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Sentenza n. 30 del 1990, Dispense di Diritto Sindacale

Sentenza n. 30 corte costituzionale del 26 gennaio 1990

Tipologia: Dispense

2016/2017

Caricato il 04/05/2017

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Scarica Sentenza n. 30 del 1990 e più Dispense in PDF di Diritto Sindacale solo su Docsity! Sentenza 30/1990 Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE Presidente - Redattore SAJA Udienza Pubblica del Decisione del 15/11/1989 18/01/1990 Deposito del Pubblicazione in G. U. 26/01/1990 31/01/1990 Norme impugnate: Massime: 15512 15529 Atti decisi: N. 30 SENTENZA 18-26 GENNAIO 1990 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI; ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 19 e combinato disposto degli artt. 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra, la S.p.A. Riunione Adriatica di Sicurtà e Maestri Dario, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1989; 2) ordinanza emessa il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra la S.p.A. Lavoro e Sicurtà e Portigliotti Giampiero, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visti gli atti di costituzione di Maestri Dario e Portigliotti Giampiero nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 15 novembre 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Udito l'avvocato Luciano Crugnola per Maestri Dario e Portigliotti Giampiero e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con due ordinanze di identico tenore emesse il 19 dicembre 1986, pervenute alla Corte costituzionale il 24 maggio 1989, il Tribunale di Como ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., una questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori), "se interpretati nel senso di imporre il divieto per le rappresentanze aziendali dei lavoratori costituite al di fuori di quelle legittimate ex art. 19 Statuto, in quanto espressione sempre e comunque di sindacati di comodo, di accedere pattiziamente a forme più o meno estese di tutela, ed in particolare alla possibilità di fruire per i loro dirigenti di permessi retribuiti allo scopo di svolgere attività sindacale". Nei casi di specie, il diritto a tali permessi era stato riconosciuto sia dal Pretore che - in sede di appello - dal Tribunale di Milano a Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, dirigenti della rappresentanza aziendale costituita presso la R.A.S. S.p.A. dal sindacato ASSI RAS, in quanto costoro, prima del diniego da parte della società, ne avevano fruito in virtù di accordo tacito o comunque di uniforme e generalizzata prassi aziendale. La Corte di cassazione, con sentenze 7 febbraio 1986, n. 783 e 19 marzo 1986, n. 1913, aveva viceversa ritenuto che il diritto di costituire rappresentanze aziendali è riservato dal citato art. 19 alle associazioni "maggiormente rappresentative" sul piano nazionale, e quindi precluso a quelle sprovviste di tali requisiti; che, conseguentemente, solo ai dirigenti delle rappresentanze delle prime, e non anche a quelli delle organizzazioni extra art. 19, spetta il diritto ai permessi retribuiti; e che un'eventuale deroga pattizia a tale regola, risolvendosi per i beneficiari in un trattamento di favore, verrebbe a porsi, oltreché contro il principio di ordine pubblico cui le indicate norme si informano, contro l'espresso divieto fatto ai datori di lavoro dall'art. 17 dello Statuto "di sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori". Il Tribunale di Como, giudice di rinvio chiamato ad applicare la disciplina risultante da tale principio di diritto, ne contesta la legittimità costituzionale. L'art. 19 dello Statuto - osserva il Tribunale - è norma speciale rispetto all'art. 14, che, in conformità all'art. 39 Cost., garantisce a tutti i lavoratori il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale all'interno dei luoghi di lavoro. Esso è, inoltre, norma a carattere definitorio, nel senso che individua le caratteristiche - di rappresentatività extra-aziendale - che devono avere le rappresentanze sindacali aziendali per poter accedere alla c.d. legislazione di sostegno di cui alle norme del titolo III dello Statuto. Ne risulta così circoscritto - onde evitare un'eccessiva atomizzazione sindacale - l'ambito delle aggregazioni che possono ex lege pretendere l'applicazione di tali norme; ma ciò non significa che le medesime prerogative non possano essere, in tutto o in parte, pattiziamente estese a rappresentanze aziendali costituite al di fuori dei moduli dell'art. 19. L'opposta opinione della Cassazione, fondata sulla tesi (assolutamente minoritaria in dottrina e giurisprudenza) della natura "permissiva" dell'art. 19 - che cioè solo i sindacati aventi i requisiti ivi indicati sarebbero legittimati a costituire rappresentanze sindacali aziendali - confligge, secondo il giudice a quo, con la garanzia della libertà sindacale di cui all'art. 39 Cost. Essa, infatti, comporta che ai sindacati sprovvisti dei requisiti di cui all'art. 19 viene di fatto preclusa la possibilità di pervenire ai livelli di rappresentatività che consentirebbero l'accesso ex lege alla legislazione di sostegno. Se, invero, essi sono privati dal potere di costituire propri organismi in azienda e destinati a vedersi sempre annullato qualsiasi riconoscimento o spazio già ottenuto in virtù di accordo o prassi uniforme, si da luogo ad una sorta di "pietrificazione dello status quo" e, ignorando