Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Fine Repubblica Romana: crisi politica ed economica (367 a.C.-133 a.C), Appunti di Storia Romana

La fase conflittuale tra Patrizi e Plebei nella Roma antica, dal 367 al 133 a.C. La crisi economica e politica portò a scontri su vari piani, tra cui la caduta del dominio etrusco in Campania e la richiesta di maggiori diritti da parte della Plebe. Il documento illustra come la Plebe ottenne organismi politici come l'assemblea generale e i tribuni, e come la struttura militare cambiò con l'affermazione del modello tattico della falange. Il documento conclude con la legge Ortensia e la riorganizzazione politica della Roma.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 18/10/2022

rossella-raimondo
rossella-raimondo 🇮🇹

4.3

(3)

6 documenti

1 / 6

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Fine Repubblica Romana: crisi politica ed economica (367 a.C.-133 a.C) e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Le tre fasi della Repubblica: dal 509 al 367 a.c. -> fase conflittuale tra patrizi e plebei dal 367 al 133 a.c. -> fase dell’espansione di Roma dal 133 and 27 a.c. -> fine della Repubblica Crisi economica e politica: il conflitto tra patrizi e plebei interessò piani diversi. La caduta dei Tarquini e i mutamenti nel quadro internazionale della prima metà del V secolo a.C. eb- bero pesanti ripercussioni in primo luogo sul piano economico: • la sconfitta subita dagli Etruschi ad opera di Ierone di Siracusa nella battaglia navale combattuta nelle acque davanti a Cuma, nel 474 a.C., portò al definitivo crollo del dominio etrusco in Campania, causando indirettamente un grave danno per la stessa Roma, che era prosperata anche grazie alla sua funzione di punto di passaggio sul Tevere lungo la via commerciale che conduceva dall’Etruria alle città etrusche della Campania; • la vendita del sale raccolto nelle saline di Ostia soffrì assai probabilmente per il protrarsi delle ostilità con i Sabini, che controllavano il percorso che sarà noto col nome di via Salaria; • lo stato quasi permanente di guerra tra Roma e i suoi vicini provocò poi continue razzie e devastazioni dei campi. Al mutato quadro esterno fanno riscontro crescenti difficoltà interne: • le annate di cattivo raccolto che si successero numerose nel corso del V secolo a.C., provocando gravi carestie; • la popolazione, indebolita dalla fame, venne ripetutamente colpita da epidemie. Gli effetti dei cattivi raccolti e delle malattie colpivano in particolare i piccoli agricoltori, che avevano minori possibilità di fronteggiare le temporanee difficoltà e spesso, per sopravvivere, si trovavano costretti a indebitarsi nei confronti dei più ricchi proprietari terrieri, in particolare chiedendo loro in prestito le sementi. Accadeva di frequente che il debitore, incapace di estinguere il proprio debito, fosse costretto a porsi al servizio del creditore per ripagarlo del prestito e dei forti interessi maturati: è l’istituto del nexum, che riduceva coloro che ne erano vincolati ad una condizione non dissimile a quella di uno schiavo. Davanti alla crisi economica, i plebei chiedevano di essere tutelati attraverso: • la riduzione dei tassi di interesse sui prestiti; • l’acquisizione di maggiore quantità di terra così da poter sfamare i propri familiari; • una maggiore porzione di ager publicus. Le tre principali rivendicazioni della plebe erano: • la possibilità di accedere al consolato poiché si riteneva che fosse ingiusto che i patrizi potessero accedervi, mentre ai plebei ricchi non era concesso. • la codificazione delle leggi: era tutto in mano ai patrizi, che decidevano l’assetto politico e civile dei cittadini, ma non erano leggi ugualitarie, tantomeno erano leggi scritte. La scrittura della leggi avrebbe comportato una riduzione del potere patrizio. • la mitigazione dei debiti: bisognava contrastare la povertà e ridurre i debiti. Tale aspetto parte in questa fase, ma segnerà tutta l’età della Repubblica e porta avanti le istanze dei ceti medio-bassi che avevano difficoltà economiche e che erano costretti a indebitarsi per andare avanti. Chi era debitore era sottoposto a condanne terribili e rischiava di perdere la libertà (c’era infatti il nexum: rapporto di dipendenza tra debitore e creditore). Le strutture militari e la coscienza della plebe: i problemi politici ed economici non furono gli unici fattori che portarono al confronto tra i due ordini: dietro di esso vi è anche la pro- gressiva presa di coscienza della propria importanza da parte della plebe. Nella città antica l’esercizio dei diritti civici da parte del singolo è direttamente connesso alle sue capacità di difendere lo Stato con le armi. Si potrebbe anzi affermare che la relazione tra diritti politici e doveri militari ha un carattere strutturale. A Roma questa circostanza è dimostrata nel modo più chiaro dall’ordinamento centuriato. Le centurie infatti non furono solamente, come si è visto, unità di voto all’interno dell’assemblea popolare, ma rimasero anche, per tutta la prima età repubblicana, unità di reclutamento dell’esercito. In considerazione della strettissima correlazione esistente tra ordinamento politico e ordinamento militare è del tutto ovvio dunque che anche la presa di coscienza della plebe fosse il risultato di un muta- mento nella struttura dell’esercito: proprio nel V secolo a.C. si afferma definitivamente un nuovo modello tattico, secondo il quale fanti con armatura pesante (gli opliti, per usare un termine greco) combattono l’uno a fianco dell’altro in una formazione chiusa, la falange. L’ordinamento oplitico-falangitico, che Roma eredita dal mondo greco attraverso l’interme- diazione etrusca, eclissa progressivamente il modello di combattimento aristocratico, fon- dato su una cavalleria di nobili seguiti da una turba di clienti con armamento leggero. Il nerbo dell’esercito romano sarà d’ora in poi costituito dalla fanteria pesante, reclutata tra le classi di censo in grado di sostenere i costi dell’armamento oplitico, che rimase a lungo a carico dei singoli soldati e non dello Stato. È importante il fatto che la legione era reclutata su base censitaria, dunque indifferentemente tra aristocratici e gente del popolo, tra patrizi e plebei. Nelle guerre quasi sempre vittoriose del V e del IV secolo a.C. si rinsalda la convin- zione che gli uomini decisivi sul campo di battaglia non potessero essere ridotti ad un ruolo di comprimari nella vita politica, economica e sociale dello Stato. L’Olpe Chigi, da Veio, ca. metà VII secolo, è una ceramica protocorinzia, che rappresenta e illustra come si combatteva all’epoca: come già accennato, si inizia a combattere per schie- ramento oplitico, che altro non è che un riflesso del modo in cui la citta-stato è formata (cioè cittadini armati, ma solidali tra loro). La domanda che aleggia è fondamentalmente questa: perché io, in quanto plebeo, ho la stessa possibilità di morire del patrizio quando sono in guerra, ma poi mi trovo più in basso del patrizio in tempo di pace? Emerge quindi il senso dell’ingiustizia. Emerge pertanto una presa di coscienza da parte dei cittadini a partire dai tre problemi di cui sopra. La prima secessione dell’Aventino e il tribunato della plebe Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C. La plebe, esasperata dalla crisi economica, ricorse a quella che si rivelerà essere l’arma più efficace nel confronto tra i due ordini: una sorta di sciopero generale che lascia la città priva della sua forza lavoro e, soprattutto, indifesa contro le aggressioni esterne. Questa forma di protesta venne attuata dalla plebe ritirandosi sull’Aventino, il colle di Roma maggiormente legato alle tradizioni plebee, e prese dunque il nome di secessione. Qui i plebei presero alcune risoluzioni. In particolare in occasione della prima secessione la plebe si diede propri organismi politici: in primo luogo un’assemblea generale, che dapprima votava probabilmente per curie, poi, a partire forse dal 471 a.C., per tribù, ed è dunque nota col nome di concilia plebis tributa. L’assemblea poteva emanare dei provvedimenti, che prendevano il nome di plebiscita («decisioni della plebe»), che inizialmente non avevano valore vincolante per lo Stato nel suo complesso, ma solamente per la plebe stessa che li aveva votati. Il cammino verso la completa assimilazione dei plebisciti alle leggi dello Stato ha il suo atto finale nella legge Ortensia del 287 a.C. origine poteva essere ricoperta solo dai patrizi, ma dal 339 a.C. le Leges Publiliae  stabilirono che uno dei censori dovesse essere di estrazione plebea. I censori erano una delle più alte magistrature della Roma antica assieme ai consoli, ai pretori, agli edili e ai tribuni della plebe. I censori erano sempre in numero di due ma, pur avendo funzioni importanti, erano privi di imperium. Venivano eletti direttamente dai comizi centuriati. All'inizio la durata in carica era di cinque anni, il periodo fu diminuito in modo da non superare i 18 mesi. L'elezione rimase comunque a cadenza quinquennale. I censori si occupavano principalmente del censimento della popolazione, della cura morum (cioè della sorveglianza sui comportamenti individuali e collettivi) e della lectio senatus. Si tratta di magistrati di grande prestigio, ma senza imperium. Le leggi Licinie-Sestie 367 a.c.: vengono votate dai due tribuni della plebe, Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, le leggi Licinie-Sestie. Tali leggi contengono: a) Provvedimenti contro l’indebitamento: gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme avute in prestito potessero essere detratti dal totale del capitale dovuto e che il debito residuo fosse estinguibile in tre rate annuali. b) Leggi sul possesso di ager publicus: stabiliva inoltre un’estensione massima di terreno di proprietà demaniale che poteva essere occupato da un privato: le fonti parlano di una misura di 500 iugeri, equivalenti a circa 125 ettari. c) Ripristino del consolato: la legge sanciva l’abolizione del tribunato militare con potestà consolare e la completa reintegrazione alla testa dello Stato dei consoli, uno dei quali avrebbe dovuto essere sempre plebeo. Il compromesso raggiunto fornì anche l’occasione per precisare il quadro delle magistrature repubblicane. Nel 366 a.C. vennero infatti create due nuove cariche, inizialmente riservate ai soli patrizi e dunque considerate come una sorta di compenso alla perdita del monopolio