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Sedicesimo secolo inglese, Appunti di Letteratura Inglese

Appunti sul sedicesimo secolo inglese

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 04/04/2022

rossella-ambrosone-1
rossella-ambrosone-1 🇮🇹

4.6

(15)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Sedicesimo secolo inglese e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Lezione 2 Iniziamo proprio dall’argomento principale del nostro corso, ovvero il XVI secolo inglese, ieri in quella carrellata di autori ed eventi che vi ho fatto per ripercorrere il medioevo inglese accennandovi alcuni concetti, personaggi e opere che ritroveremo poi nel corso delle lezioni, in reatà siamo arrivati alla fine del XV secolo che è un secolo di guerre perché vede la fine della guerra dei 100 anni che devastò tutta Europa e poi sul suolo inglese la Guerra della Due Rose, per cui pacificato il Regno sotto i Tudor che ora guarderemo da vicino possiamo dire che il XVI è l’inizio esplosivo di tutto in Inghilterra, un secolo sconvolgente, ricco di eventi dal punto di vista politico, religioso, culturale, economico, che di fatto vede l’affermazione dell’Inghilterra sullo scacchiere europeo, l’Inghilterra diviene ora una potenza politica ed economica che comincia a intralciare l’egemonia degli altri 3 grandi paesi, le 3 grandi monarchie nazionali dell’epoca: il Sacro Romano Impero (guidato dalla Spagna), la Spagna stessa e poi la Francia. L’Inghilterra si inserisce all’interno di questi giochi che non sono solo giochi politici continentali- europei, ma che a seguito della scoperta del Nuovo Mondo, ovvero le Americhe, vede spostare anche gli interessi in quella parte del mondo; ed è così che l’Inghilterra – rispetto agli altri paesi – sfrutta il suo svantaggio, l’insularità forzata dalla geografia del paese come punto di forza. è l’insularità inglese che permette al paese di affermarsi presto e prima rispetto agli altri come potenza navale, potenza sul mare, e gettare le basi di quell’Impero che nel corso dei secoli sarebbe arrivato a coprire sotto la regina Vittoria (nell’1800) ¼ della superficie terrestre. Le basi di questa potenza vengono gettate in questo secolo, nel XVI secolo. E tutti questi eventi così fondativi non possono non percorare nel più grande e importante fenomeno letterario del tempo, ovvero il Teatro, ed è per questo che echi e suggestioni e rimandi a questa situazione, creazione in fieri della nazione inglese si risentono nelle opere dei due grandi poeti drammaturghi che studieremo nel corso di queste lezioni, Marlowe e Shakespeare. Prima però bisogna capire questi eventi storici che cosa comportano, cosa succede nell’Inghilterra del tempo, dunque storia e geografia come dice il titolo del corso saranno l’oggetto di questa prima parte della lezione di oggi. Inizia con il primo dei Re Tudor, colui che inaugura la dinastia, Enrico VII, discendente nella guerre delle Due Rose della famiglia dei Lancaster, il quale nel 1485 durante la battaglia di Bosworth sconfigge l’ultimo re degli York, Riccardo III (la cui immagine negativissima è stata tramandata prima da Tommaso Moro e poi resa immortale da Shakespeare). Enrico VII sconfigge Riccardo III e sposando Elisabeth York pacifica il regno riunendo con un matrimonio – com’era solito farsi all’epoca – i due rami della famiglia e la nazione. Certo, Enrico VII non fu un re molto amato all’inizio anche perché ereditò un paese devastato da un secolo di conflitti e soprattutto e impose subito nuove tasse che gli servivavo per mantenere l’esercito col quale difendere la capitale e soprattutto col quale riportare sotto l’egida reale tanto la nobiltà feudale che era suddivisa in molte fazione e dai cui screzi era nata la Guerra delle Due Rose, quanto il Parlamento stesso, da sempre riottoso nei confronti con i sovrani e che invece durante tutto il periodo Tudor verrà esautorato di molti poteri. Elisabetta I, in 60 anni di regno, convocò il Parlamento solo 3 volte, ad esempio. La limitazione dei poteri di nobiltà e Parlamento permette il rafforzamento della monarchia, un governo centrale, che a quel punto può ben pensare di puntare sui suoi punti di forza, iniziano a gettare le basi dell’Impero: con Enrico VII che finanzia la costruzione della prima flotta navale inglese, egli capisce che è sui mari che l’Inghilterra deve giocare la sua partita. Per la politica estera, Enrico VII (sposato con la cugina per mettere fine alle guerre) capisce che è giunto il momento di fare pace con Scozia e Francia; anche questo avverrà attraverso dei matrimoni: farà sposare la sorella Margaret con Giacomo IV Stuart, re di Scozia all’epoca e parente dei Guisa francesi, e quindi cerca un riavvicinamento con la Francia (che in realtà non avverrà mai, gli scontri con la Francia continueranno per tutto il ‘500). Ma soprattutto Enrico VII cerca un riavvicinamento con la Spagna, fa sposare il suo primogenito Arthur con la figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona (los rejos cattolicos), ovvero Cateria d’Aragona, la quale in realtà diviene la prima moglie del secondo genito Enrico, poiché Arthur muove giovane. Il famigerato Enrico VIII, conosciuto per la sua fama da barbablù, una notorietà non molto meritata perché uccise solo 2 mogli sul 6; comunque questa fama di tiranno sanguinario, Enrico VIII la vide crescere nel corso degli anni ma non all’inizio: quando salì al trono 18enne tutti i migliori auspici vennero in qualche modo celebrati intorno alla sua figura che incarnava quella del principe rinascimentale per eccellenza, era amante delle lettere, danzare, teologia, politica, un vero principe ideale; tanto era esperto di teologia che sarà proprio Enrico VIII a scagliarsi con veemenza contro le tesi di Lutero, tanto che con un lungo scritto in latino a difesa della religione cristiana otterrà da papa Leone X il titolo di difensor fidei, difensore della fede: titolo che verrà concesso proprio ad Enrico VIII che porterà alla scissione protestante, ma titolo (difensor fidei) tutt’oggi portano, nonostante siano capi della Chiesa anglicana, che viene ratificata come chiesa di stato al cui capo non c’è il Papa ma il Re con l’Atto di supremazia del 1534, una data importantissima, insieme al 1066 che abbiamo visto ieri: è una data da ricordare perché è la data con cui Enrico VIII, il difensor fidei scinde la Chiesa e la sua nazione dal resto della Cristianità cattolica. Ovviamente non c’è una ragione religiosa dietro la decisione di Enrico, ma ci sono due motivazioni: una personale, l’altra economica. La ragione economica per rompere con la Chiesa è il bisogno di soldi per finanziare le sue guerre, la sua corte e quindi il modo che vede è quello di requisire tutti i beni ecclesiastici; questa insofferenza nei confronti dei beni terreni della Chiesa era un qualcosa di tipicamente inglese; Chaucer si scagliava contro l’eccessiva mondanità della Chiesa e nel Trecento in Inghilterra vi sono i Lollardi e Wycliffe che vogliono che reagiscono contro il sistema delle indulgenze, soprattutto sempre in Inghilterra qualche decennio prima c’erano stati i primi tentativi di tagliare i ponti con l’interpretazione delle scritture fatta dalla gerarchia ecclesiastica cristiana con la traduzione in inglese della Bibbia. La prima traduzione in inglese, senza passare per il latino del clero, era stata fatta da William Tyndale, un francescano nemico di Tommaso Moro (cancelliere dello scacchiere-consigliere di Enrico VIII). La Bibbia fu tradotta dall’originale greco, cambiando notevolmente alcuni significati, ad esempio Tyndale traduce il termine “ecclesia” del greco con “congregation” e non con “church”, cosa che cambia notevolmente il modo di intendere l’istituzione. Tyndale verrà messo a morte per opera di Tommaso Moro, il quale poco dopo – poiché non aveva sostenuto la decisione di Enrico VIII della scissione protestante – finirà anch’egli al rogo. coltissima e preparatissima al ruolo che ricopriva, in ogni caso fu una scelta saggia perché così facendo evitò che delle fazioni troppo forti si riunissero intorno ai possibili eredi al trono e quindi soprattutto evitò l’ingerenza straniera su suolo inglese. Fu una scelta molto saggia, la cui evoluzione nel tempo porterà alla creazione del mito della regina vergine sposata alla sua nazione che sarà il vero cavallo di battaglia della regina, ovvero lei assunse gradualmente su di sé quello che era stato il culto della vergine Maria (la riforma protestante aveva tolto tutta questa parte visiva della religione) e quindi lei assunse su di sé il culto mariano, legandolo al contempo al ruolo di regina di cuori, quindi donna da ammirare e corteggiare, alla quale era dovuta l’obbedienza d’amore dei suoi sudditi ed è non a caso che fu sotto il regno di Elisabetta I si ebbe una spinta e diffusione della poesia d’amore, così come codificata da Petrarca due secoli prima; il rapporto tra poeta e donna amata, la quale non è necessariamente donna-angelo, ma sicuramente è una donna sfuggente divenne per questa generazione di artisti il modo migliore di celebrare una sovrana che doveva necessariamente rimanere sfuggente e prevedere un rapporto di sudditanza. Il XVI secolo è il secolo del sonetto: in Europa, ma soprattutto in Inghilterra. perché? Questa moda inizia già alla corte di Enrico e si intensifica alla corte di Elisabetta, perché con questi sovrani nasce una corte e quindi per entrare a corte il miglior biglietto da visita che poeti e cortigiani potevano dimostrare di avere era quello di saper scrivere sonetti, personalità colte che riuscivano a veicolare le loro passioni nella forma chiusa del sonetto che quindi diventava un modo di dimostrare di saperle controllare quelle passioni e stemperarle nel riferimento mitologico e colto, dimostrando di essere bravi sudditi e sovrani. C’è una grande differenza tra la corte di Enrico VIII e quella di Elisabetta. Nella corte di Enrico VIII emerge il rapporto con il potere incarnato da un sovrano volubile e tirannico, quindi un rapporto sempre molto delicato e pericoloso che costò anche la vita ad alcuni. per la corte di Elisabetta invece il sonetto divenne l’espressione privilegiata di quell’obbedienza d’amore he la regina richiedeva a tutti e in particolar modo ai suoi cortigiani. Il modello per eccellenza del sonetto è il sonetto petrarchesco, Petrarca che è l’inventore della moderna lingua d’amore. Ancor più di Dante e Boccaccio, Petrarca divenne il modello da seguire su scala europea. Pietro Bembo individuò in lui il modello per la poesia e questo modello venne esportato. Quando arrivò in Inghilterra il modello del sonetto cambiò forma; in Inghilterra la struttura che aveva fissato Sir Thomas Wyatt diventa 3 quartine + 1 distico finale: il numero di versi è lo stesso, ma cambia l’organizzazione del concetto, nelle quartine viene elaborata un idea, presentata anche sotto forma di contrari e opposti, e nel distico c’è la risoluzioni che permette di far esprimere al poeta inglese il wit, l’arguzia, l’ingegno, dove c’è spesso la battuta, il motto di spirito. Il verso scelto per i sonetti, quello che diverrà più famoso, è il black verse (il verso sciolto, ovvero non rimato) assimilabile in parte all’endecasillabo sciolto (es: to be or not to be – That is the question), che verrà usato anche a teatro. Il poeta che sancirà la fortuna del blank verse come verso del sonetto inglese è un altro, ovvero Henry Howart conte di Surrey, il quale verrà – meno famoso di Wyatt – produrrà anche lui delle traduzioni dei sonetti di Petrarca in inglese ma soprattutto sancirà la fortuna del blank verse e del sistema metrico del sonetto inglese. Noi ci focalizziamo di Thomas Wyatt però, il quale visse alla corte di Enrico VIII, era un diplomatico e viaggiò moltissimo in Italia e Francia, parlando italiano e francese ed entrò in diretto contatto con la cultura italiana e le 3 corone dell’Italia e sarà lui che per la prima volta impoterà la lirica italiana e latina in Inghilterra come modello non solo da imparare a memoria o conoscere, ma anche come modello di una nuova poesia inglese. In particolar modo scrive alcune traduzioni liberi da Petrarca che non sono delle vere traduzioni, sono – come ha scritto Mario Domenichelli – degli adattamenti. Ora vedremo un esempio per capire cosa si intende per adattamenti e “traduzione libera”, Wyatt rende Petrarca più ambiguo e questo perché nella sua poesia non c’è un centro ideologico, come Laura per Petrarca (Petrarca è il primo in cui l’io poetico coincide con l’io lirico), ma al centro delle poesie di Wyatt c’è l’ambiente della corte e dei cortigiani, un mondo infido e pericoloso, tant’è che per un suo supposto rapporto con Anna Bolena, Wyatt finisce nella torre di Londra e viene salva solo dalla ghiottina dal cancelliere di Enrico VIII, ma altrimenti avrebbe potuto fare una brutta fina. Cosa si intende per adattamento di Petrarca? Questo è uno dei sonetti più famosi di Wyatt, adattamento del sonetto 190 di Petrarca, ovvero quello sulla candida cerva. Sulla destra vi è il sonetto petrarchesco per farvi vedere come questa cerva che appare alla voce narrante, al poeta, si configura come una manifestazione a metà tra l’onirico e il metafisico, una visione celeste, una delle ennesime visioni con cui si manifesta Laura, la cui caccia diventa motivo dell’affanno del poeta nella ricerca eterne del raggiungerla, sul collo della cerca c’è scritto “nessun mi tocchi, libera farmi al mio Cesare parve”, per Cesare si intende Dio, è Dio che l’ha resa libera e intoccabile da nessuno perché è un’idea, un’immagine, una tensione metafisica, come sogno infatti poi scompare. nell’ultima terzina c’è un ritorno alla realtà. Vediamo quello che succede in Wyatt, qui c’è sempre una cerva e un io poetico che la insegue a fatica: “Scoraggiato la inseguo”-“Fainting i follow” e quando la raggiunge questo poeta dice: “chi desidera cacciarla tolgo ogni dubbio, perché come me potrebbe sprecare invano il suo tempo inciso con diamanti, con chiare lettere, sta scritto intorno al suo collo “Noli me tangere, for Ceasar’s I am, and wild for to hold, though I seem tame”-“è troppo selvaggia per essere trattenuta nonostante sembri docile”, apparentemente il contesto è lo stesso ma è ovvio che all’interno di una raccolta poetica ambientata nella corte di Enrico VIII quel Cesare che rivendica la proprietà della cerva non è più Dio, ma è il principe, ovvero Enrico, e in molti critici hanno visto nella ricerca della cerva da parte di Wyatt una metafora per Anna Bolena e quindi un messaggio indiretto nei confronti di Enrico VIII per dire “sovrano non l’ho toccata, non ho nulla a che fare con la tua cerva perché appartiene a te”. I sonetti di Wyatt e del conte di Surrey non vengono pubblicati, i poeti dell’epoca non erano soliti farlo, la poesia era considerata come uno svago e nessuno si preoccupava di pubblicarli; questi sonetti verranno pubblicati da parte di un editore molto astuto, Richard Tottel, in una miscellanea “Tottel's Miscellany” (1557) e sarà questa antologia a garantire una grande fortuna a questi sonetti e a regolarizzare il gusto dell’epoca, da quel momento in poi tutti guarderanno ai sonetti di Wyatt e Surrey per i propri. Un altro personaggio importante per l’evoluzione del sonetto è Sir Phillip Sidney, ovvero il primo poeta nazionale inglese, un eroe della causa protestante che, come tale, viene scelto dai suoi contemporanei, in paticolar modo la sorella Mary, Contessa di Pembroke, che dice di farne un personaggio letterario e politico: Sir Philip Sidney muore giovanissimo nelle Fiandre durante una battaglia. Nelle Fiandre al tempo governava la Spagna (con Margherita d’Austria, zia di Carlo V) e le FInadre sono vicinissime all’Inghilterra e gli inglesi temevano che la Spagna potesse tentare l’attacco all’Inghilterra, per cui in quel periodo (’86) Elisabetta interviene nelle guerre di religione francese, che partecipavano a sostegno dei cattolici francesi contro gli ugonotti. Sidney è al comando di alcune truppe e muore in battaglia, diviene l’eroe nazionale, il poeta colto, cosmopolita che addirittura si è sacrificato per la storia inglese: questa è la figura che emerge dalla biografia scritta pochi anni dopo dalla sua morte e voluta dalla sorella Mary la quale fa poi stampare tutte le sue opere. È uno dei pochi poeti di cui abbiamo tutte le opere dell’autore a stampa e sistemata della famiglia. Sidney, nel nostro ragionamento sull’evoluzione del sonetto, è particolarmente importante: - Scrive una Defence of poesy (chiamata anche An apology for poetry) - Scrive il primo canzoniere inglese (Astrophil and Stella) 1592 In questa Defence of poesy, il primo ragionamento teorico sulla poesia (termine che all’epoca indicava in realtà la letteratura, non soltanto quella che oggi è la lirica), una difesa della poesia in cui si celebra la nobiltà della poesia e sulla base del passato prestigioso degli antichi (Omero, Virgilio, Ariosto, Tasso), soprattutto Sidney celebra la funzione sociale della poesia, la poesia ha l’obbiettivo di formare la popolazione e quindi ispirarla a grandi esempi in qualche modo. educare tramite la retorica visiva (ut pictor poesis concetto oraziano), in Sidney diventa fulcro della sua riflessione che ruota intorno all’idea che il poeta è un maker, un costruttore quindi, un creatore, un ideatore, di una seconda natura, la natura della finzione che rivaleggia con la prima natura, quella nostra, umana. Uno dei frutti di questa riflessione teorica sulla poesia e sull’importanza della poesia è il suo canzoniere Astrophil and Stella: un canzoniere formato da 108 sonetti e 11 canzoni in cui già dal titolo abbiamo una donna, la prima Laura inglese, di nome Stella e il suo amato-amante Astrophil (amante delle stelle in greco) che riprende anche il nome dell’autore Phil Sidney. Stella è Penelope Devereux, primo amore del poeta e sorella del conte di Laster, uno dei favoriti di Elisabetta I, sposata con Rich, quindi la condizione dei sonetti, ovvero il fatto che la donna deve essere irraggiungibile, è qui sancita dal fatto – non che Stella sia una donna angelo – ma dal fatto che è sposata. Stella non può contraccambiare l’amore del poeta. Sidney si inserisce all’interno della tradizione petrarchista ma al contempo se ne allontana; il petrarchismo (imitazione di Petrarca in tutta Europa) quando arriva in Inghilterra, arriva già come all’Orlando Furioso, utilizzando Ariosto come modello] racconterò delle gentili imprese di queste cavalieri e di queste gentildonne, che dopo essere stati in silenzio per molto tempo la sacra musa ha chiamato me a raccontarle; io sarò chiamato a raccontare queste imprese, le guerre feroci e gli amori fedeli che renderanno la mia canzone eterna [l’obbiettivo della Fairy queen, come dichiara Spencer nella prefazione, di formare i gentiluomini facendo vedere loro il meglio della cultura e tradizione classica ed estera e formare dei bravi cortigiani per Gloriana/Elisabetta]. Questa stessa Elisabetta trova il modo di celebrare in modo indiretto anche all’interno del suo canzoniere – chiamato Amoretti –, che è estremamente peculiare, un unicum della storia letteraria inglese, a differenza di altri canzonieri scritti – la storia d’amore è una vera storia d’amore, nei confronti della sua seconda moglie Elisabeth Boyle (di cui parla anche nell’Epithalamion). In questi 89 sonetti di questo canzoniere il desiderio che Spencer esprime è un desiderio controllato perché è per la propria moglie ed è una lingua densa in cui la passione viene tenuta a freno: Spencer è consapevole che il suo amore privato per la moglie Elisabeth in realtà aveva anche delle possibilità di essere inteso come rapporto di devozione dell’altra Elisabeth, la regina che egli adorava, per cui il desiderio è sempre controllato (non vi sono eccessi di passione). Vi ho messo qui un esempio, il sonetto 64. Anche la madre di Spencer si chiamava sempre Elisabeth – questo è il sonetto delle 3 Elisabeth: madre, moglie e regina. Tre regali: corpo, fortuna e mente. Il corpo è la madre che l’ha fisicamente generato, la fortuna di incontrare la seconda moglie, la mente rappresentata dalla regina Elisabetta che è la destinataria e che sviluppa la sua parte intellettuale. La prima mi ha messo al mondo, la seconda è la mia sovrana, la regina gentilissima che mi ha dato onore e ricchezze (i suoi sforzi ripagati per raggiungere una posizione a corte), l’ultima è l’ultimo decoro della mia vita. Voi tre Elisabette vivrete per sempre, che queste 3 grazie avete dato a me. Il mito della regina vergine si ritrova anche nella produzione letteraria del tempo, influenzandola anche, e talmente tanto era pervasivo questo mito che nel 1599 un drammaturgo (Thomas Dekker, nel suo Old Fortunatos) si immagina un dialogo tra due uomi: “Alcuni la chiamano Pandora, altri Gloriana, altri Cinzia, altri Belphibe, altri Astria” Questi sono tutti nomi con i quali era stata celebrata la regina nei canzonieri dell’epoca ed esprimono amori di tipo diversi. Tutti questi nomi però si riassumono in un’unica persona; l’altro personaggio di Dekker dice “io sono del suo stesso paese e noi la adoriamo con il nome di Elisa”. Questa è una testimonianza di quanto il mito della regina vergine fosse accettato e diffuso anche tra i sudditi con la regina ancora in vita. Elisabetta muore nel 1603
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