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Se Questo è un Uomo (Primo Levi), Dispense di Letteratura Italiana

Analisi approfondita dell'opera

Tipologia: Dispense

2020/2021
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Caricato il 19/02/2021

silviguaddi
silviguaddi 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Se Questo è un Uomo (Primo Levi) e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! “SE QUESTO È UN UOMO” (PRIMO LEVI) Storia editoriale L’opera è stata scritta da Primo Levi dopo il suo ritorno dal lager (1945-1947). La prima pubblicazione avviene nel 1947 (casa editrice De Silva) → Il romanzo inizialmente venne rifiutato da Einaudi poiché lo ritennero non adatto alla pubblicazione. Trama L’opera narra la drammatica esperienza dell’autore all’interno del campo di concentramento nazista Monowitz che faceva parte del complesso più ampio di Aushwitz. Nell’opera viene descritta la sua permanenza all’interno del campo per circa un anno (febbraio 1944/gennaio 1945). Viene offerta una testimonianza della tragedia dei campi di sterminio nazisti, ma anche dell’inumana vita nei lager. Primo Levi riuscì a sopravvivere solo grazie alle sue capacità di chimico, che era il suo mestiere, infatti riuscì a risparmiarsi i lavori più duri all’interno del campo. Struttura L’opera è composta da: ✓ Una poesia (chiamata “Shemà”); ✓ Una prefazione; ✓ 17 brevi capitoli. La narrazione non avviene in modo cronologico → Ogni capitolo è dedicato ad un argomento e ad un tema specifico. La struttura narrativa si svolge come una sequenza di vicende suddivisi per argomenti (esempio: l’ambulatorio del campo, le selezioni, i vari momenti della giornata, …). L’opera si apre con la poesia in versi → Porta la data del 10/1/1946 → Circa un anno dopo la liberazione di Aushwitz. La parola Shemà significa “ascolta” → In una preghiera della liturgia ebraica troviamo l’espressione “Shemà Israele” → La parola compare anche in 3 passi biblici. Si intuisce che la poesia rivolge un forte appello al lettore affinché presti attenzione e ricordi la sua testimonianza. Il riferimento al lettore parte già dal pronome “voi” con cui si apre la poesia, ma anche dalla serie di imperativi che sottolineano la volontà del poeta di far ricordare i fatti (esempio: meditate, riflettete, ricordate, …). La poesia è divisibile in tre parti: Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Prima parte → Volta a sottolineare il contrasto tra la vita normale (sicurezza di chi non ha conosciuto la Shoah) e la follia disumana dei campi di concentramento (e di chi l’ha vissuto sulla propria pelle). Da questi versi si possono anche intravedere due temi che sono presenti in ogni capitolo: 1. Tema della fame/necessità di procurarsi cibo per sopravvivere; 2. Tema della sopravvivenza. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. Seconda parte → Il poeta chiama in causa direttamente il lettore e lo costringe a fissare nella propria mente quanto ci accinge a raccontare. Lo costringe a non disconoscere la follia dei campi di concentramento. Il poeta assegna una funzione fondamentale al ricordo e sottolinea l’impossibilità di negare tutto ciò che è accaduto (la memoria serve a non dimenticare e a non far ripetere). O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi. Terza parte → Si conclude con una minaccia profetica → Chi non vorrà ricordare la tragedia è destinato a subire il castigo divino (e un dolore contrappasso). Questa poesia, quindi costituisce un appello morale al lettore ed un invito perentorio a non dimenticare l’orrore della Shoah. Prefazione Troviamo qui spiegate le profonde motivazioni alla base del libro e gli obiettivi/finalità che esso si pone. Il libro nasce dal bisogno e dalla necessità di raccontare e rendere gli altri partecipi dell’esperienza tragica vissuta nel lager. Il libro corrisponde ad una sorta di liberazione interiore → Primo Levi in prima