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Scritti Teatrali - riassunto, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

riassunto del libro scritti teatrali di Brecht (sintesi portata in sede d'esame)

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 28/06/2022

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Scarica Scritti Teatrali - riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) SCRITTI TEATRALI – BERTOLD BRECHT Il teatro dell'era scientifica è in grado di trasformare la dialettica in godimento. Le sorprese provocate dallo sviluppo che procede logicamente o a salti, dall'instabilità di tutte le situazioni, dal senso ultimo delle contraddizioni, ecc., costituiscono altrettante ragioni di trarre diletto dalla vivacità degli uomini, delle cose, dei processi, ed esaltano l'arte di vivere e la gioia di vivere. Tutte le arti contribuiscono all'arte più grande di tutte: quella di vivere. Nota introduttiva alla prima edizione italiana L'antologia Scritti teatrali di Brecht è una versione italiana che ricalca fedelmente la scelta curata nel 1957 da S. Unseld. Il lettore ritroverà in primo luogo, parzialmente abbreviate e presentate sotto nuovo titolo, le “note” o “osservazioni” a Mahagonny, a L'opera da tre soldi e a La Madre, che unitamente ai due saggi La scena di strada e Sul teatro popolare, costituiscono le tappe essenziali della battaglia condotta per l'impostazione teorica del “teatro epico”; ritroverà inoltre quel Breviario di estetica teatrale in cui lo scrittore di Augusta volle ripensare e organicamente sistemare tutto il bagaglio dei suoi enunciati teorici sul teatro e – talvolta in implicita polemica col suo “ille ego” di tanti anni prima – distinguere, delimitare, chiarire: chiarire ciò che il teatro è e rimane, pur attraverso le forme e le innovazioni più ardite, anzi, proprio in grazia e a giustificazione di esse: conoscenza del mondo reale e, per ciò stesso, serenità e letizia. La presente raccolta è divisa in due parti. La prima, e maggiore, è soprattutto teorica e comprende scritti datati tutti dagli anni dell'esilio: 1936, 1937, 1940, fino al 1948, allorché Brecht, residente a Zurigo prima del rientro definitivo a Berlino, compose il Breviario; mentre degli ultimi anni berlinesi sono tutti gli altri scritti, cioè, oltre all’Effetto intimidatorio dei classici, il gruppo di appunti, dibattiti, osservazioni, lettere, ecc. riunito sotto il titolo La dialettica nel teatro. Come ci si avvedrà, il capitolo La dialettica nel teatro contiene pagine forse più vive e illuminanti di tutto il volume: alludiamo in modo particolare a quello Studio della prima scena del “Coriolano” di Shakespeare, in cui Brecht dà la sua più piena misura di “scienziato moderno” del teatro. Ma anche nei rimanenti e più brevi scritti si sente pulsare l'impegno di una eticità cristallina; nel confronto col fatto concreto della messinscena teatrale, continuamente si avverte l'immissione di una combattività, una duttilità, una tenacia maturate in lunghi anni – un'intera vita – di asprissime lotte, ideologiche e no, condotte, spregiudicatamente ma instancabilmente, alla luce di un inderogato viatico ideale: la convinzione, come egli dice, che oggi “il destino dell'uomo è l'uomo”, che non esiste altro modo per rappresentare e intendere le azioni umane se non con il metodo dialettico, e che nulla può più farsi al mondo, che non sia vacuo o delittuoso, senza solidarietà e l'aiuto reciproco tra gli uomini. E tale eticità conferisce all'atteggiamento di Brecht di fronte al teatro, quell'umiltà, quell'obiettività, quel che di serenamente e consapevolmente scettico, che corrisponde al suo “sentimento” del teatro e si traduce, sul piano tecnico, nella teorizzazione dell'“effetto di straniamento”. La seconda parte dell'antologia raccoglie testi dedicati alla pratica (o “prassi”) del teatro. Vi compaiono anzitutto sette delle trentun poesie scritte per La raccolta dell'ottone, ciclo di dialoghi sui “nuovi compiti del teatro”, che costituisce un'integrazione vivacissima, e squisitamente brechtiana, del Breviario di estetica teatrale. Così come per gli scritti del capitolo La dialettica nel teatro, pure quelli della seconda parte l'interesse e il fascino maggiore che offrono sta nel loro continuo rifarsi a occasioni e problemi concreti, nel loro esemplificativo e dimostrativo. Codesta visione di un “teatro vivo”, carico di energie chiarificatrici in ogni sua fibra, ci sembra costituire il motivo d'interesse sostanziale del volume. Ma i due brevi scritti che lo concludono, raccolti sotto il titolo Pratica e teoria, contengono un messaggio umano che, una volta di più, sorprende e lascia pensosi. È possibile esprimere il mondo d'oggi per mezzo del teatro? (1955) Ho appreso con interesse che Friedrich Dürrenmatt (scrittore, drammaturgo e poeta svizzero), in un dibattito sul teatro, ha posto la questione se il mondo d'oggi possa ancora essere espresso per mezzo del teatro. È passato il tempo in cui l'espressione del mondo mediante il teatro doveva essere lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) semplicemente un fatto sperimentale. Per diventare da esperimento esperienza, essa deve aderire a ciò che esprime. Molti sono coloro che constatano come sempre più raramente avvenga che il teatro ci arrechi nuove esperienze, ma pochi si rendono conto della sempre maggiore difficoltà di esprimere il mondo moderno. Fu appunto questa consapevolezza a spingere alcuni di noi, autori drammatici e maestri di recitazione, a tentare nuovi mezzi artistici. Io stesso ho compiuto non pochi tentativi di far rientrare nel campo visuale del teatro il mondo d'oggi, l'odierna convivenza degli uomini. Sono provvisto di tutti i mezzi teatrali. Ho dunque sottomano tutte le possibilità; eppure non posso affermare che le concezioni drammatiche che io, per determinate ragioni, chiamo non aristoteliche, e la recitazione epica con tali concezioni connessa, rappresentino la soluzione. Una cosa però è ormai chiara: il mondo d'oggi può essere descritto agli uomini d'oggi solo a patto che lo si descriva come un mondo che può essere cambiato. Per gli uomini d'oggi, i problemi valgono in funzione delle risposte che ricevono. Gli uomini d'oggi s'interessano delle situazioni e degli avvenimenti di fronte ai quali possano agire in qualche modo. In un'epoca nella quale la scienza è in grado di trasformare la natura al punto che il mondo appare già quasi abitabile, non è più ammissibile che si continui a descrivere all'uomo il suo simile come vittima, come oggetto passivo di un ambiente sconosciuto quanto immutabile. In particolare, proprio perché si è rimasti all'oscuro circa la natura della società umana, ci troviamo ora, secondo quanto ci assicurano gli scienziati sconvolti, di fronte alla possibilità di un totale annientamento del nostro pianeta, proprio adesso che è stato reso abitabile. Non vi stupirete nell'udirmi affermare che il problema se sia possibile una descrizione del mondo, è un problema di ordine sociale. Da molti anni sostengo questa tesi, ed oggi vivo in uno stato ove è in atto uno sforzo immane verso la trasformazione della società. Potete trovare condannabili i metodi e i mezzi, potete non accettare questo particolare ideale di un mondo nuovo, ma non credo sia possiate mettere in dubbio che, nello stato in cui vivo, si lavori a trasformare il mondo, il modo di convivenza tra gli uomini. E sul punto che il mondo odierno abbia bisogno di essere cambiato, credo che sarete d'accordo con me. Il mondo d'oggi può essere espresso anche per mezzo del teatro, purché sia visto come un mondo trasformabile. Parte prima La dialettica nel teatro Il teatro moderno è teatro epico: note all'opera Ascesa e rovina della città di Mahagonny Opera – ma novità! Da un po' di tempo si tenta di rinnovare l'opera. Senza alterare il suo carattere culinario, si vuole attualizzarla nel contenuto e tecnicizzarla quanto alla forma. Siccome l'opera è cara al suo pubblico proprio per ciò che ha di arretrato, bisognerebbe poter contare sull'afflusso di un nuovo pubblico con nuovi appetiti, ed effettivamente ci si conta: si tende a democratizzare, beninteso senza mutare il carattere della democrazia che consiste nel concedere al “popolo” nuovi diritti, ma non la possibilità di valersene. Opera... L'opera che abbiamo oggi è l'opera culinaria. Essa costituì un mezzo di godimento molto prima di essere una merce. Serve al godimento anche là dove esige o procura istruzione, perché allora esige o procura appunto l'educazione del gusto. Affronta ogni oggetto con intenzione di godimento, prova ed appresta “emozioni”. Perché Mahagonny è un'opera? Il suo atteggiamento fondamentale è quello dell'opera, cioè culinario. È vero che Mahagonny affronta il suo oggetto con intenzione di godimento? Così è. È vero che Mahagonny dà un emozione? Dà un emozione. Poiché Mahagonny è un divertimento. L'opera “Mahagonny” tiene conto coscientemente di ciò che l'opera, come genere artistico, ha di assurdo. Ciò che l'opera ha di assurdo consiste nel fatto che essa si serve di elementi razionali, che tende verso una rappresentazione plastica e realistica, ma nello stesso tempo tutto ciò lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) da nulla conseguono, né hanno alcuna conseguenza; non nascono da nuovi bisogni, ma si contentano di soddisfare con nuovi stimoli bisogni vecchi e svolgono dunque una funzione puramente conservatrice. E la “musica d'uso”, la Gebrauchsmusik? Nello stesso momento in cui si raggiunse la più schietta espressione dell'arte per l'arte, lo stile concertante, sorse, direi quasi come Venere dalla spuma, il concetto della “musica d'uso”, del quale si potrebbe dire che è la musica a far uso del profano. Usa il profano allo stesso modo che si “usa” di una donna. Novità sopra novità: l'ascoltatore, stanco di ascoltare, si mette a suonare! Il violoncellista dell'orchestra, padre di parecchi figli, non suonava più per ragioni ideologiche, ma per il piacere di suonare. Il culinarismo era salvo! Ci si chiede: Perché con tanta ostinazione si difende il godimento, l'ebbrezza? Perché l'interesse per le proprie faccende è così scarso fuori dei propri quattro muri? Perché si evita la discussione? Risposta: Da una discussione non ci si può ripromettere niente. Una discussione sulla forma attuale della nostra società, o anche soltanto sulla condizione dei suoi componenti meno importanti, costituirebbe immediatamente e irreparabilmente una minaccia totale alla forma di questa società stessa. La vecchia opera non continua a esistere soltanto perché è vecchia, ma soprattutto perché le condizioni alle quali essa giova sono tuttora quelle vecchie. Non lo sono più completamente. Qui stanno le possibilità per la nuova opera. Oggi ci si può già chiedere se l'opera non si trovi ormai in condizioni tali che ogni ulteriore novità porti non più al rinnovamento di questo genere, ma addirittura alla sua distruzione. L'opera Mahagonny, per quanto culinaria sia comporta già una funzione di modificazione della società, appunto perché mette in questione il culinarismo, perché attacca la società che ha bisogno di simili opere; essa sta per così dire ancora solidamente seduta sul vecchio ramo, ma almeno (sia per distrazione, sia per cattiva coscienza) incomincia a segarlo un pochettino... E col loro canto le novità hanno saputo far questo. Le vere novità attaccano la base. Per le novità – contro il rinnovamento! L'opera Mahagonny fu scritta nel 1928-29. Nei lavori seguenti ci dedicammo a tentativi intesi ad accentuare sempre più il carattere d'insegnamento a spese di quello culinario. A sviluppare cioè dal mezzo di godimento un oggetto d'istruzione e a trasformare certe istituzioni da luoghi di divertimento in organi di pubblicazione. Letterarizzazione del teatro Note all'Opera da tre soldi La lettura dei drammi. L'opera da tre soldi mette in questione le concezioni borghesi non solo come contenuto, in quanto cioè le rappresenta, ma anche per il modo nel quale la rappresenta. È una specie di referendum su quello che lo spettatore desidera che il teatro gli mostri della vita. Ma poiché egli vede contemporaneamente anche alcune cose che non desidera vedere, poiché cioè vede i suoi desideri non solo realizzati ma anche criticati, egli è in grado, in via di massima di assegnare al teatro una nuova funzione. Poiché però il teatro stesso oppone resistenza a un mutamento delle sue funzioni, è bene che lo spettatore possa leggere quei drammi che non perseguono soltanto lo scopo di essere rappresentati in teatro, ma anche quello di trasformare il teatro: è bene che li legga per diffidenza verso il teatro. Oggi c'è un'assoluta preminenza del teatro sulla letteratura drammatica. Questa preminenza dell'apparato teatrale è la preminenza dei mezzi di produzione. Il teatro può tutto rappresentare: esso “inteatra” tutto. lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) Titoli e cartelli