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SCUOLA POETICA SICILIANA, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti sulla scuola poetica siciliana

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 16/07/2023

GiuliaDelPrete
GiuliaDelPrete 🇮🇹

39 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica SCUOLA POETICA SICILIANA e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 La Scuola poetica siciliana Da dove inizia la storia della letteratura italiana? Non è facile definirlo. La letteratura italiana, a differenza di quelle europee, nasce in ritardo (dal 1200 più o meno, anche se in realtà dobbiamo considerare una produzione che probabilmente non ci è giunta, o ci è giunta per tracce, non di alta fattura letteraria, in testi anonimi*). Questo ritardo della letteratura viene però ricompensato da una fioritura di caratteri autonomi e originali, che la portano tra la fine del Duecento e la metà del Trecento a esibire personalità del calibro di Dante (1265), Petrarca (1304), e Boccaccio (1313), le “tre corone” (come vengono nominati nel 500). Nell’arco di un cinquantennio nascono queste tre personalità che ci danno rispettivamente la Commedia, il Canzoniere e il Decamerone, tre capolavori assoluti in tre generi diversi, in volgare. *Molto recentemente, infatti, Vittorio Formentin ha annunciato di aver fatto una scoperta: a margine di un antico documento del IX-X secolo circa, ritrova un verso in volgare italiano; si tratta di un testo poetico in cui la voce parlante è femminile (dunque il poeta ha assunto il punto di vista di una donna) e potrebbe essere una prima poesia popolare italiana molto precedente al periodo in cui si è riconosciuta la nascita della letteratura italiana. La poesia lirica nasce in Sicilia, con la Scuola poetica siciliana, nonostante le sue vere origini ci portino in Francia, dove si concentravano due tipi di letteratura: quella epico narrativa, nel nord della Francia, scritta in lingua d’oil, e lo stile lirico delle poesie d’amore legate all’ambiente cortese nel sud, in particolare in Provenza, dove si scriveva in lingua d’oc. La poesia lirica, che i trovatori provenzali avevano legato strettamente alla vita e ai valori cortesi, poteva nascere solo dall’esperienza dei rapporti sociali della corte feudale. È naturale, dunque, che si affermi in Italia alla corte di Federico II di Svevia, che era perlopiù stabilita in Sicilia. Il termine lirica deriva da lira, con cui si accompagnava il canto poetico in origine. È un genere letterario nel quale il componimento poetico esprime in modo soggettivo il sentimento dell’autore, che ci parla attraverso il testo. Ma accanto a questa definizione di lirica, come espressione della soggettività, c’è una lirica utilizzata per argomenti di natura diversa, non solo sfogo dei sentimenti del singolo, ma anche politici (es. Guittone d’Arezzo). Nei poeti medievali è infatti molto forte la presenza di una poesia oggettiva, che mira a oggettivare gli argomenti di cui si parla, diversa anche per quanto riguarda l’originalità; siamo abituati a pensare il poeta come artista che afferma sè stesso grazie alla sua capacità di essere originale, invece il poeta medievale si muove in una letteratura codificata, su contenuti molto stabili e consolidati, e di solito mostra la sua originalità nel sapersi adeguare a quel codice. Un cardine della letteratura nei secoli è per esempio il principio di imitazione: è normale che la poesia si produca per imitazione di modelli, nonostante a lungo si è guardato all’imitazione come a qualcosa che pregiudica l’originalità del testo. L’origine della nostra tradizione è identificata comunemente nella Scuola poetica siciliana, formatasi negli anni Venti del Duecento. La scuola poetica siciliana è il primo movimento organico di produzione letteraria consapevole, in volgare italiano, che coinvolge un gruppo coeso di poeti (25 circa) che hanno un centro e un’appartenenza sociale comune, l’Italia meridionale. Il termine “scuola” indica un movimento coeso, fatto da autori che condividono uno spazio e un’idea del modo di fare poesia (definizione che non può essere utilizzata invece per il Dolce Stil Novo), mentre il termine “siciliana” è in riferimento alla lingua utilizzata, nonostante gli autori fossero provenienti da diverse aree del mezzogiorno. Fanno parte della scuola poeti di varia provenienza, in gran parte funzionari della corte itinerante di Federico II di Svevia, che, secondo una parte degli