono di una grande indipendenza in quanto risultati di politiche specifiche non li espongono a rischi diretti e personali. Gli studi accademici tendono a guardare al processo di policy nella sua interezza, prendendo in considerazione una vasta gamma di fattori fra cui i regimi politici, le determinanti di policy e i contenuti delle politiche. Questo diverso livello di neutralità e di interessi politici ha favorito lo sviluppo della distinzione in letteratura fra policy study e policy analysis. La prima si riferisce studi di policy, mentre la seconda ha studi per la policy. I policy studies, esaminano in modo critico le politiche e cercano di capire i processi ad esse sottostanti. La policy analysis, è volta alla progettazione di politiche generali. I primi sono ritenuti studi descrittivi ed esplicativi rispetto alla seconda che invece è di orientamento prescrittivo. LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI NEL PROCESSO DI "POLICY": APPLICAZIONE DI UN MODELLO L'idea di rendere più semplice un fenomeno complesso come le politiche pubbliche suddividendo il processo di policy in un certo numero di fasi distinte fu abbozzata per la prima volta da Harold Lasswell, egli individuò sette fasi: 1) intelligence, 2) promotion, 3) prescription,4) invocation,5) application,6) termination,7) appraisal. Il processo di policy inizia con la fase di intelligence, cioè la raccolta, l'elaborazione delle informazioni e la loro circolazione fra coloro che prenderanno parte al processodecisionale. La fase seguente comporta l'approvazione di alcune delle possibilità di scelta da parte dei policy makers . Nella terza fase i policy makers stabiliscono il corso delle azioni da intraprendere. Nella quarta fase si provvede a far svolgere le azioni stabilite; vengono inoltre definite le sanzioni da applicare nei confronti di chi non seguirà le prescrizioni dei policy makers . Le politiche pubbliche vengono poi attuate dagli organi giuridici dell'apparato burocratico, compiendo il loro corso fino all'esaurimento o alla cancellazione. I risultati delle politiche vengono infine giudicati e valutati in base agli scopi e agli obiettivi previsti. L'analisi del processo di policy making proposta da Lasswell contempla il processo decisionale solo all'interno del governo, senza approfondire la questione delle influenze interne ed esterne che agiscono sul comportamento dello stesso. Secondo questa analisi il processo è competenza di un ristretto numero di soggetti in forza all'apparato governativo come funzionari. Altro vizio, la posizione della fase di giudizio e di valutazione si situa a ridosso della fase di conclusione, mentre le politiche dovrebbero essere valutate prima piuttosto che dopo essere state abbandonate. La formulazione di Lasswell costituì la base per il modello sviluppato da Gary Brewer all'inizio degli anni 70. Secondo Brewer il processo di policy e costituito da sei fasi:1) invention/initiation,2)estimation,3)selection,4) implementation,5) evaluation,6) termination. Per Brewer, l'ideazione o inizio si riferisce alla prima fase della sequenza, quando si comincia a percepire l'esistenza di un problema. Questa fase è la parte più complessa poiché questa è la definizione un pò confusa del problema da focalizzare e (come risultato finale) da risolvere. La seconda fase, riguarda il calcolo dei rischi, dei costi e dei benefici relativi a ciascuna delle possibili soluzioni scaturite nella fase precedente e comprende sia una valutazione tecnica che una serie di scelte normative. Ha come oggetto quello di focalizzare le strade percorribili annullando a sua volta quelle non percorribili. La terza fase consiste nell'adozione di una o di nessuna o di una combinazione delle possibilità di scelta rimaste alla fine della fase di stima. Le altre tre fasi sono quelle che riguardano la realizzazione dell'opzione selezionata, la valutazione dei risultati dell'intero processo e l'abbandono di quella politica in base alle conclusioni raggiunte dopo la sua valutazione. Il modello introduce il concetto di processo di policy come ciclo continuo, riconoscendo come molte politiche non si inquadrino in un ciclo definito nel senso vita-morte, come se ad una policy ne succedesse un'altra più o meno modificata rispetto alla precedenteLe fasi nell'applicazione del problem-solving e le fasi corrispondenti nel processo di policy. In questo modello, la definizione dell'agenda-setting si riferisce al processo tramite il quale il problema giunge all'attenzione del governo; la formulazione della politica si riferisce al processo con il quale all'interno del governo vengono delineate le possibili strategie; il processo decisionale si riferisce al processo per cui viene adottato un certo corso d'azione o non-azione; l'attuazione delle politiche si riferisce al processo con cui gli organi di governo mettono in atto le politiche adottate; la valutazione infine fa riferimento al processo tramite il quale lo Stato e gli attori sociali verificano risultati delle politiche, processo che può portare alla rielaborazione concettuale dei problemi e delle soluzioni di policy. Il vantaggio è quello di facilitare la comprensione del processo di definizione delle politiche pubbliche attraverso la suddivisione in un numero limitato di fasi e sotto fasi, ciascuna delle quali può essere esaminata separatamente o in relazione ad una sola o a tutte le fasi del ciclo. Un altro vantaggio del modello è la possibilità di esaminare il ruolo di tutti gli attori e le istituzioni che hanno a che fare con una politica e non soltanto quello delle agenzie governative formalmente incaricate di svolgere tale compito. Svantaggio del modello è che può generare l'impressione che policy makers riescano a risolvere tutti i problemi che coinvolgono l'ambito pubblico in modo più o meno lineare. Chi decide le politiche spesso non fa altro che reagire alle circostanze ed agire in termini di interesse personale e predisposizioni ideologiche, se in astratto una politica della policy può non funzionare, in pratica le fasi vengono spesso raggruppate saltate o ordinate diversamente da quanto previsto nella logica del problem-solving. In breve, la progressione lineare delineata dal modello spesso non esiste nella realtà. Il terzo difetto del modello è la completa mancanza del concetto di causalità, esso non offre indizi su chi o che cosa provochi il passaggio da una fase all'altra del modello, argomento di interesse cruciale per gli studiosi della materia. Occorre un modello che delinei con maggior particolari gli attori e le istituzioni coinvolte nel processo di policy; che aiuti ad identificare gli strumenti a disposizione dei policy makers , che evidenzi i fattori di base del processo che portano a certi risultati. VERSO IL PERFEZIONAMENTO DEL MODELLO DEL "POLICY CYCLE" Un modello perfezionato di formazione delle politiche pubbliche deve essere in grado di individuare gli attori coinvolti nel processo di policy e gli interessi che essi perseguono. Essi interagiscono reciprocamente in infiniti modi nella ricerca del proprio interesse, e il risultato della loro interazione è la sostanza delle politiche pubbliche; gli attori non sono completamente indipendenti e in grado di scegliere, perché operano all'interno di un certo tipo di relazioni sociali che servono a vincolare il loro comportamento. Il contesto delle istituzioni sociali e i valori che tali istituzioni rappresentano creano le condizioni per la definizione di un problema, facilitano l'adozione di certe soluzioni che proibiscono la scelta di altre soluzioni. Anche l'insieme di idee, convinzioni o discussioni che ruotano intorno ad un problema di policy contribuisce a vincolare gli attori di policy. Anche la varietà degli strumenti a disposizione dei policy makers serve a circoscrivere o limitare le possibilità di scelta. Gli attori di policy hanno comunque una certa possibilità di scelta, varie contingenze ed alleanze tattiche fanno sì che tali attori siano in grado di superare o almeno mitigare i vincoli di contesto. Un modello di processo di policy più adeguato deve riuscire a gestire la complessità di questi elementi. I DIVERSI MODI DI STUDIARE LE POLITICHE PUBBLICHE DEFINIZIONE DEI CONCETTI Vengono individuate sei tipi di teorie esse si differenziano in base al metodo di analisi, che può essere deduttivo o induttivo, e in base all'oggetto dell'analisi, cioè gli individui, i gruppi e le istituzioni. Le teorie deduttive partono da un numero relativamente limitato di postulati fondamentali o affermazioni e universalmente riconosciute ed applicano poi tali affermazioni allo studio di fenomeni specifici. Le teorie induttive, partono dall'osservazione dei fenomeni specifici ed essa tentano di trarre del generalizzazioni che possono poi combinarsi in una teoria più generale. Le teorie che si incentrano sull'individuo interpretano tutti i fenomeni politici in termini di interessi e azioni individuali. Le teorie fondate sullo studio dei gruppi spiegano gli stessi fenomeni in termini di interazione fra due o più gruppi sociali. Ci sono teorie che, si concentrano su organizzazioni o istituzioni. TEORIE DEDUTTIVE 2 A)Monopolio naturale: questa situazione tende a privilegiare un'azienda sui concorrenti, la prima impresa che riesce a creare le infrastrutture necessarie, se non sottoposta a regolazione, gode di vantaggi di costo che rendono difficile la concorrenza di altre aziende. La mancanza di competitività comporta una perdita di benessere per la società. B) Informazione imperfetta: si riferisce alle condizioni in cui i consumatori e gli investitori non posseggono adeguate informazioni per prendere decisioni razionali le aziende farmaceutiche non sono interessate a rivelare gli effetti collaterali dei propri prodotti, le decisioni prese in questo campo potrebbero non essere utili a tutta la società. C) Esternalità: i costi di produzione vengono rovesciati su soggetti esterni al processo produttivo, costi causati dall'inquinamento che le aziende fanno gravare su tutta la società. D) La tragedia dei beni comuni: consiste in una situazione di fallimento del mercato che si verifica con l'utilizzo non regolamentato delle risorse di probità pubblica quali zone di pesca, di pascolo, singoli utilizzatori aumentando lo sfruttamento delle risorse, ne traggono beneficio a breve termine, mentre la collettività risentirà del progressivo esaurimento delle risorse nel lungo periodo;E) Concorrenza distruttiva: si verifica quando il clima di forte concorrenza tra imprese provoca effetti collaterali negativi sui lavoratori e sulla società. L'eccessiva competitività può portare al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, influendo negativamente sul benessere generale della società. i governi, sostengono gli economisti del benessere, debbono farsi carico al rimedio dei fallimenti di mercato, poiché non e possibile ottenere risultati per la società semplicemente attraverso un processo decisionale individuale in assenza di coordinamento. I governi dovranno stabilire se il fallimento crea danno sociale nel caso venga rilevato il governo deve porvi il rimedio. Una volta stabilita la necessità di intervento da parte dello Stato per un dato problema, la questione chiave delle politiche pubbliche per gli economisti del benessere e trovare il modo di agire più efficiente che è quello che comportano costi. La tecnica per determinarlo e l'analisi costi-benefici, il cui scopo è scoprire come ottenere lo stesso risultato con meno risorse oppure come ottenere un risultato maggiore a parità di risorse impiegate. Secondo il criterio di Pareto, un'azione dovrebbe essere intrapresa soltanto nel caso in cui essa offra la possibilità di migliorare la situazione di almeno una persona senza peggiorare la situazione di nessun altro. Se sia effettivamente possibile raggiungere l'ottimo paretiano in un mercato concorrenziale, è impossibile applicare tale idea alla realtà delle politiche pubbliche, poichè tutte le azioni di governo migliorano la condizione di qualcuno a svantaggio di altri. Le difficoltà insite nel principio dell'ottimo paretiano hanno portato alla sua sostituzione, nelle teorie di economia del benessere contemporanea, con il criterio cosiddetto di Kaldor, che sostiene la necessità di scegliere, fra le varie possibilità, quelle politiche che massimizzino i benefici netti rispetto ai costi. Secondo tale criterio, una certa politica può essere scelta anche svantaggio di alcuni, purché il guadagno totale sia maggiore della somma delle perdite. Per definire l'efficienza dell'allocazione secondo Kaldor viene utilizzata un'analisi costi-benefici; l'opzione che offre il rapporto benefici-costi più alto viene adottata e realizzata. Esistono costi e conseguenze intangibili che non si possono quantificare economicamente. I costi ed i benefici delle politiche non sono sempre distribuiti uniformemente, una parte della collettività è più colpita, mentre un'altra trae benefici maggiori, senza considerare il grave problema di sommare o aggregare i vari elementi che costituiscono un'opzione di scelta. I critici hanno ipotizzato che i fallimenti del mercato siano in realtà solo uno degli aspetti di uno stesso fenomeno e che esistano anche i fallimenti dello Stato, limitazioni insite nella capacità dell'organizzazione pubblica di rimediare alle insufficienze del mercato. Vengono citati tre esempi di fallimento dello Stato:a) distorsione organizzativa: l'agenzia governativa incaricata di produrre un particolare bene al servizio sostituisce l'obiettivo pubblico con altri suoi obiettivi privati o organizzativi. La critica si può estendere alla massimizzazione del budget, l'azione di governo tesa a rimediare il fallimento del mercato in realtà ne aumenterebbe l'inefficienza. b) Aumento dei costi: a causa della separazione tra introiti fiscali spesa pubblica l'aumento dei costi viene citato come un altro esempio di fallimento dello Stato. Il governo riceve gli introiti provenienti dalle tasse da fonti generali ma stanzia fondi in bassa preventivi di costo specifici. Senza un sistema che permetta di abbinare i costi alle entrate, i governi spesso non riescono a controllare le spese. c) Esternalità derivate: lezioni di governo hanno un forte impatto sulla società sull'economia, in virtù del quale esse hanno l'effetto di escludere beni e servizi vitali prodotti dal mercato o di influire negativamente sul livello generale del benessere della società. È stata sviluppata una tipologia di beni e servizi per riuscire a determinare l'eventuale ruolo dei governi e dei mercati nella loro erogazione. Secondo questa tipologia tutti i beni e servizi della società possono essere divisi in quattro tipi in base ai criteri di escludibilità e rivalità: se sia possibile o conveniente escludere dal consumo altri individui e se la contemporanea fruizione da parte di altri consumatori diminuisca i benefici per il singolo fruitore. I beni privati puri costituiscono la gran parte di beni e servizi prodotti nella società. Tali beni o servizi, sono escludibili e rivali. All'altro estremo sta nel beni pubblici puri, non parcellizzabili o utilizzabili senza diminuire la somma del bene disponibile. Tra i due ci sono i toll goods e i beni collettivi. I primi comprendono beni semipubblici come ponti o autostrade, ma per l'uso dei quali è possibile richiedere un pedaggio. I beni collettivi, sono invece beni il cui uso diretto non può essere oggetto di tributo per i singoli individui, ma che presentano la caratteristica della rivalità. I beni pubblici invece dovrebbero essere erogati dallo Stato perché il mercato non può fornire beni e servizi per i quali non si richiede un pagamento o che non generano profitti. I governi non dovrebbero inoltre permettere che i toll goods vengano considerati alla stregua di beni pubblici: per essi deve essere richiesto un tributo. Il costo della costruzione e manutenzione non dovrebbe essere a carico di tutti i contribuenti per poi essere offerto gratuitamente