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Segni nel Silenzio, comprendere usi trasversali della lingua LIS, Sintesi del corso di Pedagogia

La lingua dei segni dona colore, sensibilità, identità a chiunque abbia difficoltà nella comunicazione.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 20/06/2023

Francescoleo95
Francescoleo95 🇮🇹

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Scarica Segni nel Silenzio, comprendere usi trasversali della lingua LIS e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! SEGNI NEL SILENZIO – JESSICA BISANTE Introduzione: La lingua dei segni dona colore, sensibilità, identità a chiunque abbia difficoltà nella comunicazione. Trasversalità: che consente a chiunque di possedere una forma di comunicazione, di far sentire la propria presenza nella società. Non c'è libertà senza comunicazione L'obiettivo primario risiede nel miglioramento della qualità di vita di queste persone, piena inclusività. Tutto è comunicazione. L'educatore si deve mettere in una posizione di apertura ed essere empaticamente accogliente verso ogni segnale seppur minimo, è fondamentale per realizzare un progetto di piena inclusività. Obiettivo primario: comprendere gli usi trasversali della LIS nei contesti educativi. 1. La lingua dei segni La prima traccia della lingua dei segni (prima forma di comunicazione corporea) risale al 386 a.C., quando Platone sottolinea l'importanza del linguaggio, la comunicazione gestuale è una forma naturale fondata sull'imitazione e la raffigurazione della realtà. L'essere umano utilizza il proprio corpo quale strumento di espressione e trasmissione di contenuti, è da sempre stato in grado di comunicare considerando la comunicazione come propensione naturale dell'uomo, qualsiasi siano le sue condizioni fisiche e mentali. I sordi vivevano solo all'interno del proprio nucleo familiare, non venendo riconosciuti dalla società e considerati incapaci di svolgere qualsiasi mansione. In più c'era la credenza generale della non educabilità dei sordomuti. Le prime fonti di educazione dei sordi risalgono alla fine del 500 a.C., ma fino alla prima metà del 700 si hanno poche tracce scritte sui metodi utilizzati dagli educatori che preferivano mantenere segreto il percorso e gli strumenti utilizzati (per guadagno), era un tipo di educazione individuale e riservata alle famiglie benestanti. Charles- Michel de l’Epée (1700), Fu il primo a condividere il suo metodo affinché fosse diffuso, comprendendo che l'incapacità dei sordi di parlare risiedeva nell'impossibilità che questi avevano di ascoltare e non in una compromissione della facoltà del linguaggio. Egli elaborò una serie di segni convenzionali per insegnare una lingua. Il suo metodo consisteva nel mostrare un segno correlato a un disegno, per poi associarlo alla parola francese scritta. Tommaso Silvestri fu mandato in Francia imparare il metodo e diede la possibilità ai suoi seguaci di apprendere il metodo che lui stesso aveva appreso da de l’Epée. Convinzioni che nel 1800 c'erano sulle persone sorde: L’utilizzo improprio del termine sordomuto, il fatto che venissero considerati infelici, fa riferimento alle condizioni di isolamento in cui vivevano, non essendo considerati parte attiva della società. Vi era anche la convinzione che ci fosse una correlazione diretta tra la perdita dell’udito e la conseguente incapacità di esprimersi verbalmente. Il loro apparato fono-articolatorio è integro e anche la loro facoltà di linguaggio, la difficoltà delle persone sorde risiede nella mancata possibilità di ascoltarsi e imparare una lingua venendo esposti ad essa, sviluppando la capacità di associare dei concetti a delle parole (quello che avviene nei primi anni di vita del bambino immerso in un ambiente linguistico adeguato). Vi era una diatriba tra oralisti, sostenitori dell’educazione alla parola, e i segnanti, che riponevano la loro fiducia nelle potenzialità della lingua dei segni. Nel 1880 A Milano si tenne il Congresso internazionale per il miglioramento della sorte dei sordomuti, che determinò la superiorità della parola sui gesti e abolì la