persona in un’intervista dice di aver scritto questo libro di getto. La prefazione si apre con la parola fortuna → L’autore si ritiene fortunato ad essere giunto al lager quando il governo tedesco (a causa della scarsità di manodopera) aveva deciso di aumentare la vita media dei prigionieri e per questo motivo è riuscito a sopravvivere. Questo sottolinea come la sopravvivenza dipenda da una mera casualità. campo), viene scritto di getto da Levi e, dopo essere stato rifiutato dall’editore Einaudi, viene pubblicato da De Silva nel 1947. Il successo arriverà nel 1958, quando “Se questo è un uomo”, con l’aggiunta di alcune pagine, verrà ripubblicato da Einaudi. Il testo è suddiviso in diciassette capitoli. CAPITOLO I – IL VIAGGIO → L’autore introduce la sua cattura per mano della milizia fascista il 13 dicembre 1943, dopo esser stato trovato su di un colle con altri “partigiani” ed esser stato scambiato per un’altra persona. Il primo campo di concentramento è quello di Fossoli, presso Modena, dove inizialmente gli ebrei erano circa 150 ma in poco tempo giunsero oltre i 600. Un giorno un drappello di SS annunciò la deportazione verso un altro luogo, era il 20 febbraio quando i tedeschi ispezionarono il campo con cura trovandoci molti difetti. La notizia che il giorno seguente sarebbe iniziato il viaggio sconvolse tutti e ognuno viveva il proprio shock a suo modo, presentazione della famiglia di Gattegno, molto numerosa, di falegnami, gente pia e lieta. Il viaggio iniziò dalla stazione di Carpi, dove gli ebrei furono messi dentro a vagoni senza finestre (tradotte) la mattina e soltanto la sera il treno partì con destinazione Auschwitz, il viaggio fu molto lungo e i “passeggeri” ad ogni fermata inizialmente chiedevano da bere, da mangiare, o almeno un po’ di neve, ma niente! Al momento dell’arrivo furono divisi in due gruppi in base ad alcune brevi domande: età e salute. Quella fu l’ultima volta che il gruppo dell’autore vide le altre persone. I tedeschi durante l’appello chiamavano “pezzi” gli ebrei. Il gruppo dell’autore fu trasportato fino al campo di concentramento da un furgone. Solo 4 persone che erano sul vagone con l’autore riusciranno a tornare a casa, e quelle furono senza dubbio le più fortunate. CAPITOLO II - SUL FONDO → L’autore presenta l’arrivo al campo di concentramento e le incomprensibili azioni da compiere per lavarsi e vestirsi. Ore immobili e nudi, aspettando qualcuno o qualcosa senza sapere però chi o cosa. Vengono tolti abiti, scarpe, orologi, tutto insomma; viene fatto il tatuaggio sul braccio sinistro con il nuovo nome (174517 per l’autore). L’autore accenna alle molte regole insensate che venivano poste ai prigionieri ed elenca 3 tipi di prigionieri presenti nel campo: ✓ I criminali; ✓ I politici; ✓ Gli ebrei. Tutti vestiti a righe, tutti sono Haftlinge, ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde, i politici un triangolo rosso; gli ebrei la stella ebraica gialla e rossa. L’autore poi presenta le usanze del campo: la paura di esser derubato e per questo il dormire con “tutto” sotto la testa. Viene inoltre mostrato anche il lavoro: suddivisi in circa 200 Kommandos composti da 15 a 150 uomini, comandati da un Kapo, vi erano Kommandos di specialisti: elettricisti, muratori, fabbri ed altri, che non contavano però più di 400/500 persone. CAPITOLO III - INIZIAZIONE → L’autore accenna alla sua “definitiva” sistemazione nel block numero 30, in cuccetta con Deina, il quale lo accoglie molto amichevolmente facendogli spazio per dormire. Ma il vero argomento del capitolo è la dignità dell’autore che sta per ledersi totalmente, giorno dopo giorno. L’autore infatti si chiede perché deve lavarsi se tanto non deve piacere a nessuno, se tanto solo dopo mezzora sarà nuovamente a trasportare sacchi di carbone. Questi quesiti vengono ancor più sospinti quando l’amico dell’autore: Steinlauf, quasi cinquantenne, cerca di far capire allo stesso che non deve lavarsi per piacere a qualcuno, non deve pulire le scarpe per bellezza, ma solo per la dignità, perché è l’unica cosa che nel Lager non possono togliere materialmente. L’autore conclude il capitolo chiedendosi, se vale la pena di continuare a lottare per la propria dignità oppure se conviene abbandonare le speranze di una vita migliore . CAPITOLO IV - KA-BE → Durante una mattina di lavoro, Primo Levi si trova a dover trasportare una pesante lastra di ferro insieme ad un ragazzo. Purtroppo, il peso grava troppo sulla spalla dell’autore che dopo un ulteriore sforzo vede cadere la lastra sul suo piede sinistro; l’estremità dell’oggetto cade sul dorso del piede procurando una notevole ferita che costringe l’autore a fermarsi, fortunatamente però nessun osso si è rotto. Così, Primo Levi dovrà presentarsi la sera, dopo la cena, all’infermeria per poi recarsi l’indomani ancora una volta al controllo. I controlli sono lenti e meticolosi. L’autore dovrà trasferirsi nella Ka-Be, dove riceverà la cuccetta numero 10, cuccetta che l’autore per la prima volta non dividerà con nessuno. Nella cuccetta a fianco, l’autore conosce due uomini, uno dei quali pochi giorni dopo verrà portato via e non sarà più visto dai compagni. Al termine del capitolo l’autore esamina il comando che Hitler darà poi in futuro, il comando di sterminare tutti i prigionieri dei Lager, affinché non potessero portare al mondo la testimonianza delle atrocità subite. CAPITOLO V - LE NOSTRE NOTTI → Dopo aver passato venti giorni nella Ka-Be, l’autore viene dimesso e affidato al block 45, il block di Alberto, un giovane ventiduenne amico di Levi. Nonostante Alberto goda di molto rispetto nel block i due non riescono a dormire nella solita cuccetta. L’autore presenta i sogni-tormento che entrano nella mente della maggior parte dei prigionieri: il primo quello di trovarsi con la famiglia e narrare loro le vicende dei lager e non essere ascoltati, l’altro quello di avere davanti bevande e viveri di tutti i tipi, ma purtroppo senza mai riuscire ad approfittarne come nel mito greco di Tantalo. L’autore narra le vicende anche della notte, quando i prigionieri dovevano svuotare il secchio dei rifiuti organici: chi andando al secchio per espellere le proprie necessità lo trovava pieno doveva uscire dalla baracca, dare il proprio numero alla guardia e svuotare il secchio nella neve. Primo Levi racconta anche del risveglio al comando alzarsi, comando che quasi tutta la baracca udiva già da sveglia. CAPITOLO VI - IL LAVORO → Il compagno di cuccetta dell’autore deve essere ricoverato in ospedale e perciò lascia i suoi averi allo stesso e tra questi ci sono anche un paio di guanti. Il nuovo compagno di Levi è Resnyk, un polacco di 30 anni che ha vissuto gli ultimi 20 anni della sua vita a Parigi, ma nonostante ciò il suo francese è scadente. A lavoro i due si trovano insieme con grande stupore dell’autore che non pensava di lavorare con il compagno il quale era molto gentile, alto e caricava su di sé la maggior parte del lavoro. Il terreno era ricoperto di neve e Levi esausto chiede il permesso di andare alla latrina, e vi verrà accompagnato da Wachsmann, un prigioniero anch’esso. Vi è una lunga descrizione di costui. Poi giunge il momento del rancio, il risveglio delle speranze accompagnate da mille paure. E nuovamente inizia il lavoro. CAPITOLO VII – UNA BUONA GIORNATA → Fortunatamente l’inverno rigido e freddo passa e per la prima volta il sole riscalda i condannati. Ancora una volta i prigionieri si accorgono della loro triste situazione e vi sono ancora paragoni con il Vecchio Testamento. La giornata tuttavia sembra meno dolorosa delle altre e il Kommando dell’autore ha a disposizione un rancio di 50 litri, e sono in totale 15 persone, rancio che consumeranno in tutto l’arco della giornata. CAPITOLO VIII – AL DI QUA DEL BENE E DEL MALE → L’autore in questo capitolo decide di presentare la vita economica del campo di concentramento, delineando i caratteri del baratto tra i prigionieri, tra i prigionieri e l’esterno e tra i prigionieri e i medici. Con la presentazione dettagliata vengono scritte anche le pene inflitte ai ladri e ai derubati. Così conclude il capitolo, chiedendo al lettore se all’interno del campo era possibile parlare di bene e di male, giusto o sbagliato. CAPITOLO IX – I SOMMERSI E I SALVATI → L’autore presenta in questo capitolo i comportamenti e i ragionamenti propri del prigioniero del Lager per continuare a vivere e trarre più benefici possibili dall’astuzia. Vengono narrate quattro storie di 4 uomini differenti tra loro: ✓ Schepschel, uno dei tanti, molto accorto e persino parsimonioso, ma non esitò a far fustigare un suo complice in un furto per candidarsi come lavatore di marmitte; ✓ L’ingegnere Alfred L. era uomo ricco e potente fuori dal Lager, e ben presto comprende l’importanza di distinguersi dagli altri, così in cambio di razioni alimentari si compra abiti e scarpe nuove, per questo riuscì a salvarsi essendo poi stato scelto come Kapo del Kommando di Chimica; ✓ Elias Lindinzin n. 141565, alto poco più di un metro e cinquanta, impressionava per la sua forza, e grazie alla forza e alla sua ignoranza riuscì a vivere nel Lager; ✓ Henri, ragazzo ventiduenne comprese ben presto che erano tre i modi per vivere: organizzazione, furto e pietà; era ricco di protettori e amici, riusciva a sfuggire agli obblighi più duri, visse e uscì dal Lager. CAPITOLO X - ESAME DI CHIMICA → La notizia di un nuovo Kommando giunge all’autore, che si presenta assieme ad altre 14 persone al nuovo Kapo. Il kommando 98 doveva essere un kommando di specialisti chimici ma in realtà meno della metà conoscevano la chimica. Così tre giorni dopo verrà l’esame per essere ammessi al kommando. I primi sei prigionieri dettero l’esame al mattino mentre l’autore dovette aspettare il tardo pomeriggio, l’esame andò molto bene, tuttavia l’autore non si illuse di migliorare le sue condizioni di vita. CAPITOLO XI - IL CANTO DI ULISSE → L’autore si trova coi suoi 5 compagni a raschiare il fondo di una cisterna interrata quando giunge qualcuno, era Jean, il pikolo, colui che intratteneva i rapporti diretti con il Kapo, con la cucina. Jean avverte che sarà Primo Levi ad accompagnarlo a prendere la razione al rancio per tutti. Durante il viaggio per giungere alla cucina i due parlano e l’autore recita anche alcuni versi del canto di Ulisse della Divina Commedia. L’autore trova molte similitudini tra la sua vita nel Lager e il canto di Ulisse. CAPITOLO XII - I FATTI DELL’ESTATE → L’autore racconta dell’estate del ’44 quando i bombardamenti iniziarono a colpire il campo di concentramento, spiegando i rumori, gli odori e le condizioni di vita dei prigionieri. Le speranze ricavate dalle notizie provenienti dall’esterno: l’offensiva russa ed il fallito attentato ad Hitler, lo sbarco in Normandia. L’autore presenta anche il suo contatto con l’esterno, Lorenzo, civile italiano, il quale lo aiutò con la sua presenza a vivere e non dimenticare di essere un uomo. CAPITOLO XIII - OTTOBRE 1944 → Un giorno l’autore all’uscita dalla baracca si accorge che è giunto l’inverno al campo di concentramento e pensa che l’anno prima non avrebbe mai pensato di passare un anno nel campo. Giunge la notizia che una selezione sarà fatta ben presto a causa della sovrappopolazione del campo. Viene descritta la selezione, rapida nell’effettuarsi ma lenta nelle procedure iniziali e soprattutto molto ricca di errori, sviste e giudizi inaspettati. L’autore si salva e riflette su un suo compagno di baracca che ringrazia Dio pregando, giungendo alla conclusione che oramai pregare era inutile. CAPITOLO XIV - KRAUS → Primo Levi si trova a lavorare insieme ad altri prigionieri a catena per formare una grande buca. Colui che detta il tempo è Kraus, un giovane ungherese che però