I cartelli sui quali vengono proiettati i titoli delle scene sono un primitivo avvio alla “letterarizzazione del teatro”: a questa letterarizzazione, come pure a quella di tutte le questioni di pubblico interesse, è da dare il massimo impulso. Letterarizzazione significa sostituire al “figurato” il “formulato”: essa dà al teatro la possibilità di stabilire una connessione con altri istituti dediti all'attività spirituale; ma rimane un fatto unilaterale finché anche il pubblico non partecipi ad essa e, attraverso ad essa, riesca a penetrare “al di sopra” della vicenda. L'uso dei titoli può essere criticato dalla drammatica tradizionale col sostenere che lo scrittore teatrale deve concentrare nell'azione tutto quel che ha da dire. Tali argomenti corrispondono a quell'atteggiamento dello spettatore, nel quale non è lui che pensa alla cosa, ma è la cosa che lo fa pensare. Ma questa tendenza a subordinare tutto a un'idea, la mania di costringere lo spettatore a una dinamica a senso obbligato, deve essere respinta dal punto di vista della nuova drammatica. Si deve esercitare lo spettatore a una visione complessa; e, in verità, quasi più importante del pensare “nella corrente” è il pensare “al di sopra della corrente”. Inoltre, i cartelli esigono e rendono possibile un nuovo stile da parte dell'attore. Questo stile è lo stile epico. Una volta letti i titoli proiettati sui cartelli, lo spettatore assume l'atteggiamento dell'osservatore che fuma. Con tale atteggiamento egli ottiene senz'altro, per forza, un'esecuzione migliore e più elevata: voler “ammaliare” un uomo che fuma, e che perciò è sufficientemente affaccendato con se stesso, è impresa disperata. Ben presto si otterrebbe, così, un teatro pieno di tecnici, allo stesso modo che ne sono piene le sale sportive; e gli attori non potrebbero più osare di proporre a un simile pubblico quei miserabili quattro soldi di mimica che oggi raffazzonano in poche prove tirate via senza il minimo criterio. Non riuscirebbero più a spacciare una merce di così grossolana fattura, così malamente lavorata! Ma l'attore dovrebbe cercare altre vie per dar rilievo a quegli avvenimenti già preannunciati dai titoli e che hanno perciò scontato in anticipo ogni bruta efficacia sensazionale. Purtroppo, però, c'è da temere che titoli e permesso di fumare non bastino del tutto a portare il pubblico ad un più fecondo commercio con il teatro. Dal cantare alle canzoni L'attore, quando canta, compie un mutamento di funzioni. Nulla di più fastidioso dell'attore che faccia finta di non rendersi conto d'aver già abbandonato il terreno del discorso corrente e di aver cominciato a cantare. I tre piani – discorso corrente, discorso elevato e canto – devono sempre essere distinti l'uno dall'altro. In nessun caso, dunque, il canto deve soccorrere quando la piena del sentimento faccia mancare le parole. L'attore non deve soltanto cantare, deve anche mostrare uno che canta. Per quanto riguarda la melodia, egli non la seguirà ciecamente: esiste un modo di “parlare contro la musica”, che può ottenere grandi effetti, resi possibili da una sobrietà ostinata, indipendente e incorruttibile dalla musica e dal ritmo. Se poi sfocia nella melodia, allora dev'essere un avvenimento: per accentuarlo, l'attore potrà palesare chiaramente il godimento che la melodia gli procura. È bene per l'attore che durante la sua esibizione i componenti l'orchestra siano visibili, è bene pure che gli sia permesso di compiere visibilmente dei preparativi (come, per esempio, il porre una sedia accanto alla parete, truccarsi appositamente ecc.). Soprattutto nelle canzoni importa che “chi indica sia indicato”. Perché Macheath viene arrestato due volte e non una sola? Se considerata dall'angolo visuale della scuola pseudo-classica, la prima scena del carcere è un inutile allungamento; secondo noi è invece un esempio di forma epica primitiva. Essa è un allungamento se, seguendo il concetto drammatico puramente dinamico che assegna la preminenza all'idea, si fa desiderare allo spettatore una meta sempre più precisa (nel nostro caso la morte dell'eroe), si crea per così dire una sempre più forte domanda per l'offerta e, per rendere possibile un'intensa partecipazione sentimentale dello spettatore – i sentimenti si arrischiano solo su un lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) terreno assolutamente sicuro, non ammettono possibili delusioni! – si applica un “va sans dire” (“va da sé”) in linea retta. La drammatica epica, d'impostazione materialistica, scarsamente interessata agli investimenti spirituali dello spettatore, non conosce alcuna meta, ma solamente un fine, e conosce un altro “va sans dire”, che può correre non soltanto in linea retta, ma anche compiendo delle curve, e perfino dei salti. Oggi che l'esistenza umana deve essere concepita come “l'insieme di tutti i rapporti sociali”, la forma epica è la sola a poter esprimere quei processi che servono all'arte drammatica come sostanza di una vasta visione del mondo. Efficacia mediata del teatro epico Note a La Madre Il dramma La Madre è scritto nello stile dei drammi didattici, ma esige degli attori; essi appartiene alla drammatica antimetafisica, materialistica, non-aristotelica. Questa drammatica non fa, contrariamente all'aristotelica, un uso inconsiderato dell'immedesimazione (altri traducono “empatia”) dello spettatore, e di fronte a certi effetti psichici, come la catarsi per esempio, si pone in modo essenzialmente diverso. Così come non si propone di abbandonare il suo eroe al mondo come a un destino inevitabile, del pari non è suo intento abbandonare lo spettatore alla suggestione di emozioni teatrali. Applicandosi ad insegnare allo spettatore un certo comportamento pratico che ha per mira di cambiare il mondo, essa deve fargli assumere già nel teatro un atteggiamento fondamentalmente diverso da quello che gli è abituale. Indicheremo qui alcuni accorgimenti che si adottarono per la rappresentazione della Madre a Berlino nel 1932 e a New York nel 1935. Efficacia mediata della scenografia epica Nella prima rappresentazione della Madre la scena (di Caspar Neher) non doveva produrre l'illusione di un luogo reale: la scena stessa prendeva, per così dire, posizione rispetto a ciò che accadeva; essa citava, raccontava, preparava e rammentava. Nelle poche indicazioni che dava di mobili, porte, ecc., si limitava ad indicare oggetti che avevano una parte nell'azione, ossia degli oggetti senza i quali l'azione o non si svolgerebbe, o si svolgerebbe altrimenti. A Berlino furono possibili rapidi cambiamenti di scena grazie ad un sistema fisso di tubi di ferro alti poco più d'un uomo, montati verticalmente nel pavimento della scena a distanze diseguali, ai quali si potevano agganciare altri tubi orizzontali, mobili, allungabili a piacimento e munito di schermi di tela. Frammezzo, sospese in cornici, stavano delle porte di legno montate su cardini. La scenografia di New York (di Max Gorelik) era simile a questa, ma più stabile. Su un grande schermo nello sfondo si proiettavano testi e immagini documentarie che restavano visibili per tutta la scena, di modo che questo schermo aveva anche il carattere di quinta. La scena, dunque, non si limitava a mostrare per accenni degli spazi reali, ma coi testi e le immagini documentarie mostrava anche il grande movimento d'idee in cui gli avvenimenti si svolgevano. Le proiezioni non sono affatto un espediente meccanico nel senso di un complemento; per lo spettatore non hanno valore accessorio, ma di paragone: escludono un immedesimazione totale da parte sua, interrompono una sua partecipazione meccanica. Grazie ad esse l'efficacia diventa mediata. E con ciò esse costituiscono una parte organica dell'opera d'arte. L'interpretazione epica Il teatro epico raggruppa le persone sulla scena nel modo più semplice, più atto a rendere chiaramente visibile il senso degli avvenimenti. Rinuncia ai raggruppamenti “casuali”, “colti sul vivo”, “disinvolti”: la scena non rispecchia il disordine “naturale” delle cose. Aspirando al contrario del disordine naturale si ha di mira l'ordine naturale. I criteri della sistemazione sono di natura storico-sociale. L'angolo visuale della regia, non viene sufficientemente caratterizzato, ma reso più facilmente comprensibile per parecchi, se si dice che è quello di chi descrive usi e costumi, quello dello storico. La scena II della Madre, per esempio, contiene i seguenti avvenimenti esteriori che la regia deve elaborare chiaramente e tener distinti gli uni dagli altri: lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) storico: sotto la terribile pressione della miseria gli oppressi si mettono a pensare e scoprono le cause della loro miseria. Estratto lettera alla Theatre Union, teatro operaio di New York, in merito al dramma “La Madre” “La morte del figlio da furbi, l'avete messa alla fine. Solo così, voi pensate, lo spettatore resterà interessato finché cala il sipario. Come l'uomo d'affari investe denaro in un'impresa, voi credete che lo spettatore investa sentimento nell'eroe: alla fine lo vuol di ritorno e anzi raddoppiato. Ma gli spettatori proletari della prima rappresentazione non rimpiansero il figlio alla fine. Il loro interesse durò”. Efficacia “immediata” e conciliante Pretendendo dall'opera d'arte un'efficacia immediata, l'estetica corrente le chiede di conciliare tutte le differenze, sociali e altre, esistenti fra gli individui. La drammatica aristotelica riesce ancora a produrre cotesto effetto di superamento delle differenze di classe, benché queste penetrino oggi sempre più profondamente nella coscienza degli individui. E tale effetto può venir prodotto anche là dove proprio le differenze di classe formano il contenuto dei drammi, e persino là dove nell'opera si prenda posizione per l'una o per l'altra classe. Ad ogni modo, sulla base dei “tratti genericamente umani” comuni a tutti gli spettatori, si forma nella sala, per la durata del godimento artistico, un'unità collettiva. La produzione di quest'unità collettiva non interessa la drammatica non aristotelica del tipo della Madre: essa divide il suo pubblico. Teatro di divertimento o teatro di insegnamento? Quando, alcuni anni fa, si parlava di teatro moderno, i teatri che si nominavano erano quelli di Mosca, New York e Berlino. I teatri russi, americani e tedeschi si differenziavano tra loro ma avevano in comune un carattere: quello di essere moderni, ossia di applicare innovazioni tecniche e artistiche. Presentavano delle affinità nel campo stilistico perché la tecnica è internazionale. In tempi più recenti, il teatro berlinese parve svolgere una funzione di guida su tutti gli altri paesi di antico capitalismo: ciò che è comune nel teatro moderno riuscì per un certo tempo ad esprimersi nella maniera più forte e momentaneamente più matura. L’ultima fase del teatro berlinese nella quale più chiaramente si manifestò solo la linea tendenziale di sviluppo del teatro moderno, corrispose al cosiddetto teatro epico. Tutto quello che prese i nomi di dramma contemporaneo, stile scenico di Piscator, o dramma didattico appartiene al teatro epico. Il teatro epico. Il termine teatro epico parve a molti contraddittorio dato che secondo la definizione aristotelica la forma epica e la forma drammatica di esporre una vicenda erano completamente diverse. La differenza non era solo nel fatto che l’una era rappresentata da esseri viventi e l’altra si valeva del libro. Opere epiche come i poemi omerici erano contemporaneamente rappresentazioni teatrali, e drammi come il Faust (Goethe) o il Manfredi (Byron), esplicarono la loro massima efficacia come libri. La differenza tra la forma drammatica ed epica per Aristotele era la diversità di tecniche costruttive. Le due tecniche dipendevano dal diverso modo in cui le opere venivano presentate al pubblico, una mediante la scena, l’altra mediante il libro. Narratore Doblin, l’epica al contrario della drammatica, poteva essere tagliata con le forbici in tanti pezzi, ciascuno dei quali conservava tutta la sua vitalità. Attraverso conquiste tecniche la scena era stata posta in grado di immettere elementi narrativi nelle rappresentazioni drammatiche. La possibilità delle proiezioni, di una maggiore trasformabilità della scena grazie a procedimenti meccanici, il cinema, vennero ad integrare l’attrezzamento scenicop, al momento in cui non era più semplice rappresentare i principali eventi umani mediante una personificazione sotto l’influsso di invisibili forze metafisiche. Per comprendere quegli avvenimenti bisognava dare un grande significativo rilievo al mondo, all’ambiente nel quale vivevano gli uomini. Questo mondo comparve già nel teatro precedente ma non come elemento a sé stante, ma nella prospettiva del personaggio centrale del lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) dramma. Nasceva in relazione di come l’eroe reagiva su di lui. Nel teatro epico doveva diventare oggetto d’attenzione