sul consolato; tali cariche sottrassero alcune incombenze alla massima magistratura, ora accessibile anche ai plebei, alleviando indubbiamente i suoi compiti, ma allo stesso tempo privandola di alcuni poteri. Il pretore fu la prima nuova carica: il pretore aveva il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani (nel 242 a.C. questo praetor urbanus venne affiancato da un praetor peregrinus, incaricato di dirimere le controversie che potevano opporre un cittadino romano ad uno straniero); dotato di imperium, il pretore poteva, in caso di necessità, essere messo alla testa di un esercito, anche se i suoi poteri erano subordinati a quelli dei consoli. La seconda nuova carica fu quella degli edili curuli: nel medesimo anno vennero eletti due edili curuli, così chiamati dalla sella curulis, lo scranno sul quale sedevano i magistrati patrizi, che li distingueva dagli edili della plebe. Agli edili curuli venne inizialmente affidato il compito di organizzare i Ludi maximi o Ludi romani, i giochi connessi con il culto di Giove Ottimo Massimo che in precedenza erano gestiti dai consoli. Nella prassi del governo repubblicano tuttavia vediamo i due edili curuli avere competenze assai simili a quelle dei loro due colleghi plebei: oltre che dell’organizzazione dei giochi, questi magistrati minori si occupavano dunque dell’ordine pubblico e della sicurezza di Roma, delle strade e degli edifici pubblici della città, dell’approvvigionamento e dei mercati; su tali materie gli edili curuli possedevano anche un diritto di giurisdizione. La lex Petelia Papiria 326 a.c. aboliva la schiavitù per debiti: la fine di questo istituto certamente non segnò la soluzione del problema dei debiti, che si ripresenterà regolarmente nel seguito della storia di Roma, ma certo segnò un momento importante di trasformazione delle condizioni economiche, imponendo di sostituire in qualche modo i nexi come forza lavoro: nei decenni successivi in effetti si assiste a un sempre più massiccio impiego di prigionieri di guerra ridotti in condizione di schiavitù. Al di là degli effetti della legge Petelia Papiria, la più efficace risposta ai problemi economici della plebe venne dalle conquiste, che misero a disposizione vaste estensioni di terre, divise e assegnate individualmente, oppure sfruttate per la creazione di colonie La Lex Hortensia (287 a.c.) rende validi i plebisciti: a partire dal 287 a.C. i comizi tributi e l’assemblea della plebe, i concilia plebis tributa, di fatto erano accomunati da un uguale sistema di voto per tribù e da uguali poteri. Sostanzialmente identica era anche la loro composizione, sebbene ai comizi tributi prendessero parte anche i patrizi, che ovviamente erano esclusi dai concilia plebis. La nobilitas patrizio-plebea: le leggi Licinie Sestie e le grandi conquiste della plebe tra la fine chiusero per sempre l’età del dominio esclusivo dei patrizi sullo Stato. Molte delle vecchie stirpi patrizie videro il loro potere eclissarsi e al loro posto si venne formando progressivamente una nuova aristocrazia, formata dalle famiglie plebee più ricche e influenti e dalle stirpi patrizie che meglio avevano saputo adattarsi alla nuova situazione e unita da vincoli familiari e ideali e da interessi comuni. A questa nuova élite si è soliti dare il nome di nobilitas, da nobilis, termine che aveva il significato originario di «noto, illustre» e che venne a designare tutti coloro che avevano raggiunto il consolato (e probabilmente, almeno in un primo periodo, la pretura) o che discendevano in linea diretta da un console (o da un pretore). La nobiltà patrizio-plebea si rivelò non meno gelosa delle proprie prerogative del vecchio patriziato, anche se mai si giunse a una chiusura completa. In pratica l’accesso alle magistrature superiori era di regola riservato ai membri di poche famiglie, anche se questo monopolio non si basava su norme scritte, ma sullo stretto controllo dell’opinione pubblica e del corpo elettorale. Tanto esclusiva divenne la nobilitas che per i pochi personaggi che raggiunsero i vertici della carriera politica pur non avendo antenati nobili venne coniata una definizione specifica, quella di homines novi, anche se appartenevano a famiglie ricche e di un certo prestigio sociale. Cursus honorum: la carriera politica a Roma avviene per Cursus Honorum. Il cursus honorum era l'ordine sequenziale degli uffici pubblici tenuti dall'aspirante politico sia durante il periodo repubblicano, sia nei primi due secoli dell'Impero romano. Fu creato inizialmente per gli uomini di rango senatoriale. Poi sotto l'alto Impero, essendo i cittadini divisi in tre classi (ordine senatorio, equestre e plebei), i membri di ciascuna classe potevano fare una ben distinta carriera politica (cursus honorum). Le magistrature tradizionali erano disponibili solo per i cittadini dell'ordine senatorio. Le magistrature che sopravvissero alla fine della Repubblica erano, in ordine di importanza nel cursus honorum: il consolato, la pretura, il tribunato plebeo, l'edilità, la questura e il tribunato militare. Per queste cariche non conta più essere plebeo o patrizio, ma si viene presi per nobilitas o per meritocrazia
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved