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Se questo è un uomo - Primo Levi, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti presi a lezione riguardo Primo Levi e Se questo è un uomo.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 15/07/2021

maria-teresa-pata
maria-teresa-pata 🇮🇹

4.5

(40)

42 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Se questo è un uomo - Primo Levi e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 24-05-2021 Nel Consiglio d'Egitto, romanzo che Sciascia pubblica nel 1963, romanzo storico ambientato nel ‘700, vi è Di Blasi condannato alla pena capitale perché è un rivoluzionario che ha tentato allo Stato e in un certo punto, per farsi coraggio, pensa a un futuro in cui non sarebbe più avvenuta una cosa del genere, cioè le torture. Questa è la speranza ottimistica di Di Blasi in carcere. Attraverso una parentesi il narratore (il pensiero di Sciascia) nega ciò perché in quell’avvenire che Di Blasi vedeva luminoso, popoli si sarebbero distrutti tra loro + riferimento alla Shoah. È chiaro che Sciascia aveva ben presente gli orrori dei campi di sterminio. Sciascia rievoca l'orrore della Shoah perché negli anni ’69 vi era il processo di Eichmann che era sfuggito al Processo di Norimberga, che era fuggito in Argentina e poi processato in Israele. Proprio per questo fatto di attualità inserisce questa breve digressione nel Consiglio d'Egitto. SE QUESTO E’ UN UOMO Pubblicato a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1947, da un piccolo editore Torinese, De Silva, casa editrice diretta da Antonicelli che suggerì anche il titolo perché Levi ne aveva pensato un altro. Quest'opera era stata rifiutata da molti editori, tra cui Einaudi. Questa piccola casa editrice fallisce e quindi il libro viene dimenticato e non aveva avuto grande risonanza. Levi lo ripubblica nel ’58 presso Einaudi ed esce con un risvolto di copertina anonimo ma scritto da Calvino che lavora presso Einaudi. Il libro di Levi lo aveva positivamente colpito e il risvolto è tratto anche dalla recensione. Tra la prima edizione e la seconda del '58 vi sono dei cambiamenti, come l'introduzione del terzo capitolo che inizialmente era assente e anche la prima pagina in cui si fa riferimento all'esperienza partigiana era assente. Per la stesura Levi pensa al libro già quando lavora al laboratorio di chimica, essendo un chimico, ad Aushwitz e stende alcuni appunti anche a suo rischio e pericolo. Subito dopo la fine della guerra stende e scrive “Se questo è un uomo”. P.170: dicembre 45 - gennaio ‘47 > tempo di stesura. Il libro è articolato in 17 capitoli non numerati ma titolati in cui Levi alterna le parti diaristiche in cui racconta gli avvenimenti vissuti in prima persona e sono parti descrittive, poi le parti riflessive in cui esprime il suo punto di vista e commenta gli avvenimenti che ha vissuto. C'è un paratesto che precede i capitoli costituito da una poesia scritta da Levi e che viene riportata senza titolo e funge da epigrafe. Poi c'è una prefazione scritta in corsivo in cui Levi ci dice gli scopi per la composizione. In appendice, aggiunta in un secondo momento per un'edizione scolastica del libro del '46, vi sono delle risposte a delle domande che frequentemente gli venivano rivolte dagli studenti quando andava a parlare nelle scuole. Levi era un chimico e questo per lui è stata una fortuna perché è stata una delle ragioni che lo hanno salvato. Entra nel laboratorio chimico e si sottrae ai lavori più pensanti e quindi alla possibilità di ammalarsi. Egli inizialmente non aveva ambizioni letterarie. Dopo l’esperienza del lager abbandona questo mestiere per assecondare la missione di scrittore tornando spesso alla sua esperienza attraverso i testi, come ad esempio “La Tregua”, testo in cui Levi racconta il viaggio di ritorno del Lager che inizia li ultimi giorni del gennaio del '45, viaggio complicato. “La tregua” si pone come continuazione di “Se questo è un uomo”. L'inizio del viaggio di ritorno ci porta a far mente locale alla data di ricordo della memoria, il 27 gennaio, scelta non fatta a caso perché è l'anniversario di un giorno particolare, il 27 gennaio del ‘45 quando l'Armata Rossa abbatte i cancelli di Aushwitz. Nell’Osteria di Brema del '75 pubblica la poesia che si trova in Epigrafe con il titolo Shemà (parola ebraica che significa ascolto). Questa poesia è stata scritta nel gennaio del 45, in quel periodo aveva scritto anche altre poesie. Shemà, ci dice Levi, gli calzava in mente già quando era nel campo. Il titolo ci richiama a una preghiera ebraica. Questa preghiera è costituita da passi della Bibbia: vi è un atto di fede, Dio è uno, affermazione della sua unicità, poi c'è una sorta di comandamento di amore nei confronti di Dio, esortazione a ripetere questo insegnamento anche ai figli, a trasmettere questo atto di fede in ogni momento della giornata, ovunque e sempre. Levi prende questa poesia e la svuota perché è agnostico (indifferente), è un laico, non credente, già prima di entrare nel lager. Levi dirà: “Se c'è Auschwitz non vi può essere Dio” + problema giustificazione del male nel mondo. Di questa preghiera prende il titolo e il tono esortativo, il fatto di trasmettere, chi legge questa poesia è chiamato a ripetere l’esperienza del lager, ciò che Levi ha visto nel lager. Dopo l'appello ai lettori (voi), c'è il titolo dell’opera ripetuto nella poesia. Il titolo è stato suggerito dall'editore perché Levi aveva pensato al titolo “Sul fondo” che poi sarà il titolo di uno dei capitoli all’interno. Prima vi è l'orrore del lager per un uomo e in simmetria quello per una donna. Vi sono delle assonanze con la preghiera: (Io vi comando - nella poesia + vi comando). Vi è l'obbligo della memoria, l'esortazione e il dovere del ricordare per prevenire il ritorno dell’errore e infine la maledizione a chi si sottrae a questo dovere del ricordare. Chi cede alla tentazione di dimenticare è maledetto. Questo tono dell'invettiva non è presente nel libro in cui vi è un tono placato, da scienziato e Levi lo dice anche nella prefazione, vuole studiare pacatamente ciò che è successo nel Lager. Riscrittura infedele: è un ribaltamento del modello biblico evangelico, la preghiera si nutre di citazioni bibliche. Levi molto spesso capovolge questo modello come quando dice che porta con sé la mala novella di ritorno dai lager + rovesciamento perché gli apostoli portano la buona novella. Nella poesia “Annunciazione” Levi immagina un angelo che porta una mala novella a una donna che partorirà Hitler, l'angelo annuncia che il figlio porterà distruzione ma lei deve rallegrarsi. Riporta il modello biblico per parodiarlo. PREFAZIONE: Levi esordisce dicendo di essere stato fortunato e questo ci sorprende per l’esperienza che ha passato, eppure lui dice di essere stato fortunato perché è stato deportato nel '44, quando il governo tedesco per venire incontro a un'esigenza di mancanza di manodopera decide di allungare la vita media dei prigionieri nei campi, non li sottopone a un regime troppo duro, oltre certi limiti. Questo mitigamento del regime di vita dei prigionieri fa sì che Levi possa poi salvarsi, perché già solo la razione di cibo che riceve gli permette di restare in vita. Nella restante parte ci vengono ribaditi gli scopi che si è prefissato nel romanzo: - Studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano: perciò è stato criticato, si limita a descrivere quasi con cinismo, obbiettivamente le azioni che i prigionieri subiscono nel lager e le reazioni dei prigionieri. Non attacca i tedeschi e i prigionieri sembrano essere delle sostanze chimiche studiate nei laboratori. Il lager viene inteso come un laboratorio sociale antropologico in cui avvengono delle cose che non possono non avvenire nell'animo umano. - Mostrare le conseguenze della xenofobia (l'odio verso lo straniero) che hanno portato all’orrore dei lager e cercare di prevenire. - Bisogno di catarsi: raccontare per liberarsi. Il bisogno primario era quello di sfamarsi ma accanto a questo c’è il bisogno di far partecipi gli altri di ciò che ha vissuto. Se risponde a questa esigenza quasi per esorcizzare anche l’orrore e l'angoscia legata al ricordo, si scrive per prima ciò che urge di più dire, raccontare. 27-05-2021 Levi si trova nel campo e nel capitolo “Sul fondo”, i deportati devono confrontarsi con la scritta che si impone sulla porta del campo di Monowitz, zona di Aushwitz dove si trovano questi campi. In quello dove si trova Levi è un campo di lavoro, privo di camere a gas. La frase è “Il lavoro rende liberi”, sembra uno sberleffo nei confronti dei deportati perché nel campo c’è prigionia, schiavitù. Questa scritta si potrebbe interpretare come portatrice di una consapevolezza da parte degli aguzzini: siamo popolo superiore, disdegniamo il lavoro e lo lasciamo a una razza inferiore e potrebbe ricordare un verso dantesco (Lasciate ogni speranza o voi che entrate). In questo capitolo ci viene presentata la vita quotidiana del campo e ci viene detto che i deportati, per sopravvivere, devono imparare presto determinate cose, altrimenti sono destinati a morire presto. Devono imparare la logica del campo che è felina: ciascun uomo nel campo è nemico dell'altro uomo, senza che valga la distinzione tra carnefici o vittime, questa distinzione vale fino a un certo punto. La vita quotidiana del campo è fatta da regole rigide, gerarchie da rispettare ma anche cerimonie, riti. Una fra tutta è il nuovo battesimo: i prigionieri cessano di essere persone e diventano semplici numeri, gli esseri umani sono ridotti a numeri. Il numero viene tatuato sul braccio sinistro del prigioniero, numero di matricola o riconoscimento che sala man mano che passa il tempo e aumentano le persone nel campo. Questo numero è indelebile. Una delle cose che è importante sapere è questo numero perché altrimenti si rischia di non sopravvivere: bisogna imparare a riconoscere il suono del proprio numero in tedesco perché nel momento in cui vi è la consegna della razione di cibo veniva gridato questo numero per ogni prigioniero. Se non si fosse riconosciuto il numero si sarebbe rischiato di saltare il magrissimo pasto quotidiano, saltarne anche solo uno incideva sulle percentuali di sopravvivenza. Chi conosceva il tedesco era svantaggiato: Levi sapeva il tedesco grazie ai suoi studi di chimica, essendo laureato e studiando le bibliografie in lingua tedesca. Nel campo si apprende molto: “Abbiamo imparato” P.23 > si impara presto a capire come è organizzata la vita all'interno del campo e come sono distribuite le persone tra le baracche, luoghi in cui i prigionieri trascorrono le ore non dedicate al lavoro, per lo più la notte. Ci sono 60 baracche di legno nel campo di Levi, sono baracche comuni. Poi vi sono baracche adibite a scopi particolari: quelle degli internati privilegiati (coloro che tra i prigionieri occupano un ruolo di rilievo) o anche quelle delle latrine. Si distingue il locale nella latrina in cui vi è il capo baracca e poi l’altro in cui ci sono 150 prigionieri, molto spesso una persona condivide con un altro la cuccetta del letto, definite come “cellette di alveari”. Vi è anche la divisione dei prigionieri in 3 categorie (P.25): gli ebrei (la maggior parte), i criminali macchiati di reati comuni e i dissidenti politici (anche quelli dei partiti democratici che vengono messi a tacere). Si riconoscono a seconda del colore del triangolo cucito accanto al numero di matricola: rosso i politici, verde i criminali e la stella di David rossa e gialla per gli ebrei. P.25: “Abbiamo imparato che tutto serve” > tutto è utile per la sopravvivenza e si impara anche che tutto viene rubato, bisogna tenere a sé tutto ciò che si ha secondo il regolamento o non rispettandolo, perché vi può essere sempre il vicino che può rubarlo secondo