in sé e per sé. La scena comincio a raccontare. Non era più assente anche il narratore. Non era solo lo sfondo scenico a prendere posizione di fronte agli avvenimenti svolti alla ribalta. Anche gli attori non compivano più una trasformazione completa, ma mantenevano un distacco rispetto al personaggio da loro interpretato e giungevano fino a sollecitarne palesemente una critica. La rappresentazione non doveva consentire allo spettatore di abbandonarsi mediante la semplice immedesimazione ad emozioni incontrollate. La recita sottoponeva dati e vicende a un processo di straniamento che è necessario perché si capisca. Il naturale assumeva l’importanza del sorprendente, facendo venire alla luce le leggi di causa ed effetto. Il comportamento degli uomini doveva essere contemporaneamente così e diverso. Spettatore del teatro drammatico vive le stesse emozioni dell’eroe, per lui tutto è ovvio. Lo spettatore epico si stupisce, niente di ovvio. Il teatro didattico La scena cominciò ad avere l’efficacia di un insegnamento. Il petrolio, la guerra, le lotte sociali, famiglia, religione, grano, etc. divennero oggetto di rappresentazione teatrale. Mediante cori li spettatore era istruito sulle circostanze a lui ignote. Mediante film si mostravano montaggi di avvenimenti in tutto il mondo. Mediante proiezioni si portavano a conoscenza dati statistici. Erano altrettanti modi di mettere in rilievo i vari sfondi, ciò equivaleva ad esporre alla critica l’operato dell’uomo. Si mostravano comportamenti sbagliati e giusti, uomini sapienti e non. Il teatro divenne accessibile ai filosofi non solo per spiegare il mondo, ma anche di cambiarlo. E il divertimento? Secondo l’opinione comune tra l’imparare e il divertirsi c’è grande differenza. Imparare è utile ma divertirsi è piacevole. Occorre difendere il teatro epico dall’accusa di essere spiacevole, noioso. Lo studio in realtà è una compra. La scienza è merce che vende comprata e rivenduta. Non è il molto sapere che procura potenza, ma è molto quello che ci si può procurare solo se si è potenti. Diversa è l’importanza dello studio per i diversi strati sociali. Vi sono classi sociali il cui momento non è ancora venuto, che si sentono scontenti dei rapporti in cui vivono, loro hanno per lo studio un interesse pratico, sanno che senza lo studio, saranno perduti; sono i migliori studiosi. Il desiderio d’imparare dipende da vari fattori, ma non si può negare l’esistenza di un entusiasmo per lo studio, di uno studioso gioioso e combattivo. Se non vi fosse possibilità di studiare divertendosi allora il teatro non sarebbe in grado d’insegnare. Il teatro rimane teatro, anche se è teatro d’insegnamento, e nella misura in cui è buon teatro, è anche divertente. Teatro e scienza Cos’ha in comune scienza e teatro? La scienza può essere divertente, ma non tutto ciò che è divertente rientra nell’ambito del teatro. Il piano della scienza e dell’arte sono diversissimi. Ma Brecht non riesce a lavorare come artista senza servirsi di un bagaglio scientifico. Sostiene che i grandi e complicati avvenimenti non possono essere sufficientemente riconosciuti in un mondo di uomini che non si provvedano di tutti i strumenti utili ad intenderli. Supponiamo che si debbano rappresentare le grandi passioni o fatti capaci di influire sul corso della storia. Una di tali passioni, l’impulso del potere. Con l’andare attorno tenendo gli occhi ben aperti, non otterranno certo una visione sufficientemente chiara delle cose. Un campo importante per gli autori di teatro è la psicologia. Molti credono che uno scrittore dovrebbe essere in grado senza il bisogno di particolare istruzione, di ritracciare i motivi che spingono un uomo all’omicidio, che dovrebbe potere per virtù propria dare un quadro dello stato psichico di un assassino. Si ritiene che basti guardare dentro se stessi e usare un po’ di fantasia. Brecht no. Non può trovare in se stesso tutti i motivi determinanti che sono individuabili negli uomini. La psicologia moderna, procurano nozioni che possono indurre a un giudizio totalmente diverso dal caso in esame, soprattutto tenendo conto dei risultati delle indagini sociologiche senza trascurare l’economia e la storia. Il contenuto scientifico che può essere racchiuso in un’opera poetica deve essere completamente risolto in poesia. La sua utilizzazione soddisfa il piacere che è reso possibile dal contenuto poetico. È sempre necessaria una certa disposizione a penetrare più a fondo nelle cose, rendere il mondo padroneggiabile all’uomo, per lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) poterci assicurare, in un’epoca di grandi scoperte e invenzioni come la nostra, anche il godimento della poesia. Il teatro epico può definirsi un’“istituzione morale”? Per Federico Schiller il teatro dev’essere una istituzione morale, quando lo disse non pensò al fatto che una ribalta moraleggiante avrebbe avuto come effetto la diserzione del pubblico dei teatri. A quei tempi il pubblico non disdegnava il teatro moralistico. Per Nietzsche occuparsi della morale era deprimente, Schiller lo considerava fonte di alto diletto, nulla poteva procurare maggiore divertimento e soddisfazione che propagare ideali. Molti si ribellarono contro il teatro epico accusandolo di essere troppo moralistico più che parlare di morale esso si proponeva di studiare. Nel mondo che ci circondava erano rilevabili alcune dolorose incongruenze, condizioni difficili a sopportarsi, e difficili non solo per ragioni puramente morali. Lo stesso scopo delle nostre ricerche non era solo di suscitare delle reazioni morali contro determinate condizioni di vita. Lo scopo delle nostre ricerche era quello di scoprire i mezzi attraverso cui fosse possibile eliminare quelle condizioni difficilmente sopportabili. Parlavamo cioè non in nome della morale, ma in nome degli offesi: e queste sono due cose davvero molto diverse, perché ben spesso accade che, con abbondanza di prediche morali, si dica agli offesi che devono esser ben contenti della loro situazione. Per i moralisti di questo genere, gli uomini sono fatti per la morale, non la morale per gli uomini. Può sorgere ovunque un teatro epico? Sotto l’aspetto stilistico il teatro epico non costituisce niente di nuovo. Il suo carattere dimostrativo e la sua accentuazione dell’artificio scenico lo apparentano all’antichissimo teatro asiatico. Anche i misteri medievali, il teatro classico spagnolo, il teatro gesuita, presentano tendenza didattiche. Queste forme di teatro corrispondono alle tendenze delle loro epoche, e decaddero col passare di esse. Il teatro epico moderno è legato a tendenze ben definite e quindi non può sorgere dappertutto. Oggi le grandi nazioni non tendono a discutere i loro problemi sulla scena teatrale. Solo in pochi luoghi e per un tempo non lungo sono esistite condizioni favorevoli alla nascita di un teatro epico con fini pedagogici. A Berlino il fascismo ha posto un drastico alt allo sviluppo di questo teatro. Premessa necessaria a un fenomeno del genere, oltre a un determinato standard tecnico, è un potente moto di vita sociale, che abbia interesse alla libera discussione dei problemi dell’esistenza in vista della loro soluzione. Il teatro epico è il più vasto e progredito tentativo di giungere a un grande teatro moderno, e deve vincere tutte le enormi difficoltà che si oppongono a qualsiasi energia vitale, così nel campo della politica come in quelli della filosofia, scienza e arte. Effetti di straniamento nell'arte scenica cinese Ci proponiamo di fornire nelle seguenti pagine brevi cenni all'uso dell'effetto di straniamento nell'antico teatro cinese. Tale effetto venne recentemente applicato in Germania, nel corso dei tentativi volti a realizzare un teatro epico, per una drammatica basata su canoni non aristotelici (cioè non sull'immedesimazione). Si tendeva a far recitare gli attori in maniera da rendere impossibile allo spettatore immedesimarsi sentimentalmente con i personaggi del dramma. L’accettazione o il rifiuto di ciò che questi facevano o dicevano, doveva avvenire nella sfera cosciente dello spettatore e non nel suo inconscio. Lo sforzo di creare un distacco fra il pubblico e gli avvenimenti rappresentati si può già riscontrare nelle recite teatrali e pittoriche delle vecchie fiere popolari. Il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere usato nei baracconi da fiera esercitavano un’azione di straniamento. Il teatro cinese fa uso di una grande quantità di simboli: un generale porta sulle spalle una quantità di bandierine pari al numero dei reggimenti da lui comandati. La condizione di povertà viene espressa cucendo sulle vesti di seta pezze irregolari di vari colori. I caratteri sono contraddistinte da determinate maschere, con mezzi pittorici. Certi gesti eseguiti da entrambe le mani significano il violento spalancarsi di una porta ecc. La scena rimane invariata, ma lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) oculare di un incidente stradale mostra a un folla com’è capitata la disgrazia. I presenti possono non aver visto il fatto o essere di parere diverso, importante è che il dimostratore rappresenti il comportamento dell’autista o del pedone investito, o di entrambi, in modo tale che gli astanti possano formarsi un’opinione sull’incidente. Questo teatro epico può giungere a creazioni più ricche, complesse, sviluppate nei particolari, ma in via di principio non ha bisogno di altri elementi all’infuori di questa rappresentazione a un angolo di strada. La rappresentazione all’angolo della strada costituisce un modello sufficiente per il grande teatro. Questo non è un fatto artistico. Non serve che il dimostratore sia un artista, chiunque sa fare ciò che gli serve per raggiungere il suo scopo. Non deve essere perfetto, gli astanti non devono pensare che il suo sia un comportamento naturale. Non deve ammaliare nessuno, non deve indurre nessuno ad abbandonare il proprio piano usuale per lasciarsi rapire in una “sfera superiore” È UNA DIMOSTRAZIONE. Nella scena di strada manca l’illusione ha il carattere di ripetizione, il dimostratore ripete ciò che è accaduto. Se la scena teatrale imita in questo la scena di strada appare in piena luce ciò che il gioco scenico ha studiato: si vede che il testo è appreso a memoria, si vede tutto l’apparato, tutta la preparazione. La scena di strada definisce il tipo di emozione che si deve procurare allo spettatore. Chi narra l’incidente ha sicuramente provato un’emozione, ma la sua rappresentazione non tende a procurare un’emozione agli spettatori. Lo scopo della dimostrazione non è di produrre emozioni allo stato puro. Elemento essenziale della scena di strada che deve trovarsi anche nella scena teatrale epica è il significato socialmente pratico della dimostrazione, il dimostratore interviene sulla socialità. Il relatore non deve imitare il comportamento dei personaggi per intero ma tanto da permettere agli astanti di farsi un’immagine del fatto. Un teatro che non vuole oltrepassare il resoconto della scena di strada dovrà riconoscere che l’imitazione ha dei limiti. I mezzi che impiega devono essere giustificati dallo scopo. L’imitazione è un riassunto oppure uno scorcio. Un altro elemento della scena di strada è che il dimostratore deduce i caratteri esclusivamente dal loro modo di agire. Egli imita le loro azioni consentendo di trarre determinate conclusioni sui caratteri. Il carattere della persona che sta imitando rimane un’entità che non spetta a lui determinare totalmente. Il dimostratore si interessa alle qualità capaci di provocare o di impedire l’incidente. La scena teatrale può mostrare individui più nettamente determinati ma dev’essere capace di designare tale individuo come caso speciale e di indicare la cerchia entro la quale si manifestano anche gli effetti sociali di rilievo. Per assegnare all’attore un dato angolo visuale il teatro deve prendere una serie di misure. Se il teatro ingrandisce lo scorcio che pone in luce, mostrando l’autista in parecchie altre situazioni, oltre l’incidente, non supera alcun modo i limiti del modello, crea una più vasta situazione che conserva il carattere del modello. Per non trasgredire i limiti della scena-modello il teatro deve sviluppare ogni volta la tecnica che consente di sottoporre le emozioni alla critica dello spettatore. Non significa che si debba impedire allo spettatore di partecipare a certe emozioni che gli is presentano; accogliere emozioni è solo una certa forma della critica. Il dimostratore teatrale, attore, deve riprodurre il tono della persona rappresentata facendo delle riserve, segnando una distanza. L’attore deve restare dimostratore, deve rendere il personaggio rappresentato come una persona a lui estranea, la sua dimostrazione non deve nascondere che fu lui a fare questo, fu lui a dire cosi. L’attore non deve mai permettersi di trasformarsi completamente nella persona che dimostra. Elemento essenziale della SCENA DI STRADA sta