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Se questo è un uomo- Primo Levi, Schemi e mappe concettuali di Italiano

Recensione e spiegazione del libro "Se questo è un uomo" di Primo Levi.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 04/04/2022

susanna.bla
susanna.bla 🇮🇹

4.5

(7)

44 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Se questo è un uomo- Primo Levi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Italiano solo su Docsity! “SE QUESTO è UN UOMO”-PRIMO LEVI L’introduzione di questa edizione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi, in questa vecchia edizione del 1963 (gentilmente regalataci da mio nonno paterno) è già piena di tutto quello che si incontrerà poi leggendo il libro. Ho trovato le parole “campi di distruzione” nuove rispetto a “campi di concentramento”: spiega meglio che si trattò di DISTRUZIONE DI MASSA appunto. Con estrema lentezza poi, Levi afferma di aver scritto il libro non per accusare ma per “studiare pacatamente” alcuni aspetti dell’animo umano. Mi chiedo: come si fa a studiare “pacatamente” l’animo “umano” di coloro che hanno commesso azioni così efferate? “OGNI STRANIERO è NEMICO”: Primo Levi è convinto che questa convinzione “giace” negli animi come una “INFEZIONE”. Mi sembra quasi ripercorrere questo “inaspettato” momento che stiamo vivendo. D’altronde una infezione potrebbe colpire chiunque ne venga a contatto, come il virus letale che ha paralizzato le nostre vite in questi mesi. A pag. 18 Levi scrive: “Scomparvero così….A TRADIMENTO, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli…”. Un gioco di parole, un gioco ironico, triste, addolorato: il senso più profondo della nostra esistenza, che è tale se vissuta negli affetti. Prosegue poi nella pagina successiva, quando descrive un soldato tedesco come un “caronte”, ma che agisce ad iniziativa privata (chiedeva denaro, orologi, insomma i loro beni materiali): questa richiesta provoca nei rinchiusi ira, “..riso e uno strano sollievo”. Sentimenti contrastanti, quasi un ossimoro della vita dei campi di sterminio. A pag. 22, mentre descrive una scena di “VITA quotidiana”, si affretta poi a scrivere “stasera o ieri sera?”: quando vivi in una situazione paradossale come quella in cui si ritrovarono centinaia di migliaia di persone durante la loro prigionia nei Campi di sterminio tedeschi, il TEMPO perde il suo significato. In un mondo come questo che ha fatto del tempo il bene più prezioso, questa riflessione è d’obbligo: ad oggi, la nostra prospettiva è cambiata, dopo l’avvento del COVID-19. Ora possiamo programmare si, ma senza date precise, senza scadenze impellenti, senza avere certezze assolute. LA DEMOLIZIONE DI UN UOMO: queste le parole a pag. 25. Sembra che per Levi, questo progetto immondo congeniato dai gerarchi nazisti abbia un valore “fisico” oltre che ideologico. Mi spiego meglio: egli usa verbi, sostantivi che evocano la distruzione di esseri umani, termini che usualmente non vengono utilizzati a tal scopo. Questo, a mio parere, sottolinea ancora di più, se ce ne fosse bisogno, l’eccezionalità, con accezione “negativissima”, di quello che i tedeschi, sotto la guida di comandanti senza scrupoli e senza umanità, perpetrarono a milioni di persone. E il tutto giustificando la loro volontà di far sopravvivere la razza ariana, quella nordica, quella più valorosa, secondo i principi di Hitler. Ma la parola “principi” non è forse troppo piena di significati, per poterla anche solo minimamente associarla ad un essere come Hitler? Quando Levi parla di “ospiti” del Lager (distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei) e li descrive, è come un giornalista-reporter che fa il suo mestiere: riportare la verità dei fatti, descrivere accuratamente e il più oggettivamente possibile quello che vede, che sente, che prova durante le sue “missioni” (pag. 33). In ogni pagina descrive infatti minuziosamente ogni oggetto, che diventa bene prezioso in una situazione simile, parla di regolamenti del campo da rispettare per poter sopravvivere, di lavoro da sbrigare, descrive ogni più insignificante comportamento umano, ogni azione più banale, che però in quella NONVITA assumono un significato VITALE”. INIZIAZIONE: in questo capitolo ho trovato fondamentali due concetti, che Levi evidenzia. Parla di CONFUSIONE DELLE LINGUE: in una situazione come quella, non capire rende ancora più fragile, vulnerabile. Poi descrive, quasi ironicamente (o forse no) quello tedesco, come uno “spirito teutonico”: il loro incitare a lavarsi sembrerebbe quasi uno stimolo “inconscio” a non mollare, ad una “sopravvivenza morale”. A questo si affianca poi la volontà precisa, assoluta, razionale, ideata a tavolino dai gerarchi nazisti, di “ridurci a bestie”. Forte è la sensazione di malessere che ho leggendo di “marce e canzoni popolari care a ogni tedesco”, che ogni giorno i prigioneri/schiavi dovevano ascoltare, e che inneggiavano alla grandezza del popolo tedesco. Musica infernale, così la descrive Levi. Descrive spesso il KA-BE come un limbo (pag. 55), una parentesi di relativa pace (pag. 61) un “ Lager a meno del disagio fisico” (a parte la fame e le sofferenze per malattia!). Sorprendente la verità che suscitano le sue parole “la facoltà umana di scavarsi una cuccia”, riassumono in qualche modo la volontà di sopravvivere che è insita nell’essere umano, e che spinge a crederci fino all’ultimo, a lottare. Ma d’altro canto, implicitamente, alludono all’essere animale, bestia, a cui il progetto nazista ambiva: quello di “traghettare” tutti i prigionieri fino a trasformarli in bestie! (pag. 63). A pag. 75 descrive l’incontro con uno tra i tanti, un polacco ha saputo, la cui età è indefinita, tanto il suo aspetto fisico è cambiato nel tempo di prigionia. Ogni storia, tra le tante, è diversa e nuova contemporaneamente, perché le storie non hanno confini, tanto meno quelli geografici. Levi cita la Bibbia come la nuova Bibbia. Descrive poi la torre che sta al centro di uno spiazzo (pag. 84 del testo), come difficilmente visibile tra la nebbia, la paragona alla Torre di Babele (così la chiamano i detenuti): esprime il suo odio nei confronti di quello che la torre rappresenta, cioè la sete di grandezza dei tedeschi e il loro disprezzo di “NOI UOMINI”. Parla di una prospettiva tipicamente umana, che tende a vedere i dolori minori a distanza rispetto a quelli maggiori, più avanti prospetticamente parlando. L’uomo che dà una priorità alle cose, secondo un normale comportamento da essere pensante oltre che “umano”. Anche la lotta per la sopravvivenza che descrive a pag. 103, è una lotta “ senza remissione”, in quanto la solitudine li rende tutti “ferocemente soli”.
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