Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Semiotica e analisi del testo narrativo, Appunti di Semiotica

Appunti di semiotica con slide della prof. ssa e riferimenti ai libri

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 26/01/2021

alexia-riva
alexia-riva 🇮🇹

4

(2)

3 documenti

1 / 57

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Semiotica e analisi del testo narrativo e più Appunti in PDF di Semiotica solo su Docsity! 10/02/2020 Che cos’è la semiotica? È la scienza che studia i segni e la comunicazione. Ci furono due padri fondatori di questa scienza: Ferdinand de Saussure che la definì semiologia e Charles Sanders Peirce che la definì semiotica. De Saussure Era un linguista, studiò soprattutto le lingue indoeuropee. Per lui la lingua è uno dei tanti possibili sistemi di segni. Studia la lingua come un sistema di segni. La vede anche come un sistema, insieme di parti che si condizionano. I segni esprimono idee; è il più importante di questi sistemi. Per lui la semiologia è la scienza che studia la vita dei segni nella vita sociale. Peirce Era un filosofo e scienziato. Vedeva il segno come un sintomo medico; sono segni che non sono fatti per comunicare qualcosa. Si espande l’idea di segno. Per lui la semiotica è la disciplina della natura e delle varietà di ogni semiosi. Semiosi  processo in cui si utilizzano i segni. Cos’è un segno? Nel linguaggio quotidiano lo usiamo in vari ambiti. Esempio: - segno delle ferite traccia - segno della Z di Zorro è volontario per mettere la firma In tutti questi casi c’è sempre qualcosa di percepibile che sta al posto di qualcosa che è assente in quel momento. Esempio il fumo è segno del fuoco, anche se il fuoco in quel momento non si vede. Il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro. Tra qualcosa e qualcos’altro c’è una relazione di rinvio (stare per al posto di). La semiotica si interroga sulla natura di questo stare per. Per de Saussure questo rapporto non c’è chiaramente, c’è una regola che fissa la relazione di rinvio tra significante e significato. Tutto ciò che non è convenzionale non interessa altra semiotica. Peirce spiega che il segno è un sintomo medico. È un processo di ragionamento che qualcuno fa. E per capire quel qualcos’altro bisogna capire la causa. Esempio segno medico è una macchia rossa sul viso. Il medico dice che non lo sa, ma c’è dietro una causa per ciò; ragiona per trovare la causa assente per capire da dove viene il segno. Il nesso fra significante e significato viene letterato fino a trovare la soluzione. Tra queste due teorie di de Saussure e di Peirce c’è un punto di convergenza; in quanto quella di Peirce diventa una vera e propria teoria. Così nasce la semiotica contemporanea. Nel 900 si è sviluppato un filone sui segni intenzionali che si concatenano tra loro per produrre racconti. Sono segni complessi che seguono certe regole del racconto. Ci si chiede quali sono gli ingranaggi di qualsiasi storia. La constatazione di partenza è empirica che parte dal fatto che gli esseri umani hanno da sempre raccontato storie. Roland Barthes Organizza un convegno a Parigi per discutere la grammatica universale delle storie. Questi studi vengono poi raccolti nel numero 8 molto famoso di una rivista francese chiamata “Comunications”, dove la prefazione comincia: innumerevoli sono i racconti del mondo. Al racconto può servire da 1 supporto il linguaggio orale o scritto, l’immagine fissa e mobile, il gesto, la combinazione combinata di tutte queste sostanze. Spiega che non c’è solo il racconto ma ci sono anche film, fumetti, ecc. Non è importante quale sia il supporto espressivo. Il racconto è presente nel mito, nelle leggende, nelle favole, nella storia, nelle novelle, nella commedia, nella pantomima, nel quadro, nel cinema, nei fumetti e nei fatti di cronaca e nella conversazione. Sostanzialmente dovunque ci giriamo sbattiamo contro ad un racconto. il racconto è presente in tutti i luoghi, in tutti i tempi, in tutte le società. Comincia con la storia stessa dell’umanità. Tutti i gruppi umani hanno i loro racconti. Il racconto si fa gioco della buona e della cattiva letteratura internazionale; è transtorico, transculturale (attraversa le culture). Il racconto è come la vita. Barthes spiega che fin qui noi abbiamo studiato il racconto, in quanto testo letterario e narrativo. Dovunque gli umani cercano di esercitare una qualche presa cognitiva sulle cose che gli capitano (esperienze) per poter capire che cosa sta succedendo, è successo o succederà, bisogna tradurre i dati dell’esperienza in una forma narrativa, perché gli umani sono fatti per raccontare storie. A cosa servono le storie? Non sopravviviamo soli in natura e abbiamo bisogno degli altri e di un mondo pieno di segni per sopravvivere. Abbiamo bisogno della semisfera per vivere e ci permette di adattarci al mondo in cui viviamo. Questa forma narrativa a cosa serve? A rendere più prevedibile l’ambiente in cui viviamo, perché ci rende meno spaventoso il caos dell’esperienza perché lo traduciamo in racconti di esperienze già vissute e prevediamo il caos. Il nostro rapporto con il mondo è filtrato con dei formati narrativi. Capire tutto ciò che capita intorno a noi e gestirla comunicativamente. Esempio ci capiamo tra di noi in quanto le storie conosciamo un po’ tutti. Post hoc ergo propter hoc Dopo ciò quindi a causa di ciò. Per spiegare ciò utilizziamo l’esempio “il re morì e poi morì la regina”. Di cosa è morta la regina? Di dolore. Non c’è nessun nesso causale, lo intuiamo noi leggendo la frase. Bisogna interpretare la consecutività come se fosse causalità. Principio di un testo narrativo nel nostro sistema di narratività abbiamo la tendenza di interpretare la nostra successione temporale come se fosse una successione di cause ed effetti. Creare dei rapporti causa ed effetto tra gli eventi. 11/02/20 Il pensiero narrativo: il termine allora riveste funzioni diverse nell’enunciato logico (se X, allora Y) e nel testo narrativo (il re morì e allora morì anche la regina; non parla di tutte le regine in generale, ma di una sola specifica). Questa tesi è sostenuta da Jerome Bruner. Nel primo caso, esso allude a una ricerca delle condizioni universali della verità; nel secondo caso, invece, si riferisce a probabili rapporti particolari tra due eventi: il dolore mortale, il suicidio o un delitto. Nel caso del pensiero logico narrativo, vengono messi in collegamento due categorie di eventi, connessioni universali di verità. Nel pensiero narrativo, sono collegati due episodi differenti, con un collegamento specifico e 2 L’insieme delle azioni che il soggetto compie per superare gli ostacoli che incontra sul suo cammino (peripezia) costituisce il nocciolo di ogni storia. (Forse) Il progetto è l’unità neuropsichiatrica elementare che presiede alla nostra comprensione delle azioni umane. Ogni racconto consiste in un discorso che integra una successione di eventi d’interesse umano nell’unità di una stessa azione. Non possono esserci eventi sganciati tra di loro: 1. Dove non c’è successione non c’è racconto, ma, ad esempio, descrizione (se gli oggetti del discorso sono associati da una contiguità spaziale), deduzione (se si implicano l’un l’altro), effusione lirica (se si evocano per metafora o metonimia), ecc… 2. Dove non si ha integrazione nell’unità di un’azione, non c’è neppure racconto ma solo cronologia, ovvero enunciazione di fatti non coordinati. 3. Se non vi sono implicati interessi umani (in cui cioè gli eventi riferiti non sono prodotti da agenti) non può darsi racconto, poiché è in solo rapporto ad un progetto umani che gli eventi prendono senso e si organizzano in una serie temporale strutturata. Il sistema di classificazione Arne – Thompson e’ un metodo di classificazione di fiabe e racconti del folklore sviluppato inizialmente da Anti Amatus Arne. 14/02/20 Semiotica e analisi del testo narrativo Se si incide su un elemento del sistema linguistico, le ripercussioni a catena si ripercuoteranno su tutti gli altri elementi del sistema. Quando si pensa in questi termini, non si pensa al singolo elemento, ma ai rapporti che legano tra loro gli elementi che compongono un sistema, in questo caso i generi narrativi. Ne deriva, che se il valore linguistico della parola (ciò che si può fare con quella parola), deriva dal fatto che quella parola non è ciascuna delle altre parole che le stanno intorno. Per esempio, nella lingua italiano esiste una parola “Amore” che confina semanticamente con l’amicizia e l’affetto, ma il valore linguistico di questa parola, deriva dal fatto che non è ne amicizia ne affetto in italiano. Ogni volta che c’è un cambiamento lessicale in una lingua, gli spazi e gli equilibri si modificano all’interno di quella lingua e la ragione per cui non si può tradurre da una lingua all’altra è perché, per esempio in inglese il valore linguistico della parola “love” è più esteso, rispetto al nostro “amore”. Che cos’è un genere narrativo? Un genere narrativo può essere considerato come un’unità semantica che da forma all’esperienza e che deriva dal fatto che ognuno di noi, sa che se è fiaba non è leggenda. Il sistema dei generi si tiene insieme grazie al fatto che ci sono dei generi diversi e il portato di ciascun genere è dato anche dal fatto che quel genere non è ciascuno dei generi confinanti. 5 Il sistema dei generi è una struttura di parti interagenti di generi che si tengono insieme all’interno del sistema narrativo in quel momento vigente; sempre in continua evoluzione. Così come è sempre in evoluzione anche la langue. I singoli testi narrativi sono paragonabili agli atti di parole che presuppongo un sistema linguistico in cui c’è una langue e il valore narrativo di ogni testo dipende dal sistema complessivo dei generi. Il sistema dei generi non è fisso Il sistema non è fisso, così come cambia la langue, attraverso l’impatto di ogni singolo atto di parole. Nel sistema italiano vigono certe regole semantiche, che permettono a ciascuno di utilizzare grammaticalmente quel sistema per produrre frasi. Capita però che questo sistema abbia delle cose non perfettamente in linea con la grammatica in quel momento vigente (si utilizza in maniera strana la lingua), lo si può fare per errore scrivere cose sgrammaticate. Atto di parole che trasgredisce le regole della langue o si inventano dei neologismi, cioè parole che non c’erano e che non sono state ancora contemplate nel sistema linguistico. Di solito questi malformati atti di parole funzionano comunque comunicativamente. Accade talvolta che certe trasgressioni vengono assunte da una comunità linguistica in crescita (io uso una parola diversa dal solito, però il mio uso, in qualche modo influenza i miei interlocutori che iniziano ad utilizzarla al mio stesso modo). La comunità che utilizza questa trasformazione della langue in modo idiosincratico e peculiare, può espandersi. Ad un certo punto il cambiamento di parole diventa così importante che anche la langue deve prenderne atto. Così come gli atti di parole possono modificare una lingua, anche i racconti trasgressivi (per esempio un racconto che comincia con “c’era una volta”, dovrebbe parlare di orchi, principesse, ecc... però può essere che prosegua in maniera diversa da quello che ci si immaginava “tipo Shrek” e introduce elementi che non dovrebbero esserci nella fiaba, così come noi avevamo codificato il genere fiabesco, allora succede che se piace, inventa un nuovo modo). Anche i singoli racconti trasgressivi possono trasformare la grammatica delle storie e modificare l’equilibrio del sistema dei generi, ridistribuendo i pesi e ridefinendo i confini dei generi. Questo è il motivo per cui dall’origine dell’umanità i generi si evolvono e a volte nascono e talvolta cadono in disuso proprio come succede ad una forma narrativa che non serve più a nessuno. In quanto la funzione narrativa che svolgevano nel momento in cui vennero creati, non era più pertinente in una fase storia successiva; per esempio il poema cavalleresco non c’è più ed è utilizzato solo come oggetto di studi filologici. Può capitare anche che altri generi affini si “mangiano” lo spazio che prima era coperto da quel genere. Per esempio, si pensa, che l’origine delle favole erano racconti orali che non hanno lasciato traccia del modo e del perché venivano raccontati. Viste come degenerazioni profane di antichi miti che accompagnavano i riti di iniziazione presso le società pre- agricole di cacciatori. Noi possiamo pensare al sistema dei generi come uno spazio narrativo “il grande calderone del racconto” di cui parlava Tolkien, dove in ogni fase di una nuova cultura, quello che c’è nel calderone è in qualche misura organizzato. La fiaba La fiaba ha la capacità di adattarsi di volta in volta a contesti diversi pur mantenendosi abbastanza stabile nel tempo. 