studiosi, è stato proprio l’iniziatore o il promotore della scuola, che si sarebbe sviluppata negli anni della sua permanenza nel Sud Italia (1223-1232). Al 1228 circa risalirebbe Giamai non mi conforto di Rinaldo d’Aquino. Re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1220, Federico assume in sé un territorio molto vasto di domini: Europa centro occidentale fino al nord dell’attuale Germania, quindi tutto l’impero germanico, che riceve da parte di padre; centro-Sud Italia, parte del regno di Sicilia, che eredita dalla madre, normanna; lo Stato della Chiesa, con cui ingaggia una dura lotta (il papa Innocenzo IV bandì una vera e propria crociata contro di lui, indicandolo addirittura come l’Anticristo). Egli dà vita ad una corte itinerante, con l’obbiettivo di affermare la sovranità dell’imperatore e perseguire anche una politica dal punto di vista culturale, tanto che molti poeti sono suoi funzionari, su vari livelli (c’era quindi un forte legame tra la figura del poeta e quella del sovrano, che ricopre il discorso letterario in un contesto del genere; cinque testi inoltre vanno sotto il nome dell’imperatore stesso). Cercando di realizzare una supremazia ghibellina in Italia, Federico si contrapponeva alla Chiesa non solo sul terreno della politica ma anche su quello della cultura, incoraggiandone la laicità e le tendenze scientifiche. Favori la ripresa dello studio del latino, lingua della cancelleria e degli affari internazionali, e dette impulso a una serie di istituzioni culturali, come la scuola di Capua, l'università di Napoli e la scuola di medicina di Salerno. In Sicilia, Palermo e Messina divennero notevoli centri di cultura. Sul ruolo di Federico però si discute: è proprio lui il promotore di questa produzione poetica? Roberto Antonelli sostiene questa opzione, ovvero che la Scuola sia nata da un progetto culturale del sovrano, volta ad affermare una poesia italiana in alternativa alla cultura ecclesiastica tipica della chiesa, in latino, che si occupa di un argomento non religioso: l’amore sublimato. Quindi egli crea una produzione poetica: in lingua volgare e incentrata sul tema laico dell’amore → I poeti della Scuola siciliana non sono i primi a scrivere in un volgare italiano, ma sono i primi a costruire un movimento ampio e consapevole. Essi inoltre si distaccano in maniera significativa dalla produzione precedente dell’Italia settentrionale e mediana, che aveva finalità prevalentemente didattiche e edificanti, e che ci è giunta quasi sempre anonima: la letteratura siciliana non ha carattere didattico, ma sgancia la poesia dalla funzione di insegnamento: i testi valgono per il loro valore squisitamente letterario. • dalla metà del XII secolo: poesia didattica nell’Italia settentrionale, che ha l’intenzione di trasmettere insegnamenti morali • fine XII-inizio XIII secolo: ritmi, testi di argomento religioso con finalità principalmente didattiche, soprattutto dell’Italia mediana. Nello stesso periodo: prime testimonianze di una poesia amorosa (es. «carta ravennate»: contiene testo di 50 vv. probabilmente composto in area padana accompagnato da notazione musicale) • XIII secolo: poesia religiosa nell’Italia centrale → A lungo si è pensato che l’impulso principale alla nascita della poesia siciliana sia stato un dono fatto da Ezzelino e Alberico da Romano, signori della Marca trevigiana, che avrebbero dato a Federico II, durante un suo soggiorno in Veneto, un codice, un libro manoscritto che conteneva un testo di trovatori, poeti che utilizzavano la lingua d’oc (o provenzale), utilizzata nell’Italia settentrionale. Modello fondamentale per i Siciliani è la poesia dei trovatori, e ne dà un’immediata dimostrazione la più grande apologia poetica delle Origini, il manoscritto Vaticano latino 3793 della Biblioteca Apostolica Vaticana, che si apre con la canzone di Giacomo da Lentini Madonna, dir vo voglio, libera traduzione di una canzone del trovatore Folchetto di Marsiglia. I poeti della scuola siciliana quindi producono poesia a partire dall’esempio dei trovatori, con delle analogie e delle differenze. L’analogia più importante consiste nel fatto che entrambi condividono l’ideologia del cosiddetto “amor cortese”, una serie di motivi, di riti e sistemi di valori che si propagano in tutto il medioevo (espressione coniata da Gaston Paris). Bisogna specificare che il termine cortese è in riferimento alla corte feudale del medioevo (siamo abituati a considerarlo come riferimento a un insieme