nell’atteggiamento naturale assunto dal dimostratore in due sensi dato che tiene conto di due situazioni. Si comporta da dimostratore in modo naturale, e dà alla persona che rappresenta un comportamento naturale, non fa mai dimenticare allo spettatore che lui non è la persona che viene rappresentata, ma colui che rappresenta. Elemento specifico del teatro epico è l’effetto di straniamento. È la tecnica con la quale si può dare ai rapporti umani rappresentati l’impronta di cose sorprendenti, che esigono spiegazioni, non ovvie, non semplicemente naturali. Questo effetto ha come scopo di permettere allo spettatore una critica efficace dal punto di vista sociale. Una discussione sulla dimostrazione può produrre l’effetto di straniamento. Ponendo accento su un movimento particolare, magari rallentandolo, ne mettete in luce l’importanza, rendendolo notevole. Quindi anche per il dimostratore della strada l’effetto di straniamento del teatro epico è utile, si manifesta anche in una scenetta giornaliera di teatro naturale all’angolo di una strada. Dimostrazione per strada, passaggio repentino dal rappresentare al commentare, caratteristico del teatro epico. Ogni volta che è possibile il dimostratore interrompe l’imitazione per dare spiegazioni. Nel teatro epico i cori e i documenti lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) proiettati, la maniera degli attori di rivolgersi direttamente agli spettatori, assolvono stessa funzione. Teatro scena di strada e teatro epico nessun elemento puramente artistico. Il dimostratore di strada esegue la sua dimostrazione servendosi di capacità alla portata di tutti. Il teatro epico tiene a situare il proprio modello fondamentale all’angolo di una strada, cioè riferirsi agli elementi più semplici del teatro naturale, a un atto sociale i cui motivi, mezzi e scopi sono pratici, terrestri. Tale dimostrazione non ha bisogno di motivare l’azione drammatica con concetti artistici. In realtà il teatro epico è altamente artistico. Fantasia, umorismo, simpatia umana sono cose di cui non può fare a meno. Deve essere divertente ed istruttivo. Ampliando il modello per arrivare al teatro epico gli elementi aggiunti non sono fondamentali. Prendiamo la vicenda. L’incidente stradale non era inventato. Ma nemmeno il teatro corrente tratta solo cose inventate, esempio teatro storico. Si può rappresentare anche un vicenda che si svolge all’angolo della strada. Il testo studiato, il nostro dimostratore può dover comparire in un tribunale come testimone e debba perciò imparare a memoria e studiare le parole esatte, delle persone di cui fa la dimostrazione. Anch’egli in questo caso presenta un testo studiato. Recitazione studiata fra più persone una simile rappresentazione combinata non si effettua sempre con scopi esclusivamente artistici (es. procedura francese che obbliga i protagonisti di un crimine a ripetere davanti alla polizia certe situazioni). La maschera, anche la truccatura non serve solo per scopi teatrali. Il travestimento può permettere di distinguere le diverse persone mostrate, ma non deve provocare l’illusione che i relatori siano veramente le persone rappresentate. Scena di strada? venditori ambulanti, con alcuni accessori e poche manipolazioni recitano piccole scene allusive, imponendosi, la stessa limitazione della scena dell’incidente. Tra i venditori ambulanti si riscontra l’uso del verso, con la funzione indicativa del modello-base. Usano ritmi fissi irregolari. Non ci sono differenze fondamentali tra il teatro naturale epico e il teatro epico artistico. L’angolo della strada è primitivo, i motivi, lo scopo e i mezzi della rappresentazione sono banali. Ma è un processo perfettamente ragionato, la cui funzione sociale è chiara e determina tutti i suoi elementi. La rappresentazione è motivata da un fatto giudicabile in vari modi, che in una forma o nell’altra può ripetersi e che ancora non è concluso, ma avrà delle conseguenze; quindi, è importante il modo di giudicarlo. Il fine della rappresentazione è di facilitare il giudizio sul caso specifico. Il teatro epico è altamente artistico, i suoi soggetti sono complicati, le sue finalità sociali sono vaste. Fissando a suo modello-base la scena di strada, gli assegniamo una chiare funzione sociale e determiniamo dei criteri che permettono di giudicare se i suoi procedimenti abbiano o no senso. Il modello-base permette ai direttori delle prove e agli attori che realizzano una rappresentazione in cui spesso si presentano difficili problemi parziali di controllare se la funzione sociale dell’apparato nel suo insieme è ancora chiara e intatta. Nuova tecnica dell'arte drammatica Nelle pagine che seguono si tenterà di descrivere una tecnica dell'arte drammatica che venne usata in alcuni teatri per “straniare” lo spettatore rispetto ai fatti rappresentati. Lo scopo era di far assumere allo spettatore un atteggiamento d’indagine e di critica nei confronti della vicenda esposta. Condizione essenziale per usare l’effetto di straniamento è che la scena e la sala siano ripulite da ogni aura magica e che non sorgano campi ipnotici. Il pubblico non veniva né “sovreccitato” dallo scatenarsi dei temperamenti, ne “ipnotizzato” da una recitazione coi muscoli tesi, non ci si sforzava di far cadere il pubblico in trance, di dargli l’illusione che stesse assistendo a un fatto naturale, spontaneo, non preparato. Condizione per dar luogo all’effetto di straniamento è che l’attore corredi ciò che deve mostrare con un esplicito gesto dimostrativo. La finzione della quarta parete, che nell’immaginazione dovrebbe separare il palco dal pubblico (a giustificare l’illusione che la vicenda scenica si svolga nella realtà senza la presenza di spettatori) viene a cadere e gli attori possono rivolgersi al pubblico. Normalmente il contatto fra la scena e il pubblico avviene per mezzo dell’immedesimazione. Tutti gli sforzi dell’attore di tipo convenzionale sono diretti a provocare questo atto psichico. La tecnica che dà luogo all’effetto di straniamento è diametralmente opposto a quella che si prefigge l’immedesimazione tra l’attore e il personaggio. Tuttavia, per riprodurre determinati personaggi e di mostrarne il comportamento non deve rinunciare totalmente all’immedesimazione. Può servirsene nella misura in cui se ne servirebbe qualsiasi persona priva di attitudini e di ambizioni drammatiche, per imitare un’altra persona. Tale lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) dimostrazione avviene giornalmente in innumerevoli circostanze senza la minima intenzione, da parte degli imitatori occasionali, di provocare nei loro spettatori un’illusione di verità. L’attore, dunque, si varrà anche di questo processo psichico ma se ne varrà solo in uno studio preliminare, a un momento dato dall’elaborazione della parte durante le prove. L’attore deve eliminare ogni tendenza troppo precoce a rivivere dentro di sé la parte e limitarsi il più a lungo possibile al ruolo di lettore. L’attore deve leggere la sua parte nell’atteggiamento di chi prova stupore, di chi contraddice, non solo l’avvenimento ma l’atteggiamento del personaggio stesso. Prima di mandare a memoria la parti, deve mandare a memoria ciò che ha provocato la sua meraviglia e a cui ha avuto motivo di contraddire (punti fermi della sua interpretazione). Quando sarà sulla scena accanto a quello che fa, permetterà di scoprire anche cose che non fa, reciterà in modo da dare la più chiara evidenza all’alternativa, da far sì che la sua prestazione lasci intravedere anche le altre possibilità, mentre quella sulla scena è solo una delle varianti possibili. Tutto ciò che non fa dev’essere contenuto e racchiuso in ciò che fa. Possiamo formulare tecnicamente questo procedimento come la fissazione del “non così – ma così”. L’attore non dà luogo a una totale metamorfosi nel personaggio, non lo è, lo mostra. Riferisce i suoi detti, riproduce i suoi modi di comportarsi, ma non tenta di convincersi di essersi incarnato in esso. Come il regista che mostra come si deve eseguire un passo, sottolinea gli aspetti tecnici e mantiene il contegno di chi si limita a suggerire e proporre. Rinunciando alla metamorfosi totale l’attore recita il testo non come colui che improvvisa ma come chi fa una citazione. Per realizzare una recitazione con immedesimazione non completa lo straniamento degli enunciati e delle vicende del personaggio da rappresentare, possono servire tre accorgimenti: 1) la trasposizione alla terza persona 2) la trasposizione al tempo passato 3) il pronunciare ad alta voce didascalie e commenti. L’uso della terza persona e del tempo passato consente all’attore il giusto atteggiamento del tenersi a distanza, inoltre inventa didascalie e frasi di commento adatte al suo testo e le pronuncia nel corso delle prove. Il pronunciare le didascalie in terza persona fa sì che due diverse intonazioni vengano a cozzare l’una contro l’altra con conseguente straniamento della seconda, cioè del testo propriamente detto. L’uso del tempo passato pone il dicitore in un punto di visione retrospettivo rispetto alla battuta, in tal modo questa viene ulteriormente straniata. Attraverso questo procedimento il testo viene straniato nel corso delle prove e tale rimane anche all’esecuzione. Per raggiungere l’effetto di straniamento nelle opere in poesia l’attore può rendere in prosa corrente i versi. La prosa invece può essere straniata traducendola in dialetto nativo dell’attore. Tutto ciò che attiene al sentimento deve essere esteriorizzato, essere cioè sviluppato nel gesto. Da un gesto di particolare eleganza, forza e grazia scaturisce lo straniamento. Esemplare nel trattamento del gesto è l’arte drammatica cinese: il fatto di studiare visibilmente i propri movimenti è quello che permette agli attori cinesi di raggiungere l’effetto di straniamento. Con la gestica deve prodursi un’impressione di facilità, difficoltà superate. Egli propone allo spettatore la vicenda in maniera compiuta. Sottolinea che quella è la sua testimonianza, opinione, versione in merito alla vicenda. Dato che non si identifica col personaggio rappresentato, può scegliere rispetto a lui un certo punto di vista, manifestare l’opinione che ne ha, sollecitare lo spettatore alla critica del personaggio in parola. Il punto di vista scelto dall’attore è quello sociale, rende evidenti i tratti che rientrano nel campo d’azione della società. La sua arte diventa un colloquio col pubblico al quale si rivolge, e induce lo spettatore a giustificare o a rifiutare quelle condizioni, a seconda della classe cui appartiene. Scopo è quello di straniare il gesto sociale sotteso ad ogni vicenda. Per gesto sociale s’intende l’espressione mimica e gestuale dei rapporti sociali che presiedono alla convivenza degli uomini di una data epoca. La formulazione della vicenda ad uso della società è agevolata dall’invenzione di titoli per le singole scene. Questi titoli devono avere carattere storico. Espediente tecnico: la storicizzazione. L’attore deve recitare la vicenda come una vicenda storica: cioè come un fatto che si verifica una sola volta, transitorio, connesso con una determinata epoca. Il comportamento dei personaggi non è tipicamente umano e invariabile, presenta particolarità, elementi superati o superabili dal corso lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) serale d'aver fatto del teatro un ramo del commercio borghese di stupefacenti. Le false raffigurazioni della vita sociale sulle scene, compreso il naturalismo, facevano rivendicare le rappresentazioni scientificamente esatte. Ripudiava il culto del bello di pari passo con l’avversione all'apprendere e col disprezzo dell'utile. Si aspirava a un teatro dell'era scientifica. Fare del mezzo di godimento un oggetto di studio e di trasformare certe istituzioni, da luoghi di divertimento che creano, in organi di pubblicazione. L'estetica, retaggio di una classe depravata e ormai parassitaria. Durante il nazismo e la guerra si accumularono le innovazioni teoriche mentre mancava la possibilità pratica di sperimentarle. Trattiamo il teatro quale luogo di ricreazione, come si conviene a un estetica. 1. TEATRO consiste nel produrre rappresentazioni VIVE di fatti umani tramandati o inventati, al fine di ricreare. 2. La funzione dell'istituzione teatro è quella del divertimento. È la funzione più nobile che siamo riusciti a trovare per il teatro. 3. Compito del teatro è di ricreare la gente, e questo gli conferisce la sua speciale dignità. Non lo si nobiliterebbe facendone il mercato della morale. E non vi è nemmeno il compito di imporgli l'obbligo di insegnare. Il teatro deve poter restare cosa superflua. I divertimenti non hanno bisogno di giustificazioni. 4. Quando si dice che il teatro ha la sua origine nel culto, si intende che divenne il teatro per selezione. Anche la catarsi aristotelica, la purificazione attraverso l'orrore e la pietà, avveniva non solo in modo divertente ma propriamente allo scopo di divertire. Esigere di più dal teatro è deprezzare il suo vero fine. 5. L'arte è impenetrabile e può muoversi tra generi bassi ed elevati. 