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Sebastiano Timpanaro - Stemmi bipartiti e perturbazioni della tradizione manoscritta, Sintesi del corso di Filologia italiana

Saggio sulla questione della frequenza degli stemmi bipartiti, contenuto in Fondamenti di Critica Testuale di A. Stussi

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 17/12/2020

silvia.guglielmi.541
silvia.guglielmi.541 🇮🇹

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Scarica Sebastiano Timpanaro - Stemmi bipartiti e perturbazioni della tradizione manoscritta e più Sintesi del corso in PDF di Filologia italiana solo su Docsity! Sebastiano Timpanaro – Stemmi bipartiti e perturbazioni della tradizione manoscritta. La discussione sulla frequenza degli stemmi bipartiti ha dato luogo alle più svariate prese di posizione. Joseph Bedier, in particolare, sottolineando il fatto che la stragrande maggioranza degli stemmata codicum erano a due soli rami, era giunto ad affermare l’inutilità della recensio e, pertanto, suggeriva un’edizione critica basata solo su quello che risultava essere il manoscritto migliore. Bedier, nel suo studio sul Lai de l’Ombre, aveva constatato che la tendenza a tracciare stemmi bipartiti (o comunque a ridurre alla fine a soli due rami anche tradizioni con più mss) dipendeva sostanzialmente da due fattori: il primo era un’inconscia aspirazione dei filologi a conservarsi le mani libere nella scelta delle varianti; questo perché una tradizione a tre o più rami consente di stabilire la lezione dell’archetipo in via meccanica, mentre una tradizione a due rami non consente una scelta meccanica, bensì una decisione affidata solo a criteri interni, ovvero sul giudizio soggettivo. L’altro fattore era l’abitudine di cercare sempre nuove connessioni tra gruppi di codici, fino a ridurre i raggruppamenti fondamentali a due soli. Tuttavia, poiché sono già state discusse le obiezioni mosse al Bedier, qui ci interessa porre la questione sull’effettiva frequenza degli stemmi bipartiti e provare a dare una risposta esaustiva. Già alcuni filologi provarono a spiegare il perché della frequenza degli stemmi bipartiti. Fra questi, ricordiamo innanzitutto Giorgio Pasquali e Paul Maas. Pasquali, in un primo momento si limitò a negare la quasi completa assenza di schemi a più di due rami. Alla fine, però, dopo diversi studi, anche Pasquali è costretto ad ammettere che gli stemmi con più di due rami sono, effettivamente, pochi, perché anche nella filologia classica si era verificato questo fenomeno. Maas, invece, ammise da subito la maggioranza degli stemmi bipartiti, ma cerca la spiegazione in ragioni di ordine statistico. Egli inizia con il ragionamento che una tradizione a tre testimoni può dare vita solo a 22 tipi stemmatici, di cui soltanto uno è a tre rami. Inoltre, continua Maas, è nella natura della tradizione medievale che, nel caso di testi poco letti, soltanto raramente dal medesimo archetipo fossero tratte tre copie e che ancor più raramente tutte queste copie o quelle derivate da ciascuna di esse si siano conservate fino ad oggi; nel caso di testi molto letti, invece, sopravviene di solito la contaminazione, e nel campo della contaminazione viene meno il rigore di una stemmatica. All’argomento di ordine statistico del Maas sono state mosse giuste obiezioni. La prima cosa che bisogna confutare è che con tre testimoni, come dice lo studioso, sono possibili 22 tipi stemmatici. Più precisamente si tratta di: 6 combinazioni in cui da un primo codice deriva un secondo e da questo un terzo; 3 combinazioni in cui da uno dei tre codici derivano gli altridue; 3 combinazioni in cui due codici derivano dal terzo attraverso un intermediario perduto; 3 combinazioni in cui da un archetipo perduto son derivati da un lato uno dei codici superstiti e dall’altro un codice perduto da cui, a loro volta, hanno tratto origine gli altri due superstiti; 6 combinazioni in cui un archetipo perduto ha dato origine a due codici superstiti, da uno dei quali è poi derivato il terzo superstite; e, infine, 1 combinazione in cui ciascuno dei tre superstiti è derivato, indipendentemente, da un archetipo perduto. In realtà, l’unico elemento comune ai 22 tipi elencati dal Maas è il fatto che i codici superstiti sono 3. Ma le combinazioni genealogiche di tre codici superstiti di un numero imprecisato di codici originariamente esistiti sono