il principio hobbesiano di lupo nei confronti dell'altro. Bisogna divenire vigili e la notte adottare degli stratagemmi come, ad esempio, dormire con la testa sul fagotto in cui ogni prigioniero ha tutte le cose. Se non si comprende che dall’altro non si può aspettare solidarietà, si accorcia la vita della persona miope, ignara di questo regolamento non scritto del Lager. Anche quello che nella vita normale appare irrilevante, nel Lager può essere un problema che ha un risvolto di vita o di morte: P.26 > si parla delle scarpe che sono di vitale importanza nel Lager. Avere i riflessi pronti quando si tratta di cambiare la scarpa che fa male può essere di vitale importanza perché camminare con i piedi che fanno male è pericoloso: si hanno infezioni e si rischia di essere considerati come qualcuno che non può guarire e quindi si è sfacciati perché è considerato qualcosa di non utile al lavoro e si destina alle camere a gas. Si inizia a morire dalle scarpe perché da questo aspetto apparentemente di poco conto si possono subire conseguenze gravissime. In questo capitolo appare per la prima volta il modulo sintattico dell'esperimento mentale di tipo scientifico: Levi è un uomo di scienza e di tanto in tanto formula un pensiero sotto forma di esperimento, usando il verbo in maniera impersonale: come se elaborasse in laboratorio un esperimento e lo presentasse al lettore (ciò avviene nelle parti riflessive). P.19: Levi procede immaginando un esperimento, descrivendo l'esperimento che viene compiuto all’interno del campo. Poste determinate condizioni, le conseguenze saranno quelle così come in un laboratorio di chimica in cui sottoposte delle azioni a delle sostanze, le reazioni saranno quelle. Qui dice di come togliendo tutto a un uomo si ottiene come conseguenza, come esito ultimo il risultato sarà un uomo vuoto, annientato che ha perduto se stesso. Vi è una considerazione sulla dimensione temporale (P.29): “Si impara a fare a meno del passato e del futuro”, si impara che per sopravvivere più a lungo bisogna farne a meno, fare a meno dei ricordi e delle speranze: non bisogna ricordare il passato, i tempi felici perché questo è doloroso e neppure guardare al futuro perché non si può neppure congetturare e potrebbe alimentare pensieri di disperazione. Bisogna concentrarsi sul presente: il bisogno della fame impone a tutti i prigionieri di pensare al presente. Tra connazionali avevano deciso la domenica sera di incontrarsi ma hanno subito spento perché era triste contarsi, essere sempre più squallidi e incontrandosi accadeva di ricordare ed era meglio non farlo. ® TEMA DELLA PAROLA NEGATA, LA CONFUSIONE DELLE LINGUE: P.68 > lavori pensanti a cui sono chiamati i deportati. I mattoni sono chiamati in modo diverso quante sono le lingue parlate nel Lager + Babele linguistica. Come Shemà fa riferimento alla preghiera ebraica, qua viene rievocato l'episodio della torre di Babele rievocata nella Bibbia (il progetto di costruire questa torre è una vera e propria sfida nei confronti di Dio e allora subiscono una punizione perché i costruttori non si capiscono più tra loro e la torre cessa di essere costruita). Un altro episodio della Bibbia è quello degli ebrei che sono costretti a costruire le piramidi in Egitto. Questa confusione delle lingue è portatrice di odio perché i capi, le guardie si indignano perché non sono compresi e nello stesso tempo non si crea solidarietà tra i prigionieri. * TEMA DELLA FAME: bisogno di cibo che tormenta i prigionieri e uno di questi SS usa un verbo che indica il mangiare delle bestie in tedesco, è l'espressione che riporta il disprezzo per una razza inferiore e la condizione in cui sono ridotti gli esseri umani costretti a mangiare in piedi e in fretta come gli animali. Questo bisogno di cibo è così invasivo che riempie anche i sogni, sogno tipico è quello di mangiare tra i prigionieri P.55: nel capitolo le “nostre notti” sono descritte delle tipologie di sogni. Riferimento a Tantalo che è costretto, immerso a mezzo busto nel lago, a vedere dal basso il cibo e ogni volta che cercava di mangiare o bere gli alberi sopra di sé si allontanavano. Questo per indicare l'impotenza dei prigionieri di mangiare. * TEMA DEL SOGNO: questo ricorre anche in altri testi di Levi. Qui per la priva volta a P.37, Levi è nel campo e gli passa davanti un vagone con scritte italiane. Levi sogna ad occhi aperti il ritorno. I sogni ricorrenti sono quello di mangiare e quello di ritornare. Sogna di baciare la terra una volta tornato in segno di ringraziamento, passa una donna che gli chiede chi fosse in italiano, lui glie lo direbbe e gli darebbe da mangiare. Si affaccia il motivo di non essere creduti, si può essere creduti sono mostrando il numero sul braccio. Questa è la paura di Levi, di non essere creduto ma ha bisogno di raccontare per liberarsi. P.54: capitolo intitolato “Nostre notti”, notte piene di sofferenza ma che almeno concedono il riposo rispetto alle giornate. Questi sogni non sono del tutto consolatori. Levi è ritornato a casa, tra i suoi cari, e si sente al sicuro di raccontare. Si rinnova l'angoscia nel constatare nel sogno che coloro che dovrebbero ascoltare se ne vanno, sono indifferenti, non mostrano interesse per il racconto di Levi e questo reca in lui e in tutti i prigionieri un grande dolore, simile a quelli quando si è bambini. La pena di non essere ascoltati fa sì che non solo il sognatore si risvegli ma preferisca risvegliarsi, è preferibile tornare alla realtà del Lager piuttosto sopportare l'indifferenza nell'altro e non essere creduti. Questa paura in qualche modo, con il senno del poi, era in parte giustificata: alcuni si ostinano a non credere alle vicende degli ebrei, i negazionisti. ®* TEMA DELL'IMPORTANZA DI ASSUMERE DETERMINATI COMPORTAMENTI AI FINI DELLA SOPRAVVIVENZA: anche se dal punto di vista razionale sono inutili. A P.32 si parla del rito di lavarsi tutti i giorni ma ci si lavava nell'acqua sporca del lavandino torpido, un'operazione inutile ai fini della pulizia e della salute. Ci si sporcava di più. C'è un compagno di prigionia che gli fa una lezione del lavarsi come simbolo di residua vitalità, bisogna mantenere un minimo di relazione con la civiltà, con quello che ci fa uomini e ci permette di riconoscerci dalle bestie e questo aiuta a mantenersi in vita. Bisogna difendere la dignità, ciò che è rimasto in noi di umano per non lasciarsi andare e candidarsi a una morte sicura e per non assecondare il piano dei tedeschi che li vogliono assimilare alle bestie. “Al di là del bene e del male” e “I Sommersi e salvati” sono due capitoli molto importanti. Il primo è il più importante per il titolo e ciò che dice alla fine che per il contenuto (che è la descrizione dei commerci dentro al campo, c'è una baracca che funge da borsa di valori e all'interno vi sono merci di provenienza esterna al campo che penetrano nel campo grazie a coloro che lavorano fuori dal campo, dei prigionieri che lavorano fuori dal campo. Queste merci vengono smistate in questa baracca. Vi è una rudimentale borsa in cui ogni merce viene scambiata con altre merci. La merce più diffusa è il pezzo di pane. Queste merci sono rubate ma si registrano anche dei furti tra i detenuti). Il titolo rimanda a un filosofo (Nietzsche). Per Levi questo significa come non c'è posto per l’etica, della morale che invece governa la vita comune. Qui non ci si può aspettare nessun gesto ispirato alla morale perché i gesti pietosi e disinteressati sono ascrivibili al mondo della morale. P.82: soltanto una buona dose di egoismo permette la sopravvivenza > legge durissima del campo. I Sommersi e salvati è il capitolo successivo, l'ultimo testo di Levi prima di suicidarsi si intitola proprio così. L'immagine dell'esperimento ritorna in questo capitolo, con la terminologia legata. I sommersi sono colore che sono candidati a una morte sicura, coloro che hanno rinunciato a lottare, sono rinunciatari, non hanno la forza di lottare per la vita e in genere i sommersi sono dei morti che camminano e sono colore che non non riporta il male delle camere a gas ma il male di azioni minimali ma significative per capire il modo dei tedeschi). Il canto di Ulisse + coprotagonista è Jean Goldner, un giovane francese, alsaziano, parla francese e tedesco, ha 24 ma non conosce l'italiano. Detto Pikolo perché piccolo di statura ma anche il più giovane, era una mascotte che godeva di privilegi. Si trovano insieme in una situazione particolare, devono trasportare la marmitta con il rancio dalle cucine con dentro cavoli e rape, fino alle baracche dove vi sono altri compagni. Devono effettuare un viaggio di andata e ritorno. Nel viaggio di andata si svolge la cooperazione in cui Levi rievoca il canto dantesco. C'è una Mise en abyne perché qui si tratta di ricordare, raccontare sulla base della memoria, un episodio in cui il portaposta è la memoria. Levi conosceva a memoria questo canto di Dante seppure con qualche lacuna e la cosa non ci deve meravigliare. Il canto di Ulisse è il 26 dove c'è Ulisse che ci viene incontro attraverso una vicenda non raccontata da omero nell’Odissea, non è l'Ulisse del ritorno ad Itaca tra le braccia di Penelope ma l'Ulisse che, dopo l’orazione ai suoi compagni, decide di continuare la sua esplorazione sfidando le colonne d'ercole (limiti della conoscenza umana secondo gli antichi) e per questo viene punito da Dio perché aveva peccato di ubris, di tracotanza. Il suo viaggio è empio, a differenza di quello di Enea voluto dalla provvidenza. Levi recita a Pikolo dei frammenti di questo canto, tra cui l'episodio della fiamma. Il viaggio era faticoso ma quello d'andata permetteva di staccare dal lavoro e avvicinarsi alle cucine che attua un benessere psicologico. Levi assume il canto di Ulisse come materia di questa lezione di italiano, non si tratta solo di ricordare ma tradurli nel francese di Pikolo e spiegarli. Pikolo si rivela un ascoltatore attento, intelligente e ricettivo. Levi sceglie Ulisse perché si immedesima nella sua vicenda e ciò si dà per tutti e 4 i gruppi di versi citati. P.110 “Ma misi me per l'alto mare aperto” + alto mare aperto evoca un orizzonte di libertà che è negato nel lager. Ciò sollecita l’immedesimazione perché ogni prigioniero aspira alla libertà. Poi vi è il riferimento all’orazione picciola di Ulisse ai suoi compagni (p.110) + Ulisse dice che ciò che ci distingue dagli animali è la conoscenza, solo se ci si impegna in essa si è uomini (si immedesima perché i nazisti vorrebbero ridurre a bruti i prigionieri, dall'altra parte i salvati, quelli che aspirano a salvarsi si oppongono a ciò facendo riferimento e affidamento alla cultura come strumento che gli permette di mantenere in vita quello che ancora c’è di umano). L'episodio del canto di Ulisse è paradigmatico del ruolo della cultura nel lager e quanto ha inciso la cultura sulla salvezza dei prigionieri, li ha fatti sentire ancora uomini. P.111: Ulisse si è messo in viaggio con la sua imbarcazione e nei pressi delle Colonne d'Ercole vede davanti a sé le montagne del Purgatorio, del paradiso terrestre e Levi così si ricorda le montagne del suo Piemonte che guardava quando tornava dal lavoro di chimico viaggiando il treno da Milano a Torino. Vi sono poi le acque che inghiottono Ulisse e i suoi compagni con poi la morte puniti da Dio. P.112: la frase è un anacronismo perché ai tempi di Ulisse vi erano le divinità e lui era pagano. Quando Levi ricorda questo verso di Dante gli viene in mente un pensiero gigantesco, cioè un’analogia (questa è la spiegazione che levi dà in una nota di un'edizione scolastica del libro) tra il destino di Ulisse e quello degli ebrei prigionieri (come se Dio avesse voluto il destino crudele del popolo ebraico come nel caso di Ulisse). Come Dio punisce Ulisse per la sua ubris che è sempre un atto di intelligenza, così la Germania nazista ha voluto condannare e punire la civiltà ebraica che si è distinta per i frutti del suo ingegno (spiegazione riportata nell'edizione scolastica, molto più blanda). Chiude il capitolo l’ultimo verso “Infin che ‘1 mare fu sopra noi rinchiuso”. Vi è una stranezza: nel canto si usa il termine “richiuso”. Il fatto di deformare la parola sta ad indicare come Levi vuole applicare il verso alla sua condizione, di come gli ebrei sono rinchiusi in questo spazio di prigionia. Questo è un artificio letterario di Levi e non un refuso perché l'editore lo aveva corretto e Levi lo ripristina. Levi vuole indicare l'analogia: Ulisse è stato ricoperto dal mare così come i sommersi dal campo. “Ottobre 1944” capitolo in cui si parla di selezioni per le camere a gas: vi sono nuovi convogli che arrivano e i tedeschi devono dare spazio e quindi sfoltire il numero dei prigionieri già presenti nel lager, scegliendo quelli non più abili al lavoro. Anche Levi partecipa a queste selezioni (bisognava presentarsi nudi davanti a una commissione che in tempi rapidissimi sceglieva affidandosi più al caso che a criteri). Levi si salva grazie a uno scambio casuale di schede. Qui appare un personaggio che appare solo in questa pagina, P.127, il vecchio ebreo Kuhn che salva Dio perché non è stato scelto. Levi lo considera un ingrato. Nella visione laica di Levi, la salvezza di Kuhn è fatta dipendere dal caso e non dal volere divino e probabilmente domani toccherà a lui e non capisce nel suo egoismo che la sua salvezza equivale alla morte degli altri, come Beppo il greco che sa di essere scelto e aspetta con saggezza stoica questa pena della camera a gas. La salvezza di Levi è dipesa sia dal caso ma anche dal gesto disinteressato di pietà di un certo Lorenzo, un muratore, un operaio civile italiano che gli ha portato per 6 mesi l’avanzo del suo rancio e lo ha mantenuto in vita. “L'ultimo” (P.142): una sera i prigionieri vengono condotti sulla Piazza dell’appello e qui c'è un armamentario per un'impiccagione. I tedeschi vogliono impiccare un prigioniero che si è rivoltato in un altro campo, quello di Birkenau. L'uomo aveva fatto saltare insieme ai compagni un forno crematorio. I tedeschi vogliono impartire una lezione, usare lo spettacolo della morte per scoraggiare altre possibili rivolte. P.146: Il fatto di non morire di stenti ma punito in quel mondo rovescia quello che i tedeschi si erano prefissati; questa morte gli frutterà gloria nei posteri. Prima di morire il condannato grida: “Compagni io sono l’ultimo” + una delle possibili interpretazioni può essere il fatto che la guerra sta per finire e indica l'imminente sconfitta tedesca subita dai russi. Essere l’ultimo può essere inteso come ultimo che ha avuto la forza di ribellarsi, gli altri ormai non reagiscono più, sono spenti, degni della morte che li attende, sono rassegnati, sommersi “musulmani”. Vi è un riferimento alla Genesi: l’opera dei tedeschi è stata una contro creazione. Levi insieme ad Albero, suo caro amico che non sopravvive, ritornano nella baracca dopo questo evento e qui si vergognano, non hanno coraggio di guardarsi negli occhi perché non hanno reagito al grido dell’impiccato, si sentono anche loro delle vittime predestinate, come prigionieri che si sono adottati alla logica del campo, hanno adottato la logica hobbesiana e non hanno avuto la fierezza della ribellione (P.147). si può integrare questo episodio con l’appendice dell’edizione scolastica (P.179) dove gli viene chiesto come mai non ci fossero ribellioni di massa. Egli spiega come una ribellione fosse difficile: non si potevano organizzare piani collettivi perché era difficile comunicare e lottare insieme per le lingue diverse, poi erano privati da una lunga carriera di umiliazione e fame nei ghetti, dove già non vivevano una vita normale e il geme della rivolta difficilmente attecchiva, l'episodio era solo un'eccezione. “Storia di 10 giorni”: descritto il tempo dal 18 gennaio al 27 gennaio quando poi arrivano i russi e vi è la liberazione dei prigionieri dal lager, liberazione che vi viene descritta nella “La tregua”. In questo capitolo e nel primo vi sono i normali tempi storici della narrazione (imperfetto e passato remoto). Nei restanti capitoli prevale il presente storico che si alterna ai tempi storici (es. Canto di Ulisse, P.108: uso massiccio del presente storico alternato all’imperfetto, ect). Il presente storico produce un effetto di drammatizzazione, come se il lettore fosse trasportato sul luogo ma anche un effetto di attualizzazione cioè riporta come Levi vivesse ogni giorno l’esperienza del Lager, come se Aushwitz continuasse, come se si desse una possibilità di un ritorno di Aushwitz, come se l’esperienza non si fosse conclusa ma fosse ancora nel presente. P.181: appendice che rafforza questo tipo di atteggiamento: l’uso del presente storico ha questo valore inquietante: se l’uomo cede all’irrazionalità i lager potrebbero continuare ad esistere. In questo ultimo capitolo e in tutto il libro usa il termine “tedeschi” e non “nazisti”; Levi si pone il problema della responsabilità dell'intero popolo tedesco che non si è oppostto, è una chiamata I tedeschi fuggono e si portano con sé migliaia e migliaia di prigionieri ad eccezione di coloro che non potevano fare la “Marcia della morte”. Avevano ricevuto l'ordine di chi non ce la faceva a marciare, arrivano ai campi meno di % del contingente di partenza. Levi non partecipa questa marcia perché in quei giorni si era ammalato, prima aveva una ferita al piede ma poi si ammala di scarlattite e viene ricoverato in infermeria. C'è una componente di fortuna e casualità nella sua salveza, il fatto di essere entrato in laboratorio che lo ha preservato dal freddo, l'allenamento di vita di compagna che lo ha fortificato nella resistenza, l’aiuto di Lorenzo, la conoscenza del tedesco, anche approssimativa, le competenze di chimico e infine la scarlattite. Alberto che aveva la stessa età di Levi e la stessa corporatura, per sua disgrazia aveva avuto la scarlattite da bambino e quindi avviato alla marcia della morte. Lui non si considera un graziato ma un salvato. In infermeria fa amicizia nel reparto infettivo, sono una decina di persone, lui 13esimo, con due francesi da poco entrati nel campo e le condizioni non sono delle migliori perché non vi era sospensione del rancio e faceva molto freddo. Ci si doveva riscaldare. Primo insieme a Charles ed Arthur si procurano una stufa e la trasportano all'interno della baracca dove sta l’infermeria e il reparto di malattie infettive (P.157). il fatto che gli altri prigionieri volessero dare un pezzo di pane ai 3 che hanno portato la stufa > questo è un primo gesto di solidarietà + così lentamente i prigionieri hanno riacquistato l'umanità. Il libro ha un finale ottimistico (P.158 + ancora una volta un riecheggiamento della Genesi + i 3 morti di fatica per aver portato la stufa e aggiustato la finestra così come Dio dopo il primo giorno di creazione e dopo i 6 giorni commenta tra sé che aveva fatto una cosa buona così come levi che dice che quello che ha fatto è una cosa utile). P.162: questo segnale di ottimismo viene dallo stato d'animo dei deportati e Levi resiste per non lasciarsi sommergere. Questo ottimismo poggia su dato statistico: delle persone ricoverate nel reparto solo una non vide i sovietici e poi Charles, uno dei due francesi, rivedrà (questa è un'anticipazione di ciò che avverrà dopo la liberazione) la sua famiglia e riprenderà il mestiere di maestro elementare nel suo villaggio (presente anche nell’appendice + Gli viene chiesto se avesse visto altri compagni e Levi dice di aver rivisto Charles). È la vita che riprende e come se loro avessero contribuito a creare un mondo nuovo sulle ceneri di Aushwitz, come una nuova Genesi.
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