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Sensazione e percezione, Sintesi del corso di Psicologia Generale

La differenza tra sensazione e percezione, due attività distinte che permettono di registrare, interpretare e innescare azioni a partire dalle informazioni provenienti dal mondo esterno. Vengono analizzati i fenomeni sensoriali e la psicofisica, ovvero il metodo per misurare la forza di uno stimolo e la sensibilità del soggetto a quello stimolo. In particolare, viene descritta la misurazione dei livelli di soglia e la rilevazione del segnale. Viene inoltre sottolineato come la percezione sia diversa per ognuno di noi e come sia difficile misurarla.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 24/05/2022

laura-mengarelli
laura-mengarelli 🇮🇹

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Scarica Sensazione e percezione e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! CAPITOLO 4: SENSAZIONE E PERCEZIONE La sensazione e la percezione sono due attività distinte Le informazioni arrivano dal mondo esterno, vengono registrate, interpretate e innescano qualche tipo di azione. Gli psicologi sanno che sensazione e percezione sono due attività distinte. - La sensazione è la semplice consapevolezza della stimolazione di un organo di sesnso. È la pura e semplice registrazione della luce, del suono, della pressione, ecc. - Dopo che una sensazione si registra nel sistema nervoso centrale, a livello cerebrale ha luogo la percezione cioè l’organizzazione, identificazione e interpretazione di una sensazione in modo tale da formare una rappresentazione mentale. Quindi sensazione e percezione sono eventi collegati ma distinti. Tutti sappiamo che i fenomeni sensoriali comprendono vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Nonostante la loro molteplicità tutti i sensi dipendono dal processo di trasduzione, che ha luogo quando i sensori corporei convertono i segnali fisici provenienti dall’ambiente in segnali neurali inviati al sistema nervoso centrale. La psicofisica È affascinante considerare la possibilità che le nostre percezioni elementari di suoni e immagini visive possano differire in maniera fondamentale da quelle degli altri. Ogni tipo di indagine scientifica ridiede misurazioni oggettive. Gli strutturalisti cercarono di usare l’introspezione per misurare le esperienze percettive, ma fallirono. Dopotutto potete descrivere a parole la vostra esperienza a un’altra persona, ma quella non può sapere direttamente che cosa voi percepite. Nessuno di voi può percepire direttamente l’esperienza che l’altro fa dello stesso evento. Dando per scontato che la percezione è diversa per ognuno di noi, come potremmo mai sperare di misurarla? A questa domanda rispose Fechner. I suoi sforzi lo condussero a sviluppare un metodo per misurare la sensazione e la percezione, la psicofisica, cioè un metodo che misura la forza di uno stimolo e la sensibilità del soggetto a quello stimolo. In un tipico esperimento di psicofisica, i ricercatori chiedevano alle persone di formulare un semplice giudizio, ad esempio se erano in grado di vedere o no un impulso luminoso, quindi mettevano in relazione lo stimolo misurato, ad esempio la luminosità della luce, alla risposta affermativa o negativa di ogni soggetto. La misurazione dei livelli di soglia Gli psicofisici iniziarono il processo di misurazione con un unico segnale sensoriale per determinare con precisione quanta energia fisica è necessaria a suscitare una sensazione in un osservatore. La misura minima psicofisica è la soglia assoluta ovvero l’intensità minima di uno stimolo necessaria alla semplice rilevazione sensoriale. Nel cercare d’individuare la soglia assoluta della sensazione, i due stati in questione sono il percepire e il non percepire un qualche stimolo. La soglia assoluta è utile per stabilire il grado di sensibilità rispetto a stimoli lievi, ma nella vita quotidiana la percezione si risolve il più delle volte nel rilevare differenze fra stimoli che sono ben al