6. Ci sono invece dei divertimenti deboli (semplici) e dei divertimenti forti (composti). Quelli forti che sono quelli della grande arte drammatica, raggiungono la sublimazione come il concubito nell'amore, sono dunque più suggestivi, complessi, contraddittori e fecondi di conseguenze. 7. I divertimenti delle diverse epoche furono naturalmente diversi, secondo il modo di convivenza degli uomini. 8. La ricreazione, i personaggi e le situazioni, variano a seconda dell'assesto di una nazione. 9. Il divertimento tratto da così disparate figurazioni, ben poco aveva a che vedere, col grado di somiglianza delle figurazioni con la cosa raffigurata. L'inesattezza disturbava poco, appunto, purché l'inesatto avesse una certa consistenza e l'inverosimile fosse coerente. Bastava che si creasse l'illusione che quella da poteva essersi svolta altrimenti. 10. Tra i tanti e svariati modi di rappresentare importanti vicende umane che dagli antichi in poi sono stati prodotti sul teatro e malgrado le loro inesattezze e inverosimiglianze, hanno divertito e sorprendente la qualità. Di quelli che ancora oggi divertono pure noi. 11. Il nostro trarre piacere dalle rappresentazioni di epoche passate, mentre i contemporanei di quelle opere non sempre lo facevano, spinge a pensare che forse non abbiamo ancora trovato una forma di ricreazione che ci è propria. 12. Il godimento che ci procura il teatro si è indebolito rispetto a quello degli antichi. Ci appropriamo le vecchie opere attraverso il procedimento dell'immedesimazione, cui esse non si prestano troppo. Gran parte del nostro godimento si alimenta a fonti diverse da quelle degli antichi. Ci atteniamo alla bellezza della lingua, eleganza con cui si svolge la vicenda, agli accessori delle opere antiche, agli artifizi poetici e teatrali destinati a nascondere le incongruenze della vicenda. I teatri non hanno più né la capacità né il gusto di raccontare in modo chiaro le vicende (anche quelle di Shakespeare che non sono tanto vecchie, cioè di rendere verosimile la connessione dei fatti. Per Aristotele la vicenda è l'anima del dramma ci disturba la primitività della rappresentazione della convivenza sociale. 13. Le incongruenze nella rappresentazione dei fatti umani diminuiscono il nostro godimento in teatro. Perché di fronte ai fatti rappresentati il nostro atteggiamento è diverso da quello dei nostri antenati. 14. Nella ricerca di un divertimento immediato, il piacere pieno e completo che il teatro potrebbe procuraci col rappresentare la convivenza sociale, dobbiamo pensare a noi stessi come figli di un'era scientifica. lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) 15. Qualche centinaio di anni fa alcune persone in paesi diversi ma non isolatamente, tentavano degli esperimenti coi quali speravano di strappare alla natura i suoi segreti. Essi trasmisero le loro invenzioni ad altre persone che le sfruttavano per praticamente, senza ripromettersi dallo sviluppo delle nuove scienze, molto di più di un lucro personale. Mestieri che da un millennio si servivano di metodi pressoché immutati conobbero allora uno sviluppo straordinario, raccogliendo intorno a sé in molti luoghi grandi masse di uomini, le quali iniziarono una produzione su scala gigantesca. Ben presto l'umanità a spiegò energie di tale portata che prima di allora non aveva notato nemmeno sognare. 16. Fu come se l'umanità solo allora si accingesse unite e cosciente. A rendere abitabile il pianeta su cui viveva. Diversi elementi della terra come il carbone, l'acqua, il petrolio, si trasformarono in tesori. Quelle cose che l'uomo da tanto tempo vedeva senza aver mai pensato a sfruttarle. Ora dappertutto le guardava con occhi nuovi per farle servire alle sue comodità. Il suo ambiente andava trasformandosi. Mi sposto coi nuovi veicoli ad una velocità che mio nonno non poteva nemmeno immaginare. E io posso volare. Ho parlato da un continente all'altro, ma soltanto con mio figlio ho veduto le immagini mobili dell'esplosione di Hiroshima. 17. 17.le nuove scienze hanno reso possibile la mutabilità del nostro ambiente, lo spirito scientifico non anima però tutti in modo decisivo. Il nuovo modo di pensare non ha penetrato le grandi masse, il motivo è che alle scienze viene impedito dalla borghesia di trovare applicazione in un altro campo, quello dei rapporti reciproci degli uomini nello sfruttamento e nella sottomissione della natura. L'occhio nuovo indirizzati sulla natura non si fissò anche sulla società. 18. I rapporti umani sono più impenetrabili che mai. L'aumento della produzione provoca l'aumento della miseria, solo pochi uomini traggono un utile dallo sfruttamento della natura, sfruttando altri uomini. Il progresso di tutti è tratto a vantaggio di pochi. E una parte sempre maggiore della produzione è dedicata a creare mezzi di distruzione. 19. Gli uomini si trovano davanti alle proprie imprese come gli antichi davanti alle catastrofi della natura. La borghesia sa verrebbe messo fine al suo potere se le sue imprese sarebbero messe da parte se fossero considerate con occhio scientifico centinaio d'anni fa sorse a scienza che studia la società, e sorse la lotta degli oppressi contro oppressori. Da allora lo spirito scientifico si radicò nella nuova classe lavorativa il cui elemento vitale è la grande produzione: per loro le grandi catastrofi si presentano come le imprese dei potenti. 20. Lo scopo della scienza e del arte è agevolare la vita degli uomini curandosi del loro mantenimenti e della loro ricreazione. Nella nuova era l'arte attingerà il divertimento dalla nuova produttività, la quale è in grado di migliorare il benessere e potrebbe costituire essa stessa il diletto più grande. 21. Quale dovrebbe essere l'atteggiamento se volessimo accingerci alla passione del produrre, e nei confronti della natura e della società assunta nei teatri? 22. Sarà un atteggiamento critico. Che regola rispetto a un fiume il flusso del fiume, alla locomozione nel costruire veicoli, rispetto alla società, nel rivolgimento alla società. Il teatro deve rivolgersi agli arginatori, costruttori di veicoli, ai trasformatori della società, che al teatro devono non dimenticare i propri interessi e affidare il mondo ai loro cervelli e cuori, perché lo trasformino a proprio talento. 23. Il teatro potrà assumere un atteggiamento libero solo se saprà allenarsi alle tendenze più impetuose della società, associandosi a colo che più di tutti devono essere impazienti di operare in essa grandi trasformazioni. Basta il desiderio di sviluppare l'arte in accordo coi tempi in cui viviamo a spingere il teatro dell'era scientifica dai centri verso la periferia. Metterlo a disposizione delle grandi masse, che producono molto e ottengono poco, perché si intrattengano dai loro problemi. Si dovrà scoprire di che cosa hanno bisogno e come ne hanno bisogno un teatro che fa della produttività la forma principale del divertimento, dovrà farne il tema principale. Il teatro deve impegnarsi nella realtà per essere in grado e in diritto di produrre immagini efficaci della realtà. 24. Questo facilita l'accostarsi del teatro alle istituzioni d'insegnamento e di studio; produce allora immagini praticabili della società che sono in grado d'influenzarla le produce come un lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) vero gioco. Espone per gli edificatori della società le esperienze vissute rendendole godibili. Essi si dilettarono della saggezza che viene dalla soluzione dei problemi, dell'ira in cui può utilmente trasformarsi la compassione per gli oppressi, del rispetto di fronte alle cose umane, di tutto ciò che può ricreare coloro che producono. 25. Allora il teatro potrà anche far godere ai suoi spettatori la particolare moralità della loro epoca, quella derivante dalla produttività. Quando il teatro ha saputo trasformare la critica in fonte di godimento, la morale non gli impone altri obblighi, ma gli lascia molte possibilità. Si può trarre godimento anche dei fenomeni asociali purché siano presentati come grandi e vitali. 26. Osservando gli spettatori in una sala ci accorgiamo che sono pressoché immobili in uno strano atteggiamento, i muscoli contratti in grande sforzo. Non comunicano tra di loro, sono riuniti come tanti DORMIENTI che fanno sogni inquieti. Hanno occhi aperti ma non guardano, FISSANO, neppure ascoltano ma sono tutt'orecchi. Tengono gli occhi fissi sulla scena come ammaliati. Gente aliene da qualsiasi attività sembra materia passiva. Il loro rapimento dipende dalla migliore recitazione degli attori, tanto che spera che recitino male. 27. Il mondo raffigurato in tale teatro è messo in scena con ingredienti scarsi e miseri (un po' di cartapesta, tantino di mimica, pizzico di testo) da far ammirare i teatranti che riescono a commuovere i loro rapiti uditori ben più violentemente di quanto non riesca a commuoverli il mondo stesso. 28. La gente del teatro ha delle scusanti: non potrebbe produrre il divertimento venduti in cambio di gloria e denaro con immagini del mondo più esatte, né presentare in maniera meno magica le sue inesatte immagini. La sola cosa importante per gli spettatori di questo teatro è di poter scambiare un mondo contraddittorio contro un mondo armonioso, quel mondo che si conosce assai poco contro un mondo che si può sognare. 29. E il teatro che ci troviamo davanti, un teatro che finora si è dimostrato ben capace di trasformare questi nostri fiduciosi amici che chiamiamo i figli di un'era scientifica in una massa intimidita, credula, ammaliata. 30. Da una cinquantina d'anni hanno potuto vedere rappresentazioni della convivenza umana un po’ più fedeli, e personaggi che si ribellano contro certi abusi della società o contro la struttura sociale. L'interesse era tale da fargli sopportare l'impoverimento della lingua, nella vicenda e nell'orizzonte spirituale. Il raffinamento delle riproduzioni pregiudicava un certo modo di divertirsi senza soddisfarne un altro. La scena illumina il campo delle relazioni umane ma non le rendeva trasparenti. 31. I teatri continuavano a rimanere luoghi di svago per una classe che limitava al campo della natura l'esercizio dello spirito scientifico, non osando schiudergli quello dei rapporti umani. 32. Voi se visto che è la miscredenza è capace di spostare montagne. Non basta esserci accordi che certe cose non abbiamo accesso? Vengono punti dietro un sipario? 33. Il teatro mostra la struttura della società(riprodotta) come non influenzabile dalla società (quella seduta in sala) 34. Nel Edipo, i tabù esistono ancora, e ancora l'ignoranza non salva dal castigo. Così nell'Otello, poiché ancora la gelosia ci procura complicazioni e tutto dipende dal possesso. E nel Wallenstein poiché dobbiamo essere liberi nella lotta per la concorrenza e anche leali, altrimenti è finita. Queste abitudini di incubo vengono favorite anche da opere come Gli Spettri e i Tessitori, dove tuttavia la società. In quanto ambiente, appare più problematica. Ma dato che le sensazioni, le intuizioni, gli impulsi dei personaggi principali ci vengono imposti per quanto riguarda la società, non possiamo ottenere più di quello che ci dà l'ambiente. 35. Ci necessita un teatro che non consenta soltanto le sensazioni, intuizioni o impulsi propri a quel limitato campo storico dei rapporti umani in cui si svolge l'azione bensì applichi e produca invece che quei pensieri e quei sentimenti che nel mutamento di questo campo hanno una funzione loro propria. 36. Questo campo deve poter essere caratterizzato nella sua relatività storica. Si deve quindi rompere con l’abitudine di spogliare delle loro diversità le varie strutture sociali di epoche passate per renderle tutte più o meno simili alla nostra, quale prende l'aspetto di cosa sempre lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) l'atteggiamento di chi si stupisce. Non solo per evitare di giungere troppo presto a fissare un determinato personaggio, ma anche per introdurre nel personaggio quella distinzione “non così – ma così” che ha tanta importanza, se il pubblico, che rappresenta la società, deve poter afferrare gli avvenimenti dal lato suscettibile di esercitare un'influenza. Inoltre, l'attore, anziché appropriarsi le caratteristiche che gli si addicono, alle caratteristiche particolari. E, insieme col testo, egli dovrà registrare nella memoria sue prime reazioni, riserve, critiche e perplessità, affinché non vadano perdute nella figura definitiva del personaggio. Poiché il personaggio come tutto il resto deve non tanto convincere il pubblico quanto sorprenderlo. 58. L'attore deve studiare insieme agli altri attori, costruirà il suo personaggio insieme ad altri personaggi. Poiché la più piccola unità sociale non è l'uomo, ma due uomini. Anche nella vita ci sottraiamo a vicenda. 