soltanto a coloro che ne fanno uso, che si sentirebbero così autorizzati a ritenerli beni pubblici; piuttosto, coloro che utilizzano le strutture devono sostenerne il costo. Nel caso dei beni collettivi, tramite la concessione di licenze per prevenire l'esaurimento di tali risorse. Il problema di tutte le varie definizioni di public policy, si deve all'incapacità dei teorici che utilizzano questo approccio di riconoscere che gli Stati quasi mai elaborano le loro politiche seguendo tecniche e teorie. Se anche si potessero individuare le politiche più efficaci, la scelta effettivamente realizzata sarebbe comunque una scelta legata ad istituzioni politiche, compiuta in risposta a pressioni politiche. L'economia del benessere, è stata descritta dai suoi critici come un'illusione teorica che favorisce una visione falsa e ingenua del processo di policy. PLURALISMO E CORPORATIVISMO Il pluralismo si basa sul primato di alcuni gruppi di interesse nei processi politici, Bentley supponeva che la stessa società non è altro che il complesso dei gruppi che la compongono. I diversi interessi della società trovano la loro concreta manifestazione in gruppi diversi. Truman ha poi modificato l'idea di corrispondenza biunivoca fra interessi e gruppi proposta da Bentley sostenendo che esistono invece due tipi di interesse, latente e manifesto, che sfociano nella creazione di due tipi di gruppo, potenziale ed organizzato. Secondo la teoria pluralista, i gruppi sono molti, ma sono soprattutto caratterizzati dalla sovrapposizione delle appartenenze e non sono rappresentativi di un interesse esclusivo. Al fine di perseguire il proprio interesse, un individuo può appartenere per i gruppi. La sovrapposizione delle appartenenze è considerata uno dei punti chiave nel meccanismo di conciliazione dei conflitti e nella promozione della cooperazione fra gruppi. Lo stesso interesse può essere rappresentato da più di un gruppo. Le politiche pubbliche sono il risultato della rivalità e della collaborazione tra gruppi che cercano di operare in favore dell'interesse collettivo dei propri membri. I sostenitori del pluralismo non affermano che tutti i gruppi abbiano la stessa influenza o possibili ad accedere al potere. Essi riconoscono che i criteri di differenziazione dei gruppi sono le risorse finanziarie od organizzative e l'accesso al governo. Le teorie pluraliste possono criticate per non aver indagato a sufficienza come la capacità di differenziazione dei gruppi influisca sul processo di decisione delle politiche. Il problema più serio dell’applicazione del pluralismo nell'analisi delle politiche pubbliche è la mancanza di chiarezza sul ruolo del governo nella definizione delle politiche. Il governo rappresenta un'arena in cui i gruppi rivali s'incontrano e negoziano. L'aver ammesso che questo concetto non rispecchiava la realtà delle azioni di governo ha portato alla rielaborazione concettuale del ruolo di questo come giudice o arbitro. Lo Stato rimane un luogo in cui gruppi si incontrano, il governo è una sorta funzionario che detta le regole del conflitto fra gruppi assicurando che non le violino. Secondo Latham: gli organi legislativi sono arbitri nella lotta fra gruppi, ogni legge rappresenta un compromesso perché lo stesso processo di composizione dei conflitti di un gruppo di interesse è un processo di deliberazione consenso; quello che può chiamarsi public policy è al momento una situazione di equilibrio raggiunta dai gruppi in lotta in un determinato periodo e rappresenta una bilancia che le fazioni o i gruppi contendenti cercano di riportare a tutti i costi dalla propria parte. La teoria si disinteressa che gli Stati mantengono spesso legami forti con gruppi e sarebbero in grado di supportare la formazione di gruppi ove non ne esistessero altri o altri ne rendano difficili i compiti. Anche il concetto pluralista secondo cui l'esecutivo risponde ai gruppi di pressione non è chiaro in quanto presuppone un'unità di intenti e di azione da parte del governo. diversi uffici hanno interessi diversi, forniscono interpretazioni contrastanti dello stesso problema e la soluzione scelta per risolverlo influenza le politiche adottate e il modo di realizzarle. Charles Lindblom sostiene che il gruppo che rappresenta gli interessi degli uomini d'affari è più potente di altri, per almeno due motivi. Il primo è costituito dal fatto che, nelle società capitaliste, i governi hanno bisogno di un'economia prospera per assicurarsi le entrate da destinare programmi e alla propria rielezione. Per favorire la crescita economica i governi devono mantenere la fiducia nel clima economico, prestando attenzione alle 5 società affariste . Il secondo è che in queste ultime esiste una divisione fra settore pubblico e privato, il primo controllato dallo Stato e il secondo dominato dagli imprenditori. Il predominio esercitato da questi ultimi sul settore privato li piazza in una posizione privilegiata rispetto agli altri gruppi, in quanto molti aspetti dell'occupazione e delle correlate attività sociali ed economiche dipendono in ultima analisi dall'andamento degli investimenti nel settore privato. Il problema di fondo delle analisi pluraliste le politiche pubbliche rimane l'eccessiva attenzione al ruolo dei gruppi di interesse, a discapito di altri fattori importanti. La teoria continua a sorvolare sul ruolo dello Stato e del sistema internazionale nella formazione delle pubbliche. L'applicare del pluralismo fuori dagli Stati Uniti è sempre stata problematica a causa della differenza delle istituzioni e dei processi politici, le istituzioni parlamentari britanniche in Australia, Canada o nel Regno Unito non sono accessibili ai gruppi di potere così come lo è il congresso negli Stati Uniti. Secondo Schmitter, sarebbe stata più probabile la nascita di un'organizzazione politica di tipo corporativista che pluralista. Negli Stati Uniti il pluralismo è stato per molto tempo la più diffusa delle teorie dell’analisi dei gruppi. La teoria corporativa sostiene che i ceti intermedi hanno una vita propria oltre quella degli individui che li costituiscono e che la loro esistenza è parte dell'ordine biologico e naturale della società. Come ha osservato Schmitter, il corporativismo può essere compreso più facilmente se confrontato con il pluralismo. Il pluralismo è una teoria secondo cui esistono molti gruppi che rappresentano gli interessi dei rispettivi membri, la cui associazione è volontaria; inoltre i gruppi si associano liberi e reciproci senza intergerenze dello Stato. Al contrario, quest’ultimo è: un sistema di intermediazione di interessi in cui le unità costituenti si organizzano in un numero limitato di categorie singole, obbligatorie, non competitive, gerarchicamente ordinate e differenziate nelle proprie funzioni, riconosciute dallo Stato, in cambio di certi controlli sulla selezione dei capi, e dell'articolazione delle richieste e dell'appoggio. Il corporativismo tiene in considerazione due problemi tralasciati dalla pluralismo: il ruolo dello Stato e gli schemi istituzionalizzati dei rapporti fra lo Stato e i gruppi. Il secondo problema è che questa teoria non aiuta a comprendere meglio il processo di policy nemmeno nei paesi cosiddetti corporativisti non in tutti paesi esiste un confronto aperto fra i gruppi, tuttavia ciò non spiega perché determinate politiche vengano adottate o realizzate in un determinato modo. Gli stretti rapporti che legano il governo e certi gruppi sono uno dei tanti fattori che concorrono a formare le politiche. Il terzo problema è che la teoria non fornisce neanche una definizione chiara della propria unità fondamentale di analisi, il gruppo di interesse. La teoria è vaga rispetto al ruolo dei gruppi in politica. Non ha una concezione chiara della natura dello Stato, dei suoi interessi e del perché lo Stato riconosca solo certi gruppi come rappresentanti degli interessi rilevanti. Il corporativismo ha svolto un ruolo notevole nell'analisi delle politiche pubbliche, mettendo in evidenza l'autonomia dello Stato in politica, ha spianato la strada a interpretazioni più sofisticate di public policy rispetto alle altre teorie di analisi dei gruppi. Il corporativismo ha svolto un ruolo notevole nell'analisi delle politiche pubbliche, mettendo in evidenza l'autonomia dello Stato in politica, ha spianato la strada a interpretazioni più sofisticate di public policy rispetto alle altre teorie di analisi dei gruppi. STATALISMO Una terza teoria politica di tipo induttivo ha fatto propri gli sviluppi del pluralismo e del corporativismo, incentrando la sua analisi sulle strutture sociali organizzate o sulle istituzioni politiche. Molte di queste teorie guardano lo stato come guida della società e fattore del processo sociale mentre altri attribuiscono significato esplicativo anche ad altre forme sociali quali l'imprenditoria con il mondo del lavoro. Otto Hintze o Max Weber hanno notato come il monopolio dell'uso della forza da parte dello Stato gli permetta di riordinare e strutturare le relazioni sociali e le istituzioni. Una simile linea di analisi ha portato ad un'interpretazione della vita politica Stato - centrica piuttosto che socio - centrica. Lo Stato è visto come un attore autonomo dotato della capacità di definire e realizzare i propri obiettivi, non necessariamente volti a rispondere a pressioni esercitate su di esso per gruppi sociali o classi dominanti. Esso non tiene conto dell'indipendenza e della libertà sociale e non spiega perché gli Stati non riescano sempre a far valere la propria volontà, come accade nei periodi di ribellione, rivoluzione o disobbedienza civile. La “visione Statalista” sostiene che tutti gli Stati forti reagirebbero lo stesso problema nello stesso modo per la somiglianza delle loro strutture organizzative. Non è vero, poiché diversi stati sia forti che deboli elaborano politiche diverse per affrontare lo stesso problema. Invece di sostituire l'idea pluralista dello stato rivolto verso la società con l'idea statalista della società rivolta verso lo Stato, molti teorici dello statalismo tendono soltanto a sottolineare la necessità di considerare i due tipi di fattori nelle analisi dei fenomeni politici. Come ammette Skocpol, lo Stato non diventa l'unico fattore, anche altre organizzazioni e agenti modellano le relazioni sociali. GLI ATTORI E LE ISTITUZIONILE POTENZIALITÀ DELLO STATO NELLA FORMAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE: PROBLEMATICHE CONCETTUALI Le teorie dell'economia del benessere e di public choice considerano gli individui come agenti in grado di agire profondamente sulle politiche, mentre per le teorie costruite sulla pluralismo e sul corporativismo il primato spetta ai gruppi organizzati. Nell'ottica statalista e ne ho istituzionalista, a ricoprire il ruolo di attore rilevante è lo Stato, i suoi scopi e facoltà determinano le politiche pubbliche. Le teorie basate sull'analisi di classe trattano gli attori come creature nate dalle strutture economiche e spiegano tutte le loro azioni in termini di imperativo strutturale o necessità funzionale. Inoltre, essi possono rientrare in questo tipo di analisi soltanto fino ad un certo punto proprio perché le teorie classiste si incentrano sui concetti di base economica e di conflitto di classe. Sia gli attori che le istituzioni svolgono un ruolo decisivo nel processo di policy, anche se in alcuni casi una delle due parti può assumere un'importanza maggiore rispetto all'altra. Gli individui, i gruppi, le classi e gli Stati che partecipano a tale processo hanno interessi propri, ma sono gli elementi istituzionali a dare forma al modo in cui gli attori interpretano e perseguono tali interessi, nonché agli esiti del lavoro degli attori stessi. Non esiste la possibilità di prevedere quale delle due parti ricoprirà il ruolo più importante in un caso particolare; bisogna prenderle in considerazione entrambe e lasciando che sia l’analisi empirica a stabilire l’importanza e la rilevanza dei singoli casi specifici. Le politiche sono definite da sottosistemi di policy, costituiti da attori che si confrontano con un problema pubblico. Il terminatore denota sia lo Stato che gli attori sociali, alcuni dei quali sono strettamente coinvolti nel processo di policy, mentre altri lo sono solo marginalmente. I policy subsystems sono forum in cui gli attori discutono argomenti riguardanti le politiche, cercano di ottenere consensi e negozi al fine di realizzare il proprio interesse. Nel processo di interazione reciproca, gli attori spesso rinunciano ai propri scopi o li modificano in cambio di concessioni da parte degli altri membri del subsystem. Tali interazioni si verificano comunque nel contesto degli apparati istituzionali che ruotano attorno alle policies, influendo sul modo in cui gli attori perseguono i loro interessi e le loro idee, e sulla loro capacità di avere successo. Per istituzioni si intendono soltanto le strutture e le organizzazioni che fanno capo allo Stato, alla società e al sistema internazionale. Ciò che noi interessa è vedere come queste istituzioni sono organizzate internamente e come si rapportano reciprocamente. GLI ATTORI NEL PROCESSO DI POLICY Gli attori del processo di policy possono essere sia individui che gruppi. Gli attori coinvolti in una particolare area di policy si definiscono collettivamente un policy subsystem. Il numero degli attori che fanno parte di policy subsystems e che partecipano al processo di policy è infinito. Gli attori di policy appartengono all'apparato statale e alla società. Gli attori possono essere divisi in cinque categorie: funzionari elettivi, funzionari nominati, gruppi di interesse, organizzazioni di ricerca e mass media. Le prime due categorie fanno parte dell'amministrazione le altre invece le altre tre della società; tutte insieme costituiscono gli ambiti principali da cui provengono i membri di policy subsystem specifici. Gli elettori hanno un ruolo marginale nel processo di policy. Da una parte, negli Stati democratici il voto è il mezzo fondamentale di partecipazione alla vita politica e, per estensione, alla formazione delle politiche. Attraverso il voto gli elettori non godono solo dell'opportunità di esprimere la propria scelta sul governo, ma possono anche esercitare pressioni per ottenere allettanti pacchetti di policy dai partiti e dai candidati che cercano di guadagnarsi il loro voto. D'altra parte, tale opportunità raramente viene resa effettiva, almeno non in maniera diretta, per una serie di ragioni. Nelle democrazie moderne le politiche vengono definite dai rappresentanti scelti dagli elettori, non devono seguire le preferenze degli elettori nelle decisioni quotidiane. I legislatori non partecipano molto al processo di policy, che è affidato ad esperti di settore piuttosto che ai parlamentari, i quali si occupano più di affari generali. I candidati non si fronteggiano soltanto sulla base delle politiche contenuti nei loro programmi, anche quando ciò avviene, come dal resto gli elettori non votano soltanto sulla base delle linee programmatiche proposte. I politici seguono l'opinione pubblica nelle definire le proprie linee di policy, anche se poi non sempre agiscono di conseguenza. Alcuni sostengono che il governo è diventato troppo complesso per subire l'influenza dei politici e che le decisioni di routine vengono influenzate più che altro dai burocrati, dai gruppi di interesse o dagli istituti di ricerca specializzati in alcune aree di policy. Se i partiti influiscono sui lavori delle politiche pubbliche non lo fanno in maniera diretta ma bensi grazie ai loro membri interni inseriti nell'esecutivo e, ad un livello minore, negli organi legislativi. 