6 Nel momento in cui un genere narrativo perde rilevanza sociale e non svolge più la funzione comunicativa che prima gli veniva riconosciuta, cambia la sua funzione si riadatta per resistere nel tempo. Ci sono generi come il poema cavalleresco che non ce l’hanno fatta e altri che riescono a mantenere questa forma ma cambiano la funzione. Così come la fiaba che è passata dall’essere un antico rito, ad essere una narrazione profana, rivolta ad un pubblico adulto nelle società contadine fino al 600, poi cambia di nuovo, tra il 700 e l’800 viene borghesizzata e diventa un genere più letterario, verso inizio 800 viene utilizzata anche per i bambini. Oggi invece ha subito una disneyzzazione, fino ad arrivare ad una modalità più umoristica che pedagogica. Oggi quando pensiamo alla favola ha una nozione pedagogica di racconto popolare rivolta prevalentemente ad un pubblico infantile. La fiaba la si può già trovare nei testi di Aristofane, nel422 a.C., e inizia con il nostro corrispondente “c’era una volta”. Per tutto il periodo classico abbiamo pochi frammenti. Ci sono anche anticipazioni di fiabe come “Amore e psiche” e “L’asino d’oro” di Apuleio, oltre ad esserci il “c’era una volta”, c’è anche una cornice in cui possiamo intuire chi racconta la storia. In “Amore e psiche”, la storia è narrata da una vecchietta analfabeta e l’ascoltatrice è una bambina. Possiamo trovare altre anticipazioni di fiabe letterarie, come per esempio nel “Pentamerone”, sono per lo più racconti colti e letterari, raccontati da analfabeti o contadini. Siccome si tratta di rivisitazioni, vengono aggiunti degli elementi che si presume non esistessero nelle versioni precedenti della fiaba, come dialoghi sofisticati o caratterizzazione psicologica dei personaggi, che solitamente nella fiaba sono piatti. La svolta del genere narrativo avvenne presso la corte del re sole, quando scoppio una moda letteraria accompagnata anche da giochi e travestimenti di corte, di raccontare i “contes de fées”, cioè i “racconti delle fate”, che avevano una struttura particolare. In quel contesto Charles Perrault arriva alla fine di questa moda e scrive quella raccolta che codificherà il nostro racconto attuale. Tutte le fiabe che si raccontano ai bambini di tutta Europa sono tratte dalla raccolta di Perrault, come Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Biancaneve, Il Gatto con gli stivali, ecc. Le scrive con nuove modalità stilistiche che ricordano la fiaba e le riporta su un nuovo piano. Un’altra celebre raccolta dell’800 dei fratelli Grimm, svolta e non ritorno del genere fiabesco, perché è proprio con loro che la fiaba diventa esclusivamente un racconto per bambini. Tra il 600,700,800 le fiabe erano per lo più indirizzate agli adulti. In realtà non è che la fiaba non era rivolta ai bambini, ma il concetto di infanzia non esisteva come lo intendiamo noi fino a quel periodo. In base ad una serie di indizi, che va dai racconti al modo in cui gli artisti medievali raffiguravano i bambini. Aries scopre che la coscienza infantile, cioè le differenze linguistiche che distinguono il bambino dall’adulto, era un’invenzione dell’epoca moderna, da salvaguardare, da plasmare secondo certe modalità culturali di estrema cura, sarebbe secondo Aries una cosa che succede dal 600 in poi. Tant’è vero che lui adduce ai termini francesi, che non c’erano termini specifici dell’infanzia, ma si parlava comunque di infante a 14 anni, mentre ora le varie fasi le segmentiamo molto perché la riteniamo una cosa importante. I bambini erano visti come dei piccoli 7 sistema dei generi cambi; non è fisso, è in continua evoluzione e per via di ragioni di varia natura, quando si modifica un qualcosa di una cultura cambia anche il modo di codificare la realtà attraverso i racconti. Succede che subentra un nuovo genere narrativo che è il racconto realistico: un racconto più conforme alle credenze che man mano si stanno confermando. Poi diventerà il romanzo nel 700/800. Racconto realistico come unica forma narrativa dotata di una certa dignità artistica e contemporaneamente nasce la letteratura per l’infanzia che prima non c’era. Non siamo più nell’ambito delle storie orali ma proprio nella letteratura dedicata ai bambini delle classi colte. La nascita della narrazione per l’infanzia coincide con un nuovo modo di concepire l’infanzia come un’età particolare. Lessico per distinguere le varie età fino all’età adulta. Si diversificano anche gli stili di abbigliamento e si presenta anche tutto un filone della pedagogia che prima non c’era; riflessioni dedicate ai modi per plasmare questi individui che devono diventare adulti, ma che vanno curati e indirizzati nel loro processo di acculturazione. Processo di ristrutturazione in cui si riafferma la fiaba letteraria come un genere specifico con le caratteristiche che oggi noi riconosciamo in continuità con il modo di intendere la fiaba. Gli scrittori iniziano a scrivere fiabe intorno al 500/600 e le loro fonti sono persone del popolo e in particolare hanno notato che l’anello di giunzione tra la letteratura popolare e le fiabe letterarie del 600/700 è dato dalla figura sociale della balie, le quali, venendo dal popolo, condividevano quella tradizione orale e i bambini delle classi colte vengono a conoscenza di questi racconti grazie alle balie e poi, crescendo le riadattano trasformandole in testi scritti e letterari. Per esempio, Charles Perrault, (ci ha mostrato il frontespizio di una fiaba del 1697, i racconti di mamma oca), è uno di coloro che raffigurano il genere e lui sostiene di aver sentito queste storie dalla balia del figlio e decise di riscriverle in una forma più adatta ad un pubblico che bisognerebbe trarre confrontando la storia di cappuccetto rosso di Darnton con la sua. Da come è raccontata la storia noi possiamo capire il tipo di destinatario a cui si rivolge. Perrault: Le petit Chaperon Rouge (1692) Il cappuccio rosso lo mette Perrault per la prima volta. Uno dei tratti che rendono la storia memorabile. All’inizio possiamo già notare molti più dettagli rispetto alle versioni precedenti. Questo cappuccio rosso che prima non c’era potrebbe far sistema con il fatto che la mamma e la nonna stravedono per la bambina; elemento che potrebbe giustificare la cattiva sorte della protagonista. Principio di errore commesso che la rende più razionale e che la allontana dalla morale brutale di Darnton. Tutto ciò lo si ricava dal testo. Trasformazione dei comportamenti dei personaggi. Non c’è nessuna raccomandazione materna, da parte della mamma di cappuccetto rosso, quando ella si incammina nel bosco. Transizione tra una versione e quella successiva dei Grimm dove viene sottolineato il fatto che la bambina disobbedisce alla madre. Diversi elementi in più: razionalizzazione del comportamento del lupo perché, non ora ci si chiede il motivo per cui non se la mangia subito, ma aspetta che arrivi a casa della nonna, domanda che prima non veniva posta, perché non era una domanda pertinente. Qui c’è la necessità di tipo realistico di dare più plausibilità psicologica e materiale ai comportamenti dei personaggi. Quindi non la mangia perché c’erano i taglialegna. Orientamento emotivo che viene dato al lettore “quel tipaccio del lupo”; prima l’incontro con il lupo avveniva senza nessun commento di giudizio, invece in questa versione viene già fornito al 10 lettore qualche giudizio preliminare (con quale diffidenza bisogna approcciarsi al lupo). Voce dell’autore che dirige gli atteggiamenti. Aghi e spilli  razionalizzazione Nel dialogo del lupo che bussa alla porta della nonna, viene mantenuta una caratteristica tipica delle fiabe, in cui si ripete una situazione, si ripetono le solite parole. Nessuno spiega nella versione orale il fatto che il lupo era da qualche giorno che non mangiava. Era implicito; se sei lupo mangi senza motivo. Cappuccetto rosso che sente la voce del lupo ebbe paura  Elemento di costruzione dei personaggi perché le esitazioni del personaggio vengono rappresentate. Viene tagliato il cannibalismo e l’uccisione cruenta (veniva costretto cappuccetto rosso a bere il sangue della nonna), striptease (togliere un indumento alla volta e buttarlo nel fuoco); considerati non adatti al pubblico. Cappuccetto rosso che non aveva idea di com’era fatta la sua nonna da spogliata: ammiccamento agli adulti. Perrault introduce un qualche cosa che contravviene allo stile della fiaba, una morale in versi. In questa morale che qui c’è una strategia più complessa rispetto a quella che troviamo nelle fiabe precedenti e successive dei fratelli Grimm. Doppio percorso di lettura, tipico delle fiabe raccontate nella corte del Re Sole, pubblico in parte di adulti e in parte di bambini. Adulti hanno una lettura più ironica. La morale è uno strano artefatto comunicativo che si rivolge un po’ agli adulti come una strizzata d’occhio dove si raccontano delle storie che vanno lette allegoricamente. Ai bambini si comincia ad impartire qualche regola di educazione di base. Questa morale è come una figura ambigua in quanto si può leggere in un modo, piuttosto che in un altro. Vale per tutte le fiabe di Perrault. Man mano che ci avviciniamo tra il 700 e 800, la lettura infantile di queste fiabe un po’ per volta prevale su quella adulta al punto che si arriva con la racconta del 1812 dei fratelli Grimm (filologi e folkloristi), che con le “Fiabe del focolare”, si configura il genere. Bambino destinatario a pieno titolo di questi racconti. I fratelli Grimm andavano per le campagne tedesche a farsi raccontare le storie dai contadini per poi trascriverle e costruire il repertorio di racconti tedeschi che avrebbe dovuto fondare la cultura della nazione tedesca. Si entra in un contesto ideologico. Fanno quest’opera di riscrittura delle fiabe per renderle veicoli di indottrinamento alla morale tedesca nazionale. Quest’opera filologica è solo in parte quello che dichiarano di fare, perché recuperano per lo più versioni letterarie precedenti e le mescolano insieme per creare quello che per loro era il prodotto discorsivo ideale per gli scopi che si proponevano. Prendono molto anche dalla tradizione francese, in quanto molti di questi racconti erano francesi. Ruolo fondamentale anche degli Ugonotti, cacciati dalla Francia per motivi religiosi, si spostano in Germania portandosi dietro anche parte del repertorio narrativo, lo mescolano con il repertorio narrativo già presente. Immaginario legato al luogo. Per esempio alcuni personaggi assumono dei tratti della mitologia tedesca. Diventano più ombrosi i racconti, mescolandosi con la cultura tedesca. Grimm: Rotkäppchen (cappuccetto rosso) (1812) Più lunga rispetto alle altre versioni. 11 Si spiega già il fatto che la bambina era viziata. Altri dettagli in più (cappuccio rosso in velluto). Da una parte abbiamo gli adulti che la viziano e dall’altro lato il fatto che lei era vanitosa. Morale individuale, in quanto quello che le succederà sarà un po’ colpa sua. La mamma le fa la madornale prima di uscire di casa. Qui il lupo non è propriamente visto come cattivo, ci dobbiamo identificare con l’ignoranza della bambina, perché lei non lo sapeva. C’è, però, ancora la voce fuori campo che ci dà l’informazione del fatto che è un lupo cattivo. Viene tolta la razionalizzazione di Perrault, ma siccome i destinatari sono dei bambini, si presume che non ci prestino molta attenzione al fatto che il lupo avrebbe potuto mangiarsela lì per lì. Qui, il lupo fa la parte del serpente tentatore, perché la seduce, mandandola a raccogliere i fiori, ecc. Da qui, si dà un valore simbolico a questo suo “perdersi nel bosco”, perde il suo contenuto realistico e diventa più una specie di cosa esistenziale. Il lupo si veste come la nonna, dopo averla ingoiata e ci evitano l’imbarazzo dell’incontro di cappuccetto rosso con il lupo nudo. Tolta tutta la parte dei convenevoli, si avvicina al letto e sposta le coperte del letto e pensa che la nonna abbia un aspetto strano. Tutta la parte braccia, gambe, ecc, viene tagliata per rendere la fiaba più adatta ai bambini; non era accettabile il fatto che una bambina vedesse le nudità di un lupo maschio. Per la prima volta c’è la seconda parte del racconto con il cacciatore. Il cacciatore raffigura un’autorità che può fare qualsiasi cosa senza che nessuno si ponga sulla privacy o cose simili. Entra a casa della nonna perché la sentì russare, ma vide il lupo. Gli tagliò la pancia e liberò la nonna e cappuccetto rosso. Innesto con il finale di un’altra storia, quella del lupo e dei sette caprettini. Cappuccetto rosso diventa una ragazza adulta e responsabile, ha imparato la lezione. I Grimm ci aggiungono un altro finale, in cui cappuccetto rosso incontra un altro lupo ma non gli dà retta. Il secondo lupo che si mette sul tetto della casa, ricorda un po’ la storia dei tre porcellini. Si crea una saldatura intergenerazionale: anziani e bambini, ecc tutti dalla stessa parte contro il male. Parte comica alla fine, per cercare di alleggerire; a questo punto il lupo non fa più paura e si pensa ad un’infanzia diversa, che va ammonita, guidata ed istruita, ma anche spaventata. Max Lüthi: la fiaba popolare europea (1947) Lüthi fa notare che queste versioni letterarie si distanziano molto dallo stile orale dalla prima versione di Cappuccetto Rosso. Nel momento in cui la fiaba passa da orale a letteraria, certi tratti vengono persi; ci sono più dialoghi, più descrizioni, più interventi dell’autore,ecc. La cosa strana è che quando queste versioni Grimmiane ritornano in bocca al popolo narratore, queste versioni letterarie riperdono i pezzi più marcatamente letterari del loro stile e si riavvicinano allo stile orale originario; si riconfigurano nei termini della fiaba popolare europea. Viene liberata dalle aggiunte, per esempio quelle apportate dalla moda francese (delle fate) e viene tolta anche tutta quella borghesizzazione apportata dai fratelli Grimm. La fiaba tende ad un prototipo stilistico, agganciata all’oralità. Questa forma di base non viene mai realizzata nelle sue linee più pure, però si trovano in filigrana dietro ad ogni racconto. E il suo scopo è di raccontare e descrivere questa forma base. Per Lüthi la fiaba ha origini magiche e mistiche. 12 una regia, però non c’è traccia nel testo di quella mano invisibile che coordina le azioni dei personaggi. Isolamento e colleganze universali I personaggi sono completamente incapsulati in se stessi; i personaggi interagiscono tra di loro, hanno dei dialoghi, però il loro rapporto si esaurisce in quelle azioni che compiono in quel momento. Per esempio, l’eroe che si allontana per compiere la missione, è completamente sganciato da qualsiasi altro personaggio; non ha rapporti d’origine che lo trattengono. Non si parla di relazioni familiari tra i personaggi, se non per far procedere l’azione e non ci poniamo neanche il problema sul rapporto che ci sia tra i personaggi. Per esempio, nessuna descrizione della relazione tra Cappuccetto Rosso e sua madre, l’unica cosa che ci spiega è il fatto che la madre la mandi dalla nonna (non ci chiediamo se il rapporto tra la madre e la figlia sia affettuoso oppure no e neanche se la manda con le buone o con le cattive dalla nonna). Quando l’eroe incontra l’aiutante o l’antagonista, la relazione finisce lì. Non ci sono quelle ossessioni di due personaggi che costruiscono la loro esistenza nella lotta contro l’altro, comuni nei generi narrativi che solitamente riconosciamo. Nella fiaba tutto si esaurisce nell’azione, poi c’è assoluta indifferenza tra i vari attori di quest’azione narrativa. L’aiutante arriva ad aiutare il protagonista e poi non lo si incontra più. Personaggi sono privi di rapporti permanenti che li leghino gli uni dagli altri. Lüthi dice: “una rappresentazione che proietti tutto su un unico piano è una rappresentazione che crea isolamento. La qualsiasi forma plastica risulta un complesso che non è possibile abbracciare con un unico sguardo, mentre la superficie piana è isolata in se stessa. Il personaggio della fiaba non ha un mondo interiore, non ha un ambiente, né rapporti con il mondo passato e futuro, non è legato al tempo.” (soffre di amnesie e non si ricorda quello che gli è successo 5 minuti prima. Ogni volta che si trova una situazione come la precedente reagisce come la prima volta). Questa enigmatica ripetizione degli episodi e delle parole è un altro tratto legato all’isolamento dei personaggi, ma anche degli episodi che sembrano ogni volta incapsulati. Lüthi dice: “gli episodi sono incapsulati in se stessi. I personaggi non imparano nulla e non imparano dall’esperienza e non badano alla somiglianza delle situazioni, ma partono sempre da zero dal loro stato di isolamento.” È la particolarità della fiaba più sconcertante e appariscente per il lettore moderno, perché è imbevuto di una tradizione narrativa diversa, dove viceversa l’aspetto dell’evoluzione psicologica dei personaggi è centrale. E siamo abituati ad aspettarci che i personaggi agiscano alle situazioni in modo vagamente inverosimile e psicologicamente plausibile. Quindi, la rigida ripetizione letteraria è un elemento dello stile astratto e qui subentra una complicazione anche se sembri contrariare la propensione per l’isolamento; il fatto che ogni volta si ripresenta una situazione simile alla precedente e che si utilizzino esattamente le stesse parole, si può pensare che ci sia un qualche legame tra i vari episodi. Per distinguere gli episodi precedenti da quelli che stanno avvenendo, dobbiamo distinguere tra isolamento interiore e isolamento esteriore. I personaggi non lo sanno che c’è questa interdipendenza tra i vari episodi, perché la loro memoria, ogni volta, riparte da zero, però se noi lo guardiamo con i nostri occhi ci rendiamo conto che ci sono queste ripetizioni così puntuali e ci chiediamo se non ci sia una regia invisibile che fa sì che questi 15 episodi si assomiglino così tanto. C’è una sorta di mano invisibile che tiene insieme l’universo fiabesco; la si ricava solo dall’uso di queste ripetizioni. Con colleganze universali si intende un progetto compositivo che noi possiamo notare ma che non si esprime in prima persona. L’idea che si colleghino, dal punto di vista di una regia esterna, questi episodi, pur essendo incapsulati in se stessi nella prospettiva interna dei personaggi. Il lettore della fiaba deve identificarsi con il personaggio e escludere che ci siano dei collegamenti di causa-effetto tra i vari episodi che compongono la fabula oppure deve mettersi nei panni di questo ipotetico regista e pensare che ci sono dei collegamenti tra gli episodi? In realtà la regola del Post hoc ergo propter hoc, viene un po’ sospesa nel caso della fiaba, perché gli episodi spuntano senza che ci sia un nesso tra causa ed effetto marcato dal racconto. C’è un’invisibile forza compositiva che ha già modellato gli episodi precedenti e che pure obbedisce a delle leggi severe che noi non conosciamo. Se c’è una causalità, è per noi inaccessibile. Provoca un effetto inquietante  la coincidenza inspiegabile è l’elemento perturbante della fiaba. Lo sentiamo come una sensazione che non viene elaborata, perché il pubblico a cui si riferiscono le fiabe non si pone il problema. Sublimazione e contenuti universali Lo stile astratto della fiaba isola i personaggi, ma li svuota anche di ogni concretezza (sublimazione). Le azioni dei personaggi sono anche avulse da ogni esperienza concreta, corporea, sociale, ecc. Ogni azione che avviene nel mondo fiabesco non porta tracce della reale esperienza che si potrebbe provare in circostanze di quel genere. Per esempio, il viaggio, il matrimonio, ecc non hanno reale riscontro dell’esperienza di chi legge; il viaggio non è mai faticoso, non c’è nulla di ciò che noi associamo all’esperienza di viaggio, come la paura di staccarsi da casa o la fatica del trasferimento; il matrimonio non ha eros e l’innamoramento serve solo per far procedere l’azione e si parla solo di struggimento per l’amato solo per far procedere l’azione. Tutto perde ogni riferimento all’esperienza corporea, emotiva e sociale. Non c’è passione, non c’è odio tra gli antagonisti, non c’è dolore nel parto, i personaggi non hanno paura, ecc. Non ci sono dei motivi tipicamente fiabeschi, in quanto alcuni tratti li ritroviamo anche in altri generi. La fiaba si contraddistingue dal trattamento che questi motivi subiscono. La fiaba vive di un particolar tipo di forma. Il tratto distintivo va cercato nella forma (tratti stilistici). La fiaba attinge i suoi motivi da leggende o miti, a volte anche direttamente dalla realtà. Come ad esempio la storia di Barbablù, che era un uxoricida seriale, che prendeva le mogli, le chiudeva nel castello. L’ultima moglie entra nella stanza proibita e scopre i cadaveri di tutte le mogli precedenti. Quel motivo dell’uxoricida non è fiabesco, ma di un fatto di cronaca. Per farlo diventare un motivo fiabesco viene svuotato di tutti i tratti realistici. La fiaba tramuta tutti i motivi svuotandoli; non ci sono motivi fiabeschi veri e propri, ma vengono tramutati come se avessero un filtro e qualsiasi tratto assume connotati fiabeschi. Si pensa che ci sia una calamita che porta questi testi ad assumere tratti astratti e sublimati. Forme semplici (André Jolles 1932) Lüthi studia un testo di André Jolles, “Le forme semplici”. Jolles studiò tutti quei generi narrativi di origine orale e popolare che hanno questa caratteristica, di cui non si sa chi è l’autore, in quando non esiste. Per Jolles scaturiscono dal linguaggio stesso. Non sono fisse come i prodotti della scrittura. 