59. Per giovare alla verosimiglianza della vicenda, gli attori dovrebbero ogni tanto scambiarsi le parti durante le prove, così i personaggi riceveranno gli uni dagli altri ciò di cui hanno bisogno. 60. Giova anche agli attori vedere una copia del proprio personaggio in una concezione diversa. Impersonato da un attore di sesso diverso, impersonato da un comico, acquisterà nuovi aspetti. Ma soprattutto l'attore sviluppando insieme al suo anche i personaggi antagonisti definisce la posizione sociale decisiva, da lui assunta per presentare il suo personaggio. 61. Innumerevoli elementi hanno contribuito alla struttura del personaggio al momento del suo incontro con gli altri personaggi del dramma, e l'attore dovrà ricordarsi le congetture che il testo gli aveva suggerito in proposito. Impara però molto di più intorno a se stesso dal modo di agire che gli altri personaggi gli consento. 62. Gli atteggiamenti che i personaggi prendono gli uni verso gli altri rientrano nell'ambito gestuale. L'atteggiarsi del corpo, il tono della voce, l'espressione del viso sono determinati da un “gesto sociale”. In genere queste manifestazioni gestuali sono complicate e contraddittorie, tanto che non possono più esprimersi con una sola parola. L'attore deve porre attenzione a non perdere nulla di tutto ciò nella figurazione, ma ad accentuare tutto il complesso. 63. L'attore s'impadronisce del suo personaggio seguendone criticamente le molteplici reazioni, come pure quelle dei suoi antagonisti e di tutti gli altri personaggi del dramma. 64. La VITA DI GALILEO per vedere come le diverse reazioni si illuminano a vicenda. Inizia con il lavaggio matutino dello scienziato, interrotta per sfogliare libri e continuare lezioni al ragazzo Andrea Sarti sul nuovo sistema solare. Termina con la cena del vecchio scienziato solo abbandonato dallo stesso allievo. S'ingozza incontrollatamente, abbandonato la carica di insegnante. Pensa per il piacere di pensare. quando entra in scena l’allievo benestante deve scegliere tra quello ricco e quello intelligente. Scopre che in olande è stato inventato il telescopio, trova qualcosa di utile nell'interruzione. arriva il procuratore e respinge la sua richiesta di aumento all'università, costui gli suggerisce di crea oggetti utili nella quotidianità, alla fine lui spaccia il telescopio per una sua invenzione e lo presenta alla Signoria di Venezia. Ogni fallimento rende più lieve il fallimento seguente. 65. L'attore s'impadronisce del personaggio nello stesso tempo che s'impadronisce della vicenda. Partendo dal limitato avvenimento visto nell'insieme, egli può arrivare al personaggio definitivo che risolve in sé tutti i tratti particolari. Se trova le sorprendenti contraddizioni dei diversi atteggiamenti, e tenuto presente che anche il pubblico dovrà essere sorpreso, la vicenda nel suo insieme gli permetterà di connettere le contraddizioni. La vicenda essendo un avvenimento delimitato esprime un determinato senso, soddisfa solo determinati interessi fra i tanti possibili. 66. Tutto dipende dalla vicenda, essa è il cuore della manifestazione teatrale. La grande impresa del teatro è la vicenda, la composizione complessiva di tutti i processi gestuali, contenente le comunicazioni e gli impulsi che costituiranno il godimento del pubblico. 67. Ogni singolo avvenimento ha un proprio gesto fondamentale (dio fa una scommessa col diavolo per l'anima di Faust). La bellezza della rappresentazione, cioè della disposizione e dei movimenti dei personaggi sulla scena, deriverà innanzitutto dall'eleganza con cui il lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) materiale gestuale sarà presentato e sottoposto al giudizio del pubblico. Ad evitare che il pubblico si indotto a gettarsi nella vicenda come in un fiume, i singoli avvenimenti devono essere collegati in modo che i nodi dell'azione diano all'occhio, non devono susseguirsi inavvertitamente, bisogna che lo spettatore possa intervenire col suo giudizio tra uno e l'altro. Le parti della trama si debbono contrapporre tra loro, dando a ciascuna la sua propria struttura di piccolo dramma nel dramma. Dei titoli possono servire bene a questo scopo, titoli che contengono un'arguzia sulla società, ma anche indichino anche qual è l'interpretazione più opportuna, imitando cioè il tono dei titoli di cronaca, di una ballata, di un giornale o di una descrizione di usi e costumi. La descrizione di usi e costumi offre un modello elementare di rappresentazione straniata. Presentato così il processo unico e particolare acquista un aspetto insolito, poiché appare come qualcosa di generale che si è fatto usanza. A straniarlo basta già il fatto che lo spettatore si domandi se e in quale misura è desiderabile che un dato processo diventi realmente un'usanza. Dato che straniare significa anche rendere celebre, certi avvenimenti si possono rappresentare semplicemente come fatti celebri, noti anche nei particolari, e come studiandosi di non offendere in nessun punto la tradizione. In breve: sono possibili molti tipi di narrazione, sia che ci si serva di quelli noti, sia che se ne inventino di nuovi. 68. CHE COSA E COME SI DEBBA STRANIARE DIPENDE DALL'INTERPRETAZIONE CHE SI VUOLE DARE ALLA VICENDA, e nel fare ciò il teatro potrà difendere gli interessi della sua epoca. Esempio AMLETO: di fronte a una prassi illogica, la sua logica è del tutto priva di senso pratico. E della contraddizione fra un tale raziocino e un'azione così diversa, egli cade tragicamente vittima. 69. Ogni progresso con cui si emancipa la produzione della natura, portando a una modificazione della società allo scopo di migliorare la propria sorte ci procurano sempre un senso di trionfo e di fiducia e quel piacere che sta nel riconoscere la mutabilità di ogni cosa 70. Compito principale del teatro è interpretare la vicenda e comunicarla al pubblico attraverso appropriati straniamenti. E non è l'attore che deve far tutto. La vicenda viene interpretata, prodotta ed esposta dal teatro nel suo insieme, dagli attori, scenografi, truccatori, costumisti, musicisti, coreografi. Ciascuno associa la propria arte nell'impresa comune, senza rinunciare con ciò alla sua autonomia. 71. Negli intermezzi musicali rivolti al pubblico, il gesto generale del mostrare che sempre accompagna quello mostrato nel caso singolo, viene accentuato dalle canzoni gli attori devono evitare di sconfinare dalla recitazione nel canto, bensì staccarlo nettamente dal resto, con aiuto di mezzi scenici come il cambiamento delle luci o proiezione di titoli. La musica dovrà rifiutare di fare la parte di domestica senza idee proprie che generalmente le vien riservata. Non deve accompagnare, né accontentarsi di esprimersi eliminando la carica emotiva impostale dal corso degli eventi. HANNS EISLER nel Galileo ha connesso in modo esemplare gli avvenimenti, componendo per il corteo mascherato della scena carnevalesca una musica trionfale e minacciosa, atta ad indicare la piega sovversiva data dal basso popolo alle teorie dello scienziato. La musica può situarsi in molte maniere di propria iniziativa e commentare a suo modo l'argomento, ma può anche limitarsi ad arricchire la ricreazione di altri diversivi. 72. Non solo il musicista ritrova la sua libertà non essendo più costretto a creare atmosfere per consentire al pubblico di abbandonarsi agli avvenimenti scenici, molta libertà guadagna anche lo scenografo allorché nel costruire il luogo dell'azione è esentato dal produrre l'illusione di una stanza o di un paesaggio. Basta allora qualche accenno, ma bisogna che esprima cose storicamente e socialmente più interessanti di quelle contenute nell'ambiente reale. Nel teatro ebraico di Mosca Re Lear veniva straniato con una costruzione architettonica che ricordava uni tabernacolo medievale, Nel teatro di Piscator, Heathfield per la commedia Haitang erwacht uso uno sfondo di bandiere girevoli con iscrizioni che indicavano il mutamento della situazione politica. 73. Anche la coreografia ritrova compiti di carattere realistico. Quando l'arte rispecchia la vita, lo fa con specchi speciali. L'arte non diventa irreale quando altera le proporzioni, ma quando le altera così che il pubblico servendosi delle sue immagini per trarne intuizioni e impulsi lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) pratici, fallirebbe nella vita. La stilizzazione deve mettere in rilievo il naturale e non farlo sparire. Un teatro che trae tutto dal gesto non può comunque fare a meno della coreografia. L'eleganza di un movimento, la grazie della disposizione scenica, conseguono un effetto di straniamento, e l'invenzione pantomimica è di grande utilità per la vicenda. 74. Così chiamiamo a noi tutte le arti sorelle dell'arte drammatica, non per creare un'opera d'insieme in cui tutte si annullino e si disperdano, ma perché ognuna di esse insieme all'arte drammatica dia a modo suo impulso e sviluppo all'opera comune, e il loro rapporto reciproco sarà proprio quello di straniarsi a vicenda 75. Ancora una volta ricordiamo che è loro compito ricreare i figli dell'era scientifica in maniera sensuale e in letizia. Questo non lo si ripeterà mai abbastanza, specialmente per noi tedeschi, così inclini a scivolare nell'incorporeo e nell'occulto, per poi metterci a parlare di Weltanschauung, divisione del mondo, proprio quando il mondo non è più visibile. Lo stesso materialismo da noi è poco più di un'idea. Noi trasformiamo leggere dei sensi in doveri coniugali, assoggetti il godimento artistico all'istruzione. E per studio non intendiamo una lieta a conoscenza, ma lo sto sciare col naso sulle cose. E per attestare le nostre capacità non parliamo del piacere che ci ha procurato una cosa, ma del sudore che ci è costata. 76. Come presentare al pubblico ciò che si è costruito nelle prove? È necessario che la rappresentazione pubblica si impronti al gesto di consegnare una cosa finita. Allo spettatore si presenta ora quello che non si è respinto dopo averlo provato più volte, e le figurazioni ultimate debbono essere consegnate in piena coscienza, affinché in piena coscienza possano essere accolte. 77. Le rappresentazioni dovranno cedere il passo alla cosa rappresentata, alla convivenza degli uomini. Il teatro può conservare al pubblico la sua produttività, oltre il mero fatto dello spettacolo. Nel suo teatro lo spettatore può godere come divertimento il tremendo e infinito lavoro che gli procura da vivere, e anche la terribilità del suo incessante trasformarsi. Possa il teatro consentirgli di prodursi nel modo più lieve, poiché dei vari modi d'esistenza, il più lieve è l'arte La dialettica nel teatro Gli appunti seguenti, che ebbero per tema il capitolo 45 del Breviario di estetica teatrale, suggeriscono il dubbio se il termine di “teatro epico” non sia troppo formale per quel teatro che con tale termine s'intende e che in parte s'è messo in pratica. Il teatro epico è bensì la premessa di quegli spettacoli, ma quest'espressione da sola non basta a mettere in rilievo la produttività e la mutabilità del corpo sociale, che devono costituire la principale fonte del godimento da essi prodotto. Ne consegue che il termine deve essere considerato inadeguato, senza però che possa esserne proposto un altro in cambio. Estratto lettera a un attore interprete del giovane Hörder nella Battaglia invernale. Dai rapporti serali e dalle sue stesse dichiarazioni, appare che lei continua a trovare notevoli difficoltà nell'interpretazione della parte del giovane Hörder: si lamenta di non riuscire, in parecchie sere, a trovare il tono giusto, particolarmente in una data scena, così che tutto ciò che segue ne viene come stravolto. In più occasioni l'abbiamo messa in guardia circa l'espressione “trovare il tono giusto”, perché essa, a nostro parere, rivela un modo non giusto di recitare. Per “tono giusto” lei non intende “tono di voce naturale”. Lei non dovrebbe fissare dei toni, bensì il comportamento del suo personaggio, indipendentemente dai toni, anche se in certi casi possa esistere un nesso fra questo e quello. E più importante di tutto è il suo comportamento rispetto al personaggio: è esso che determina il comportamento del personaggio medesimo. Che cosa avviene in realtà? Le difficoltà cominciano per lei con la scena dei grandi monologhi. Nel personaggio di Nohl – l'amico e compagno d'armi di Hörder – i dubbi sulla battaglia invernale in corso giungono ormai al punto di rottura e lo spingono all'azione, cioè a disertare. Nei suoi monologhi Nohl conquista la calma della decisione. Hörder invece respinge con violenza il “dubbio” di cui scorge preda l'amico; lo assale allora un'estrema inquietudine, e qui ha inizio il difficile. L'impetuosa riaffermazione delle idee che gli sono naturali – cioè quelle naziste – mette in crisi proprio queste idee, tanto che ne risulta di anormale, i malato. Codesto Stato morboso e reso in modo eccellente dalla sua interpretazione. Si lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) del crollo dell'autorità