6 FUNZIONARI ELETTIVI I funzionari elettivi che partecipano al processo di policy si possono dividere in due categorie, i membri dell'esecutivo e quelli degli organi legislativi; l'esecutivo è uno degli elementi chiave dei policy subsystems. Questa centralità gli deriva dall'autorità di governare il paese accordatagli dalla costituzione. Anche se altri attori partecipano al processo di policy, l'autorità di definire e realizzare le politiche spetta in ultima analisi all'esecutivo. Nei sistemi parlamentari i sistemi di controllo sull'esecutivo sono pochi, almeno fintanto che il governo ha il consenso della maggioranza in Parlamento. Nei paesi con sistemi presidenziali l'esecutivo deve convincere il Parlamento ad approvare le proprie iniziative, anche in questo caso l'esecutivo gode di ampio potere discrezionale nei confronti del controllo parlamentare. Il controllo dell'informazione è una di queste. Un'altra è il controllo delle risorse fiscali, perché l'approvazione del budget da parte del Parlamento consente solitamente ampie aree di discrezionalità al governo. L'esecutivo ha inoltre il massimo accesso ai mass media per pubblicizzare le proprie posizioni ed attaccare quelle dell'opposizione. Il governo può anche controllare i tempi di presentazione ed approvazione della legge. Tutto questo conferisce all'esecutivo una grande capacità di controllo dell'agenda politica. Un esecutivo potrebbe non avere la capacità organizzativa per definire politiche coerenti e realizzarle in modo efficace. GLI ORGANI LEGISLATIVI Nei sistemi parlamentari il compito degli organi legislativi è controllare l'operato del governo piuttosto che decidere o realizzare le politiche. Lo svolgimento di questa funzione offre l'opportunità di influenzare le politiche, gli organi legislativi sono forum cruciali in cui vengono evidenziati i problemi sociali e vengono richieste le soluzioni politiche per affrontarli. I legislatori hanno il compito essenziale di dare pareri sui disegni di legge o decreti legge necessari per indirizzare le politiche del determinato governo ed il budget necessario a finanziarie la loro realizzazione. In cambio del loro consenso, gli organi legislativi possono richiedere a volte di modificare le politiche in questione. La maggior parte delle leggi viene proposta dall'esecutivo ed esse vengono adottate quasi sempre dagli organi legislativi. Questo accade specialmente nei sistemi parlamentari, in cui i partiti della maggioranza formano il governo; per questo motivo il Parlamento generalmente approva il passaggio dei disegni di legge proposti dall'esecutivo. Nelle democrazie parlamentari gli organi legislativi possono influire sui disegni di legge dell'esecutivo soltanto in situazioni di governo in minoranza. Nei sistemi presidenziali invece il Parlamento è costituzionalmente autonomo rispetto al governo anche nella pratica, perciò i presidenti, indipendentemente dal fatto che il loro partito sia quello della maggioranza, devono negoziare con gli organi legislativi oppure rischiano la sconfitta. In molti organi di policy vengono espletati le commissioni. I membri delle commissioni non sono tenuti a votare secondo le linee del proprio partito se vogliono mantenere la propria indipendenza. La natura del problema che stiamo considerando riguarda anche il coinvolgimento dei legislatori nel processo di policy. Le questioni tecniche di solito non li coinvolgono in quanto essi rischierebbero di non capire a fondo il problema nè le soluzioni. Le politiche che riguardano problemi ritenuti critici difficilmente coinvolgono gli organi legislativi perché il tempo che richiedono la presentazione, la discussione e l'approvazione del disegno di legge non lo consente. FUNZIONARI NOMINATI I funzionari nominati che si dedicano alle politiche pubbliche e alla p.a vengono definiti burocrazia, la loro funzione consiste nell'aiutare l'esecutivo nello svolgimento dei compiti di governo gli apparati burocratici costituiscono infatti un pilastro fondamentale nel processo di policy e una figura centrale in molti policy subsystems. Gran parte delle funzioni riguardanti la formazione e l'attuazione delle politiche un tempo affidate agli organi legislativi e all'esecutivo vengono assegnate agli apparati burocratici. Le funzioni dei moderni governi sono vasti e complessi per essere seguiti dal solo Consiglio dei Ministri (CdM). Gli apparati burocratici sono formati da tanti specialisti che hanno il tempo e le competenze adeguate per gestire in modo costante le questioni relative alle linee politiche La legge prevede che certe funzioni vengano eseguite dagli apparati burocratici, anche accordando ai singoli funzionari ampia discrezionalità nel prendere decisioni per conto dello Stato. Gli apparati burocratici hanno il massimo accesso alle risorse materiali necessarie al raggiungimento dei propri obiettivi organizzativi e personali. Il governo è l'attore che spende di più in tutti i paesi e in una situazione simile i suoi funzionari hanno voce in capitolo in quelle aree di policy che implicano grosse spese pubbliche. La persistenza degli apparati burocratici e la durata degli incarichi conferiti avvantaggiano spesso i funzionari della burocrazia rispetto al suo superiore, l'esecutivo eletto. Infine, il fatto che la deliberazione delle policies avvenga in segreto all'interno degli apparati della burocrazia toglie ad altri attori la possibilità di opporsi e suoi piani. L’esecutivo è responsabile di tutte le sue azioni amministrative e non. La burocrazia, non costituisce un'organizzazione omogenea ma un insieme di organizzazioni, ciascuna con interessi, prospettive e procedure di lavoro standardizzate proprie che difficilmente riescono a riconoscersi in una posizione unica. GRUPPI DI INTERESSE Anche se la definizione delle politiche è prerogativa degli organi di governo dell'esecutivo e della burocrazia, la realtà della politica moderna consente ai gruppi d'interesse di svolgere un ruolo notevole nel processo. Una delle risorse più importanti dei gruppi d'interesse è la conoscenza, l'essere in possesso di informazioni che potrebbero essere non disponibili ad altri. I membri di questi gruppi stanno quasi tutto della propria area di interesse. Per assicurarsi le informazioni richieste e definire politiche efficaci o attaccare gli oppositori, i rappresentanti del governo e i politici dell'opposizione cercano spesso di guadagnarsi il favore dei gruppi. Le altre risorse che gruppi di interesse o di pressione possiedono sono organizzative e politiche. I gruppi offrono contributi alle campagne di finanziamento di partiti e personaggi politici, sostengono i candidati che secondo loro potrebbero favorire la loro causa nel governo e procurano loro dei voti. L'impatto politico dei gruppi di interesse sulla formulazione e sull'attuazione delle politiche pubbliche varia a seconda delle risorse organizzative a disposizione. I gruppi d'interesse sono molto diversi fra loro per numero di membri, gruppi più numerosi hanno più possibilità di essere presi in considerazione dal governo. Alcuni di essi fanno “peak association” costituita da gruppi di interessi simili. Può avere più influenza di gruppi che operano individualmente, alcuni gruppi hanno a disposizione fondi ingenti per mantenere il loro personale specializzato e per sostenere partiti e candidati durante le campagne elettorali. Nei sistemi politici democratici le risorse, a loro disposizione rendono i gruppi di interesse membri chiave dei policy subsystems. Se da una parte ciò non garantisce che i loro interessi vengano soddisfatti, dall'altra i gruppi non possono essere completamente ignorati, se non quando l'esecutivo decide deliberatamente di procedere con una politica nonostante l'opposizione dei gruppi interessati. ORGANIZZAZIONI DI RICERCA Un altro importante insieme di attori sociali coinvolti nel processo di policy è composto dai ricercatori che lavorano nelle università e nei thinks tanks. I ricercatori sono interessati all'aspetto teorico dei problemi pubblici e questi loro interessi possono portare a risultati difficilmente applicabili alle politiche; tuttavia quando le loro ricerche sono condotte allo scopo di partecipare al dibattito sulle politiche, allora anche ricercatori hanno una funzione simile a quella delle loro controparti dei thinks tanks. Si definisce thinks tank un'organizzazione indipendente impegnata in un'attività multidisciplinare finalizzata a influenzare le politiche pubbliche. organizzazioni si interessano di vari problemi di policy e utilizzano diverse competenze per poter sviluppare una prospettiva più completa. Le loro ricerche sono volte a proporre soluzioni pratiche ai problemi pubblici o, nel caso di alcuni thinks tanks, raccogliere dati a supporto delle posizioni che sostengono sulla base delle loro convinzioni ideologiche. Questa caratteristica li distingue da ricercatori dell'Università, i cui interessi sono più specialistici; essi non cercano soluzioni pratiche ai problemi delle politiche. Se i thinks tanks sono più parziali rispetto alle loro controparti puramente accademiche, essi devono mantenere un'immagine di autonomia intellettuale rispetto al governo o ai I think tanks indirizzano le loro ricerche e raccomandazioni a quei politici . che potrebbero essere favorevoli alle loro idee e farle proprie. Essi cercano anche di proporre idee originali e, diversamente dai ricercatori universitari o governativi, si sforzano di pubblicizzarle. Negli ultimi anni i think tanks hanno lavorato molto sulla promozione dell'efficienza dell'economia, che ha destato tanta preoccupazione nei governi dei paesi industrializzati. Con le loro analisi e critiche i think tanks possono avere un notevole impatto sulle politiche pubbliche. MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Le opinioni sul ruolo dei mass-media nel processo di policy variano da coloro che li ritengono il cardinale importanza a quelli che lo descrivono come marginale. I mass-media rappresentano un nesso cruciale fra lo stato e la società, posizione che permette loro di influenzare le preferenze del governo e della società sui problemi pubblici e sulla loro soluzione. Il loro ruolo nel processo di policy è spesso sporadico e marginale. I notiziari spesso non si limitano al solo dare la notizia ma spesso si cimentano nelle circostanziarlo in tutti i suoi particolari altrimenti non ovvi, ne definiscono natura ed 7 conclusione, i regimi definiscono il comportamento appropriato e introducono un minimo di certezza in un sistema altrimenti governato dall'anarchia, non influiscono solo sul comportamento degli Stati in campo internazionale, ma anche in quello nazionale. Un governo che, voglia aiutare i produttori nazionali, concedendo sussidi all'esportazione, potrebbe non essere in grado di agire in questo modo a causa dei vincoli a livello internazionale, ufficiali e informali. Alcuni vedono l'origine dei regimi come una creazione del potere egemonico volto a finalizzare a stabilire un ordine nel sistema internazionale per il bene proprio e degli altri paesi. Altri la nascita dei regimi come risposta alla comune necessità degli Stati di perseguire prosperità e sicurezza, obiettivi più facilmente raggiungibili attraverso la cooperazione con altri Stati. Entrambi i fattori hanno svolto un ruolo significativo nell'istituzione dei principali regimi internazionali che governano i rapporti fra gli Stati. Regimi internazionali variano a seconda di forma, sfera di azione, livello di adesione e strumenti che servono a renderli effettivi. Alcuni si fondano su trattati espliciti; altri con convenzioni consuetudinari, e cosi via. IL REGIME INTERNAZIONALE DEL COMMERCIO L'accordo che ha regolato lungo il sistema commerciale internazionale è il General agreement tariffs and trade o GATT firmato nel 47 firmato da 23 paesi e poi allargato al resto dei paesi che vi aderirono. Nel 1994 grazie a vari negoziati affiancato al Gatt nacque il World Trade Organizzation (WTO). Tra le principali misure del gatt-wto vi sono il mantenimento della non discriminazione nelle pratiche commerciali, la costante pressione alla riduzione delle tariffe, la proibizione generale di restrizioni quantitative sulle importazioni e la regolamentazione di altre pratiche che ostacolano il libero commercio. Il risultato dei paesi aderenti è la rinuncia alla possibilità di concedere sussidi ai propri produttori. Entrando a far parte del GATT- WTO i paesi accettano di diminuire le barriere al commercio, di non sovvenzionare le esportazioni e di trattare beni importati da paesi membri come se fossero merce nazionale. L'accesso al GATT- WTO è difficoltoso, per le piccole economie che sono sotto pressione per adattarsi e riadattarsi alle pressioni economiche e internazionali. Esistono modi per aggirare le limitazioni imposte come premendo sul paese esportatore affinché volontariamente riduca le proprie esportazioni. I paesi che intrattengono consistenti rapporti di scambio sono legati anche ad alleanze militari, con la Nato. I rapporti commerciali possono anche rendere le nazioni vulnerabili di fronte a pressioni internazionali di tipo politico e diplomatico. Un alto grado di dipendenza da una sola nazione è vincolante a causa dell'influenza che può essere esercitata dal partner commerciale più importante. IL SISTEMA FINANZIARIO INTERNAZIONALE I tassi di cambio non sono fissi, ma vengono determinati dei mercati finanziari, seconda della domanda e dell'offerta della valuta di un paese. Gli Stati devono prestare attenzione agli effetti delle proprie politiche in quanto esse influenzano i tassi di cambio, che a loro volta influiscono sulla competitività delle esportazioni, con ripercussioni su tutta l'economia. I paesi più industrializzati sono esposti a rischio di pressioni fiscali che non han niente a che vedere con i paesi più poveri. Questi ultimi non hanno accesso facile a crediti dalle banche poiché queste ultime le considerano economie a rischio. L'unica possibilità che rimane è quella di ottenere prestiti dal fondo monetario internazionale, lo costringe, ad accettare quale condizione per il prestito, un programma di aggiustamento strutturale che implica tagli alla spesa pubblica, riduzione delle barriere alle importazioni e svalutazione della moneta. Per la loro forza e dimensione le multinazionali sono i principali attori dell'economia mondiale nonché, della politica e delle politiche pubbliche. Esse sono in grado di provocare seri danni all'economia di un paese rifiutando di investire o decidendo di trasferire gli investimenti altrove. GLI EFFETTI DELLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI I liberisti, esaltano il rafforzamento delle forze economiche globali perché esse mettono un freno alle interferenze della politica nell'economia. Al contrario, (quasi) tutti gli studiosi neo marxisti e nazionalisti evidenziano solo gli effetti negativi della globalizzazione economica. Stati militarmente forti come Stati Uniti, Russia hanno maggiori possibilità di proteggere i propri cittadini dalle pressioni straniere. L'apertura agli scambi agli investimenti stranieri solitamente provoca, in quasi tutti i paesi industrializzati e in molti paesi in via di sviluppo, un indebolimento delle capacità di policy dello Stato. Questa debolezza tuttavia può essere bilanciata, e di fatto trasformata in un punto di forza, da quegli Stati che hanno la capacità interna di razionalizzare l'economia attraverso interventi strategici. I paesi in cui lo Stato è forte e possiede notevole autonomia e capacità sono quelle nella posizione migliore per intraprendere interventi micro economici. GLI STRUMENTI DI POLICY CLASSIFICAZIONE DEGLI STRUMENTI DI POLICY Una carta locazione più sistematica di Christopher Hood, ha suggerito come tutti i policy tools utilizzino una delle quattro grandi categorie delle risorse di governo. Secondo Hood, il governo si confronta con i problemi di interesse pubblico attraverso l'uso delle informazioni in proprio possesso, attraverso i poteri conferitigli dalla legge, attraverso il denaro pubblico, oppure attraverso le organizzazioni formali disponibili. Anche McDonnell ed Elmore hanno utilizzato una quadruplice classificazione degli strumenti basata non tanto sull'uso delle risorse quanto piuttosto sul fine auspicato. Questi criteri presentano