lavora troppo veloce e per questo gli altri si lamentano. Il tempo è orribile e il terreno è completamente fangoso, ma l’autore si consola col fatto che non ci sia vento. Alla fine del lavoro Kraus si scusa con l’autore per avergli tirato sulle ginocchia un po’ di fango, ma Levi cerca di non far sentire in colpa Kraus e si inventa di averlo sognato a casa sua, e tutti staranno bene per un poco. CAPITOLO XV - DIE DREI LEUTE VOM LABOR → Oramai l’inverno è giunto e inaspettatamente un giorno giunge al kommando chimico la notizia che sono stati scelti dei prigionieri dal Doktor Pannwitz nel Bau (edificio) 939 come specialisti di chimica. Tra questi nuovi specialisti vi è anche l’autore che riceve ben presto vestiti e scarpe nuove e ogni mercoledì sarà rasato. I 3 lavoreranno in un laboratorio, dove non sentiranno il freddo infatti dentro la stanza di lavoro c’erano ventiquattro gradi centigradi. Insieme ai 3 prigionieri ci sono anche 5 donne tedesche civili, che non parleranno mai con i 3 e neppure risponderanno mai alle loro domande. Certo è che i prigionieri si vergognavano molto per la loro situazione però trassero molto vantaggio dal non dover stare all’aperto al freddo ed al gelo. CAPITOLO XVI - L’ULTIMO → Oramai la fine dell’anno era vicina. L’autore e il suo amico Alberto non lavorano più insieme ma durante la marcia di ritorno potevano parlare. I due erano riusciti a procurarsi una menaschka, cioè una gamella, più un secchio che una gamella, dove potevano mettere la razione di zuppa che gli veniva regalata dai civili (sempre in segreto ovviamente). Un giorno durante il ritorno furono tutti messi in riga e uno fu preso e impiccato perché ritenuto responsabile di un attacco ad un crematorio, e poco prima di morire gridò di essere l’ultimo a morire così, lo stupore cade sul lettore perché l’autore afferma che nessun tipo di assenso emerse dai prigionieri: niente, continuarono nel loro silenzio imperturbabile e andarono ognuno nella propria baracca a dormire. CAPITOLO XVII - STORIA DI DIECI GIORNI ✓ L’11 gennaio 1945 → L’autore si ammalò di scarlattina e venne ricoverato in Ka-Be nei reparti infettivi, nella cameretta erano in 13 e l’autore ebbe una cuccetta tutta per sé. Proprio in quei giorni l’attacco contro la Germania stava per giungere a compimento e così il campo doveva essere evacuato eccetto che per i malati gravi (compreso l’autore). Tutti i prigionieri meno gravi e sani dovettero partire a piedi insieme alle SS. L’autore rimane nella camera con dieci compagni poiché 2 decisero all’ultimo momento di andare con le SS; ✓ 18 gennaio → Nella notte dell’evacuazione tutto rimase come nei giorni precedenti, ma l’indomani vi fu un bombardamento al campo e le SS scapparono così l’autore e i compagni rimasero soli nelle loro baracche, obbligati a non poter aiutare gli altri malati oramai rimasti senza baracca a causa delle bombe; ✓ 19 gennaio → L’autore insieme a 2 francesi al mattino esce dalla camera e va a cercare una stufa e del cibo, lo spettacolo che gli si prospetta davanti è una vista atroce e inimmaginabile, comunque i tre riescono nell’impresa e trovano in una camera una stufa, due sacchi di patate, legna, carbone e lievito. Mentre si impegnavano per far funzionare la stufa i compagni gli dettero un po’ di pane, questa era la fine del Lager; ✓ 20 gennaio → L’autore insieme a Charles, un suo compagno di camera, uscendo per trovare viveri, riuscì a trovare molte rape e molti cavoli seppur congelati, ma la ricerca fruttò anche un barattolo da cinquanta chilogrammi di acqua orami congelata e poi anche una batteria da autocarro. Dalla finestra della stanza i malati vedevano i tedeschi fuggire con ogni mezzo per la strada; ✓ 21 gennaio → Charles e l’autore iniziarono a trattarsi come uomini e non più come prigionieri. Dettavano regole nella camera per non morire e cercare di star meglio;
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