lingua dei segni nell'educazione dei sordi, la quale continuò ad essere utilizzata di nascosto (il gesto uccide a parola). Esaltazione del metodo oralista. Oggi grazie alla logopedia, che si occupa della prevenzione e della cura delle patologie connesse ai disturbi della voce, del linguaggio e della comunicazione, consente a un bambino sordo di intraprendere un percorso logopedico per permettergli di sviluppare la facoltà del linguaggio. Il logopedista, in base alle scelte dei genitori, attraverso l'utilizzo di due metodi diversi (oralista e bimodale) entrambi con l'obiettivo comune di fare acquisire la competenza nella lingua parlata e scritta, ma si differenziano nell'uso o meno del canale visivo gestuale: il metodo bimodale ne sfrutta le potenzialità, quello oralista no. Le lingue dei segni sono 142 e vengono definite lingue storico naturali. La lingua dei segni è una lingua in quanto in essa sono presenti precise strutture grammaticali, è definita storica perché le lingue subiscono un'evoluzione nel corso della loro fruizione ed esistenza, è definita naturale perché si è sviluppata grazie all'esigenza che l'uomo ha di comunicare e non necessita di un processo di apprendimento (l'esposizione alla lingua consentirà al bambino di apprenderla e impiegarla sin dai primi anni). Nonostante l'esistenza di una lingua dei segni internazionale, usata in ambiti che prevedono la presenza di sordi provenienti da tutte le parti del mondo, esistono molte lingue che si sviluppano nelle diverse comunità dei sordi utilizzate nei contesti quotidiani, che deriva dall'identità culturale del gruppo. Colui che per la prima volta rivolse il suo interesse a questa forma di comunicazione fu William Stokoe che nel 1960 sottolineo l'opportunità di sfruttare le caratteristiche strutturali della linguistica per poter analizzare le lingue dei segni. Le sue ricerche dimostrarono che l'ASL (lingua dei segni americana), come le lingue vocali, era una vera lingua, che i segni avevano una precisa struttura e caratteristiche come tutte le lingue umane. Inoltre utilizza il termine segno piuttosto che gesto: con la parola gesto si fa riferimento a un diverso sistema comunicativo, parallelo alla lingua parlata che gli utenti utilizzano durante la comunicazione verbale, il segno invece è dotato di una propria natura linguistica. Nel 1983 gli stessi studi arrivarono anche in Italia. Stokoe coniò un nuovo termine equiparato a quello di fonema nelle lingue vocali: cherema (Dal greco = mano) che rappresenta l'unità più piccola in cui è possibile scomporre un segno. Tutti i segni di una lingua visiva o gestuale nascono dalla combinazione di parametri formazionali. La coppia minima sono due segni che si distinguono da un parametro, attribuendogli significati diversi (es. l’orientamento della mano). In ogni segno è possibile individuare quattro parametri formazionali: - La configurazione: forma che assume la mano nell'esecuzione di un segno (dita, posizione, interazione delle dita/mano) in LIS esistono 56 configurazioni. Ogni lingua dei segni è legata alla sua cultura di riferimento, alcune configurazioni assumono connotazioni differenti a seconda del contesto di riferimento. - Il luogo: lo spazio segnico, compreso tra il bacino e sopra il capo, oltre il quale non si producono segni che siano linguisticamente corretti. Molti segni legati alle attività della mente sono svolti all’altezza del capo (sognare, capire) sono metafore visive. - Il movimento: può essere eseguito non solo dalla mano, ma anche da altre parti del corpo come occhi, spalle, collo, busto. - L'orientamento: va accolto osservando la posizione del palmo della mano e del braccio, il palmo verso l'interno indica un avvicinamento verso l'esterno un allontanamento. Un'altra categoria è quella dei parametri non manuali: - La direzione dello sguardo: traiettoria che compie lo sguardo durante l'esecuzione del segno, se verso lo spazio neutro, verso l'interlocutore o verso le proprie mani. - Le componenti orali: l'emissione di suoni che accompagnano il segno, in LIS sono due: le IPP (Immagini di parole prestate) per cui il segnante simultaneamente alla produzione del segno, pronuncia la corrispettiva parola; e le COS (componenti orali speciali) i segni che integrano le cos non possono essere prodotti senza di esse. - Il movimento del corpo: include posizioni e movimenti della testa, del busto e delle spalle - Le espressioni facciali: veicolano informazioni necessarie per la piena comprensibilità del segno, ad esse è affidata la trasmissibilità delle emozioni. Le componenti non manuali consentono di percepire la ricchezza di questa lingua, donano tantissime sfumature alle informazioni comunicate, le stesse delle lingue vocali. L’iconicità, ovvero l'insieme dei tratti di una lingua che consente ad alcune caratteristiche sul piano del significante (parola) di trovare corrispondenza sul piano del significato (concetto) è un aspetto rilevante della lingua dei segni. Una costruzione fortemente iconica che caratterizza la lingua dei segni è l’impersonamento : una modalità di segnato narrativo in cui i movimenti del corpo e gli spostamenti del busto nello spazio servono a indicare chi compie l'azione durante una narrazione in atto, la lis non utilizza il discorso indiretto, il segnante assume i diversi ruoli utili alla narrazione. L'autismo è un disturbo complesso per cui è difficile stabilire uno standard che possa riguardare le capacità linguistiche, in alcuni bambini il linguaggio emerge con notevoli ritardi intorno agli 8 anni, in altri nella capacità di produrre semplici enunciati, in altri non si sviluppa mai. Occorre quindi percorrere strade comunicative alternative. L'uso dei segni è uno strumento aumentativo alternativo capace di potenziare la comunicazione di questi bambini, promuovendo lo sviluppo del comportamento verbale, che avviene quando un bambino esprime vocalmente un suo bisogno o desiderio, ma anche quando consegna un'immagine disegnata dell'oggetto che vuole, ciò che conta è la presenza di intenzione comunicativa. È importante creare un setting che possa stimolare e motivare il bambino, che gli sia familiare e che abbia un alto livello di prevedibilità. L'obiettivo non è quello di sostituire il linguaggio vocale con i segni, ma quello di promuovere il linguaggio vocale, supportato dal segno che ha all'interno una grande potenza iconica. o Esperienza italiana con un bambino di 5 anni con diagnosi spettro autistico: pronuncia poche parole, presenta tratti aggressivi e autolesionisti, poco scolarizzato, scarsi tempi di attenzione, mancanza di sguardo condiviso. Nel riconoscimento delle emozioni primarie vengono utilizzati molti materiali illustrativi (viso felice, triste, arrabbiato ecc), storie illustrate per trovare l'emozione in un contesto e le cause che le hanno provocate. Nell'acquisizione della consapevolezza delle emozioni altrui vengono coinvolte le persone più vicine al bambino che enfatizzano e verbalizzano le loro emozioni. Per il riconoscimento delle proprie emozioni vennero attaccati alla spalliera di 8 sedie le 8 emozioni primarie e lui doveva sedersi sulla sedia che rappresentava il suo stato d'animo di quel momento. Era un bambino sempre arrabbiato, ma grazie all'allestimento di un apposito angolo della rabbia e della terapia cominciò a imparare a gestirla e a comunicarla ai caregivers. Grazie alla LIS e al riconoscimento delle emozioni, è ora in grado di comunicare per rapportarsi ed esprimersi. - LINGUA DEI SEGNI E SINDROME DI LANDAU KLEFFNER Determina una regressione dello sviluppo, con conseguente perdita delle abilità acquisite in precedenza, compresa la perdita delle capacità di comprendere il linguaggio. L’età di esordio varia dai due a otto anni, alcuni bambini perdono completamente l'uso del linguaggio verbale, altri riescono a recuperare la capacità di linguaggio ma con gravi compromissioni nella comprensione, altri rispondono positivamente alla lingua scritta o a quella dei segni. L’uso del canale visivo-gestuale piuttosto che di quello uditivo-verbale è una strategia vincente perché le aree linguistiche del canale visivo appaiono essere preservate nei soggetti con LKS. Per cui la lingua dei segni è il mezzo più efficace