di sopra della soglia assoluta. Per misurare la soglia differenziale, Fechner suggerisce di usare la JND (just noticeable difference) o differenza appena rilevabile, cioè il più piccolo cambiamento d’intensità di uno stimolo che il soggetto riesce a rilevare. La JND non è una quantità fissa, al contrario dipende dall’intensità degli stimoli che si misurano e dal particolare senso che viene misurato. Prendiamo per esempio la misurazione della JND relativa a uno stimolo luminoso. Ad un osservatore posto in una stanza buia viene mostrata una luce di intensità fissa detta standard, accanto una luce a confronto che è leggermente più luminosa o più tenue di quella standard. Quando S è molto tenue, i soggetti riescono a percepire persino una differenza minima di luminosità tra le due luci, la JND + piccola; quando invece S è molto luminosa, occorre un aumento molto maggiore nello stimolo di confronto per notare la differenza, la JND allora è più grande. È possibile calcolare la differenza appena individuabile relativa a ognuno dei sensi. Approssimativamente essa è proporzionato alla grandezza dello stimolo standard. Questa relazione fu notata da Weber. Fechner applicò l’intuizione di Weber direttamente alla psicofisica, e ne derivò una relazione formale detta legge di Weber secondo cui la differenza appena individuabile di uno stimolo rappresenta una proporzione costante nonostante le variazioni d’intensità. Nel calcolare una soglia differenziale quello che importa è la proporzione tra la grandezza e gli stimoli; la grandezza della differenza, che si tratti di luminosità, sonorità, peso, è irrilevante. Rilevazione del segnale La misurazione della soglia assoluta e differenziale richiede un presupposto critico: che esiste una soglia. Tuttavia buona parte di ciò che gli scienziati sanno sulla biologia suggerisce che un simile cambiamento netto nel cervello, del tipo tutto o niente, sia poco probabile. Gli esseri umani non passano improvvisamente e rapidamente dalla percezione alla non percezione, ricordate, invece, che il passaggio dal non sentire al sentire è graduale. Ricordate, una soglia assoluta viene definita termini operativi come la percezione di uno stimolo nel 50% dei casi. Il che significa che nell’altro 50% dei casi lo stimolo non viene rilevato. Secondo la teoria psicofisica, nota come teoria della rilevazione del segnale, la risposta ad uno stimolo dipende sia dalla sensibilità del soggetto allo stimolo in presenza di rumore che dal suo criterio di risposta. In altre parole, i soggetti considerano l’esperienza sensoriale evocata dallo stimolo e la confrontano con un criterio interno di decisione. Se l’esperienza sensoriale è superiore al criterio interno, il soggetto risponde “si”, se invece è inferiore al criterio, il soggetto risponde dicendo “no, non rilevo lo stimolo.” In un esperimento di rilevazione del segnale il soggetto deve ogni volta decidere se ha visto la luce oppure no. Se la luce viene mostrata e l’osservatore risponde si, il risultato è successo. Se la luce viene presentata e il soggetto dice no, è insuccesso. Tuttavia, se invece lo stimolo viene presentato e il soggetto risponde no, allora si ha un rifiuto corretto. La teoria della rilevazione del segnale propone un metodo per misurare la sensibilità percettiva, cioè con quanta efficienza il sistema percettivo rappresenta gli eventi sensoriali, indipendentemente dalla strategia decisionale del soggetto. L’adattamento sensoriale L’adattamento sensoriale è il fenomeno per cui la sensibilità ad una stimolazione prolungata tende col tempo a scremare perché l’organismo si adatta alle condizioni in cui si trova. L’adattamento sensoriale è un processo utile alla maggior parte degli organismi. I nostri sistemi percettivi reagiscono in maniera più forte ai cambiamenti nella stimolazione che alla stimolazione costante. Uno stimolo che non cambia solitamente non richiede nessuna azione, invece un cambiamento di stimolazione spesso segnala la necessità di agire. La visione I: gli occhi e il cervello convertono le onde luminose in segnali neurali L’acuita visiva cioè la capacità di vedere i dettagli fini, corrisponde alla riga di lettere più piccola che il soggetto medio può leggere da una stanza di circa 6 metri. Il vostro sofisticato sistema visivo si è evoluto in modo da trasdurre l’energia luminosa dell’ambiente in segnali neurali nel cervello. Gli esseri umani hanno negli occhi dei recettori sensoriali, che reagiscono alle diverse lunghezze d’onda dell’energia luminosa. Per comprendere la visione bisogna iniziare col comprendere la luce. La sensazione della luce La luce visibile non è altro che la porzione dello spettro elettromagnetico che noi siamo in grado di vedere. Le onde luminose possiedono tre proprietà: la lunghezza di un’onda luminosa ne determina la colorazione; l’intensità o ampiezza di una lunghezza d’onda, cioè l’altezza dei suoi picchi determina ciò che noi percepiamo come luminosità della luce. La terza proprietà è la purezza, cioè il numero di lunghezze d’onda che formano la luce, esse determinano la saturazione o l’intensità dei colori. Lunghezza, ampiezza e purezza sono proprietà intrinseche delle onde luminose, proprietà che gli esseri umani percepiscono come colore, luminosità e saturazione. L’occhio rileva e focalizza la luce La luce che raggiunge l’occhio passa per la cornea, che imprime una curvatura al raggio luminoso e lo invia attraverso la pupilla, un’apertura circolare nella regione colorata dell’occhio. Questa parte colorata, l’iride, è traslucida ed è un muscolo a forma di ciambella che controlla la dimensione della pupilla e di conseguenza la quantità di luce che può entrare nell’occhio (Adattamento alla luce). Dietro l’iride, i muscoli interni dell’occhio controllano la curvatura del cristallino per avviare di nuovo i raggi luminosi e concentrati sulla retina, un tessuto sensibile alla luce che si trova sul fondo del bulbo oculare. I muscoli cambiano la forma del cristallino per poter mettere a fuoco oggetti a distanze diverse. Questa è l’accomodazione il processo per cui l’occhio forma un’immagine chiara sulla retina. Se i bulbi sono un po' troppo allungati o un po' troppo corti, il cristallino non metterà a fuoco le immagini sulla retina in maniera corretta. caratteristiche appartenenti in una realtà a più oggetti. Anna Treisman e Hilary Schimdt presentavano per breve tempo ai partecipanti degli insiemi di cifre nere affiancate a lettere blu → risposte dei partecipanti sottolineavano congiunzioni illusorie, in quanto essi riferivano di aver visto, poniamo, una A rossa e una B blu, invece che una A blu e una B rossa. Perché si verificano le congiunzioni illusorie? Per spiegarlo Treisman ha proposto la teoria dell’integrazione delle caratteristiche, secondo la quale l’attenzione focalizzata non è necessaria per rilevare le singole caratteristiche che compongono uno stimolo- quali per esempio il colore, la forma, la grandezza e la posizione di lettere – ma lo è per legare insieme quelle singole caratteristiche, e le congiunzioni illusorie si verificano quando i partecipanti hanno difficoltà a concentrare l’attenzione sulle caratteristiche che devono essere tra loro associate. Il riconoscimento degli oggetti tramite la vista In che modo i rilevatori di caratteristiche permettono al sistema visivo la percezione accurata di un oggetto in circostanze diverse – per esempio il volto di un amico – a partire da una configurazione spaziale di punti della retina colpiti dalla luce? Alcuni ricercatori sostengono la teoria della visione modulare, vale a dire l’esistenza di aree cerebrali, o moduli, specializzate nel riconoscere e rappresentare le facce o le case o persino le parti del corpo. Utilizzando l’f MRI per esaminare l’elaborazione visiva in un gruppo di giovani adulti sani, i ricercatori hanno trovato nel lobo temporale una sotto-regione che risponde in maniera selettiva ai volti più che a ogni altra categoria di oggetti, mentre un’area vicina risponde selettivamente agli