statale – potesse esser visto con utilità. Del pari, il prologo non poteva svolgere altro ruolo che quello di puntualizzare l'attualità della vicenda e delineare il problema soggettivo; mentre tutta l'azione del dramma si svolge poi obiettivamente, sul distaccato piano dell'ordine costituito. Questa possibilità di fornire una rappresentazione obiettiva di un’importante operazione di stato era tuttavia consentita proprio dalla circostanza che l'alone di remota storicità in cui si situava l'antica tragedia, fatalmente dissuadeva gli spettatori da ogni identificazione col personaggio della protagonista. Non si trattava comunque di “evocare lo spirito degli antichi” attraverso l'Antigone, o in occasione di essa; non potevamo aver di mira alcun intento filologico. Anche se ci fossimo sentiti obbligati a fare qualcosa per un'opera come questa, l'unico modo di raggiungere lo scopo era di fare ad essa qualcosa per noi. Parte 3. Poiché si trattava di sperimentare su un testo antico non tanto una nuova drammaturgia, quanto un nuovo genere di recitazione, non era possibile consegnare come al solito il nostro rifacimento ai teatri per una libera realizzazione. Definimmo perciò un modello vincolante per la messinscena, consistente in una serie di fotografie corredate da note esplicative. Un modello non può affidarsi ad intonazioni la cui suggestione esiga voci speciali, né a gesti o a movimenti la cui perfezione dipenda da speciali doti fisiche: un modello siffatto non ha valore di modello, è per cosi dire un archetipo e non un tipo. Perché qualcosa possa essere utilmente imitato, bisogna che si faccia vedere “come si fa”: e il profitto effettivo ricavabile dall'uso di un modello sarà allora un misto di tipo e di archetipo, di imitabile e di inimitabile. La semplice proposta di attenersi a un modello contiene già una chiara sfida agli attori di un'epoca che sa applaudire solo l'“originale”, l'“incomparabile”, il “mai visto”: che non ammette altro che l'“unico”. Costoro possono benissimo riconoscere che un modello non equivale ad uno stampo, ma può anche darsi che non vedano in qual modo l'uso dei modelli possa giovare alla loro arte. Dove va a finire – chiederanno – la creatività artistica, se si usano i modelli? La risposta da dare è che l'odierna specializzazione del lavoro ha, in molti importanti campi, trasformato il concetto di creatività: l'atto creativo è diventato un processo di creazione collettiva, un continuum avente carattere dialettico, talché l'originale invenzione isolata ha perduto di valore. In realtà, non si deve attribuire eccessivo peso alla primitiva invenzione di un modello, mentre è appunto l'attore che lo utilizza a conferirgli in modo immediato il suo apporto personale. Egli ha piena facoltà di escogitare varianti al modello, purché siano tali da rendere più simile al vero, più illuminante, ovvero artisticamente più soddisfacente, l'immagine della realtà che deve trasmetterci. Anche le figure coreografiche (posizioni, movimenti, raggruppamenti ecc.) possono essere tanto trattate servilmente quanto con maestria: ma la maestria si misurerà soltanto all'afflusso di realtà che il coreografo saprà far scaturire. Le varianti, qualora siano giustamente apportate, acquistano a loro volta carattere esemplare: l'allievo si fa maestro, il modello si trasforma. Il presente modello, definito in neanche una ventina di prove allo Stadttheater di Coira, è da considerarsi pregiudizialmente incompiuto; e proprio il fatto che le sue lacune denuncino a gran voce la necessità di miglioramenti, dovrebbe invogliare i teatri a servirsene. Parte 4 a) La scena di Neher per l'“Antigone”. Davanti a un emiciclo di paraventi, sui quali sono applicati vimini tinti di rosso, sono poste delle lunghe panche, sulle quali possono sedersi gli attori in attesa della loro battuta iniziale. Al centro i paraventi lasciano uno spazio vuoto, dove si trova il giradischi azionato a vista, e di dove gli attori, terminata la loro parte, possono uscire. Lo spazio riservato alla recitazione è delimitato da quattro pali, a cui sono appesi teschi equini. Verso il boccascena, a sinistra, è posta la mensola degli arredi, con le maschere bacchiche, la corona cuprea d'alloro di Creonte, la ciotola di miglio e l'anfora per Antigone e lo sgabello per Tiresia; in seguito, vi viene appesa da un anziano anche la spada di battaglia di Creonte. A destra, un trespolo regge il disco ferreo che, durante il coro “Spirito dei piaceri della carne”, uno degli anziani percuoterà col pugno. Per il prologo, viene calata dall'alto una parete imbiancata, appesa a fili metallici, con una porta e lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) un armadio a muro. Davanti alla parete è un tavolo da cucina con due sedie, e anteriormente a destra è posto un sacco. Sopra la parete, all'inizio, viene inoltre calato un cartello con l'indicazione del luogo e dell'epoca. Non esiste sipario. Gli attori, perciò, siedono a vista sulla scena, e solo quando entrano nel campo di recitazione (che è fortemente illuminato) assumono gli atteggiamenti prescritti per i loro personaggi, così che il pubblico non possa credersi trasportato sul luogo dell'azione, ma si senta invitato ad assistere alla presentazione di un'antica tragedia, pur se in parte restaurata. Vi fu un primo disegno della scena, e successivamente un secondo. Nel primo le panche degli attori formavano, per così dire, il luogo della tragedia. Lo schermo dietro di esse era composto da teli color sangue di bue, evocanti vele o tende; in mezzo, sorgevano i pali coi teschi equini. Il campo di recitazione doveva essere semplicemente contrassegnato dalla luce violenta e da piccole bandierine poste tutt'attorno. S'intendeva così separare visibilmente la versione attualizzata dal testo antico. Dopo un certo tempo, tuttavia, tale concezione ci piacque sempre meno, finché decidemmo di eseguire anche la parte nuova in mezzo a quelle barbariche insegne guerresche. In un terzo allestimento tralasciammo il prologo e ci fu possibile sostituire i paraventi posti dietro le panche con una grande fotografia di città moderna ridotta in macerie. b) Costumi e accessori. I costumi maschili erano di tela di sacco dipinta, quelli femminili di cotone. I costumi di Creonte e di Emone recavano guarnizioni di cuoio rosso; quelli di Antigone e di Ismene erano grigi. Particolare cura venne dedicata agli accessori: la loro fabbricazione fu affidata ad esperti artigiani. Questo non allo scopo che il pubblico o gli attori li prendessero per autentici, ma semplicemente per presentare al pubblico e agli attori dei begli oggetti. Parte 5 Per ciò che riguarda lo stile dell'esecuzione, concordiamo con Aristotele nel ritenere che il cuore della tragedia sia la vicenda, anche se non concordiamo sullo scopo che si deve perseguire nel presentarla. La vicenda non deve essere un punto di partenza per vagabondaggi di vario genere nel regno della psicologia o in altri, ma deve comprendere in sé tutto, e tutto deve essere fatto per essa: così che, una volta che essa sia raccontata, tutto sia accaduto. I raggruppamenti e i movimenti dei personaggi devono servire a narrare la vicenda, che è una connessione di avvenimenti: l'attore non ha altro compito che questo. La stilizzazione, che fa della sua recitazione un'arte, non deve perciò annullare in lui la naturalezza: al contrario deve rafforzarla. Sono da considerarsi nocive tanto l'ostentazione del temperamento scenico, quanto una dizione di esagerata chiarezza. Stilizzazione significa far risaltare grandemente l'elemento naturale, ed è intesa a mostrare al pubblico, come parte della società, ciò che la vicenda ha di socialmente rilevante. Parte 6 Per disciplinare la resa della vicenda, vennero fatti recitare dagli attori, durante le prove, dei versi di collegamento, che facevano loro assumere l'atteggiamento di narratori. L'interprete di Antigone, all'atto di varcare per la prima volta il limite della zona riservata alla recitazione, diceva (e nelle prove successive udiva dire dal direttore di scena): “Ma Antigone, figlia di Edipo, con l'anfora andava a raccogliere polvere per seppellire il corpo di Polinice, dall'iracondo tiranno gettato ai cani e agli uccelli”. L'interprete di Ismene, prima di entrare, diceva: “E la sorella Ismene trovò lei che ammassava la polvere”. Prima del primo verso l'interprete di Antigone diceva: “Mesta piangeva il fato del suo fratello Antigone”. E via dicendo. Il discorso o l'azione, così introdotti, ricevono il carattere di un'affermazione immediata, e si evita la totale immedesimazione dell'attore col personaggio: l'attore, cioè, è un dimostratore. Anche le maschere dovevano narrare qualcosa: negli anziani, ad esempio, dovevano suggerire le devastazioni apportate ai volti dall'abitudine del comando, ecc. Il ritmo dell'esecuzione era assai veloce. Parte 7 lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) Lo studio del modello di cui trattasi è, inoltre, intralciato in certa misura dal fatto di contenere in sé molto di casuale e di provvisorio, che è necessario poter individuare e sceverare dal resto. Ci riferiamo i particolare a tutto il settore della mimica, nel quale gli attori (con qualche eccezione) si comportavano per così dire empiricamente. Il teatro che, per rifiuto della complessità, vuol restare semplice diventa melenso, e la danza spesso raggiunge i suoi vertici quando si balla fuori dalle regole. Non più serietà di quanta ne occorra in qualsiasi “gioco” deve ispirare chi lavora sui modelli di regia: è bene anzi che siano tranquillamente tenuti per pressappoco affini al Clavicembalo ben temperato. La musica nel teatro epico (1935) Nel teatro epico, per quanto riguarda la mia produzione, è stato fatto uso di musica per i seguenti drammi: Tamburi nella notte, Carriera dell'asociale Baal, La vita di Edoardo II d'Inghilterra, Mahagonny, L'opera da tre soldi, La Madre, Teste tonde e teste a punta. Nei primi due o tre lavori, la musica appariva in forme piuttosto consuete: si trattava di canzoni o marce, e i vari pezzi inseriti avevano pressappoco sempre una giustificazione naturalistica. Tuttavia, l'uso della musica costituì comunque una rottura con le convenzioni drammatiche dell'epoca: il dramma, per dir così, perdeva di peso, diventava più snello, le messinscene nei teatri acquistavano un carattere più spettacolare. Già per il semplice fatto di introdurre un diversivo, la musica era un elemento di reazione rispetto all'angustia, all'opacità, alla viscosità della drammaturgia impressionista, alla maniaca unilateralità di quella espressionista. Ma contemporaneamente essa rendeva nuovamente possibile qualcosa che già da parecchio tempo era tutt'altro che ovvia e naturale, e cioè un “teatro poetico”. Io stesso scrissi quelle musiche. La messinscena dell'Opera da tre soldi (1928) fu il più fortunato esempio del teatro epico. In essa le musiche di scena vennero per la prima volta usate secondo una prospettiva moderna. L'innovazione più vistosa consisté nel fatto che le parti musicali erano nettamente distinte dalle altre; ciò veniva anche sottolineato dalla collocazione dell'orchestrina, piazzata visibilmente sul palcoscenico. Per le parti cantate (songs) era previsto un cambiamento di luci, l'orchestra veniva illuminata, e sullo schermo disposto contro la parete di fondo apparivano i titoli dei singoli numeri, per esempio: Canzone dell'insufficienza degli umani sforzi; inoltre, gli attori compivano un cambiamento di disposizione. Vi erano duetti, terzetti, assoli e finali a coro. I pezzi musicali, nei quali prevaleva il carattere di ballata, erano d'indole speculativa e moralistica. Il lavoro mostrava la stretta affinità esistente fra la vita sentimentale dei borghesi e quella dei banditi da strada. I banditi da strada mostravano, talvolta anche in musica, come le loro sensazioni, sentimenti e pregiudizi fossero identici a quelli del borghese e dello spettatore medio. Uno dei temi era, per esempio, la dimostrazione che solo chi vive nel benessere vive in modo piacevole, anche se per questo sia necessario rinunciare a molte “cose elevate”. In un duetto d'amore era messo in rilievo come certe circostanze esteriori, quali l'estrazione sociale della partner, o la sua situazione economica, non dovessero minimamente influire sulla scelta fatta dallo sposo. In tal modo la musica aiutava a svelare le ideologie borghesi; adempiva, diciamo, un compito di sollevatrice di sudiciume, di provocatrice, di denunziante. Quei songs conobbero larga diffusione, gli incassi da loro realizzati vennero commentati in articoli di fondo, in discorsi. Molti li cantarono accompagnandosi col pianoforte o coi dischi suonati dall'orchestra, così come solevano cantare i pezzi di successo delle operette. Il teatro epico s'interessa principalmente al comportamento reciproco degli uomini, in ciò che esso ha di socialmente e storicamente significativo, ossia tipico. Nelle scene che presenta, gli