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seconda parte riassunti storia dell'arte, Sintesi del corso di Storia dell'arte contemporanea

parte II riassunti per storia dell'arte contemporanea

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 18/01/2020

OpseJane
OpseJane 🇮🇹

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Scarica seconda parte riassunti storia dell'arte e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! OPERE GIOTTO Ascensione di San Giovanni Evangelista San Giovanni Evangelista, riconoscibile per la penna e il cartiglio con alcuni versi del suo Vangelo, è raffigurato a mezza figura, rivolto verso destra. Indossa un manetllo dal panneggio pesante ed ha una fisionomia simile a quella del santo che compare nelle storie dell'evangelista della Cappella Peruzzi. Questa tavola, come il San Lorenzo, conserva anche la cuspide con un angelo a mezza figura, reggente un globo e un'asta. La superficie pittorica appare rovinata da restauri impropri, ma Gnudi, Salvini e altri lo riferirono direttamente a Giotto. La scena: episodio presente nella Leggenda Aurea, derivato da fonti incerte, che oggi è escluso dall'agiografia ufficiale del santo. Nella sua abitazione di Efeso Giovanni è trascinato in cielo da Gesù, comparso tra gli angeli in un'emanazione luminosa e aiutato da san Pietro, primo apostolo. Giovanni si leva in obliquo passando da un'apertura nel soffitto e scivolando fuori dalla fossa che si era fatto scavare quando, ormai prossimo a morire, aveva ricevuto l'annuncio della sua dipartita da Dio. Il santo ha il corpo inclinato e le braccia levate, nella tipica iconografia dell'ascensione in generale, presente anche, ad esempio, nella scena dell'Ascensione di Cristo della Cappella degli Scrovegni. Giustamente nota è l'invenzione architettonica della scena, con l'edificio che assomiglia a una basilica finemente decorata (ad esempio dai fregi cosmateschi), per metà coperto da volta a botte e per metà, oltre l'apertura, coperto da una sorta di terrazza con parapetto. In basso sta una serie di testimoni, colti dalla sorpresa: c'è chi guarda incredulo la fossa vuota, chi solleva le braccia per lo stupore, chi alza il berretto per vedere la prodigiosa dipartita. Una figura vestita di rosso sta sdraiata in terra. MICHELANGELO – studio di due figure (approfondimento delle due figure in basso a sx) Michelangelo nella sua giovinezza compì apprendistato sulle opere di Giotto. Sceglie infatti figure dell’opera “ascensione di San Giovanni Evangelista”; le quali si accomunano per l’angolo retto. Michelangelo sofferma i suoi studi soprattutto sulla figura umana come blocco, dallo spunto dell’artista Giotto. Come lui, si concentra sulla posizione dei personaggi, ma Giotto preferiva le figure in cerchio, tridimensionalmente, Michelangelo la prepotenza della figura. “SPOSALIZIO DELLA VERGINE” Confronto: RAFFAELLO Vs PERUGINO RAFFAELLO: più prospettiva e profondità; linee di fuga convengono nella porta. Il tempio entra nell’opera per intero; sposi sono in primo piano. Raffaello anticipa i temi tipici del 500; figure che non sono solo collocate nello spazio ma interagiscono. Cogliamo da una parte il legame con il maestro Perugino e, da un’altra, il superamento. Si ispira a Leonardo per la rappresentazione delle relazioni tra mondo-uomo e uomo-mondo. DA VINCI Paesaggio con Fiume L'opera proviene dal Fondo Mediceo Lorenese. La firma sul di segno, scritta con l'inconfondibile scrittura mancina speculare di Leonardo, riporta "Dì de Sta Maria della Neve / Adì 5 daghosto 1473". Si tratterebbe del "primo disegno di puro paesaggio" nell'arte occidentale, trattato cioè con dignità autonoma, svincolato da un soggetto sacro o profano. Temi naturali, rapporto con l tradizione-innovazione. Leonardo si pone il problema se la natura possa essere rappresentata dalla prospettiva. Fondo non definito e tracciato con figure, linee prospettiche quattrocentesche. Leonardo è attratto non più solo dalla prospettiva, ma dal movimento (ad esempio il movimento delle foglie e dell’acqua). La scena mostra un paesaggio fluviale, probabilmente il Valdarno Inferiore da dove Leonardo era originario. Tra due promontori scoscesi, punteggiati da castelli e da altri segni della presenza umana, si apre la veduta di un fiume, con alberi, cespugli e in lontananza campi coltivati. Il disegno poteva essere uno schizzo preparatorio per un paesaggio in un'opera più complessa, o un esercizio del giovane artista a quel tempo allievo di Andrea del Verrocchio; è anche possibile però che fosse eseguito solo per piacere personale, stando anche alla passione di Leonardo citata dal Vasari verso "il disegnare et il fare di rilievo, come cose che gl'andavano a fantasia più d'alcun'altra". L'autografia leonardesca appare anche confermata dallo stile dell'opera, somigliante ad altri suoi paesaggi, e alla notevole capacità di rendere l'effetto del connettivo atmosferico, che lega il vicino e il lontano come se potesse circolarvi realmente "l'aria". L'artista usò un tratto leggero per evocare il vento tra gli alberi e uno più spesso per le rocce e le cadute d'acqua, mentre per il castello a strapiombo usò contorni netti[2]. L'opera venne probabilmente tratta dal vero e comunque contiene vari spunti reali che a Leonardo dovevano essere ben presenti per la sua infanzia trascorsa il campagna, nella casa del nonno a Vinci. Madonna del garofano In una stanza scura, rischiarata da due bifore sullo sfondo aperte sul paesaggio, si trova Maria in piedi, rappresentata a mezzobusto, davanti a un parapetto su cui sono appoggiati un vaso vitreo con fiori, un ampio lembo del manto della Vergine e, su un soffice cuscino, il paffuto Gesù Bambino, ritratto nudo.Maria, dall'espressione leggermente malinconica, guarda il figlio e gli porge ungarofano rosso, il cui colore ricorda il sangue della Passione, ma anche del matrimonio mistico tra madre e figlio, cioè Cristo e la sua Chiesa; il Bambino, seduto, allunga le mani verso il fiore, quasi contorcendosi, ma il suo sguardo è assente, verso il cielo, quasi a simboleggiare l'accettazione della sua tragica sorte e il rimettersi nelle mani del Padre.La Vergine è riccamente abbigliata, con una veste rossa di tessuto leggerissimo, forse seta, e un mantello azzurro foderato di giallo che le lascia scoperte le maniche, producendo alcune ampie pieghe. Il mantello è chiuso sul petto da una spilla contopazio circondato da perle, simboleggianti castità, pudicizia e purezza. La sua acconciatura è elaborata, con trecce che incorniciano la fronte e reggono un velo semitrasparente, dal quale ricadono riccioli dorati ai lati del volto.Il paesaggio, in lontananza oltre le finestre, è articolato su più piani e mostra una vallata e una serie di montagne che sfumano nella foschia in una luce chiarissima. Stile. L'opera, con alcuni caratteri già preannunciati nella Madonna Dreyfus, segna un'evoluzione nell'arte del giovane Leonardo, con riferimenti all'arte fiamminga più precisi e diretti (la complessa illuminazione della stanza, la presenza del parapetto, la "natura morta" del vaso di fiori). I protagonisti affiorano dalla penombra colti da una luce frontale, che ne enfatizza la monumentalità, senza difetti di rigidità: a tal proposito si noti come affonda dolcemente la mano di Maria nel tenero corpo del figlio. Alcune evidenti derivazioni da Verrocchio confermano l'appartenenza dell'opera alla fase giovanile del pittore: l'impianto compositivo, la delicatezza quasi trasparente degli incarnati, la sobria ma realistica gestualità tra madre e figlio, nonché lo zoccolo su cui si trova il vaso, decorato da girali che ricordano l'ara nell'Annunciazione ispirata a sua volta alla tomba di Piero e Giovanni de' Medici di Verrocchio. Il volto di Maria ricorda da vicino quello presente nell'Annunciazione degli Uffizi. Altri elementi contengono invece, in nuce, stilemi dell'artista maturo: il paesaggio roccioso, il panneggio giallo annodato come un vortice, l'acconciatura raffinata della Vergine che venne riutilizzata nella Leda con il cigno. Segue la scia naturalistica del maestro Piero della Francesca in “Madonna di Senigallia”: è un utile confronto; opere dello stesso periodo. Squarcio naturale dietro. Dinamismo: bambino più umano e messo in risalto dal rapporto materno; non durezza del chiaroscuro Masaccesco, ma nemmeno le tarsie di Piero della Francesca. Vengono contestualizzate le figure con l’ambiente. Allievo di Verrocchio, nella reazione emotiva che scaturisce dal gesto materno, ma anche pensieroso perché sa cosa accadrà; garofalo rosso passione. Il bambino che si agita è una reazione che determina il movimento: Leonardo fa approfondimento serio alla bottega di Verrocchio: si lavora sui disegni che devono essere più vicino possibile allo stile del maestro”Rilievo deve essere rilievo, forza plastica”. Annunciazione Il tema dell'Annunciazione, viene rappresentata da un lato in maniera del tutto innovativa da Leonardo da Vinci perchè la tradizione vuole che la scena sia ambientata in un luogo chiuso mentre in quest'occasione i personaggi sono posti all'esterno, però rimane la classicità della posizione delle figure, Maria a destra e l'angelo dalla parte opposta rivolta verso di lei. La Madonna è seduta in un angolo di un palazzo, posizionata dietro a un sarcofago decorato a motivi classici ripresi dal maestro Verrocchio, mentre sta sfogliando un libro con la mano destra mentre con la sinistra fa un segno di accettazione. L'angelo è appena atterrato sull'erba e sta chiudendo le sue ali, a differenza degli angeli tradizionalmente rappresentati non ha ali di pavoni. Con una mano sta benedicendo Maria e con l'altra tiene il giglio simbolo di purezza. Il primo piano è diviso dallo sfondo da un muretto, nel paesaggio si vedono un fiume, montagne e alberi. Nello spazio dei personaggi l'artista dipinge in maniera molto particolare e dettagliato mentre gli oggetti più lontani sono come avvolti in una foschia. Ritratto di Ginevra de’ Benci Il ritratto mostra una fanciulla a mezzobusto, su sfondo scuro e dietro un parapetto alla fiamminga, ritratta con una doppia torsione: il busto è infatti voltato a sinistra, mentre la testa è frontale, come richiamata all'attenzione da qualcosa. Il bel volto si offre alla contemplazione dello spettatore tuttavia deviando il suo sguardo lateralmente, senza stabilire un contatto visivo, accrescendo un senso di enigmatica inaccessibilità. Il repentino volgere degli occhi dà un senso di energia trattenuta e vitalità straordinaria, garantendo una penetrante introspezione psicologica.Come nel Ritratto di Cecilia Gallerani l'abbigliamento della dama è molto curato, ma non sfarzoso, senza bisogno di ostentare vistosi gioielli. Essa indossa un vestito con scollatura rettangolare dotato, secondo la moda del tempo, di maniche estraibili e intercambiabili, in questo caso legate da lacci che mostrano gli sbuffi della camicia bianca sottostante. Al collo la dama ha una sottile collana bicolore, avvolta in tre cerchi stretti e che ricade, annodata a un nastro, sul petto. Come Cecilia, porta un sottile filo annodato sulla fronte che tiene ferma la capigliatura e mostra un piccolo rubino incastonato al centro. Ultima cena Dipinta durante il soggiorno a Milano: dipinta a secco; committente: Federico il Moro. Il dipinto è dell’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Usa pavimento quadrettato e cenacolo. Prospettico: personaggi sul fondo e Giuda sta in disparte rispetto agli altri; dietro personaggi troviamo un paesaggio molto legato al primo Rinascimento. Leonardo crea uno spazio perfetto: inserisce i personaggi, il cenacolo in primo piano e non sullo sfondo; la prospettiva accentuata fa da sfondo: le teste permettono di vedere il paesaggio. Le figure di Leonardo sono agiate; le emozioni si mostrano tramutate in movimento. La scena rappresenta il momento dell’annuncio del tradimento: i personaggi sono posti in 4 gruppi di 3 e Giuda non è messo in disparte. La svolta principale è la tavolata in primo piano che da importanza alla massa corporea e alle emozioni: gli effetti di luccichio e brillio sono importanti. Forti elementi di transizione ma anche del 400. Il dipinto si basa sul Vangelo di Giovanni 13:21, nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi apostoli. L'opera si basa sulla tradizione dei cenacoli di Firenze, ma come già Leonardo aveva fatto con l'Adorazione dei Magi, l'iconografia venne profondamente rinnovata alla ricerca del significato più intimo ed emotivamente rilevante dell'episodio religioso. Leonardo infatti studiò i "moti dell'animo" degli apostoli sorpresi e sconcertati all'annuncio dell'imminente tradimento di uno di loro. Leonardo utilizzò una singolare tecnica sperimentale a base di tempera grassa su intonaco. La tecnica dell'affresco infatti poco si addiceva alla maniera di operare dell'artista, fatta di continui ripensamenti, aggiunte e modifiche successive. L'affresco necessita di un'esecuzione rapida: i colori devono essere stesi prima che l'intonaco si asciughi. Leonardo invece scelse di dipingere il soggetto su muro come se l'esecuzione avvenisse su tavola. A causa dell'umidità del luogo il dipinto murale versa da secoli in un cattivo stato di conservazione. Il soggetto si ispira al brano del Vangelo di Giovanni nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi apostoli. La composizione dell'opera segue la tradizione dei cenacoli di Firenze, con interventi originali che puntano a rendere intimo ed emotivo il messaggio. Dentro la scatola prospettica della stanza, rischiarata da tre finestre sul retro e con l'illuminazione frontale da sinistra che corrispondeva all'antica finestra reale del refettorio, Leonardo ambientò in primo piano la lunga tavola della cena. Al centro compare la figura isolata di Cristo, con le braccia distese in una posa quasi piramidale. Ha il capo reclinato, gli occhi socchiusi e la bocca discostata: sembra che abbia appena terminato di dare la triste notizia. Leonardo si concentra sulle reazioni, i cosiddetti "moti dell'animo", degli apostoli sorpresi e sconcertati all'annuncio dell'imminente tradimento di uno di loro. Attorno a Cristo gli apostoli sono disposti in quattro gruppi di tre, diversi, ma equilibrati simmetricamente. L'effetto è quello di successive ondate che si propagano a partire dalla figura del Cristo. Sembra quasi che le reazioni degli apostoli più vicini alla figura di Gesù siano più intense e che diventino più moderate e incredule man mano che ci allontana dal soggetto. Sopra l'Ultima Cena si trovano tre lunette, in larga parte autografe. Contengono la narrazione delle imprese degli Sforza entro ghirlande di frutta, fiori e foglie, e iscrizioni su sfondo rosso. (confronto) con DOMENICO GHIRLANDAIO-L’ ULTIMA CENA riprese delle tavolate, ma modifiche di carattere compositivo del Ghirlandaio. Monumento equestre a Francesco Sforza (progettato dal 1482 al 1493) Federico Sforza di Ludovico il Moro: Leonardo non è riuscito a completare il bronzo (opera). Modello: Gattamelata di Donatello e il monumento equestre del suo maestro Verrocchio. A differire dai suoi modelli, il cavallo di Leonardo è imbizzarrito per far risaltare il monumento: Leonardo posizione il cavallo come se stesse schiacciando un nemico con le zampe anteriori, soprattutto per farlo reggere e dargli un pinto d’appoggio. Dopo aver interrotto i lavori per il monumento equestre e aver litigato Federico Sforza, comincia a pensare a delle modifiche da apportare al monumento; pensa infatti di rifarsi ad un modello più classico ma non termina l’opera perché i francesi occupano Milano e cacciano gli Sforza. Michelangelo ha un’educazione libera rispetto a quello di Leonardo. Michelangelo lavora per i Medici. Studio per il monumento a Giovan Giacomo Trivulzio Prima pensa allo studio per Federico Sforza poi studia diretto del Gattamelata; fa studi di posizione della testa del cavallo e dell’arma. Non finisce il monumento perché va a Roma; intanto a Firenze torna Michelangelo per un grande progetto. Ritratto di Lisa Gherardini moglie di Francesco del Giocondo, detta La Gioconda o Monna Lisa) Ha subito molti passaggi e fasi di pittura. A Firenze abbondano i tanti scuri agli sfondi naturali. Leonardo, nello studio per ritratto femminile di Raffaella, comprendiamo che alle spalle vi era una loggiacontatto con la natura, ma non diretto. Monna Lisa è una donna sobria, composta: sa stare in società, non ostenta gioielli; gran signora e molto signorile. Guarda l’osservatore, percepisce la presenza (non come la donna con l’ermellino che si distrae). Non è un sorriso, ma una reazione emotiva a chi gli sta di fronte. Effetti di luce sulle maniche; muore dopo, nel 1516 si trasferisce in Francia da Francesca I nel 1517. l ritratto mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra, ma con il volto pressoché frontale, ruotato verso lo spettatore. Le mani sono dolcemente adagiate in primo piano, mentre sullo sfondo, oltre una sorta di parapetto, si apre un vasto paesaggio fluviale, con il consueto repertorio leonardesco di picchi rocciosi e speroni. Indossa una pesante veste scollata, secondo la moda dell'epoca, con un ricamo lungo il petto e maniche in tessuto diverso; in testa indossa un velo trasparente che tiene fermi i lunghi capelli sciolti, ricadendo poi sulla spalla dove si trova appoggiato anche un leggero drappo a mo' di sciarpa. La bocca. Alla perfetta esecuzione pittorica, in cui è impossibile cogliere tracce delle pennellate grazie al morbidissimo sfumato, Leonardo aggiunse un'impeccabile resa atmosferica, che lega indissolubilmente il soggetto in primo piano allo sfondo, e una profondissima introspezione psicologica. Se l'impostazione, col paesaggio sullo sfondo, affonda le radici nella ritrattistica umanistica del Quattrocento (come il Doppio ritratto dei duchi d'Urbino di Piero della Francesca), la straordinaria naturalezza del personaggio, così diversa dalle pose ufficiali e "araldiche" dei predecessori, ne fa una pietra miliare della ritrattistica con cui si apre il Rinascimento maturo. Lo sfondo. Il quadro di Leonardo fu uno dei primi ritratti a rappresentare il soggetto davanti a un panorama ritenuto, dai più, immaginario. Una caratteristica interessante del panorama è che non è uniforme. La parte di sinistra è evidentemente posta più in basso rispetto a quella destra. Questo fatto ha portato alcuni critici a ritenere che sia stata aggiunta successivamente. La Gioconda si trova in una specie di loggia panoramica, come dimostrano le basi di due colonne laterali sul parapetto; una copia seicentesca mostrerebbe la composizione originaria in cui è visibile la parte architettonica successivamente mutilata.Considerando la grande cura di Leonardo per i dettagli, molti esperti ritengono che non si tratti di uno sfondo inventato, ma rappresenti anzi un punto molto preciso della Toscana, cioè là dove l'Arno supera le campagne di Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana. C'è un indizio preciso sulla destra della Gioconda oltre la spalla, è un ponte basso, a più arcate, cioè un ponte antico, a schiena d'asino distile romanico, un ponte identico al ponte a Buriano che scavalca tutt'oggi l'Arno e che venne costruito a metà del XIII secolo, quando Arezzo attraversava un periodo di grande prosperità. Sopra le sue arcate passa l'antica via Cassia che collega Roma, Chiusi, Arezzo e Firenze.Leonardo conosceva bene questo ponte, perché aveva studiato a fondo questa zona, come testimonia un disegno datato tra il 1502 e il 1503 che descrive il bacino idrico della Val di Chiana (oggi alla Royal Library di Windsor), in cui si intravede anche il ponte a Buriano; è una prova che Leonardo aveva ben in mente la geografia di questi luoghi. Poco distante dal ponte, l'Arno riceve le acque di un immissario, il canale della Chiana nel quale confluiscono le acque dell'omonima valle. Se si risale il corso di questo canale, andando a ritroso, bisogna superare una serie di meandri e poi ci si infila in una gola, laGola di Pratantico. Se si osserva il lato sinistro della Gioconda, si vede un corso d'acqua con meandri che si infila in una stretta gola. Inoltre i rilievi a sinistra della Gioconda sono verticali, aguzzi, scavati dall'erosione e in effetti, oltre il ponte, continuando la vecchia via Cassia, si arriva in un'area in cui si possono osservare i calanchi, delle bizzarre formazioni rocciose, erose dalle piogge e dai millenni.Leonardo deve essere rimasto molto colpito da queste forme, come artista per la loro spettacolarità, e come studioso, per il modo in cui si sono formate, che ben si adattava al suo pensiero, cioè che la terraferma non è immobile, ma si rimodella e si trasforma in modo tumultuoso sotto l'azione erosiva dell'acqua. È un tipo di rilievi, verticali e frastagliati, che si ritrovano in altre opere di Leonardo, come la Madonna dei Fusi, il Cartone di sant'Anna e la Vergine delle Rocce. Grazie ai vari elementi individuati (ponte, confluenza e gola) è stato possibile ricostruire con un computer, l'angolo di prospettiva e capire il punto esatto dell'osservazione di Leonardo: corrisponde al borgo di Quarata che aveva allora un castello, oggi scomparso, e che forniva un ottimo punto di osservazione rialzato.Si tratta ovviamente di un'ipotesi, gli indizi sono molto incoraggianti, ma non si tratta di "prove schiaccianti"; in effetti, alcuni ritengono che i paesaggi di Leonardo non siano aretini, ma prealpini, dei dintorni di Lecco, delle paludi pontine o, come è forse più probabile, di luoghi inventati e idealizzati sulla base di ricordi e sensazioni e della composizione di elementi appartenenti ad aree diverse che l'artista aveva potuto osservare nel corso dei suoi viaggi.Altre ipotesi hanno pensato che il paesaggio vada letto attraverso uno specchio: forse venne ricavato con la camera oscura leonardiana. In questo caso potrebbe assomigliare al Lago di Iseo col profilo della Corna Trentapassi. Alcuni hanno affermato, confrontando i paesaggi del dipinto con alcune fotografie, che i paesaggi sarebbero quelli delMontefeltro, nell'antico Ducato di Urbino. Sarebbero infatti riconoscibili il fiume Marecchia, il Sasso Simone e Simoncello e il massiccio del Fumaiolo. Madonna col Bambino, Sant’Anna e San Giovannino Battista Leonardo del cenacolo, autore del monumento: Sant’Anna Metterza più San Giovannino. Cartone che ebbe molto successo da parte dei fiorentini che fecero veri e proprio pellegrinaggi. Figure massicce e maestose: figure grosse in primo piano, maniera moderna. Masaccio: Sant’Anna Metterzafigure non naturali; Leonardonaturalezza: le figure si incastrano, gesti, sguardi, chiaroscuro che accompagna il monumento; figure che si fondono con natura. Cartone preparatorio, non abbiamo il quadro. Non ci sono architetture: ormai le figure sono nella natura. Uno dei progetti più ambiziosi di Pier Soderini, era di affrescare le grandi vittorie belliche e politiche di Firenze. Affida il lavoro a Michelangelo e Leonardo (che si odiavano). Del progetto non resta nulla poiché nessuno dei due terminò il lavoro; successivamente la sala venne rifatta nel secondo 500 da Vasari: ci resta solo un programma di Pier Soderini e dei disegni. Il cartone di Leonardo riprende uno dei temi sacri alla Chiesa fra il Quattro e il Cinquecento: la Madonna con Sant’Anna, il Bambino e San Giovannino. Si tratta di una composizione in cui la madre della Madonna costituisce il nucleo centrale insieme alla figura della figlia, che a sua volta tiene in braccio il Bambino e che a sua volta si sporge allegramente verso San Giovannino, simbolo del trapasso dal Vecchio al Nuovo Testamento. L’invenzione principale consiste nella concatenazione che lega i corpi l’uno all’altro e ne visualizza il rapporto di filiazione: il gruppo delle figure si articola nello spazio secondo una successione logica di moti e sentimenti di cui Leonardo sperimenta infinite variazioni nei suoi disegni. I diversi studi sono infatti dedicati a coordinare fra loro le pose, le inclinazioni, le direzioni e il reciproco intrecciarsi delle membra.. L’elaborazione grafica approda a una serie di soluzioni alternative che rivelano una continua ricerca tesa a raggiungere l’armonia delle forme in senso dinamico. Nel cartone, l’effetto di rilievo è conferito alle forme tramite lumeggiature di biacca e, per rimanere nell’analogia con la scultura, le due figure sovrapposte, anzi incorporate l’una nell’altra, sembrano appartenere a un unico blocco marmoreo, insieme al Bambino sostenuto nell’abbraccio all’interno del nucleo originario delle due madri. L’affettuoso rapporto fra i personaggi fa perdere la tema il suo carattere sacro: siamo davanti ad una allegra famigliola che, attraverso gli intensi sguardi, si trasmette sentimenti carichi di umanità. (confronto) con MICHELANGELO- STUDIO PER MADONNA COL BAMBINO E SANT’ANNA Michelangelo studia la composizione ad incastro del “Cartone ” di Leonardo: risponde alla sua maniera da scultore seguendo varie opere con ricchezza compositiva. Battaglia di Anghiari Combattimento tra cavalli e cavalieri: cavaliere vincitore sopra e resto sotto. Per Leonardo la battaglia calca l’essenza dell’uomo e deve essere espresso. Metamorfosi progressiva: uomo-cavallo-leone studio dei voltimostra espressioni cattive. Leonardo aveva problemi con gli affreschi perché andavano fatti velocementeil cenacolo è un esempio da questo punto di vista. Usa allora la pittura ad …? fatta in modo secca e poi ricalcata per consolidarla. Accende? la pittura per sbaglio e non ci resta nulla. A differenza delle precedenti rappresentazioni di battaglie, Leonardo compose i personaggi come un turbine vorticoso, che ricordava le rappresentazioni delle nubi in tempesta. L'affresco rappresentava cavalieri e cavalli animati in una zuffa serrata, contorti in torsioni ed eccitati da espressioni forti e drammatiche, tese a rappresentare lo sconvolgimento della "pazzia bestialissima" della guerra, come la chiamava l'artista. I personaggi della scena, infatti, lottano instancabilmente per ottenere il gonfalone, simbolo della città di Firenze. Quattro Battaglia dei centauri La lastra, inquadrata da una fascia irregolare, mostra una massa di figure impegnate in una confusa lotta. Al centro spicca un giovane con il braccio alzato, nella posizione che nei sarcofagi romani era riservata ai generali a cavallo. Attorno a lui si sviluppa un groviglio di corpi che, nelle figure più sporgenti, crea una sorta di piramide visiva che ha il vertice proprio nella sua testa. Tra questi personaggi più spiccati della fascia mediana si vedono, da sinistra, un uomo canuto che sta per scagliare una grossa pietra squadrata, un uomo raffigurato interamente mentre compie una torsione verso destra, e una zuffa di almeno cinque personaggi principali le cui braccia compongono un nodo inestricabile: uno di spalle trascina per i capelli un secondo, che è tenuto alla vita da un terzo uomo che col braccio destro afferra le spalle di un gruppo di due figure, una donna che strozza col braccio un uomo che tenta di liberarsi. Più isolata la battaglia infuria tra figure dal rilievo meno pronunciato; più in basso si scorgono i perdenti: un uomo seduto che si ripara la testa, un centauro abbattuto, un uomo che si sta accasciando e due lottatori uno sopra l'altro, in posizione pressoché identica, con quello dietro che si sta avventando su quello davanti armato di un sasso.Le figure si confondono le une con le altre, talvolta emergendo con forza dallo sfondo, talvolta appena sporgenti, con una straordinaria abilità nello sfruttare le potenzialità del marmo per creare diversi piani spaziali.A parte l'ispirazione mitologico-letteraria è chiaro che all'artista interessava soprattutto esplorare il tema del nudo umano, analizzato in pose diverse e in differenti situazioni di tensione muscolare, che divenne in seguito uno dei temi più peculiari della sua arte, basti pensare al Giudizio Universale.Per questo rilievo Michelangelo si rifece sia ai sarcofagi romani, sia alle formelle dei pulpiti di Giovanni Pisano, e guardò anche al contemporaneo rilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni, suo maestro al giardino di San Marco con una battaglia di cavalieri (oggi al Bargello), a sua volta ripreso da un sarcofago del Camposanto di Pisa. Ma appare evidente che per Michelangelo i modelli, soprattutto quelli antichi, non sono un repertorio in cui pescare per imitare, bensì il frutto di miti e passioni umane, la cui espressione, attualizzata con consapevolezza, gli permetteva di ricreare l'antico con stupefacente virtuosismo. I riferimenti sono però sorpassati dal giovane artista, che esalta il dinamismo e l'anatomia, con gesti fluidi e una notevole efficacia compositiva. Rilievo non schiacciatoaltorilievo: figure ricreate dal piano di fondo. Soggetto classico: battaglia centauri contro lapiti? (portatori di pietre), influenzato dal tema del …? nel giardino di San Marco. Tutto si riduce alla corporeità sempre più ipertrofica dell’uomo: groviglio id corpi in movimento che ruotano attorno al fulcro centrale costituito dalla figura centrale con il braccio alzato. Negazione prospettica: l’idea del groviglio dei corpi è la stessa del “Giudizio Universale”. Richiamo alla spazialità dei sarcofagi classici e il Bertoldo di Giovanni nella “Battaglia”. Giudizio universale La grandiosa composizione si incentra sulla figura dominante del Cristo, colto nell'attimo che precede quello in cui verrà emesso il verdetto del Giudizio Universale. Il suo gesto, imperioso e pacato, sembra al tempo stesso richiamare l'attenzione e placare l'agitazione circostante: esso dà l'avvio a un ampio e lento movimento rotatorio in cui sono coinvolte tutte le figure. Ne rimangono escluse le due lunette in alto con gruppi di angeli recanti in volo i simboli della Passione (a sinistra la Croce, i dadi e la corona di spine; a destra la colonna della Flagellazione, la scala e l'asta con la spugna imbevuta di aceto). Accanto a Cristo c'è la Vergine, che volge il capo in un gesto di rassegnazione: ella infatti non può più intervenire nella decisione, ma solo attendere l'esito del Giudizio. È importante notare come lei guardi con dolcezza gli eletti al regno dei cieli, mentre il Cristo riservi uno sguardo duro e aspro a coloro che stanno scendendo negli inferi. Anche i Santi e i beati, disposti intorno alle due figure della Madre e del Figlio, attendono con ansia di conoscere il verdetto. Non c'è misericordia nel volto di Maria, la quale non si rivolge con sguardo pietoso ai dannati, né con giubilo agli eletti: la nuova venuta del Cristo si è compiuta, il tempo degli uomini e delle passioni è tramontato. Le dinamiche del mondo mortale lasciano spazio al trionfo dell'eternità divina. Alcuni predestinati alla gloria di Cristo sono facilmente riconoscibili: San Pietro con le due chiavi, che ritornano al suo unico possessore perché non serviranno più ad aprire e chiudere le porte dei cieli, San Lorenzo con la graticola, San Bartolomeo con la pelle sulla quale sarebbe impresso l'autorittatto di Michelangelo - secondo quanto ricostruito nel 1925 dal medico e umanista calabrese Francesco La Cava - e il cui volto è il ritratto di Pietro Aretino, Santa Caterina d'Alessandria con la ruota dentata, San Sebastianoinginocchiato con le frecce in mano. Nella fascia sottostante: al centro gli angeli dell'apocalisse risvegliano i morti al suono delle lunghe trombe, a sinistra i risorti in ascesa verso il cielo recuperano i corpi (resurrezione della carne), a destra angeli e demoni fanno a gara per precipitare i dannati nell'inferno. Infine, in basso Caronte a colpi di remo insieme ai demoni percuote e obbliga a scendere i dannati dalla sua imbarcazione per condurli davanti al giudice infernale Minosse, con il corpo avvolto dalle spire del serpente. È evidente in questa parte il riferimento all'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri, che viene raffigurato tra le anime del cielo. Michelangelo immagina la scena senza nessuna partizione architettonica: l’insieme è governato da un doppio vortice verticale, ascendente e discendente. Ancora una volta l’artista concentra la propria attenzione sul corpo umano, sulla sua perfezione celeste e sulla sua deformazione tragica. La figura prevalente è la figura ellittica, come la mandorla di luce in cui è inscritto il Cristo o il risultato complessivo delle spinte di salita e di discesa, salvo alcune eccezioni, come la sfericità della banda centrale degli angeli con le tube o la triangolarità dei santi ai piedi di Cristo Giudice. Il tema, metaforizzato nella tempesta e nel caos del dipinto, si presta bene alla tormentata religiosità di quegli anni, caratterizzati da contrasti, sia di natura teologica che politica, fra Cattolici e Protestanti e la soluzione di Michelangelo non nasconde il senso di una profonda angoscia nei confronti dell’ultima sentenza. Il Buonarroti si pone in modo personalissimo nei confronti del dibattito religioso, sposando le teorie di un circolo ristretto di intellettuali che auspicava una riconciliazione fra cristiani dopo una riforma interna della Chiesa stessa. La pelle di Michelangelo nelle mani del San Bartolomeo assiso, potente e nerboruto, su di una nuvola soave e con il capo rivolto verso Dio è simbolo del peccato del quale ora è privato. Bacco La statua evoca il mito pagano di Bacco, qui rappresentato come un "giovane dio ebbro", che barcolla sostenendo una coppa mentre dietro di lui un piccolo satiro, seduto su un tronco, approfitta furbescamente della sua ebbrezza per assaggiare l'uva che tiene con la sinistra. Il dettaglio del satiro, che ha una funzione statica e invita lo spettatore ad allargare la visione frontale verso il lato, venne ampiamente lodata da tutti gli scultori del tempo, poiché il giovane sembra davvero mangiare dell'uva con grande realismo.Il Bacco è reso in maniera naturalistica, come un fanciullo che incede con incertezza per via dell'ebbrezza, con un modellato fluido che evidenzia gli attributi di un'acerba virilità sensuale, e con effetti illusivi e tattili nel marmo che rendono l'opera in grado di gareggiare con i modelli della scultura ellenistica. La posa a contrapposto è vivace e sciolta, il volto espressivo, la sensualità evidente. Nel complesso non hanno equivalenti nell'arte del tempo.Sul capo porta una ghirlanda di pampini (foglie di vite) e di grappoli d'uva.Sempre con la mano sinistra regge una pelle di tigre o di leopardo, animali cari a Bacco, che indica la liberazione dell'anima dalla umana condizione terrena. Michelangelo scolpisce un dormiente, mutazione di una statua ellenistica che viene comprata ed il nuovo possessore chiede di poter incontrare Michelangelo il cardinale Raffaele. Raffaele gli chiede di scolpire un Bacco alla maniera classica. Michelangelo lo rappresentò nudo ed il cardinale lo rifiutò. Bacco è accompagnato da un satiro che gli ruba l’uva: messo di fianco così gli fa girare intorno l’osservatore per guardarlo. La statua mostra l’instabilità e lo stordimento di Bacco e lo sguardo va verso la coppa di uva. Gli attributi di Bacco sono il grappolo d’uva e la pelle di pantera che ha in mano. È uno dei soggetti più religiosi di Michelangelo. Madonna col Bambino, san Giovannino e due angeli (“Madonna di Manchester) Roma: inizio attività pittorica di Michelangelo; colori non realistici, abbagliati dalla luce, trasfigurati, metallici. Angeli sempre senza ali. Figure plastiche; prima opera pittorica che possediamo. Maria, su un trono roccioso, è in atto di leggere il libro profetico che le rivela la sorte del figlio mentre il Bambino, alle sue ginocchia, fa come per cercare di esserne partecipe, ma la Madonna sembra allontanare le pagine dalla sua vista, forse per un gesto protettivo. Dietro di lui si vede il piccolo Giovanni Battista, già con la veste eremitica di pelo di cammello. Ai lati si trovano due coppie simmetriche di angeli, intenti alla lettura di un cartiglio, dei quali solo quello destro è completo, mentre quello sinistro è appena delineato da un alone chiaro. La gestualità intima e familiare tra questi gruppi angelici richiama le opere di Botticelli o di Luca della Robbia .La Vergine ha un seno scoperto, un rimando all'iconografia della Madonna del LatteRichiamano il Tondo Doni, unica tavola sicuramente michelangiolesca, la smaltata cromia e alcuni dettagli originali, come il seno scoperto e turgido della Vergine, che non sta allattando. Presentano dubbi invece le fisionomie leonardesche della Madonna e degli angeli, nonché il disegno non perfettamente riuscito del Bambino e soprattutto di san Giovannino, dalla testa forse troppo grande. Trasporto di Cristo al sepolcro Tre figure stanno portando con un certo sforzo il corpo morto di Cristo verso il sepolcro (la macchia bianca in alto a destra, dove mancherebbe ancora il colore), attorniate da due donne che non sembrano interessate alla scena, rappresentanti forse le pie donne; a destra in basso, dove la tavola non è dipinta, doveva trovarsi la Vergine Maria. Il corpo di Cristo, ben modellato anatomicamente, è retto dietro da Giuseppe d'Arimatea, mentre a sinistra e a destra un uomo (Giovanni evangelista?) e una donna (forse Maria Maddalena) sono vistosamente inclinati all'infuori per lo sforzo di tenere un drappo su cui il corpo morto è come seduto. Come in altre opere dell'artista, le figure hanno un che di androgino ed è difficile stabilire, per alcune di esse, se siano uomini o donne. Lo sfondo è composto da un paesaggio aspro con alcune rocce spoglie e montagne che sfumano in lontananza per effetto della foschia.La figura della Maddalena è presente in un disegno del Louvre, in cui la si vede nuda in meditazione sopra la corona di spine e i tre chiodi, dettagli poi eliminati.Colpisce la freddezza della rappresentazione, sia per le espressioni dei personaggi - così composte da sembrare impassibili - che per la tavolozza brillante e smaltata, che ebbe di lì a poco il suo apogeo nel Tondo Doni. L'impaginazione è particolarmente originale, tipicamente manierista: le due figure inarcate verso l'esterno sembrano durare fatica, ma il corpo di Cristo appare immateriale, senza peso; la loro particolare posizione serve per dirigere l'occhio dello spettatore agli angoli della tavola, per poi farlo riconvergere sulla figura del Cristo.Il Cristo nudo come fulcro è un tema che si ritrova in seguito di frequente nella produzione matura dell'artista, soprattutto nella serie delle Pietà della vecchiaia (Pietà Bandini, Pietà di Palestrina, Pietà Rondanini). Le inarcature e gli effetti di proiezione verso l'alto delle figure che annullano il peso furono tra gli stilemi più tipici dei manieristi mutuati da Michelangelo.Lo stato incompleto dell'opera permette di conoscere le tecniche utilizzate da Michelangelo: egli nella pittura su tavola procedeva come negli affreschi, ovvero realizzando una parte per volta, portandone a finitura una per volta, non aggiungendo dettagli via via più precisi su un insieme abbozzato (come faceva ad esempio Leonardo). Inoltre in alcune zone Michelangelo graffiava via il colore (come nelle rocce), secondo una tecnica "a levare" tipica della scultura. Drammatizzazione dell’icona: Cristo frontale. Quadri non terminati perché è stato chiamato a Firenze per scolpire il David. Corpo non fermo e statico, arricchito dal senso del movimento. Tantissime esperienze a Roma: 1500-1501 Leonardo a Firenze; Michelangelo lascia Roma nel 1504; va a Firenze anche Raffaello. David Storia. Il soggetto del David, fortemente radicato nella tradizione figurativa fiorentina, venne rielaborato evitando gli schemi compositivi consolidati, scegliendo di rappresentare il momento di concentrazione prima della battaglia. I muscoli del corpo sono poderosi ma ancora a riposo, tuttavia capaci di trasmettere il senso di una straordinaria potenza fisica. L'espressione accigliata e lo sguardo penetrante rivelano la forte concentrazione mentale, manifestando quindi la potenza intellettuale che va a sommarsi a quella fisica. Descrizione e stile. L'eroe biblico è rappresentato nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia, il gigante filisteo; nella mano destra, infatti, stringe il sasso con il quale sconfiggerà il nemico da lì a poco. Lo sguardo fiero e concentrato è rivolto al nemico, con le sopracciglia aggrottate, le narici dilatate e una leggera smorfia sulle labbra che forse tradisce un sentimento di disprezzo verso Golia. Nella realizzazione degli occhi Michelangelo perfezionò la tecnica di perforare le pupille affinché potessero evitare la luce e creare un gioco di ombre che rende gli occhi molto più penetranti. Difficile è dire perché Michelangelo rompe con la tradizione che vuole Davide rappresentato con la testa di Golia tagliata oltre che non possente e muscoloso ma adolescelmente minuto (nelle opere di Ghiberti, Donatello e Verrocchio). Di certo ci sono che il masso era fragile e già sbozzato e quindi forse non permetteva la creazione agile della testa; che il David di Michelangelo doveva rappresentare la neonata Repubblica e si doveva distinguere dal David di Donatello che invece sanciva la consacrazione divina dei Medici tiranni (e non a caso con la nascita della repubblica era stato portato via da Palazzo Medici); che la religiosa conoscenza della sacre scritture in Michelangelo era approfondita e che la scelta di un eroe consapevolmente forte era ratificata dal passo della Bibbia in cui Davide dichiara di aver ucciso orsi e leoni con l'aiuto di Dio e di non aver timore di Golia (Samuele17:34-37) per questo la forza di David non proviene solo dalla fede religiosa in Dio, come altre versioni artistiche dell'eroe, gracile e quasi femmineo, sembrano avallare. In ogni caso Michelangelo non ha lasciato nessuno schizzo o documento né altre opere del periodo che testimonino le motivazioni delle scelte fatte, tra l'altro in autonomia, perché l'incarico non era per una statua di tale "grandezza" né per essere posizionata davanti a Palazzo Vecchio.Per evitare di porre il peso della statua sulla parte sinistra del blocco, più debole, Michelangelo appoggia tutto il peso sulla gamba destra, rafforzata da un piccolo tronco che ha una funzione essenzialmente statica, come nella statuaria antica. La posa è quella tipica del contrapposto, che, tramandata anche nel medioevo, derivava dal canone di Policleto. Infatti il braccio destro e la gamba sinistra sono rilassate, al contrario le altre due estremità.Il corpo atletico, al culmine della forza giovanile, si manifesta tramite un accuratissimo studio dei particolari anatomici, dalla torsione del collo attraversato da una vena, alla struttura dei tendini, dalle venature su mani e piedi, alla tensione muscolare delle gambe, fino alla perfetta muscolatura del torso.Per dare maggiore espressività e risalto Michelangelo ingrandisce leggermente la testa e le mani, nodi cruciali, perfezionati armonicamente con la veduta privilegiata dal basso. muretto grigio, sul quale si appoggia; fila di giovani personaggi ignudi appoggiati ad un emiciclo di rocce spezzate. Interesse per composizione anche in pittura. Madonna, San Giovannino, Gesù e figure dietro?. Cornici originali in tagliata con testa di Cristo e Apostoli. Madonnacorpo maschile, ha i muscoli. Per lui la realtà si riduce in corpi; i suoi corpi sono ipertrofici: anche donne e vecchi hanno i muscoli. Altra ipotesi della rappresentazione della storia umana. San Giovanninofigura di transizione. Tondo Doni con cornice tempera su tavola Inoltre, sullo sfondo si vede un paesaggio definito sinteticamente, con un lago, un prato e montagne che sfumano in lontananza davanti ad un cielo azzurro. Cornice. L'opera è inserita nella cornice originale che fu probabilmente disegnata dallo stesso Michelangelo, mentre il raffinato lavoro d'intaglio è attribuito a Marco e Francesco del Tasso. Nella cornice tra racemi vegetali intrecciati e composti in una sorta dicandelabri continui, emergono: cinque medaglioni a tutto tondo con teste, che guardano verso il dipinto, raffiguranti: Gesù Cristo (in alto, al centro); Profeti e sibille. Le figure della cornice ricordano le Porte del Battistero di Firenze, opera di Lorenzo Ghiberti. Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche. La concezione, del tutto nuova, di Michelangelo è quello di aver articolato la Sacra Famiglia come un gruppo scultoreo al centro del tondo. Infatti, egli riteneva che la migliore pittura fosse quella che maggiormente si avvicinava alla scultura, ossia che possedeva il più elevato grado di plasticità possibile (tridimensionalità); per questo l'imitazione dei modelli della scultura greco- romana era per lui una prassi frequente. Infatti, nei nudi dipinti sullo sfondo si riconoscono citazioni da celebri statue dell'antichità, che l'artista poté vedere a Roma: a destra, il giovane in piedi che si appoggia sul muretto ricorda la posa dell'Apollo del Belvedere (ora esposto al Museo Pio-Clementino); a sinistra, la figura seduta (subito a destra di san Giuseppe) ricorda il gruppo del Laocoonte, rinvenuto nel1506 (attualmente al Museo Pio-Clementino). Il gesto di Maria le fa compiere una torsione che genera un moto a serpentina di grande originalità e novità nell'arte. La composizione della Sacra Famiglia segue un andamento a spirale, formato dalle tre figure sacre che schematicamente formano una piramide con il vertice in corrispondenza della testa di san Giuseppe; questo genera un forte effetto dinamico, che si adatta perfettamente alla forma del tondo, proiettandosi anche al di fuori verso lo spettatore. Un altro triangolo, di senso inverso, è composto dalle teste e le braccia dei protagonisti, attirando ulteriormente l'attenzione sul gruppo e preannunciando gli annodati collegamenti gestuali dei manieristi. Le ginocchia di Maria in primo piano e il blocco dietro delFiglio e dello sposo configurano una superficie emisferica, mentre un'altra è accennata in profondità dalla fila dei giovani ignudi: viene così a comporsi uno spazio pittorico perfettamente sferico contenuto entro la cornice circolare.La verticalità della composizione e il movimento ascensionale delle figure in primo piano sono equilibrate dall'andamento orizzontale del muretto, che bilancia l'insieme.La tavolozza dei colori è costruita in prevalenza su tinte fredde (azzurro e verde per la veste della Madonna, il blu della tunica disan Giuseppe), mentre i gialli e i rossi hanno toni bassi e risultano quindi poco brillanti. I colori appaiono vivaci e cangianti, i corpi sono resi in modo scultoreo, chiaroscurati e spiccati dal fondo del dipinto tramite una linea di contorno netta e precisa, contrariamente a quanto veniva facendo in quel periodo Leonardo che sfumava il contorno.Maria ha fattezze robuste, una bellezza virile ed una fisionomia che preannuncia le Sibille dipinte sulla volta della Cappella Sistina (1508- 1512).Dal punto di vista del significato, il dipinto sembra alludere alla divisione dell'umanità in prima e dopo la nascita di Gesù Cristo: le figure nude in secondo piano rappresentano il mondo pagano prima della Rivelazione (ante legem). In questo senso il muretto che divide la Sacra Famiglia dai giovani sullo sfondo sarebbe il confine tra presente e passato. Di quel mondo fa ancora parte san Giovannino, che significativamente è l'unico a guardare verso i protagonisti del Nuovo Testamento e si trova molto vicino a loro in quanto "Precursore", cioè colui che è chiamato a preparare la strada alla predicazione di Gesù, all'inizio della nuova era. Maria esan Giuseppe sarebbero simboli dell'umanità sub lege, mentre Gesù Bambino che s'innalza sopra di loro l'umanità sub gratia. MICHELANGELO-CAPPELLA SISTINA Cappella Sistina, veduta generale La decorazione pittorica. Il programma generale della decorazione pittorica della cappella fu articolato su tre registri dal basso verso l'alto: lo zoccolo con finti arazzi, il secondo ordine con scene del Vecchio Testamento(scene della vita di Mosè) e del Nuovo Testamento (scene della vita di Cristo) e infine l'ordine più alto con la rappresentazione di pontefici martirizzati. La decorazione pittorica venne avviata, nella parete dietro l'altare (quella oggi del Giudizio), dal Perugino che realizzò anche la pala d'altare raffigurante la Vergine Assunta. La volta fu decorata da un cielo stellato di Piermatteo d'Amelia, seguendo una tradizione medievale. Nel frattempo il signore di Firenze Lorenzo de' Medici, nell'ambito di una politica riconciliativa con gli avversari che avevano appoggiato la Congiura dei Pazzi (1478), tra cui lo stesso papa, propose l'invio dei migliori artisti presenti allora sulla scena fiorentina, quali ambasciatori di bellezza, armonia e del primato culturale di Firenze. L'offerta venne accettata e il 27 ottobre 1480 Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli,Domenico Ghirlandaio e i rispettivi collaboratori partirono per Roma, dove sono documentati all'opera dalla primavera del1481. Ciascuno di questi artisti, con gli aiuti, tra gli altri, degli aiutanti Pinturicchio, Piero di Cosimo e Bartolomeo della Gatta, affrescò uno dei quattro riquadri nella parete a destra dell'altare, poi, con un nuovo contratto datato 27 ottobre 1481, vennero riconfermati per l'esecuzione degli altri dieci riquadri restanti (i due sulla parete dell'altare erano già stati completati da Perugino nella primissima fase) da ultimare entro il marzo dell'anno successivo. I termini non vennero sempre rispettati e al Perugino subentrò Luca Signorelli, che affrescò il Testamento di Mosè e la Contesa intorno al corpo di Mosè sulla parete dell'ingresso. Il complesso programma iconografico venne definito in ogni particolare dal pontefice stesso e dai suoi consiglieri, anche se la sua stessa complessità necessitò un intervento di grande importanza da parte degli artisti nell'invenzione figurativa e iconografica. Il risultato fu un ciclo di grande omogeneità, nonostante la partecipazione di artisti dalle personalità marcatamente diverse. Ciò fu possibile grazie all'adozione di una medesima scala dimensionale delle figure, all'impaginazione e strutturazione ritmica simile, alle medesime tonalità dominanti, tra cui spicca l'abbondanza di rifiniture in oro, che intensificano la luce con effetti che dovevano apparire particolarmente suggestivi nel bagliore delle fiaccole e delle candele. XVI secolo Lo splendido complesso voluto da Sisto IV fu anche nei decenni successivi al centro degli interessi dei pontefici, con interventi che costituiscono pagine fondamentali dell'arte del pieno Rinascimento. Nella primavera del 1504 la particolare natura del terreno su cui sorge la cappella determinò probabilmente un inclinamento della parete meridionale che, in seguito ad assestamenti, lasciò una vasta e minacciosa crepa sul soffitto, che necessitò una sospensione di tutte le funzioni nella cappella in via precauzionale. Giulio II Detto della Rovere, fece restaurare la volta con catene, sia sopra la volta principale sia negli ambienti inferiori, rendendola di nuovo agibile solo dopo la metà di ottobre. La decorazione della volta di Piermatteo d'Amelia risultò così danneggiata irreparabilmente. La lunga crepa venne tamponata con l'inserimento di nuovi mattoni. Il papa decise di affidare l’incarico di far rifare la decorazione della volta nel 1508 a Michelangelo Buonarroti, il quale dipinse la volta e, sulla parte alta delle pareti, le lunette: il lavoro venne completato entro il 31 ottobre 1512. La decorazione della volta incontrò numerose difficoltà, tutte brillantemente superate dall'artista e dai suoi collaboratori. Per essere in grado di raggiungere il soffitto, Michelangelo necessitava di una struttura di supporto; la prima idea fu del Bramante, che volle costruire per lui una speciale impalcatura, sospesa in aria per mezzo di funi. Ma Michelangelo temeva che questa soluzione avrebbe lasciato dei buchi nel soffitto, una volta completato il lavoro, così costruì un'impalcatura da sé, una semplice piattaforma in legno su sostegni ricavati da fori nei muri posti nella parte alta vicino alle finestre. Questa impalcatura era organizzata in gradoni in modo da permettere un lavoro agevole in ogni parte della volta. Il primo strato di intonaco steso sulla volta cominciò ad ammuffire perché era troppo bagnato. Michelangelo dovette rimuoverlo e ricominciare da capo, ma provò una nuova miscela creata da uno dei suoi assistenti, Jacopo l'Indaco. Questa non solo resistette alla muffa, ma entrò anche nella tradizione costruttiva italiana. Inizialmente Michelangelo era stato incaricato di dipingere solo dodici figure, gli Apostoli, ma quando il lavoro fu finito ve ne erano presenti più di trecento. Dell'impresa restano numerosi disegni, che rappresentano un documento molto prezioso. Leone X In seguito anche Leone X desiderò legare il proprio nome all'ineguagliabile prestigio della Sistina: decise allora di donare una serie di preziosi arazzi intessuti a Bruxelles su disegno di Raffaello Sanzio alla fine del 1514. Gli arazzi mostrano le Storie dei santi Pietro e Paolo, i cui soggetti avevano precise corrispondenze con i riquadri affrescati nel registro mediano. Questi arazzi, che ricoprivano la zona destinata al papa e ai religiosi separata dalla transenna marmorea, erano utilizzati nelle solenni festività e si leggevano, come le storie soprastanti, dalla parete dell'altare. Attraverso la celebrazione dei primi due "architetti della Chiesa",Pietro e Paolo apostoli rispettivamente verso gli Ebrei e verso i "Gentili", si riaffermava il collegamento col pontefice regnante, loro erede. Nuovi danni Negli anni successivi altri assestamenti del terreno causarono, per la scarsa stabilità delle fondazioni, nuovi danni, come il crollo, nel giorno di Natale del 1522 dell'architrave del portale, Durante il conclave del 1523 si aprirono nuove, preoccupanti crepe, che richiesero un intervento urgente di Antonio da Sangallo il quale, chiamato dai cardinali preoccupati, verificò la stabilità dell'edificio. Più tardi furono necessari nuovi interventi sulle fondazioni della parete orientale, che danneggiarono irreparabilmente i due affreschi che concludevano le Storie di Cristo e di Mosè. In seguito, nella seconda metà del XVI secolo, le due scene dovettero essere ridipinte da Hendrick van de Broeck e Matteo da Lecce, sicuramente gli interventi pittorici più deboli dell'intera decorazione. Clemente VII e Paolo III Infine l'ultima grande decorazione della cappella fu voluta da Clemente VII, che commissionò, ancora a Michelangelo, l'enorme affresco del Giudizio universale (1535-1541), che rappresentò anche il primo intervento "distruttivo" nella storia della Cappella, stravolgendo l'originale impostazione spaziale e iconografica, che si era delineata nei precedenti apporti fino ad allora sostanzialmente coordinati. Il Giudizio Universale fu oggetto di una pesante disputa tra il cardinale Carafa e Michelangelo: l'artista venne accusato di immoralità e intollerabile oscenità, poiché aveva dipinto delle figure nude, con i genitali in evidenza, all'interno della più importante chiesa della cristianità, perciò una campagna di censura (nota come "campagna delle foglie di fico") venne organizzata dal Carafa e monsignor Sernini (ambasciatore di Mantova) per rimuovere gli affreschi. In coincidenza con la morte di Michelangelo, venne emessa una legge per coprire i genitali ("Pictura in Cappella Ap.ca coopriantur"). Così Daniele da Volterra, un apprendista di Michelangelo, dipinse tutta una serie di panneggi e perizomi detti "braghe", che gli valsero il soprannome di "Braghettone". Gli affreschi La decorazione pittorica venne concepita in stretto rapporto con le proporzioni architettoniche della cappella, assecondando la scansione delle pareti. Le partizioni si basano infatti sulla scansione delle finestre, che genera lo spazio per sei riquadri sotto ciascuna finestra delle pareti laterali e per due in quelle frontale e posteriore. Verticalmente gli affreschi sono ripartiti in tre registri: uno inferiore con finti tendaggi, per la cui decorazione vennero poi eseguiti gli arazzi di Raffaello; uno intermedio con le Storie di Mosè e Aronne sul lato sinistro e le Storie di Gesù sul lato destro, con fitti rimandi tra una parete e l'altra; uno superiore, oltre un cornicione fortemente sporgente, che coincide con il livello delle finestre e che a sua volta è divisibile in due sottoregistri: uno con le figure dei primi pontefici (daPietro a Marcello) entro nicchie ai lati delle finestre e uno, oltre un'altra cornice aggettante, delle lunette affrescate poi da Michelangelo. Anche la parete di fondo presentava uno schema simile, con al centro, in corrispondenza dell'altare, una pala affrescata dal Perugino con l'Assunta, a cui era dedicata la cappella, venerata da Sisto IV in ginocchio. Le corrispondenze tra le coppie simmetriche di riquadri tra una parete e l'altra - in base all'iconografia tipologica - sono esplicitate dalle iscrizioni (tituli) nel fregio soprastante: l'antico prefigura il nuovo e il nuovo si perfeziona dall'antico, secondo un concetto già espresso da sant'Agostino. Il messaggio sottinteso è quindi come Mosè, prima guida e legislatore del popolo eletto, con l'aiuto del sacerdote Aronne, prefiguri il Cristo, all'insegna della continuità della legge divina che, nel rinnovarsi delle leggi mosaiche nel nuovo patto del messaggio evangelico, viene poi trasmessa da Gesù a san Pietro e ai suoi successori, cioè i pontefici stessi. In questo senso aveva un ruolo fondamentale la scena dellaConsegna delle chiavi, affidata al Perugino, che testimonia il passaggio di tali poteri; sul lato opposto la Punizione di Quorah e dei suoi figli, di Botticelli, allude invece alla punizione che spetta a chiunque si opponga all'autorità del pontefice. Si tratta dunque di una solenne riaffermazione di natura politica e dottrinale del primato di san Pietro, della sua sacralità, intangibilità e della pienezza dei poteri del pontefice. Il ciclo della Sistina rappresenta una gigantesca storia spirituale dell'Umanità: dalla Creazione al Peccato, alla Redenzione, alla Fine del Mondo. Gli affreschi delle pareti sono una rappresentazione del Regno della Legge e di quello della Grazia, resi con un tono commemorativo e agiografico. Michelangelo intese la creazione e il peccato come drammi dell'umanità intera, e la Redenzione un atto di speranza e di fede che si realizza in ogni momento e luogo. La dottrina neoplatonica, presente nella sua formazione culturale, lo conduce ad una profonda spiritualità interiore. Le varie figurazioni hanno, oltre che un significato letterale (Storie del popolo eletto), una più universale funzione di rivelazione degli stati d'animo dell'uomo dopo il Peccato: la tristezza della inconsapevole attesa (Antenati di Cristo), la cieca speranza di fronte al miracolo (Salvazioni di Israele), la virile serenità della coscienza del futuro (Profeti e Sibille). Le storie della Genesi Diluvio Universale L'ottava scena, il "Diluvio Universale", è tratta dai capitoli 7 e 8 della Genesi. A destra mostra una tenda sotto la quale sono rifugiati le vittime del diluvio universale. Nella parte centrale, si vede un gruppo di uomini e donne che istintivamente cercano la salvezza su una imbarcazione, ma vengono respinti con MEMMI – Madonna dei Raccomandati (Confronto) Le due opere rappresentano la stessa scena: differenze MEMMI – Maria ha le braccia in preghiera PdF – braccia aperte, mantiene il mantello MEMMI – mantello piumato mantenuto da angeli/santi dietro di lei PdF – mantello più naturale (dettaglio nel drappeggio) MEMMI – i personaggi sotto sono molti di più e in genere sono poco realistici PdF – quattro a sx e quattro a dx molto realistici e dettagliati Flagellazione di Cristo Il quadro di non grandi dimensioni (circa cm 60x80) è uno dei più famosi del Quattrocento italiano ma anche uno dei più enigmatici. Il significato del soggetto non è infatti del tutto chiaro. Ciò che rimane misterioso è soprattutto l’identità dei tre personaggi raffigurati in primo piano. L’ipotesi più tradizionale è che il personaggio al centro, vestito di rosso, sia Oddantonio di Montefeltro fratello di Federico, il duca di Urbino. Il giovane fu ucciso durante un’insurrezione popolare nel 1444, e i due personaggi ai lati sarebbero i suoi cattivi consiglieri, che avrebbero provocato la rivolta nel quale rimase ucciso. In questo caso il significato è una metafora del suo martirio, che ci viene ricordata proprio dalla flagellazione di Gesù, legato alla colonna. Ma il fatto che Ponzio Pilato, la figura seduta che guarda la flagellazione, sia vestito come un imperatore bizantino, ha spesso sollevato dubbi su questa ipotesi di lettura. Secondo altri, infatti, il dipinto potrebbe anche essere letto come una metafora della caduta di Costantinopoli, ad opera dei turchi, nel 1453. L’ipotesi che a noi sembra più interessante è di vedere in questo dipinto un racconto metaforico dell’insuccesso del concilio che si svolse a Firenze nel 1439 e che doveva sancire la riunione della chiesa d’oriente con quella d’occidente. In questo senso le tre figure poste in primo piano avrebbero il seguente significato: quella al centro sarebbe un angelo (la sua immagine è infatti molto simile ad altri angeli che Piero ha realizzato in altri quadri) mentre i due uomini posti ai lati dovrebbero rappresentare la chiesa romana e la chiesa ortodossa in posizione di dialogo. La flagellazione rappresentata sullo sfondo sarebbe quindi la rappresentazione simbolica del motivo di contrasto tra le due chiese. Il motivo, infatti, era quello della “processione” dello Spirito Santo, se cioè quest’ultimo “procedeva” (cioè discendeva) dal Padre (come sostenevano gli ortodossi) o anche dal Figlio (come sostenevano i cattolici). In un certo qual senso, la posizione degli ortodossi-bizantini era quasi un ridimensionamento della figura e del ruolo del Cristo, che invece nella religione d’occidente ha sempre avuto un significato fondamentale. Da qui, il senso dell’immagine dove a flagellare il Cristo sono in realtà i bizantini. Ma al di là dei problemi posti dal soggetto, il quadro, da un punto di vista stilistico, può essere considerato un manifesto della nuova visione artistica del Rinascimento italiano. Quando si pensa alla prospettiva nei quadri, il primo che viene in mente è proprio questo. L’immagine sembra proprio una dimostrazione dei principi su cui si basava la pittura del Quattrocento: visione tridimensionale, ruolo primario dell’architettura, ruolo fondamentale del punto di vista dell’osservatore. Soffermiamoci su quest’ultimo punto. Nella concezione artistica medievale veniva utilizzata quella pratica che, comunemente, chiamiamo “prospettiva gerarchica”. In sostanza la dimensione dei personaggi veniva determinata in base alla loro importanza. In questo quadro, invece, il personaggio più importante, Gesù, ha una dimensione inferiore a tutti gli altri personaggi, perché in base alle leggi ottiche, in un’immagine l’altezza delle persone dipende dalla distanza che queste hanno dal punto di vista dell’osservatore. Ciò vuol dire, in senso metaforico, che chi guarda ha un ruolo preminente rispetto a chi viene visto, anche se quest’ultimo è Gesù. Ossia, come è stato detto, il centro dell’universo diviene l’occhio di chi guarda, non la realtà esterna. MARTINI San Ludovico di Tolosa incorona il fratello Roberto D’Angiò La tavola assume la tipica conformazione di quelle del periodo bizantino. Le figure dei personaggi sono intere; quella di Ludovico, posta al centro della tavola nell'atto di incoronamento, è frontale ed indossa un piviale con gli attributi propri, episcopale, pastorale e mitra; Sopra il santo due angeli sorreggono la corona, mentre al suo fianco, in proporzioni minori, seguendo il principio della gerarchia tradizionale, è rappresentato in ginocchio Roberto d'Angiò, nuovo re di Napoli. I contorni della pala vedono una decorazione blu scura con gigli, proprio a rappresentare la casa d'Angiò. La tavola è poi completata nella parte inferiore dalla predella, in cui sono rappresentate con linguaggio giottesco cinque scene della vita del santo ed un miracolo attribuito a lui dopo la sua morte (avvenuta nel 1297). Il fondo oro, infine, è un ulteriore elemento di matrice bizantina. San Ludovico passa il suo trono e il suo titolo di re di Napoli a favore del fratello Roberto, divenuto uomo convertito ai valori papisti e di origini regali. Sinuosità delle linee curve; paste vitree che dovevano dare l’illusione di gioielli. Simone Martini diffonde in Europa il Gotico; bizantineggiante si ispira agli sfondi dorati bizantini (Avignone): stile gotico molto ricco e vario. Arte che rappresenta sfarzo e spazio. MARTINI – San Ludovico serve i poveri a mensa 1317 ca L’opera che è costituita come una grande figura sopra (l’incoronazione); sotto porta orizzontalmente altre rappresentazioni. Quella che si trova sotto al centro è quella della mensa. Le figure geometriche all’interno dell’opera sono simmetriche; senso dello spazio e tridimensionalità molto forte; scoperta del punto di fuga e importanza delle diagonali. Oggetto: San Ludovico di Tolosa invita i poveri a mangiare nella sua casa, particolare della predella di San Ludovico incorona il fratello Roberto D’Angiò. LORENZETTI PIETRO FRATELLO – Natività della Vergine Opera plasmata sulla nascita di Cristo. Madre Sant’Anna e Padre San Gioacchino, opera molto ricca e varia dal punto di vista della forma e della prospettiva. Convergenza verso il punto di fuga centralizzato. L'opera è un trittico, ma la superficie pittorica è trattata in modo straordinariamente originale per quell'epoca, come se si trattasse di un'unica scena senza soluzione di continuità, ambientata in una stanza coperta da volte che ricalcano la forma della pala, con due pilastri che altro non sono che i bordi di separazione dei tre pannelli. La scena è così divisa in tre ambienti illusionisticamente contigui, due dei quali appartenenti alla stanza principale e uno, a sinistra, dove aspetta trepidante Gioacchino, il padre di Maria, con un anziano ed un bambino. Qui inoltre la presenza di un arco e di una lunetta aperti permettono di vedere oltre, dove si trova un cortile porticato di uno stupendo palazzo gotico. Lo spazio è composto in maniera prospettica, con un preciso sistema di piani ortogonali, anche profondi, che sfruttano più punti di vista, raccordandosi in maniera ardita. La parte destra soprattutto tende ad aprirsi in profondità, invece di ridursi, secondo un effetto "a ventaglio", che assicura maggiore spazio alle figure laterali. Lo scomparto sinistro invece spicca per la profondità maggiore rispetto alla stanza al centro, con un arco sulla parete di fondo oltre il quale si intravedono, in un vero sfoggio di virtuosismo, gli archi e le bifore di un cortile intonacato di un rosa delicato. L'interno domestico però non si riduce ad una fredda struttura architettonica, anzi le figure vi si muovono a proprio agio ed i dettagli di mobilio e suppellettili sono curatissimi, dalle mattonelle del pavimento alle stelline dipinte sulle volte a crociera, dagli asciugamani ricamati, alle decorazioni dipinte sugli oggetti. Sant'Anna è sdraiata sul letto, un tipico letto a cassone medievale con lenzuola bianche e una coperta a scacchi, davanti ad una tenda bianca, mentre due donne l'assistono e altre due stanno lavando la bambina, in primo piano. Una dama vestita di rosso, tagliata in due dal finto pilastro, parla con la donna distesa e tiene in mano un ventaglio di paglia bianca e nera, finemente intrecciato. Le figure, isolate e ben definite nel volume grazie alle sfumature delle luci sui panni colorati che le avvolgono, hanno la solennità delle opere di Giotto, ma la minuta attenzione al dettaglio e l'atmosfera quotidiana richiamano più le miniature transalpine. Secondo Enzo Carli, la sant'Anna ricorderebbe la Madonna della Natività di Arnolfo di Cambio già in una lunetta della facciata di Santa Maria del Fiore: innegabile è comunque una certa presenza scultorea della santa sdraiata, soprattutto nelle gambe, sopra le quali si tende elastica la veste, generando pieghe in cui si affossano le ombre. A Giotto farebbe invece pensare la figura naturale della levatrice che versa l'acqua con la brocca, ruotata di tre quarti offrendo le spalle. LORENZETTI AMBROGIO FRATELLO – Presentazione al Tempio Il dipinto è realizzato secondo lo stile dell'ultimo Ambrogio Lorenzetti, quello della maturità artistica degli anni senesi (dopo il 1335). La piastrellatura del pavimento e lo sviluppo in profondità delle navate della Louis Courajod, storico dell’arte francese, conia il termine “Gotico internazionale”. Altre definizioni: tardo gotico, gotico cortese, gotico fiammeggiante. Johan Huizinga conia “l’autunno del Medioevo” chiesa mostrano infatti un'acquisita familiarità nella resa prospettica ereditata dalla scuola di Giotto, reiterando le indubbie capacità del Lorenzetti di dipingere le complesse prospettive già evidenti nelle Storie di san Nicola del 1332 circa (oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze). Tuttavia, non si può ancora parlare di prospettivamatematica, invenzione del Rinascimento del XV secolo: se il pavimento ha infatti un unico punto di fuga, esso è diverso da quello dei muri perimetrali o da quello della linea d'imposta degli archi. In questo dipinto la scena è inoltre ambientata nelle tre navate di una chiesa, in uno spazio che, scurendosi via via che ci si allontana, crea un effetto di profondità inedita per la pittura toscana, che sembra anticipare le conquiste dei fiamminghi, come la Madonna in una chiesa gotica di Jan van Eyck (Erwin Panofsky, 1927). Anche i chiaroscuri dei volti e del panneggio mostrano le influenze giottesche che Ambrogio Lorenzetti aveva acquisito negli anni di permanenza a Firenze (prima del 1332). Le figure sono dipinte come masse compatte, con le vesti in colori brillanti sfumati in base al diverso cadere della luce, dando così uno straordinario senso di plasticità e volume. I volti sono invece resi secondo le inconfondibili fisionomie di quest'artista. Così come "lorenzettiana" è la raffigurazione del Bambino, con i piedini irrequieti e con il dito in bocca a sottolinearne l'umanità. PEREZ Elemosina di San Martino (particolare dell’opera “Retablo dei Santi Orsola, Martino, e Antonio) Contrasto tra sforzo del cavaliere a cavallo e povertà del medicante. Nel pannello dell'Elemosina di San Martino il santo, dai delicati lineamenti quasi femminei, è abbigliato di un sontuoso abito con pellicce e damaschi dorati, così come il cavallo è bardato d'oro, secondo lo stile gotico internazionale, che ricorda, per quanto riguarda l'Italia, le opere di Gentile da Fabriano. Lo sfondo è ancora un abbacinante oro, reso prezioso da una minuta punzonatura calligrafica. Gentile da Fabriano. Adorazione dei Magi 1423 (confronto delle due opere) Si ispira a Gonzalo Perez nel cavallo. Massimo esponente del gotico italiano internazionale: effetti di luci e di altri dettagli come il chiaroscuro dettato dalla fonte di luce. Maestro boemo. Schöne Madonna-Madonna Bella (Cattedrale di Saint Guy) 1390-1400 ca Segno di flessibilità/ondulazione; senso di abbondanza delle vesti della Madonna. Obiettivo: creare elementi di ricchezza, flessuosità, preferenza delle linee ondulate e non delle linee rette: cose nemmeno visibili nella realtà ma esagerate. MAESTRO BOEMO Shöne Madonna (scultura) Le "belle Madonne" erano figure di Maria stante che regge su un braccio il Bambino, spesso in legno, ispirate a eleganti modelli gotici francesi ma improntate a una maggiore serenità sorridente (come la Madonna di Krumlov o quella di Krużlowa). Esse ebbero un'ampia diffusione anche in tutto l'arco alpino orientale, dalla Germania meridionale all'Italia del nord, passando per l'Austria. Un esempio celebre è la Madonna di Krumlov, al Kunsthistorisches Museum di Vienna. ORAFO PARIGINO Immagine votiva di Carlo VI ai piedi della Madonna detta il Cavallino Dorato L’oreficeria ha un ruolo trainante, opera in oro importantissima. L'Ex voto di Carlo VI è un capolavoro dell'oreficeria tardogotica, conservato nel Tesoro della cattedrale- santuario ad Altötting inGermania. Si tratta di un insieme raffigurante la Madonna col Bambino adorata da Carlo VI in oro, smalto e pietre preziose, alto 62 cm e risalente al 1403-1404. A causa della realistica immediatezza del cavallino in smalto raffigurato in basso, l'ex voto è chiamato anche popolarmente Il cavallino bianco ("Weisses Rössl") o dorato ("Goldenes Rössl"). L'opera venne inizialmente commissionata da Isabella di Baviera come regalo per il marito Carlo per il capodanno 1404; in seguito venne donata al santuario di Altötting come ringraziamento di ex voto. In questa opera scultorea vengono rappresentati eventi della storia legati all’infanzia e la passione di Cristo. Polittico ad arte aperte e chiuse, tipiche del Nord. Aspetti naturalistici e spaziali. È conservato a Digione nel Musee des art Beaux-Arts. Confronto Melchior Broederlam. Connessione tra Digione e Siena Melchior Broederlam Ambrogio Lorenzetti Presentazione al tempio Presentazione al tempio (altare Certosa di CHampmol) (Galleria degli Uffizi) BROEDERLAM- - Presentazione al tempio (opra del Altare di Certosa di Champmol) I due trittici provenienti dalla certosa di Champmol sono le uniche opere sicuramente attribuibili al Broederlam. Alla sua mano si assegnano nel retablo della Crocifissione le quattro scene dipinte sul dorso dei pannelli laterali relative all'infanzia di Cristo: Annunciazione e Visitazione a sinistra, Presentazione al Tempio e Fuga in Egitto a destra. Due strutture architettoniche, che richiamano Giotto e gli artisti senesi del Trecento, definiscono e suddividono gli spazi, consentendo la rappresentazione di quattro scene distinte entro dimensioni contenute e favorendo la collocazione spaziale delle figure. Lo stile di Broederlam risulta da queste prove pienamente compreso nell'ambito del gotico internazionale, la cui preziosità ed eleganza non impedisce l'adeguamento del sentimento generale dell'opera all'ambiente monastico cui è destinata, attraverso una rappresentazione quasi interiorizzata del paesaggio, l'attenzione agli aspetti espressivi nelle figure, un avvicinamento alla quotidianità e alla realtà delle cose, anche per mezzo della figura contadinesca di san Giuseppe, elementi che aprono alla "seconda anima" del gotico internazionale. Da un punto di vista tecnico l'opera di Broederlam si caratterizza per un inusuale e innovativo utilizzo dell'olio e per un sottomodellato a tratteggio, costituito da lunghe e distanziate pennellate incrociate, che sarà ripreso dalla generazione seguente. Il modellato solido e la spazialità di Broederlam formeranno parte della cultura figurativa di artisti fiamminghi comeRobert Campin e Jan van Eyck. Confronto  AMBROGIO LORENZETTI – Presentazione al empio Sulla cornice si trova la firma: "AMBROSIVS LAVRENTII DE SENIS FECIT HOC OPVS ANNO DOMINI MCCCXLII". Il centro della scena è occupata dall'evento della Presentazione al Tempio, cerimonia che la religione ebraica prevedeva dopo 40 giorni dalla nascita di ogni bambino maschio per consentire alla madre di purificarsi. Al centro, entro lo spazio delimitato dalle due colonnette in primo piano, troviamo i tre personaggi più importanti: la Madonna (che tiene nelle mani il telo in cui era avvolto il Bambino), il Bambino (con i piedini irrequieti e il dito in bocca), e Simeone il Giusto (raffigurato nell'intento di proferire parola dopo aver preso in braccio il piccolo). All'estrema sinistra troviamo Giuseppe, preceduto da due accompagnatrici (l'assenza dell'aureola indica l'assenza di santità di queste ultime). All'estrema destra troviamo invece la Profetessa Anna che dispiega un cartiglio dove si legge “Ed ecco, sopraggiunta proprio in quel momento, [Anna] si mise anch'essa a lodare Dio e parlava del Bambino a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Israele” . La scena è ambientata all'interno di una chiesa a tre navate. Il dipinto, che era il pannello centrale di un trittico di cui sono andati perduti i pannelli laterali, possiede esso stesso la forma di un trittico, scandito dalle tre navate dell'edificio e dagli archetti trilobati nella parte superiore. La stessa cornice, dove in basso si trovano la firma e la data, è dotata di pilastrini ai lati, che aumentano l'effetto architettonico illusorio. La profondità è suggerita dalle colonnine digradanti e dal pavimento marmoreo a quadri. BROEDERLAM Annunciazione – Visitazione – Presentazione al tempio – Fuga in Egitto Claus Sluter (olandese) Si trasferisce a Digione e diventa lo scultore preferito di Filippo l’ardito Le opere che si trovano a Certosa di Champmol, insieme all’ opera di Baerze, raccontano in due modi diversi (scultura e pittura); la vita di Cristo. Queste opere infatti posizionate in ordine cronologico, trattano degli eventi più importanti per la storia cristiana. La storia secondo Broederlam, si trova come particolare della Pala della Crocifissione; la storia secondo Baerze si trova dietro l’altare della Crocifissione CLAUS SLUTER & JEAN DE MARVILLE – Portale della Certosa di Digione Al centro del pilastro centrale c’è la Madonna: da un lato Filippo l’ardito e San Giovanni Battista, dall’altro Margherita di Fiandra e Caterina di Alessandria. Sluter imposta il portale come sacra rappresentazione, opera teatrale, le figure vive che cooperano a creare una rappresentazione unitaria. Scatto in avanti verso il realismo, naturalismo, figure con solidità corporea; (Filippo e Margherita presentati alla Madonna col bambino,, da san giovani Battista e santa Caterina Martire). La decorazione plastica del portale della certosa di Champmol - la quale è oggi occupata dall'ospedale dei pazzi - si compone della statua della vergine col Bambino addossata al pilastro divisorio della porta, fiancheggiata a sinistra dalla figura inginocchiata di Filippo l'Ardito accompagnato da S. Giovanni Battista e, a destra, da quella della consorte del duca, Margarita di Fiandra, con S. Caterina d'Alessandria. Fra queste statue, avvolte in ampî panneggi mossi da esuberanti e vivaci partiti di pieghe, spicca soprattutto quella del duca, dalla testa modellata con robusta larghezza di piani e un senso acuto e penetrante delle caratteristiche fisionomiche. Un paragone della coppia ducale con le statue di Giovanna di Borbone e di Carlo V al Louvre, eseguite pochi anni prima probabilmente da Jean de Liège per il portale della chiesa dei Quinze-Vingts a Parigi, dimostra come gli accenti realistici usati dallo S. fossero già diffusi nella scultura fiamminga della fine del sec. XIV, sia pure sotto aspetti meno vigorosi. CLAUS SLUTER. Pozzo di Mosè 1395-1404 Sopra il pozzo c’era una crocifissione, il corpo di Cristo appeso e il pozzo simbolicamente pendeva/raccoglieva il sangue di Cristo. Profeti del pozzo sono marcati nella rappresentazione dei dettagli anatomici successori e abiti sono figure e dimensioni naturali molto grandi. Il pozzo ha una base esagonale, decorata delle statue di Mosè, Davide, Geremia, Zaccaria, Isaia e Daniele, è sormontata da una piattaforma, sostenuta da angeli piangenti eseguiti dal nipote dello S., Claus de Werve, sulla quale erano collocati in origine il Cristo crocifisso - di cui non rimane che la parte superiore della figura di Cristo - e le figure della Vergine, della Maddalena e di S. Giovanni Evangelista, oggi scomparse. Insuperabile è la potenza realistica con cui sono scolpiti i volti dei profeti, nettamente distinti uno dall'altro per sottili differenze di espressioni e di atteggiamenti. Approfondimento  ricostruzione del Pozzo secondo Nash CLAUS SLUTER E CLAUS DE WERVE. Tomba di Filippo l’Ardito duca di Borgogna (non più nella certosa, ma nel museo di Digione dopo la Rivoluzione Francese) 1410 Corteo funebre dei frati certosini che accompagnano il funerale di Filippo l’Ardito. Continua lvorazione della figura con mantello e si tratta di imploranti/piangenti che accompagnano il corteo. La figura non si vede ma si intuisce tramite il marcato panneggio e il gesto di pietà mette in evidenza la solidità dei corpi; le figure occupano uno spazio tridimensionale. Momento di svolta nel corteo internazionale con Sluter. Dal 1378 Filippo II acquisì una proprietà a Champmol, nei dintorni di Digione per farvi costruire una certosa (1383-1388), destinata ad accogliere le sue spoglie mortali. La tomba è uno dei capolavori della scultura francese, realizzata da Jean de Marville (1381-1389), Claus Sluter (1389-1406) e Claus de Werve (1406-1410). Jean Malouel, pittore ufficiale del duca, fu incaricato della policromia e delle dorature. Dopo la morte, la salma di Filippo fu eviscerata, imbalsamata e poi collocata in un sarcofago di piombo, sito nel coro della certosa di Champmol (16 giugno1404). Le viscere furono trasportate a Notre-Dame de Hal. Nel 1792 il corpo fu trasferito nella cattedrale di Saint-Bénigne a Digione. La tomba fu in seguito ricostruita e danneggiata dai rivoluzionari nel1793. La struttura fu restaurata nella prima metà del XIX secolo e oggi si trova al museo delle Belle Arti di Digione, nel Palazzo dei Duchi di Borgogna. Particolare  Pleurant (alla base della tomba) Figura piangente coperta da un capuccio Dettaglio del mantello. MINIATORE LOMBARDO  Decorazione miniata sul Tacuinum Sanitatis Libretti della salute, traduzione di un testo arabo. Descrizioni di alberi, uccelli, piante, rappresentazione fedele della realtà. In area lombarda si sviluppa una scuola specializzata nella riproduzione dell’opera. Duomo di MilanoGotico. Milza allo Spiedo – Il Miglio Scene del libro di particolari descrizioni di vita quotidiana DUOMO DI MILANO Facciata Per quanto riguarda la facciata il Tibaldi disegnò un progetto nel 1580, basato su un basamento a due piani animato da colonne corinzie giganti e con un'edicola in corrispondenza della navata centrale, affiancata da obelischi. La morte di Carlo Borromeo nel1584 significò l'allontanamento del suo protetto che lasciò la città, mentre il cantiere veniva preso in mano dal suo rivale Martino Bassi, che inviò a Gregorio XIV, papa milanese, un nuovo progetto di facciata. Nel XVII secolo la direzione dei lavori vide la presenza dei migliori architetti cittadini, qualiLelio Buzzi, Francesco Maria Ricchino (fino al 1638), Carlo Buzzi (fino al 1658) e i Quadrio. Nel frattempo nel 1628 era stato fatto il portale centrale e nel 1638 i lavori della facciata andavano avanti, con l'obiettivo di creare un effetto a edicole ispirato a Santa Susanna diRoma. A tal fine pervennero nel XVIII secolo i disegni di Luigi Vanvitelli (1745) e Bernardo Antonio Vittone (1746)[2]. Tra il 1765 e il 1769 Francesco Croce completò il coronamento del tiburio e la gugliamaggiore, sulla quale fu innalzata cinque anni dopo la Madunina di rame dorato, destinata a diventare il simbolo della città. Lo schema della facciata di Buzzi venne ripreso a fine secolo da Luigi Cagnola, Carlo Felice Soave e Leopoldo Pollack. Quest'ultimo diede inizio alla costruzione del balcone e della finestra centrale. Nel 1805, su istanza diretta di Napoleone, Giuseppe Zanoia avviò i lavori per il completamento della facciata, in previsione dell'incoronazione a re d'Italia. Il progetto venne finalmente concluso nel 1813 da Carlo Amati. Tra gli scultori che vi lavorarono nei primi anni dell'Ottocento, si può ricordare Luigi Acquisti. Veduta dell’abside Anticamente il Duomo era circondato dal fitto tessuto urbanistico medievale che, come attorno ad altre grandi cattedrali francesi e tedesche, creava vedute improvvise e maestose del mastodontico edificio, il quale sembrava una montagna di marmo emergente da una trama di minuti edifici di mattoni. L'antico aspetto della zona è testimoniata oggi da vedute antiche e da una serie di fotografie della metà dell'Ottocento. Con Dettaglio dei re MagiSfavillio delle vesti reso come materiale prezioso. Questo quadro viene terminato nel 1423 ed è importante perché è la stessa data in cui comincia a lavorare Masaccio: Palla Strozzi poteva scegliere lui, ma questo ci conferma che anche le persone più colte erano legate alla tradizione gotica, alla materialità e alla preziosità dell’opera. Nella predella troviamo l’Adorazione del Bambino (Natività), la fuga in Egitto e la presentazione nel tempio. Particolare attenzione all’architettura e per la dimensione urbanistica; lavoro essenziale. Scene naturali, meno dorate, verso il Rinascimento e maggiore autonomia come “nell’Adorazione dei Magi” di Masaccio. Evidentemente quando arriva a Firenze nel 1420 circa si incrocia una nuova generazione e mescolanza artistica. E’ stato conquistato dalla modernità e dalla prospettiva che esulava un pochino dal suo solito stile. (particolari) – fiori sulle colonne & particolari Descrizione opera nel dettaglio – La pala non rappresenta un'unica scena ma racconta tutto il cammino dei tre saggi orientali che seguirono la stella cometa per giungere al cospetto di Gesù bambino. La narrazione ha inizio nelle tre lunette, da sinistra, dove si vedono i tre Magi, vestiti d'oro, che vedono la stella cometa dall'alto del monte Vettore, raffigurato come una rupe a picco sul mare; subito il corteo si mette in moto ed arriva, nella lunetta centrale, nei pressi della città di Gerusalemme, dipinta in un paesaggio incantato di campi coltivati e boschetti fioriti; infine si vede l'entrata nella città. Completamente inedito per Firenze doveva risultare il tono del corteo, che assomiglia più a un gruppi di eleganti aristocratici a una battuta di caccia che a una scena religiosa. Il corteo riappare quindi da destra ed occupa tutta la metà inferiore del dipinto. A sinistra si trova il punto di arrivo della grotta della Natività dove si è posata la cometa luminosa e dove si trovano il bue e l'asinello davanti alla mangiatoia. Davanti al riparo di una capanna diroccata si trovano san Giuseppe, la Madonna assisa col Bambino e due servitrici. Davanti al Bambino si stanno inginocchiando i tre Magi: il primo, quello anziano, ha già deposto la corona ai piedi della Sacra Famiglia ed è prostrato a ricevere la benedizione del Bambino; il suo dono è già tra le mani delle servitrici; il secondo, di età matura, si sta per accovacciare e con la mano destra sta sfilandosi la corona, mentre con la sinistra tiene il calice dorato del suo dono; il terzo è appena sceso da cavallo, un servitore gli sta infatti ancora smontando gli speroni, ma con lo sguardo guarda già il bambino e tiene in mano un'ampolla d'oro da donare. I tre Magi, sono rappresentati nelle tre età dell'uomo: giovinezza, maturità e vecchiaia. I loro vestiti sono di incredibile sfarzo, con broccati d'oro finemente arabescati, copricapi sfavillanti e cinture con borchie preziose, ottenute a rilievo tramite punzonature e applicazioni. Dietro di loro, in posizione centrale, si trovano due personaggi due ritratti ben riconoscibili: l'uomo col falcone in mano, dal vestito più ricco dopo quello dei Magi (un damasco con disegni vegetali, ma privo di dorature) è il committente Palla Strozzi, mentre quello accanto a lui, che guarda verso lo spettatore, è probabilmente il suo figlio primogenito Lorenzo, anche seGiorgio Vasari indicava al suo posto un autoritratto di Gentile, improbabile in una posizione così preminente, inoltre l'indicazione agli artisti di evidenziare i propri ritratti dipingendosi con lo sguardo rivolto lo spettatore è leggermente più tarda, contenuta nelle opere di Leon Battista Alberti. Numerosi sono gli animali che animano la scena, a partire dal gruppo di cavalli che, spaventati da un leopardo, creano un movimento di linee centrifughe. In basso si trova un levriero, ritratto con precisione naturalistica, che si stira tra le zampe di un cavallo, con un magnifico collare dorato ottenuto a rilievo. Più indietro si trovano un altro leopardo, un dromedario, duescimmiette, un falcone in volo e altri uccelli, che creano un vivace campionario esotico. Tra i personaggi del corteo spiccano numerosi servitori, tra i quali uno in primo piano che regge la spada di uno dei re ed ha una banda a tracolla che ricorda, in lettere dorate a rilievo, i caratteri cufici. La predella è composta da tre scomparti rettangolari, che mostrano (da sinistra) l’adorazione dl bambino e annuncio ai pastori, la Fuga in Egitto e la copia della Presentazione al Tempio (l'originale è di proprietà del Museo del Louvre dal XIX secolo). La Natività è ambientata di notte, nella stessa ambientazione della pala centrale: a sinistra si scorge infatti lo stesso edificio rosato, dove le due ancelle di Maria riposano sotto un arco: una dorme con la testa girata verso il fondo, l'altra è sveglia e sbircia la scena centrale, in cui il Bambino appena nato emette un bagliore di santità che rischiara tutto: Maria inginocchiata in adorazione, il bue e l'asinello a semicerchio e san Giuseppe che, come da schema tradizionale, è addormentato e un po' in disparte, a sottolineare il suo ruolo di semplice protettore di Maria e Gesù, senza un ruolo attivo nella nascita. Di grande sensibilità luministica è l'illuminazione dal basso del tettuccio davanti alla porta dell'edificio e della caverna, o delle ombre che coprono solo metà del tetto sotto il quale le ancelle sono riparate. Un'analoga sensibilità rischiara solo alcuni dei rametti dell'alberello a cui è appoggiato Giuseppe. Sullo sfondo a destra un'altra apparizione luminosa, in questo caso angelica, domina l'episodio dell'annuncio ai pastori; il resto del brullo paesaggio montuoso è in ombra, sotto un cielo stellato che mostra una precoce sensibilità atmosferica, nel chiarore che inizia ad emergere vicino all'orizzonte. In alto a sinistra si scorge anche uno spicchio di luna. La Fuga in Egitto è ambientata in un ricco paesaggio, con gli stessi protagonisti: Maria col Bambino, in sella a un asinello, Giuseppe che fa da guida e le due ancelle dietro. Se i personaggi centrali hanno come quinta una montagnola appositamente creata, ai lati il paesaggio si dilata a perdita d'occhio. Il cielo limpido sovrasta una giornata estiva, illuminando la frutta negli alberi, le cime montuose, i castelli e le città, tra cui quella fiabesca a destra, tutta composta da cupole, torri, campanili ed altri edifici dagli irreali colori pastello, che qualcuno ha definito "di marzapane"[2]. La strada è ghiaiosa, con i ciottoli dipinti uno per uno e tutta la scena sembra risplendere in un pulviscolo dorato, che deriva dai raggi del disco solare, completamente d'oro, in alto a sinistra. I pilastrini sono decorati da fessure polilobate in cui sono rappresentati vari fiori e piante, indagati col piglio naturalistico tipico dell'artista. Essi hanno forme intricate e brulicanti, come tipico delle opere della fase matura dell'artista, al posto dell'ordinata serie di fiorellini dei dipinti giovanili. Per meglio rendere l'effetto di realismo, l'artista dipinse spesso foglioline e qualche infiorescenza direttamente sulla cornice, come se sporgessero dai trafori, secondo uno schema altamente illusionistico. La pala è incorniciata da una ricca struttura lignea dorata che mescola il gotico senese al rinascimento fiorentino. Le tre cuspidi sono decorate da un tondo, al centro, e da due profeti sdraiati ai lati, mentre in alto si trovano dei più semplici cherubini. Nella cuspide di sinistra si trovano:  Angelo annunciante (nel tondo)  Ezechiele  Michea Nella cuspide centrale  Il Salvatore benedicente (nel tondo)  Mosè  Re Davide Nella cuspide destra  Maria annunciata (nel tondo)  Baruch  Isaia Sulle piccole monofore dei lati della cornice, Gentile rappresentò una serie di bouquet floreali, rappresentati con freschezza di osservazione, uno diverso dall'altro. Vi si riconoscono: crochi, giaggioli, gigli, convolvoli e borragini. POLITTICO VALLEROMITA (G. DA FABRIANO) Era un’opera per le Marche, eseguito da Venesia, preso dalle truppe Napoleoniche, portato a Parigi e poi restituito con parti mancanti. Ricostruito; parte centrale: incoronazione della Vergine. Protagonisti non sul trono ma circondati da angeli in Paradiso e sulla Terra che rappresentano uno Stato di Grazia. Pittura molto attenta, crea trasparenza nel viso; estrema ricercatezza e preziosità. Nel 400 il genere/stile gotico di Gentile da Fabriano è il più diffuso. Nel polittico viene data importanza alla linea curva e al punto di vista narrativo; la scrittura è tonda: rapporto tra immagini e scrittura Santicome personaggi cortesi. Maria Maddalenapelliccia di ermellino disegna direttamente sulla lacrima d’oro l’oggetto che lei tiene in mano (olio con cui aveva unto i piedi di Gesù). Dettaglio realistico del prato. Incoronazione Della Vergine Nell’opera Padre Figlio e Spirito Santo  il Padre con le braccia aperte, il figlio che incorona la Vergine e lo Spirito Santo che compare al centro del quadro. Particolare è la corona che è d’oro come l’aureola di Maria. Lo sfondo è d’oro con dei richiami rossi, e sotto degli angeli rivolti verso la scena. Quello che sorprende nella tavola è la straordinaria ricchezza dei motivi tessili ricchi d'oro, che si accavallano formando un intricato effetto ipnotico e abbagliante. Al manto di Maria, a sfondo blu e decorato da girandole e corone, si contrappone il drappo che copre il seggio e il pavimento, con motivi vegetali su sfondo verde; la veste di Cristo è completamente dorata con fogliette organizzate su stelle a base pentagonale, mentre il suo manto, rosso scuro, presenta dei grossi fiori con foglie ripetuti; completano l'insieme le vesti angeliche, a sfondo bianco con altri motivi vegetali, e i ricchi bordi dorati, su cui si trovano vere e proprie iscrizioni incise nell'oro: in quello di Maria si legge infatti "Ave Maria G[ratia] Plen[a] Dominus Tecum Be[nedicta]". Straordinari sono poi gli effetti a rilievo ottenuti con la pastiglia in gesso: la corona di Maria, che sembra un vero, sfarzoso gioiello, e la spilla che le regge il manto. Non meno lavorato è l'oro dello sfondo, con raggi dorati incisi, su cui si stagliano le aureole finemente decorate. In quella di Gesù si può leggere in complessi caratteri gotici "Yesus Christus Fil[ius Dei]". Appare chiaro come Gentile usasse, se richiesto, lo stesso sfarzo tanto nelle commissioni "provinciali" quanto in quelle per i grandi centri. La decorazione sovrabbondante crea in questo caso un inevitabile appiattimento dei volumi, che quasi annulla il senso di spazio nella rappresentazione, rifulgendo in astratti motivi che richiamano la più ricca tradizione veneziano-bizantina. Santa Maria Maddalena Nella Maddalena è estremamente raffinato il gesto indolente con cui regge l'ampolla degli unguenti, suo attributo tradizionale, indolentemente appoggiata sulla punta delle dita (l'ampolla è incisa nell'oro, non dipinta, come un oggetto della più raffinata oreficeria coeva): ben diverso sarà il trattamento dell'analogo soggetto nel Polittico Quaratesi, in cui la nuova Maddalena, memore del realismo di Masaccio, terrà saldamente in mano la pisside. Nonostante l'astrattezza di finezze come questa, un'importante novità rispetto agli stilemi del gotico è la saldezza con cui i santi si appoggiano al suolo, senza quell'effetto "in punta di piedi" che venne biasimato da Vasari, il quale ne attribuì il superamento aMasaccio, sebbene il polittico di Valleromita sia anteriore di una decina d'anni rispetto alle opere del pittore fiorentino. Girolamo regge una chiesa gotica, simbolo della Chiesa romana stessa o dell'edificio fatto restaurare. Estremamente tortuoso è il ricadere degli orli dei manti, che creano curve sinuose e ritmate. GdF collaboratore di Francesco Borromini – rilievo egli affreschi al fondo della parete destra della navata centrale della basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, 1646 circa Affreschi persi, ma importante è l’impaginazione architettonica forse perché vi è un senso plastico. Concepisce la composizione generale come grande opera architettonica. Puntualizzazione prospettica non riguarda solo il rappresentare la realtà, ma anche su come viene narrata l’opera. L’opera sembra un libro, letto da sinistra verso destra: l’episodio principale della scena non sta al centro, ma a sinistra. Non solo spazio, ma anche narrazione. L’architettura di questo bozzetto (a Berlino), ispira opere architettoniche come: Ca’ d’oro Venezia Palazzo ducale PISANELLO Maestro della Madonna di Chieri, Nanni di Bartolo monumento sepolcrale di Niccolò Brenzoni 1422-1426 Chiesa di San Fermo Maggiore a Verona Opera polimaterica, stucchi a marmo; concezione bidimensionale de monumento sepolcrale. Cenotafio=monumento sepolcrale senza corpo (sepolto nella Chiesa: allusione alla Resurrezione; Vergine Annunciata e Angelo). Si ispira al maestro Gentile e al suo senso estetico e la ricchezza dei temi trattati. Il monumento a Niccolò Brenzoni è un'opera funebre situata nella chiesa di San Fermo Maggiore a Verona. Si tratta di un'opera firmata nella parte scultorea da Nanni di Bartolo e in quella pittorica da Pisanello e risale al 1426. Il monumento vero e proprio è composto da un sarcofago che viene illusionisticamente aperto da un angelo facendone uscire il Cristo risorto. In basso si trovano quattro guardie addormentate su un suolo roccioso, Venezia, oltre la Lombardia, altra grande patria del gotico internazionale. (1443 Donatello a Padova). Architettura che sembra oreficeria dei quadri di Gentile da Fabriano. Si tende a smaterializzare la pesantezza. Nel palazzo Ducale vi sono affreschi di Gentile ormai perduti, e vi lavorò anche Antonio Pisano, detto Pisanello (forse toscano). Gli animali qui non hanno valenze primariamente simboliche, come nella pittura gotica o in quella rinascimentale, ma la loro presenza serve più che altro a comporre un campionario, privo di volontà classificatoria o ordinatrice. Essi sono dipinti a partire dai dettagli, i più analitici possibili, per poi venire accostati agli altri nella composizione dell'immagine: l'effetto che ne scaturisce nell'osservatore è quello di una superficie vibrante, di difficile percezione nell'insieme, che invita continuamente a indagare ogni singolo dettaglio. Ritratto di Nobil Donna di Casa D’Este Artista di transizione tra Medioevo e Rinascimento: straordinario ritrattista, si occupa della stilizzazione di caratteristiche dell’epoca. Fa diversi ritratti che piacciono molto alle corti. Operatesta di profilo e ambientazione naturale: faccia di profili come per le monete; l’opera è una sintesi: classicismo nel profilo da monete, medaglie. Attualizzazione nel fatto che il personaggio non ha forme classiche ma è agghindato come n personaggio cortese attuale. Natura classica ma non tema classico! La protagonista del dipinto è ritratta di profilo, come nelle medaglie celebrative che si rifacevano alla tradizione imperiale romana, con una figura allungata che richiama la moda dell'epoca, culminate nell'elaborata acconciatura con nastro bianco. Essa è vestita con un tessuto pregiato per l'epoca, di colore rosso e bianco, integrato da un mantello, dove si trova il simbolo della casata degli Este impreziosito da perle e ricami preziosi. Specie botaniche La minuzia nella resa dei dettagli floreali dello sfondo e la serena atmosfera cortese sono elementi tipici dello stile tardogotico, del quale Pisanello fu il più grande maestro del nord-Italia. Come si è detto, in quest'opera Pisanello annuncia i presagi di morte, riscontrabili in ciò che è rappresentato sullo sfondo. I simboli sono numerosi:  Farfalla: simbolo dell'anima.  Siepe di aquilege: simbolo del matrimonio, simbolo di fertilità e di morte.  Garofano: simbolo di matrimonio, di fertilità e del fidanzamento.  Vaso biansato con le ancore: si trova effigiato sul mantello di Ginevra ed è un'impresa araldica della famiglia d'Este; la mancanza dell'impresa di una seconda casata dimostra che non si tratta di un'opera di fidanzamento.  Rametto di ginepro: richiamo al nome Ginevra ed è anche presagio di morte.  Catenella: simbolo di unione, matrimonio. Medaglia di Cecilia Gonzaga 1447 – Recto e Verso Nel retro troviamo il volto di Cecilia, mentre nel verso (dietro), c’è un’immagine della castità. Temi tipici delle idee medievali: castità, testo di fisiologi che si lega alla figura di una donna che accoglie nel grembo un unicorno. Genere classico con soggetti e iconografia contemporanea. Società legata al simbolismo medievale. Tavola con iscrizioni con Capitale Romana (lettere grandi), elemento non gotico. L'opera, dai chiari intenti celebrativi, è virtuosamente esente da una retorica troppo artificiosa, riuscendo a sottolineare l'autorità del personaggio con un misurato ricorso ad elementi decorativi. Sul recto è effigiata di profilo Cecilia Gonzaga in forma di busto fino al ventre, girato a sinistra, vestita di un elegante abito signorile con ampie maniche. Secondo la moda del tempo l'attaccatura dei capelli è altissima sulla fronte, come si vede anche in altre principesse disegnate da Pisanello. Sulla nuca i capelli sono raccolti con nastri in un'acconciatura elaborata. Lungo il bordo corre in senso orario l'iscrizione CICILIA VIRGO FILIA IOHANNIS FRANCISCI PRIMI MARCHIONIS MANTVE ("Cecilia, vergine, figlia di Gianfrancesco primo marchese di Mantova"). Sul verso si vede la fanciulla (o forse una personificazione dell'Innocenza) seduta su rocce, mentre accarezza con tranquillità la testa di un unicorno (raffigurato come una sorta di caprone con lungo corno dritto in fronte), mansuetamente accovacciato in primo piano. Secondo la mitologia greca gli unicorni erano bestie feroci e selvagge, catturabili solo da vergini, per cui la sua presenza è un evidente richiamo alla virtù della fanciulla. Anche la falce di luna sullo sfondo rimanda a Diana, la mitica dea vergine. A destra si vede una stele con la scritta OPVS PISANI PICTORIS ("opera del pittore Pisan[ell]o") e la data MCCCCXLVII. Copia da sarcofago antico Questo bozzetto si ispira ad un’opera di Arte romana del II-III sec d.C. Soggetto: incontro di Marte e Rea Silvia; si trova a Roma  la copia di Pisanello 1431-1432, ora si trova a Milano: si tratta solo di alcune figure che rappresentano le usanze di ungere e arrotolare il corpo del morto. IGNOTO PITTORE CATALANO – Il Trionfo della Morte L'affresco è composto come una gigantesca pagina miniata, dove in un lussureggiante giardino incantato, bordato da una siepe, irrompe la Morte su uno spettrale cavallo scheletrito. Essa inizia a lanciare frecce letali che colpiscono personaggi di tutte le fasce sociali, uccidendoli. Il cavallo, di prorompente vitalità, occupa il centro della scena, con le sue costole e la macabra anatomia della testa scarnificata, che mostra denti e lingua. La Morte è raffigurata efficacemente nell'attimo in cui ha appena scoccato una freccia, che è andata a colpire il collo di un giovane nell'angolo destro in basso; essa ha legata sul fianco la falce e reca con sé una faretra, suoi attributi iconografici tipici. Lo sfondo della siepe In basso si trovano i cadaveri delle persone già uccise: imperatori, papi, vescovi, frati (sia francescani che domenicani), poeti, cavalieri e damigelle. Ciascuno è rappresentato individualmente, in una posizione diversa: chi con una smorfia di dolore ancora disegnata sul volto, chi sereno, chi con gli arti scompostamente abbandonati, chi, appena raggiunto da una freccia, nell'atto di accasciarsi. A sinistra si trova il gruppo della povera gente, che invoca la morte di interrompere le proprie sofferenze, ma viene crudelmente ignorata. Fra questi, la figura in alto che guarda verso l'osservatore è stata proposta come autoritratto dell'autore. A destra si trova il gruppo degli aristocratici, disinteressati all'avvenimento, che imperterriti continuano le loro attività, tranne i personaggi immediatamente più vicini ai cadaveri. Vi si riconoscono diversi musici, dame riccamente abbigliate e cavalieri vestiti di pellicce, come quelli che chiacchierano amabilmente ai bordi della fontana, simbolo di vita e di giovinezza. Qui e più in alto, a sinistra, si trovano due richiami a uno degli svaghi più amati dall'aristocrazia, la caccia, con un uomo che tiene unfalcone sul braccio e un altro che regge al guinzaglio due cani da caccia trepidanti, tra i quali il levriero disegna una linea sinuosa col corpo sull'attenti. Nonostante la ricchezza e la complessità del soggetto, la scena è composta in maniera unitaria, grazie a un'efficace stilizzazione lineare e alle pennellate corpose che riescono a trasmettere la consistenza materica del colore. Curiosità  Si pensa che quest'opera sia valsa da ispirazione per la realizzazione della Guernica di Picasso. Nel film Palermo Shooting di Wim Wenders il quadro viene ripreso spesso ed è una parte importante su cui si sviluppa la trama (di fantasia). LORENZO MONACO Incoronazione della Vergine Carpenteria lignea molto elaborata. Lorenzo ama la linea curva e gli accostamenti di linee curve. L'Incoronazione della Vergine è un grande polittico a tempera e oro sutavola (506x447,5 cm) di Lorenzo Monaco, datato al 1414 e conservato agliUffizi di Firenze. L'opera è composta innanzitutto da una maestosa cornice intagliata e dorata, vera e propria macchina scenica con tre cuspidi coperte da protiri su mensole piuttosto sporgenti, con un ricamo interno di archetti e racemi vegetali sugli archi. Al di sopra si trovano tre pannelli cuspidati, con la parte superiore della cornice perduta, recanti le pitture (da sinistra) dell'Angelo annunciante, delCristo benedicente tra cherubini e della Vergine annunciata. Ai lati si trovano due pilastri con colonnine tortili sui bordi, dove si aprono alcuni lobi con figure di profeti dipinte. In basso si trova lapredella con sei quadrilobi contenenti Storie di san Benedetto, fondatore dei Benedettini di cui iCamaldolesi erano una congregazione, e di san Bernardo di Chiaravalle. Il pannello centrale è organizzato dalle cuspidi come un trittico ma senza soluzione di continuità. Vi è raffigurata la scena dell'Incoronazione, ambientata in paradiso (le fasce azzurre e stellate alludono ai sette cieli), alla presenza di un doppio stuolo di santi ai lati (disposti su tre file) e di un cospicuo numero di angeli sia dietro il ciborio che copre il trono di Gesù e Maria, sia ai lati del trono, sia davanti, dove si trovano tre angeli spargi-incenso. Nel gruppo di santi a sinistra si riconoscono: Giovanni Battista (prima fila, da destra) Pietro Bernardo di Chiaravalle Matteo (seconda fila, da destra) Iacopo Paolo Stefano martire Donato vescovo (terza fila, da sinistra) Antonio Abate Sigismondo Nel gruppo di santi a destra si trovano: Giovanni evangelista (prima fila, da sinistra) Andrea Apostolo Benedetto da Norcia Lorenzo (seconda fila, da sinistra) Bartolomeo Zanobi Francesco d'Assisi Tre santi di identificazione incerta (terza fila) La composizione è molto affollata, ma sostanzialmente piatta, come nelle opere dei giotteschi, mentre più originali sono le forme allungate delle figure, le cadenze falcate dei panneggi, l'uso di colori freddi e squillanti, con note cangianti, che ne fanno una delle opere più rappresentative del tardo gotico fiorentino. Rispetto ad altre zone d'Italia, nei dipinti dei maestri fiorentini, mancano quasi del tutto i riferimenti al mondo cortese e in particolare in Lorenzo Monaco è sempre centrale un profondo sentimento religioso (sottolineato dal persistente fondo oro). Predella: Nella predella si trovano: Funerali di san Bernardo Penitenza di san Benedetto Natività Adorazione dei Magi San Bernardo dà la regola a san Benedetto e san Benedetto salva un frate dall'annegamento San Bernardo resuscita un fraticello La presenza di san Bernardo ricorda i cistercensi e san Benedetto i benedettini, dei quali i camaldolesi erano unacongregazione. Nella predella soprattutto Lorenzo poté dipingere figure intense e fantasiose, con ambientazioni più originali, senza il fondo oro. MASOLINO DA PANICALE Madonna col bambino 1415-1420 ca Assenza di dimensione spaziale; linee eleganti; Madonna dell’Umiltà ispirato a Schöne. Nei primi anni del 400 ci sono ancora molti tratti del gotico internazionale. È anche detta Madonna Boni-Carnesecchi (probabilmente ricordo di un matrimonio tra le due famiglie: alla base vi sono gli stemmi delle due famiglie e la data 1423), che oggi è conservata a Brema. L'opera è ancora molto legata agli schemi tardo gotici, ma vi si nota la ricerca di una gestualità più naturale, tratta dal quotidiano (come la posa scherzosa del Bambino) e un interesse verso una resa volumetrica più semplice e solida (come nella monumentale figura della Madonna o nelle gambe del Bambino). CONCORSO PER LA PORTA DEL BATTISTERO 1401 Come nel ducato di Borgogna, anche a Firenze ci si focalizza sulla scultura: ci fu un concorso per scolpire la seconda porta del Battistero, e a contendersi il lavoro sono Ghiberti e Brunelleschi. Sacrificio di Isacco 1401-1402 (opera del confronto) Vincitore del concorso fu Ghiberti che si può legare alla tradizione tardo-gotica, invece Brunelleschi verso il Rinascimento. Formella di Ghiberti meno pesante (-7 Kg) e costruita direttamente non con figure applicate come quelle di Brunelleschi. LORENZO GHIBERTI – PISANO Porta nord porta sud La prima formella della porta del Battistero è di Antonio Pisano 1401-1402 asimmetrie. Il viso di David non è solo pensieroso: se lo si guarda attentamente trasmette quella sensazione di superiorità e malizia di un adolescente, con uno sguardo che è consapevole della sua impresa mastodontica e ne è orgoglioso. È proprio questo senso del reale che evita la caduta nel puro compiacimento estetico, con i riferimenti intellettuali trasformati in qualcosa di sostanziale e vivo. La scultura non ha un lato privilegiato per la vista, anzi ruotandoci attorno si scoprono via via nuovi dettagli e si ha sempre una visuale armoniosa dell'intero corpo. Ad esempio la veduta di profilo permette di ammirare il caratteristico elmo a punta, mentre la veduta posteriore mostra tutta la sensualità androgina del corpo di giovinetto. Vasari annotò come Donatello si sarebbe rifatto all'osservazione di un modello dal vivo, piuttosto che a un repertorio di modelli scultorei classici. La testa di Golia è un capolavoro sotto più punti di vista, dalla forte espressività legata a un cesello finissimo della barba e della decorazione dell'elmo, dove Donatello citò una danza di putti presente su una gemma intagliata con il Trionfo di Bacco e Arianna, già appartenente a Paolo Barbo ed entrata nelle collezioni medicee solo nel 1471. Profeta Zuccone Figure viste dal basso: intensità espressiva. Estrema ricerca di sintesi formale. Pieghe molto lunghe, senso plastico molto forte. Elementi antichi stravolti in un realismo esagerato. Rilievo schiacciato per le barbe (differenza con il primo Donatello). Come uno dei profeti di Sluter. Zuccone personaggio antico. Il soggetto della statua non è identificato con certezza assoluta, complice un possibile scambio di posizione con il Geremia in epoca imprecisata. I nomi delle due statue si sono però ormai indissolubilmente legati ad esse nel corso dei secoli, rendendo la questione secondaria. Inoltre l'iconografia di Abacuc è quella di un vecchio, mentre il Geremia appare di mezza età. L'opera è firmata sulla base Opus Donatelli. Abacuc è forse la statua meglio riuscita di tutta la serie del campanile, annoverata tra i capolavori di Donatello e della scultura rinascimentale in generale. Rispetto alle precedenti opere di Donatello (come le tre statue sul lato est), si notano un forte naturalismo e una significativa intensificazione espressiva. Il profeta è ritratto calvo (da cui il nome popolare) di una magrezza ascetica, con una lunga tunica che gli cade dalla spalla sinistra e che crea profonde pieghe verticali, anti-classiche perché non aderiscono al corpo, e che sottolineano la maestosità della figura ma anche il suo tormento interiore. La bocca semiaperta, gli occhi incavati e profondi, la calvizie penetrano la fisionomia del soggetto, superando con un intenso realismo qualsiasi notazione grottesca. Lo sguardo è intenso e rivolto verso il basso, dove cioè si trovavano gli spettatori ideali dell'opera, la cui nicchia si trovava a notevole altezza. Crocifisso (David) Donatello. David (Crocifisso ligneo) Completamente diverso, panneggiato più sullo stile del gotico internazionale 1443Donatello nella Lombradia di Gentile da Fabriano e Pisanello. Altro capolavoro del periodo di Santa Maria Novella: corpo proporzionato maggiormente, studi sull’anatomia e sul corpo umano; idea anatomica della figura. Quasi inaugura il Rinascimento fiorentino. Brunelleschi approfitta del periodo dopo la sconfitta con Ghiberti per rielaborare uno stile più moderno. Esercitazione del nudo, non come pura macchina di adorazione. Svolta anche rispetto al crocifisso di Donatello, non ci sono sproporzioni. Il confronto tra i due crocifissi è esemplare per dimostrare le differenze personali tra i due padri del Rinascimento fiorentino, che nonostante la comunanza di intenti avevano concezioni personali del fare artistico molto diverse, se non talvolta opposte. Il Cristo di Donatello è costruito sottolineando la sofferenza e la verità umana del soggetto, forse in accordo con le richieste dei committenti francescani, sempre interessati a figure patetiche che colpissero i fedeli comuni, facendoli partecipare tramite lacompassione alle sofferenze di Gesù. L'opera ha infatti le spalle snodate e poteva essere deposto dalla Croce in occasione delle cerimonie della Settimana Santa. Il corpo sofferente è composto con un modellato energico e vibrante, che non fa concessione alla convenienza estetica: l'agonia è sottolineata dai lineamenti contratti, la bocca dischiusa, gli occhi semiaperti, la composizione sgraziata. Con quest'opera Donatello sembra polemizzare contro le eleganze ellenizzanti di Lorenzo Ghiberti, ma anche con la compostezza armoniosa e matematica di Brunelleschi. Nel crocifisso di quest'ultimo infatti il Cristo è invece impostato secondo una studiata proporzionalità ed ha una solenne gravitas che Caratterizza il grandissimo artista che è Brunelleschi. Confronto  DONATELLO & GHIBERTI (Crocifisso & Crocifissione) L’opera di Donatello (più grande), inoltre il legno lucido fa risaltare ancora di più i dettagli; cosa che invece sulla “piastrella della porta” di Ghiberti non è possibile osservare. L’opera di Donatello, è presentata anche nel libro “la vita di Brunelleschi” E nel “Vita di donato” Giorgio Vasari, Vita di Filippo Brunlleschi, 1568 Ora, avendo Donato in que’ giorni finito un Crucifisso di legno, il quale fu posto in S. Croce di Fiorenza […], volle Donato pigliarne parere con Filippo; ma se ne pentì, perché Filippo gli rispose ch’egli aveva messo un contadino in croce: onde ne nacque il detto di “Togli del legno e fanne uno tu”, come largamente si ragiona nella Vita di Donato. Per il che Filippo, il quale, ancorché fusse provocato a ira, mai si adirava per cosa che li fusse detta, stette cheto molti mesi, tanto ch’e’ condusse di legno un Crocifisso della medesima grandezza, di tal bontà e sì con arte, disegno e diligenza lavorato, che nel mandar Donato a casa inanzi a lui quasi ad inganno (perché non sapeva che Filippo avesse fatto tale opera), un grembiule che egli aveva pieno di uova e di cose per desinar insieme gli cascò mentre lo guardava, uscito di sé per la maraviglia e per l’ingegnosa et artifiziosa maniera che aveva usato Filippo nelle gambe, nel torso e nelle braccia di detta figura, disposta et unita talmente insieme che Donato, oltra il chiamarsi vinto, lo predicava per miracolo. La qual opera è oggi posta in Santa Maria Novella fra la cappella degli Strozzi e de’ Bardi da Vernia, lodata ancora dai moderni infinitamente […] Giorgio Vasari, Vita di Donato (Donatello), 1568 Nella chiesa medesima [di Santa Croce] sotto il tramezzo, a lato alla storia di Taddeo Gaddi, fece con straordinaria fatica un Crucifisso di legno, il quale quando ebbe finito, parendogli aver fatto una cosa rarissima, lo mostrò a Filippo di ser Brunellesco suo amicissimo, per averne il parere suo; il quale Filippo, che per le parole di Donato aspettava di vedere molto miglior cosa, come lo vide sorrise alquanto. Il che vedendo Donato, lo pregò per quanta amicizia era fra loro che gliene dicesse il parer suo, per che Filippo, che liberalissimo era, rispose che gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo et in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse già mai. Udendosi mordere Donato, e più a dentro che non pensava, dove sperava essere lodato, rispose: “Se così facile fusse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo e non un contadino: però piglia del legno e pruova a farne uno ancor tu”. Filippo, senza più farne parola tornato a casa, senza che alcuno lo sapesse mise mano a fare un Crucifisso, e cercando d’avanzare, per non condannar il proprio giudizio, Donato, lo condusse dopo molti mesi a somma perfezzione. E ciò fatto, invitò una mattina Donato a desinar seco, e Donato accettò l’invito. E così andando a casa di Filippo di compagnia, arivati in Mercato Vecchio, Filippo comperò alcune cose, e datole a Donato, disse: “Avìati con queste cose a casa e li aspettami, che io ne vengo or ora”. Entrato dunque Donato in casa, giunto che fu in terreno, vide il Crucifisso di Filippo a un buon lume, e fermatosi a considerarlo, lo trovò così perfettamente finito, che vinto e tutto pieno di stupore, come fuor di sé, aperse le mani che tenevano il grembiule; onde cascatogli l’uova, il formaggio e l’altre robe tutte, si versò e fracassò ogni cosa; ma non restando però di far le maraviglie e star come insensato, sopragiunto Filippo, ridendo disse: “Che disegno è il tuo, Donato? Che desinaremo noi, avendo tu versato ogni cosa?”. “Io per me - rispose Donato - ho per istamani avuta la parte mia: se tu vuoi la tua, pigliatela; ma non più: a te è conceduto fare i Cristi et a me i contadini”. Santa Maria Maddalena La Maria Maddalena è rappresentata negli anni della vecchiaia, quando pellegrinò incessantemente digiunando nelle foreste nel sud della Francia, come scritto sulla Leggenda Aurea. Già famosa per la sua bel lezza, essa venne infine completamente avvolta dai suoi capelli sempre più lunghi. La sua storia era il migliore esempio di redenzione e ascesi ottenuta attraverso il rifiuto del mondo, la mortificazione della carne, il pentimento e la preghiera.Donatello fece a meno di quasi tutti gli attributi iconografici tradizionali, quali il cranio, la croce, il vasetto di unguenti. L'esile figura è rappresentata in piedi, con una leggera rotazione della testa che permette una pluralità di punti di vista. Il volto è scavato, gli occhi sono infossati nelle orbite, la magrezza rivela i muscoli e tendini a fior di pelle. I lunghissimi capelli, ispidi e appiccicaticci, sono intrecciati intorno ai fianchi a mo' di macabro indumento e rendono il corpo scheletrito una massa informe. Le mani sono quasi giunte, in segno di preghiera, ma non si toccano, come se ella fosse colta nell'atto di iniziare un'umile supplica.La fisionomia della donna è deturpata e rinsecchita dai lunghi digiuni, dalle privazioni e autofustigazioni. I capelli attorno al volto e le incavature degli occhi disegnano ombre profonde, che evidenziano e incorniciano espressivamente il cranio e il collo rugoso. La bocca è dischiusa e lascia intravedere la chiostra dei denti; lo sguardo è fisso e attonito, in una angosciata immobilità.Ancora oggi la visione della statua crea in alcuni visitatori un senso di straniamento e latente disagio, soprattutto fissandola negli occhi: vi si legge infatti tutta una serie di sentimenti profondi dell'animo umano (fatica, dolore, animo stanco), che non possono non muovere a compassione. Sembra di percepire nella Maddalena la vicinanza della morte e il degrado fisico portato fino alla soglia della decomposizione.Capolavoro del naturalismo più vero, privo di idealizzazioni, la Maddalena segnò la crisi e il superamento espressionistico del classicismo di cui Donatello era stato il principale rappresentante in gioventù. La negazione della bellezza fisica privilegia vibranti valori drammatici e patetici, arrivando ad essere quasi "spettrale" (Rosenauer parlò di "mummia vivente"). Ritorniamo a Firenze, seconda metà del 400: padovana, crudo? astratto, non alla ricerca della perfezione carnale. Vecchia anziana, sofferente nel deserto: tratti scavati, carica di pathos. Donatello spaesato e diverso dall’inizio, ma capito dai contemporanei. Donatello va anche in crisi. San Ludovico di Tolosa Il santo è rappresentato come un giovane vescovo, con mitria e bastone pastoralefinemente cesellati, nell'atto di benedire con la mano destra. Indossa i guanti da vescovo e la veste da frate, sopra la quale si trova un pesante mantello.La statua, rispetto alle opere precedenti presenti nelle nicchie di Orsanmichele, era sensibilmente più grande e stava più stretta nel tabernacolo, iniziando quel rapporto di emancipazione tra le statue e le nicchie che le contenevano, in contrapposizione con la scultura gotica.La statua venne realizzata con il recupero della tecnica della fusione a cera persa, creando più pezzi separati che venivano poi assemblati. Si trattò della prima opera di grandi dimensioni fusa con tale tecnica in epoca moderna. Col tempo l'uso di questa tecnica per Donatello divenne sempre crescente, arrivando ad essere quasi esclusiva negli anni della maturità. Stile.I giudizi su quest'opera sono controversi e vanno da una benevola accoglienza fino alla squalifica come opera malriuscita. Il Vasari, dopo aver ampiamente lodato lo Zuccone, parlava del San Ludovico come di una figura "rozza", la meno riuscita che Donatello avesse mai fatto. Egli addusse anche una giustificazione, scrivendo che Donatello avesse volutamente reso la figura sgraziata e imperfetta perché non condivideva la scelta del santo di "lasciare il reame per farsi frate". Altri invece hanno sottolineato come anzi Donatello avrebbe messo in atto il conflitto nella vita del personaggio storico tra la ricerca di una vita ascetica con la conversione e la conseguente rinuncia al potere, e il ritorno al potere con la nomina a vescovo. I difetti riscontrati erano il mantello che sembra schiacciare il corpo esile, la mitria smisuratamente grande, il volto idealizzato. DONATELLO-PULPITI DI SAN LORENZO I Medici gli affidarono due pulpiti di bronzo: Donatello lavorò con i suoi collaboratori; scene legate alla vista di San Lorenzo e alla passione. 15 giugno 1465: Donatello muore nel 1466). PULPITO DELLA RESURREZIONE Il pulpito della Resurrezione è quello conservato nella navata destra. Le due opere hanno un'impaginazione simile, ma molto più originale nel caso del pulpito della Resurrezione, poiché scandita non già da lesene, ma da una serie di piccoli edifici disposti prospetticamente come quinte laterali. Anche in questo caso corre in alto un fregio continuo, che è decorato da putti vendemmianti, eroti anforette e cavalieri e centauri affrontati, sopra il quale corre un simasporgente che ricorda i sarcofagi classici. Nel pulpito della Resurrezione i lati maggiori contengono tre scene ciascuno, più una per ciascuno dei due lati minori, per un totale di otto. Due pannelli del lato nord però, in corrispondenza dello sportello per l'accesso, sono integrazioni lignee seicentesche. I pannelli raccontano gli episodi della vita di Cristo dopo la morte, senza rispettare rigidamente la sequenza narrativa dei Vangeli e con l'aggiunta del Martirio di San Lorenzo, in onore del santo titolare della chiesa. Rappresentano:  Pie donne al sepolcro (ovest)  Discesa al Limbo (sud)  Resurrezione (sud)  Ascensione (sud)  Pentecoste (est)  Martirio di San Lorenzo (nord)  Cristo deriso, (nord, in legno brunito, XVII secolo) spirale ai lati della scena e tutte e tre sono sormontate da un putto alato. In fondo alle arcate si trovano raffigurati due balconi dove si affacciano i curiosi. Due pertiche all'estremità non sono altro che direttrici prospettiche verso il punto di fuga; esse escono ben oltre le colonne laterali e tengono appese due gabbiette, un virtuosistico esercizio di prospettiva. La doppia scena mostra l'interrogatorio di Cristo davanti al sommo sacerdote Caifa e poi davanti al prefetto romano Pilato. Come nei rilievi di Padova l'azione principale avviene al cuore di un turbine di molteplici avvenimenti. Gesù è relegato in un angolo nella scena di Caifa, ma l'eloquentissimo gesto del sommo sacerdote ne permette l'individuazione, grazie anche all'aureola. Tra le figure in primo piano, impostate secondo le più varie posture, il gruppo dei soldati è tagliato fuori dietro la cornice all'altezza del busto, un espediente opposto a quello delle figure debordanti nell'Orazione nell'Orto, ma con la stessa finalità di sottintendere uno spazio che si estende ben oltre la rappresentazione. Numerosi sono i sentimenti e gli stati d'animo colti nei vari personaggi e non mancano i dettagli insoliti o curiosi, come quello del servitore di Pilato che è bifronte, a simboleggiare probabilmente il doppio gioco del procuratore romano. Anche questo rilievo viene attribuito, per quanto riguarda disegno e realizzazione a Donatello e al Bellano per la rinettatura del bronzo. Crocifissione La Crocifissione è, con il Compianto, la scena più drammatica del pulpito. Mentre in alto al centro si sta consumando la tragedia della Passione, una folla turbinante, tra cui molti soldati con i loro cavalli, ignora l'avvenimento e non si cura nemmeno del dolore delle donne ai piedi della croce, anche qui rappresentate con varie gradazioni di dolore, che va dal pianto silenzioso, alla disperazione urlante, fino a uno scoramento impotente della figura piegata a terra. Più in alto gli angeli, alcuni rappresentati in uno scorcio perfetto, indicano la tragedia ed accorrono increduli, alcuni urlando con raccapriccio. Il ladrone di destra, oltre che torturato dai soldati, è frustato crudelmente da un diavolo, che lo tira per i capelli obbligandolo a contorcersi. Se da un lato due figure sfondano lo spazio presentandosi sopra il pilastrino laterale, dall'altro i personaggi vi scompaiono dietro, sottolineando una resa spaziale illusionisticamente illimitata. La Crocifissione viene attribuita dalla maggior parte degli studiosi al Bellano, che pure seguì schemi donatelliani. Compianto Il Compianto è ambientato nello stesso luogo della scena precedente, ma con un taglio nettamente più basso, con le croci ancora in alto ma che lasciano vedere solo i piedi e gli arti inferiori dei condannati. Una forte cesura verticale è data dalla scala con cui il corpo di Cristo è stato tolto dalla croce. Maria si è chinata sul figlio morto, mentre gli altri astanti, anche in questo caso, esprimono le varie gradazioni del dolore, tra cui spicca quella delle due donne a destra prese da una furente concitazione che le fa urlare e agitare le braccia in alto (iconografia ripresa da quella delle Menadi sui sarcofagi antichi). Rispetto alla scena precedente i personaggi sono tutti concentrati sull'azione, anche quelli che non si preoccupano delle conseguenze, come i soldati e il fabbro che ha tolto i chiodi e li tiene ancora in mano. Solo nello sfondo passano alcuni cavalieri del tutto ignari, rappresentati col bassissimo rilievo dello stiacciato. La scena è attribuita, per la commossa carica patetica e il taglio narrativo spregiudicato, a Donatello, con la fusione curata da Bertoldo, il quale avrebbe anche aggiunto di sua mano i cavalieri sullo sfondo. Scena di pietà con Gesù in braccio alla Madonna: espressività, fuga e carica. Visione dal basso; a fianco si vedono dei pezzi delle due croci dei due ladroni; fuori dalla norma iconografica ma non astratto. Sepoltura La scena della Sepoltura è più pacata delle due precedenti. Tra due personaggi più grandi, proiettati verso lo spettatore sopra i pilastri laterali (anche in questo caso un superamento dei confini naturali della scena), si svolge il rito della sepoltura in un sarcofago all'antica, scorciato secondo una deformazione ottica prevista per una visione ottimale dal basso. Attorno si dispongono varie figure a semicerchio: la loro distanza gradua non solo le dimensioni, ma anche la profondità del rilievo, più sottile via via che ci si allontana dallo spettatore. L'ambientazione della grotta è suggerita da alcune pietre squadrate che si vedono in alto, punteggiate da germogli di piante selvatiche. Alcune donne sono ancora in preda al dolore, ma in maniera più composta, come Maria che bacia il volto del figlio per l'ultima volta, oppure le due figure sedute in terra in primo piano, desolatamente abbandonate alla sofferenza col capo chino. Altri personaggi dello sfondo sono invece disinteressati e sembrano avviarsi altrove dopo aver assistito alla condanna a morte, infatti procedono tutte verso sinistra. tra queste c'è anche una fanciulla, che ritrova la spensieratezza giocando a palla. In questa scena è evidente il modello derivato dai rilievi dell'antichità per alcune figure: il Cristo ha un corpo con una precisa resa anatomica "all'antica", le donne disperate ricordano le Menadi dei sarcofagi romani e la figura distesa assomiglia ad una divinità fluviale. La scena è come la precedente attribuita a Donatello con la collaborazione di Bertoldo, mentre al Bellano sono attribuite le figure che si sovrappongono alle paraste tra le scene. FILIPPO BRUNELLESCHI Crocifisso A parte l'aneddoto, che potrebbe anche non essere vero vista la distanza documentata tra le due opere, tra i due e i nove anni, in ogni caso l'opera di Brunelleschi è impostata in maniera completamente diversa, all'insegna della compostezza e di una solenne gravitas. Brunelleschi rielaborò il modello del Cristo piegato sulla Croce di Giotto, nella Croce sagomata sempre in Santa Maria Novella. L'opera è caratterizzata da un attento studio dell'anatomia e delle proporzioni, con un risultato all'insegna dell'essenziale (ispirata all'antico), che esalta la dignità sublime e l'armonia dell'opera. Rispetto all'opera di Donatello è più idealizzato e misurato, dove la perfezione matematica delle forme è eco della perfezione divina del soggetto[1]. Le braccia aperte misurano quanto l'altezza della figura, il filo del naso sul volto punta al baricentro dell'ombelico, ecc. Il corpo venne modellato a partire dallo studio di un nudo, infatti non presenta il perizoma, che veniva aggiunto a parte con un drappo. Brunelleschi sarebbe così stato il primo a definire questa prassi poi comune nelle botteghe fiorentine del XV secolo. Al modello giottesco Brunelleschi aggiunse una leggera torsione verso sinistra che crea più punti di vista privilegiati e "genera spazio" attorno a sé, cioè induce l'osservatore a un percorso semicircolare attorno alla figura[2]. Secondo Luciano Bellosi[3] l'opera sarebbe "la prima opera rinascimentale della storia dell'arte", punto di riferimento per gli sviluppi successivi di Donatello, Nanni di Banco e Masaccio. Confronti: I. Giotto. Crocifissione 1290-1295 ca Ispira lo studio anatomico e il chiaroscuro del Crocifisso del Brunelleschi; entrambi a Santa Maria Novella. Donatello poneva ancora il capo frontalmente, mentre Brunelleschi torna al capo inchinato di Giotto: comincia a vedersi una mentalità spaziosa, senso di spazialità. II. Masaccio. Trinità (particolare della croce dell’opera) L’immagine della Crocifissione era ripresa dal Crocifisso di Brunelleschi: stessa posizione; ci dà l’idea di come doveva essere prima: con il velo che lo cingeva e che ormai è andato perduto. Finestra aperta sulla realtà: reinterpretazione dei modelli antichi, non neoclassicismo. Problema di come viene assorbita l’idea di Masaccio in questo periodo, rispetto allo sforzo e all’accesso del gotico internazionale. CHIESA DI ORSANMICHELE Forma cubica con tre piani. Edifico laico, prima tribunale poi mercato del grano. Primo piano tabernacoli con statue dei protettori delle arti e mestieri principali di Firenze: statue che si proiettano nello spazio cittadino molto moderne. Vi hanno lavorato i principali scultori del 300-400. Lavora sia Donatello sia Lorenzo Ghiberti . Ad esempio il protettore dell’arte del Calimala, gli fece scolpire San Giovanni Battista 1412-1416: statua che si lega al tardo gotico, con i panneggi curati, testa forte ma elegante per l’acconciatura, occhi in argento. Grande perezia? e abilità. Figura di San Marco, commissionata dall’arte dei Linaioli e Rigattieri, eseguita da Donatello 1411-1413: panneggio molto ricco ma non troppe linee ondulate; non si usano linee astratte le cose esistono in quanto hanno corporeità e pesantezza. Si lavora sulla realtà. Donatello fa cose strane: la statua si appoggia su un cuscino per dimostrare che ha peso. Figure espressive e connotate, che guardano verso la strada severamente nelle nicchie di Orsanmichele. Moralità delle figure, legate a un contesto terreno; arte che ha come oggetto la corporeità intesa come sintesi di corpo e moralità. Firenze consolidata dal punto di vista politico che respinge l’attacco milanese di Gian Galeazzo Visconti. Modelli classici; studia humanitatis: componente politica nelle immagini. Personaggi sacri rappresentati come filosofi dell’antichità. Antico = non paganesimo ma compimento dell’incoronazione di Cristo. Non più uomini cortesi di gentile da Fabriano? Santi non in chiesa ma per strada: santi urbani. Michelangelo si ispira ai modelli di Donatello per Orsanmichele. Prospettiva = rapporto molto stretto tra colui che guarda l’opera e l’opera stessa. Giotto faceva cose tridimensionali, ma si percepiscono due mondi diversi. Bisogna immaginare di centrare nell’opera d’arte?. LORENZO GHIBERTI San Giovanni Battista Figura seduta; forte corporeità; pesantezza delle vesti; panneggi dal peso rilevante. Contrapposizione: gambe da una parte, testa dall’altra. Nicchia poco profonda; figura non completa del resto, ma trasmette senso di profondità. 1406-1466: Donatello vita e stile in mutamento; guaste? sono le prime opere. Sguardo accigliato e austero. Statue osservate dal basso verso l’alto. Cambio di mentalità: non più ricchezze ma la realtà si comprende in base all’osservazione. La statua ritrae san Giovanni Battista adulto, con la tipica pelle indosso, coperta in larga parte dal mantello. La scelta di raffigurare il santo adulto si rifaceva alla tradizione trecentesca, che venne sostituita nel Rinascimento alla preferenza per la raffigurazione come fanciullo o bambino. La statua è firmata sull'orlo inferiore della veste come OPUS LAURENTII. Nella mano sinistra reca un cartiglio, mentre in quella destra era presente il lungo bastone con la croce, suo attributo tipico, oggi scomparso. Ha una postura incurvata (anchement), col peso del corpo sulla gamba sinistra e leggermente inclinata. Il volto è modellato con sottigliezza, ma l'espressione e la fisionomia sono genericamente ascetiche. Grande importanza nella figura ha il panneggio del mantello, impostato su ampie falcate ritmiche che nascondono le membra e che sono una chiara adesione al gusto gotico internazionale. Proprio in quegli anni, per circa un decennio, il gusto gotico trovava finalmente spazio a Firenze, seppure con gli adattamenti alla tradizione e al gusto locale, affiancandosi nelle commissioni parallelamente allo stile rinascimentale. Ghiberti fu un po' il mediatore tra i due stili, creando figure d'impostazione classica ma con elementi decorativi lineari ispirati all'arte gotica. Il Vasari apprezzò nella statua la testa, in "buona maniera moderna", il braccio e le mani, mentre la critica dal Sei al primo Novecento è stata più severa, relegandola tra le opere meno riuscite dello scultore. Non piaceva l'impostazione languida della figura e la mancanza di armonia tra parti realistiche e parti ornamentali, facendo parlare di un "pezzo d'oreficeria trasferito su larga scala", di eccessiva accutatezza decorativa. Il corpo appare infatti quasi sommerso dal panneggio e la testa troppo grande su spalle un po' esili, ma sono dettagli che comunque si attutiscono all'interno della nicchia originaria Più recentemente si è invece apprezzato l'evoluzione stilistica di Ghiberti, apprezzandone le caratteristiche tardo goticheintese come sviluppo piuttosto che come "regressione". La nicchia – Anche il disegno della nicchia è attribuito al Ghiberti, ma manca qualsiasi riscontro documentario. Originale è il coronamento mistilineo, di sapore tardogotico, così come i lobi che evidenziano l'arco a sesto acuto, altrimenti di una luce inusitata, incorniciando armoniosamente la statua: l'arco delle spalle richiama infatti l'andamento della nicchia e la grande falda diagonale del manto va a collocarsi in corrispondenza perfetta al centro dell'arco. Albizzo di Piero, l'artista che fu incaricato materialmente della costruzione, era un mastro scalpellino attivo in quegli anni alle nicchie e ai portali di Orsanmichele. Alla nicchia lavorarono inoltre il pittore Pesello, forse autore del disegno, del mosaico o di altre decorazioni, e il frate domenicano Bernardo di Stefano, mosaicista: esisteva infatti un mosaico nella cuspide testimoniato fino al XVII secolo, quando lo citòFilippo Baldinucci, mentre Gaetano Milanesi ne scorgeva ancora qualche traccia nel 1878: dal XX secolo non ne rimane niente. DONATELLO San Marco San Marco è ritratto con una faccia barbuta, da filosofo antico, e l'abito togato annodato in vita. Il volto è scolpito con tratti individuali e un'espressione di dignitosa serietà e integrità spirituale, che ricorda il San Giovanni Evangelista di pochi anni posteriore. La gamba sinistra del San Marco è molle sull'anca, in una postura ponderata, ma ciò non sminuisce il portamento eretto e solenne. La leggera torsione del corpo fa sporgere leggermente la statua dalla nicchia, evitando la rigidità di una posizione strettamente frontale: lo sguardo del santo sembra così proiettarsi verso un lontano orizzonte indefinito. Nella mano sinistra la figura tiene in mano un libro aperto, il Vangelo tipico attributo degli evangelisti, con la coperta rivolta all'osservatore e l'interno appoggiato sulla veste. La critica ha sempre lodato i valori formali dell'opera, dalla quale traspare tutta la gravitas e l'impegno morale dell'evangelista, ma i confronti con San Giorgio hanno sempre preferito quest'ultimo. Sebbene l'opera venga considerata la prima scultura pienamente rinascimentale nel percorso dell'artista, con il restauro e la riscoperta delle dorature si è potuto risalire a una decorazione superficiale piuttosto gotica. Non è unanime l'ipotesi che l'opera abbia avuto come modello il vicino San Filippo di Nanni di Banco, poiché non è certo che quest'opera sia stata scolpita prima. Inoltre ci sono notevole differenze formali tra le due statue: il San Marco è più espressiva, ma dal lavoro scultoreo più grafico e fermo alla superficie, mentre sconvolti dalla visione (quello al centro sulla destra si copre gli occhi con la mano), mentre Erodiade si avvicina al marito e con un gesto del braccio cerca di convincerlo della necessarietà della punizione da lui inflitta a Giovanni, adombrando il sentimento del pentimento. FIRENZE. MUSEO DELL’OPERA DEL DUOMO (DAL DUOMO) DONATELLO Cantoria La posizione originale della cantoria su una parete sud, esposta quindi a nord, la collocava in una perenne penombra che avrebbe reso difficile la lettura del lavoro. Per questo lo scultore cercò di valorizzare al massimo la poca luce disponibile e, ispirandosi alla facciata di allora del Duomo di Firenze, risalente a Arnolfo di Cambio, decise di sfruttare intarsi a marmi policromi ravvivati da uno sfondo reso vibrante da tessere di mosaico colorato e a fondo oro. L'architettura della cantoria è rigorosamente geometrica: un parallelepipedo di altezza uguale ai cinque mensoloni che lo sorreggono genera un rettangolo ideale bipartito. Ad ogni mensola corrispondono due colonnine sul parapetto, che sono staccate dallo sfondo e sostengono un architrave sporgente, creando una sorta di porticato-palcoscenico, dietro il quale corre il fregio dei putti danzanti. Anche Donatello, su suggerimento dell'operaio dell'Opera NeriCapponi, si ispirò a un salmo per la decorazione, forse il 148 o il 149 dove si allude alla danzacome espressione di gioia spirituale. I rilievi del fregio sono continui e mostrano una frenetica danza ripresa da sarcofagi e rilievi romani con temi dionisiaci, come i due rilievi di genietti danzanti oggi nelle collezioni archeologiche degli Uffizi. La danza di Donatello è composta come un girotondo continuo che si svolge su due piani sovrapposti ma in direzione opposta: le figure in primo piano vanno prevalentemente verso sinistra, quelle in secondo piano verso destra. Il tutto è organizzato prevalentemente con linee diagonali, che contrastano con la partitura orizzontale e verticale dell'architettura della cantoria facendo scaturire uno straordinario dinamismo dai contrasti, che esalta il movimento come un liberarsi gioioso delle energie fisiche. I putti, raffigurati nelle posizioni più varie, in accordo con la teoria della varietas di Leon Battista Alberti, sembrano lanciati in una corsa che nemmeno la partitura architettonica frena (come nel pulpito di Prato), ma anzi la esalta. Inoltre lo sfavillante balenio delle paste vitree dello sfondo, più ricche e colorate di quelle dell'opera pratese, accentua il senso di movimento e la varietà fantasiosa degli elementi decorativi, anche sul parapetto, sulla base e sulle mensole. Niente di più diverso dalla serena e pacata compostezza classica dell'opera gemella di Luca della Robbia: è stato detto che se Luca è "apollineo", Donatello è "dionisiaco"[1]. Ma il rilievo di Donatello va anche oltre il modello classico, condensando una serie più ampia di stimoli e usando una tecnica sperimentale, che tratta le figure di getto senza troppi rifinimenti, lasciandole volutamente "grezze", che venne sviluppata nelnon finito di Michelangelo. Il Vasari scrisse che Donatello eseguì "le figure in bozze, le quali a guardarle di terra paiono veramente vivere e muoversi". Negli spazi tra mensola e mensola Donatello inserì ai lati due rilievi con coppie di putti, e al centro due teste protome in bronzo dorato, derivate probabilmente da un modello classico oggi sconosciuto e legate probabilmente a un significato simbolico che non è stato ancora individuato. LUCA DELLA ROBBIA Cantoria Oggi la cantoria originale è montata in una sala del museo all'altezza che originariamente aveva in Duomo. I pannelli che la compongono sono copie, mentre gli originali sono stati staccati ed esposti al di sotto di essa, per permettere una migliore fruizione ravvicinata da parte del pubblico. La cantoria affidata a Luca era in una posizione migliore poiché posta su una parete verso nord, che veniva illuminata dalla luce proveniente da sud. L'opera è composta come un parallelepipedo sostenuto da cinque mensole, ornate da girali e volute. L'architettura dell'insieme segue la nitida logica rinascimentale avviata dalBrunelleschi. In corrispondenza di ciascuna mensola e agli spigoli si levano sul parapetto una coppia di piccole parastescanalate con capitelli corinzi. Si vengono così a creare quattro spazi quadrati sul fronte e due ai lati (questi ultimi rettangolari) dove sono collocate le formelle scolpite a bassorilievo. Altre quattro formelle si trovano tra le mensole, per un totale di dieci. Sulla cimasa, composta con dentelli e modanature come nell'arte classica, si trova la prima delle tre fasce dove è scritto il testo latino, in caratteri capitali all'antica, del salmo 150, che prosegue nella fascia alla base e in quella sotto le mensole. I rilievi I rilievi illustrano abbastanza fedelmente il versetti del salmo: "Lodate Dio [...] al suono della tromba, lodatelo con arpe e cetre, lodatelo con tamburi e danze, lodatelo con liuti e flauti, lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti". Per inscenare il testo biblico l'artista compose diversi gruppi di fanciulli di diverse età, colti mentre cantano, danzano e suonano. Il rilievo è piuttosto alto e spicca col chiaroscuro sullo sfondo liscio Le opere, rifinite con grandissima cura, sono impostate secondo una serena e pacata compostezza, secondo ideali di bellezza classica. I personaggi scolpiti esplorano vari stati d'animo e danno il senso di personaggi vivi, colti nelle varie sfumature psicologiche, dalla gioia più partecipata alla contemplazione, dalla concentrazione allo scherzo fanciullesco. L'insieme trasmette un senso di grazia e di equilibrio, oltre che di perfetta padronanza tecnica dell'artista. Alcuni pannelli, scolpiti successivamente alla fase iniziale, mostrano l'influenza dei putti danzanti di Donatello nel pulpito del Duomo di Prato, al quale accenna anche una lettera di Matteo da Prato del 1434. L'opera gemella di Donatello è invece caratterizzata da un più frenetico e vibrante movimento, che fuse con grande originalità una serie di ispirazioni diverse: l'arte dei sarcofagi romani, le opere paleocristiane e romaniche, citando anche la stessa facciata di Arnolfo del Duomo di allora. Confronto con Donatello - Dovevano contenere strumenti musicali, invece ospitano opere dei due artisti che dovevano essere gemelle, e invece hanno molti elementi di distacco. Rimanda all’architettura classica: in Luca della Robbia le figure sembrano addossate e non c’è sintesi anche se cerca di confrontarsi con l’antico che concepisce ancora le figure separate e non usa il luconismo?  più tardo gotico, pieghe sinuose e ondulate. In Donatello, troviamo continuità delle vicende: le colonne sono un porticato aperto davanti lo spettatorefigure dianisilo?, danza. Sarcofagi antichi bocchici?:fonte di ispirazione principale. Figure a rilievo schiacciate, di lato e intere di fonte sembrano a tutto tonde. Decorazione a mosaico sono classiche, concepite per essere viste a distanza. FACCIATA DEL DUOMO BERNARDINO POCCETTI Facciata di Santa Maria del Fiore Prima della Demolizione Facciata anteriore al 1587, anno della demolizione: ai lati della porta principale ci sono quattro nicchie con quattro grandi statue di evangelisti. DI BANCO CIUFFAGNI LAMBERTI DONATELLO San Luca San Matteo San Marco San Giovanni Evangelista La facciata del Duomo come la vediamo oggi è l'unica parte decorativa non originale di tutta la piazza. Il rivestimento in marmi bianchi, verdi e rossi, le statue, i rosoni, i mosaici e le cuspidi di ispirazione gotica sono frutto del gusto storicistico romantico interpretato dall'architetto Emilio de Fabris (1808-1883), che realizzò il tutto negli anni 1876-1886 riuscendo a ideare, se non un capolavoro, almeno qualcosa che si integrava dignitosamente con i tre edifici del complesso sacro: la cattedrale, il Campanile di Giotto e il Battistero. Gli stemmi in basso ricordano le famiglie fiorentine che concorsero al finanziamento dei lavori. Ben più preziosa sarebbe risultata la facciata originariamente concepita da Arnolfo di Cambio e rimasta incompiuta alla sua morte (1302). Visibile nell'affresco della Madonna della Misericordia (1342) conservato nel Museo del Bigallo, la composizione arnolfiana è ancor più dettagliata in un disegno ad acquarello di Bernardino Poccetti conservato nel Museo dell'Opera del Duomo. Il disegno fu eseguito verso il 1587, al momento in cui si decise di "smontare" la facciata arnolfiana rimasta a metà per sostituirla con una più moderna. L'idea fu suggerita al granduca Medici dall'architetto di corte Bernardo Buontalenti, nell'ambito di un programma di rinnovamento della città già iniziato ai tempi del Vasari. Il rivestimento gotico fu dunque demolito, alcune parti in marmo andarono a integrare la costruzione del nuovo pavimento all'interno di Santa Maria del Fiore, mentre le sculture furono per lo più ospitate nei locali dell'Opera del Duomo, poi adibiti a Museo. Le vediamo ancora oggi in una apposita sala al piano terreno. Alla mano di Arnolfo appartengono cinque statue: quelle di San Zanobi e di Santa Reparata (vicinissima alla statuaria romana), la Madonna col Bambino (1296) dagli inconsueti occhi di vetro, la Madonna della Natività e l'interessante Bonifacio VIII, dalle forme solidamente costruite, in cui la parziale rigidità sembra sottolineare l'impressione di potenza e autorità del personaggio. Le prime tre opere ornavano la lunetta del portale centrale imprimendo alla facciata gotica lo stesso tema di quella moderna: la glorificazione della Madre di Dio cui è dedicata la basilica. Sulla lunetta del portale sinistro stava inoltre la già citata Madonna della Natività, e su quello destro la Madonna deposta nella tomba, il cui originale arnolfiano è oggi nel Museo di Berlino. Al Louvre si trovano invece il San Lorenzo di Giovanni Tedesco (1394 circa) e il Santo Stefano di Piero di Giovanni Tedesco (1390 circa). I tre originali sono sostituiti da calchi. Intorno al portale maggiore stavano poi le quattro nicchie con le statue in marmo degli Evangelisti, tutte eseguite fra il 1408 e il 1415. Si tratta del San Marco di Niccolò di Piero Lamberti, del San Matteo di Bernardo Ciuffagni, del San Luca di Nanni di Banco (solenne come un senatore romano) e del San Giovanni di Donatello, potente anticipatore del Mosè diMichelangelo nonchè primo capolavoro dell'artista. Commissionata nel 1408, la statua sarà pronta solo dopo otto anni e molti solleciti da parte dell'Opera del Duomo, che arriverà a minacciare Donatello di sanzioni economiche se non si deciderà a concluderla. La statua, che nella attuale collocazione nel museo sembra avere un torso troppo allungato e lo sguardo obliquo, è la prova della genialità del maestro: posta in alto sulla facciata avrebbe ritrovato le sue perfette proporzioni. Donatello, cioè, inventa una "correzione ottica" che permette alla figura di rendere il massimo quando lo spettatore la guarda dal basso. Un'altra sala del Museo, quella degli Antifonari, contiene invece i vari modellini per la facciata che doveva sostituire quella di Arnolfo. Già nel 1491 era stato indetto il primo concorso per il suo completamento, ma la giuria rinviò la scelta non trovando convincente nessuno dei progetti presentati. Ci riprovò nel 1586 il granduca Medici su istigazione del Buontalenti, che partecipò al concorso con un modellino ispirato al classico barocco e per fortuna non attuato. Alla competizione presero parte anche il Giambologna e don Giovanni de' Medici (1566-1621), figlio naturale di Cosimo I ed Eleonora degli Albizi e autore anche della Cappella dei Principi in San Lorenzo. Nuovo concorso nel 1633, questa volta vinto dal progetto dell'Accademia di Belle Arti e affidato per l'esecuzione all'architetto dell'Opera, Gherardo Silvani: la prima pietra fu posata nel 1636 ma dopo due anni tutto fu sospeso per le feroci critiche al progetto dello stesso Silvani, che aveva presentato al concorso un suo modellino ma ne era uscito sconfitto. Nell'Ottocento, prima del de Fabris, avevano tentato l'impresa gli architetti Giovanni Silvestri (1822), Nicola Matas (1842), che già aveva realizzato la facciata di Santa Croce, e Gian Giorgio Muller (1843-44). BERNARDO CIUFFAGNI San Matteo La prima opera certa del C. è l'Evangelista Matteo eseguito per la facciata di S. Maria del Fiore tra il 1410 e il 1415, oggi al Museo dell'Opera del duomo: in esso lo scultore si dimostra fortemente influenzato dal S. Giovanni Evangelista di Donatello, eseguito per la medesima destinazione, da cui sono ripresi l'ampio panneggio, la posizione delle mani ed anche il caratteristico allungamento del busto, seppur svuotato delle precise ragioni prospettiche insite nella statua donatelliana. Nel 1415 il C. mise mano al Giosuè per il campanile di S. Maria del Fiore, ma nel 1417 abbandonò improvvisamente Firenze lasciando incompiuta l'opera, che venne allogata in un primo tempo a Donatello e poi (1420) al Rosso, il quale la terminò l'anno successivo. L'identificazione dell'opera è controversa: il Lányi (1935) la identifica col cosiddetto Poggio Bracciolini(all'interno del duomo), mentre gli Stang (1962) indicano il S. Giovanni Battista (Museo dell'Opera), che però mostra di avere scarse affinità stilistiche con le opere del Ciuffagni. Nel Poggio, il Wundram (1959) ha distinto, in maniera convincente, le parti dovute al Rosso (zona superiore del panneggio) da quelle dovute al C. (il panneggio intorno alle gambe e la testa, eseguita molto probabilmente dopo il ritorno del C. a Firenze e da mettere in relazione col documento del 1424, in cui si dice che lo scultore ricevette dagli "operai" una testa di marmo a conguaglio d'un precedente scarso pagamento: Poggi, 1909, p. 47 nn. 270 s.). Tornato a Firenze nel 1421, ricevette nel 1422 la commissione per un doccione (in forma di un Fanciullo che stringe un otre), destinato al coro del duomo, e per una statuetta di S. Stefano (ibid., p. 72), da collocarsi sulla porta della Mandorla, non però identificabile con quella tutt'ora in loco, certo della fine del Trecento. commissioni, delegava parti di opere a Masaccio. Nel caso della Madonna col Bambinoperò non è stata individuata la mano di Masaccio e, visto anche il carattere piccolo dell'opera nata per la devozione privata, è interamente ascritta a Masolino. Si tratta di una Madonna dell'Umiltà, un pannello dove la Vergine col Bambino è rappresentata seduta in terra, magari su un sontuoso cuscino, ed era l'opposto iconografico della Maestà, dove la Vergine era ritratta in trono. Questo tema, legato all'umiltà della Chiesa (simboleggiata dalla Vergine) fu molto popolare a Firenze tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento. Questa opera è il più sicuro esempio di stile dell'artista all'epoca dell'incontro con Masaccio. La scelta di pochi colori, stesi in ampie campiture (blu del manto, rosso della veste, fondo oro), semplificano la composizione e la rendono più concentrata sul rapporto tra madre e figlio, senza distrazioni. La figura della Vergine col Bambino trasmette un'impressione di nobiltà e monumentalità. Se da una parte sono ancora ben visibili stilemi del gotico internazionale, come le falcate lineari e ritmiche dell'orlo della veste, dall'altro l'opera appare aggiornata a una certa plasticità, soprattutto nel Bambino, che appare ben tornito. Grande raffinatezza è prodigata nella modellatura dei volti della Vergine e del Bambino, con la delicata consistenza delle carnagioni resa con grande abilità e sottigliezza. In questo senso la perfezione della Madonna la fa assomigliare a una preziosa miniatura, dall'espressività idealizzata, come nelle opere della maggior parte dei pittori della sua generazione. D'altro canto si notano in quest'opera anche elementi innovativi, come la ricerca di una gestualità più naturale, ispirata alla quotidianità, e il tentativo di semplificare le forme volumetriche, che ponevano Masolino, in termini di innovazione, una spanna ben al di sopra degli altri pittori che dominavano allora la scena fiorentina, come Bicci di Lorenzo. Furono probabilmente proprio questi interessi all'avanguardia che fecero di Masolino il pittore dell'epoca più apprezzabile anche da un rivoluzionario come Masaccio. Masaccio – Madonna col Bambino Sant’Anna e i 5 angeli Sant’Anna Madre. Corpo più definito rispetto all’opera di Masolino: spazio geometrico definito, non è una mossa; carattere geometrico del collo e del volto. Ci ricorda i profeti di Donatello di Orsanmichele e Santa Maria del Fiore. Corpi muscolosi, basasti sulla scultura di una statua antica: bambino muscoloso. Le mani di Masolino sono lunghe e appoggiate, mentre le mani di Masaccio hanno una presa forte. Il formato dell'opera è inconsueto per l'epoca, poiché mancante di predella, cuspidi e pannelli laterali: alcuni hanno ipotizzato che si tratti del pannello centrale di un polittico già smembrato nel1568, quando lo vide Vasari, o più probabilmente di una tavola destinata a un grande ciboriodevozionale (Timothy Verdon, 1984). La Metterza era una tipologia iconografica dove veniva raffigurata la Madonna col Bambino e sant'Anna "messa a fare da terza" o "medesima terza", cioè dove si evidenziava il rango della santa come terza in ordine di importanza. Si tratta di uno dei modi tradizionali di raffigurare sant'Anna, che a Firenze godeva di particolare devozione dal 1343 quando nella giornata di Sant'Anna (26 luglio) venne scacciato il tirannico Duca d'Atene Gualtieri VI di Brienne. Tre angeli reggicortina stendono un drappo preziosamente damascato dietro al gruppo sacro, che crea uno sfondo piatto, più moderno del completo sfondo oro, e che crea un piano intermedio, che ha il potere di proiettare verso lo spettatore le figure, facendole risaltare. In basso si trovano poi due angeli spargi-incenso: le figure angeliche seguono ancora proporzioni di tipo gerarchico, essendo molto più piccole delle figure sacre. Il gruppo sacro si trova su un trono, che si può immaginare composto da due gradoni, con in basso una pedana dove si trova un'iscrizione dedicatoria alla Vergine. È evidente che l’angelo di dx e quello di sx, sono diversi, questo perché quello di dx è molto probabilmente opera di Masaccio L'iconografia prevedeva che fosse risaltata maggiormente la figura di sant'Anna, madre di Maria e nonna di Cristo, la quale deve tenere tra le gambe la Madonna col Bambino, in un gesto protettivo e confidenziale. Sant'Anna ha qui un'aureola più grande e con una mano stende la sua protezione sul piccolo infante. Tuttavia l'uso originalissimo della luce nella Vergine e nel Bambino dipinti da Masaccio ha spostato inesorabilmente il centro focale verso le due figure in primo piano, contraddicendo l'iconografia tradizionale. Sull'aureola di sant'Anna sono iscritte le parole "Sant'Anna è di Nostra Donna fastigio", mentre su quella della Vergine ed alla base del trono si legge "Ave Maria Gratia Plena Dominus Tecum [Benedicta Tu]" (Luca 1,28). Gentile da Fabriano, tondo del Redentore dall'Adorazione dei Magi La Madonna e il Bambino formano un massiccio gruppo di forma ipoteticamente piramidale, con alla base la linea tra le ginocchia divaricate di Maria e le sue braccia, che abbracciano teneramente ma anche con presa salda, il corpo del Bambino creando un semicerchio. Un'altra piramide è composta poi dal trono fino alla testa di sant'Anna. La plasticità delle figure della Madonna e del Bambino sono un vero spartiacque tra l'esperienza gotica anteriore e i futuri sviluppi del Rinascimento, dove Masaccio riesce per la prima volta a creare delle figure modellate da un forte chiaroscuro che emergono dal dipinto come se fossero dei rilievi scolpiti, quali solidi blocchi posizionati in uno spazio preciso. Il chiaroscuro ne squadra i volumi e blocca, pietrificandoli, gli energici gesti. Si veda ad esempio la robusta corporatura del bambino, ispirato a un Ercole bambino ancora presente agli Uffizi (con l'interpolazione di un'espressione vivace ispirata alla quotidianità tipica delle opere di Donatello) o l'ovale tridimensionale del volto della Madonna, la cui fisionomia si svincola dalla tradizionale aristocraticità del gotico per creare una ritratto di madre più viva, presa dalla quotidianità e con un modellato che riflette la conoscenza della reale struttura ossea. La sua espressione è concentrata e ferma e sembra sottintendere un pensiero all'ineluttabile destino del figlio che, con un gesto inedito in pittura, regge saldamente con entrambe le mani sulla coscia. Il panneggio del mantello della Vergine è in debito evidente con la Madonna di Ognissanti di Giotto, con la stessa forma e una tecnica simile, confermata da recenti indagini diagnostiche, basata sulla stesura di più strati di pittura a partire dalle ombreggiature, comune peraltro a gran parte della pittura su tavola. La sant'Anna è invece legata ancora a un linguaggio più medievale, con una luce diffusa più convenzionale e con un panneggio che cura soprattutto la linea delle pieghe, annullando il volume corporeo e rendendola evanescente: la sua veste rossa, più che evidenziare le forme di un corpo, si appiattisce diventando un semplice sfondo alla Madonna, la cui leggera rotazione in tralice conferisce una convincente voluminosità. Interessante è la mano distesa in scorcio, carica di sensibilità, che vari studiosi hanno cercato di attribuire a Masaccio, almeno riguardo all'ideazione. In realtà alcuni errori, ben visibili nella forma del braccio, evidenziano una fattura non del tutto convincente, che viene quasi sicuramente attribuito a Masolino. Il gesto fu ispirato probabilmente a quello del tondo del Redentore nella cuspide centrale dell'Adorazione dei magi di Gentile da Fabriano, autore al quale guardava molto più Masolino che Masaccio. La luce in Masaccio è molto reale, tanto da arrivare ad oscurare in gran parte il volto del Bambino, altro segno inedito che rompe col passato. L'angelo di Masaccio si distingue dagli altri per l'asse delle spalle leggermente spostato in scorcio, che crea una maggiore profondità facendolo arretrare. Il suo vestito è come "scolpito" dagli inattesi toni di rosso e verde, dalla "spietata immediatezza". (Confronto) san Giovanni Evangelista DONATELLO Sant’Anna è una figura più appiattita: le mani sono accurate, lo sfondo applicato sembra legato al tardo gotico. Questa è un’opera di collaborazione tra Masaccioelemento moderno, e Masolinoancora legato al tardo gotico. Differenza molto forte nel costruire gli elementi fisici. Collaborazione attestata: Masolino più vecchio di Masaccio, ma non era il suo maestro. Masaccio era di stampo rinascimentale indirizzato verso Brunelleschi e Donatello. Angolo di destraforse Masaccio; angolo di sinistraMasolino. 1424-1425: molto più avanti delle date della scultura: fonti antiche ci confermano che si era ispirato a Brunelleschi e Donatello (noti nel periodo del tardo gotico, invece Masaccio nasce nel Mondo Nuovo). Masaccio lavora dal 1420. MASACCIO E MASOLINO – Decorazione della Cappella Brancacci 1423 (particolari) La scena della Guarigione e Resurrezione di Masolino, salvata dalla distruzione per il restauro barocco della cappella, uscì tuttavia annerita dall'incendio del 1771 che distrusse gran parte della basilica. Nel tempo i giudizi sull'opera vennero influenzati dal suo stato di conservazione, che nascondevano gran parte dei dettagli e dei delicati effetti cromatici che fecero di Masolino uno degli artisti più apprezzati dell'epoca in cui visse. Solo con il restauro del 1983-1990 si è potuta riscoprire la brillante cromia originale e sono state eliminate le ridipinture. La critica più recente ha molto rivalutato l'opera di Masolino, di qualità oggettivamente altissima, inquadrandola finalmente correttamente come felice espressione del gotico internazionale, piuttosto che come attardato tradizionalismo nell'epoca della rivoluzione rinascimentale di Masaccio. Cappella che rischiava di essere distrutta in epoca Barocca perché obsoleta, ma il Granduca di Toscana intervenne, così venne rinnovata la copertura: conteneva dipinti di Evangelisti. Dal 400 sono i due registri originari: le portiere di marmo sono tutte aggiunte. Commissionata nel 300 da Pietro Brancacci, e terminata dal 1424 al 1427 da Felice Brancaccio, fu completata solo nel 400 da Filippo Lippi. Storie tratte dal Vangelo e principale è la figura di Pietro, come omaggio al fondatore Pietro Brancacci e alla Chiesa di Roma. Nell’intradosso, parte interna ci sono le raffigurazioni di Adamo ed Eva. MASOLINO E MASACCIO Guarigione dello Storpio e Resurrezione di Tabita Da sinistra verso destra, narrazione come scrittura. Figure con braccia nascoste e vestite alla moda stampo di Masolino. Inoltre si vede un senso di prospettiva, ma ancora non c’è la padronanza: i punti di fuga dei due edifici, non coincidono. Sfondo: Masolino, gli studi oggi dichiarano una chiara presenza di elementi che considerano lo sfondo opera di Masolino, come la presenza di un approfondito studio delle scenette e dei dettagli, inoltre lo studio prospettico dei tetti qui assente fa capire che non fu Masaccio a dipingere lo sfondo. Nonostante ciò l’architettura sullo sfondo sembra essere un contributo di Masaccio. MASOLINO Il Peccato Originale Il ciclo inizia proprio con questa scena, che si trova a destra in un riquadro alto e stretto sullo spessore dell'arcone che delimita la cappella. Questa scena e quella simmetrica sul lato opposto (la Cacciata dall'Eden di Masaccio) sono gli antefatti della storia, che mostrano il momento il cui l'uomo ruppe la sua amicizia con Dio, che verrà poi riconciliata da Cristo con la mediazione di san Pietro. L'affresco mostra Adamo accanto ad Eva in piedi, che si guardano con misurati gesti mentre lei sta per addentare il frutto proibito, che il serpente le ha appena offerto dall'albero dove essa appoggia il braccio. Il serpente è avvolto sull'albero e si sporge in alto per sincerarsi che la donna addenti il frutto. Esso ha una testina dotata di una folta capigliatura bionda, molto idealizzata. Si tratta di una scena aulica, impostata nei gesti e nello stile al clima "cortese" del tardogotico. La luce, che modella le figure senza asprezze, è morbida e avvolgente, e pare quasi che essi stessi emanino un diffuso bagliore, non esistendo una fonte di luce precisa; lo sfondo scuro fa risaltare la loro sensuale plasticità, lasciandole come sospese nello spazio. I rapporti tra i loro gesti sono governati dal ritmo, come è chiaro ad esempio nella posa delle braccia. I volti sono generici e le espressioni indefinite, che non esprimono alcun sentimento in particolare. Soprattutto la figura di Adamo però mostra l'adesione a un certo canone di bellezza classicista, con uno sforzo di correttezza anatomica memore dell'antico. Le differenze di stile tra l'Adamo ed Eva di Masolino e quelli della Cacciata di Masaccio sono dopotutto perfette per rappresentare la differenza della condizione umana prima e dopo il peccato originale. Per questo l'Eden di Masolino è idilliaco, quello di Masaccio spaventosamente perduto. Quasi certamente fu una scelta consapevole dei due pittori quella di dividersi le due scene: tanto fu idealizzata la prima, quanto la seconda realistica. MASACCIO Il battesimo dei Neofiti (ai lati dell’altare) Scena che raffigura il battesimo dei neofiti: San Pietro appare come un personaggio classico, ma le figure vestite come contemporanei. Natura arida e dà un senso di freddo, collegamento sempre presente con scultura classica La scena si trova nel registro mediano, sulla parete dietro l'altare a destra. Il testo evangelico parla che dopo la Pentecoste Pietro si mise a predicare esortando le genti al battesimo in nome di Gesù Cristo (scena della Predica di san Pietro con una ciotola). L'episodio, ambientato in una vallata tra colli scoscesi, mostra alcuni giovani che si apprestano a ricevere il battesimo: uno è inginocchiato nel fiume e lo riceve a mani giunte (col corpo dall'anatomia stupendamente modellata), uno già spogliato sta aspettando coprendosi con le braccia mentre trema per il freddo (figura di grande realismo, l'unica elogiata dal Vasari nella cappella), un terzo si sta togliendo gli abiti di dosso. Un quarto ancora, scalzo e dal capo chiaramente bagnato, si sta rivestendo abbottonandosi la tunica blu. Straordinario è il senso dell'acqua e l'effetto bagnato sui capelli e sul perizoma del ragazzo in ginocchio. In pratica al centro si vede Gesù in mezzo agli apostoli, le loro figure sono massicce, gli abiti hanno panneggi monumentali, sembrano quasi delle sculture, ed è assai probabile che l’artista si sia ispirato alle statue di Donatello che all’epoca decoravano, decorano tutt’ora, il campanile del duomo di Firenze. I discepoli formano un semicerchio attorno a Cristo, il cui viso (che probabilmente è l’unica parte dell’affresco dipinta da Masolino) è il centro prospettico della scena, ovvero tutte le linee convergono in quel punto. A loro si avvicina l’esattore che con la mano tesa chiede il tributo per il tempio. E’ raffigurato di spalle, come di solito si faceva per Giuda o per il diavolo; questo ci indica che si tratta di un personaggio “negativo”. I. MICHELANGELO – Studio dell’opera (approfondimento) Michelangelo studia ancora il prorompere della figura umana, studia il panneggiare e lo rende enorme nel suo studio del tributo della moneta. Non ci sono blocchi come in Giotto. II. DI BANCO – “I Quattro Santi Coronati” (scultura approfondimento) Nella scultura di Nanni, i quattro santi sono messi in posizione semicircolare; tale posizione rimanda molto all’opera di Masaccio “il Tributo”. III. DONATELLO – “San Giorgio e il Drago” (scultura approfondimento) Nel bassorilievo, la scena è divisa in tre parti (come nella scena di Masaccio) IV. MASOLINO – “Il Peccato Originale” (viso) Non partecipano al dolore; sembra indifferente; collegamento all’atteggiamento cortese dello stile gotico. AlberoPisanello nei ritratti con sfondo naturale prova a rendere la fisicità delle opere di Masaccio. Il viso di Adamo nel quadro di Masolino, rimanda molto al viso di Cristo di Masaccio MASACCIO Polittico di Pisa Il Polittico di Pisa è un'opera di Masaccio, già dipinta per la chiesa del Carmine di Pisa ed oggi smembrata in più musei e parzialmente dispersa. Documentata dal 1426, è una tempera su tavola a fondo oro. Originariamente doveva essere composta da almeno cinque scomparti, organizzati su doppio registro, per dieci pannelli principali, dei quali se ne conoscono solo quattro. Altri quattro piccoli pannelli laterali e tre della predella (due dei quali con doppia scena) sono noti e oggi conservati agli Staatliche Museen di Berlino. RAPPRESENTAZIONE IPOTETICA DEL POLITTICO  Cinque scomparti, doppio registro. Chiesa del Carmine-Pisa 1426 Masaccio ha una vita breve 1401-1428 e lavora tra il 1423-1428, diverse tavole con vari argomenti con sfondo oro. Lo stile moderno di Masaccio deve fare i conti con la tradizione e con le idee del committente che pensava che le tavole d’oro e lo stile vecchio potessero dargli più prestigio. Madonna col Bambino Dettagli e lavorazioni architettoniche ricche. Più alto e stretto del normale, tagliato, L'opera venne chiaramente descritta da Vasari, facilitando così il riconoscimento del 1907. La Madonna in trono (una Maestà), tiene in braccio il Bambino, reggendolo con la mano sinistra, mentre con la destra gli porge un grappolo d'uva, simbolo dell'Eucarestia, presente anche nel Trittico di San Giovenale (1422). Il Bambino con una manina tocca il frutto e con l'altra porta gli acini alla bocca, succhiandosi anche le dita. La sua aureola è disegnata in prospettiva. La Madonna indossa un magnifico mantello azzurro con orlo dorato. Molto probabilmente nella ricostruzione del Polittico di Pisa; Masaccio, prese ispirazione dal Polittico di Giovanni del Biondo  polittico Rinuccini Il maestoso trono è ricco di dettagli architettonici, come le colonnine in pietra e le cornici "all'antica": la sua struttura così pienamente rinascimentale stona con la cuspide goticheggiante dell'arco del pannello. Attorno a esso si dispongono quattro angeli: due oranti ai lati, in parte nascosti dalla spalliera, e due musicanti in basso, seduti davanti all'alto zoccolo del trono. Questi ultimi due hanno ali d'uccello e suonano due liuti: uno sembra cantare, mentre l'altro, come scrisse il Vasari, "porge con attenzione l'orecchio all'armonia di quel suono". Il formato del dipinto è piuttosto insolito, più alto e stretto del normale, ed ha subito un taglio ai lati, ma non si sa se di pochi centimetri o di una porzione più grande. Shearman ipotizzò che l'alone sui gradini in basso a sinistra del trono fosse l'ombra di un altro angelo, o di una figura. Forse lo era dell'elemento che separava il pannello attiguo (un pilastrino o colonna) o forse era una proiezione che unificava lo spazio con il pannello successivo. Adorazione dei magi La Adorazione dei Magi di Masaccio è una tempera su tavola (21x61 cm) proveniente dallo smembrato polittico di Pisa ed oggi conservato nei Musei statali di Berlino. Risale al 1426. L'opera, faceva parte della predella nello scomparto centrale, sotto la Maestà oggi alla National Gallery di Londra. La scena dell'Adorazione dei Magi è presentata come di consueto di profilo (solo Sandro Botticelli rinnoverà questa iconografia), e sembra dipinta per contrastare la celebre Adorazione di Gentile da Fabriano, che nel 1423 aveva incantato i fiorentini. La composizione di Masaccio è pacata e simile a un fregio, in contrapposizione con l'affollata e sontuosa "frivolezza" di Gentile. A sinistra si vede la capanna, dove il bue e l'asinello stanno di spalle, accanto a una cavalcatura per il dorso dell'asino. Subito dopo si vede la Sacra Famiglia, con le aureole scorciate in prospettiva. Maria è seduta in un seggio dorato con protomi e zampe leonine (il faldistorio con le teste leonine imperiali), e tiene in braccio il Bambino che benedice il primo dei Magi, il quale è già inginocchiato e tolto la corona deponendola in terra; il suo dono è già nelle mani di san Giuseppe. Dietro di lui sta un altro Magio con tunica rosa, la cui fisionomia assomiglia molto a un personaggio nell'affresco del San Pietro risana gli infermi con la sua ombra nella Cappella Brancacci; esso si è intanto inginocchiato e la sua corona è nelle mani di un servitore. Il terzo Magio è appena arrivato, è in piedi e un servo gli sta togliendo la corona, mentre un altro ne porta il dono. Dietro i re si trovano due personaggi emblematici, non presi dall'iconografia tradizionale, vestiti di cappelli alla moda dell'epoca e da lunghi mantelli grigi, che lasciano scoperte le gambe coperte da calzamaglie. Si tratta probabilmente delle figure dei committenti: il notaio ser Giuliano di Collino, più alto in secondo piano, e suo nipote, più basso e in primo piano, posto sopra una montagnola del terreno. A destra stanno infine i cavalli e i servitori, tra i quali si scorge qualche affinità sia con Gentile (il cavallo con la testa in scorcio in lato), sia con altre opere come l'Adorazione di Nicola Pisano scolpita nel pulpito del Battistero di Pisa (1260 circa), come il cavallo intento a pascolare. Lo stile della pittura è a tratti morbido e sfumato, come nello sfondo, a tratti forte e incisivo, come nei mantelli dei due committenti. In ogni caso la luce e la ricca cromia unificano tutta la rappresentazione, senza squilibri. Difficile da ricostruire e difficile da contestualizzare rispetto alla Crocifissione: non ha uno sfondo oro, spazio naturale; abiti moderni e non lussuosi; presenza di prospettiva. Nonostante la richiesta dello sfondo dorato, riesce a ritagliarsi uno spazio per mostrare la sua innovazione. Ancoria= deformazione di icona Polittico smembrato e fa parte del polittico di Pisa. Opera meglio documentata di Masaccio, perché il committente annotò tutti i pagamenti. MASACCIO – Crocifissione Questa tavola mostra la scena della Crocifissione con tre "dolenti": la Vergine, san Giovanni e la Maddalena, rappresentata in ginocchio di spalle al centro (riconoscibilissima dal tipico vestito rosso). Il Cristo, guardato di fronte, pare abbia il capo completamente incassato nelle spalle, come arreso alla morte. In realtà la tavola va vista dal basso verso l'alto come quando era collocata nel suo sito originario, ed in questa prospettiva il collo appare nascosto dal torace innaturalmente sporgente. Anche il corpo, con le gambe disarticolate dal supplizio, appare sfalsato dalla prospettiva. Masaccio tentò di scorciare in prospettiva il corpo del Cristo, ma l'effetto sperimentale ottenuto fu più maldestro che illusionistico. In ogni caso fu il primo tentativo del genere e ben testimonia il clima sperimentale del primo Rinascimento fiorentino. Il volto brunito di Cristo è colto nel momento del trapasso, quando ha appena pronunciato, rivolto a san Giovanni, le parole «Ecco la tua madre!», con le quali gli ha affidato la Madonna. La Madonna sta ora immobile ai piedi della croce, le mani giunte che si stringono nel dolore, erta in tutta la sua statura, nell'ampio mantello blu, come impietrita dall'angoscia. Sull'altro lato della croce sta san Giovanni con il capo mestamente reclinato sulle mani congiunte, ed il movimento delle braccia è sottolineato dal blu di una manica che contrasta con il rosso del manto. Ha il volto affranto e sembra sforzarsi per trattenere le lacrime. In alto sulla croce è posto l'albero della vita, simbolo della rinascita: quando Giuda si impiccò, l'albero rinacque. La scena sembrerebbe immobile — come se con il trapasso di Cristo anche il tempo si fosse fermato — se non fosse per la presenza della Maddalena che vediamo solo di spalle, i lunghi capelli biondi disciolti sul suo manto scarlatto, e pare aver fatto da poco irruzione nella scena ed agitarsi scomposta dal dolore. Confronto NARDO DI CIONE “Crocifissione e Santi” Differenze  Nardo di Cione è più trecentesco di quello di Masaccio (Masaccio)Testa incassata=senso prospettiva nella rottura delle ossa. Analogie  elementi simili: - sfondo oro - la disposizione dei personaggi. - Sfondo oro= simbolicamente la luce divina, ha una valore economico maggiore. MASACCIO Trinità Messa in scena con carattere scultoreo: padre Eterno, Colomba, Gesù Trinità ma non sono poro i personaggi. Elementi architettonici della colonna simili a quelli di Brunelleschi. Altare sul quale sono appoggiati i committenti: frase in latino; vuole vedere una vera Cappella Trinità (illusionismo). Sembra il tabernacolo eseguito da Donatello per la Chiesa di Orsanmichele (non più tardo antico). Spazio reale, resa fedelmente. Posizione dei committenti a dimensioni reali, non diverse dalle figure sacre: non c’è più l’idea medievale di Santi molto più grossi. <L’immagine della Crocifissione era ripresa dal Crocifisso di Brunelleschi: stessa posizione; ci dà l’idea di come doveva essere prima: con il velo che lo cingeva e che ormai è andato perduto. Finestra aperta sulla realtà: reinterpretazione dei modelli antichi, non neoclassicismo. Problema di come viene assorbita l’idea di Masaccio in questo periodo, rispetto allo sforzo e all’accesso del gotico internazionale.> La Trinità è un affresco di Masaccio, conservato nella terza campata della navata sinistra della basilica di Santa Maria Novella a Firenze e databile al 1426-1428. Misura 317x667 cm ed è universalmente ritenuta una delle opere fondamentali per la nascita delRinascimento nella storia dell'arte. Si tratta dell'ultima opera conosciuta dell'artista, prima della morte avvenuta a soli 27 anni. Descrizione. Per raffigurare la Trinità Masaccio ha dipinto il Padre Eterno mentre sorregge simbolicamente il Figlio sofferente sulla Cro- ce, uniti dalla Colomba bianca dello Spirito Santo. Ai piedi della Croce stanno Maria e San Giovanni. Davanti a questa rappresen- tazione sono inginocchiati i committenti dell’opera. In basso c’è il sarcofago di un de- funto sovrastato da uno scheletro, immagine della caducità della vita. Linguaggio Spazio. La scena è affrescata su una parete laterale della basilica e Masaccio usa la prospettiva lineare centrale per dise- gnare una finta cappella. Questa cappella è costruita secondo lo stile che usava Bru- nelleschi in quegli stessi anni, recuperando gli elementi dell’architettura romana: una volta a botte cassettonata, paraste corinzie, colonne ioniche (pag. 141). Il Punto di Fuga (PF) sta sotto la base della croce. La prospettiva unifica e proporziona le dimensioni. Per la prima volta, i committenti sono grandi come le figure sacre. Composizione. Il triangolo, simbolo del nu- mero tre e quindi della Trinità, guida la com- posizione dell’affresco. Anche nello spazio le figure sono collocate secondo uno schema piramidale su tre piani di profondità: più lontano il Padre, poi la Madonna e San Gio- vanni e infine, più vicini all’osservatore, i due committenti inginocchiati. Volume. Le figure sono corpose, realistiche, espressive, certamente derivate dallo studio del vero e sono collocate nello spazio come volumi fortemente tridimensionali. I man- telli sembrano scolpiti dalla luce e danno ai personaggi un aspetto monumentale. Significato È la rappresentazione del percorso dell’uomo che si innalza verso la salvezza: dalla vita terrena (lo scheletro) attraverso la preghiera (i committenti) e l’intercessione (la Vergine e i Santi) si può arrivare a Dio (la Trinità). È un percorso accessibile all’uomo e lo innalza verso un Padre che, per la prima volta, ha un corpo reale. Cuspidi e predella. Le cuspidi e la predella sono opera di Lorenzo Monaco, completate entro la morte del pittore (1424) e rappresentanti una delle sue migliori creazioni dell'attività dell'ultimo periodo. Le storie cristologiche nelle cuspidi sono Noli me tangere, Resurrezione e le Marie al sepolcro. La predella in tre scomparti mostra Storie di Sant'Onofrio, patrono del padre di Palla, Noferi, Natività e Storie di san Nicola; già alla Galleria dell'Accademia, dal 1998 è a San Marco. Pala tripartita: parte bassa del pannello principale sembra unita, l’intento è quello di una storia unitaria. Corpo di Cristo, monumento, natura molto ricca, fiorita. BEATO ANGELICO Incoronazione della Vergine Molto elaborato prospetticamente-. Pavimento prospettico. I santi introducono l’osservatore all’interno dell’opera e da la sensazione di vedere il quadro dal bassocomplicazione della prospettiva, elaborata a livello cromatico e per gli elementi decorativi. Baldacchino ad arco a sesto acuto ricorda l’architettura del gotico. ncoronazione della Vergine (Angelico Louvre) L'Incoronazione della Vergine di Beato Angelico è una tempera su tavola(213×211 cm) conservata al Musée du Louvre di Parigi e databile al 1434-1435. Dello stesso autore esiste anche un'altra Incoronazione della Vergine agli Uffizi, databile al 1432 circa. Storia. L'opera proviene dalla chiesa del convento di San Domenico di Fiesole, dove l'Angelico era monaco e per la quale dipinse altre due tavole: la Pala di Fiesole(1424-25) e l'Annunciazione oggi al Prado (1433- 1435). Altri invece, come John Pope-Hennessy, datano la pala a dopo il ritorno del pittore da Roma (1450), mettendola in relazione successiva con la Pala di Santa Lucia dei Magnoli (1445 circa) di Domenico Veneziano o i tabernacoli gotici presenti nei Padri della Chiesatra gli affreschi della Cappella Niccolina in Vaticano (1446-1448). Il Vasari descrisse l'Incoronazione come posta sul primo altare a sinistra di chi entra in chiesa. La tavola viene in genere attribuita a pochi anni dopo l'Incoronazione degli Uffizi. Portata in Francia durante l'occupazionme napoleonica assieme a molti altri capolavori, fece parte di quel gruppo di circa cento dipinti italiani che, per le loro grandi dimensioni, non vennero riportati in Italia e lasciati al museo parigino. Descrizione e stile. Rispetto all'Incoronazione degli Uffizi in quest'opera si registrano dei grandi cambiamenti. Innanzitutto è scomparso il fondo oro in favore di un più realistico cielo azzurro, e la composizione spaziale è molto più ardita, memore della lezione di Masaccio. Il pittore qui costruisce infatti un ricchissimo ciborio con trifore gotiche, impostato su una serie di gradini in marmi policromi (in scorcio vertiginoso), sotto il quale avviene la scena dell'incoronazione della Vergine da parte di Cristo. Il tabernacolo gotico presenta colonnine tortili e degli inconsueti pilastrini sopra i capitelli che, assieme alla triplice faccia, li fanno assomigliare parecchio ai tabernacoli dipinti sopra i Padri della Chiesa negli affreschi della Cappella Niccolina (1446-1448). Gli angeli e i santi sono anche in questo caso disposti a cerchio attorno alla scena, ma la loro collocazione nello spazio è molto più precisa, con la novità rappresentata dalle molte figure adoranti di spalle. Notevole è la costruzione in prospettiva delle mattonelle del pavimento. Pope-Hennessy, per sostenere la sua proposta di datazione tarda, mette in relazione gli angeli con quelli dipinti sulla volta della Cappella di San Brizio nelDuomo di Orvieto (1447). I santi, i patriarchi e gli angeli musicanti formano una variopinta moltitudine, disposta gerarchicamente più o meno vicino a Dio. Ciascuno è ritratto individualmente e scolpito volumetricamente dalla luce, che accende anche i colori brillanti delle stoffe, accordandoli in un'orchestrazione di grande sontuosità. L'illuminazione proviene da sinistra, si basa su un uso più ricco dilumeggiature che di ombre, e illumina coerentemente tutte le figure. Un interesse verso la resa dei fenomeni luminosi portò l'Angelico, nella sua fase matura, ad abbandonare l'illuminazione indistinta e generica in favore di una resa di luci e ombre più attenta a razionale, dove ogni superficie è individuata dal suo "lustro" specifico. Tra i santi di sinistra si riconoscono sant'Egidio, il primo al centro, san Nicola di Bari, san Francesco, san Bernardo di Chiaravalle, san Tommaso d'Aquino, san Domenico, san Giovanni evangelista, san Pietro, ecc. Tra le sante di destra si riconoscono per prima Maria Maddalena, col tipico vestito rosso e l'ampolla, poi santa Caterina d'Alessandria, con la ruota, e altre; più in alto si vedono san Lorenzo con la graticola, santo Stefano e san Giacomo Maggiore. Al sognante misticismo dello stuolo di santi, disposti con una simmetria derivata dalle cadenze gotiche, si contrappone il rigore geometrico della prospettiva, che conduce l'occhio dello spettatore fin nella profondità della rappresentazione, dove si svolge l'Incoronazione vera e propria. La tavola venne dipinta con un ampio ricorso ad aiuti, soprattutto nella parte destra: approssimativa è la resa, ad esempio, della ruota di santa Caterina, o vacue sono le espressioni di vari santi da questo lato. Le parti autografe dell'Angelico sono comunque di qualità altissima, come le figure di Cristo e della Vergine. La composizione dovette rappresentare un notevole sforzo inventivo per l'Angelico che, nel tentativo di superare i suoi modi tradizionali per essere all'altezza delle innovazioni attorno a lui, rinunciò al semicerchio di santi, usando un sistema prospettico più ardito, con un punto di osservazione più basso, in modo da non dover digradare le figure troppo nettamente sul piano orizzontale, per non mettere troppo in evidenza quelle in primo piano rimpicciolendo quelle più vicine a Gesù e la Vergine, che concettualmente erano più importanti. La soluzione fu un compromesso, dove il punto di convergenza delle linee prospettiche non conduce ad alcun elemento significativo (cade sulla gradinata) e l'unico elemento che cade sulla verticale centrale è il calice degli unguenti della Maddalena. Predella. Sogno di Innocenzo III, dalla predella. La pala è dotata di predella con i Miracoli di san Domenico e, al centro, la Resurrezione di Cristo. Le scene della predella, come in altre opere dell'Angelico, mostrano un'arditezza prospettica ancora maggiore e un interesse sperimentale che non si riscontra nelle figurazioni principali delle pale. Gli episodi, ricchissimi di spunti narrativi, si susseguono ordinati dalle cadenze delle architetture, che determinano un magistrale ritmo di pieni e vuoti, di interni ed esterni, di prospettiva spaziale e luminosa. A sinistra si vede il Sogno di Innocenzo III, con san Domenico che risolleva la Chiesa, mentre sullo sfondo una stanza aperta mostra il papa dormiente, all'ombra di una costruzione voluminosa che ricorda Castel Sant'Angelo. Segue l'Apparizione dei santi Pietro e Paolo a Domenico, ambientata in una basilica stupendamente scorciata con un punto di fuga laterale. Segue la resurrezione di Napoleone Orsini, un evento miracoloso ambientato in un portico con arcate scorciate in prospettiva. Il Cristo che si erge dal sepolcro al centro ricorda opere analoghe, come la Pietà di Empoli di Masolino. La scena successiva è la Disputa di San Domenico, ambientata in un interno domestico, poi San Domenico e i compagni che celebra la fondazione della comunità monastica, raffigurata durante un pasto comune al refettorio. L'ultima scena è la Morte di San Domenico, composta su due registri: in quello inferiore, terreno, san Domenico spira esalando le ultime parole tra la disperazione dei confratelli; in quello superiore, celeste, gli angeli per mezzo di scale portano la sua anima in paradiso. Trittico di San Pietro martire L'opera è un trittico di transizione, poiché sebbene le cuspidi suggeriscano la presenza di tre scomparti, in realtà la pittura è dispiegata su un unico piano, senza interruzioni. Al centro si trova una Maestà (Madonna col Bambino in trono) e ai lati i santi Domenico di Guzman, Giovanni Battista, Pietro Martire e Tommaso d'Aquino. Nelle cuspidi si trovano dei quadrilobi con Angelo annunciante, Vergine annunciata e, al centro, Cristo benedicente. Tra le cuspidi infine sono disegnati alcune scene della vita di san Pietro Martire: la Predicazione e il Martirio. Lo stile dell'opera presenta già alcune caratteristiche dell'opera dell'Angelico, come le figure di geometrica purezza, allungate e con vesti semplici dalle pieghe pesanti, i colori accesi e luminosi e l'uso di uno spazio misurabile. Nella parte centrale la Vergine è assisa sul seggio coperto da un broccato d'oro, con il Bambino in piedi sulle ginocchia e con un'ampolla nell'altra, un riferimento all'ampolla della Maddalena e quindi alla Passione. Il manto è drappeggiato pesantemente, con le pieghe determinate dalle ginocchia di Maria, ed evoca le figure plastiche e volumetricamente semplificate di Masaccio. La posizione leggermente in tralice della Vergine sembra citare la Sant'Anna Metterza di Masolino e Masaccio. Il Bambino è abbigliato di una tunica riccamente bordata d'oro e reca in mano il globo, simbolo del potere di Cristo sulla terra, mentre l'altra mano è alzata in segno di benedizione. La luce proviene uniformemente da sinistra. A parte il ricco broccato e le pieghe terminali del manto della Vergine, mancano concessioni alla decorazione, rivelando un'influenza da parte di Masaccio già presente, che allontana quest'opera dalla precedente Pala di Fiesole (1424-1425) ancora influenzata prevalentemente da Gentile da Fabriano. Il gradino sotto il seggio della Vergine sconfina nei pannelli laterali, suggerendo, oltre che uno scorcio prospettico, l'unificazione spaziale dell'intera scena. I santi laterali hanno le teste sulla stessa linea laterale, come di tradizione, ma i loro piedi sono disposti in maniera innovativa, con l'arretramento dei due personaggi vicino alla Vergine in modo da dare l'idea di disporsi a semicerchio attorno al trono. Anche la luce, proveniente con decisione da sinistra, contribuisce a unificare la spazialità. Insolita è anche la presenza di pitture tra gli spazi della carpenteria delle cuspidi, dove si trovano le scenette della vita di san Pietro Martire, trattate con uno svagato tono miniaturistico, che ricorda le opere fiorentine coeve di Gentile da Fabriano. Ai lati si trova una doppia curva di alberi che unifica lo spazio di queste scenette, come se si svolgessero in un unico panorama. La ricchezza compositiva e la capacità con cui sono dipinti gli elementi in prospettiva fanno di queste storie un'anticipazione dello stile dei pannelli di predelle dell'Angelico dell'inizio degli anni trenta. particolare della Pala del Prado BEATO ANGELICO Adorazione dei Magi Predella visione frontaleelemento monotono?, rispetto al passato. Forte senso architettonico: nella leggenda Aurea, si dice che il tempio della? portato all’interno di una casa. Forte senso di tridimensionalità e dei voluminon ancora prospettica. Descrizione dei più minuziosi particolari. Descrizione analitica rispetto a Masaccio. Pittore estremamente curiosa: va a curiosare su ciò che succede nella casa. Pennellate leggere e molto fitte. L'Adorazione dei Magi invece è originalissima e mostra l'innovativa iconografia frontale, ben prima della rivoluzione di Botticelli (Adorazione dei Magi degli Uffizi, 1475 circa), evidenziata dall'ardito scorcio prospettico delle rovine della capanna. Qui si nota bene anche l'uso della luce distintivo di Beato Angelico, che crea un'illuminazione diafana e cristallina, che modella i volumi al posto del chiaroscuro, esalta l'armonia dei colori e collabora ad unificare le scene. DOMENICO VENEZIANO Adorazione dei Magi Protagonista pittura italiana del 400: pittura veneta come Pisanello, pittore misterioso, va verso l’Italia centrale. Ci sono molti tratti che ricordano Pisanello, il quale si è formato in quella pittura tardo-gotica: nel 1438 si trova a Perugia e invia una lettera di supplica per i Medici, per entrare al loro servizio; da allora abbiamo sue notizie e va a Firenze. Nel 1439-1441 prima delle sue opere o una delle prime. Cavalloricorda cavallo di Pisanello; volto della donna di profilo e vesti ricche. Il pittore ha conosciuto le opere fiamminghe, per lo sfondo che si perde. Attenzioni materialistiche. Uccelli descritti con ….? e con varie descrizioni. L'Adorazione dei Magi è un dipinto a tempera su tavola (diametro 84 cm) diDomenico Veneziano, databile al 1439-1441 e conservato nellaGemäldegalerie di Berlino. Storia. Il dipinto, che non è un desco da parto né un vassoio dipinto, è uno dei primi tondi pervenutici in quanto opere d'arte, prive di uno specifico uso, assieme alTondo Cook di Beato Angelico e Filippo Lippi. Venne commissionato da Piero de' Medici nel 1438, anno in cui Domenico Veneziano aveva inviato a lui una lettera da Perugia, chiedendogli di poter lavorare a Firenze e mettendosi al suo servizio. L'opera venne completata nel 1441. Soddisfatto probabilmente dell'opera, Piero offrì subito dopo a Domenico Veneziano un incarico nella perduta decorazione ad affresco della chiesa di Sant'Egidio a Firenze, dove lavorò con Andrea del Castagno, Alesso Baldovinetti e il giovane Piero della Francesca, il quale rimase profondamente influenzato dallo stile luminoso di Domenico. Descrizione. Il corteo dei Magi si dispone in maniera tradizionale, procedendo orizzontalmente verso la capanna che si trova all'estremità destra. Il primo dei Re Magi, quello più anziano, si distende e bacia un piede del Bambino, mentre un servitore gli tiene la corona. Gli altri due, con la corona ancora in testa, stanno in piedi dietro di lui e guardano la scena. Il dono del re inginocchiato è nelle mani di san Giuseppe, che si trova dietro la Vergine assisa. Sotto la capanna si trovano il bue e l'asinello, mentre dietro si intravedono due cammelli del corteo dei Magi, uno con un servitore nero in groppa. Nel corteo si trovano vari personaggi riccamente abbigliati e con cappelli e vestiti dalla foggia esotica. Tra di loro alcuni portano i simboli dell'aristocrazia e dei passatempi per nobili, come il falcone e i cani levrieri da caccia. In primo piano si trova un praticello dove stanno alcuni uccelli, gli stessi che si vedono in volo in alto, e una serie di specie vegetali ritratte con grande cura al dettaglio, secondo un gusto derivato dalla cultura tardogotica. Il paesaggio sullo sfondo si apre con un'ampia vista di una vallata affiancata da montagne a destra e colline a sinistra. Al centro si trova una città fortificata, tra campi coltivati, prati dove pascolano le pecore e un lembo di uno specchio d'acqua dove si intravedono alcune barchette. Lungo la strada che esce dalla città si intravede anche il dettaglio all'epoca familiare di una forca con un impiccato. Al centro un albero bilancia sappiamo se sia stato in Italia. Ponte sottostante del foglio ben eseguito nei suoi piani di profonditàprospettiva. Nel mondo nordico non ci sono personaggi classici: i suoi personaggi sono contemporanei. Veduta a perdita d’occhio=tratto tipico della pittura fiamminga e che colpisce i pittori italiani: colpiti tantissimo dal loro modo di vedere la realtà e la resa delle figure specchianti. Fiume: superficie specchiante. Spesso gli oggetti sono trittici di miniature che contribuiscono alla diffusione di questo tipo di pittura. Ricchezza di luce e ancora piace perché consente di conservare un certa preziosità evitata volutamente da Masaccio. Pittura ad olio vegetale (di lino); strati che si sovrappongono, sottili. Pittura italiana= a tempera. Artista di Filippo il Buono ( Filippo l’Ardito): si trova nelle principali corti della Fiandra, artista di corte. JAN VAN EYCK & HUBERT – Polittico Dell’agnello Mistico Jan Van Eyck. Polittico dell’Agnello Mistico 1426-1432 Opera sua principale polittico ad ante (con ante chiuse e aperte). “Dall’Agnello”, scena principale dell’annunciazione. Dimensioni monumentali, come se fosse una facciata architettonica. Nelle cimase profeta Zaccaria, Sibilla Eritrea, Sibilla Cumana, profeta Michea. Registro superioreannunciazione; registro inferioreSan Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, tra i committenti. Storie ambientate in case ma con finestre sull’esterno. Il Polittico dell'Agnello Mistico o Polittico di Gand è un'opera monumentale di Jan van Eyck (e del misterioso Hubert van Eyck), dipinta tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un polittico apribile composto da dodici pannelli di legno di quercia, otto dei quali sono dipinti anche sul lato posteriore, in maniera da essere visibili quando il polittico è chiuso. La tecnica usata è la pittura a olio e le misure totali sono 375x258 cm da aperto. Storia. - La maggior parte delle informazioni sul polittico deriva dall'iscrizione sulla cornice e qualche riscontro indiretto. Sull'iscrizione si riporta come fosse stato iniziato dal pittore Huubertus Eeyck, "il maggiore mai vissuto", e completato dal fratello Jan, "secondo nell'arte", su incarico di Josse Vijd, che glielo affidò il 6 maggio, mentre alcune lettere in rosso, se lette come cifre romane, compongono la data 1432. Dalla lastra tombale di Hubert, nell'antica abbazia di San Bavone a Gand, si sa che egli morì nel 1426, ma questa figura ha assunto contorni leggendari, nell'impossibilità di distinguere la sua mano "maior quo nemo repertus" da quella di Jan, che invece è ben documentato. La mancanza di opere certe di Hubert ha infatti impedito di trovare risposte soddisfacenti alla questione della sua attribuzione. La critica sembra oggi propensa ad attribuire a Hubert la concezione ed in parte l'esecuzione della tavola con l'Adorazione e delle tre tavole sovrastanti, mentre tutto il resto venne eseguito da Van Eyck che vi lavorò a fasi alterne; ciò spiegherebbe l'evidente carattere di disomogeneità tra i vari scomparti, che per essere pienamente apprezzati devono essere analizzati singolarmente. La collocazione nell'angusta cappella di Josse Vijd non era forse il luogo di destinazione originario e secondo alcuni studiosi, tra cui Erwin Panofsky, come suggerirebbero le discrepanze compositive la pala venne acquistata dal Vijd solo quando era completata per metà, facendo adattare quello che era stato pensato per un altro committente e un'altra collocazione. Dürer, dopo il suo viaggio nelle Fiandre, descrisse l'opera come "immensamente preziosa e stupendamente bella". Il polittico, sebbene oggi si trovi nello stesso luogo per cui venne dipinto, ha subito nel tempo varie vicissitudini. Smontato e spostato più volte, nel 1781 vennero spostati in sagrestia i "troppo conturbanti" nudi di Adamo e Eva. Nel 1816 i pannelli laterali vennero comprati dall'inglese Edward Solly, residente in Germania, e poi alienati al re di Prussia, venendo a far parte delle collezioni dell'Altes Museum alla sua apertura nel 1830. Durante la prima guerra mondiale altri pannelli vennero spostati dalla cattedrale di Gand per sicurezza, ma con il Trattato di Versailles tutti gli scomparti, anche quelli legalmente acquistati da Solly, vennero restituiti per contribuire al risarcimento che la Germania doveva versare agli stati vittoriosi, e in parziale compensazione per i danni inflitti al Belgio in guerra, venendo a ricomporre l'insieme del polittico in San Bavone. Nel 1934 il pannello raffigurante i Buoni Giudici (in basso a sinistra sul recto) fu trafugato e mai più ritrovato. Quello che si vede oggi è una copia moderna. Con l'inizio del nuovo conflitto, nel 1940, il Belgio decise di inviare in via preventiva il polittico in Vaticano, dove sarebbe stato al sicuro, ma l'arrivo della notizia della sigla dell'Asse Roma-Berlino arrivò durante il trasporto, per cui il polittico venne provvisoriamente ricoverato in un museo locale a Pau, sui Pirenei francesi. Nel 1942 il dipinto venne sequestrato da Hitler e destinato al suo mai nato museo di Linz, anche se poi, per ragioni di sicurezza, venne nascosto in una miniera di sale. Ritrovato dalla spedizione del programma Monuments, Fine Arts, and Archives, fu restituito al Belgio alla fine della guerra, durante una cerimonia tenuta al Palazzo Reale di Bruxelles. Nessuna rappresentanza francese venne invitata alla cerimonia per la mancata opposizione dell'amministrazione della Repubblica di Vichy al sequestro del dipinto da parte dei tedeschi. La vicenda viene narrata nel film del 2014 Monuments Men di George Clooney. Il polittico venne interamente restaurato all'inizio degli anni '50 a Bruxelles .Negli anni '80 si decise di alloggiarlo in una teca blindata e climatizzata lasciandolo sempre aperto (fino ad allora veniva aperto e chiuso dal sagrestano innumerevoli volte per mostrarlo ai visitatori). Ma nel 2010-2011 una apposita commissione, dopo una serie di analisi, ha deciso la necessità di un nuovo restauro necessario soprattutto per rimuovere le vernici alterate e rendere più stabile l'opera, per altro ben conservata considerandone l'età e le vicissitudini subite, e successivamente di studiarne una migliore collocazione all'interno della chiesa. Il restauro, effettuato nel Museo di Belle arti di Gand lavorando su un pannello alla volta, viene progressivamente documentato sul sito closertovaneyck.kikirpa.be. Si prevede di terminarlo nel 2017. Descrizione. A PORTE CHIUSE La Vergine Maria, dettaglio Il polittico è costituito da 12 pannelli, disposti su due registri, uno superiore e uno inferiore. Il tema iconografico del polittico è probabilmente quello della Redenzione, con un prologo terreno (gli sportelli esterni) e la conclusione nelle scene dei beati in paradiso nei pannelli interni. Ritratto del committente JOOS VIJDT Ritratto non di profilo: figura che ha una corporeità e non è stilizzata. Committente inginocchiato, proietta un’ombra: ha solidità. Taglio di ¾ che ci permette di cogliere a pieno il corpo e la testa. Nessun filtro classicistico; lo rende imperfetto con rughe. Effetti di luminosità di occhi e naso, tramite occhi di bianco. Nel registro inferiore troviamo: Adorazione dell’Agnello Mistico, tra i Giudici Giusti, i Guerrieri di Cristo, i Santi Eremiti e i Santi Pellegrini. Nel registro superiore troviamo: Dio Padre, Vergine Maria, Giovanni Battista, Adamo ed Eva, Sacrificio di Caino e Abele, Uccisione di Abele. Annunciazione Non c’è senso della corporeità; panneggi pietrosi derivati dalle sculture di Sluter. Luce molto importante: varie fonti di luce (davanti e dalle finestre). Attraverso le finestre mondo circostante. Brocca con l’acqua sulla finestra sembra uno specchio. Questo polittico è la Cappella Brancacci fiamminga. Non c’è centralità delle figure per far entrare la luce. “Ella Ancilla Domini” ecco l’angela del signore, collocata alla …? perché pronunciata dal punto di vista della Madonna. Scenari teatrali: molteplicità di fonti di luce. Punto importantissimo: luce, ombra, modo di descrivere la realtà; rapporto tra artista e spettatori. Stretta connessione. Contesto scarno ed essenziale; realismo; oggetti della quotidianità. Ritrattistica importante. Registro inferiore Il registro inferiore mostra al centro il grande pannello dell'Adorazione dell'Agnello mistico, dove in una ampio paesaggio si trova su una collinetta l'altare con l'Agnello simbolo di Cristo, adorato da una schiera di angeli, mentre la colomba dello Spirito Santo irradia i raggi solari della Grazia divina, sotto l'altare si vede la Fontana della Vita ed attorno ad essa ed all'altare si trovano quattro fitti gruppi di adoratori: a sinistra in basso i pagani e gli scrittori ebrei, a destra i papi e i santi uomini; in alto spuntano invece i gruppi dei martiri uomini a sinistra (con in prima fila gli appartenenti al clero) e le martiri a destra. L'adorazione dell'Agnello si svolge nel lussureggiante giardino del Paradiso, sullo sfondo delle torri e delle guglie dellaGerusalemme celeste. Alcuni degli angeli adoranti che circondano l'altare reggono i simboli della Passione di Cristo: croce, corona di spine, lancia, colonna della flagellazione, canna con la spugna intrisa di aceto.[1] L'impostazione di questo pannello è di sapore più arcaico, con gruppi sovrapposti su un unico piano ascendente, al posto di disposizioni più naturali e conformi alla natura del paesaggio, come negli altri sportelli; per questo la scena è attribuita di solito a Hubert. Ai lati di questo grande pannello centrale si trovano due scomparti per lato con altri gruppi di adoratori, composto in un paesaggio che riprende spazialmente lo sfondo del pannello centrale. Da sinistra si incontrano: i Buoni Giudici, i Cavalieri di Cristo, poi gli Eremiti e iPellegrini. Il numero quattro richiama i quattro angoli della Terra, da cui proverrebbero i santi e beati venuti ad adorare l'Agnello. Quando il polittico è chiuso su questo registro si trovano dipinte le statue viventi di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, in grisaille, mentre ai lati si trovano i due committenti inginocchiati, Joos Vijdt e Lysbette Borluut. Registro superiore Il pannello centrale del registro superiore, di altezza maggiore, mostra una figura maschile barbuta, assisa su un grande trono, coronato da archi a tutto sesto che riflettono la forma tradizionale dei polittici gotici, divisi in pannelli cuspidati, con in testa unatiara e scettro. Questa figura è oggetto di varie interpretazioni, per alcuni studiosi rappresenta Dio Padre, per altri Cristo Re e una terza interpretazione ne vedrebbe rappresentata la Trinità[2]. Accanto a lui, sullo stesso pannello ma divisi da cornici, si trovano la Vergine Maria e Giovanni battista, secondo la tipica iconografia della deesis. Anche queste figure sono attribuite a Hubert, per via dei panneggi abbondanti e rigidi, a fronte di fondi appiattiti, anche se alcuni attribuiscono la stesura del colore a Jan. I due pannelli laterali successivi, con la forma ad arco che copre esattamente i troni laterali, mostrano due gruppi di angeli, a sinistra gli angeli cantori e a destra quelli musicanti. Infine gli ultimi due pannelli, a forma di semilunette, riportano Adamo edEva nudi entro nicchie dipinte, sormontati da sue scene dipinte a grisaille del Sacrificio di Caino e Abele e dell'Uccisione di Abele. Adamo ed Eva sono le figure di congiunzione tra esterno e interno, poiché essi sono i responsabili della venuta del Redentore, per lavare le colpe del Peccato originale. Sul retro delle ante, che si vedono quando il polittico è chiuso, si trova l'Annunciazione, che si svolge in una stanza architettonicamente definita con precisione, e nelle lunette due profeti (ai lati) Zaccaria e Michea e due sibille (nelle semilunette centrali). La stanza dell'Annunciazione, ancorché furoi scala rispetto alle figure che la abitano, è resa realisticamente grazie all'uso dell'unificazione spaziale di tutto il registro superiore, tramite linee ortogonali convergenti e tramite la presenza uniforme della luce sulle varie superfici. Grandissimo virtuosismo illusionistico è la proiezione delle ombre dei montanti dei pannelli sul pavimento della stanza, calibrata secondo la luce della finestra che naturalmente illumina la cappella. Stile. Adamo e Coro angelico In quest'opera compaiono quelli che divennero i caratteri tipici della pittura di Van Eyck:naturalismo analitico, uso di colori luminosi, cura per la resa del paesaggio e grande lirismo, tutti elementi che si ripresenteranno anche nei dipinti eseguiti a pochi anni di distanza dal polittico di Gand. Non è chiara la ragione per cui nei pannelli si usino scale di rappresentazione diverse, in particolare, nel lato interno, tra registro superiore e inferiore. La solenne monumentalità delle figure superiori contrasta con i paesaggi distesi e brulicanti di figure in azione nella parte inferiore, che farebbe quasi pensare a una monumentale predella. Nel complesso comunque non si può parlare di disomogeneità eccessivamente marcate, infatti i colori, la luce e le composizioni spaziali risultano nel complesso sufficientemente unificate e l'altissima qualità pittorica del polittico mette in secondo piano anche i problemi attributivi. La tecnica del colore a olio, perfezionata proprio da Van Eyck e ripresa dai suoi seguaci, permise la creazione di effetti di luce e di resa delle superfici mai viste prima grazie a successive velature, cioè strati di colore traslucidi e trasparenti, che rendevano le figure brillanti e lucide, permettendo di definire la diversa consistenza delle superfici fin nei più minuti particolari. La luce fredda e analitica è l'elemento che unifica e rende solenne e immobile tutta la scena, delineando in maniera "non selettiva" sia l'infinitamente piccolo che l'infinitamente grande. Vengono sfruttate più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i riflessi, permettendo di definire con acutezza le diverse superfici: dei tessuti ai gioielli, dagli elementi vegetali al cielo terso. Ritratto di Giovanni Arnolfini e della moglie Giovanna Cenami 1434 Coniugi di Lucca che vivevano nelle Fiandre. Ritratto complesso per l’ambientazione. Oggetti che alludono alla quotidianità e a i simboli. Sul fondo: uno specchio che ritrae i coniugi e la stanza, nel punto di vista opposto ai coniugi, con altre due figure (forse il pittore). Scritta sopra allo specchio: Jan Van Eyck fu qui (firma dell’artista). Realtà non immaginata, ma vista realmente “Hic et Nunc” testamento poetico. Coniugi Arnolfini sviluppano molto la miniatura, vista prima di Van Eyck. La donna non è incinta: si è tirata le vesti sopra, ma questo effetto ottico è anche accompagnato dalla statuina sullo spigolo del letto. Quella nella scena è inoltre una promessa nuziale, non sono ancora sposati, e la presenza di simboli della fertilità e i decori attorno allo specchio simboleggiano una speranza di prole. Un’altra cosa importante sono gli aranci vicino alla finestra. I pittori fiamminghi, dei quali Jan van Eyck fu il primo caposcuola, tributavano un'attenzione scrupolosa ai minimi dettagli, fossero oggetti, parti di oggetti o caratteristiche minute dei volti, delle mani, delle vesti, ecc. Ciò dipendeva da ragioni tecniche (la pittura a olio permetteva infatti un lavoro più accurato della tempera o dell'affresco), religiose e filosofiche. Nelle opere a soggetto religioso si cercava, infatti, di calare il divino nel quotidiano: ciò avrebbe favorito un più intenso coinvolgimento dei fedeli; la filosofia nominalistica, d'altra parte, sosteneva come la sostanza del reale ci pervenisse dalla percezione dei singoli oggetti fisici. In una visione tanto attenta al dettaglio ed ai più svariati oggetti, l'uomo non può essere il centro del mondo, come teorizzavano gli umanisti italiani, anzi è solo una parte del ricchissimo Universo, dove non tutto è riconducibile al principio ordinatore della razionalità. Se da una parte i gesti e le azioni dell'uomo non hanno quella forza culturale di fare "storia", dall'altra i singoli oggetti acquistano importanza nella raffigurazione, ottenendo una forte valenza simbolica che può essere letta su vari strati. Le nuove indagini tecnologiche della National Gallery di Londra (radiografie, infrarossi) dimostrano che la maggioranza degli oggetti fu dipinta dopo avere creato la scena principale, e che tutti sono piccoli tesori, costosissimi (come i vetri alle finestre, cosa rarissima per quei tempi), che davvero pochi potevano permettersi di pagare. La cosa più evidente è che Arnolfini richiese una dimostrazione del potere commerciale raggiunto, come uomo arricchitosi da solo col duro lavoro del secolo XV. I numerosi dettagli non solo hanno valore per la loro bellezza in sé, ma sottintendono a letture via via più approfondite e sofisticate, che vanno dalla celebrazione della prosperità materiale dei soggetti del quadro, fino a significati più astratti esimbolici, in questo caso legati alla cerimonia matrimoniale. Dall'osservazione degli oggetti e degli abiti indossati appare evidente la condizione di agiatezza della giovane coppia, che sembra aver collezionato oggetti da vari paesi europei, dalla Russia (la pelliccia), dalla Turchia (il tappeto), dall'Italia, allaInghilterra, alla Francia. Senza dubbio Arnolfini, ricco mercante, intratteneva rapporti d'affari con impresari di tutto il continente. Nel dipinto quindi si possono cogliere almeno tre livelli principali: Il ritratto di due importanti membri della società, eseguito dal più eminente artista locale; La testimonianza del pittore al giuramento matrimoniale; Un compendio, realizzato tramite figure e oggetti simbolici, degli obblighi che comportava il matrimonio a metà del XV secolo. Il dipinto è un'allegoria dell'ideale sociale del matrimonio, portatore di ricchezza, abbondanza, prosperità. Il cane e gli zoccoli rappresentano il motivo della fedeltà coniugale. Le arance sono un augurio di fertilità.[2] I protagonisti In primo luogo, la rappresentazione della coppia, che è antagonistica e simboleggia i differenti ruoli che ognuno ricopre nel matrimonio: l'uomo appare severo, con la mano destra sollevata (fides levata), che simboleggia l'unione spirituale e quella sinistra abbassata, che tiene la mano della coniuge, che simboleggia l'unione carnale. Egli ostenta il potere morale della casa (potestà), sostenendo con autorità la mano di sua moglie, (fides manualis), che china la testa in atteggiamento sottomesso. Le loro fattezze sono realistiche e individuali, che non risparmiano alcune imperfezioni, come le larghe narici di lui, il suo ovale del viso troppo lungo, gli occhi globosi e senza ciglia, mentre lei appare acerba e un po' paffutella. Molto eloquenti sono le vesti e malgrado l'ambientazione suggerisca un tempo estivo o almeno primaverile, sono pesanti e ricercate. Lui ha una tunica scura e sobria, coperta da un mantello con le falde foderate di pelliccia di marmotta, particolarmente costosa. Il cappello a larghe falde testimonia l'occasione solenne, oltre che rappresentare un espediente per incorniciare di nero il suo volto, facendolo spiccare nella luce chiara che lo investe. La santa intagliata e la verga Lei indossa un vestito ampolloso e alla moda nell'epoca fiamminga, con guarnizioni di pelliccia d'ermellino. Ha un'acconciatura elaborata coperta da un velo finemente merlato, ed indossa una collana, vari anelli e una cintura broccata d'oro. Il colore verde all'epoca era il colore della fertilità. Ella non è incinta, la sua posizione si limita a essere un gesto rituale, una promessa di fertilità evidenziata tramite la cintura particolarmente alta, la piega del tessuto e l'esagerata curvatura del corpo. La camera La scena è ambientata nella camera che, con la presenza del letto nuziale e lo scranno sullo sfondo, è il luogo dell' unione matrimoniale. Il letto ha relazione soprattutto con la regalità e la nobiltà, con la continuità del lignaggio e del cognome. Rappresenta il posto dove si nasce e si muore. I tessuti rossi simbolizzano la passione oltre a creare un forte contrasto cromatico col verde del vestiario della donna. In ogni caso, era abitudine dell'epoca, nelle case della Borgogna, collocare un letto nel salone dove si ricevevano le visite. Benché, generalmente, si usasse per sedersi, occasionalmente, era anche il posto dove le madri, appena partorito, ricevevano con il loro neonato le congratulazioni di familiari ed amici. Nella testiera del letto si vede intagliata una donna, con ai piedi un dragone. È probabile che sia santa Margherita, patrona delle partorienti, il cui attributo è il drago; ma per la spazzola che è al suo fianco, sullo schienale del letto, potrebbe essereSanta Marta, patrona della casa con la quale condivide l'identico attributo. Il tappeto e gli zoccoli Il tappeto, che è vicino al letto, (sul quale poggiano gli zoccoli di Giovanna) è molto lussuoso e caro, proveniente dall'Anatolia, un'altra dimostrazione della sua posizione e fortuna economica. Gli zoccoli sparsi per il pavimento erano in realtà dei sopra-scarpe, indossati all'esterno per proteggere le costose calzature in materiali più pregiati e confortevoli[1]. La loro disposizione sul pavimento della stanza non è casuale: quelli di Giovanna, rossi, stanno vicino al letto; quelli di suo marito, più prossimi al mondo esterno. I frutti Un'arancia si vede appoggiata sul davanzale e altre tre su un ripiano sottostante. Tali frutti, importati dal sud, erano un lusso nel nord dell'Europa, e qui alludono forse all'origine mediterranea dei protagonisti del ritratto[1]. Inoltre nei paesi del Nord Europa erano come "mele di Adamo" ed avevano lo stesso significato della mela nell'evocare il frutto proibito del peccato originale. I frutti esortano quindi a fuggire dai comportamenti peccaminosi, santificandosi mediante il rituale del matrimonio cristiano, nel rispetto dei comandamenti della fede. Inoltre dalla finestra si intravede un ciliegio carico di frutti, un'allusione al clima primaverile che contrasterebbe con gli abiti invernali dei protagonisti: in realtà ciò che indossano è una semplice indicazione del loro status sociale, all'artista (e ai committenti) non interessava avere un ritratto fedele, ma piuttosto evocativo[1]. Non di meno non va sottovalutata un'ulteriore interpretazione teologica, che vede le arance a richiamo di altri quadri fiamminghi, raffiguranti scene dell'Annunciazione, e le ciliege in altre natività, a simbolo del paradiso. Il lampadario I rosari erano un presente abituale del fidanzato alla futura moglie; scrutando con attenzione se ne nota uno appeso di fianco al piccolo specchio in fondo alla stanza. Il vetro è simbolo di purezza, mentre il rosario suggerisce la virtù della fidanzata ed il suo obbligo di essere devota. Lo specchio, per la prima volta, per quanto se ne sappia, mostra il retroscena del dipinto, che venne copiato più volte, da Hans Memling (Dittico di Maarten van Nieuwenhove, 1487) aVelázquez (Las Meninas, 1656). È uno dei migliori esempi della minuziosità microscopica ottenuta da Van Eyck: misura 5,5 centimetri, e nella sua cornice sono rappresentati dieci episodi della Passione di Cristo. Dal medaglione in basso in senso orario si riconoscono: Orazione nell'orto Cattura di Cristo Giudizio di Pilato Flagellazione di Cristo Salita al Calvario Crocefissione (in alto al centro) Deposizione Compianto Discesa al Limbo Resurrezione A quell'epoca, questi piccoli specchi convessi erano molto popolari: spesso si trovavano vicino alle porte o alle finestre, per cercare effetti luminosi nelle stanze, ma soprattutto si usavano per allontanare la sfortuna. La sua presenza, all'interno del quadro, con il particolare tema della cornice, suggerisce che l'interpretazione dell'avvenimento, deve essere cristiana e spirituale in uguale misura. Le storie della Passione erano anche un esempio di cristiana sopportazione delle tribolazioni del quotidiano. Anche il vetro dello specchio allude alla verginità di Maria, quale speculum sine macula, e quindi, per analogia, alla purezza ed alla verginità della sposa, che doveva rimanere casta anche durante il matrimonio. Inoltre il baluginio luminoso sullo specchio invita lo spettatore ad osservare le immagini riflesse. Si può notare che oltre ai due coniugi, sono presenti altre figure riflesse, questo è un altro esempio della loro fede cristiana, poiché un matrimonio veniva svolto con dei testimoni. Il lampadario a sei braccia con una sola candela accesa simboleggia la fiamma dell'amore, e ricorda la candela che brilla sempre nel sacrario delle chiese, simbolo della permanente presenza di Cristo che tutto vede. Inoltre era abitudine delle famiglie fiamminghe accendere una candela il primo giorno delle nozze e tali oggetti compaiono a volte anche nei dipinti dell'Annunciazione. Può anche darsi che l'artista la incluse per mostrare la sua bravura nel rendere la luce artificiale, oltre che quella naturale[1]. La verga appesa a destra è simbolo di verginità, per il gioco di parole Virgo-virga, ma nella tradizione popolare era anche simbolo di fertilità ("verga di vita"), con la quale lo sposo batteva simbolicamente la sposa perché fosse portatrice di figli. Il cagnolino Il cane mette una nota di grazia e sollievo in un quadro che è, per il resto, piuttosto solenne e serioso. Esso simboleggia la fedeltà e la nobiltà della coppia, poiché possedere un animale domestico era un lusso quindi simbolo di ricchezza oltre che di fedeltà verso il padrone. Virtuosistica è la meticolosità con cui sono stati dipinti i peli del manto. Storia. L'opera è firmata ("Johannes de Eyck fuit hic") e datata 1434. Ritrae il mercante di Lucca Giovanni Arnolfini con la moglie Giovanna Cenami, anche lei lucchese[1]. Essi fecero parte della nutrita comunità di mercanti e banchieri italiani residenti aBruges, dove vissero dal 1420 al 1472. Nel 1990 un ricercatore francese della Sorbona, Jacques Paviot, scoprì nell'archivio dei duchi di Borgogna un documento matrimoniale di Giovanni Arnolfini datato 1447: tredici anni dopo che il quadro fu dipinto e sei anni dopo la morte di Jan van Eyck. Certo che a Bruges nel secolo XV ci furono quattro Arnolfini e due di essi si chiamavano Giovanni, ma nel documento si parla inequivocabilmente del più ricco, quello che aveva rapporti con l'arciduca, quindi quello del quadro in questione. Per il momento non si hanno documenti sull'incarico intercorso tra gli Arnolfini e van Eyck (i primi documenti su pitture nella regione risalgono a non prima del XVI secolo). Ad ogni modo, sappiamo che Giovanni Arnolfini si spostò dall'Italia a Bruges, dove col commercio riunì un'immensa fortuna ed entrò nel circolo più selettivo del gran duca di Borgogna per il quale lavorava l'artista. L'opera fece parte della collezione reale spagnola, ma fu rubata dall'esercito francese durante la Guerra d'Indipendenza. Nel1842 l'opera, tramite il mercato antiquario, arrivò alla National Gallery di Londra, che l'acquisì per 730 sterline. Timoteo Pone le basi del ritratto moderno: ci colpisce per la costruzione spaziale; molto attento alla tridimensionalità. (Leal Souvenir= descrizione fedele). Rappresentazione a ¾, predilige fondo scurorisolta? plasticità; materiali perfettamente comprensibili come il marmo del muretto. Timoteo non guarda verso l’osservatore. Il Ritratto di giovane detto Timoteo (Tymotheos) è un dipinto di Jan van Eyck databile al 1432 e conservato nella National Gallery di Londra. Si tratta di un olio su tavola e misura 34,5×19 cm. L'opera è uno dei più antichi ritratti alla "maniera fiamminga", che rivoluzionarono questo genere pittorico. Descrizione e stile[modifica | modifica wikitesto] Non si conosce il nome del personaggio raffigurato, ma alcune informazioni si trovano sull'iscrizione sul parapetto marmoreo in trompe-l'oeil. Tra queste spicca, in lettere più grandi e dipinte come se fossero incise nel marmo, "Leal Sovvenir", cioè la presentazione del ritratto come ricordo fedele dell'aspetto della persona rappresentata, non come un'opera idealizzata o simbolica. Il personaggio è rappresentato di tre quarti e non guarda lo spettatore, a differenza della tradizione tardogotica che utilizzava soprattutto il profilo. Un contatto con l'osservatore è suggerito dalla mano (che tiene un cartiglio arrotolato) protesa in scorcio verso il parapetto che separa il personaggio da chi guarda. capitali: Superbia, Invidia e Accidia nei bassorilievi di scene bibliche, Iranelle testine leonine dei capitelli; Avarizia poteva essere simboleggiata dal borsellino di Rolin (che forse per questo venne cancellato), mentre non vi è traccia evidente di riferimento alla Gola, a parte una certa pinguetudine di uno dei due personaggi sulla terrazza. L'aula è rischiarata da più fonti di luce, tipiche di van Eyck, in modo da garantire un'illuminazione ideale ai vari particolari: innanzitutto la luce proviene dalle arcate e dalle due finestre laterali con vetri a fondo di bottiglia; inoltre proviene da davanti, illuminando i personaggi principali a beneficio dello spettatore. La prospettiva non è esattamente geometrica come nelle opere italiane, come si evince bene dall'osservazione delle mattonelle del pavimento: solo una dozzina di mattonelle separano il gruppo dei protagonisti dalle arcate, ma essi sembrano molto più lontani, grazie all'ingrandimento delle loro proporzioni. Questo accorgimento ha anche come conseguenza l'effetto di far apparire l'ambiente più intimo e familiare. I protagonisti: Il manto della Vergine L'Angelo e la corona Come in altri dipinti devozionali c'è una diversità di trattamento tra il realismo per gli esseri umani e la fine idealizzazione delle divinità. Molto moderno è l'uso di proporzioni identiche sia per il gruppo sacro che per il committente, un chiaro esempio di superamento degli schemi medievali che proprio in quegli anni aveva un corrispettivo in Italia con Masaccio. Rolin. Il cancelliere, a sinistra, ha una posizione di devota preghiera, ma la sontuosità del suo abito e lo sguardo diretto verso la Madonna colgono la sicurezza personale e sociale del personaggio. La sua veste è composta da costosi broccati dorati, con bordi di pelliccia. La testa ha una marcata individuazione fisiognomica e grazie alle fini velature della pittura a olioil pittore poté raffigurare i più minuti dettagli dell'epidermide, dalla vena sulla tempia fino alla peluria rasata che rispunta sotto il mento. Le sue mani, altrettanto dettagliate, sono leggermente rimpicciolite. Egli si appoggia su uno sgabello coperto da un velluto verde, dove è poggiato un libro di preghiere miniato, altro oggetto di lusso che certifica il suo status. La capacità di van Eyck di rendere la diversa consistenza dei materiali tramite diversi giochi di luce si coglie facilmente nei punti di contatto, come nel velluto che tocca le piastrelle del pavimento, o tra il broccato e l'orlo di pelliccia. La Vergine col Bambino La Vergine è avvolta da un pesante manto rosso che, come in altre opere di van Eyck, si increspa profondamente creando un sofisticato gioco di linee e chiaroscuro. La sua dimensione è debordante e nasconde il corpo della Vergine, proseguendo sul pavimento fino quasi a incombere sullo spettatore, che è così avvicinato dalla figura sacra. Il bordo è riccamente adornato da una fascia-gioiello, con perle e pietre preziosi, oltre a inserti dorati che la luce fa luccicare proprio come metallo prezioso. Il Bambino ha le fattezze di un vero infante, con grande realismo nella descrizione delle tenere membra con le pieghette o nella sottile capigliatura bionda. Tiene in mano un globo con la croce rappresentato come un prezioso gioiello, che simboleggia il suo potere sulla Terra. L'angelo che incorona la Vergine vola leggero e minuto, nonostante la pesante corona che regge: essa è raffigurata come il più prezioso capolavoro di oreficeria, minutamente cesellato e ricco di perle e pietre preziose. Madonna col Bambino tra i Santi Donaziano, Giorgio e il Committente, canonico Van der Paele Madonna con bambino e santi, colloca la scena all’interno di una chiesa. Ricchezza decorativa; canonico inginocchiato esterrefatto per l’apparizione. San Giorgio riflette la luce sull’armatura. Oggetti preziosiluccichio. Siamo nel 1436 e in Italia si è già bruciata la meteora fulminea e folgorante di Masaccio, morto qualche tempo prima ad appena ventisette anni, dopo aver cambiato per sempre, grazie all’uso della prospettiva matematica, la maniera di raffigurare il mondo. Quella di van Eyck è una rivoluzione altrettanto radicale: nei suoi dipinti, però, non è l’uomo a osservare il mondo e a rappresentarlo a sua misura, ma è il mondo esterno a entrarvi prepotentemente con tutta la sua varietà. La scena sacra con il canonico Joris van der Paele, presentato alla Madonna da due Santi, è ambientata nell’abside della chiesa di san Donaziano, a Bruges, con la luce chiara che entra dalle finestre e il pavimento coperto da un sontuoso tappeto. È una “Sacra conversazione”, una sorta di visione, di colloquio interiore tra la Madonna, i Santi e il committente, ma è resa con una tale attenzione al dettaglio da diventare tangibile e reale. Ed è disseminata di particolari da scoprire poco a poco, tanto che i volti dei protagonisti o il più minuto decoro di un tessuto, finiscono per avere la medesima importanza. È come una serie di scatole cinesi, una “mise en abime”, dove ogni singolo frammento ne rivela altri, tutti trattati con la stessa assoluta esattezza e dove valore simbolico e realtà si mescolano indissolubilmente. Basta osservare da vicino il trono, su cui siede la Vergine, per scoprire che le figure ai lati, non sono motivo ornamentali, ma le rappresentazioni di due scene sacre, "Caino e Abele" e "Daniele e il leone", che alludono alla Passione di Cristo. La Madonna, dai lunghi e fini capelli biondi, tiene, tra le braccia, il Bambino che gioca con un pappagallino. Anche qui realtà e simbolo si mescolano: il pappagallo è uno quegli uccellini che, trattenuti con una corda, erano riservati ai giochi dei bambini, ma simboleggia anche l’Annunciazione perché il suo verso ricorda la parola “Ave”. Nel piccolo mazzo di fiori che la Madonna regge tra le mani, i fiori bianchi sono il simbolo della sua purezza verginale, mentre quelli rossi preannunciano il sangue della Crocifissione San Donaziano, il santo vescovo, cui è intitolata la chiesa, è abbigliato con un ricco piviale azzurro a disegni dorati e ha, in mano, il pastorale sormontato da una croce dorata e un candeliere con le candele accese, che evocano la fede cristiana. San Giorgio, il santo protettore del canonico, si toglie l’elmo in segno di deferenza, con un gesto di cortesia cavalleresca. Tra i bagliori metallici della sua fulgente corazza si intravede il riflesso rosso del manto della Madonna. Nel ritratto di van der Paele la pittura di van Eyck rivela tutta la sua capacità di descrivere, non solo le fattezze, indagate in ogni loro minima imperfezione, ma anche l'espressione di uno stato d’animo di raccolta e silenziosa meditazione. L’anziano canonico, vestito con una semplice tunica bianca, era un facoltoso mercante di pesce che ha raggiunto una importante carica ecclesiastica. Per questo ci tiene a mostrare il libro e gli occhiali, completi di custodia in pelle, che testimoniano la sua nuova qualità di erudito. Tutti i dettagli, su cui si è posato lo sguardo del pittore, sono immersi in una luminosità chiara e omogenea. Van Eyck, per raffigurarli, usa la tecnica della pittura a olio, di cui, secondo Vasari, sarebbe l’inventore: i colori a olio, più brillanti e vividi di quelli a tempera, seccano più lentamente e consentono di creare velature sottilissime che restituiscono non solo l'incidenza della luce, ma anche la consistenza dei singoli oggetti. Van Eyck lo ha compreso benissimo Come se fosse un tessitore, sa dipingere la differenza percettibile delle stoffe. i nodi più ruvidi del tappeto, la morbidezza vellutata del damasco del piviale del San Donaziano, la pesantezza del manto rosso della Madonna o la grana soffice della lana della veste e della pelliccia del canonico. Come se fosse un gioielliere, sa dipingere tutte le pietre preziose, fino alla finezza della filigrana dorata che orna il bordo della veste della Madonna. Come se usasse il microscopio, sa rendere ogni piega, ogni ruga, quasi ogni poro della pelle delle mani di van der Paele, così come ogni sfumatura delle penne del pappagallino o i riflessi della sottile fede dorata che la Madonna porta alla mano sinistra. È come se nei suoi occhi, nella sua retina, si fosse impresso il mondo intero. La sensazione che provoca è vertiginosa. In un racconto di J.L. Borges il protagonista, Ireneo Funès, ha una memoria capace di ritenere ogni evento, pur minimo, della vita, senza poter dimenticare niente. Mi sembra che van Eyck condivida la stessa facoltà. In lui, però, è la vista che trattiene tutto quello, su cui si fissa e che lo restituisce in pittura. Per il Funès di Borges il potere di ricordare è maledetto, una condanna che gli impedisce di vivere. In van Eyck, invece, la possibilità di comprendere tutto attraverso lo sguardo, sembra associarsi alla meraviglia, al desiderio di condividere la varietà del visibile e a uno stupore senza limiti di fronte all’infinita bellezza del mondo. ROGIER VAN DER WEYDEN Deposizione dalla croce Rogier van der Weyden è stato in occasione del Giubileo in Italia, a contatto con i Medici; introduce un nuovo aspetto. Senso dello spazio compresso. Differenze con Jan Van Eyeckindagine psicologica. Sofferenza, affermazione, sensazione generale di abbandono; legame tra Vergine e Gesù, stessa posizione, è messa in risalto perché donna. Dal vangelo di Geremia: “O voi, che passate di qui, …? guardate, se v’è dolore, pari al mio dolore!”. Gesù prova un dolore che si cerca di suscitare nell’osservatore per creare compartecipazione. Rapporto diretto tra fedele e divinità nel mondo nordico. Effetti drammatici della gestualità (tratto tipico dell’artista), panni usati per asciugarsi le lacrime. Immagini così realistiche da creare coinvolgimento, tipico di quest’epoca (Michelangelo era contro questa “pittura per monache”). La Deposizione dalla Croce è un'opera di Rogier van der Weyden, olio su tavola (220×262 cm), databile al 1433-1435, considerata uno dei capolavori dell'artista. È conservata nelMuseo del Prado a Madrid. Storia. La pala era la parte centrale di un trittico parzialmente scomparso. Secondo una testimonianza del 1574 nelle ante laterali erano raffiguranti, in una, i quattro evangelisti e, nell'altra, una resurrezione. L'opera fu eseguita per la chiesa di Notre-Dame nella città belga di Lovanio, su commissione della gilda dei balestrieri. L'apprezzamento che essa riscosse fu subito molto grande, prova ne siano le innumerevoli copie che ne sono state tratte, a partire da quella realizzata già nel 1443, la più antica che si conosca, per la collegiata di San Pietro, sempre a Lovanio, nota come Trittico Edelheere (di anonimo). Con la dominazione degli Asburgo di Spagna dei Paesi Bassi e delle Fiandre la tavola entrò in possesso dapprima di Maria d'Ungheria, che a sua volta ne fece dono a Filippo II di Spagna, grande estimatore della pittura fiamminga, che la collocò nelmonastero dell'Escorial. Di seguito essa confluì nelle collezioni reali collocate nel Museo del Prado, attuale sede del dipinto. Descrizione e stile. Il dipinto ha l'insolita forma di una "T" rovesciata e molto probabilmente era originariamente corredato da sportelli che permettevano la chiusura dell'immagine principale al di fuori di certe feste religiose. Il grande pannello evita la divisione per scomparti ed usa appieno le possibilità offerte dalla pala unitaria, disponendo le figure sul registro orizzontale, in particolare quella di Gesù e di Maria, che ricalca la posa del primo a sottolineare la sua partecipazione anche fisica alle sofferenze del figlio. Il dipinto è ambientato in un ambiente esiguo, una specie di finta intercapedine con intagli lignei agli angoli, che sembra molto meno profonda di quanto non siano le figure, le quali si stagliano invece con un forte senso plastico, per contrasto. I gesti sono contratti e le linee sono spesso spezzate che ricorrono ritmicamente e con simmetrie. Le figure sono collocate in profondità e talvolta assecondano l'andamento della cornice, come le figure curve della Maddalena, all'estrema destra, e di san Giovanni, sul lato opposto. L'ambientazione in una nicchia illusionistica rimanda allo schnitzaltar cioè quel tipo di altare, tipico dell'Europa del Nord e dell'area tedesca in particolare, in cui al centro, tra le ante richiudibili, non vi è una tavola dipinta bensì un gruppo ligneo scolpito ad intaglio, spesso policromo. Quasi a voler suggerire che l'oggetto della raffigurazione non è la reale rappresentazione della Passione (vi sarebbe un'ambientazione naturale), né una sua astrazione mistica (saremmo allora in presenza di un fondo d'oro, che nella simbologia bizantina, ripresa nell'arte medievale e tardogotica, astrae le figure dallo spazio per collocare in una dimensione eterna), bensì un gruppo scultoreo magistralmente dipinto. Il perno è la figura esangue del Cristo, in posizione obliqua. La partecipazione fisica ed emotiva di Maria sembra rievocare i "Misteri" e testi popolari all'epoca come L'imitazione di Cristo, che proponevano di rivivere religiosamente ed emotivamente le sofferenze di Cristo. Il coinvolgimento del fedele in dipinti come questo è evidente e sembra voler chiarire con immediatezza il modello che tali Misteri proponevano a un pubblico più selezionato. Fermo restando, una certa libertà di figure e di forme, l'opera trasmette un rigore tematico religioso, che non arresta il flusso di sentimenti, di caratteri, di tragicità, di emozioni, immerso in una struttura tecnica elevata, fine e particolareggiata. Derivata da Jan van Eyck è l'abilità nella resa dei materiali più disparati tramite le sottili variazioni dei riflessi della luce. L'ampia cappa damascata di Giuseppe d'Arimatea è un perfetto esempio di questa abilità, aiutata dalla tecnica a olio. Seppellimento di Cristo Solitamente viene calato all’interno del sepolcro, qui sembra una rappresentazione immediatamente prima della sepoltura, con le braccia aperte che ricordavano la precedente crocifissione, dettaglio dato dalla piaga? fatta dalla lancia, con sangue che sgorga abbondantemente. Guardando l’icona entriamo in rapporto diretto con il Cristo. Questo è un tema importante del 400. Rinascimento ….? dell’icona. Drammatizzazione dell’icona. Personaggio posto frontalmente per l’adorazione. L’artista sta dialogando con la cultura italiana per la rappresentazione del blocco plastico alle spalle, disposizione circolare. Figura di spalle alla Maddalena fa da tramite: versione prospettica del masso che chiude il sepolcro. La disposizione ricorda l’arte italiana, abbiamo molti riferimenti: disposizione simile al “Seppellimento di Cristo” di Beato Angelico; nell’opera non c’è Maddalenatramite tra spettatore e opera. Descrizione e stile. L'opera venne commissionata dal mercante di tessuti Pierre Corpici. Nello scomparto centrale si vede l'Annunciazione ambientata in una chiesa gotica, con l'Angelo posto sotto una volta, sopra la quale si trova una specie di cantoria da dove, oltre un rosone traforato, appare Dio Padre con due angeli, mentre la Madonna è inginocchiata a destra sullo sfondo di due navate scorciate arditamente in prospettiva in diagonale, con un punto di fugaposto all'estremità destra. La proporzione tra edificio e sfondo, come in altri maestri fiamminghi, non è veritieramente calcolata, ma i personaggi sono più grandi, senza per questo compromettere l'armonia dell'insieme. Le vesti ampie e dilatate rivelano l'influsso della scuola borgognona, stendendosi su vaste superfici con non troppe pieghe, in modo da evidenziare la preziosità dei tessuti. In quest'opera la luce unifica la scena ed è di chiara derivazione fiamminga (Robert Campin), come anche i dettagli minuti e talvolta curiosi (come il diavoletto alato e il pipistrello nei lobi dell'arco a sinistra). In questo caso però si può percepire un influsso provenzale, che congela la composizione e definisce i singoli dettagli con precisione, mentre le figure principali sono modellate plasticamente. Nei pannelli laterali spicca soprattutto la resa straordinariamente realistica delle nature morte sugli scaffali nella parte superiore. La luce è intensa e modula con efficacia la figura, con un ricorso sintetico alle pieghe nella veste. Profeta Isaia & Profeta Geremia Si trovano uno a Sx e uno a Dx della scena principale e in una ricostruzione c’è un particolare, ovvero una natura morta di libri sopra le due figure. RICOSTRUZIONE DELL’ANCONA PROVENIENTE DA NAPOLI COLANTONIO San Girolamo nello studio (Parte Inferiore) Sorprendente affinità con il trittico di Barthelemy d’Eyck, Colantonio ha conosciuto Barthelemy d’Eyck e si ispira ai suoi libri nello studio. Non si vedono rapporti con Donatello o Masaccio, Napoli: in questo periodo ha affinità con le Fiandre. San Girolamo e leone sembrano blocchi; spazio chiuso: si cerca di rendere la tridimensionalità. L’autore si cimenta con i luccichii delle brocche e acque tipiche degli autori settentrionali (Jan Van Eyck). Colantonio era ricordato dai contemporanei come colui che sapeva perfettamente emulare lo stile di Van Eyck. San Gerolamo nello studio è un dipinto, tecnica mista su tavola (125x150 cm), del pittore napoletano Colantonio, facente un tempo parte di uno smembrato polittico per la chiesa di San Lorenzo Maggiore ed oggi conservato nel Museo nazionale di Capodimonte. L'opera è databile al 1444 circa. Storia. Colantonio operò a Napoli tra il 1440 e il 1460 circa, e visse sia la stagione di re Renato (1438-1442), il colto ammiratore dell'arte fiamminga, borgognona e provenzale, sia quella di Alfonso I d'Aragona (al trono dal 1444), legato agli altri territori della corona aragonese, in particolare la Catalogna, a sua volta ispirata ai modi fiamminghi. Le diversità di questi due momenti di influenza franco-fiamminga sono ben visibili nei due pannelli principali dell'ancóna per la chiesa francescana di San Lorenzo, dipinta tra il 1444 e il 1446 circa in momenti diversi, e completata in seguito da Antonello da Messina con le tavolette laterali dei Beati francescani. Il tema generale dell'ancona era la celebrazione del pensiero francescano, di cui san Gerolamo era stato, secondo le teorie di san Bernardino, uno degli ispiratori alla radice. Descrizione e stile. San Gerolamo è tradizionalmente rappresentato nel suo studio, mentre con un coltellino toglie dal piede di un leone una spina, che tormentava l'animale. Secondo la leggenda la belva divenne poi suo compagno fedele. La stanza, è riempita di oggetti che testimoniano la vastità degli interessi culturali del santo-cardinale, il cui cappello è adagiato su un ripiano a sinistra. Uno degli aspetti più interessanti del dipinto è la straordinaria "natura morta" di libri e altri oggetti che riempiono gli scaffali, che dimostrano i riferimenti alla pittura fiamminga. Il San Gerolamo in particolare registra l'influenza dei modi della corte di Renato d'Angiò e di pittori come Barthélemy d'Eyck, come dimostrano l'attenzione alla resa dei volumi e la profondità spaziale realistica, nonostante negli spazi la prospettiva sia ancora incerta. Nel pannello della Consegna della Regola francescana invece, pur essendo di uno o due anni soltanto posteriore, si registrano già le diverse influenze legate alla nuova corte aragonese ed alla presenza di artisti catalani. (confronto) BARTHELEMY D’EYCK – Profeta Geremia Volto e posizione sembrano uguali Differenze: San Gerolamo non ha l’aureola ma è vestito di rosso (confronto) Natura morta del “profeta Geremia” Stessa natura morta, stesso punto (sopra la testa del santo) San Francesco Consegna La Regola Studio (Parte Superiore) San Francesco consegna la regola ai frati e suore degli ordini francescani. Disposizione circolareidentica alla costruzione dell’Agnello Mistico di Van Eyck. Panneggio scultoreo. Capacità ritrattistica. Anni 50 del 400: ormai la cultura fiamminga era diffusa, chiesa di San Lorenzo a Napoli; originariamente il resto è stato smembrato. C’erano dei pilastri laterali con beati dell’ordine francescano, perduti. Complessità: cambia la concezione di cornice a? pala d’altare. La cornice diventa pezzo di architettura che fa da mediazione tra l’opera e lo spettatore. Beati francescani collocati nelle nicchie della cornice che proiettano ombre e si trovano su piedistalli. Giochi compositivi sul saio, quasi come se fosse vivente. La figura umana si intuisce ma non si vede tomba di Filippo l’Ardito. La Consegna della regola francescana è un dipinto, tecnica mista su tavola (150x185 cm), del pittore napoletano Colantonio, facente un tempo parte di uno smembratopolittico per la chiesa di San Lorenzo Maggiore ed oggi conservato nel Museo nazionale di Capodimonte. L'opera è databile al 1445 circa. Storia. Colantonio operò a Napoli tra il 1440 e il 1460 circa, e visse sia la stagione di re Renato(1438-1442), il colto ammiratore dell'arte fiamminga, borgognona e provenzale, sia quella di Alfonso I d'Aragona (al trono dal 1444), legato agli altri territori della corona aragonese, in particolare la Catalogna, a sua volta ispirata ai modi fiamminghi. Le diversità di questi due momenti di influenza franco-fiamminga sono ben visibili nei due pannelli principali dell'ancóna per la chiesa francescana di San Lorenzo, dipinta tra il1444 e il 1446 circa in momenti diversi, e completata in seguito da Antonello da Messinacon le tavolette laterali dei Beati francescani. Il tema generale dell'ancona era la celebrazione del pensiero francescano, di cui san Girolamo era stato, secondo le teorie disan Bernardino, uno degli ispiratori alla radice. Descrizione e stile. La scena mostra, su fondo oro, san Francesco d'Assisi, in piedi al centro, dalla figura longilinea, che offre la Regola francescana ai confratelli inginocchiati attorno a lui: gli uomini a sinistra, con frate Leone che riceve il libro, e le donne a destra, con santa Chiara. In alto volano due angeli simmetrici, che reggono cartigli. In quest'opera Colantonio si mostra già aggiornato alle novità dell'ambiente di corte aragonese, con una maggiore indole "fiamminghista", filtrata però questa volta dalla scuola iberica, come dimostrano il pavimento inerpicato in verticale, le fisionomie, le aureole traforate, le pieghe rigide e geometriche delle vesti. Il di poco anteriore San Girolamo nello studio invece resta legato al gusto della precedente corte angioina di re Renato e di pittori come Barthélemy d'Eyck, come dimostrano l'attenzione alla resa dei volumi e la profondità spaziale realistica, oltre alla cura minuziosa del dettaglio e della resa realistica degli oggetti. MATTEO DI GIOVANNI – TRITTICO (Ricostruzione con aggiunta di Piero della Francesca) I due pannelli, raffiguranti i Santi Pietro, con un libro e la chiave, e Paolo, con la spada del martirio, costituivano i laterali di un trittico al centro del quale era collocato il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, ora conservato alla National Gallery di Londra. Al di sopra delle due tavole principali, entro tondi decorati con teste di cherubini, sono dipinti l’Angelo Annunziante e la Vergine Annunziata. Nei pilastrini laterali sono Santo Stefano,Santa Maria Maddalena e Sant’Arcano, a sinistra, e Sant’Anton Abate, Santa Caterina e Sant’Egidio, a destra. Nella sottostante predella, suddivisa in cinque scene, intervallate dai Dottori della chiesa, sono rappresentate laNascita del Battista, Sant’Agostino, la Predica del Battista, San Gregorio Magno, la Crocifissione, San Gerolamo, il Battista davanti a Erode, Sant’Ambrogio, il Banchetto di Erode. Proprio queste rappresentazioni, eseguite con grande cura e dovizia di particolari, rappresentano la parte più interessante dell’opera dove il pittore appare capace di dipingere con vivacità descrittiva episodi di vita reale con una fresca spontaneità memore delle migliori opere del Sassetta. Alle estremità della predella sono gli stemmi della famiglia Graziani di Sansepolcro, i committenti del Trittico, e quello dell’Opera della chiesa di San Giovanni in Val d’Afra in Sansepolcro, alla quale il dipinto era destinato. L’opera fu caratterizzata da una lenta e intricata esecuzione che vide impegnati tre diversi artisti: nel 1433 fu commissionata la gotica e ricca cornice lignea al pittore Antonio d’Anghiari, primo maestro di Piero della Francesca, che probabilmente avrebbe dovuto dipingere anche i pannelli figurati; nei primi anni Quaranta l’opera fu assegnata a Piero della Francesca che dipinse solo il luminoso Battesimo; e infine nel 1455 Matteo di Giovanni portò a termine il trittico dipingendo i Santi laterali e la predella. PIERO DELLA FRANCESCA Battesimo di Cristo Concezione dei corpi statuari plastici. Ambientazione naturale importante. Ciottoli nel fiume vanno verso lo spettatore = coinvolgimento. Superficie d’acqua a specchio rimanda ai fiamminghi e si distanzia da Masaccio. Organizzazione spaziale chiara e semplice. Pittore che mette tutto in prospettiva, anche la natura: ama molto la natura, ama la luce, il chiaroscuro e la lucentezza citazione diretta del “Battesimo dei Neofiti” di Masaccio e Cappella Brancacci. Pittore non fiorentino: viene da Borgo San Sepolcro; formatosi in ambito fiorentino, non solo con Donatello e Brunelleschi, ma era allievo di Domenico Veneziano. L’opera faceva parte del polittico, completato da Matteo di Giovannigrande distacco rispetto al solito, al resto del polittico a fondo d’oro tardo gotico. Si è spostato molto e ha lasciato una forte traccia nella pittura italiana. Il Battesimo di Cristo è un dipinto a tempera su tavola (167x116 cm) di Piero della Francesca, di datazione (1448-1450) conservato alla National Gallery di Londra. Storia. La tavola venne commissionata dall'abbazia camaldolese di Sansepolcro, città natale e residenza del pittore, come tavola centrale per un polittico terminato negli scomparti centrali e nella predella da Matteo di Giovanni verso il 1465, che probabilmente decorava l'altare maggiore. Forse nella committenza ebbe un ruoloAmbrogio Traversari, priore dell'abbazia nonché celebre teologo ed umanista, che grande importanza aveva avuto nel Concilio di Firenze del 1439, morendo in quello stesso anno. Gli altri scomparti del polittico sono oggi conservati nel Museo Civico di Sansepolcro. Il Battesimo di Cristo è una delle opere cronologicamente più controverse della produzione pierfrancescana. Secondo alcuni studiosi i riferimenti al concilio di Ferrara-Firenze, quali il corteo di dignitari bizantini sullo sfondo, la collocherebbero a un periodo immediatamente successivo al 1439 (anno del concilio), facendone una delle prime opere conosciute dell'artista. Anche la colorazione, a tenui toni pastello, farebbe pensare a un'influenza ancora forte di Domenico Veneziano (si confronti laPala di Santa Lucia dei Magnoli, del 1445 circa), del quale Piero fu collaboratore a partire dalla seconda metà degli anni trenta. Secondo altri, basandosi sulle caratteristiche compositive e stilistiche, l'opera andrebbe invece collocata nella fase matura dell'attività dell'artista, dopo un primo soggiorno urbinate (1450 circa), durante il quale avrebbe sviluppato l'interesse per i complessi schemi geometrico-matematici e per i molteplici significati teologici, oppure, addirittura, a un periodo successivo al soggiorno romano (1458-1459), vicino ad opere chiave come la Resurrezione o la Flagellazione di Cristo. Il dipinto venne riscoperto nella sagrestia del Duomo di Sansepolcro verso il 1858 dall'inviato della Regina Vittoria sir Charles Lock Eastlake, a caccia di opere per i nascenti musei inglesi, ma non venne preso in considerazione perché "quasi completamente devastato dal sole e dell'umidità". Pochi mesi dopo venne invece acquistato da un altro inglese, il più giovane sir John Charles Robinson, per l'industriale delle ferrovie Matteo Uzielli, a quattrocento sterline, non essendo riuscito ad ottenere una somma pari dai curatori del nascente Victoria and Albert Museum. Alla morte di Uzielli (1861) Eastlake, forse preso dal rimpianto di essersi fatto sfuggire il capolavoro, acquistò l'opera inizialmente per sé stesso, salvo poi ripensarci e venderla alla National Gallery, quello stesso anno. L'anno dopo avrebbe comperato anche il San Michele Arcangelo sempre di Piero, che pure sarebbe stato poi acquistato dal museo londinese. Una volta arrivata nel museo pubblico l'opera, studiatissima e molto ammirata, riaccese l'interesse internazionale per Piero della Francesca. Descrizione. Il volto di Cristo L'opera, caratterizzata da uno schema apparentemente naturale, ma in realtà dominata da precise regole matematiche, dà un senso di calma e serenità, in cui l'azione è sospesa nel momento in cui l'acqua sta per discendere sul capo di Cristo. Gesù, in posizione frontale, immobile sta ricevendo il battesimo da san Giovanni nelGiordano, mentre dal cielo è comparsa, in conformità col racconto evangelico (Matteo 3,16), la colomba dello Spirito Santo. Sottili L’ipotesi che a noi sembra più interessante è di vedere in questo dipinto un racconto metaforico dell’insuccesso del concilio che si svolse a Firenze nel 1439 e che doveva sancire la riunione della chiesa d’oriente con quella d’occidente. In questo senso le tre figure poste in primo piano avrebbero il seguente significato: quella al centro sarebbe un angelo (la sua immagine è infatti molto simile ad altri angeli che Piero ha realizzato in altri quadri) mentre i due uomini posti ai lati dovrebbero rappresentare la chiesa romana e la chiesa ortodossa in posizione di dialogo. La flagellazione rappresentata sullo sfondo sarebbe quindi la rappresentazione simbolica del motivo di contrasto tra le due chiese. Il motivo, infatti, era quello della “processione” dello Spirito Santo, se cioè quest’ultimo “procedeva” (cioè discendeva) dal Padre (come sostenevano gli ortodossi) o anche dal Figlio (come sostenevano i cattolici). In un certo qual senso, la posizione degli ortodossi-bizantini era quasi un ridimensionamento della figura e del ruolo del Cristo, che invece nella religione d’occidente ha sempre avuto un significato fondamentale. Da qui, il senso dell’immagine dove a flagellare il Cristo sono in realtà i bizantini. Ma al di là dei problemi posti dal soggetto, il quadro, da un punto di vista stilistico, può essere considerato un manifesto della nuova visione artistica del Rinascimento italiano. Quando si pensa alla prospettiva nei quadri, il primo che viene in mente è proprio questo. L’immagine sembra proprio una dimostrazione dei principi su cui si basava la pittura del Quattrocento: visione tridimensionale, ruolo primario dell’architettura, ruolo fondamentale del punto di vista dell’osservatore. Soffermiamoci su quest’ultimo punto. Nella concezione artistica medievale veniva utilizzata quella pratica che, comunemente, chiamiamo “prospettiva gerarchica”. In sostanza la dimensione dei personaggi veniva determinata in base alla loro importanza. In questo quadro, invece, il personaggio più importante, Gesù, ha una dimensione inferiore a tutti gli altri personaggi, perché in base alle leggi ottiche, in un’immagine l’altezza delle persone dipende dalla distanza che queste hanno dal punto di vista dell’osservatore. Ciò vuol dire, in senso metaforico, che chi guarda ha un ruolo preminente rispetto a chi viene visto, anche se quest’ultimo è Gesù. Ossia, come è stato detto, il centro dell’universo diviene l’occhio di chi guarda, non la realtà esterna. Crocifissione 1444-1446 Sfondo oro nella Crocifissione: novità. Crocifisso Masaccio (sfondo oro)composizione. Fa parte del polittico della Misericordia. Piero della Francesca. Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta 1451ca Le ombre non ci sono, sono chiare. Tratto tipico: analisi della realtà; contenuti in forme geometriche particolari (testa di cocco). La Crocifissione è un dipinto, tecnica mista su tavola a fondo oro (37,50x41 cm), di Piero della Francesca, databile al 1454-1469 e conservato nella Frick Collectiondi New York. Si tratta di uno dei pannelli secondari dello smembrato e parzialmente disperso Polittico di Sant'Agostino, originariamente dipinto per la vecchia chiesa agostiniana di Sansepolcro, oggi Santa Chiara. La Crocifissione doveva trovarsi al centro, in corrispondenza della perduta Madonna col Bambino. Storia. Del polittico si conosce la data del contratto, 4 ottobre 1454, e quella dell'ultimo pagamento, 14 novembre 1469. Spostato probabilmente col trasferimento degli Agostiniani, dovette finire in una posizione secondaria, per essere poi smembrato. Verso la fine del XIX secolo comparve sul mercato antiquario. Il pannello della Crocifissione entrò nella collezione newyorkese nel 1961, come dono di John D. Rockefeller Jr. Descrizione e stile. La scena è organizzata in due emisferi: quello superiore, con fondo oro, è il mondo celeste dove si trova solo la Croce; quello inferiore è terrestre, ed è composto da quattro gruppi di figure. In basso si trovano tre soldati seduti che si giocano la veste di Cristo, a sinistra il gruppo delle Pie Donne dolenti a cui fa da contrappunto san Giovanni sulla destra; alle due estremità due gruppi quasi simmetrici di soldati romani a cavallo, con i destrieri che ricordano da vicino quelli degli affreschi della Leggenda della Vera Croce di Arezzo. La scena è caratterizzata da una notevole vivacità e da una ricchezza cromatica dove spiccano i rossi dei vessilli, degli scudi e di alcune vesti. Non è chiaro se questi piccoli pannelli si trovassero nel registro superiore oppure nella predella del polittico. PIERO DELLA FRANCESCA & CO – POLITTICO DELLA MISERICORDIA Il Polittico della Misericordia è un'opera, tecnica mista su tavola (273x330 cm), di Piero della Francesca, realizzata tra il 1444 e il 1464 e conservata nelMuseo Civico di Sansepolcro. Storia. Nel 1442 Piero risultava abitante, dopo alcuni viaggi, di nuovo a Borgo Sansepolcro, sua città natale, dove era uno dei "consiglieri popolari" nel consiglio comunale. L'11 gennaio 1445 ricevette dalla locale Confraternita della Misericordia la commissione di un polittico per l'altare della loro chiesa: il contratto prevedeva il compimento dell'opera in tre anni e la sua completa autografia, oltre all'obbligo di controllare, ed eventualmente restaurare, il dipinto nei dieci anni successivi. Il Polittico della Misericordia è, grazie a questo contratto, la prima opera documentata di Piero della Francesca che ci sia pervenuta. In realtà, la realizzazione del polittico si protrasse, con intervento di un allievo non identificato, per più di 15 anni, nonostante le continue sollecitazioni della Confraternita, come dimostra un pagamento al fratello Marco di Benedetto de' Franceschi, per conto di Piero, effettuato dai religiosi nel 1462. Il ritardo può essere spiegato sia per i numerosi altri impegni del maestro, sia per la sua fama di artista molto lento, a cui si era cercato di rimediare con l'apposizione della clausola. Alcuni documenti fanno dedurre che la parte preponderante dell'opera sia stata eseguita dopo il 1459. La presenza di San Bernardino da Siena con l'aureola pone un importante termine post quem, poiché venne proclamato santo nel 1450. Nel XVII secolo il polittico fu scomposto, con la perdita dell'originaria cornice; si riuscì però ad evitare la dispersione dei pannelli. Trasferito poi nella chiesa di San Rocco, dal 1901 è conservato nella Pinacoteca comunale. Descrizione: Gli oranti, con l'autoritratto di Piero voltato verso lo spettatore, al centro Sansepolcro era un piccolo centro dove la riflessione artistica non era certo d'avanguardia[1], per cui la commissione al pittore fu di tipo tradizionale, con un'impaginazione a più scomparti indicati dagli archetti della cornice e con un uso massiccio di colori preziosi, come l'oro sullo sfondo. Nonostante queste limitazioni Piero riuscì a creare un'opera di forte modernità, tramite alcuni espedienti quali la fusione spaziale in un unico pannello principale dellaMadonna della Misericordia e dei quattro santi, ai piedi dei quali corre un unico gradino marmoreo e con dettagli, quali le vesti dei fedeli inginocchiati, che sporgono negli attigui scomparti. Forse nell'impaginazione Piero imitò da vicino quella del Polittico di Pisa di Masaccio. È stato osservato come le figure fanno riferimento alla "solidità" delle opere di Masaccio, immerse nel colore insegnato da Domenico Veneziano e fanno tutte da contorno al gesto della Madonna, "scolpito" dalla prospettiva appresa dagli studi di Filippo Brunelleschi. Il polittico si compone di 23 tavole (cinque maggiori, cinque della cimasa, cinque della predella e quattro scomparti su ciascun pilastrino, di cui quello inferiore occupato semplicemente dallo stemma della confraternita), in parte di mano di assistenti. La Madonna della Misericordia Al centro si trova la Madonna della Misericordia, una rappresentazione della Vergine Maria che apre il mantello per dare riparo e protezione alle persone che la venerano, derivata dalla consuetudine medievale della "protezione del mantello", che le nobildonne altolocate potevano concedere a perseguitati e bisognosi d'aiuto. I fedeli sono gerarchicamente più piccoli e sono disposti a semicerchi, quattro per parte (uomini a sinistra e donne a destra), lasciando un ideale posto al centro per l'osservatore. Tra di essi si vede un confratello incappucciato, un ricco notabile vestito di rosso e, secondo una lunga e plausibile tradizione, l'uomo voltato verso lo spettatore accanto alla veste di Maria sarebbe un autoritratto del pittore. La Madonna poggia su una base scura organizzata prospetticamente, che richiama l'attenzione sulla figura centrale. Ben evidente è l'interesse di Piero per la geometria, nell'accumularsi di forme regolari, quali il cilindro del mantello, il tronco di cono dell'aureola e la corona della Vergine, le forme ovali dei visi. La cintura di Maria è annodata in modo da formare un croce. Altre tavole: Crocifissione Ai lati della Vergine, nel registro principale, si trovano, da sinistra, San Sebastiano, trafitto dalle frecce, San Giovanni Battista, con la veste marrone da eremita nel deserto, la barba, il bastone e il cartiglio con Ecce Agnus Dei, Ecce qui tollit pecc[ata mundi], San Giovanni Evangelista, con il libro e la veste rossa, e San Bernardino da Siena, con l'abito francescano. La tavola con la Madonna della Misericordia che accoglie il popolo sotto il suo manto è generalmente indicata come la prima ad essere stata dipinta. Dal punto di vista iconografico si segnala come la presenza di Sebastiano sia legata alla protezione dalle pestilenze e per questo di numerose confraternite; fin dal primo Rinascimento il santo venne di preferenza raffigurato nudo e trafitto di frecce, offrendo agli artisti l'occasione per mettere in pratica gli studi di anatomia. Giovanni, protettore di Firenze e protettore delle malattie della gola, è rappresentato senza la consueta pelliccia nel gesto del predicatore, che indica la Vergine: alcuni[2] hanno messo in relazione questo atteggiamento con una citazione del San Matteo diGhiberti a Orsanmichele, presente ad esempio anche in un Giovanni Battista di Lorenzo Monaco[3]. Bernardino, la cui presenza offre un punto d'appoggio per la datazione della tavola, è raffigurato con il volto scarno, ispirato a un ritratto postumo del senese Pietro di Giovanni d'Ambrogio, eseguito nel 1444. Nel secondo registro si trovano al centro la Crocifissione e ai lati San Romualdo, l'Angelo annunciante, la Vergine Annunciatae San Francesco. La Crocefissione è la tavola dove si nota una maggiore dipendenza da Masaccio, con il Cristo rappresentato di scorcio ottimizzato per una veduta dal basso, migliorando il tentativo sperimentale, ma un po' goffo, della Crocifissionemasaccesca di Napoli. I gesti della Vergine Maria e di Giovanni, ai lati della croce, sono ampi e drammaticamente espressivi, ricordando da vicino il pathos dell'analoga tavola masaccesca. Sopravvivono anche le fasce dipinte dei pilastri laterali, con le raffigurazioni di sei santi e di due stemmi della Confraternita della Misericordia, probabilmente opera di uno sconosciuto allievo; cinque tavolette costituiscono la predella (Orazione nell'orto, Flagellazione, Deposizione, Noli me tangere e Marie al sepolcro), attribuite al pittore camaldolese Giuliano Amidei, forse anche appartenenti a un polittico diverso. La grande importanza data però alla Deposizione, posta al centro in formato maggiore, è legata però all'impegno della confraternita nella sepoltura dei morti. (Confronto) MASACCIO - Crocifissione PIERO DELLA FRANCESCA – STORIE DELLA VERA CROCE Cielo ad affresco: ha usato molto questa tecnica. Unico cielo completo, ad Arezzo, zona alle spalle dell’altare; ci ricorda la Cappella Brancacci (1452-1466). Committenti: famiglia Bocci, cappella già avviata da un pittore minore di Bicci di Lorenzo. Tema trattato un po’ meno canonico: non sono storie bibliche-vangeliche. Qua è illustrato una storia, leggenda della vera croce, testo tratto dall’opera fondamentale di questo periodo (1260-1290) “La leggenda Aurea” da Jacopo da Varazze: raccolta dei testi biblici e …? (vite dei santi). Non si sa se sono vere o no, ma essendo leggende sono per lo più inventate. Storie del legno che diede origine alla croce su cui fu inchiodato Cristo. Nel 1417 era morto Baccio di Maso Bacci, un ricco mercante appartenente a un'importante famiglia aretina, nelle cui disposizioni testamentarie era previsto un generoso lascito per la decorazione del coro della basilica francescana, patronato dalla famiglia stessa. Iniziative del genere non erano infrequenti nei testamenti tra Medioevo e Rinascimento, ed erano una sorta di riconciliazione religiosa di individui di stoffa è trattata in modo da evidenziare tutta la sua preziosità. La luce rende con efficacia la diversa consistenza dei materiali ed i riflessi propri dei drappi damascati o della pelliccia delle bordature. Tali risultati furono possibili solo grazie alla profonda conoscenza di Piero dei pittori fiamminghi (e in particolare dell'opera di Rogier van der Weyden). Madonna del parto Monterchi, vicino Borgo San Sepolcro. Pittura ad affresco che si trova nella Cappella, vicino al cimitero; spostato poi in un museo, ha perso la sua collocazione agricola. Meno suggestivo, si trova a suo agio in contesti non troppo elevati intellettualmente non più ..?. Luogo al quale facevano riferimento le donne che dovevano partorire. Disposizione Angeli che aprono una tendaMadonna chiusa in questo padiglione della Chiesa. Angeli questa immagine, in senso letterario e metaforico. Presentazione ¾ per accentuare corporeità, tipica delle figure femminili dell’artista: l’aprirsi della veste sul grembo sottolinea questo passaggio. Immagine frontale dei due angeli che invece instaurano un legame con l’osservatore. Simmetria dell’artistaangeli perfettamente identici ma con colori ribaltati. Non sono solo intellettuali con la flagellazione, ma anche in grado di fare icone per i contadini. La Vergine non possiede attributi regali, non ha alcun libro in mano ed è colta nel gesto di puntare una mano sul fianco per sorreggere il peso del ventre. L'interesse di Piero per le simmetrie è particolarmente evidente in quest'opera, dove i due angeli che tengono i lembi del tendone discosti sono stati dipinti sulla base di un medesimo cartone rovesciato. Nei loro abiti e nelle ali i colori sono alternati: manto verde, ali e calzari bruni per quello di sinistra, viceversa per quello di destra. Gli angeli guardano verso lo spettatore, richiamando la sua attenzione, come se stessero spalancando un sipario proprio per lui. La Madonna è in piedi, leggermente ricurva per il ventre gonfio, che accarezza con una mano, mentre con l'altra si dà sostegno all'altezza dei fianchi. Come nella Maria Maddalena sempre di Piero, lo sguardo è abbassato, come per dare un tono nobile e austero, e il ritratto incede su una dolce bellezza giovanile, sottolineata dalla postura fiera del collo e la fronte alta e nobile (secondo la moda del tempo che voleva le attaccature dei capelli rasate o bruciate con una candela). L'ambientazione nella tenda ha come precedente la scena del Sogno di Costantino negli affreschi aretini e compare anche in numerosi esempi prima di Piero. La forma geometrica del tendaggio enfatizza volumetricamente i personaggi e la spazialità del dipinto, inoltre, da un punto di vista teologico, offre riparo e protezione come il ventre di Maria per Gesù: non è casuale che la veste della Vergine sia slacciata all'altezza del ventre rotondeggiante, come dischiusi sono i lati della tenda. Maurizio Calvesi lesse nella tenda una precisa illustrazione del tabernacolo dell'Arca dell'Alleanza, così come è descritto nell'Esodo in questo modo Maria sarebbe la nuova Arca dell'Alleanza, il cui pegno è Gesù. Per altri il padiglione rappresenta la chiesa e la Madonna, nel suo particolare stato, simboleggia il tabernacolo eucaristico in quanto contiene il corpo di Cristo. Thomas Martone, tenendo conto di un brano della Lettera agli Ebrei, e del fatto che la manna dell'Esodo è prefigurazione del corpo eucaristico del Cristo, scrisse che Piero "collocando la Vergine all'interno di una tenda formata con i materiali di quella dell'Antico Testamento, alludeva chiaramente alla natura eucaristica del corpo di Cristo contenuto nella Madonna-Ecclesia, che, come la manna, può essere vista solo con gli occhi della fede". Pertanto Martone rigetta quelle ipotesi che collegano l'affresco di Monterchi ad antichi riti pagani di fertilità o lo associano a un certo tipo di devozione pietistica, riservata alle donne incinte. Il motivo della damascatura a melograni, presente anche nella veste di re Salomone nell'affresco della Leggenda della Vera Croce, rimanda simbolicamente alla fertilità, alla nobiltà della Vergine e alla Passione di Cristo. L'interno è invece foderato con una morbida trapuntatura. Resurrezione di Cristo Vessillo del Cristo risorto: icona, immagine per lo spettatore. Pochi colori ribaltati per gli uomini in basso. Resurrezione in un contesto di campagna, natura moralizzataalberi a destra spogli e a sinistra frondosi; passaggio ad una vita nuova da morte a vita eterna. Incorniciature bellissime: porticato aperto, finestra aperta sulla realtà dato dall’architettura del porticato. La scena è ambientata oltre un'immaginaria apertura, incorniciata da due colonne scanalate, un basamento (dove era presente un'iscrizione oggi quasi del tutto cancellata) e unarchitrave. Mentre quattro soldati romani dormono, Cristo si leva dal sepolcro ridestandosi alla vita. La sua figura è al vertice di un triangolo immaginario, che va dalla base del sarcofago alla sua aureola, suggerito anche dalle linee di forza delle pose dei soldati. Cristo si erge solenne e ieratico, e la sua figura divide in due parti il paesaggio: quello a sinistra, invernale e morente; quello a destra, estivo e rigoglioso. Si tratta di un richiamo ai cicli vitali, presenti già nella cultura pagana e citati da vari artisti precedenti, come nell'Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti. Piero siede ai piedi del sarcofago e l'asta del vessillo con la croce, lo tiene in diretto contatto con la divinità, come se essa ispirasse il Piero politico. Ci sono delle probabilità, che il vessillo delle crociate sia un riferimento al primo regno di Gerusalemme e alla raccolta delle sue leggi che erano note come lettere dal Santo Sepolcro, il riferimento probabilmente è per avere continuo ed una legittimazione delle decisioni che si prendevano nella sala attigua sede del governo cittadino Un altro tema è quello del sonno e della veglia, con il contrasto tra la parte inferiore e terrena dei soldati e quella superiore della divinità, che sempre vigila. La costruzione geometrica della composizione rende le figure astratte e immutabili, quasi appartenenti a un ordine di comprensione superiore. A questo effetto contribuisce la costruzione "atletica" della figura di Cristo, ben eretta e modellata anatomicamente come una statua antica, con un piede appoggiato sul bordo, a sottolineare l'uscita dal sarcofago, e la mano destra che regge il vessillo crociato, emblema del suo trionfo. Egli venne consapevolmente dipinto al di fuori delle regole prospettiche che imporrebbero una veduta dal basso, come avviene per le teste dei soldati. Piero dopotutto aveva piena padronanza di queste tecniche di rotazione dei corpi nello spazio, come ampiamente descritte nel De prospectiva pingendi. Cristo appare così sottratto alle leggi terrene e più che mai vicino all'osservatore. (particolare)L'autoritratto di Piero La linea dell'orizzonte mette in risalto la spalle e la testa di Cristo. Il cielo sullo sfondo è tipico delle opere di Piero della Francesca, sfumato all'orizzonte come durante l'alba e punteggiato da nuvolette chiaroscurate "a cuscinetto". Nel soldato senza elmo al centro è probabile che sia dipinto un autoritratto di Piero. Dietro di lui si trova la base del vessillo che regge Cristo, quasi a voler indicare un diretto contatto con la divinità, per ispirare il pittore, ma anche l'uomo politico, poiché egli stesso ricoprì più volte incarichi pubblici per la sua città. Nelle vesti dei soldati ricorrono quelle caratteristiche di alternanza cromatica tipiche delle opere di Piero: il rosso è alternatamente colore dell'elmo e dei calzari di un soldato e dello scudo di un altro; il verde ricorre nella cotta di uno, nel mantello di un altro e nei calzari del terzo, ecc. Federico da Montefeltro e Battista Sforza Cornice in stile rinascimentale ma non originale. Dittico dipinto costituito da due pannelli che prima erano legati da una cerniera ed erano l’uno contro l’altro (1465-1472). Alla corte di Federico da Montefeltro di Urbino, mogie Battista Sforza. Richiamo a Pisanellomedaglie stile classico ma con sfondo naturale tipico dei fiamminghi. Ricorda l’opera “Madonna del cancelliere”. Qui, pero, i personaggi sono senza balaustra e affacciano direttamente sulla natura. Lato destro senza occhio, a causa di un incidente (Federico da Montefeltro). Il dittico dei Duchi di Urbino è una delle opere più famose delRinascimento italiano. Dipinto dal grande artista Piero della Francesca, ritrae i coniugi Federico da Montefeltro eBattista Sforza. Il Montefeltro, valoroso condottiero e abile stratega, nonché grande mecenate, fece di Urbino un raffinato e celebre centro culturale. In quell’ambiente Piero della Francesca eseguì questi due capolavori tra il 1465 e il 1472. Il doppio ritratto di profilo si rifà alla tradizione classica dei ritratti su medaglia. Questa caratteristica conferisce un’aulica solennità ai due Duchi. I loro busti in primo piano dominano lo straordinario paesaggio che si estende in profondità, a sottolineare la maestosità della corte di Urbino. Piero della Francesca, con il suo stile razionale, quasi metafisico, arriva alla rappresentazione del perfetto uomo rinascimentale, consapevole della centralità del suo ruolo nell’universo e del predominio della sua intelligenza e della sua cultura. La scelta della rappresentazione di profilo, oltre a motivi puramente artistici e propagandistici, fu una scelta quasi obbligata. Il Duca era infatti rimasto sfigurato all’occhio destro in una “giostra” e proprio per questa ragione viene ritratta la parte sinistra del suo volto. La Duchessa Battista Sforza è riccamente vestita e presenta una fronte esageratamente alta, come voleva la moda del tempo. Il dittico è, inoltre, dipinto anche sul retro. Federico da Montefeltro e la consorte sono raffigurati su due carri antichi in compagnia delle Virtù: il Duca è seduto con l’armatura da duce ritratto mentre viene incoronato dalla Vittoria mentre lei siede su un carro trainato da due unicorni, simboli di castità, per sottolineare il suo animo pio e gentile. L’arte di Piero della Francesca raggiunge in questo modo l’obiettivo di fermare il tempo e di rendere immortali i due Duchi e le loro personalità. (confronto) JAN VAN EYCK – madonna del cancelliere Nicholas Rolin Stile dettagliato nello sfondo ma non come la minuziosità del volto di Nicholas del Van Eyck Trionfo di Federico da Montefeltro e Battista Sforza Due immagini di trionfo dei due personaggi (donna – dx; uomo – sx): le scritte in latino alludono alla potenza, valore, e virtù. Senso della geometria sempre molto presente. Giusta attenzione per gli effetti di preziosità, alla quale facevano parte i pittori fiamminghi. Grande disegnatore; colori bellissimi, ombre proiettate ma chiare. Madonna col bambino e angeli (Madonna di Senigallia) 1474ca Situazione domestica con apertura della finestra (pittura fiamminga). Raggi di luce proiettati sul muro; imponenza delle figure proiettata tutta in primo piano; nella “Madonna col bambino”, tutto ciò che è rosso ricorda passione (sangue e corona). Ai lati troviamo le figure simmetriche degli angeli; architettura scarna. In ambito fiammingo resta l’architettura tardo gotica, qua invece è classica. La Madonna col Bambino e quattro angeli è un dipinto, tecnica mista su tavola trasferito in epoca moderna su tela (107,8x78,4 cm), dell'ultima fase artistica di Piero della Francesca, databile al 1475-1482 e oggi conservato nel Clark Art Institute diWilliamstown (Massachusetts). Storia. L'opera non è universalmente accettata come del maestro, per via di un certo deficit qualitativo nella cromia e nella resa volumetrica che alcuni interpretano come lavoro della bottega o addirittura di un copista che usò varie "citazioni piefrancescane", mentre altri giustificano come opera tarda della vecchiaia dell'artista. La seconda tesi è in genere quella prevalente. Un'opera simile, dalla stessa cromia spenta, attribuita allo stesso periodo è la Natività della National Gallery di Londra. La tavola fu uno dei primi acquisti d'arte di Robert Sterling Clark sul mercato antiquario parigino, nel 1914, prima di dirigere i suoi interessi collezionistici verso l'impressionismo. Descrizione e stile. Maria è seduta su una sedia rinascimentale di tipo pieghevole, posta su di uno zoccolo marmoreo decorato da rosette. In braccio tiene il robusto Bambino, che sporge le mani verso una rosa bianca, simbolo di purezza, che la Vergine tiene nella mano destra. Attorno a loro sono disposti quattro angeli a semicerchio, solidi come colonne, con vesti diverse ma fisicamente simili, che riprendono in alcuni casi le fisionomie tipiche degli angeli di Piero, presenti con gli stessi tratti somatici ad esempio nella Pala Montefeltro o nella Madonna di Senigallia. Particolare attenzione desta l'angelo sulla destra, vestito di una tunica rossa vaporosamente piegata in vita, che guarda verso lo spettatore e lo invita, con un gesto della mano destra, a concentrarsi sulla scena sacra al centro. Lo sfondo architettonico è un armonioso loggiato architravato di stampo classico con ghirlande appese, che crea effetti di profondità grazie alla scansione di piani più in ombra man mano che ci si addentra. I rapporti tra figure e architettura sono estremamente equilibrati e seguono una concezione rigorosamente proporzionale. PALA DI BRERA O PALA DI MONTEFELTRO (Sacra conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il committente Federico da Montefeltro) Testamento spirituale: originariamente ad Urbino, ora a Milano. Duca commissiona per nascita della figlia all’interno di un edificio sacro. Pala ora ridotta di dimensione, ma vediamo pezzi di architettura della navata: impressione di far entrare l’osservatore nell’edificio. Grande volta a botte riprodotta da sotto (“Trinità” di Masaccio). Gli piace ritrarre dal basso per dare monumentalità. Sintesi di molteplici elementi. Committente inginocchiato, posizione circolare di Masaccio: Federico da Montefeltro di profilo (occhio); riflessi sull’armatura, luccichio tipico del fiammingo; le mani sembrano siano di un altro artista. Parte 2 Simbolo di Resurezzioneapertura tomba di Cristo, sintesi tra colore e luminosità della pittura fiamminga e la struttura architettonica delle opere di Masaccio (“Trinità”): segna
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