infinite, non 22! Infatti, il metodo delle corruttele ci fa arrivare a stemmi semplificati, perché ci permette di stabilire se due codici AB discendono entrambi da un codice perduto a, ma non ci permette di individuare le eventuali copie intermedie tra a e A e tra a e B. In questo caso si otterebbe uno STEMMA REALE della tradizione. Tuttavia questo stemma reale non è utile ai fini della recensio, ma poiché qui si sta discutendo della probabilità che hanno tre codici di appartenere a uno stemma bipartito o tripartito, non è lecito come fa il Maas trascurare gli stemmi reali. Il problema è insolubile: le probabilità che hanno tre codici superstiti su un numero imprecisato di codici originariamente esistenti di appartenere a uno stemma bipartito o tripartito sono diverse a seconda di quanti manoscritti fanno parte della tradizione originaria. Se invece, oltre al numero dei codici superstiti si precisa anche il numero dei codici originariamente esistenti, allora il calcolo delle probabilità è possibile ma comunque non indica una preponderanza del bipartitismo rispetto al pluripartitismo. Infatti, come dice anche il Castellani, se lo stemma reale è abbastanza ricco, le probabilità di tre codici di appartenere ad uno stemma bipartito o tripartito sono più o meno uguali. Inoltre, un’ulteriore confutazione dell’argomento del Maas è che tra i 22 stemmi da lui ipotizzati, la maggior parte presenta codici descripti che sono inutili alla recensio e, infatti, Bedier aveva sottolineato la frequenza degli stemmi bipartiti dopo aver comunque proceduto all’eliminatio codicum descriptorum. Dunque, si può dire che il problema è che si parte sempre dalla coda e non dalla testa. Quello che bisogna fare è stabilire la filiazione tra i manoscritti, non partire dalle copie e raggrupparle in modo da formare figure stemmatiche. Quindi, bisognerebbe chiedersi piuttosto se da un archetipo è più probabile che siano state tratte due, tre, quattro,… copie e questo NON può essere risolto con un calcolo matematico perché dipende anche dal complesso di condizioni storico-culturali. Il secondo argomento del Maas è più di tipo storico-empirico (“è nella natura della tradizione medievale che, nel caso di testi poco letti, soltanto raramente dal medesimo archetipo fossero tratte tre copie e che ancor più raramente tutte queste copie o quelle derivate da ciascuna di esse si siano conservate fino ad oggi”). Il riferimento ai testi poco letti può sì spiegare la manzanza di stemmi a 10 rami, ma non basta a spiegare il divario tra stemmi bipartiti e stemmi tripartiti. Secondo il Maas, le sole tradizioni a un unico ramo e due rami costituivano le tradizioni povere, a partire da tre rami le tradizioni sono da considerarsi ricche. Non è affatto così, perché la tradizione tripartita è di pochissimo più ricca di una bipartita. Di quell’argomento è giusto solo il riferimento alla contaminazione, ma anche in questo caso Maas commette un errore poiché afferma che la tradizioni bipartite sono esenti dalla contaminazione, al contrario di quelle tripartite in cui la contaminazione sarebbe tale da cancellare ogni rapporto genealogico. Ma allora le condizioni della trasmissione dei testi del Medioevo possono spiegare la maggioranza degli stemmi bipartiti? Castellani fa giustamente notare che la grande diffusione di un testo non è necessariamente connessa allo stemma a molti rami questo perché si utilizzava il metodo della PRODUCTION MAXIMUM che consiste in questo: chi vuole ottenere un certo numero di copie da un manoscritto nel più breve tempo non farà copiare il modello tante volte quante sono le copie desiderate, ma piuttosto farà copiare il modello una prima volta, per poi far copiare contemporaneamente da due diversi copisti il modello e la prima copia e così via. Questo metodo si adatta maggiormente alle opere degli autori medievali, perché è più probabile che, nel Medioevo, un testo classico venisse copiato 1 volta o 2 e poi mandato altrove e da quel codice, a distanza di anni, fosse tratta un’altra copia e così via. D’Arco Silvio Avalle, invece, spiega che la bipartiticità di tanti stemmi dipenderebbe dal procedimento di “pecia embrionale”: il modello sarebbe smembrato in due parti, due copisti ne avrebbero copiato metà ciascuno e si sarebbero poi scambiate le parti. Il sistema della pecia in
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