16 Ogni volta che racconto, per esempio una barzelletta, non essendoci il copyright, si è liberi di riadattarla a proprio piacimento, così come tutte le altre forme semplici; in quanto non c’è nessuno che possa rivendicarne la paternità. Ogni volta che si ricava una forma semplice c’è margine di manovra; quando si racconta una fiaba ad un bambino la si può riadattare. Le forme semplici possono essere:  Leggenda può essere sacra o profana. La leggenda sacra racconta di santi. Racconta le vite dei santi. La leggenda profana si riferisce alle saghe. Le saghe servono a rafforzare i vincoli di sangue.  Mito  racconta da dove veniamo, per esempio le cosmogonie. Penetra i segreti del mondo. Scolpisce nel racconto una verità indubitabile dell’origine dell’umanità. Conferire una sensazione terapeutica del fatto che ci sia un qualcosa di certo e indiscutibile all’interno di una comunità.  Enigma  l’indovinello.  Sentenza  proverbio.  Caso memorabile il caso di cronaca non attestato. Voci che circolano con la pretesa di essere vere. Per esempio, le leggende metropolitane. Serve per documentare le leggende mondane e per catturare un aspetto o una paura significativa all’interno di quella realtà sociale. Porta l’attenzione intorno a qualcosa avvertito dalla comunità.  Scherzo barzelletta. Forma di regolamentazione emotiva. Ha la funzione di dissipare la tensione e l’aggressività accumulata. Uno scherzo si ha di fronte ad un’incongruenza molto vistosa tra due piani logici che non possono stare insieme, quest’incongruenza avviene in modo dirompente da far esplodere la tensione creata nella comunità.  Fiaba non è molto chiara la sua funzione nello spirito. Potrebbe assolvere alla funzione di mostrare come dovrebbero andare in realtà le cose, in quanto distinte da come effettivamente vanno le cose. Dà un’idea immaginaria di come dovrebbero andare le cose, secondo una morale istintiva universale. Rispecchia l’idea istintiva e infantile di giustizia naturale. Questa forma svuotata della fiaba è perfetta come racconto matrice che può essere canalato di volta in volta in epoche diverse per rimpinguarsi di dettagli che prima non aveva e delle caratteristiche di volta in volta diverse. La fiaba è un genere fatto apposta per essere usato, per soddisfare le esigenze e i bisogni di chi ogni volta la racconta. La fiaba cambia a seconda di chi la prende in mano e la trasforma in ciò che vuole. Si è sempre trovata bene in qualsiasi fase storica, mantenendosi piuttosto simile alle sue concorrenze precedenti, pur cambiando funzione. È vista come un antico genere distillato. È soggetta anche alla parodia, perché essa, solitamente si esercita sui generi arrivati alla fine della loro evoluzione. Solitamente si pensa alla fiaba come un genere giovane e immaturo, mentre invece è un genere giunto alla fase matura, quasi terminale, della sua evoluzione. Da qui si è sviluppano un nuovo twist del genere fiabesco attraverso l’industria culturale cinematografica, in particolare con i cartoni animati, che l’hanno rianimata. Creando anche un genere che non sia solo per i bambini, ma anche per adolescenti ed adulti. 17 Per esempio  ha analizzato quattro fiabe. Cambiano i nomi dei personaggi, ma le azioni sono uguali: conseguenza del mezzo magico e trasferimento dell’eroe. Analizza le fiabe russe e le scompone in unità di contenuto finché non rimane solo alcuni pezzettini che sarebbero l’ossatura di ogni fiaba. A livello di analisi, alla base degli intrecci ci sono pochissime funzioni narrative (31). Le funzioni narrative Costituiscono la prima parte dove ci si prepara alle funzioni centrali:  i = situazione iniziale  tutto inizia così, con il turbamento della narrazione successiva.  e = allontanamento  per iniziare la narrazione qualcuno deve allontanarsi da casa. Per esempio, allontanamento come Pollicino o Cappuccetto Rosso.  k = divieto  di non fare le cose, ma il destinatario lo infrange.  q = infrazione  v = investigazione  antagonista approccia la vittima e la vittima gli fornisce le informazioni.  w = delazione  f = tranello  antagonista tramuta il suo aspetto.  y = connivenza  l’eroe si lascia convincere dall’antagonista. Seconda parte di funzioni:  X = danneggiamento  quando l’antagonista arreca danno all’eroe.  x = mancanza  antagonista vive una situazione di mancanza che va risolta.  Y = mediazione  qualcuno che viene a sapere di questa sciagura e lo vuole risolvere.  W = inizio della reazione  l’eroe cercatore acconsente o si decide ad agire.   = partenza  l’eroe abbandona la casa.  D = prima funzione del donatore  il donatore mette alla prova l’eroe.  Z = conseguimento del mezzo magico  R = trasferimento nello spazio  L = lotta  M = marchiatura  momento in cui l’eroe è marchiato. Per esempio, la cicatrice di Harry Potter o il piede piccolo di Cenerentola. Funzioni che permettono un’identificazione.  V = vittoria Terza parte di funzioni:  Rm = rimozione della sciagura  l’eroe la elimina. = ritorno  a casa dell’eroe.  P = persecuzione  può avvenire quando l’eroe ha vinto già la sua battaglia.  S = salvataggio = arrivo in incognito 20  F = pretese infondate  falso eroe. Per esempio, e sorellastre di Cenerentola che fingono di essere lei.  C = compito difficile  proposto dall’eroe.  A = adempimento  del compito difficile.  I = identificazione  dell’eroe vero e proprio, dopo l’adempimento del compito difficile.  Sm = smascheramento  del falso eroe.  T = trasfigurazione  l’eroe assume nuove sembianze.  Pu = punizione  dell’antagonista.  N = nozze Quattro principi fondamentali Principi fondamentali sintattici. Grammatica della lingua. Funzioni narrative. 1. Gli elementi costanti sono le funzioni dei personaggi, indipendentemente dell’identità dell’esecutore e del modo di esecuzione. 2. Il numero di funzioni che compaiono nella fiaba di magia russa è limitato a 31: la funzione deve essere definita tenendo conto della sua collocazione nella narrazione. Non basta trovare il matrimonio per avere la funzione notte, che va solo alla fine per sancire la conclusione del ciclo narrativo. Idem tutte le altre funzioni che spiegano come procede il racconto. 3. La successione delle funzioni è sempre identica. Una fiaba può non presentare tutte le funzioni, ma l’ordine è sempre costante. 4. Tutte le fiabe di magia hanno una struttura monotipica (sempre con la stessa struttura). Mentre le funzioni sono sottotipi della struttura principale. Alla fine si dovrebbe riuscire a trovare una formula chimica della fiaba. Aleksandr afanas’ev, I cigni Analizzato da Propp. Situazione iniziata con un divieto, che sappiamo già non verrà rispettato (la bambina uscirà dal cortile). Arriva il danneggiamento  il fratellino viene portato via dai cigni. Inizio della reazione e partenza della bambina che sarà poi l’eroe. Stufa  mezzo magico. La bambina viene messa alla prova dal mezzo magico, non riesce ad ottenere l’aiuto e fallisce. 21 Con il riccio risponde adeguatamente così ottiene l’aiuto del donatore. L’isba su zampe di gallina  dimora della Baba-Jaga che ha rapito il fratello. Rimozione della sciagura salva il fratello, però viene inseguita dai cigni. Con vari aiuti riesce poi a tornare a casa. Analisi morfologica di I Cigni (64) [i] k e q X E  [D Eneg Zneg] D E Z R Rm  P S Analisi in funzioni di Cappuccetto Rosso Confronto della partitura di Perrault con quella dei Grimm. in base alle funzioni, dalla Mediazione in poi, sono state introdotte dai Grimm. Assomiglia anche ad una negazione che in Perrault non c’è. Si fa fatica ad analizzare le fiabe che non sono russe con il metodo di Propp. Raccordi e motivazioni Rimane un qualcosa che non centra nulla con le funzioni di Propp. Questi sono chiamati:  Raccordi  parte dell’intreccio che serve a informare delle vicende avvenute i personaggi nuovi che entrano in quel momento. Nella fiaba popolare è difficile che ci siano questi raccordi.  Motivazioni  perché i personaggi si comportano in un certo modo. La fiaba non spiega il motivo del loro comportamento. Di solito c’è un’interferenza letteraria con informazioni secondarie. Monotipicità della fiaba 22 Si sostituisce il concetto intuitivo di personaggio. Ruoli sintattici spogliati di qualsiasi specificità tematica o figurativa propria dei personaggi. Sei noi togliamo, per esempio se togliamo tutte le specifiche al lupo di cappuccetto, rimane il fatto che è solo l’antisoggetto. Per Graimas, i personaggi sono come attori. I personaggi formano lo scheletro della fiaba. Questi ruoli attanti sono:  Soggetto e oggetto  si trova sull’asse del desiderio. È l’asse portante di ogni narrazione. Sono due ruoli interdefiniti. Il soggetto è definito solo in base al desiderio verso l’oggetto. L’oggetto è definito per il fatto che è desiderato dal soggetto. Agli occhi del soggetto, l’oggetto è qualcosa investito dal valore che lo vede desiderabile. Il valore può essere positivo o negativo. Valore positivo, quando il lupo vuole mangiare Cappuccetto Rosso. Valore negativo, quando il soggetto vuole disfarsi del soggetto che gli provoca dispiacere. Il soggetto desidera congiungersi o disgiungersi dall’oggetto Programma narrativo Tutto ciò che fa il soggetto per congiungersi. Un programma narrativo è l’ossatura base di ogni storia. Tutte le azioni che compie il soggetto per congiungersi o disgiungersi dal suo oggetto di valore. Alcune volte l’oggetto può essere astratto. Per esempio, in Shrek il principe vuole sposare Fiona e Shrek non può. Il primo è congiunto, Shrek invece è disgiunto.  Destinante e destinatario  introducono la dimensione cognitiva del racconto. Il soggetto e l’oggetto se la contendevano, ma in questo caso il destinante è colui che rende desiderabile l’oggetto agli occhi del soggetto, mentre il destinatario considera desiderabile l’oggetto in quando il destinante gliel’ha reso desiderabile. Personaggi eterodiretti e chi gli fa fare le cose è il destinante. 25 Esempio  il re (funzione di destinante) manda a chiamare l’eroe e gli fa fare delle cose e poi lo premia o lo punisce in base all’esito della missione. Il destinatario coincide con il soggetto, ma non sempre. In alcuni casi il destinatario è più di uno. Il destinante non necessariamente è un personaggio in carne ed ossa, può essere anche astratto. Il destinante lo troviamo in due casi del racconto:  Il mandante è il re che manda l’eroe a salvare la principessa  Quando l’eroe torna a casa con la principessa, il re torna non come destinante, ma come giudicatore. Il destinante può essere  manipolatore, all’inizio del racconto e il giudicatore a fine racconto. Tutte le situazioni sono riscontrabili in questi due ruoli. Il destinante può anche imporre al soggetto di svolgere l’azione. La funzione tra questi due è una sorta di contratto; in quanto destinante chiede di fare una cosa e il destinatario la fa. Il destinante è anche di forma astratta come le norme morali. Anche il soggetto destinante è di se stesso. C’è sempre il motivo per cui il soggetto svolge la funzione. Conflitto tra destinanti Uno stesso soggetto è mosso da varietà di destinanti che decidono come mandare avanti i programmi narrativi. Ci sono situazioni in cui qualcuno è in dubbio se seguire le sue ambizioni a discapito degli altri oppure se seguire il buon senso. Quando noi non sappiamo chi è il destinante, sentiamo che non abbiamo capito la storia e dobbiamo capire il perché vuole quell’oggetto.  