di comportamenti, un codice di buona educazione; in realtà le due cose, ovvero corte e cortesia sono collegate, i rapporti umani in una corte sono collegati da regole ben precise, e l’amore è considerato un perfezionamento dell’anima). L’amor cortese, quindi, proietta l’esperienza individuale dell’amore, visto come mezzo di raffinamento, sullo sfondo sociale delle corti feudali. • ha luogo al di fuori del matrimonio • rapporto di sudditanza (in termini feudali) dell’amante all’amata, di rango sociale superiore e fatta oggetto di lode per la sua bellezza e le sue qualità: l’amor cortese è proprio la tensione dell’amante verso un essere di rango superiore • processo di raffinamento del proprio animo (fin’amor) attraverso la sofferenza: desiderio che non può essere soddisfatto, non può trovare un appagamento; la ricompensa consiste eventualmente nell’accettazione del servizio da parte della donna e si esprime in uno sguardo gentile, un regalo o un bacio • necessità del celar, dovuta ai maldicenti (o malparlieri) avversari dell’amante; è quindi un sentimento sublimato, che non può trovare un’espressione concreta al di là di quella letteraria (si cela l’identità della donna amata attraverso dei senhal) Pier della Vigna, Però ch’Amore no si pò vedere Il sonetto è a schema ABABABAB CDBCDB. Da notare la rima siciliana, per cui sentire è in serie con parole in -ere; la rima - ere/-ire compariva anche nel sonetto precedente. Però ch’Amore no si pò vedere e no si tratta corporalemente, manti ne son di sì folle sapere che credeno ch’Amore sia nïente; 4 ma po’ ch’Amore si face sentire dentro dal cor signoreggiar la gente, molto maggiore pregio deve avere che se ’l vedessen visibilemente. 8 Per la vertute de la calamita como lo ferro atra’ no si vede, ma sì lo tira signorevolmente; 11 e questa cosa a credere mi ’nvita ch’Amore sia, e dàmi grande fede che tutor sia creduto fra la gente. 14 Molti sono così folli che credono che Amore non sia nulla semplicemente perché è invisibile e non si può toccare, ma in realtà dato il potere che esercita dentro i cuori degli esseri umani, merita considerazione molto superiore a quella di cui gode un essere visibile (l’amore ha un potere ancora superiore se agisce sull’uomo senza che lo possa vedere). La forza di Amore è simile alla virtù della calamita: noi non vediamo come attiri il ferro, però lo fa; il potere che Amore esercita induce a credere alla sua esistenza e rende ragione del fatto che riceva lo stesso credito dagli esseri umani. Giacomo da Lentini, Amor è uno disio che ven da core Il sonetto è a schema ABABABAB ACDACD. Condivide la rima -ore (che compare sia nelle quartine sia nelle terzine) con il primo sonetto della tenzone e la rima -ente con il secondo. Amor è uno disio che ven da core per abondanza di gran piacimento; e li occhi imprima generan l'amore e lo core li dà nutricamento. 4 Ben è alcuna fiata om amatore senza vedere so ’namoramento, ma quell'amor che stringe con furore da la vista de li occhi à nascimento, 8 che li occhi rapresentan a lo core d'onni cosa che veden bono e rio, com’è formata naturalemente; 11 e lo cor, che di zo è concepitore, imagina, e piace quel desio: e questo amore regna fra la gente 14 Amore è un desiderio che nasce dal cuore per sovrabbondanza del piacere (generato dalla bellezza), e gli occhi prima di tutto generano l’amore e il cuore poi lo alimenta. È ben vero che talvolta si ama senza vedere l’oggetto del proprio amore, ma quell’amore che avvince con furore (con intensità sconvolgente, con una violenta passione) nasce dalla visione da parte degli occhi, poiché gli occhi trasmettono al cuore la rappresentazione delle qualità positive e delle qualità negative di ogni cosa che vedono, secondo la sua conformazione naturale, e il cuore, che accoglie questa rappresentazione, immagina (nel senso che fissa, contempla con il pensiero quelle immagini, fantastica intorno a esse) e quel desiderio piace [o ‘e si compiace di quel desiderio’?], e questo è quell’amore che vive nel mondo, che regna tra la gente Giacomo risponde con la volontà di dare la propria definizione di amore, più che di rispondere esplicitamente agli altri testi. La sua volontà è quella di definire l’amore da come si verifica, da come ha luogo, dalla sua fenomenologia, quindi dagli elementi che sono coinvolti nell’amore: cuore e occhi. È importante questo nominare parti del corpo dell’essere umano, perché l’amore ha a che fare anche con la fisiologia umana, con la