per lo sviluppo o il recupero delle capacità linguistiche dei bambini con tale sindrome. o Esperienza italiana con un ragazzo che è riuscito a raggiungere un adeguato livello di competenza nella lingua dei segni, recuperando in parte le competenze linguistiche perse a causa della patologia. A 4 anni iniziò a mostrare disturbi del comportamento, iperattività, regressione sia nella produzione che nella comprensione linguistica, la sua comprensione uditiva era nulla, comunicava solo grazie alla mimica e gesti, che non sembravano avere una chiara intenzionalità. Si mostrò subito molto interessato alla lingua dei segni e intrapreso un programma logopedico focalizzato sull'apprendimento della LIS. Durante le scuole superiori viene affiancato da un'assistente alla comunicazione e assume un percorso differenziato che prevedeva la semplificazione dei testi e l'utilizzo di immagini e simboli per aiutarlo nella memorizzazione dei contenuti. Grazie alla LIS riprese a utilizzare anche la comunicazione verbale seppur con parole distorte foneticamente. Il vantaggio della LIS sta nel suo approccio naturale, quasi spontaneo. L'approccio con modalità visiva è riuscito a recuperare un'area linguistica deteriorata negli anni. - LINGUA DEI SEGNI E SINDROME DI DOWN È un disturbo genetico risultato di un'alterazione cromosomica, presenta disabilità intellettiva e uno sviluppo cognitivo atipico, lo sviluppo del linguaggio è particolarmente colpito, c'è un ritardo nella comparsa con problemi di natura articolatoria da cui conseguono un eloquio poco chiaro è un'incapacità di utilizzare il linguaggio con efficacia. Per questo spesso presentano abilità di comprensione più elevate rispetto a quelle di produzione, questo diventa per loro motivo di frustrazione. o Esperienza di una bambina di 9 anni affetta da sindrome di Down con una rara forma di mutismo, ma con una forma di comunicazione gestuale autonoma. Rispondeva positivamente alla LIS, anche se non era in grado di riprodurre i segni in autonomia e con intenzionalità comunicativa (con l’obiettivo di acquisire una lingua per comunicare desideri e bisogni). Una strategia vincente fu quella di estendere l'insegnamento e l'utilizzo dei segni al resto della classe, questo sviluppò in lei l'idea che la LIS fosse uno strumento per consentirle una comunicazione efficace nel contesto scolastico e fuori, per rinforzare la coesione della classe. Venne creato un dizionario speciale che consentisse una comparazione tra la LIS e il segno da lei prodotto (i segni vennero semplificati a causa delle sue difficoltà motorie). Funzionale fu l’approccio ludico, cooperativo e i rinforzi positivi, che le consentirono di abbassare i suoi livelli di ansia e di farle percepire l'ambiente come familiare e protetto. - LINGUA DEI SEGNI E DSA I disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) sono dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, ovvero la difficoltà nell'imparare a leggere, nella scrittura, nei processi linguistici di transcodifica e negli automatismi del calcolo. Il DSM-V propone quattro criteri per poter formulare una diagnosi: difficoltà di apprendimento nell'uso di abilità scolastiche (almeno per 6 mesi), abilità scolastiche quantificabili come al di sotto di quelle attese per l'età, difficoltà di apprendimento che non si manifestano fino a che la richiesta non supera le capacità dell'individuo, difficoltà non giustificate da altre disabilità. Le difficoltà dei DSA si manifestano nelle strategie cognitive di apprendimento (difficoltà mnemoniche, connessioni infratestuali), nell'organizzazione e pianificazione del lavoro (uso poco consapevole degli strumenti compensativi, inadeguata memoria di lavoro e scarsa autonomia), nella gestione delle emozioni (accentuata demotivazione, debole concetto del sé, ansia scolastica da prestazione, forte auto svalutazione, disinteresse verso le discipline scolastiche e verso l'intero contesto). La lingua dei segni può essere una strategia vincente per consentire di tirare fuori i bambini da una frustrazione e una chiusura della loro sfera emotiva. o Esperienza di una bambina con una forma di dislessia profonda, diventata invalidante per la sua persona e che presentava molti punti in comune con le disabilità comunicative. Aveva un rifiuto verso qualsiasi mansione scolastica, nei primi due anni di scuola primaria non venne affiancata da un'insegnante di sostegno e non riuscì ad apprendere la letto-scrittura, mentre durante le scuole medie le sue difficoltà aumentarono, scrittura non spontanea, difficoltà mnemoniche, linguaggio infantile e povero. La sua insegnante di sostegno propose di sostituire l'insegnamento dell'inglese e del francese con quello della lingua dei segni, la bambina manifestò entusiasmo e i suoi livelli d'ansia e di inadeguatezza verso il contesto scolastico si abbassarono e si mostrò più aperta alle richieste. L'insegnamento della LIS è un canale che può aiutare anche chi ha difficoltà linguistiche, rafforzando l'autostima, superando le difficoltà d'apprendimento e aiutando chiunque a crearsi delle personali risorse in grado di rinforzare la fiducia nelle capacità di ciascuno. 3. UN PONTE PER L’INCLUSIONE Esistono tre livelli di assistenza: didattica (attività di sostegno), educativa (svolta dagli assistenti per l'autonomia e alla comunicazione) e materiale igienica (collaboratori scolastici). L’assistente alla comunicazione rientra nel secondo livello assistenziale e nasce con la legge numero 104 del 1992 in cui vi è l'obbligo di fornire nelle scuole il servizio di assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali. Attualmente ancora non esiste una legge specifica che possa disciplinare questa mansione, non esiste un vero e proprio profilo professionale formalizzato. Questa mancanza legislativa porta a confusione verso il ruolo dell'assistente alla comunicazione che a volte viene confuso con altre figure. ➢ L'assistente alla comunicazione svolge il ruolo di facilitatore della comunicazione e mediazione fra l'alunno, I docenti e i compagni di classe, al fine di supportare l'alunno nella partecipazione alle attività e potenziare le sue relazioni con il contesto scolastico. L'assistente alla comunicazione nel contesto scolastico può essere sordo o udente, è probabile che fra assistente sordo e studente sordo si instauri un processo di identificazione, l'assistente in questo caso offre un modello comunicativo e predispone il bambino allo sviluppo della lingua naturale. Competenze che è un'assistente alla comunicazione deve possedere per svolgere la sua funzione di ponte comunicativo: consapevolezza del proprio ruolo (dei propri limiti e confini) e buona capacità collaborativa (deve saper lavorare in rete, consapevole delle diverse competenze e responsabilità di ogni operatore), competenze nello sviluppo dell'età evolutiva (rispettare ritmi e tempi di crescita di ciascun allievo), capacità di porsi in relazione con adulti e bambini (Sapersi rapportare a ogni bisogno e richiesta, capacità empatica), competenze specifiche sulla sordità, competenze pedagogico-didattiche e linguistiche (per proporre adeguate attività che consentano all'alunno di fruire dell'insegnamento impartito dai docenti), conoscenza del funzionamento del sistema familiare. L'assistente alla comunicazione non ha un ruolo di assistenza sanitaria di base igienico-personale, l'assistenza consiste in competenze utili a rendere possibile all'alunno disabile la vita a scuola, comprese anche le attività di cura alla persona. Non ha competenze medico-infermieristiche, non è un educatore professionale socio-pedagogico o socio-sanitario, non è un docente di sostegno (il quale è assegnato all'intera classe e non al singolo alunno con disabilità). L'assistente alla comunicazione viene assegnato al singolo studente, non ha competenza sul resto della classe e non ha responsabilità del progetto educativo e formativo degli alunni. Non è un interprete, che ha il solo compito di passare l'informazione nel modo più chiaro possibile e non deve occuparsi, come fa l'assistente alla comunicazione, di intervenire nella relazione tra i soggetti coinvolti nella comunicazione, non deve favorire l'inclusione della persona sorda in quel contesto. Situazione familiare: quando in famiglia nasce un bambino diverso il nucleo familiare si trova a vivere una sorta di lutto, il problema è la gestione del crollo delle aspettative poiché il bambino reale non corrisponde al bambino immaginato, si è costretti a rivedere i propri progetti di vita. Il raggiungimento della consapevolezza e dell'accettazione avviene seguendo alcuni stadi di consapevolezza: 1 in cui si accorgono che c'è qualcosa che non va, 2 i genitori ricevono la diagnosi (profondo dolore e discrepanza tra aspettative e realtà), 3 si sentono disorientati e spaventati con una sensazione di estraneità rispetto al proprio bambino (rischio di una separazione emotiva e comunicativa), 4 genitori iniziano a muoversi per il loro figlio, a volte cercano di nascondere la diversità, 5 arrivano a una completa accettazione e riparte il processo di reinvestimento sul bambino reale per valorizzare la sua vera identità, 6 i genitori si mostrano contenti della scelta riabilitativa educativa fatta per il figlio. Nel caso della nascita di un bambino sordo, figlio di genitori sordi, la situazione è diversa poiché la famiglia pur provando dolore, non è sorpresa, non vive problemi di accettazione e non ci sono difficoltà nella comunicazione: tutte le aspettative coincidono con il figlio reale. Una didattica inclusiva che consenta a tutti di fruire degli insegnamenti pur avendo accesso ad essi con modalità differenti. L’ASCO svolge il ruolo di ponte comunicativo: quando è UDENTE crea un passaggio di informazioni dall'insegnante al bambino sordo e viceversa, ha il compito di modificare il materiale insieme all'insegnante, utilizzando le strategie visive. Quando è SORDO deve ascoltare emotivamente ciò che accade nel contesto classe, ciò che prova l'alunno sordo quando ha difficoltà nel porsi in relazione con i compagni e i docenti, deve evitare una frattura comunicativa tra utenti e sordi e l'emarginazione educatore sordo-alunno. Evitare che l’ASCO sia l'unico punto di riferimento nel contesto classe dell'alunno. A livello pratico, uno dei primi interventi che la scuola ha l'obbligo di attuare per gli alunni con disabilità è la formulazione del Piano Educativo Individualizzato, che comprende l'intero progetto di vita dell'alunno con disabilità in età scolare, tutti gli interventi da attuare per consentirgli di sfruttare al meglio le sue capacità e di poterle accrescere. È necessario valutare i livelli di partenza dell'alunno per creare al meglio gli obiettivi e la metodologia, tramite una didattica appropriata che possa facilitare il processo di apprendimento e la gestione delle nuove competenze. Gli obiettivi educativi riguardano lo sviluppo della personalità, mirano a rendere consapevole l'alunno delle proprie difficoltà, ma sempre in relazione al suo potenziale recupero e alle proprie reali possibilità, per fargli acquisire un'autonomia personale. Gli obiettivi didattici fanno riferimento alla sfera cognitiva, ovvero ai contenuti da apprendere. L’ASCO non deve fare un lavoro di semplificazione, ma mantenendo il testo di partenza, deve aggiungere informazioni non toglierle, deve approfondire con immagini schemi e video interattivi. ➢ Una scuola inclusiva è un ambiente educativo in cui ogni soggetto può trovare le giuste opportunità per sviluppare le sue potenzialità e arricchire l'autostima. È necessario saper creare una buona classe inclusiva in cui ci sia accettazione delle differenze interpersonali, la formazione degli insegnanti è fondamentale: competenze relazionali e gestionali (mantenere un buon clima, livelli di attenzione e saper gestire i comportamenti indisciplinati, saper condurre una lezione plurimodale per trasmettere i contenuti in diverse modalità, con molteplici canali espressivi), l'insegnante deve conoscere i contenuti del sapere e saperli destrutturare in base al livello cognitivo del ragazzo, per evitare sovraccarico, eliminare tutti i fattori distrattivi e lavorare per sviluppare la memoria di lavoro e la concentrazione, superare il rapporto tra teoria e pratica didattica e
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