Aiutante e opponente  sono elementi accessori. L’aiutante è colui che aiuta il soggetto a superare la prova. Gli fornisce informazioni e aumenta le capacità e il potere che gli permettono al soggetto di superare la prova. L’opponente diminuisce il potere del soggetto di superare la prova. Qualsiasi incidente di percorso che rende difficile al soggetto di superare la prova. Succede che nelle narrazioni complesse può rivelarsi un aiutante ma in realtà è un’opponente . Entrambi introducono dei programmi supplementari rispetto al programma di base. Il programma di base riguarda i rapporti fra il soggetto e il suo oggetto di valore, della base della narrazione stessa. Il soggetto deve affrontare delle prove intermedie e queste sono di livello inferiore intermedio. Cosa distingue tra opponente o antisoggetto? Entrambi sono in conflitto con il soggetto. L’opponente interviene in un programma narrativo d’uso. L’antisoggetto interviene nel programma narrativo di base. Se c’è componente d’azione di impedimento si ha l’opponente. Decidere chi è il soggetto di una narrazione dipende dal punto di vista. 26 Esempio cappuccetto rosso, se raccontata dal punto di vista del lupo, la favola si riconfigura. Per Greimas tutto può essere narrativo, dal saggi scientifico ad una ricetta culinaria. 10/03/20  Attanti e attori  scheletro profondo di ogni narrazione. Ciò che rende interessante un testo narrativo è il livello discorsivo più superficiale. Scavare la superficie per individuare gli attanti. Possiamo considerare la narrazione profonda per fare i conti con il mondo. Immagine di noi che abbiamo di noi può essere una costruzione narrativa. Racconto più efficace per ristabilire un senso d’identità comune. Gromans dice che non è detto che ciascun personaggio abbia solo un ruolo attanziale.Nella fiaba però un attanziale ha un solo ruolo del personaggio. In generi narrativi più complessi. I ruoli attanzialisono più complessi e improiettati. Propp avevano notato che una sfera d’azione può essere ripartira tra più personaggi. Greimas dice che la struttura attoriale dei personaggi definita oggettivata quando c’è un attore. Pearson  indipendente per un ruolo attanziale come accade nella fiaba, oppure soggettivata come per Amleto, personaggio assume più ruoli attanziali. Struttura azioni personaggi. Greimas cerca di porre le strutture narrativa sul livello più astratto di quanto non accadesse in propp. Per esempio, ripetizioni per tre ruoto attanziale, Greimas prende questa attanziale proppiana e dice che rispecchia in modo umano per dare senso agli eventi dell’esperienza. Così sviluppa tre prove e dice che un racconto può essere diviso in tre prove:  Prova qualificante  copre azioni che il soggetto compie quando ottiene tutti quei mezzi per affrontare la lotta vera e propria. Momento eroe intraprende un programma narrativo e deve aquisire certi mezzi. Prova qualificante. Fa parte tutto il soggetto e i suoi aiutanti magici. Non siamo ancora allo scontro vero e proprio. Ci si dota dei mezzi per affrontare la prova decisiva. Lotta contro l’antagonista. Spesso il racconto non finisce con la vittoria dell’eroe. A volte l’eroe, quando torna deve affrontare una prova glorificante per dimostrare che è lui, ecc.  Prova decisiva  prova vera e propria.  Prova glorificante  corrisponde al momento della sanzione di giudizio. Il soggetto viene giudicato dal destinante (premio, approvazione o punizione). Questa struttura ternaria si può adattare a tutte le situazioni, per esempio alla vita di uno studente universitario. A queste fasi, Greimas ne aggiunge una:  Fase della manipolazione  primo momento. La manipolazione è il momento destinante che porta il soggetto ad intraprendere il percorso narrativo. Poi c’è la conoscenza che corrisponde alla fase in cui il soggetto si dota dei mezzi per superare 27 Lui distingue tre livelli del racconto: - Storia  livello più profondo. Livello della fabula. - Racconto  modo in cui la fabula viene raccontata. Intreccio. - Narrazione  atto narrativo che produce il racconto. Cornice superficiale della narrazione. Narrazione in cui il narratore parla. Nel caso di un testo scritto, la situazione enunciativa è implicata salvo che il narratore interviene in prima persona nel racconto. E si colloca nel racconto. Non sempre ciò che è rappresentato coincide con la realtà dei fatti, perché il narratore può rappresentarsi diversamente o rapresenta narratore fittizio. Analisi narratologica approfondita che vuole indagare gli effetti di senso diversi e deve tener conto di quesi tre livelli e di come interagiscono tra loro. Racconto = discorso narrativo Noi non possiamo studiare il racconto senza la storia e la cornice. Il discorso narrativo deve narrare una storia per essere tale. In mancanza di ciò non hanno un discorso, solo discorso se si attribuisce ad una voce narrante. Il 1° e 3° livello esistono per intermediario del racconto. I due livelli sono collegati. Racconto ciò che noi analizziamo narratologicamente. Lo studiamo considerando i rapporti con la cornice della narrazione e la storia. In mancanza della storia, il racconto non è più narrativo. Solo prodotto da qualcuno. Racconto come espansione di un verbo 30 Parte da una costatazione  tutto sommato si può considerare racconto come espansione di un verbo; se noi prendiamo il racconto che ingloba una storia noi potremmo ricondurre ogni storia e racconto ad un semplice enunciato. Esempio  cos’è la storia dell’Odissea? “Ulisse torna a Itaca.” Storia di un ritorno; ciò che Ulisse fa per tornare a casa. Lessicalmente narrativo, perché ha valore di presupposizione; tornare implica un allontanamento. Misura in cui si chiama in causa un soggetto che compie l’azione che compie lo stato della narrazione cosa c’è un abbozzo di fabule. Categorie grammaticali per approfondire analiticamente. L’obiettivo di Genette è di creare una griglia di analisi per applicare ad ogni racconto con criteri costanti di volta in volta. Si divide in: - Tempo  relazione temporale tra storia e racconto (ordine, ecc). Storia riraccontata riorganizzando la sequenza narrativa. Questioni che vigono dal tempo della fabula e del tempo del racconto che sono rapporti che riguardano sia il montaggio (ordine somministrazione delle informazioni narrative seguendo logica e narrazione degli eventi). Relazione tra racconto e storia dipendono anche dal fatto che gli episodi possono essere raccontati in maniera stringata o divisa, in base al tempo. Categorie di frequenza, stesse cose ripetute più volte. Eco parla “Nei boschi narrativi”, dei salti temporali, per esempio dell’Odissea. Il tempo è diviso in:  Analessi  è un flashback. Salto temporale all’indietro che ha una portata, cioè una distanza temporale da una storia in cui si interrompe e fa salto un salto temporale. Ha anche un’ampiezza della durata dell’episodio raccontato nel flashback. 31 13/03/20 e 16/03/20 Nel vivo dell’analisi strutturale del racconto seguiamo le categorie di Gerard Genette “Figure 3”, Bibbia dell’analisi strutturale del testo narrativo, perché schematizza tutti i concetti essenziali a questo tipo di analisi, individuandone le varie componenti essenziali dell’evento narrativo che lui chiama figure del racconto. Salti temporali all’indietro che noi chiamiamo flashback, in Genette si chiamano analessi. Per Eco la fabula e l’intreccio di Ulisse sono diversi; la fabula inizia ad imedias res, in un momento in cui la voce di Omero inizia a parlare. L’intreccio inizia al T1, in cui Ulisse è già prigioniero di Calipso; siamo già dentro al discorso. Ulisse fugge da Calipso e abbiamo un salto temporale all’indietro (Analessi) che poi si ricongiungerà con il tempo in cui si è abbandonata la narrazione per tornare indietro. Per Genette: o Portata  distanza temporale dal momento della storia in cui si è interrotto il racconto. o Ampiezza  durata storia raccontata dall’analessi. Genette distingue tra tre grandi gruppi di figure del discorso:  Relativa al tempo  Relativa al modo  Relativa alla voce Riprende le categorie di analisi del verbo per individuare e separare i vari procedimenti per trasformare la sequenza in un racconto vero e proprio. Tempo: relazioni temporali tra storia e racconto Il tempo è suddiviso in:  Ordine  riguarda la discordanza tra ordine della storia e ordine del racconto (ordine in cui vengono narrati gli eventi). Si occupa delle anacronie  forme di discordanza tra ordine della storia e ordine del racconto. Ciascuno dei blocchi corrisponde ad un pezzo di storia; secondo l’ordine della fabula (ordine cronologico degli eventi). Attraverso la linea temporale che va dal T0 a Tx. 32  Racconto singolativo  quando si racconta una volta sola quello che si è verificato una volta sola o quando si racconta x volte ciò che si è verificato x volte (come nella fiaba).  Racconto ripetitivo  raccontare x volte ciò che si è verificato una volta sola (variazione dei punti di vista).  Racconto iterativo  si racconta una volta sola ciò che si è raccontato più volte. Genette prende tutti gli esempi e li paragona con un libro di Proust. Molti dei tratti essenziali del racconto li verifica su Proust e si accorge che Proust usa molto la forma iterativa del racconto. Proust usa queste forme come se l’episodio si ripetesse molto spesso, anche se a volte descrive in forma iterativa delle scene che con tutti quei dettagli possono essere singolative. Eco e l’imperfetto L’imperfetto forma l’effetto nebbia. È interessante perché è iterativo e durativo allo stesso tempo, cioè durativo perché qualcosa stava accadendo nel passato, ma non in un momento preciso e non si sa quando l’azione sia cominciata. In quanto iterativo, l’imperfetto ci fa pensare che l’azione sia avvenuta molte volte. - Modo  cambiamento prospettiva da cui si raccontano gli stessi fatti. Comprende la distanza da cui si guardano gli eventi vicino o lontano. Si distingue in distanza e prospettiva. Una stessa sequenza di azioni può essere raccontata in vari modi, a seconda dalla distanza in cui viene visto l’evento e dalla prospettiva da cui lo si osserva. Due modi della regolazione narrativa. Io narratore decido se far vedere le cose da vicino o da lontano e da quale punto di vista dei personaggi. Questi due modi sono:  Distanza  da lontano si colgono delle cose degli eventi che da vicino non si possono vedere. E da vicino si colgono dettagli che da lontano non si possono cogliere. Il narratore può decidere con la sua voce di raccontare ciò che sta accadendo o può mostrarlo come una descrizione di una scena asettica che ha davanti (showing).  Prospettiva  dosaggio dell’importazione a seconda del punto di vista. Introduce la questione di chi vede nel racconto. Da tenere presente la differenza tra focalizzazione e narratore. Focalizzazione: chi guarda eventi del racconto. Nel testo letterio si può entrare anche nella testa dei personaggi. Ogni mezzo narrativo sviluppa le sue tecniche per informare il lettore di cosa sta avvenendo nella mente dei personaggi. In ambito letterario, le possibilità che si 35 danno al narratore di dosare l’informazione con un filtro di un punto di vista, quindi con la focalizzazione. Tre tipi di vocalizzazione:  Focalizzazione zero  forma comune in cui non c’è la limitazione sul punto di vista. Racconto somministrato a piacere da ogni punto di vista possibile e chi racconta la storia può entrare nella mente dei personaggi.  