natura fisica dell’uomo. Pier delle Vigne asserisce che la forza dell’amore si esercita anche se non è visibile. Giacomo da Lentini invece introduce l’organo della visione, dicendo che sono gli occhi a provocare l’amore, devono trasmettere al cuore la rappresentazione della realtà esterna, in modo conferme alla sua natura. L’amore non è qualcosa che avviene per un’azione esterna all’uomo, da parte dell’amore come ente separato, ma perché provocato concretamente da qualcosa di fisico. La poetica di Jaufré Rudel passò alla storia come amore de lonh, che letteralmente significa “amore da lontano”, amore che sarebbe nato in lui per aver sentito parlare da dei pellegrini di una donna lontana, perciò le poesie di questo tipo sono ispirate all’amore per qualcuno che non si conosce fisicamente, un amore impossibile, che non si nutriva di piacere corporeo ma solo di sentimento. A questo Giacomo da Lentini esprime un’obiezione: quell’amore che avvince l’anima può nascere solo con una visione fisica dell’oggetto dell’amore. Giacomo da Lentini propone una definizione del fenomeno amoroso che ricalca quella che si legge in apertura del celebre De amore di Andrea Cappellano: «Amor est passio quedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione forme alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris precepta compleri» (L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere l’amplesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti d’amore) C’è una componete di sessualità anche erotica. L’amore è un desiderio destinato a restare inappagato, ma questa tensione è fondamenta, produce un’immoderata cogitatio (Giacomo da Lentini parla di furore, un pensiero incessante che non ha limite, è smodato). Da un lato si trova un rapporto fisico, dall’altro c’è la componente immaginativa, l’azione che fa la figura più che la persona fisica. C’è l’idea di una separazione tra la persona-oggetto e la figura, l’immagine interiore prodotta attraverso l’azione del cuore. Questo tema lo tratterà anche Dante nella Vita nova: «Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle ogne dubitatione, e dubitare potrebbe di ciò che io dico d'Amore come se fosse una cosa per sé, e non solamente sustantia [separata da materia, cioè] intelligentia, ma sì come fosse sustantia corporale: la quale cosa, secondo la verità, è falsa, ché Amore non è per sé sì come sustantia, ma è uno accidente in sustantia»→ un accidente, un fenomeno che si manifesta in una sostanza E anche Charles Singleton (studioso di Dante e non solo) afferma: «Questa definizione significa […] semplicemente che l’amore è una passione che si manifesta negli individui» Quindi, Giacomo da Lentini ritiene che l'amore sia un sentimento che nasce dalla visione dell'oggetto amato e che si nutre dell'immaginazione di chi ama. Secondo il poeta siciliano, è generato dagli occhi «quell' amor che stringe con furore» cui segue un secondo momento che per Lentini assume altrettanta importanza: il centro dell'attenzione si sposta dalla vista al cuore dell'amante e ai suoi processi psicologici interiori. L'amore è strettamente collegato al piacere generato dall'immaginazione nell'animo di chi ama. La risposta di Giacomo da Lentini è quindi che l’amore qualcosa che avviene interiormente, nell’interiorità dell’individuo. Questo tema è importante nella letteratura, perché ci mostra come l’amore è qualcosa che è conforme alla natura di tutti gli uomini, ed esplorare l’amore significa esplorare la sua interiorità nella sua dimensione primaria. Iacopo Mostacci in maniera più dubitativa intende dire che l’amore è un’amorositate e Giacomo da Lentini, più convinto, esprime lo stesso concetto: l’amore non esiste all’infuori dell’individuo che lo prova. Pier delle Vigne dice che amore esercita il suo potere con forza irresistibile, e apre il tema dell’impossibilità dell’individuo di opporsi, di dominare questa passione, come a trovare una giustificazione del proprio comportamento: Amore con la lettera maiuscola in Pier delle vigne indica la personificazione di amore come individuo che sta all’esterno e agisce sull’uomo. In realtà ci sono delle considerazioni da fare: non abbiamo nessun testo che risponde alla volontà di Pier delle Vigne dal punto di vista della scrittura: non possediamo un manoscritto autografo di questo testo, ovvero opera dell’autore stesso (il primo autore di cui possediamo un manoscritto autografo è Petrarca)
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