uomini si comportano in guisa che le leggi sociali, cui essi sottostanno, divengono visibili. In altri termini, i processi presi in esame debbono ricevere definizioni tali che, utilizzandole, si possa agire sui processi medesimi. L'interesse del teatro epico è perciò di natura eminentemente pratica. Il contegno umano è presentato come passabile di mutamenti, l'uomo come un'entità soggetta a determinati rapporti economico-politici, ma capace, al tempo stesso, di cambiarli. Insomma, allo spettatore vien dato lo spunto per una critica d'impostazione sociale nei confronti del comportamento umano, e la scena viene recitata come se fosse storicamente vera. Lo spettatore deve dunque essere in condizione di stabilire dei confronti in materia di vari possibili comportamenti umani. lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) Per il musicista si tratta anzitutto di una regola artistica, e come tale di non grande interesse: regola che può tuttavia aiutarlo a conferire ai suoi testi maggiore vivacità e comprensibilità. Importante è invece il fatto che la regola di porre attenzione al gesto possa consentirgli di assumere, nell'atto di scrivere la musica, un atteggiamento politico. A tale scopo è necessario che egli configuri un gesto di carattere sociale. Che cos'è un gesto sociale? Non ogni gesto può dirsi sociale. Certamente non è un gesto sociale quello di difendersi da una mosca: può invece esserlo quello di difendersi da un cane, se per esempio in esso si esprime la lotta che un uomo miseramente vestito deve condurre contro dei cani da guardia. Il gesto del lavoro è senz'altro un gesto sociale, inquantoché l'attività umana diretta al dominio della natura è qualcosa che interessa la società, i rapporti tra gli uomini. Ma a “dissocializzare” il gesto tende sovente l'arte. L'attore non si dà pace finché non è giunto ad avere “lo sguardo del cane bastonato”: perché quell'uomo è allora semplicemente “l'uomo”; il suo gesto è spogliato da ogni qualificazione di carattere sociale, è svuotato di ogni riferimento o misura concernente quell'uomo particolare in mezzo agli uomini. Lo “sguardo di cane bastonato” può diventare un gesto sociale solo se si intenda dimostrare come un singolo uomo possa, per determinate macchinazioni dei suoi simili, essere ridotto al rango della bestia. Il gesto sociale è il gesto rilevante per la società, il gesto che permette di trarre illazioni circa le condizioni sociali. Come può il compositore esprimere, nel suo atteggiamento verso il testo, il suo atteggiamento verso la lotta di classe? Supponiamo che, in una cantata sulla morte di Lenin, il musicista debba esprimere il suo atteggiamento nella lotta di classe. La narrazione della morte di Lenin può naturalmente essere presentata in modi assai diversi, per quanto attiene al “gesto”. Un certo atteggiarsi a solennità non ha grande significato, dato che può essere ritenuto opportuno anche di fronte a un nemico in caso di morte. Lo sdegno verso “la cieca furia della natura”, che immaturamente ha stroncato il miglior uomo del gruppo, non sarebbe un “gesto comunista”; così come non lo sarebbe il saggio rassegnarsi a un cotal “volere del fato”: il gesto del cordoglio comunista per la morte di un comunista è, infatti, un gesto tutto particolare. Il comportamento del musicista di fronte al suo testo, dello storico di fronte alla sua narrazione, indica il grado della rispettiva maturità politica e quindi umana. A proposito di che un uomo provi cordoglio, e quale specie di cordoglio, ciò dimostra la sua statura. L'elevare, ad esempio, il cordoglio in una sfera elevata, il farne qualcosa che contribuisca al progresso della società, è un compito artistico. La materia in sé è priva di carattere umano In certo senso, come è noto a tutti gli artisti, ogni materia in sé e per sé ha qualcosa di semplice, in qualificato, di vuoto e di autosufficiente. Solo il gesto sociale – critica, astuzia, ironia, propaganda ecc. – vi inserisce l'elemento umano. La pomposità fascista, se considerata unicamente come pomposità, mostra un gesto vuoto di contenuto: il gesto, appunto, semplicemente pomposo, un'esteriorità indifferenziata. Gente che cammina al passo, una certa rigidezza di movimenti, petto ostinatamente in fuori, ecc. Tutto ciò potrebbe benissimo costituire il “gesto” di uno svago popolare, essere cioè qualcosa d'innocente, d'immediato, un puro dato di fatto. Solo quando il passo di marcia avviene sopra i cadaveri, il gesto sociale è quello del fascismo. In altre parole, di fronte al fatto “pomposità”, l'artista deve assumere un atteggiamento: non può limitarsi a lasciarlo parlare da sé. Un consiglio lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) È un ottimo criterio, di fronte a una composizione musicale con testo, di far vedere all'artista l'atteggiamento, “il gesto” che egli dovrà osservare nell'eseguire le varie parti: cortesia o ira, umiltà o disprezzo, assenso o rifiuto, astuzia o candore; dando la preferenza ai gesti più corretti, più volgari e più banali. Così sarà possibile giudicare esattamente del valore politico di quella musica. La scenografia del teatro epico Talvolta cominciamo a provare senza avere nessuna nozione della scena, e il nostro amico ci prepara solo dei piccoli schizzi delle situazioni che dobbiamo rappresentare: mettiamo che si tratti di sei persone, sedute introno ad un'operaia che muove loro dei rimproveri. Può darsi che poi, nel testo, troviamo che erano in tutto solo cinque, giacché il nostro amico non è un pedante, ma sa farci vedere quello che conta; e ciascuno di questi suoi schizzi è una piccola, delicata opera d'arte. In quali punti della scena debbano trovarsi i sedili per la donna, per suo figlio e per i suoi ospiti, è cosa che starà a noi stabilire, e il nostro amico, costruendo le scene, li collocherà nei luoghi prescelti. A volte, invece, egli comunica in anticipo i suoi bozzetti, e in tal caso ci aiuta a decidere i raggruppamenti e i gesti e, non di rado, a definire la caratterizzazione dei personaggi e la loro maniera di esprimersi. Ogni sua scenografia è impregnata dello spirito dell'opera trattata e fa sì che gli attori siano orgogliosi di agire in essa. Nel leggere i testi è tutto fuorché un pedante. Basti un esempio: nella sesta scena del primo atto nel Macbeth di Shakespeare, il re Duncano e il suo generale Banco, invitati da Macbeth al suo castello, lodano questo castello in celebri versi: “Qui la rondine, ospite dell'estate, che nei templi fa il nido, testimonia col porvi sua dimora, che la brezza del cielo alita amore…” Neher insisté nel volere un grigio castello mezzo diruto, dall'aspetto decisamente malandato. Gli elogi degli ospiti, secondo lui, erano pure manifestazioni di cortesia, e i Macbeth non erano che dei nobilucci scozzesi rosi dall'ambizione! Le sue scenografie sono altrettanto prese di posizione verso la realtà. Il suo lavoro procede per linee maestre, alieno da minuzie o fronzoli che distraggano dalla prospettiva scelta, prospettiva che è artistica e ideologica insieme. Ma ogni cosa vi è bella, ogni particolare realizzato con amore. Quanto accuratamente sceglie una sedia, quanto accortamente la colloca! E tutto è di aiuto alla recitazione. Questo maestro, che conosce tutti i mestieri manuali, veglia a che i mobili siano fabbricati a regola d'arte: anche i più modesti, giacché i segni che contraddistinguono la modestia e la povertà hanno da essere apportati con arte. Questi piccoli oggetti, che egli pone fra le mani degli attori – armi, strumenti, borse, borsellini ecc. – sono sempre autentici e reggono al più minuzioso esame tecnico; ma per ciò che riguarda le architetture, quando cioè questo maestro costruisce interni ed esterni, egli si limita a cenni essenziali, a raffigurazioni artistiche e poetiche di una località o di una capanna. Egli non fa uno “scenario”, non si limita a sfondi e a cornici, bensì costruisce il paesaggio nel quale certe “persone” vivono una certa storia (prende le mosse dalle “persone”). In linea generale, se ne ricava l'impressione di strutture assai leggere, facilmente trasformabili, belle e giovevoli alla recita, che agevolano e rendono più eloquente la narrazione della storia cui la serata è dedicata. Se infine si accenna allo slancio con cui lavora, al disprezzo che nutre per tutto ciò che sa di dozzina e di ripiego, all'impressione di serenità che emana dalle sue costruzioni, si sarà data un'idea del modo di lavorare del massimo scenografo del nostro tempo. I sipari Sul grande sipario dipingete la combattiva colomba della pace di mio fratello Picasso. Dietro stendete il filo metallico ed appendete il siparietto lievemente ondeggiante che, ricadendo in due onde di schiuma sormontatisi, nasconde l'operaia che distribuisce volantini e Galilei che abiura. A seconda dei drammi può essere di lino grezzo o di seta, di pelle bianca o rossa o altro. Solo non fatemelo troppo scuro, poiché su di esso dovrete proiettare i titoli degli avvenimenti successivi in modo da ottenere la tensione voluta e che si attenda il compimento del gesto. E fatemi il siparietto a lOMoAR cPSD|5254427 Scaricato da Roberta Padula (robertapadula24@gmail.com) mezz'altezza, non bloccatemi il palcoscenico! Appoggiato alla spalliera lo spettatore noterà i laboriosi accorgimenti che scaltramente vengono presi per lui, una luna di stagno vede scendere ondeggiando, un tetto di assicelle che vien portato dentro; non mostrategli troppo ma qualcosa sì. E fategli notare che voi non fate degli incantamenti ma che lavorate, amici. L'illuminazione Dacci la luce sul palcoscenico, datore di luci! Come possiamo noi drammaturghi e attori, rappresentare le nostre immagini del mondo nella semioscurità? La penombra crepuscolare invita al sonno. Ma noi abbiamo bisogno di spettatori svegli, anzi vigili. Falli pure sognare nella luce chiara! Quel po' di notte che talora si richiede, può essermi accennata con lune e lampade; anche la nostra recitazione può distinguere le ore del giorno quando necessario. Sulla landa di sera, l'Elisabettiano ha scritto dei versi che nessun datore di luci eguaglia, neppure la landa stessa. Illumina quindi quello che noi abbiamo fatto sorgere, così che gli spettatori possano vedere sul suolo del paese di Tavasto, come se fosse il suo! Visibilità delle sorgenti luminose Esempi di mezzi meccanici atti a neutralizzare la tendenza del pubblico ad abbandonarsi all'illusione: scena molto vivamente illuminata (mentre le mezze luci, sommate alla totale oscurità della sala, che impedisce allo spettatore di scorgere il suo vicino e lo nasconde a questo, tolgono allo spettatore gran parte della sua lucidità mentale) e visibilità delle sorgenti luminose. Il mettere in mostra l'apparecchiatura delle luci riveste un suo significato, poiché può essere un mezzo per impedire un'indesiderabile illusione. Non impedisce punto, invece, la desiderabile concentrazione. Le canzoni Staccate le canzoni dal resto! Con un simbolo musicale, l'alterna illuminazione, i titoli, le immagini, indicate che l'arte sorella ora entra in scena. Gli attori si trasformano in cantanti. In posa diversa si volgono al pubblico, sempre figure del dramma, ma ora anche in modo palese complici del drammaturgo. La distribuzione Molte distribuzioni sono errate e fatte con avventatezza: come se tutti i cuochi dovessero essere grassi. Non c'è dubbio che ad ogni attore certe parti si addicano meglio di altre. Eppure, niente di più pericoloso per lui che costringerlo ad una specializzazione. Solo i più dotati sono in grado di interpretare personaggi simili l'uno all'altro – personaggi gemelli, per così dire – riconoscibili come tali, e tuttavia distinguibili. Del tutto insensato è il criterio di distribuire le parti a seconda delle caratteristiche somatiche. “Questo ha una figura regale!” Cosa significa? Tutti i re debbono assomigliare a Edoardo VII? Si può allora basarsi sul carattere? Non si può. Anche questa è una maniera di cercare la via più facile. Esistono uomini miti e uomini irascibili, violenti. Ma è pur vero che ogni uomo ha in sé tutti i caratteri possibili, e quanto più è capace come attore, tanto più quest'asserzione si dimostra vera. L'attore deve coltivare in sé ogni genere di caratteri: giacché i suoi personaggi non vivono se non sono le loro contraddizioni a farli vivere. È dunque molto rischioso basarsi su una caratteristica nello scegliere l'attore che interpreterà un grande personaggio. Infine, la prima cosa da imparare è l'arte dell'osservazione. Tu, attore, prima di ogni altra arte devi possedere l'arte dell'osservazione. Poiché non è importante come tu appari, ma quello che hai visto e che mostri. Merita di essere conosciuto quello che sai. Ti osservano per vedere il grado di perfezione con cui tu hai osservato. Per osservare si deve imparare a confrontare. Per confrontare si deve aver già osservato. Ricerca del nuovo e del vecchio
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