problemi, soprattutto perché propongono categorie ampie in cui è possibile racchiudere tanti strumenti non in relazione tra loro oppure, come nel caso dello schema delle categorie di Hood, che si escludono a vicenda. Nello schema di Hood, non è chiaro in quale categoria debba essere compresa la spesa pubblica in pubblicità, in quale delle categorie ricade questa attività, anche perche i termini vengono descritti le categorie sono troppo distanti dalla visione politica reale. Bruce Doern Richard Phidd sono gli autori di una svolta nella classificazione degli strumenti di policy, avendoli catalogati in base al criterio della legittima coercizione che ciascuno strumento comporta. Secondo tale schema, l'autoregolazione è considerato il livello più basso di coercizione, mentre la proprietà pubblica è ritenuto il livello più alto. Questo ha fornito le basi per classificazioni future stabilendo la necessità di analizzare gli strumenti nel contesto della relazione Stato-Società che rappresenta ciascuna categoria. Gli strumenti veramente volontari sono quelli che si attuano completamente senza l'intervento dello Stato, mentre quelli totalmente obbligatori non lasciano alcuno spazio alla discrezionalità dell'individuo. Tra i due estremi si situa una serie di strumenti che coinvolgono nell'erogazione sia lo stato che i privati a diversi livelli. L’unione della scala dei valori con gli elenchi di strumenti individuati da Kirschen e da altri porta alla creazione di un elenco di 10 tipi principali di strumenti di policy. In ordinedi intervento dello Stato incontriamo famiglia e comunità, organizzazioni di volontariato, mercati privati, informazione ed esortazione, sussidi, asta per i diritti di proprietà, tasse e tariffe d'uso, la regolazione, impresa a controllo pubblico ed erogazione diretta. La maggior parte degli obiettivi di policy potrebbe essere realizzata facendo ricorso a più strumenti, certi strumenti sono in una certa misura sostituibili. Il compito che spetta al governo nel policy making è la scelta dello strumento o della combinazione di strumenti più appropriati per l'obiettivo da raggiungere, tenendo in considerazione i limiti e le possibilità di ciascuna categoria di strumenti, così come le conseguenze politiche del loro impiego. Sebbene molti strumenti siano sostituibili, in pratica essi differiscono per certi aspetti che ne rendono complessa la scelta. Salamon e Lund suggeriscono come strumenti diversi si caratterizzino per differenti gradi di efficienza, efficacia, equità, legittimità e favore ottenuto dalle parti, e come tali fattori influiscano sull'adeguatezza di uno strumento in una determinata situazione. Certi strumenti si dimostrano più efficaci di altri nel portare a compimento una politica, alcuni strumenti sono più efficienti in termini di costi economici e di personale, considerazione importante dell'odierno clima caratterizzato dalla ristrettezza del budget. Anche la capacità di ottenere l'appoggio della popolazione in generale e in particolare dei policy sub-systems coinvolti deve essere tenuta in considerazione. Molti ministeri preferiscono agire con sussidi o simili che rimane sempre sotto il suo controllo. Inoltre, poiché l'applicazione degli strumenti può avere differenti effetti distributivi, i policy makers potrebbero avere bisogno di scegliere strumenti che siano equi. Le agevolazioni fiscali sono inique perché non offrono benefici a coloro che non hanno un reddito tassabile. STRUMENTI VOLONTARI La caratteristica degli strumenti volontari è il coinvolgimento minimo o nullo del governo: il compito auspicato viene svolto su base volontaria. I governi decidono deliberatamente di non agire (appunto la non decisione) riguardo determinati problemi ritenendo opportuno che questi problemi possa essere gestita meglio dal mercato, organizzazioni di volontariato. Il ricorso agli strumenti volontari potrebbe aumentare per la diffusione di processi di privatizzazione negli ultimi anni. Questo tipo di strumenti viene preferito in molte società per la sua efficienza in termini di costi. LA FAMIGLIA E LA COMUNITÀ Il primo gruppo di strumenti volontari su cui il governo può contare per realizzare le politiche è costituito dalla famiglia e dalla comunità. In tutte le società vi sono parenti, amici che provvedono a diversi beni e servizi e il cui ruolo può essere eventualmente sfruttato dal governo al fine di realizzare gli obiettivi di policy. Il governo può decidere di tagliare i fondi per i servizi in maniera tale che la famiglia o chi per l’individuo in questione per 10 coprire il vuoto, oppure agire direttamente favorendo l’agire della famiglia e delle comunità. Il vantaggio principale di favorire la famiglia e la comunità come strumenti di policy è che il governo non deve affrontare nessun costo, a meno che non decida di distribuire fondi e sovvenzioni destinati a questi sforzi. Le famiglie e le comunità sono fattori chiave in molte Nazioni nord europee. Come al solito ai molti vantaggi ci sono i contro di consuetudine gli strumenti che si basano sulla famiglia o sulla comunità sono ad esempio poco adatti ad affrontare complessi problemi economici. Per il governo potrebbe essere più conveniente erogare servizi in modo centralizzato piuttosto che decentralizzarlo affidandolo alla famiglia e alla comunità. Fare leva su quest’ultimo può risultare pressappoco che inaffidabile poiché la maggior parte degli individui e sola quindi nessuno avrà cura di questi individui socialmente bisognosi, per mancanza di mezzi o emotivamente non coinvolti. La stessa iniquità si presenta anche riguardo a coloro che offrono assistenza, in molte società sono le donne a prestare assistenza nonostante le crescenti difficoltà nello svolgere questo ruolo a causa dell'aumento delle donne lavoratrici. LE ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO Le organizzazioni di volontariato implicano attività doppiamente volontarie in quanto libere dalla coercizione dello Stato e dai vincoli economici della redditività e della distribuzione dei profitti. Le organizzazioni che non hanno scopo di lucro erano ed hanno ruolo fondamentale poiché soddisfano i bisogni primari di chi non era in grado di provvedervi da solo, ma nel secolo scorso l'espansione della welfare state ne ha diminuito l'importanza. Negli Stati Uniti il settore del volontariato no-profit offre più servizi dello stesso governo. Negli ultimi anni molti paesi, hanno premuto per cercare di espandere il ruolo del settore del volontariato. Le organizzazioni sono un metodo di erogazione di servizi efficienti in materia di economia e per quanto riguarda il sociale. I gruppi non-profit si presentano come uno strumento equo, perché soccorrono soltanto coloro che ne hanno bisogno. La loro efficienza ed efficacia sono compromesse dal fatto che grandi gruppi di volontari potrebbero trasformarsi in gruppi burocratici e quindi replicare le organizzazioni governative. Se dipendono dal governo per i finanziamenti, tali gruppi possono non risultare efficienti rispetto ai costi: per lo Stato potrebbe addirittura essere più conveniente provvedere direttamente. I volontari inoltre offrono flessibilità, velocità di risposta e capacità di sperimentazione, difficili da trovare in un'organizzazione governativa, questo sistema di far fronte ai bisogni della società diminuisce la necessità dell'azione di governo, incontrando il favore di coloro che ritengono l'intervento dello Stato lesivo della libertà politica. IL MERCATO In alcuni casi il mercato costituisce lo strumento più adeguato perché, oltre ad essere un mezzo efficace per erogare la maggior parte dei beni privati, può anche garantire che le risorse vengano impiegate solo per quei beni e servizi a cui la società attribuisce un valore, dimostrato dalla disponibilità degli individui a pagare per ottenerli. Il mercato assicura che, in presenza di concorrenza tra fornitori, beni e servizi vengano offerti al minor prezzo possibile. In alcune situazioni il mercato può rivelarsi uno strumento inappropriato. Non ci si può affidare al mercato per offrire beni pubblici, proprio quei tipi di beni che la maggior parte delle politiche pubbliche dovrebbe provvedere a erogare, quali difesa, polizia. Il mercato trovano oltre difficoltà a fornire anche diversi tipi di tool-goods e beni collettivi a causa dei fallimenti del mercato. Pur essendo un'organizzazione volontaria, il mercato viene comunque supportato dal potere di coercizione dello Stato. STRUMENTI COERCITIVI Gli strumenti coercitivi, detti anche direttivi, vincolano o indirizzano l'azione degli individui o delle aziende interessate, ai quali non resta che un margine di discrezionalità scarso o nullo nel comportamento. Il governo può ordinare ai cittadini di intraprendere determinate attività, può creare imprese a proprietà pubblica allo scopo di eseguire le funzioni stabilite oppure provvedere direttamente ad erogare i beni e servizi in questione tramite l'apparato burocratico. LA REGOLAZIONE Una definizione completa è quella proposta da Michael Reagan, per il quale essa è un processo o attività con cui un governo richiede o prescrive una certa azione o un certo comportamento all'individuo e alle istituzioni, soprattutto private ma a volte anche pubbliche, attraverso agenzie di regolazione finalizzate allo scopo. La regolazione si configura pertanto come un comando da parte del governo a cui i soggetti interessati devono adeguarsi, il mancato adeguamento comporta solitamente una sanzione. Alcune forme di regolazione sono leggi a tutti gli effetti, la cui applicazione è garantita dall'azione della pubblica sicurezza e del sistema giudiziario. La maggior parte è invece rappresentata da provvedimenti amministrativi creati nei termini di legge e gestiti su base continuativa dai ministeri o da agenzie governative specializzate, indipendenti dal governo nelle loro attività di routine. Ha duplice natura: economica e sociale LE IMPRESE CONTROLLO PUBBLICO Le imprese a controllo pubblico possono essere considerate un caso estremo di regolazione, in cui le regole sono state definite in modo particolare per coprire tutte le attività, come avverrebbe per le direttive interne di un'organizzazione. Ci sono tre osservazioni generali che possono essere utili nella definizione delle caratteristiche delle imprese pubbliche. In questa imprese deve esservi un certo grado di partecipazione statale, che può variare fra il 100% e meno della metà. Il termine "impresa a partecipazione mista" viene usato per descrivere aziende la cui proprietà è condivisa dallo Stato e dal settore privato. Secondo, le imprese pubbliche devono essere soggette ad un certo grado di controllo del governo e da esso gestite direttamente. Un'azienda di proprietà statale al 100% ma non gestita dal governo non può essere considerata un'impresa pubblica. Terzo, la pubblica impresa produce beni e servizi destinati alla vendita, a differenza di beni pubblici come la difesa per i quali i fruitori del servizio non devono pagare direttamente. Il ricorso all'impresa pubblica come strumento di policy offre numerosi vantaggi al governo. Costituisce un efficiente strumento economico di policy in situazioni in cui un bene o un servizio necessario alla collettività non può essere prodotto dal settore privato perché gli investimenti iniziali sono troppo alti o perché i ricavi previsti sono bassi. L'informazione necessaria per costituire un'impresa pubblica molto spesso è minore rispetto al caso degli strumenti volontari o della regolazione. I profitti delle imprese pubbliche possono confluire nei fondi dello Stato ed essere utilizzati per finanziare la spesa pubblica. EROGAZIONE DIRETTA Invece di fare in modo che il settore privato agisca secondo i desideri del governo, invece di regolare l'esecuzione delle attività nel settore privato, invece di farle svolgere ad imprese pubbliche semiautonome, il governo esegue direttamente le attività in questione, provvedendo a erogare beni e servizi attraverso gli impiegati della p.a remunerati con denaro pubblico. Vantaggi dell'erogazione diretta come strumento di policy, come gli strumenti coercitivi, l'erogazione diretta è di facile applicazione perché richiede poche informazioni, la dimensione delle agenzie necessarie all'erogazione diretta rende possibile l'accumulazione di risorse, capacità e informazioni necessarie per svolgere l'attività in modo efficiente. Si evitano i problemi dell'erogazione indiretta dei servizi, quest’ultima cioè l’erogazione diretta permette l'internalizzazione delle transazioni minimizzando i costi per l'acquisto di beni e servizi all'esterno. Vi sono anche degli svantaggi Innanzitutto, i programmi stilati dall'apparato burocratico sono spesso caratterizzati da una certa rigidità, inevitabile nelle società democratico-liberali che si devono attenere alla legge e devono rispettare procedure operative formali. Il controllo politico sulle agenzie e sui funzionari incaricati di erogare beni e servizi potrebbe favorire ingerenze politiche finalizzate al rafforzamento delle prospettive di rielezione del governo piuttosto che a vantaggio del pubblico. controllo politico può anche portare le agenzie incaricate di erogare beni e servizi ad emettere direttive incoerenti a causa delle pressioni contrastanti che ostacolano lo svolgimento delle attività di governo. Non essendo soggette a concorrenza, le agenzie dell'apparato burocratico tendono a non preoccuparsi dei costi, che vengono sostenuti dai contribuenti. L'esecuzione dei programmi può essere influenzata da conflitti interni al governo, sia tra le agenzie che al loro interno. STRUMENTI MISTI Gli strumenti misti combinano elementi sia degli strumenti volontari che di quelli coercitivi. Il coinvolgimento dello Stato può variare da un minimo, che consiste nella diffusione di informazioni, fino alla tassazione per disincentivare le attività non auspicabili. Tra i due estremi si situano i sussidi per incoraggiare l'esercizio di attività desiderabili. Questi strumenti presentano i benefici degli strumenti sia volontari che coercitivi. INFORMAZIONE ED ESORTAZIONE la diffusione di informazioni è uno strumento passivo in quanto consiste nel fornire informazioni a individui e imprese con l'intento di cambiarne il comportamento nel senso auspicato. L'esortazione, o persuasione, implica un livello maggiore di attività da parte del governo rispetto alla diffusione 11 delle informazioni; essa comporta un tentativo di modificare le preferenze e le azioni dei soggetti invece di informarli semplicemente di una situazione, nella speranza di cambiarne il comportamento della direzione auspicata. L'esortazione presenta numerosi vantaggi, costituisce un buon punto d'inizio per un governo che voglia affrontare problemi privi di soluzioni definitive; è di facile attuazione nel caso in cui il problema venga risolto con l'esortazione, non è necessario nessun altro provvedimento; la politica della persuasione può però essere abbandonata se viene individuato lo strumento migliore. L'esortazione è poi poco costosa in termini economici e di personale perché l'impegno di fondi e l'intervento dell'apparato burocratico sono minimi, l'esortazione è uno strumento troppo debole quando servono risultati immediati. SUSSIDI Con il termine sussidio si intende qualsiasi forma di trasferimento di denaro dal governo o da altri individui, imprese od organizzazioni che agiscono per conto del governo a singoli individui, imprese e organizzazioni. Lo scopo è compensare dal punto di vista finanziario il compimento di un'attività desiderabile, agendo quindi sulla valutazione costi-benefici delle alternative possibili per gli attori sociali. La decisione finale spetta singoli individui e imprese ma la possibilità che l'opzione auspicata venga scelta aumenta grazie al sussidio concesso. Una delle forme principali di sussidio è il finanziamento: "spese a supporto di qualcosa di meritevole, quasi come forma di riconoscimento, ricompensa ma non proporzionate ai costi necessari per il raggiungimento di quel fine". I finanziamenti vengono offerti ai produttori per aumentare la quantità di beni o servizi prodotta rispetto a quella altrimenti prevista. Un'altra forma importante di sussidio è costituita dall'agevolazione fiscale, che comprende la remissione di alcune tasse, quali detrazioni, deduzioni, crediti, esenzione o aliquote preferenziali, in riferimento ad un qualche atto o all'omissione di qualche atto. Un'altra forma di sussidio di cui si parla è il voucher, un buono con un certo valore in denaro dato dal governo ai consumatori di un particolare bene o servizio. All'atto dell'acquisto il voucher viene passato dal consumatore al fornitore scelto, che a sua volta lo presenta al governo per il rimborso. I sussidi presentano numerosi vantaggi come strumento di policy, è più facile prevederne la concessione se quello che lo Stato vuole dal pubblico e le preferenze di quest'ultimo coincidono. I sussidi sono uno strumento flessibile perché gli individui che vi aderiscono decidono autonomamente come comportarsi alla luce della possibilità di ricevere il sussidio, sussidi permettono di tenere in considerazione circostanze locali e settoriali, in quanto solo quegli individui quelle imprese che li ritengono convenienti si comporteranno in un dato modo. Essi sono spesso politicamente più accettabili perché i benefici si concentrano su pochi, mentre costi sono suddivisi tra la popolazione; per questa ragione sussidi vengono fortemente sostenuti dai beneficiari e contrastati solo debolmente dagli oppositori. Gli svantaggi: il costo della raccolta delle informazioni che servono a definire l'ammontare del sussidio richiesto potrebbe essere alto poiché i sussidi lavorano indirettamente, c'è bisogno di un certo lasso di tempo per riconoscerne gli effetti sperati; per questo non sono uno strumento adatto ai casi di crisi. ASTE PER I DIRITTI DI PROPRIETÀ Le aste per i diritti di proprietà sono uno strumento misto; quelle indette da un governo istituiscono regole di mercato anche dove non ne esistono. Chi è interessato a fruire di quella risorsa dovrà partecipare ad un'asta per aggiudicarsi la limitata quantità disponibile. Il vantaggio dell'asta consiste nella possibilità di limitare l'uso di una materiale pericoloso per l'ambiente rendendolo ugualmente disponibile a chi non ha alternative. Lo stesso scopo si può raggiungere anche con la regolazione, ma in quest'ultimo caso il governo dovrebbe decidere a chi permettere di usare la quantità disponibile, compito difficile per gli alti costi di raccolta delle informazioni necessarie. Un altro vantaggio dell'asta consiste nella facilità di attuazione. TASSE E TARIFFE Come strumento di policy al fine di indurre un comportamento auspicabile o scoraggiarne uno non auspicabile. Trattenute sul reddito, vengono utilizzate per finanziare programmi di previdenza sociale. Le tariffe d'uso, come le aste per i diritti di proprietà, sono una combinazione di mercato e regolazione. L'attività in questione verrà poi intrapresa in misura determinata dalle forze del mercato in risposta all'ammontare della tariffa. i Costi aggiuntivi che tale strumento comporta costringono le imprese a un'analisi costi-benefici per capire se convenga abbandonare completamente l'attività o ridurla a livelli tali per cui i benefici superino i costi. Tra i vantaggi dell'utilizzo di tasse e tariffe come strumenti di policy i principali sono le seguenti. Primo, tasse e tariffe sono facili da mettere in atto perchè lasciano ai privati e alle imprese la possibilità di trovare gradualmente alternative al pagamento delle tariffe e ridurre i costi. Secondo, le tasse e le tariffe a carico dell'utente sono un continuo incentivo economico a ridurre l'attività non auspicata. Poiché riducendo le tariffe le aziende sarebbero in grado di ridurre i costi o di aumentare i profitti, è nel loro interesse cercare di ridurre al minimo l'attività interessata. Le tariffe a carico dell'utente favoriscono l'innovazione facendo sì che la ricerca di alternative nuove e più economiche sia nell'interesse dell'azienda. Esse sono strumento flessibile in quanto il governo può adeguarle continuamente fino al raggiungimento del punto in cui l'attività in questione si svolge nella quantità desiderata. Questi strumenti sono auspicabili anche in termini amministrativi perché la responsabilità di ridurre l'attività interessata viene lasciata gli individui e alle imprese, riducendo così la necessità che sia la macchina burocratica ad attuare la politica. Hanno anche degli svantaggi quali: Prima di tutto, occorre una grande quantità di informazioni per stabilire il livello necessario a ottenere la risposta voluta, secondo, durante il processo di sperimentazione per arrivare al livello ottimale, le risorse possono essere allocate in maniera erronea, terzo esse non sono efficaci in tempi di crisi quando si richiede una risposta immediata, comportano costi amministrativi onerosi e magari dannosi. LA FORMAZIONE DELL'AGENDA POLITICA DETERMINANTI DELLE POLITICHE E FINESTRE DI "POLICY”: DEFINIZIONE DEI CONCETTI Come fa una issue o una richiesta a diventare o a non diventare oggetto di attenzione all'interno di una nazione? Il modo e la forma in cui problemi vengono riconosciuti sono fattori che determinano il modo in cui i problemi verranno affrontati dai policy makers . L'appoggio pubblico a favore di iniziative di policy varia a seconda delle politiche. L'agenda-setting si fonda sul riconoscimento di un problema da parte del governo. Cobb, Ross e Ross definirono la formazione dell'agenda politica "il processo tramite il quale le richieste dei vari gruppi che compongono una popolazione vengono tradotte in questioni che cercano di attirare l'attenzione dei pubblici funzionari". Questa definizione è legata all'idea che il processo di policy sia guidato dall'azione di gruppi sociali, caratteristica distintiva del pluralismo. Al contrario, in molti casi tale processo viene avviato da membri del governo piuttosto che da gruppi sociali. John Kingdon: "l'agenda è l'elenco di argomenti o dei problemi di cui si occupano in modo serio e per un certo periodo i funzionari governativi e quelle persone che non fanno parte del governo ma che sono strettamente collegate a questi funzionari. Di tutto l'insieme di possibili problemi a cui potrebbero prestare attenzione, i funzionari ne seguono alcuni piuttosto che altri". DETERMINANTI DELLE POLITICHE. L'ORIGINE DEI PROBLEMI DI POLICY Molti dei primi lavori in materia partivano dal presupposto che fossero le condizioni socio-economiche a far emergere un particolare complesso di problemi a cui i governi cercavano di dare risposta. Ora invece è accettata l'idea che i problemi che trovano posto nell'agenda istituzionale sono determinati da una serie di fattori politici, sociali e ideologici. DETERMINISMO ECONOMICO E TECNOLOGICO Ira Sharkansky, giunse alla conclusione che "livelli elevati di sviluppo economico misurato secondo variabili quali la quota percentuale di reddito pro capite percepito dalla popolazione urbana, il livello mediano di istruzione e l'occupazione nel settore industriale, sono associati ad alti livelli di spesa e a un'elevata produzione di servizi nel campo dell'istruzione, del Welfare e della sanità". In base a ciò Sharkansky arrivò ad una soluzione che secondo molti erano in grado di supportare ed influenzare le politiche pubbliche come elettorato hanno una scarsa influenza, del tutto indipendente dallo sviluppo economico. L’idea di molti autori e quella che la struttura economica di una nazione determina le tipologie di politiche pubbliche adottate dal governo. Nella sua forma estrema quella linea di analisi portò alla nascita della tesi della convergenza. Secondo tale tesi, nel loro processo di industrializzazione, tendono a convergere verso lo stesso mix di policy. Nonostante i primi studiosi indicassero una correlazione positiva tra politiche di welfare e sviluppo tecnologico, tale relazione assunse natura causale nei lavori di altri studiosi che seguirono. Wilensky notò che la percentuale del prodotto nazionale lordo di una nazione utilizzata per la sicurezza sociale era funzione positiva del livello di cinque variabili socio-economiche e politiche. In una sua analisi Wilensky comparò 60 paesi arrivando ad una conclusione che l’83% della varianza della quota del PNL destinata alla sicurezza sociale poteva essere spiegato in base all'età del sistema di previdenza sociale, all'età della popolazione, al livello di sviluppo economico definito in termini di Pil pro capite, nonché in base al regime totalitario o democratico liberale, dallo Stato. Scoprì che la correlazione più forte era quella fra spesa per la sicurezza sociale e il livello di Pil pro capite, correlazione che lo spinse a sostenere che le variabili economiche fossero più significative di quelle politiche. Secondo Wilensky, i paesi che hanno tradizioni culturali e politiche contrastanti diventano più simili nella strategia di 12 sinonimi nella letteratura. L'uso del concetto di community così ampio è di poco aiuto nell'analisi del processo di policy. Wilks e Wrigt cercarono invece di restringere l'uso del termine community per indicare una categoria più comprensiva di tutte quelle coinvolte nella formulazione delle politiche e di restringere l'uso di network per denotare un sottoinsieme di membri della comunità che interagivano regolarmente. Le policy communities identificano quegli attori e potenzia attori dell'universo di policy che condividono un comune policy focus. Il network è il processo di collegamento all'interno della policy community e tra due o più communities . Questa distinzione si dimostrò utile, il suo principale vantaggio risiede nell'integrare i due diversi insiemi di motivazione che guidano le azioni di chi interviene nella formazione delle politiche: conoscenza, competenza, e interesse materiale. Associando policy communities con una specifica conoscenza di base e policy networks che perseguono un determinato interesse materiale, i due diversi aspetti del processo di formulazione delle politiche furono affrontati con maggiore acutezza. CLASSIFICAZIONE DEI SOTTOSISTEMI DI POLICY Atkinson e Coleman svilupparono uno schema bassato sull'organizzazione dello Stato e della società e sui loro collegamenti reciproci. Secondo il loro punto di vista, le due questioni critiche erano se gli interessi sociali fossero organizzati a livello centrale e se lo Stato avesse la capacità di sviluppare politiche indipendentemente da essi, altre parole, il livello di autonomia dello Stato rispetto agli attori sociali. Questa classificazione fu complicata dall'aver considerato anche la concentrazione della proprietà nei settori colpiti dalle politiche, che generò un complesso di sottosistemi di policy ad otto livelli. Essi variavano da un tipo di pluralismo che caratterizzava le situazioni in cui tutte e tre le variabili presentavano un valore basso, fino ad un network di concertazione che definiva la situazione in cui gli interessi erano organizzati a livello centrale, la proprietà del capitale era concentrata e lo Stato godeva di alta capacità e autonomia. Franz van Waarden tentò di combinare l'analisi di Rhodes con quella di Atkinson e Coleman, sostenendo che inetwork variavano in basse a sette criteri: numero e tipo di attori, funzioni dei network, struttura, istituzionalizzazione, regole di condotta, relazioni di potere e strategie degli attori. La tipologia sviluppata da van Waarden comprendeva 12 tipi di sottosistema a seconda del numero e del tipo di attori, e della natura delle funzioni che essi svolgevano. Come il primo tentativo di Atkinson e Coleman, questo modello si rivelò di difficile applicazione a casi pratici. La separazione analitica di community e network aiuta a chiarire la concettualizzazione dei sottosistemi di policy e i vari fattori che stanno dietro al suo sviluppo. Da un lato i membri di una policy community sono legati tra loro da questioni epistemiche, cioè da una base di conoscenza condivisa, dall'altro i membri delle reti non condividono soltanto questa base, ma anche un certo tipo di interessi materiali che consentono o incoraggiano contatti regolari. Sebbene lo stesso sottosistema di policy contenga elementi di conoscenza e di interesse, questi due elementi possono essere distinti l'uno dall'altro e il loro impatto sullo sviluppo del sottosistema può essere analizzato separatamente. Ci si può aspettare che le policy communities variano in base all'esistenza o meno di un episteme o visione del mondo dominante all'interno del sottosistema e in base al fatto che tali idee siano condivise dalla maggior parte dei membri dello stato della società. In questo modello potrebbe presentarsi una comunità egemonica o monopolio di policy quando gli attori statali e sociali sono in accordo sui parametri di un problema o di una issue ed esiste una comunità epistemica dominante identificabile. Dove esiste un episteme dominante, ma lo stato e i membri della società non sono d'accordo sull'adeguatezza di un'idea, ci si aspetta invece una comunità imposta. Dove c'è consenso ma non episteme dominante, esisterà invece una comunità di pari senza leadership. Quando lo Stato e gli attori sociali sono divisi e non esiste un’episteme dominante, si svilupperà probabilmente una comunità anarchica. All'interno di ciascuno di questi diversi tipi di community è possibile comunque che si sviluppi una forma di interazione regolarizzata tra i sottoinsiemi dei membri della community. Come hanno suggerito van Waarden e altri, questi policy network varieranno in basse al numero al tipo di partecipanti, e alle loro reciproche relazioni. Sulla base del criterio binario del numero della locazione degli interessi e della conoscenza rilevante per le politiche, possiamo individuare otto tipi fondamentali di policy network. Il network burocratico rappresenta il caso in cui le principali interazioni tra i membri del sottosistema si verificano soltanto all'interno dello Stato. All'altro estremo si situa l’ issue network in cui, come suggeriva Heclo, le interazioni principali si verificano tra un ampio numero di attori sociali. IL PROCESSO DECISIONALE NELLE POLITICHE PUBBLICHE.OLTRE IL RAZIONALISMO, L'INCREMENTALISTMO E L'IRRAZIONALISMO Verso la metà degli anni 60, la discussione sul decision making nelle politiche pubbliche si era ormai fossilizzata sul dibattito relativo e modelli incrementarle e razionale. Negli anni 70 questa situazione portò allo sviluppo di modelli alternativi di decision making. Alcuni tentarono una sintesi del modello razionale e di quello incrementare, mentre altri, tra cui il cosiddetto modello del bidone della spazzatura rivolsero l'attenzione agli elementi irrazionali del comportamento organizzativo per arrivare ad una terza via oltre il razionalismo e l'incrementalismo. Solo di recente sono stati fatti tentativi per superare questi tre modelli generali. DEFINIZIONE DEI CONCETTI Gary Brewer e Peter DeLeon descrivono la fase decisionale del processo delle politiche pubbliche come: "La scelta tra le alternative di policy generate e i loro possibili effetti sul problema in esame, è lo stadio più politico nella misura in cui le tante potenziali soluzioni di un dato problema devono in un certo senso essere vagliate e solo una o alcune devono essere selezionate. Molte scelte possibili non verranno realizzate e la decisione di non intraprendere un particolare corso d'azione è anch'essa parte della selezione in quanto decisione finale sulla miglior opzione." Innanzitutto, il decision making non costituisce una fase a se stante e neppure un sinonimo per designare l'intero processo di policy, ma rappresenta una fase specifica le cui origini sono radicate nelle fasi precedenti del ciclo di policy. La decisione comporta una scelta tra un numero basso di opzioni alternative di policy, al fine di risolvere un problema pubblico. La definizione sottolinea il fatto che il decision making nelle