le mutevoli realtà aziendali, si preclude Parimenti non decisivo, ai fini in discorso, è stabilire se il divieto di concessione pattizia di permessi retribuiti discenda direttamente da quello, imposto all'imprenditore dall'art. 17, di "sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori". Il giudice a quo intende in tal senso la concisa enunciazione contenuta al riguardo nelle sentenze di rinvio; e giustamente oppone che dalla pattuizione in qualunque modo intervenuta tra l'imprenditore ed una determinata associazione sindacale non può senz'altro inferirsi, per presunzione assoluta, la natura "di comodo", e quindi la non genuinità di quest'ultima. Le agevolazioni concesse ben possono infatti essere giustificate dalla particolare forza contrattuale raggiunta da tale associazione, a seguito di un'autentica controversia collettiva. Per pervenire alla qualificazione di un sindacato come "di comodo" non può in effetti prescindersi - secondo l'opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza - dall'indagine concreta sull'intento antisindacale dell'imprenditore e sulla finalizzazione del sostegno all'assoggettamento alle proprie strategie dell'organizzazione beneficiaria: e conseguentemente l'illiceità della concessione pattizia di permessi retribuiti non può essere affermata sulla base del solo disposto dell'art. 17. A ben vedere, però, non sembra essere questa l'opinione della Corte di cassazione: che, altrimenti, si sarebbe logicamente limitata a questo solo argomento, in quanto decisivo ed assorbente. Al di là delle espressioni testuali, appare perciò più corretto intendere il riferimento all'art. 17 come espressione di quel "principio di ordine pubblico" ostativo a tali pattuizioni che essa ritiene di dover desumere dal complesso delle disposizioni statutarie richiamate (artt. 17, 19 e 23): sicché l'indagine demandata alla Corte concerne la conformità di detto principio alle disposizioni costituzionali di cui si lamenta la violazione. 4. - La protezione accordata dallo Statuto dei diritti dei lavoratori alle organizzazioni sindacali si articola su due livelli. Ad un primo livello, comune a tutte, viene assicurata la libertà di associazione e di azione sindacale, che comprende altre importanti garanzie, quali la tutela contro atti discriminatori, anche sotto forma di trattamenti economici collettivi, la libertà di proselitismo e collettaggio (artt. 15, 16, 26), l'accesso ad altri importanti diritti di esercizio collettivo, come quelli sanciti dagli artt. 9 e 11. A garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica sindacale stanno poi il divieto di sindacati di comodo (art. 17) e la tutela - per le organizzazioni a dimensione nazionale - contro la condotta antisindacale del datore di lavoro (art. 28). Il secondo livello esprime la politica promozionale perseguita dal legislatore al precipuo fine di favorire l'ordinato svolgimento del conflitto sociale, e comporta una selezione dei soggetti collettivi protetti fondata sul principio della loro effettiva rappresentatività. Ad essi sono attribuiti diritti ulteriori idonei a sostenerne l'azione, come quelli di tenere assemblee, disporre di locali, fruire di permessi retribuiti (artt. 20, 23, 27) ecc. Il principale criterio selettivo adottato al riguardo è quello della "maggiore rappresentatività" a livello pluricategoriale (art. 19, lett. a), finalizzato a favorire un processo di aggregazione e coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordo con le esigenze dei lavoratori non occupati. Ma accanto ad esso la tutela rafforzata è stata conferita (lett. b) anche al sindacalismo autonomo, sempreché esso si dimostri capace di esprimere attraverso la firma di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva - un grado di rappresentatività idoneo a tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale (cfr. sent. n. 334 del 1988). La posizione di vantaggio che il giudice a quo vorrebbe riconosciuta alle organizzazioni sindacali non rientranti nelle predette categorie, che ottengono permessi sindacali (o altre misure di sostegno) per patto con l'imprenditore costituirebbe, precisamente, una deroga a quanto disposto nella lett. b) dell'art. 19. Si tratta perciò di vedere se il criterio selettivo espresso in tale disposizione sia da considerare, nel sistema dello Statuto, come criterio inderogabile, ed in caso positivo se tale inderogabilità sia o meno conforme a Costituzione. Ad entrambi tali quesiti va data risposta positiva: e perciò la questione deve ritenersi non fondata. 5. - La differenza tra i due suaccennati livelli di tutela che il giudice a quo vorrebbe colmabile attraverso pattuizioni con l'imprenditore consiste, come si è detto, nel diverso e più elevato grado di effettiva rappresentatività che le organizzazioni ammesse alla tutela rafforzata di cui al titolo III dello Statuto devono dimostrare di possedere. Al di fuori della rappresentatività generale presupposta nella lett. a), la lett. b) dell'art. 19 appresta un congegno di verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto produttivo, misurandola sull'efficienza contrattuale dimostrata almeno a livello locale, attraverso la partecipazione alla negoziazione ed alla stipula di contratti collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello - extra-aziendale - la soglia minima della rappresentatività, il legislatore ha tra l'altro inteso evitare, o quanto meno contenere, i pregiudizi che alla libertà ed autonomia della dialettica sindacale, all'eguaglianza tra le varie organizzazioni ed all'autenticità del pluralismo sindacale possono derivare dal potere di accreditamento della controparte imprenditoriale. Rispetto a tali pericoli, l'accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile, in quanto è strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell'imprenditore. Il patto, infatti, non presuppone di per sé alcuna soglia minima di rappresentatività dell'organizzazione che ne sia beneficiaria, pur al livello meramente aziendale, sicché può avvantaggiare sindacati di scarsa consistenza e correlativamente alterare la parità di trattamento rispetto ad organizzazioni dotate di rappresentatività anche maggiore presenti in azienda. Pur al di fuori dell'ipotesi di sostegno al sindacato "di comodo" (art. 17), sarebbe in tal modo consentito all'imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda, favorendo quelle organizzazioni che perseguono una politica rivendicativa a lui meno sgradita. Questa Corte, d'altra parte, ha già ripetutamente sottolineato (sentt. nn. 54 del 1974 e 334 del 1988) la razionalità di una scelta legislativa caratterizzata dal ricorso a tecniche incentivanti idonee ad impedire un'eccessiva dispersione e frammentazione dell'azione dell'autotutela ed a favorire una sintesi degli interessi non circoscritta alle logiche particolaristiche di piccoli gruppi di lavoratori. È palese che la possibilità di estensione pattizia delle misure di sostegno si porrebbe in contraddizione con tale logica: sia perché favorirebbe processi di frammentazione della rappresentanza potenzialmente pregiudizievoli alla stessa efficacia dell'azione sindacale; sia perché rafforzerebbe il potere di pressione di cui ristretti gruppi professionali fruiscono in ragione della loro particolare collocazione nel processo produttivo e potrebbe più in generale incentivare quella segmentazione esasperata dell'azione sindacale che la Corte, nelle citate sentenze, ha ritenuto contraria agli interessi generali e specificamente a quelli dei lavoratori. Il divieto delle pattuizioni in discorso è perciò coerente non solo alla logica ispiratrice dell'art. 19, ma anche ai motivi in base ai quali la Corte ha ritenuto tale disposizione conforme ai principi costituzionali qui invocati. 6. - Le ragioni che spinsero il legislatore del 1970 a scoraggiare la proliferazione di microorganizzazioni sindacali ed a favorire, secondo un'ottica solidaristica, la rappresentazione di interessi non confinati nell'ambito delle singole imprese o di gruppi ristretti sono tuttora in larga misura valide. La Corte è tuttavia ben consapevole che, anche a causa delle incisive trasformazioni verificatesi nel sistema produttivo, si è prodotta in anni recenti una forte divaricazione e diversificazione degli interessi, fonte di più accentuata conflittualità; e che anche in ragione di ciò - nonché delle complesse problematiche che il movimento sindacale si è perciò trovato a dover affrontare - è andata progressivamente attenuandosi l'idoneità del modello disegnato nell'art. 19 a rispecchiare l'effettività della rappresentatività. Prendere atto di ciò non significa, però ritenere che l'idoneo correttivo al logoramento di quel modello consista nell'espansione, attraverso lo strumento negoziale, del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale, che per quanto si è detto può non offrire garanzie di espressione della rappresentatività reale. Si tratta, invece, di dettare nuove regole idonee ad inverare, nella mutata situazione, i principi di libertà e di pluralismo sindacale additati dal primo comma dell'art. 39 Cost.; prevedendo, da un lato, strumenti di verifica dell'effettiva rappresentatività delle associazioni, ivi comprese quelle di cui all'art. 19 dello Statuto; dall'altro la possibilità che le misure di sostegno - pur senza obliterare le già evidenziate esigenze solidaristiche - siano attribuite anche ad associazioni estranee a quelle richiamate in tale norma, che attraverso una concreta, genuina ed incisiva azione sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso. Non spetta a questa Corte individuare gli indici di rappresentatività, i modi di verifica del consenso, l'ambito in cui questa deve essere effettuata, i criteri di proporzionalità della rappresentanza e gli strumenti di salvaguardia degli obiettivi solidaristici ed equalitari propri del sindacato; ma essa non può mancare di segnalare che l'apprestamento di tali nuove regole - ispirate alla valorizzazione dell'effettivo consenso come metro di democrazia anche nell'ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato - è ormai necessario per garantire una più piena attuazione, in materia, dei principi costituzionali. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degliDichiara artt. 19, 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) sollevata in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost. dal Tribunale di Como con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1990. Il Presidente: SAJA Il redattore: SPAGNOLI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1990. Il direttore della cancelleria: MINELLI Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma dell'art. 29 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956). Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale in caso di divergenza.
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