edifici e ai paesaggi. Ciò suggeriscenche alla nostra percezione visiva contribuiscano non solo rilevatori di caratteristiche elementari degli stimoli, ma anche “rilevatori dei volti”, “rilevatori degli edifici”, e forse anche altri tipi di neuroni specializzati nella percezione di particolari categorie di oggetti. Altri ricercatori invece sono favorevoli a una rappresentazione distribuita delle diverse categorie di oggetti. Secondo questa interpretazione, è il pattern dell’attività neurale in diverse aree del cervello a identificare qualunque oggetto che viene visto, compresi i volti. Una diversa prospettiva vede le scoperte di alcuni ricercatori, sostenitori dell’idea che neuroni del lobo temporale rispondono a oggetti specifici visti da molteplici angolazioni, e a persone vestito in modo diverso, con espressioni del viso differenti, fotografate da angolazioni diverse. In alcuni casi i neuroni rispondo anche alle parole che si riferiscono agli stessi oggetti. Presi nel loro complesso quest’ultime tesi dimostrano il principio della costanza percettiva: la percezione degli oggetti resta costante, anche quando gli aspetti dei segnali sensoriali cambiano. I principi dell’organizzazione percettiva Prima di poter effettuare il riconoscimento di un oggetto, il sistema visivo deve eseguire un altro compito importante: organizzare la rappresentazione delle varie parti di un oggetto in un’unica rappresentazione integrata. L’idea che tendiamo a percepire un oggetto in un’unica entità è il principio fondamentale della psicologia della Gestalt che caratterizzò molti aspetti della percezione umana. Tra i più rilevanti ci sono le regole di organizzazione percettiva, che stabiliscono i principi per l’integrazione delle caratteristiche elementari degli oggetti. Eccone alcune: Semplicità: la spiegazione più semplice è di solito la migliore. Questa idea è alla base del principio della • Gestalt detto Pragnaz o legge della pregnanza, secondo il quale, messo a confronto con due o più possibili interpretazioni della forma di un oggetto, il sistema visivo tende a scegliere l’interpretazione più semplice o più probabile. Chiusura: tendiamo a inserire elementi mancanti in una scena visiva; ciò ci permette di percepire i • contorni interrotti da spazi vuoti come appartenenti a oggetti completi. Continuità: i margini o i contorni che hanno lo stesso orientamento sessuale possiedono quella che i • sostenitori della gestalt definivano “una buona continuazione”. Somiglianza: aree che si assomigliano per colore, luminosità, forma o per la trama superficiale vengono • percepite come appartenenti allo stesso oggetto. Vicinanza: oggetti che si trovano vicini tendono ad essere raggruppati insieme • Movimento comune: elementi di un’immagine visiva che si muovono insieme vengono percepiti come • parti di un unico oggetto in movimento. Distinguere la figura dallo sfondo L’organizzazione percettiva è un potente strumento per la capacità di riconoscere degli oggetti mediante la vista. Organizzare implica separare visivamente un oggetto da ciò che lo circonda. Per usare i termini della Gestalt, ciò significa distinguere una figura dallo sfondo in cui si trova. La grandezza ci fornisce un criterio per distinguere tra figura e sfondo: gli elementi più piccoli sono con ogni probabilità le figure. Anche il movimento è utile a questo scopo. Un altro passo di cruciale importanza verso il riconoscimento dell’oggetto è l’attribuzione del contorno. Assegnato un contorno, o confine, tra figura e sfondo, quale delle due regioni appartiene quel margine? Se il contorno appartiene alla figura, serve a definire la forma dell’oggetto, e lo sfondo continua dietro il contorno. Teoria sul riconoscimento degli oggetti Sono state proposte due teorie generali sul riconoscimento degli oggetti, una basata sull’oggetto come intero e l’altra sulle sue parti. Secondo la teoria del riconoscimento gli oggetti in base all’immagine mentale, un oggetto visto in precedenza viene conservato nella memoria e va a costruire un template, cioè una rappresentazione mentale che può essere confrontata direttamente con la forma di un oggetto nella sua immagine retinica. Gli stampi della forma sono conservati insieme al nome, alla categoria ed altre caratteristiche associate con quell’oggetto. La teoria del riconoscimento degli oggetti in base alle loro parti propongono invece che il cervello decostruisca gli oggetti osservati in un insieme delle loro parti. Un’importante teoria sostiene che gli oggetti sono conservati nella memoria come descrizioni strutturali: inventari mentali di parte di oggetti e delle relazioni spaziali tra essi esistenti. Questi inventari funzionano come una specie di alfabeto di elementi geometrici detti geoni che possono combinarsi per formare gli oggetti, nello stesso modo in cui le lettere si combinano per formare le parole. Secondo questa teoria, il sistema di riconoscimento costruisce l’immagine di un oggetto a partire dalle sue parti visibili, rileva le relazioni spaziali tra queste parti e poi confronta questa descrizione strutturale con gli inventari conservati nella memoria. La percezione della profondità e della grandezza È importante sapere cosa c’è intorno a noi. È importante sapere dove si trova ciascun ogeetto. Gli oggetti dell’ambiente esterno sono organizzati in tre dimensioni: lunghezza, larghezza e profondità, ma le dimensioni nell’immagine retinica sono sole due, lunghezza e larghezza. Come fa il cervello a elaborare un’immagine retinica piatta, bidimensionale, in modo da farci percepire le profondità di un oggetto e la sua distanza? La risposta risiede in una serie di indizi di profondità che cambiano il nostro spostarci nello spazio. Tutti gli indizi di profondità (monoculari, binoculari o basati sul movimento) contribuiscono alla percezione visiva. Indizi monoculari di profondità Alcuni aspetti della percezione visiva si basano su indizi monoculari di profondità, cioè elementi di una scena che forniscono informazioni sulla profondità quando sono osservati con un occhio solo. Tali indizi si basano sul rapporto fra distanza e grandezza. Anche con un occhio solo l’immagine retinica di un oggetto su cui si focalizza l’attenzione, diventa più piccola man mano che l’oggetto si allontana e più grande man mano che si avvicina. Il cervello sfrutta normalmente queste differenze di grandezza nell’immagine retinica, ovvero la grandezza relativa per percepire la distanza. Ciò funziona particolarmente bene nel caso di un indizio di profondità monoculare detto grandezza famigliare. Il nostro sistema visivo corregge automaticamente le differenze di altezza attribuendole a differenze di distanza. Gli indizi monoculari sono spesso chiamati indizi pittorici perché presenti anche nei dipinti, nei quali la terza dimensione (quella della profondità) in realtà manca del tutto. In aggiunta alla grandezza relativa e alla grandezza famigliare esistono molti indizi di profondità monoculari, tra i quali. - La prospettiva lineare è una definizione che indica il fenomeno secondo cui le linee parallele sembrano convergere con l’aumentare della distanza. - Il gradiente di tessitura che si ha quando si osserva una superfice con un pattern più o meno uniforme perché la grandezza degli elementi che costituiscono il pattern, così come la distanza tra loro, diminuisce man mano che la superfice si allontana dall’osservatore. - La sovrapposizione che si verifica quando un oggetto blocca in parte la vista di un altro - L’altezza relativa nell’immagine dipende dal campo di visione. Gli oggetti più vicini si trovano in basso nel campo visivo Indizi binoculari di profondità Gli indizi binoculari di profondità esistono perché abbiamo una visione stereoscopica: il fatto che i due occhi siano separati da uno spazio, significa che ciascun occhio registra una visione del mondo leggermente diversa. Più vicino è l’oggetto che state guardando maggiore è la disparità binoculare cioè le differenze nelle immagini retiniche dei due occhi che è fonte di informazioni sulla profondità. Il cervello calcola la disparità tra le due immagini retiniche in modo da percepire a che distanza sono gli oggetti. Illusioni ottiche di profondità e grandezza Siamo tutti vulnerabili alle illusioni, sono errori di percezione, di memoria o di valutazione in cui l’esperienza soggettiva diverge dalla realtà oggettiva. Questi errori mentali ispirano gli psicologi della gestalt, i cui contributi continuano ad influenzare la ricerca sulla percezione degli oggetti. La percezione del movimento Quando un oggetto si muove sul campo visivo di un osservatore fermo, stimola dapprima una certa porzione della retina, un po' più tardi, ne stimola un’altra. I circuiti neurali del cervello riescono ad individuare questi cambiamenti di posizione nel tempo e rispondono a specifiche velocità e direzioni del movimento. Una regione situata al centro del lobo temporale (MT) è specializzata nella percezione visiva del movimento e un danno cerebrale in quest’area porta a un deficit nella normale percezione del movimento. Nel mondo reale ci si trova di rado ad essere un osservatore fermo. Mentre vi girate intorno, la testa e gli occhi si muovono in continuazione, e la percezione del movimento deve tener conto della posizione e del movimento degli occhi, dalla testa e del corpo, per riuscire a percepire correttamente il movimento degli oggetti e consentirci di avvicinarsi o allontanarci, il cervello aggiunge questo risultato monitorando i movimenti degli occhi e della testa e “sottraendoli” al movimento dell’immagine retinica. La percezione del movimento si fonda in parte su processi antagonisti ed è soggetto all’adattamento sensoriale. Il movimento degli oggetti non è l’unico in grado di evocare la percezione del movimento. Questa percezione del movimento come risultato di segnali alternati che appaiono in rapida successione in punti diversi, si chiama movimento apparente. L’animazione e la tecnologia video dipendono dal movimento apparente. Una sequenza di immagini ferme rappresenta una collezione di istanti particolari di un movimento continuo nella scena originaria. La cecità del cambiamento e la cecità dell’attenzione La cecità del cambiamento è il fenomeno che si verifica quando le persone non riescono a rilevare i cambiamenti nei particolari di una scena visiva. La cosa sorprendente è che la cecità al cambiamento si verifica anche quando cambiano particolari molti evidenti di una scena, ovvero quel tipo di cambiamenti che erroneamente riteniamo di non poter proprio far a meno di notare. Per quanto possa risultare sorprendente che le persone possano essere cieche a cambiamenti tanto evidenti, risultati di alcuni studi hanno dato dimostrazione dell’importanza che ha per la percezione visiva l’attenzione focalizzata. Com’è essenziale per legare insieme le caratteristiche elementari di un oggetto, così l’attenzione focalizzata è necessaria anche per rilevare cambiamenti negli oggetti e nelle scene visive. La cecità ai cambiamenti è soprattutto probabile quando le persone non focalizzano l’attenzione sull’oggetto cambiato, mentre ha le minori probabilità di verificarsi per gli oggetti che riescono ad attrarre l’attenzione. Il ruolo che ha l’attenzione focalizzata nell’esperienza visiva coscia, trova un’altra drammatica dimostrazione del fenomeno, strettamente correlato, dalla cecità da inattenzione, ovvero l’incapacità di percepire gli oggetti su cui non è focalizzata l’attenzione. (es. partita di basket. Mentre le squadre si affrontano, entra un uomo vestito da gorilla che però non viene visto, passa inosservato). L’udito: più di quello che colpisce l’orecchio Il senso dell’udito riguarda le onde sonore ovvero le variazioni della pressione che si trasmettono attraverso l’aria in un certo arco di tempo. Comprendere l’esperienza uditiva della maggior parte delle persone significa capire in che modo trasformiamo le variazioni della pressione attraverso l’aria in suoni percepiti.
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