politiche pubbliche non si risolve in un esercizio tecnico, ma in un processo politico. Le decisioni delle politiche pubbliche non creano vincitore e vinti anche se riguarda la non decisione o il mantenimento dello status quo. I modelli riconoscono che, con l’aumentare della politica della policy, diminuisce il numero degli attori rilevanti. l'agenda-setting coinvolge un grande numero di attori dello Stato e della società. Durante la formulazione il numero degli attori è sempre notevole, ma comprende solo gli attori pubblici e sociali che formano il sottosistema di policy. La fase di decision making coinvolge un numero ancora minore di attori, perché ne vengono esclusi tutti quelli non statali, compresi quelli che appartengono ad altri livelli di governo. Questi modelli prendono atto che, nei governi moderni, il grado di libertà di cui gode ciascun decisore viene circoscritto da una serie di regole che gli organi politici e amministrativi devono rispettare, limitandone le possibilità di azione. Tali regole vanno dalla costituzione del paese al mandato specifico conferito a singoli decision makers da varie leggi e regolamenti. Queste regole non stabiliscono soltanto quali decisioni possono essere prese da un'agenzia o da un funzionario dello Stato, ma definiscono anche le procedure da seguire. Queste regole e procedure operative standard spiegano come mai tanti processi decisionali di governo siano routinari e ripetitivi. Seppure questi elementi ne circoscrivono la libertà, ai singoli decision makers resta discrezionalità, che consente di giudicare quali sia il miglior corso d'azione da seguire in specifiche circostanze. In alcuni sistemi politici l'autorità decisionale si concentra nell'esecutivo eletto e nell'apparato burocratico, mentre in altri viene lasciato più spazio agli organi legislativi e giudiziari. I sistemi parlamentari rientrano solitamente nella prima categoria, mentre i sistemi presidenziali nella seconda. In Inghilterra, Canada, il consiglio dei ministri e l'apparato burocratico sono gli unici responsabili delle decisioni di policy. Il Parlamento può eventualmente imporre certe decisioni al governo quando questo non gode della maggioranza in Parlamento, oppure possono imporsi anche gli organi giudiziari in quanto interpreti della costituzione, ma si tratta di situazioni inconsuete. Negli Stati Uniti o nei sistemi presidenziali, sebbene l'autorità decisionale spetti al presidente, le decisioni che richiedono l'approvazione del Parlamento comportano una contrattazione con i membri dell'organo legislativo, mentre altre decisioni vengono modificate dagli organi giudiziari sulla base di incompatibilità costituzionale o per altri motivi. Al livello micro, gli stessi decision makers possono essere molto diversi per conoscenza e preferenze, e altri fattori che influenzano l'interpretazione e la soluzione dei problemi. Diversi decision makers che operano in condizioni istituzionali simili reagiscono in modo diverso quando si trovano alle prese con lo stesso problema. Tre dei modelli più comunemente utilizzati sono il modello razionale, il modello incrementare e il modello del bidone della spazzatura. MODELLI DECISIONALI I due modelli decisionali più noti sono quelli definiti modello razionale e modello incrementale. Il primo viene usato nell'ambito economico e applicato all'arena pubblica, mentre il secondo è un modello politico applicato alle politiche pubbliche. Il modello del bidone della spazzatura ritrae il processo decisionale come un processo non razionale basato sulla convenienza. 15 IL MODELLO RAZIONALE È un modello idealizzato che descrive un processo razionale di decision making consiste in un individuo razionale che:1 stabilisce obiettivo per raggiungere l’obiettivo fissato; 2 esplora tutte le alternative per arrivare all’obiettivo fissato; 3 prevede tutte le conseguenze significative per ognuna delle strategie alternative stimando anche la probabilità che si verifichino tale conseguenza; 4 sceglie la strategia che risolve meglio il problema o che lo risolve al minor costo. Il modello è razionale poiché sono procedure basate che esso prescrive porteranno alla scelta dei mezzi più efficienti per raggiungere gli obiettivi di policy. Queste teorie sono radicate nel razionalismo illuminista e nelle positivismo, scuole di pensiero che cercavano di sviluppare una conoscenza distaccata, al fine di migliorare la condizione umana. I probelmi della società secondo tale prospettiva devono essere risolti in modo razionale, raccogliendo tutte le informazioni sui problemi e le eventuali vie e soluzioni da alternative per poi scegliere quella migliore. Il compito dell'analista di policy è quello di sviluppare la conoscenza rilevante e presentarla al governo, che provvederà ad applicarla. I policy makers dovranno agire come tecnici o manager, che identificano il problema e adottano il modo più efficace o efficiente per risolverlo. Il modello razionale trova le sue origini nei primi tentativi di fondare una scienza del comportamento delle organizzazioni e della p.a. Gulick e Urwick codificarono un modello attraverso cui, a loro parere, era possibile prendere la decisione migliore. Il modello PODSCORB suggeriva come le organizzazioni potessero massimizzare le loro performance attraverso attività sistemiche di pianificazione, organizzazione, decisione, selezione, coordinamento, reclutamento e budgeting. In particolare, secondo Gulick e Urwick, nel soppesare i benefici di ciascuna decisione a fronte dei costi previsti. La capacità di chi deve prendere una decisione di riuscire a stabilire tutte le alternative possibili e calcolarne benefici costi è limitata. Ci sono anche i vincoli politici e istituzionali che condizionano la selezione di opzioni e la successiva scelta. Il modello razionale-ottimale fu criticato per essere, fondato su presupposti sbagliati e dannoso. Il critico più eminente del modello razionale fu Herbert Simon, sosteneva che diversi ostacoli si opponevano alla possibilità che si potesse attenere alla pura razionalità ottimale nel prendere decisioni. Esistono limiti cognitivi alla capacità dei decision makers di prendere in considerazione tutte le opzioni possibili, che li costringono a considerare le alternative in modo selettivo. Il modello prevede la possibilità che i decision makers conoscano in anticipo le conseguenze di ciascuna decisione, cosa che raramente avviene nella realtà. Ogni cooptazione politica comporta una serie di conseguenze favorevoli e sfavorevoli difficili da mettere a confronto. Poiché la stessa opzione può essere efficiente o meno a seconda delle circostanze, i decision makers possono arrivare soltanto a conclusioni perlomeno ambigue sull’ alternativa migliore. La valutazione di Simon del modello razionale si concludeva con l'affermazione che, le decisioni pubbliche non massimizzano i benefici rispetto ai costi, ma tendono a soddisfare i criteri che gli stessi decision makers si impongono nel caso in questione. Questo criterio è realistico data la razionalità limitata che caratterizza gli esseri umani. IL MODELLO INCREMENTALE Ci furono dubbi sul modello razionale che portarono al tentativo di sviluppare una teoria del processo decisionale più legata al reale comportamento dei decision makers in situazioni pratiche. Ciò favorì la nascita del modello incrementare, che descrive il processo decisionale delle politiche pubbliche come un processo politico caratterizzato da negoziazioni e compromessi tra gli interessi dei vari decision makers . Secondo Lindblom, i decision makers sviluppano le politiche attraverso un processo continuo di comparazioni, limitate alle decisioni precedenti, quelle che conoscono già. I decision makers lavorano in un processo di costruzione continua a partire dalla situazione presente, passo dopo passo e per gradi. Le decisioni a cui si arriva in questo modo differiscono soltanto marginalmente da quelle già prese. Ci sono due ragioni per cui le decisioni non si discostano dallo status quo. La prima è che, è più facile continuare ad usare gli schemi di distribuzione già esistenti piuttosto che cercare di valutare proposte radicalmente nuove. I benefici e i costi degli accordi attuali sono ben noti agli attori di policy, a differenza delle incertezze che accompagnano quelli nuovi, cosa che rende un'intesa sui cambiamenti difficile da raggiungere. Risultato è il mantenimento dello status quo o piccole variazioni. La seconda ragione è che l'esistenza di procedure operative standardizzate, caratteristica principale degli apparati burocratici, tende a favorire il perdurare delle pratiche esistenti. I metodi tramite cui i funzionari identificano opzioni, metodi e criteri di scelta sono spesso stabiliti in anticipo, ostacolando l'innovazione e perpetuando invece le disposizioni già esistenti.Lindblom sosteneva che l'esigenza del modello razionale di separare il fine e i mezzi non poteva funzionare nella pratica, non solo per i vincoli di tempo e informazione identificati da Simon, ma anche perché avrebbe presupposto che i policy makers fossero in grado di separare il fine dai mezzi nel valutare le politiche, e fossero poi in grado di accordarsi su entrambi. Secondo Lindblom, in molte aree di policy virgole fini non possono essere separati dai mezzi e gli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere vengono scelti spesso in base al fatto che esistano o meno mezzi in grado di realizzarli. Poiché è spesso difficile raggiungere un accordo su una scelta di policy, i policy makers evitano di riaprire vecchie questioni o di considerare scelte molto diverse dalle pratiche già in uso, per non rendere difficile il raggiungimento di un accordo. Il risultato sono decisioni di policy che differiscono da quelle vecchie solo in modo incrementare. Il modello incrementare considera il processo decisionale come un esercizio pratico interessato a risolvere problemi a portata di mano piuttosto che a raggiungere obiettivi ambiziosi. In questo modello i mezzi per risolvere i problemi vengono scelti attraverso un processo di tentativi ed errori piuttosto che mediante una valutazione complessiva di tutti i mezzi possibili. I decision makers prendono in considerazione soltanto alcune alternative ben conosciute di abbandonano la ricerca quando credono di avere trovato un'alternativa accettabile. Braybrooke e Lindblom hanno individuato quattro tipi diversi di processo decisionale a seconda della quantità di conoscenze a disposizione dei decision makers e dall'entità del cambiamento provocato dalla decisione in esame rispetto alle decisioni precedenti. Secondo questo punto di vista, che comporta il minimo cambiamento in situazioni in cui è disponibile la scarsa conoscenza esistono altre tre possibilità: una è il modello razionale; le altre alternative sono definite modello rivoluzionario e analitico. In seguito Lindblom ha affermato che esiste un continuum di stili decisionali. Essi variano dal sinottico, fino al blundering, che segue semplici intuizioni o supposizioni senza alcun reale tentativo di analisi sistemica di strategie alternative. L'essenza dell'incrementalismo, sottolineava Lindblom, è cercare di rendere sistematiche decisioni prese in questo modo insistendo sulla necessità di accordo politico e di apprendimento mediante tentativi ed errori, invece di raffazzonare decisioni in modo casuale. Il modello, scoraggiando un sistema di analisi e pianificazione sistematica e disincentivando la ricerca di nuove promettenti alternative, promuove decisioni miopi che possono avere conseguenze sfavorevoli sulla società. L'incrementalismo può funzionare solo in presenza di una grande continuità nella natura dei problemi che le politiche si prefiggono di affrontare e ne mezzi a disposizione per farlo, continuità che non sempre esiste. L'incrementalismo è una caratteristica del processo decisionale in un ambiente relativamente stabile piuttosto che in situazioni insolite, come un'eventuale crisi. IL MODELLO DEL BIDONE DELLA SPAZZATURA Amitai Etzioni sviluppò il suo modello mixed scanning per aggirare le imperfezioni sia del modello razionale che di quello incrementale, combinando elementi di entrambi. Questo modello sosteneva che il processo decisionale ottimale consisteva in una ricerca rapida di alternative, seguita da un'analisi dettagliata eseguita su quelle più promettenti. Tale processo consentiva una maggiore innovazione di quella permessa dal modello incrementale, senza imporre i requisiti irrealistici prescritti dal modello razionale. March e Olsen proposero il modello cosiddetto del bidone della spazzatura che negava anche la limitata razionalità concessa dall’ incrementalismo. Gli autori partirono dall'affermazione che gli altri modelli presupponevano un livello di intenzionalità, di comprensione dei problemi e di prevedibilità delle relazioni fra gli attori che nella realtà non si verifica. Il processo di decision making si configura come fortemente ambiguo e imprevedibile e ha a che fare solo lontanamente con la ricerca dei mezzi necessari a raggiungere gli obiettivi. I due autori cercarono di riportare alla luce il fatto che gli obiettivi sono spesso sconosciuti ai policy makers , così come lo sono le relazioni causali. Secondo il loro parere, gli attori non fanno altro che definire gli obiettivi e scegliere i mezzi seguendo un processo che è necessariamente contingente e imprevedibile. Le decisioni pubbliche vengono spesso prese troppo ad hoc casualmente per poter essere chiamate incrementali, e men che meno razionali. Il modello bidone della spazzatura è forse un'esagerazione di quello che accade in realtà. Il suo maggiore punto di forza fu rompere l'impasse che circondava il dibattito piuttosto sterile tra razionalismo e incrementalismo, permettendo di intraprendere studi più diversificati sul processo decisionale all'interno dei contesti istituzionali. UN MODELLO DECISIONALE BASATO SUI SOTTOSISTEMI Molti autori sono del parere che la nozione di stili di decision making multipli elaborata da Braybrooke e Lindblom sia corretta, e che elencare esattamente le condizioni in cui probabilmente verrà adottato un certo stile sia un altro punto importante. Uno degli sviluppi più interessanti in questa direzione si trova nei lavori di John Forester, secondo cui esistono almeno cinque stili decisionali diversi associati a sei insiemi fondamentali di 16 condizioni. Per Forester quello che è razionale per gli amministratori dipende dalla situazione in cui essi lavorano. Ciò significa che lo stile decisionale e il tipo di decisione presa dai decision makers variano a seconda delle issues e del contesto istituzionale. Forester suggerisce che, si devono verificare le seguenti condizioni. La prima è che il numero degli agenti sia limitato, possibilmente ad una persona. Secondo, l'ambiente organizzativo in cui verrà presa la decisione dovrà essere semplice e isolato dalle influenze degli altri attori di policy. Terzo il problema il raggio d'azione, l'orizzonte temporale, l'entità delle dimensioni e le eventuali conseguenze a catena dovranno essere ben chiari. Quarto, l'informazione dovrà essere per quanto possibile perfetta, cioè completa, accessibile e comprensibile. Non deve esservi urgenza nel prendere la decisione, cioè dovrà esserci disponibilità di tempo per permettere ai decision makers di considerare tutte le possibili eventualità e le loro conseguenze presenti e future. Se queste condizioni non sono soddisfatte, come succede in quasi tutti i casi, secondo Forester verranno adottati altri stili decisionali. Il numero degli agenti può aumentare moltiplicarsi quasi all'infinito, l'ambiente in cui viene presa la decisione può comprendere molte organizzazioni diverse ed essere più o meno aperto a influenze esterne; il problema può essere ambiguo oppure soggetto a interpretazioni contrastanti, l'informazione può essere incompleta. Forester propone cinque possibili stili decisionali: ottimizzazione, satisfycing, ricerca, negoziazione e stile organizzativo Il fatto che si adottino altri stili dipende dal grado in cui le condizioni non vengono soddisfatte. Quando le limitazioni sono cognitive, è probabile che si ricorra allo stile del satisficing. Le altre tecniche citate da Forester si sovrappongono e sono quindi difficili da distinguere chiaramente. Una strategia di ricerca è quella che può verificarsi quando il problema è vago. Una strategia di negoziazione è quella che probabilmente viene applicata quando più attori gestiscono un problema in assenza di informazione e tempo. La strategia organizzativa coinvolge più ambienti e più attori, che hanno a disposizione tempo e risorse informative ma che devono anche affrontare molteplici problemi. Queste strategie coinvolgono un numero maggiore di attori, ambienti più complessi, problemi più difficili da affrontare, informazione incompleta eccetera. Forester ha fatto solo un primo passo verso il miglioramento del modello di decision making. Dopo un esame attento dei fattori che, secondo Forester, formano il processo decisionale, si individuerebbero molte più tecniche delle cinque previste, che derivano dalle possibili combinazioni e permutazioni delle variabili citate. È possibile esaminare i fattori agente e ambiente concentrandosi sul sottosistema di policy, mentre le nozioni di problema, informazione e tempo possono essere viste in relazione ai vincoli imposti ai policy makers . Così le due variabili significative diventano: a) la complessità del sottosistema di policy che deve affrontare il problema; B) la stringensa dei vincoli. La complessità del sottosistema di policy influenza la probabilità di raggiungere un alto livello di accordo o di conflitto su un'opzione all'interno del sottosistema. Il processo decisionale è soggetto a vincoli dovuti alla scarsità di informazioni e di tempo, come pure alla difficoltà di trattare il problema. Gli aggiustamenti incrementali ispirati alla tecnica di Lindblom si verificheranno presumibilmente quando i sottosistemi di policy sono complessi e i vincoli imposti ai decision makers stringenti. In tali situazioni le decisioni su larga scala e ad alto rischio sono presumibilmente rare. Nel caso opposto, quando cioè il sottosistema di policy è semplice e i vincoli non severi, è probabile avere una più tradizionale ricerca razionale di nuovi cambiamenti. Quando esiste una sottosistema complesso e vincoli non sono stringenti è probabile che si affermi una strategia di adattamento, ma che tenda eventualmente all'ottimizzazione. Dove i vincoli sono severi ma l'sottosistema è semplice, allora è abbastanza probabile che venga adottata una tecnica di satisfycing. L'ATTUAZIONE DELLE POLITICHE POLICY DESING E SCELTA DEGLI STRUMENTI DI POLICY : DEFINIZIONE DEI CONCETTI Dopo che un problema pubblico si è fatto strada nell'agenda, che sono state proposte varie opzioni per risolverlo e che il governo ne ha scelta una, l'unica cosa che resta da fare è mettere in pratica quello che è stato deciso. È questa la fase di attuazione, la parte del policy cycle definita come il processo con cui un programma o una politica vengono attuati; il che vuol dire mettere in pratica quanto pianificato. La ricerca sui programmi federali di Pressman e Wildavsky a favore dei disoccupati dimostrò che i piani per la creazione dei posti di lavoro non si stavano svolgendo alla maniera prevista dai policy makers . Il risultato finale di tutti questi fu studi uno sforzo più sistematico per capire i fattori che facilitano o vincolano l'attuazione delle politiche pubbliche. Alcuni di questi tentativi hanno dato vita ad analisi che considerano l'attuazione delle politiche un processo top- down, teso a fare in modo che i funzionari incaricati dell'implementazione compiono più efficacemente il loro lavoro. A queste si sono opposti coloro che propendevano per un approccio bottom-up, che muove dal punto di vista dei soggetti influenzati dall'attuazione delle politiche e in essa coinvolti. Più tardi emerse un terzo approccio che, considerava l'implementazione un processo in cui svariati strumenti di governo venivano applicati a casi concreti di policy design. Gli studi di questo filone tendono a concentrarsi su motivi e sulle giustificazioni logiche per cui vengono scelti determinati strumenti e sulle potenzialità del loro uso in circostanze future. LA REALTÀ NELL'IMPLEMENTAZIONE DELLE POLITICHE Le decisioni di policy comportano livelli di difficoltà tecnica variabile con l'attuazione, alcuni dei quali si affrontano peggio di altri. È probabile che l'implementazione di alcuni programmi si presenti non problematica, ad esempio l'apertura di una scuola non quartiere nuovo. Alcuni problemi si rivelano troppo difficili da affrontare per la loro complessità o perché sono tra loro interdipendenti o perché non comportano una singola decisione, ma una serie di decisioni su come attuare la politica del governo. Problemi pubblici come le violenze familiari o il basso rendimento scolastico hanno talmente tante cause che i programmi volti ad affrontarne una o anche di più sono destinate non raggiunge i loro scopi. La dimensione del gruppo destinatario della politica è un altro fattore da considerare, in quanto più numeroso e diversificato è il gruppo, più difficile diventa influenzarne il comportamento nel senso desiderato. Per il limitato numero di produttori coinvolti, sarebbe più facile attuare una politica per il miglioramento della sicurezza delle autovetture piuttosto che un progetto di policy che faccia osservare le norme di sicurezza nel traffico a migliaia di automobilisti distratti. Il livello di difficoltà incontrato nell'implementazione di una politica dipende dalla misura in cui essa implica un cambiamento del comportamento del gruppo cui sono rivolti i programmi. Oltre alla natura del problema che una politica deve affrontare, la sua attuazione è influenzata anche dal contesto sociale, economico, tecnologico e politico. Le trasformazioni sociali possono influenzare l'interpretazione del problema e quindi il modo in cui il programma verrà attuato. La maggior parte dei problemi dei programmi di sicurezza sociale nei paesi industrializzati nasce dal fatto che essi non furono progettati per far fronte all'aumento continuo della popolazione anziana e a forti tassi di disoccupazione, che oggi costituiscono un pesante fardello per le finanze pubbliche. Un programma contro la povertà e la disoccupazione, potrà subire cambiamenti in seguito ad una ripresa o ad una recessione. Le condizioni economiche variano inoltre da regione a regione, richiedendo una maggior flessibilità e discrezionalità nell'attuazione. La disponibilità di nuova tecnologia potrebbe determinare cambiamenti di policy. Le trasformazioni politiche hanno un impatto sull’ implementazione delle policies. Un avvicendamento di governo potrebbe portare a variazioni nell'implementazione di una politica senza modificarla nei programmi formalizzati. L'organizzazione dell'apparato amministrativo incaricato di attuare una politica non ha un impatto minore, l'attuazione delle politiche è soggetta ai conflitti interni alle organizzazioni e tra di esse, conflitti endemici nel processo di policy. All'interno del governo e ai diversi livelli di governo vi sono spesso varie organizzazioni burocratiche coinvolte nell'attuazione delle politiche, ciascuna delle quali ha interessi, ambizioni e tradizioni proprie che possono intaccare il processo di implementazione e influire su i suoi risultati. Anche le risorse economiche e politiche del gruppo cui è rivolta la politica possono influenzarne l'implementazione. I gruppi potenti di cui incidono in una data politica possono condizionarne l'attuazione appoggiandola o opponendovisi. Anche il supporto pubblico a una politica può influenzarne l'implementazione, nel caso di molte politiche si assiste a un calo del supporto dopo l'adozione, il che dà agli attuatori l'opportunità di cambiarne l'intento originale. I decisori devono fissare gli obiettivi di policy e stabilirne l'ordine il più chiaramente possibile. Chi dovrà implementare la politica saprà chiaramente cosa fare e quale priorità attribuire a ciascuna attività. Alla base delle politiche deve esservi una teoria plausibile, implicita o esplicita, della relazione causale secondo cui il provvedimento prescritto dovrebbe risolvere il problema. Devono essere allocati fondi sufficienti per permettere l'attuazione della politica. Quest’ultima dovrebbe stabilire chiaramente le procedure che le agenzie incaricate dell'implementazione devono seguire nella sua attuazione. L'attività di implementazione dovrebbe essere affidata ad agenzie dotate della necessaria esperienza e pronte a impegnarsi. APPROCCI NELL'IMPLEMENTAZIONE DELLE POLITICHE Gli studi sull'attuazione delle politiche che danno risalto al policy design adottano solitamente un approccio top-down alla materia. Quest'approccio presume che si possa considerare il processo di policy con una serie di catene di comando in cui i leader politici articolano una preferenza di policy che viene poi è seguita a livelli crescenti di specificità. L'approccio top-down prende avvio con la decisione del governo, esamina in che misura i funzionari riescono a dare attuazione o meno alle decisioni e cerca di trovare le ragioni sottostanti al grado di implementazione. L'attenzione data al 17 tecniche. Nonostante si sia fatto un grosso sforzo per sviluppare queste tecniche di valutazione non sono affatto riuscite a superare i limiti insiti nell'analisi razionale. I prerequisiti per il suo successo sono troppo difficili da soddisfare nel mondo delle politiche pubbliche. La valutazione della misura in cui gli obiettivi politici vengono raggiunti da un dato programma ha un ruolo centrale, deve fare i conti con la realtà che le politiche di solito non specificano obiettivi abbastanza precisi da permettere un'analisi rigorosa del loro raggiungimento o meno. La stessa politica può essere volta al raggiungimento di una serie di obiettivi senza indicazione di priorità, rendendo quindi difficile verificare su un certo obiettivo è stato raggiunto. I problemi sociali tendono ad essere interrelati è possibile isolarli e valutare gli effetti della politica. Ogni politica ha effetti anche su problemi diversi da quelli che dovrebbe affrontare, ma che renderebbe il compito impossibile da gestire. La difficoltà di raccogliere informazioni affidabili e utilizzabili aggrava ulteriormente il problema. Per allargare la valutazione amministrativa, molti governi tentano la strada della partecipazione pubblica. L'intenzione è quella di prevenire l'accusa di mancanza di consultazione con i membri del pubblico interessati. Le consultazioni possono essere un mezzo efficace di valutazione amministrativa perché costituiscono una cassa di risonanza del malcontento pubblico. VALUTAZIONE GIUDIZIARIA. RIESAME DEI GIUDICI E DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA Il secondo importante tipo di valutazione delle politiche non riguarda budget, ma piuttosto gli aspetti legali delle modalità di implementazione dei programmi di governo. Tali valutazioni vengono eseguite dagli organi giudiziari occupandosi di possibili conflitti tra azione di governo e le disposizioni della costituzione. Gli organi giudiziari sono autorizzati al riesame delle azioni di governo sia che ciò avvenga su propria iniziativa sia su richiesta di singoli o di organizzazioni che citano in giudizio davanti ad una corte un'agenzia governativa. I motivi di riesame sono variegati da paese a paese. ma vanno dall'esame di costituzionalità della politica messa in atto all'accertamento di violazioni, nella sua implementazione e sviluppo dei principi di diritto naturale o di giustizia che caratterizzano le società democratiche. I giudici vigilano che la politica venga attuata secondo i principi del giusto processo o del diritto amministrativo e non in maniera irragionevole. In molti paesi il riesame dei giudici si concentra su questioni o vizi del diritto. Poiché gli organi giurisdizionali amministrativi non riesaminano i casi sulla base dei fatti specifici al problema, finché le agenzie amministrative operano entro la propria giurisdizione, è poco probabile che le loro decisioni vengono rovesciate. Le corti americane invece hanno un ruolo costituzionale diverso e sono molto più attive, essendo disposte a considerare vizi di fatto così come di diritto nella loro valutazione del comportamento amministrativo. CONSULTAZIONI CON IL SOTTOSISTEMA DI POLICY E IL PUBBLICO Questa valutazione viene usata da chiunque si interessa di politica. A differenza della valutazione amministrativa e di quella giudiziaria, le valutazioni politiche non sono né sistematiche né devono essere caratterizzate da un elevato grado di sofisticazione tecnica. Questo non ne intacca l'importanza perché il loro obiettivo raramente consiste nel miglioramento della politica pubblica, ma è piuttosto quello di appoggiarla oppure di combatterla. Le valutazioni politiche cercano di etichettare una politica come un successo o un fallimento, e sono spesso seguite da richieste di prosecuzione o di cambiamento. La valutazione politica entra nel processo di policy solo in occasioni specifiche. Nei paesi democratici, una di queste occasioni è costituita dalle elezioni, attraverso cui i cittadini hanno l'opportunità di giudicare la performance del governo. I voti delle elezioni e dei referendum esprimono le valutazioni degli elettori sull'efficienza e sull'efficacia del governo, dei programmi e delle politiche. Quando si esprimono le preferenze nelle elezioni viene espressa una valutazione e un altrettanto giudizio aggregato sull'operato del governo piuttosto che sull'efficacia o sull'utilità di politiche specifiche. Un tipo più comune di valutazione politica implica la consultazione con altri membri del sottosistema di policy interessato. Ciò può avvenire in molti modi: si possono istituire forum amministrativi per udienze pubbliche o creare speciali comitati consultivi e gruppi di esperti. Questi meccanismi politici per la valutazione delle politiche pubbliche riescono ad accertare le opinioni dei membri del sottosistema di policy e del pubblico interessato a questioni specifiche di policy. La loro efficacia dipende spesso dal fatto di essere coerenti con le opinioni del governo, il che a sua volta dipende dal criterio utilizzato per valutare il successo o il fallimento di particolari politiche o gruppi. I PRESUPPOSTI TEORICI E METODOLOGICI DELLA VALUTAZIONE: COSTRUIRE IL DATO VALUTATIVO La valutazione ha come scopo la produzione di conoscenza orientata a emancipare la prospettiva cognitiva degli stakeholder. Sotto questo profilo rientra nell’alveo della ricerca sociale professionale, vale a dire dell’insieme di pratiche di ricerca sociale applicate alla produzione di conoscenza per uno o più specifici utilizzatori/committenti del suo intervento. La policy evaluation è un modo di fare ricerca sociale che si rivolge a uno o più destinatari per esigenze proiettate all’applicazione operativa. La valutazione consiste nella visualizzazione empirica di fenomeni derivanti dall’applicazione di un intervento, ed è una tecnica di ricerca per l’appunto empirica che si è sviluppata nel campo delle scienze sociali, con particolarità epistemologiche: quella di essere orientata alla costruzione di un giudizio sulla realtà. In secondo luogo, si compone di un insieme di procedure rigorose e codificate che riflettono criteri predefiniti. Inoltre, la formulazione del giudizio avviene sulla base dell’impiego di criteri predefiniti e di protocolli trasparenti e ripetibili, al fine di poter esercitare il controllo sulla correttezza metodologica della costruzione del giudizio. La valutazione ha un carattere fortemente metodologico, in quanto rimane un’operazione di indagine sulla realtà al fine di osservarne le dinamiche e le trasformazioni rispetto ad un’intenzione. PRESUPPOSTI METODOLOGICI Lo studio della realtà avviene avendo per ipotesi un meccanismo causa-effetto. Tre concetti sono fondamentali: il fenomeno che si vuole osservare nel modo in cui varia rispetto all’azione del programma. Nella policy evaluation, l’oggetto da osservare viene definito col termine evaluando. La definizione dell’evaluando è l’operazione più delicata. Il secondo concetto è il criterio. Il criterio declina il fenomeno da osservare e ne riduce la complessità specificando alcune discriminanti in base alle quali si osserva e si giudica. Il terzo concetto è il parametro. Esso determina l’effetto atteso da porre a confronto con l’effetto reale misurato operazionalizzando in un indicatore, l’evaluando. Sia il risultato atteso, sia quello osservato, sono la definizione di un concetto, entrambi dotati della medesima unità di misura, con una variabile che l’effetto viene rilevato per mezzo di un indicatore, il parametro è un valore astratto che riferisce delle intenzioni iniziali mettendole sullo stesso piano del dato osservato. Il problema della comparazione viene risolto secondo tre diversi modi seguendo le teorie sopra descritte: 1) lo standard, 2) il benchmark , 3) il controfattuale. Tutti e tre ricorrono ad una quantificazione sia del parametro sia della misura rilevata, ma il confronto può avvenire anche attraverso evidenze qualitative. Il primo è un valore arbitrario, frutto delle politiche della policyespresso nella medesima unità di misura del dato rilevato attraverso l’indicatore o la variabile. Lo scarto tra la misura reale del fenomeno e il valore arbitrario permette di trarre un giudizio sull’effetto della politica pubblica. Il secondo è un valore superiore viene usato per confrontare le prestazioni mediante un valore che rappresenta un’aspettativa di prestigio o di eccellenza. Il terzo è un valore di riferimento tratto dalla realtà più propriamente da una porzione della popolazione che non è stata investita dall’intervento pubblico e che agisce da confronto per osservare la differenza col valore rilevato. ALTRI TIPOLOGIE DI VALUTATIVE Vi esistono altre classificazioni e strumenti di politiche valutative o policy evaluation. La più importante classificazione è quella che raggruppa le diverse tecniche di ricerca e le ordina secondo l’oggetto, ossia la fase del policy making: la definizione dell’agenda, la decisione e l’implementazione. Si ottengono cosi facendo tre tipi di valutazione delle politiche pubbliche, secondo che l’oggetto di ricerca e di giudizio siano: 1) i prodotti (output) e/o gli effetti successivi (outcome) della politica pubblica, 2) l’implementazione o 3) la fase di definizione dell’agenda. Si definisce valutazione ex- post, l’insieme di tecniche di valutazione che analizzano retrospettivamente gli output e gli outcome di una politica pubblica sottoponendo ai decision maker i risultati della medesima. Ex-post sta ad indicare che l’analisi dei risultati avviene dopo che questi sono stati generati, spiegando in altre parole che sono il risultato della popolazione destinataria o di comportamenti successivi. Si definisce valutazione “in itinere” l’insieme di tecniche che analizzano l’implementazione della politica pubblica supervisionandone l’andamento durante il processo, e sottoponendo retrospettivamente ai decision maker il giudizio, cosicché essi possano fare scelte in corso d’opera. Infine, la valutaizone ex ante è l’analisi retrospettiva delle decisioni assunte in funzione previsionale, prima che la politica sia attuata. IL DISEGNO DELLA RICERCA La scientificità non si ha nella oggettività dei dati, ma nella costruzione di una procedura attraverso la quale il dato è stato costruito. Quest’ultima si avvale di due dati trasparenza e replicabilità. Attraverso il medesimo protocollo si assume che si arriva ai risultati sperati prossimi a quelli rilevati inizialmente in una prima rilevazione. I disegni della ricerca nella policy evaluation sono di vari tipi: il primo definito da Stake disegno 20 standardizzato, poiché centrato su un protocollo deduttivo (top-down) di definizione operativa di concetti in variabili, il secondo (bottom up) comprensivo centrato sul ruolo dell’analista e sul protocollo induttivo di raccolta di evidenze di fonte diversificata. LA VALUTAZIONE EX POST La valutazione ex post ha un compito tratta di analizzare a posteriori gli effetti di una politica. Schematizzando le circostanze ricorrenti in cui è documentato l’impiego della valutazione ex-post, è possibile contestualizzare 4 contesti d’uso: Piloting: il piloting dei programmi d’intervento si è affermato anche sul continente europeo quale test per le riforme. Attraverso l’attuazione di programmi che vengono attuati in funzione sperimentale su limitate aree di territorio e di popolazione, e quindi sottoposti a valutazione ex-post s’intende richiamare l’attenzione dei policy maker sulla reale efficacia e realizzabilità dei programmi che si vogliono adottare, spostando il fuoco del dibattito dal confronto sui principi a quello della concretezza. Staffing: indica l’attività di supporto specialistico svolto per conto degli organi esecutivi e per i dirigenti, mediante la predisposizione di rapporti, che evidenziano il diverso grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati e agiscono quali integratori della razionalità limitata dei decisori. In questo modo, la valutazione ex post ha più efficacia sullo scontro immediato per i policy maker rispetto alle scelte assunte. Lo staffing si applica anche alle politiche regolative, come repressione della criminalità, di regolazione dei flussi migratori e provvedimenti relativi all’amministrazione della giustizia. Oversighting: nei sistemi democratici all’interno dei quali l’organo legislativo svolge un ruolo istituzionale di controllo nei confronti dell’esecutivo, la valutazione ex post ha una funzione di legittimazione o supporto ad atti di autorizzazione delle decisioni dell’esecutivo da parte del legislativo. Si tratta di un compito di vigilanza sulle azioni dell’esecutivo. Auditing: significa Revisione; indica una funzione di controllo interistituzionale fondato sui dati e sui giudizi predisposti dalla valutazione ex post. Differenti tipi di autorità sono deputate a questa funzione, di rendicontazione periodica sull’efficacia degli interventi deliberati, finanziati e implementati dal governo centrale. L’impiego della valutazione ex post per l’audit è proprio dell’UE, con questo indica e verifica dei risultati raggiunti all’interno delle politiche di coesione e sviluppo, precisamente per valutarne gli impatti dei fondi strutturali. I tre più importanti tipi di valutazione ex post, secondo la progressiva complessità logica di approccio al problema: analisi del raggiungimento dei fini, nelle diverse versioni sperimentali, quasi sperimentale e realista ;analisi indipendente dai fini; analisi degli effetti collaterali. L’ANALISI DEL RAGGIUNGIMENTO DEI FINI Per vedere se si son raggiunti gli obiettivi conduce alla disamina retrospettiva dei risultati conseguiti rispetto alle intenzioni, confrontando output e outcome, da un lato, con l’input, dall’altro. Per via del suo semplice schema quest’analisi è lo strumento primario di verifica dell’intervento pubblico rispetto alla deliberazione di programmi che comportano il coinvolgimento di una vasta porzione di popolazione, o la mobilitazione finanziaria di ingenti risorse, o, infine, un cambiamento atteso di particolare rilevanza. La classificazione convenzionale di Means distingue tra tre tipi di oggetto di analisi, a) le politiche pubbliche che è l’insieme di programmi o misure che hanno lo stesso obiettivo generale e che quindi si estrinsecano nel perseguimento di fini; b) i programmi, l’insieme coordinato di azioni i cui obiettivi operativi sono definiti con precisione e che hanno validità limitata temporalmente ed un budget prefissato, i quali formulano obiettivi; c) infine, i progetti quali azioni indivisibili dotate di una specifica modalità gestionale di procedure e budget definiti con precisione dall’inizio, volti a perseguire gli obiettivi ma di tipo operativo, dunque inseriti nelle procedure amministrative. Il valutatore accerta il grado di discrepanza tra fini, obiettivi, prodotti generati (output) ed effetti susseguenti (outcome) secondo la domanda di ricerca: “l’intervento ha inciso in maniera favorevole sul problema da modificare?” IL DISEGNO SPERIMENTALE I piani di ricerca assumono che ogni intervento sia fondato su un’ipotesi d’impatto, secondo la quale esiste una catena causale tra: a) lo stato di un problema, b) il trattamento previsto attraverso il programma, c) gli outcome rilevati e misurati attraverso indicatori, secondo uno schema causale unilineare: programma obiettivi outcome l’analisi opera una comparazione sperimentale tra programma e risultato in termini di efficacia esterna. consiste nella comparazione delle differenze dei risultati rilevati, mediante indicatori, nel confronto tra una popolazione coinvolta nel programma, ed una che ne è stata esclusa. La valutazione consiste nella verifica della relazione causa-effetto insita negli obiettivi quantificandone l’entità L’impatto viene inteso come il differenziale tra effetti e problema di partenza: impatto = risultati – problema di partenza. Quello che interessa sapere se è cambiato qualcosa tra la situazione – problema iniziale e quella finale, e se questo cambiamento è avvenuto attraverso il programma o per ragioni diverse. Il compito dell’analisi sperimentale è isolare le cause intenzionali del programma (ENDOGENE) quelle di altro genere, presenti nel contesto (ESOGENE). Accade infatti, che il cambiamento non sia ascrivibile solo alla politica pubblica in oggetto e il cambiamento sia la sommatoria di cause esogene ed endogene impatto = cause endogene (programma) + cause esogene (altri fattori ambientali). la logica post hoc porta ad una rilevazione della cosiddetta efficacia lorda: gli effetti di un programma al lordo degli effetti ambientali. Per ovviare a questo viene fatta la logica propter hoc contrappone una misura dell’efficacia al netto delle influenze ambientali indicando il valore atteso registrato sul gruppo di controllo senza il trattamento. Definiamo questo valore col termine contro fattuale , il quale indica lo stato della situazione che si otterrebbe se non si intervenisse con la politica. Si ottiene così l’efficacia netta, vale a dire il riflesso della rilevazione di un impatto al netto degli effetti esterni: impatto netto = (risultati – problema di partenza) – contro fattuale. Essa si ottiene sottraendo dal valore del gruppo sperimentale il valore contro fattuale del gruppo di controllo prima e dopo il trattamento: impatto netto = (GSt0-GSt1)-(GCT0-GCT1). La determinazione dell’efficacia netta nell’analisi sperimentale conduce alla determinazione della rilevanza del risultato la quale porta alla raccomandazione a rivolgere ai decision makers nella stesura del giudizio. L’analisi sperimentale propone il confronto parametrico del dato ottenuto secondo tre strategie di determinazione dell’efficacia: confronto del risultato con l’impatto atteso, vale a dire con l’obiettivo del programma, se specificato in forma quantitativa. In tal caso, lo scarto tra il dato ottenuto e quanto indicato dal programma è il rapporto di efficacia. Si parla di quest’ultimo caso indice di efficacia = (impatto netto – obiettivo) /100 confronto del risultato con quanto ottenuto da altre modalità di realizzazione dello stesso intervento : oppure da interventi alternativi. In tal caso, è una strategia di benchmark ing che è il paragone tra il dato ottenuto in questa politica e altre politiche che si stimano essere dei casi di eccellenza in questo settore. Si parla di best practice, e l’indice di efficacia è così sintetizzabile: benchmarking = (impatto del caso osservato – impatto di una best practice)/100 confronto del risultato con l’estensione effettiva del problema definita attraverso la stima dello stesso contro fattuale. Si considera la riuscita del programma come una porzione di problema eliminato rispetto al totale, vale a dire la percentuale di riduzione del problema generata dall’impatto netto (detta adeguatezza). L’indice di adeguatezza è la differenza ra il dato iniziale del problema, il quale è indicato come numero intero, e la frazione di soluzione portata dall’impatto netto: indice di adeguatezza = (1- impatto netto )/100 IL DISEGNO QUASI SPERIMENTALE il disegno sperimentale è realizzabile solo se il gruppo di controllo è preventivamente selezionabile con estrazione casuale. Un requisito non scontato poiché i policy maker, devono impegnarsi fin dalla fase di definizione dell’agenda a commissionare un’analisi del raggiungimento dei fini, in modo che i ricercatori possano estrapolare il gruppo di controllo. Ne consegue l’idoneità dell’analisi sperimentale per i casi di piloting, mentre in eventuali circostanze isolare il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo non è possibile, dacchè accade che costoro vengano chiamati a valutare già dopo che la politica pubblica è stata implementata. In questi casi si interviene sulla politica pubblica solo in un secondo momento, e non possono incidere sull’area di policy making al momento della deliberazione. La domanda si manifesta in condizioni difformi da quelle del disegno sperimentale, il quale non diviene più applicabile nella sua forma ortodossa. Er poter compiere un’analisi del raggiungimento dei fini, poiché il contro fattuale non è osservabile e si ricorre a dei surrogati. Se è possibile si cerca di utilizzare un disegno sperimentale adatto, dove si rilevano i comportamenti dei gruppi, senza procedere prima a una rilevazione. In questi casi, si limita a rilevazioni, solo post intervento, che assimila l’esperimento al disegno sperimentale puro, poiché si ricorre ancora all’estrazione casuale. Se quest’ultima non è fattibile è opportuno ricorrere a soluzioni succedanee: misurando prima e dopo l’intervento gruppi di controllo non estratti casualmente, ma che presentano caratteristiche analoghe a quelle sperimentali, e quindi comparativamente assimilabili; misurando il valore dell’indicatore sula situazione-problema relativo alla popolazione considerata prima che l’intervento sia realizzato e poi dopo ripetutamente nel corso del tempo ;misurando solamente dopo a intervalli ripetuti gli effetti sulla popolazione oggetto dell’intervento. Nel primo caso siamo dinanzi al disegno quasi sperimentale vero e proprio, e nel quale si attuano delle varianti, si tratta di 21 individuare un gruppo di controllo che presenta caratteristiche simile a quello sperimentale e di compiere parallelamente le misure prima e dopo come nel disegno sperimentale puro. Questa è una soluzione adeguata quando nell’ambito della popolazione coinvolta dall’intervento c’è una certa porzione che, in qualche modo è stata esclusa dall’intervento. Ad esempio se la politica è stata, implementata solo in alcune aree amministrative o fasce di popolazione. In questa maniera si compie una comparazione per analogia. Nel secondo caso, siamo dinanzi ad un disegno before and after. Tratta di misurare semplicemente il solo gruppo oggetto della politica prima e poi ripetutamente a distanza di tempo a intervalli regolari la popolazione coinvolta, senza far riferimento ad alcun gruppo di controllo. Questa strategia si limita alla rilevazione di un’efficacia lorda temperata dall’approssimazione progressiva data dalla ripetizione delle rilevazioni dopo l’intervento nel corso del tempo, ed è molto attraente, quando non si è in grado di poter isolare, anche solo per analogia, un gruppo di controllo. Ancor più modesta è la terza soluzione, quando non è nemmeno possibile compiere una rilevazione pre intervento. In tal caso, si ripete una serie di misurazioni posteriori che indicano un’efficacia lorda temporalmente distribuita, che non permette di generalizzar alcunché, ma almeno permette di registrare gli effetti complessivi nel corso del tempo. 22
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