Focalizzazione interna  racconto dove ciò che noi vediamo come lettori coincide con il punto di vista di uno dei personaggi. Focalizzatore non per forza deve essere il narratore. Può essere una prospettiva: o Fissa  il punto di vista dei personaggi è sempre quello. o Variabile  quanto per una certa fase del racconto ci si fissa su una prospettiva dei personaggi e poi, ad un certo punto del racconto, il personaggio focale cambia. o Multipla  coincide con lo stesso episodio, però raccontato alternativamente dai personaggi. Per esempio, Eco analizza i Promessi Sposi come se si trattasse di una sceneggiatura cinematografica. Qualsiasi racconto faccia uso di movimenti di camera e di prospettiva che possono essere utilizzati per produrre delle identificazioni. A Genette interessavano le trasgressioni rispetto alla scelta di una certa focalizzazione. Differenza tra parallessi e parallissi:  Parallessi  significa dire di più rispetto ad una certa focalizzazione. Dire di più. Si resta in un regime di focalizzazione che deve delimitare l’informazione narrativa di ciò che dice o pensa un personagio. E poi fuoriescono i pensieri di un altro personaggio fuori dal campo visivo del nostro focalizzatore.  Parallissi  dire meno rispetto al regime di focalizzazione. Focalizzazione interna per cui tutto ciò che passa per la testa al personaggio è noto al lettore. Il racconto dice meno di quello che la focalizzazione definirebbe.  Focalizzazione esterna  punto di vista esterno dei personaggi. La scena è vista in modo soggettivo, senza entrare nella testa dei personaggi. Per esempio, nei racconti veristi di Verga o di Hemingway si ha quando entra in scena un nuovo personaggio e viene descritto nella sua apparenza, senza che vengano fornite varie spiegazioni. - Voce  stile, voce del narratore che cambia. Voce con cui viene raccontata la storia. Chi racconta la storia coincide con il focalizzatore. Anche lo sfasamento tra il punto di vista e la voce. Si suddivide in:  Livelli narrativi  tre piani del racconto. Voci incassate l’una nell’altra in base ai livelli narrativi. In una situazione narrativa normale, c’è sempre un narratore extradiegetico (sta fuori dalla storia, perché non è un personaggio del racconto ed è un narratore che racconta la storia). Questo introduce un altro livello 36 intradiegetico. Può essere che in un racconto intradiegetico, un personaggio prenda parola e racconti la sua storia e introduce un altro livello narrativo che si chiama mediadiegetico. Possiamo immaginare una situazione iperbolica in cui abbiamo una moltiplicazione extradiegetica di livelli ripetendo, per esempio la stessa filastrocca ripetuta. Se c’è una narrazione intradiegetica si pensa che ci sia anche un narratario intradiegetico. Ogni livello in cui si presuppone una voce narrante, pressupone il ruolo speculativo di chi lo ostacola, chiamato narratario extradiegetico, intradiegetico o metadiegetico. A Genette interessa spiegare tutte le trasgressioni della grammatica dei vari livelli. Da un livello diegetico all’altro è segnalato nel testo sottoforma di manoscritto ritrovato o stesura di una lettera,ecc. Così chi legge sa il punto del racconto. Genette segnala delle infrazioni a questa norma, in quanto ci sono casi in cui il passaggio di livello non è esplicito. Capita questo in Proust, in alcuni racconti. Queste trasgressioni possono essere:  Metalessi  trasgressione in cui il narratore extradiegetico fa incursione nel livello diegetico o viceversa. In letteratura, esempi come Balzac citato da Genette: come se la scena scorresse su uno schermo e la voce del narrante fuori campo, approffittando della pausa nell’azione narrativa, prende parola e racconta, mentre la scena, nell’universo intradiegetico continua a scorrere. Manifestazioni più evidenti, quando viene usata per produrre circuiti diversi tra i livelli narrativi. Per esempio, quando un personaggio fa parte del livello intradiegetico, esce dalla sua cornice e agisce sul mondo extradiegetico.  Mise en abyme  gioco di livelli. Nell’arte occidentale è una tecnica in cui un’immagine contiene un’altra immagine e così via. Sfruttata da una vecchia pubblicità del cacao e da altre situazioni analoghe. In ambito letterario, procede con la storia nella storia. Per esempio, casi in cui la storia viene raccontata nel livello intradiegetico e usata per illustrare la storia che la incornicia (livello extradiegetico). La ritroviamo, per esempio, in Amleto. Usata molto in narrazioni post-moderne.  Persona  figura del narratore, colui che parla. Può essere uno dei personaggi che racconta la storia. Il racconto che il narratore sta producendo, parla di eventi in cui il narratore stesso è stato coinvolto in prima persona o parla di faccende che non lo riguardano come personaggio? La differenza tra narratore eterodiegetico, persona che non partecipa alla storia che non partecipa alla storia che racconta e il 37 può linguisticamente ricostruire, ma hanno anche una referenza, cioè il riferimento di penna può essere tutti gli oggetti del mondo concreto e che rispondono a quelle caratteristiche linguistiche di penna. Ci sono altri segni come il pronome “Io” che cambiano di referenza a seconda di chi lo dice. I pronomi personali, sono l’ossatura di ogni situazione enunciativa. Attorno alla situazione enunciativa elementare si costruisce tutta la situazione comunicativa. 18/03/20 Metalessi La metalessi per Genette è un inscatolamento di livelli narrativi. Racconto livello intradiegetico presuppone una voce esterna, il narratore extradiegetico, ma si può aprire anche un altro livello narrativo chiamato intradiegetico. Metalessi è una delle possibili infrazioni. Ogni volta che si passa da un livello all’altro, questo passaggio è segnalato e non c’è interferenza tra un livello e l’altro. Narratore extradiegetico non interagisce con i personaggi del mondo intradiegetico. Metalessi d’autore: livello diverso da quello che si muove il narratore. Meno smaccata ed evidente perché non c’è bisogno che il narratore tiri gli altri personaggi che vivono in quell’universo narrativo. Il tempo della narrazione scorre con il tempo della storia. Avviene interazione anche a livello dell’azione narrativa. Metalessi narrative in cui il narratore fa finta di interpretare le azioni che sta svolgendo. Metalessi riguarda tutti tipi di Circolazione indebita di tutti i livelli narrativi. Attraversamento di cui si parla e dal quale si parla, mondo esterno del narratore. Effetto che produce la metalessi: l’inquietudine 40 Per molti studiosi crea qualche grado di inquietudine. Intorno a questi temi si sviluppa una cornice generale riguardo ai ruoli narrativi che si scrivono in un discorso. Enunciazione di Benveniste Per ogni narratore c’è sempre un corrispettivo narratario sullo stesso livello del narratore. Tutte queste riflessioni sui ruoli comunicativi del narratore e del narratario vengono studiati da Benveniste, che fa uno studio sull’enunciazione che è un campo di studi in cui ci si occupa sul fatto che un discorso presuppone sempre il soggetto che lo enuncia. Come è possibile ricavare il ritratto del soggetto dell’enunciazione, a partire da ciò che si legge nel testo. Per Benveniste, il meccanismo di linguaggio è dovuto dal fatto che mantiene all’interno dei segni vuoti, a partire dai pronomi personali io e tu che sono non referenziali. Io è un segno vuoto che si riferisce alla situazione di enunciazione, la quale viene di volta in volta riempita da chi lo enuncia e viene riempita di chi si impossessa della lingua. Io presuppone sempre un tu a cui io si rivolge. Anche se parla con se stesso sta parlando con qualcuno e l’altro io è se stessi. Questi segni deittici servono a saturare la lingua e a renderla viva e utilizzabile in concreti atti comunicativi. Questa riflessione serve per riflette sui diversi modi in cui ci si può rappresentare come io in un discorso e contemporaneamente costruire il proprio interlocutore già includendolo nel discorso. 41 Ci sono casi in cui soggetto io che parla si nasconde dietro la superficie del testo, nasconde tutte le tracce della sua presenza e sembra che il linguaggio si parli da solo. Riflessioni nate da un’anomalia del sistema verbale francese che è ridondante, almeno riguardo ad un punto. Enunciazione storica e discorsiva La lingua scritta e parlata sono diverse, perché queste due forme verbali (passato remoto per lo scritto e passato prossimo per il parlato) appartengono a due regimi enunciativi distinti. - Enunciazione storica  che usa il passato remoto. Usa strategie oggettivanti. Soggetto sparisce dalla superficie oggettiva del testo e sembra che gli eventi si raccontino da soli. Forma storica presente in libri storici dove è difficile che lo storico entri in prima persona. Questa scelta di usare un regime oggettivante, ha anche una funzione retorica perché da l’impressione che i fatti si raccontano da soli, il che significa che da un discorso di naturalezza, come se non ci fossero filtri tra i fatti che scorrono davanti agli occhi del lettore e colui che li ha ricostruiti. Quel filtro percettivo e cognitivo che ha elaborato gli avvenimenti scompare dalla scena. Tutte le tracce della mia presenza le tolgo, così il lettore pensa che le cose siano andate senza dubbi così come il lettore le legge. -Enunciazione discorsiva  che usa passato prossimo. Passato prossimo e presente si combinano meglio con l’uso dell’io parlante e ci si rivolge anche ad un tu. Parlare enfatizzando: presenza del soggetto e del suo enunciatario. Utilizzata anche per scopi retorici per influenzare l’Auditorio. Per esempio con esplicitazione delle Marche dell’enunciazione, usata per sottolineare la presenza dell’enunciatore se questa è persona autorevole. Il destinatario non può mettere in discussione ciò che gli viene detto. Nel corso degli anni 70 si sviluppa un filone di studi semiotici che hanno per oggetto le strategie enunciative che ogni discorso è in grado di istituire e che le presuppone. Da l’idea di ricostruire dalle tracce dell’enunciazione che il soggetto lascia nel discorso. Si ricostruisce una specie di rappresentazione che il soggetto fa di se stesso attraverso gli enunciati che produce. Ci sono delle tecniche per estrapolare dal testo questi ritratti del soggetto dell’enunciazione e del suo enunciatario. Per esempio nelle fiabe orali, l’enunciazione è orale. Nelle fiabe scritte, invece il regime enunciativo è storico anche se non è sempre così, perché a volte si usa il passato prossimo (tracce di oralità). Nel caso di regime storico nelle fiabe ci sono delle frasi conclusive in regime di enunciazione discorsiva. Dopo essersi dimenticato il lettore del soggetto dell’enunciazione, si rivolgeva al narratario, dopo essere entrato nel livello intradiegetico della storia e aver finto di assistere a quegli eventi come se avvenissero sotto agli occhi di chi stava ascoltando, fa ritornare il lettore in questa dimensione narrativa dove è chiamato in causa. I semiologici degli anni 70 e 80 sono andati a vedere come in un racconto si possano ricavare le tracce e le immagini di questo narratore che parla di sé, attraverso le storie che racconta. Autore che fisicamente produce l’opera. Ma dal punto di vista della narratologia strutturale, che ha come dogma, che deve rispettare l’immanenza dell’opera, senza farsi distrarre da fattori extralinguistici (identità dell’autore o contesto storico effettivo di produzione opera, ecc). Si segue il metodo di Benveniste: si guarda nel testo quali sono le impronte digitali dell’istanza di enunciazione e a partire da queste tracce ricaviamo tutti i riferimenti ad un ipotetico enunciatore. Questo soggetto dell’enunciazione potrebbe essere diverso dall’autore empirico che ha scritto l’opera. Si può applicare ciò anche ai testi visivi, per esempio: Uncle Sam dove c’è un’evidente forma di enunciazione tra un io e un tu a cui ci si rivolge. Il manifesto dello zio Sam creato 1917, nella 42 Il narratore si può analizzare a seconda delle strutture che vengono prodotte su uno che poi si calerà nei panni del lettore comunicativo. Todotorov testo: - C’è una prospettiva che si interessa ai lettori nelle loro variazioni sociali, storiche, collettive e individuali; proprio una sociologia o psicologia della lettura, quello che effettivamente accade quando dei lettori reali leggono determinati testi. - La seconda è più semiotica e si occupa dell’immagine del lettore così com’è rappresentata in certi testi, cioè il lettore come personaggio o narratario, ma di più; c’è un’area inesplorata tra il lettore, come lettore empirico reale e il lettore come narratario. In mezzo c’è il dominio della logica della lettura; sebbene non sia rappresentata nel testo, tuttavia è anteriore alle logiche individuali. La logica della lettura si riferisce alle operazioni mentali che un lettore reale, che si mette nei panni di un lettore ideale, è tenuto a compiere nel momento in cui si trova davanti ad un testo. L’intercapedine tra il lettore empirico e l’autore empirico, è uno spazio strategico molto studiato negli anni 60-70. Simulacri che istituiscono il ruolo dell’enunciatario, ma comprendono il ruolo del lettore così come lo incanaliamo noi nel testo. Opera Aperta di Umberto Eco (1962) Di tutte queste figure ci soffermeremo solo su quella di Umberto eco. Opera aperta dà il via a tutte le considerazioni nel 1962. Libro pre semiotico. Raccolta di saggi redatti tra il 58 e il 62 in cui eco mette a fuoco il concetto di opera di un testo, a partire dall’analisi di un testo di avanguardistica artistica che ha come denominatore comune il fatto che sono strutturati in modo intenzionalmente determinato e inducono il destinatario a lavorare più di quanto non debba lavorare davanti ad un opera tradizionale. Che cosa intende per apertura di un testo;ci sono tre gradi: - Concetto di opera aperta formulato per rendere conto del funzionamento comunicativo di una categoria ristretta di avanguardie artistiche. Analizzando questi testi/opere aperte eco si rende conto che anche le altre opere, strutturalmente più chiuse come un romanzo tradizionale, nel momento in cui vengono riconosciuti come testi con una funzione estetica, per lo meno secondo l’idea 900, secondo cui un’opera dipende dalla sua capacità di generare un numero aperto di interpretazioni possibili, anche per esempio un romanzo come i Promessi Sposi può considerarsi un’opera aperta. Struttura volutamente indeterminata novecentesca. - Il valore estetico dipende dalla capacità di generare un numero indefinito di letture diverse. Qualsiasi testo a cui venga riconosciuta una funzione estetica. Atteggiamento di apertura che l’interprete si predispone ad assumere nei confronti di qualsiasi testo con funzione poetica o estetica. - Terza apertura che coinvolge qualsiasi atto comunicativo che può essere considerato fino ad un certo punto aperto nella misura in cui solletica il destinatario a farsi coautore del testo, per esempio cooperando gli impliciti. Incompletezza e indeterminatezza insite anche nei testi non artistici. Con queste riflessioni Eco sviluppa quella che poi sarà la teoria della interpretazione. Eco dice: un testo è incompleto ma si riempie nel momento in cui il lettore riempie gli spazi vuoti. Senza interprete in grado di leggere quel testo, quel testo non comunicherebbe nulla, senza il lettore competente. Tesi di Eco secondo cui il testo non solo non può comunicare niente ma non significa anche niente se non virtualmente. 45 Il significato non c’è nel testo, esistono solo virtualmente ma hanno bisogno di un interprete competente il cui testo non significa niente. Eco dice anche che: il testo è un meccanismo pigro che gli serve qualcuno che lo faccia girare, solo in questo modo il testo funziona in punto di vista del significato. Testo strutturato in maniera tale da incoraggiare il lettore a compiere delle mosse interpretative anziché che altre. Testo come un gioco strategico. Il testo è disseminato di tracce che anche mirate ad incanalare le ipotesi del lettore in certi percorsi interpretativi più o meno stabilito a monte. Esistono testi aperti e chiusi. Chiusi come gli orari ferroviari che non si prestano a molte interpretazioni diverse, ma interpretazione più univoca. Aperti danno molto spazio al lettore di interpretazione. Come fa il testo a vincolare le mosse del lettore? Eco dice che chi scrive qualsiasi testo, ha sempre in mente un tipo ideale di lettore che, non è detto che debba esisterne uno che coincida perfettamente al lettore ideale che prevede l’autore. Quando noi produciamo qualsiasi atto comunicativo, noi costruiamo questo nostro testo immaginandoci le competenze del lettore ideale dotato di caratteristiche che lo rendono in grado di cooperare con noi tramite il testo per conferire un senso alla superficie espressiva. Poi è sempre possibile che il lettore empirico fraintenda il testo. Eco la definisce decodifica aberrata. Se il testo vuole farsi capire in maniera più chiusa per evitare fraintendimenti,deve introdurre una ridondanza di tracce in modo tale che se qualcuna non viene trovata, le altre sicuramente verranno individuate. Più c’è ne sono più si chiude l’interpretazione. Vari modi per introdurre la ridondanza che chiude il testo, per esempio i segnali di genere, suspense, appelli diretto, ecc Introduzione dei due simulacri a cui Eco si riferisce nei ruoli: - Lettore modello  che il testo prevedere come lettore ideale e che il testo cerca di costruire. - Autore modello  è un po’ come il soggetto dell’enunciazione. Cabina di regia del testo. Voce che parla affettuosamente, subdolamente, ecc con noi e che ci vuole al suo fianco. Voce si mostra come funzione narrativa. 23/03/20 Lettore modello e il suo versante corrispettivo modello Per Umberto Eco il lettore modello è un lettore tipo; lettore ideale che il testo prevede come collaboratore e che contribuisce a costruire, fornendo tutte quelle competenze necessarie per interpretare adeguatamente il testo. Autore modello è voce che parla affettuosamente, subdolamente, ecc. con un certo registro stilistico che si rivolge a noi lettori che ci vuole al proprio fianco: strategia narrativa; serie di istruzioni che ci vengono impartite ad ogni passo, a cui ubbidiamo quando decidiamo di seguire le istruzioni impartire dal testo. Lettore modello strategia interpretativa che deve capire che gioco sta istituendo il racconto con il proprio lettore. Lettore che cerca di capire come il testo sta giocando con lui. 46 Lettore ingenuo e lettore critico (Eco) Lettore ingenuo di primo livello che torna sui suoi passi e si interroga sul modo in cui il testo lo ha indotto a interpretare il testo. Lettore modello ingenuo di primo livello che vuole sapere come va a finire la storia e, un lettore modello di secondo livello che si chiede quale tipo di lettore quel racconto gli chiedessi di diventare e vuole scoprire come proceda il lettore modello che procede passo per passo. Lettura critica/meta lettura, che ha come interesse le strategie con cui questa trama è stata costruita e strategicamente gestita dal testo. Lettura troppo consapevole per divertirsi leggendo. Idea che in alcuni casi la strategia del lettore modello prevede una lettura di secondo livello e in altri casi no, può essere materia di riflessione anche per le fiabe. Schema livelli di cooperazione testuale Nel Lector in fabula, testo del 1979, Eco amplia la nozione di lettore modello in uno schema dei livelli di cooperazione testuale. Concetto di lettore modello scomposto nei vari aspetti. Livelli di cooperazione testuale corrispondono ad altre operazioni testuali cognitive che il lettore compie, nella misura in cui si identifichi con il lettore modello quando si trova davanti al testo da analizzare. Operazioni che avvengono nella mente del lettore quando sta interpretando un testo, seguendo le indicazioni che gli fornisce il testo. Le freccette dello schema non significa che il lettore prima fa una cosa e poi un’altra. Eco intende che quando leggiamo tutte queste cose le facciamo simultaneamente. Distinte solo per una motivazione espositiva. - Espressione  manifestazione del testo. Quello che noi leggiamo. L’unica cosa che il testo ci fornisce. Sequenza dei segnetti grafici sulla pagina. Livello realmente presente nel testo. La prima cosa che deve fare il lettore di fronte alla manifestazione lineare del testo, capire in che lingua è scritto il testo; quali sono i codici e i sottocodici che permettono di saturare di senso la manifestazione espressiva. È costituita in:  Codici e sottocodici  tutte quelle competenze che il lettore possiede per poter cooperare adeguatamente con il testo, cioè per cominciare a calarsi nei panni del lettore modello, ovvero della strategia narrativa del testo. Prevedono:  Un dizionario di base  lingua  Regole di coreferenza  competenza sintattica di chi sa bene una lingua ed è in grado di agganciare i pronomi alle parti precedenti del testo e di creare una coesione sintattica del testo. Regole grammatica e sintassi.  Selezioni contestuali e circostanziali  se noi prendiamo qualsiasi parola, per esempio leone, ha statisticamente molte sfumature e significati, ma che il nucleo comune di proprietà semantiche che si trovano e vengono usati per lo più sono animale e felino, cioè significato denotativo. Pero a seconda del contesto in cui la parola viene usata, può assumere connotazioni o significati diversi, se nel 47 o Strutture attanziali  man mano che il lettore ricostruire fabula capisce ki è il soggetto, antisoggetto, destinante, opponente, ecc. o Strutture ideologiche  intrinseche al testo, anche se sono attivate con operazioni di fuoriuscita dal testo. Sono attribuzioni di valori postivi o negativi alle grandi opposizioni semantiche che formano impalcatura del testo. Nel momento in cui si proiettano valori negativi e postivi su queste strutture semantiche di fondo, diventano strutture ideologiche. Tutto ciò che viene saturato in quelle strutture virtualmente presenti nel testo, ma che prendono vita nel momento in cui grazie all’intervento del lettore che seguendo le istruzioni di interpretazione si cala nel lettore modello, queste strutture vengono saturare di senso. Ideologia: attribuzioni assiologiche a delle opposizioni semantiche.  Estensioni sono tutte le volte che per poter attribuire significato al testo, il lettore è incoraggiato a uscire dal testo e perlustrare le sue competenze per recuperare informazioni che riguardano mondo esterno al testo per poi ritornare nel testo carico di queste conoscenze sul mondo esterno che porta nel testo e che permette a questo mondo di prendere vita. Il lettore si chiede se questo testo si riferisce a mondi o individui attribuiti al mondo reale o ad un mondo diverso. Lettore applica ipotesi di riconoscimento di una possibile identificazione del mondo virtuale con il mondo reale; se io ancora non so se questo è un racconto di finzione o no, io comincio a leggerlo come se il resto si riferisse agli stessi eventi o agli stessi oggetti che corrispondono agli stessi oggetti che io potrei trovare nel mondo reale. Estensioni parentetizzate  primi movimenti/fuoriuscite dal testo che il lettore compie per saturare i contenuti narrativi di quel testo sono estensioni che presuppongono un’identità di fatto tra mondo narrativo e mondo di riferimento reale. 24/03/20 o Previsioni e passeggiate inferenziali  il lettore avanza delle ipotesi. Disgiunzioni di probabilità, per parlare di ativita previsionale in cui è coinvolto il lettore. Punti del testo in cui è verosimile immaginarsi che la storia possa procedere o in un modo o in un altro ancora. Situazione in cui il lettore è solleticato a chiedersi cosa succede ora. Puntini di sospensione, virgolette, ecc. Eco rappresenta queste attività inferenziali come degli snodi ferroviari. o Strutture di mondi  operazione principale. Man mano che procede nella lettura, il lettore riempie il mondo narrativo di elementi che lo rendono il piu completo possibile. 50 Narrative artificiali e naturali Eco si riferisce a questa distinzione tra mondi reali e narrativi con terminologia di Van Dyke: - Narrative artificiali  fiction. Usano segnali di funzionalità per ingannare il lettore e credersi narrative reali. - Narrative naturali  costituiscono racconti a mondi che sono sovrapponibili con il mondo reale del lettore. Non sempre si capisce dalla superficie espressiva se un testo sia una narrativa artificiale o naturale. Eco fa un esperimento nelle passeggiate per cercare di analizzare alcuni brani; alcuni sono più facili altri più difficili. Per esempio tempi difficili di Dickens è artificiale. Lo capiamo leggendo il testo. Mentre epoche della storia Modern di Ranke è naturale. Sei brani. Vedi slide con esempi. - Narrativa naturale - Narrativa artificiale - Narrativa artificiale Esempio: La guerra dei mondi  mancanza di interpretazione. Era vista come un notiziario, in realtà era una stazione radiofonica che raccontava storie tratte da la guerra dei mondi. Patto referenziale Impegno che un testo vuole da noi a seconda che si tratti di una narrativa artificiale o naturale. Il resoconto fattuale chiede al proprio destinatario di concedergli la sua fiducia e in cambio gli permette di dirgli la verità. Il patto stipulato dall’esecutore (E) si articola in quattro clausole che il destinatario (D) è libero di accettare o di rifiutare: - Il discorso di E riguarda fatti realmente accaduti  Cose che si leggono ora, sono realmente accadute. - E è in grado di fornire prove o ragioni circa la verità di ciò che racconta  Non solo ti sto dicendo le cose accadute, ma ti dimostro che sono vere. - E crede alla verità di ciò che racconta  Io ti sto dicendo ciò che credo sia vero. - L’esecutore vuole che anche il destinatario creda alla verità del racconto. Se una di queste clausole viene violata cosa succede? Si passa da una narrativa naturale ad una artificiale. Se viene violata la prima clausola: gli eventi sono stati raccontati in un modo, ma in realtà si sono svolti in un altro. Sempre la narrativa naturale salvo che si sta sbagliando ma non per questo diventa finzione. Seconda clausola violata: quando manca la dimostrabilità di fatti, siamo sempre nella narrativa naturale salvo che non vengano dimostrati. Diceria, leggende metropolitane, ecc. circolano informazioni per sentito dire. 51 Terza clausola violata: manca buona fede dell’autore. Menzogna. Si dice qualcosa di falso sapendo che è falso, ma è comunque una narrativa naturale, anzi c’è spazio per la menzogna. Quarta clausola violata: autore vuole che anche che il lettore creda alla verità del racconto. Se viene a mancare meno l’intenzione dell’autore di far credere alla verità di ciò che racconta, si passa al dominio della finzione. Patto finzionale Gioco della finzione. Definito da Coleridge: “la sospensione volontaria dell’incredulità”. Finché mi trovo nel perimetro narrativo si sospende l’incredulità. Significa non applicare gli stessi criteri di verifica che si applicano per capire se ci sta dicendo la verità. Perché dentro a questo perimetro la menzogna non ha valore. Si stabiliscono il perimetro di gioco e le regole di gioco e nelle regole si stabilisce anche il criterio di verosimiglianza. I diversi generi narrativi stabiliscono la soglia della verosimiglianza. Privilegio alerico delle narrative artificiali Quando la sospensione dell’incredulità ci riesce, si verifica una risposta di natura psicologica ed emotiva che spiega un po’ la soddisfazione che noi proviamo a leggere racconti di finzione. Con la fiction questo non è possibile perché questa è la funzione terapeutica della narrativa artificiale. Grazie a questo privilegio aletico riusciamo a distinguere quando è il caso di smettere di cooperare con il testo. 27/03/20 Lector in fabula in cui Eco distingueva tra intensioni ed estensioni. Estensioni Operazioni con cui il lettore attualizza i contenuti andando ad attingere nelle sue conoscenze del mondo reale e a dei testi che ha già fruito. Conoscenze necessarie per saturare il testo e colmare gli impliciti testuali. Estensioni parentetizzate, applicate a “La sentinella” di Frederick Brown. Si costruisce mentalmente la situazione. Situazione di scontro con popolazioni aliene. Noi, per estensioni parentetizzate, sino alla fine del racconto, abbiamo trapiantato le nostre conoscenze e aspettative per saturizzare i contenuti. Dando per scontato che il soggetto di cui si parla sia una creatura simile a noi dove doveva per forza essere lui l’umano e gli altri gli extraterrestri. Invece solo alla fine siamo stati in grado di formulare un’ipotesi definitiva riguardo al mondo narrativo che stavamo contribuendo a costruire secondo le indicazioni ricevute dalla comunicazione narrativa del testo. Solo alla fine abbiamo capto che il protagonista era l’alieno, e l’alieno dalla sua prospettiva era un umano. Testo che gioca con le aspettative del lettore per portarlo ad un’errata attività previsionale. 52 Mondo possibile narrativo o della fiction narrativa. In che modo un enunciato (per es. la slide). Sappiamo che questo è falso nel mondo reale, in quanto i personaggi non sono realmente esistiti. È vero invece all’interno del mondo finzionale stipulato da Shakespeare. A partire da ciò alcuni autori, come Lubomìr Doležer distingue tra testi che raffigurano un mondo che già c’è (world-imaging texts; narrative naturali) e testi che costruiscono i propri mondi (world- constructing texts; narrative artificiali). Narrative artificiali precedono i mondi ed è un’attività testuale che costruisce e popola il mondo narrativo. Narrative naturali si tengono il mondo così com’è e si limitano a descriverne i tratti principali. Come si distinguono questi mondi costruiti dalle narrative artificiali dai mondi possibili della logica? Mentre i mondi della logica sono soggetti a delle costrizioni alle quali non ci si può sottrarre. Nel caso delle narrative artificiali si può costruire un mondo narrativo in cui un personaggio, per esempio incontra se stesso in una fase anteriore; contraddice principio logico. Mondo contradditorio non potrà essere spiegato dettagliatamente. Noi accettiamo che in quei mondi accadono delle cose per cui non chiediamo delle spiegazioni logiche, sennò verrebbe meno il patto finzionale. Patto finzionale  sospensione dell’incredulità è anche ciò che ci avverte di non chiedere più spiegazioni che le cose avvengano in questa determinata maniera. Bisogna accettare a scatola chiusa quelle contraddizioni che conseguono dall’accettazione delle regole del gioco che il testo propone. Eco, riguardo a ciò parla dell’atteggiamento superficiale e flessibile tipico del racconto di finzione. Altra differenza con i mondi possibili della logica è che, i mondi narrativi sono mondi pieni popolati da individui sia umani che non che sono legati tra loro da rapporti di coodipendenza reciproca, mentre i mondi della logica sono mondi vuoti che servono a compiere certe operazioni. Agli individui dei mondi possibili narrativi vengono appesi delle identità semantiche che man mano costruiscono i personaggi e i mondi. Mondi possibili narrativi, sono costruzioni che vanno via facendosi man mano che il testo fornisce elementi narrativi in più che permettono al lettore di costruirsi un’immagine mentale di questi universi sempre più articolati. Il testo non fornisce tutti gli elementi per ammobiliare tutto il mondo, lo fa il lettore mentalmente. Negoziamo con il testo su qual è il mondo narrativo che ci si può immaginare di aver di fronte. Anche il mondo reale è soggetto a rivisitazioni e modifiche. Anche rappresentazione del mondo reale è un costrutto culturale. La differenza tra mondo di riferimento attuale e il mondo della finzione, è che il mondo di riferimento naturale è molto complesso perché comprende tutte le interpretazioni (anche contradditorie), i mondi possibili della narratività, sono mondi incompleti (non hanno bisogno di ricostruire tutto il mondo ogni volta), in quanto c’è un numero limitato di cose che si possono dire attorno agli oggetti finzionali che lo popolano, perché un oggetto finzionale, esiste in quanto 55 descritto dal testo. E tutto ciò che noi possiamo sapere riguardo quell’oggetto dipende da ciò che il testo è disposto a dirci, tutto il resto travalica le conoscenze che si possono legittimamente ricavare dal testo, di modo che i mondi finzionali sono mondi incompleti. Mondi incompleti Loro incompletezza dimostrata da una verifica relativamente semplice; solo alcuni enunciati sono concepibili riguardo alle entità finzionali sono decidibili, mentre altre non lo sono. Nessun testo riesce a costruire un mondo finzionale completo, perché su numerosissimi dettagli il testo taglia le informazioni. Oltre ad essere incompleti, sono anche parassitari rispetto al mondo di riferimento attuale. Sono parassitari in quanto, se il testo non specifica delle qualità alternative, il lettore può dare per scontato le proprietà enciclopediche generali che attribuirebbe al mondo dell’esperienza reale. Esempio: Se un testo narrativo ci parla di un fiume, noi diamo per scontato che il testo parlerà di un fiume fatto di acqua. Ciò che è diverso dal mondo reale, spetta al testo narrativo di fornire quegli indizi specifici, affinché il lettore faccia le corrette inferenze necessarie per ammobiliare volutamente il testo. Quando comincia a leggere, il lettore parte dal presupposto che la realtà scritta dal testo assomigli al testo di riferimento e quest’assunzione viene data per buona fino a che non avviene una deviazione significativa; finche il testo non dice chiaramente che si discosta dal mondo reale. E come si può discostare? Ci sono gradi diversi di discostamento dal mondo finzionale al mondo reale dell’esperienza. Secondo Eco ci sono 4 tipi di mondi possibili: - Mondi possibili verosimili  mondi che possiamo concepire senza essere costretti ad alterare alcune delle leggi fisiche generali che riconosciamo nel mondo di riferimento. Sono mondi finzionali, in cui a parte l’esistenza di qualche personaggio sovrannumerario (personaggio in più rispetto a quelli che siamo disposti a riconoscere nel mondo reale), tutto il resto accade come ci si aspetterebbe nel mondo reale (scritti storici). - Mondi possibili inverosimili  è presente la magia. (fiabe) infrangono le rappresentazioni storiche e alcune nozioni fisiche ed enciclopediche di base. Richiedono al lettore un grado maggiore di flessibilità e superficialità. Il lettore deve passar sopra ad un certo numero di incongruenze senza cerca di avere delle spiegazioni plausibili su come sia possibile, per esempio che gli animali parlino, ecc. (fantasy) - Mondi possibili inconcepibili  la logica modale si rifiuta di considerarli come mondi possibili. Mondi in cui potrebbero esistere un cerchio quadrato, il più alto numero primo o A non è A. mondi logicamente contradditori in cui noi non possiamo realmente rappresentarci. - Mondi possibili impossibili  sottocategoria di mondi possibili inconcepibili. Il lettore è in grado di concepire quanto basta per rendersi conto che questi mondi sono impassibilmente mondi logicamente contradditori. Mondi paradossali. 56 57
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved