Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Sentieri interrotti Martin Heidegger, Dispense di Filosofia Teoretica

Riassunto delle diverse sezioni di sentieri interrotti ad opera di Martin Heidegger

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 11/01/2024

whiteblueorange
whiteblueorange 🇮🇹

4.6

(15)

5 documenti

1 / 35

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Sentieri interrotti Martin Heidegger e più Dispense in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! I SENTIERI INTERROTTI(HOLZWEGE): L’ORIGINE DELL’OPERA D’ARTE DI HEIDEGGER Holz è un’antica parola per dire bosco. Nel bosco ci sono sentieri (wege), che si interrompono improvvisamente nel compatto. Si chiamano quindi Holzwege. Ognuno di essi procede per conto suo, ma nel medesimo bosco. Legnaioli e guardaboschi li conoscono bene. Essi sanno che cosa significa ‘’trovarsi su un sentiero che, interrompendosi, svia’’. L’esordio di ‘’Sentieri interrotti’’ è dettato dal tentativo di risalire all’origine dell’opera d’arte.  ORIGINE significa, ciò per cui una cosa è ciò che è ed è come è. Ciò che qualcosa è essendo così com’è è definita ESSENZA, invece l’origine di qualcosa è la PROVENIENZA DELL’ESSENZA. Il problema dell’origine dell’opera d’arte verte intorno alla provenienza della sua essenza. Heidegger ritiene sia una domanda sul wesen e unsprung . Secondo la mentalità comune, l’opera è il frutto dell’attività dell’artista. L’artista è l’origine dell’opera, e quest’ultima è l’origine dell’artista. Nessuno dei due sta senza l’altro. Artista ed opera sono ciò che sono, in virtù di una terza cosa cioè dell’arte. All’arte non corrisponde nulla di reale, si tratta di una rappresentazione unitaria in cui facciamo rientrare ciò che l’arte include ancora di reale: l’opera e l’artista.  L’arte si trova nell’opera d’arte; solo l’opera ci può dire che cosa sia l’arte. Si può affermare che tutto ciò si muove in un circolo vizioso, ed inoltre l’intelletto comune esige che si esca da tale circolo vizioso, contrario alla logica. Tale intelletto pretende che si ricavi la comprensione dell’essenza dell’arte nella loro semplice-presenza. Le opere come semplice-presenza producono illusione, quindi bisogna muoversi nel circolo. Se guardiamo le opere nella loro realtà immediata e senza preconcetti, si fa chiaro che esse si trovano li dinanzi nella loro semplice-presenza. L’opera d’arte rende noto qualcos’altro, rivela qualcos’altro: è ALLEGORIA Alla cosa si unisce qualcosa nonché il SIMBOLO Allegoria e simbolo costituiscono il campo entro cui si muove la caratterizzazione dell’opera. Ma questo qualcosa che manifesta è proprio la cosità dell’opera d’arte. Dobbiamo quindi incominciare col porre in chiaro la cosità dell’opera. Ma al tal fine è necessario sapere chiaramente che cosa significa ‘cosa’ Dobbiamo quindi incominciare col porre in chiaro la cosità dell’opera. Ma al tal fine è necessario sapere chiaramente che cosa significa ‘cosa’ Dobbiamo quindi incominciare col porre in chiaro la cosità dell’opera. Ma al tal fine è necessario sapere chiaramente che cosa significa ‘cosa’ Dobbiamo quindi incominciare col porre in chiaro la cosità dell’opera. Ma al tal fine è necessario sapere chiaramente che cosa significa ‘cosa’ L’indagine di Heidegger dunque intraprenderà il percorso di definizione della cosità (cioè dell’essenza della cosa), al fine di stabilire se è accettabile la concezione di essenza dell’opera come “cosa a cui inerisce qualcos’altro” (simbolo/allegoria), oppure se l’opera è qualcosa di completamente diverso da una cosa.  L’indagine di Heidegger dunque intraprenderà il percorso di definizione della cosità (cioè dell’essenza della cosa), al fine di stabilire se è accettabile la concezione di essenza dell’opera come “cosa a cui inerisce qualcos’altro” (simbolo/allegoria), oppure se l’opera è qualcosa di completamente diverso da una cosa. COSA E OPERA: E’ necessario, per indagare l’essenza dell’opera, conoscere la cosità, cioè l’essenza della cosa, per stabilire se l’opera sia o meno una cosa. E’ necessario, per indagare l’essenza dell’opera, conoscere la cosità, cioè l’essenza della cosa, per stabilire se l’opera sia o meno una cosa. E’ necessario, per indagare l’essenza dell’opera, conoscere la cosità, cioè l’essenza della cosa, per stabilire se l’opera sia o meno una cosa. E’ necessario, per indagare l’essenza dell’opera, conoscere la cosità, cioè l’essenza della cosa, per stabilire se l’opera sia o meno una cosa.  In generale, il termine ‘cosa’ indica tutto ciò che non è il mero nulla. Quindi l'opera d'arte è una cosa, per il fatto di differenziarsi dal nulla. Ma questo concetto di cosa non ci offre aiuto, ed inoltre disegna Dio come cosa ma l'uomo non è una cosa. Sono cose la scarpa, l’orologio, ma non si tratta di mere cose. ‘’MERO’’ significa: la pura cosa, quella che è semplicemente cosa e null'altro. Ma mero significa anche: ‘soltanto più cosa’.  Per conoscere la cosità è necessario indagare la MERA COSA, che si configura come vera e propria cosa, tuttavia nel corso della tradizione di pensiero occidentale ha prevalso il riferimento alla cosa intesa come ente, in quanto veniva considerata ente paradigmatico. Heidegger dunque analizza le concezioni tradizionali dell’ente, che viene identificato con la cosa al fine di provare ad individuare in esse degli elementi che definiscano la cosità. Le interpretazioni della cosità delle cose predominanti nel pensiero occidentale si possono ridurre a tre: 1) INTERPRETAZIONE Spogliando il mezzo dell’usabilità attraverso la sua rappresentazione nell’opera d’arte si ottiene un mezzo riposante in se stesso, che è l’autentico mezzo, il cui carattere essenziale si rivela essere la fidatezza, cioè la connessione del mezzo con il mondo della contadina che lo utilizza, dove per mondo si intende l’insieme del contesto di senso che assume la realtà in cui ella è esistenzialmente calata. Fidatezza → Essenza autentica del mezzo, che permane anche mentre questo è riposante in se stesso, cioè non è attualmente utilizzato. Consiste nel carattere di rimando che il mezzo assume e che comporta una testimonianza del mondo, cioè del contesto esistenziale, che gli fornisce senso e lo attesta nella sua affermazione e nella sua provenienza da una terra, cioè da un’origine misteriosa. La corruzione del mezzo viene definita da Heidegger come la sua riduzione a mero mezzo, cioè la sua considerazione solamente nei termini dell’usabilità, che in questo modo è meccanica, e non nei termini della fidatezza, cioè nel suo inserimento attivo nel Mondo, nella struttura di senso sulla base di cui si configura il reale. Il tentativo di Heidegger di spogliare il mezzo dell’usabilità al fine di individuare la cosità non ha avuto successo, questa infatti resta ancora indeterminata, ciò che è emerso, al suo posto, è che la tesi secondo cui l’esser mezzo era l’usabilità era errata, ed al suo posto il vero esser mezzo, coincidente con la fidatezza. L’opera d’arte è l’elemento grazie al quale il vero esser mezzo, la verità, è emersa: questa è la scoperta fondamentale grazie a cui risulta possibile determinare, indipendentemente dal concetto di cosità, l’essenza dell’opera d’arte. ESSENZA DELL’OPERA = Messa in opera della verità, aprimento dell’ente, cioè processo di non-nascondimento della sua essenza. Nel caso delle scarpe da contadino il nascondimento è rappresentato dalla comune concezione dell’esser mezzo nei termini dell’usabilità, che si rivela falsa attraverso l’emergere nell’opera della verità dell’esser mezzo, che è la fidatezza, che si configura dunque come un non-nascondimento. “In virtù dell’opera, un ente, un paio di scarpe, viene a stare nella luce del suo essere.” ESSENZA DELL’ARTE = Porsi in opera / storicizzarsi (nell’opera) della verità Alla luce della definizione dell’essenza dell’arte come messa in opera della verità emerge come essa fosse individuabile solo attraverso l’indagine sull’essenza dell’opera, che è per l’appunto il contesto in cui la verità si mette in opera. → L’arte si dà necessariamente nell’opera, poiché solo in essa la verità si mette in opera Due cose appaiono ora chiare: 1. Da un lato, gli strumenti per comprendere il carattere di cosa dell’opera sono apparsi inadeguati; 2. dall’altro, ciò che presumevamo di poter assumere come più prossima realtà dell’opera, il basamento cosale, non rientra, a questo modo, nell’opera d’arte (il carattere di cosa dell’opera non si può negare, ma esso deve essere concepito in base al carattere di opera dell’opera, proprio perché rientrante in essa) Che cos’è dunque la verità perché si realizzi temporalmente come arte? Cos’è questo porsi in opera? OPERA E VERITA’ La definizione dell’essenza dell’opera come storicizzazione/messa in opera della verità fa emergere alcune domande proprio riguardo al rapporto tra questi due termini ed in particolar modo a che cosa sia la verità in questione e come essa possa storicizzarsi. • Quale verità si mette in opera nell’opera? • Può la verità, tradizionalmente considerata atemporale, mettersi in opera e dunque storicizzarsi (entrare nel tempo) nell’opera? Come può farlo? Queste domande, poste a conclusione del paragrafo “Cosa e opera”, cercano risposta nel paragrafo successivo “Opera e verità”. L’indagine di Heidegger procede nell’approfondimento dell’essenza dell’opera, cioè nella riflessione su che cosa significhi e su come si dia la messa in opera della verità. 1° DETERMINAZIONE DELL’ESSENZA DELL’OPERA = ESPONENTE DI MONDO → Esser opera significa esporre un Mondo ← ESPORRE Heidegger specifica il significato del termine esposizione, che si configura come una erezione nel senso del votare e del celebrare. • Erezione → Aprimento di ciò che è retto, cioè delle misure direttive, con cui appunto dirigersi e riferirsi alla realtà, con cui ordinarla ed orientarsi in essa. • Votare = Consacrare → Apertura del sacro in quanto sacro, cioè affermazione di un centro indeterminabile attorno a cui si struttura una totalità di connessioni di senso. Questo centro è simboleggiato dal Dio, l’essere presente del Dio coincide con il nucleo sacro di riferimento che caratterizza ogni ordinamento della realtà, che si struttura come suo riflesso, cioè coerentemente e sulla base di esso. MONDO Il Mondo è la struttura di senso, l’insieme delle misure e delle modalità con cui il Dasein si rapporta all’ente fintanto che è esistente in esso, cioè fintanto che è parte della realtà, fino alla morte. Tale struttura di senso coincide con un inoggettivo che non possiamo rappresentare razionalmente, in quanto è il presupposto di ogni nostra rappresentazione ed azione. Il mondo non è oggetto, ma è essere, è l’essere più essente in assoluto in quanto è rimasto radicato nel significato autentico dell’essere, sfuggendo all’entificazione- oggettivazione attuata sin dai greci, che lo ha reso semplice essere-presente. “Il Mondo si mondifica ed è più essente dell’afferrabile e del percepibile in cui viviamo fiduciosamente. Il mondo non è un possibile oggetto che ci stia innanzi e che possa essere inuito. Il Mondo è il costantemente inoggettivo a cui sottostiamo fin che le vie della nascita e della morte, della grazia e della maledizione ci mantengono estatizzati nell’essere.” Avere Mondo significa esistere, essere-nel-Mondo e orientarsi in esso sulla base delle strutture di senso attraverso cui tale Mondo si è mondificato, cioè è venuto ad essere. Il Mondo costituisce la realtà di un popolo storico, sulla base della quale e nella quale esso si realizza, esso esiste. “Con l’aprirsi di un Mondo, ogni cosa acquista il ritmo del suo sostare e del suo muoversi, la sua lontananza e la sua vicinanza, la sua ampiezza e il suo limite.” L’opera è essenzialmente esponente di un Mondo , che contemporaneamente mantiene aperto. → Mantenere aperta l’apertura del Mondo nella sua esposizione significa affermarlo e testimoniarne il senso esprimendolo. L’arte è la manifestazione della struttura di senso che regge un popolo storico e contemporaneamente costituente e mantenitrice di quella struttura di senso, che si struttura per l’appunto grazie ad essa. 2° DETERMINAZIONE DELL’ESSENZA DELL’OPERA = PONENTE QUI LA TERRA → Esponendo un Mondo, l’opera pone qui la Terra ← TERRA La Terra viene definita come la nascontente-proteggente da cui tutto sorge. Nel momento in cui il Mondo stesso sorge instaurando un’apertura che costituisce una struttura di senso, esso pone qui, cioè pone nell’apertura di questa struttura di senso la Terra e la pone in quanto tale, cioè in quanto autochiudentesi inaccessibile. Nel momento in cui si apre una struttura di senso del reale viene portato alla luce anche ciò che sfugge a questa stessa struttura, che in quanto sfuggente è indipendente da esso, è prima e dunque si costituirà come la dimensione da cui la struttura sorge. • Terra = Nascondente-proteggente • Terra = Autochiudentesi PONE QUI Porre, significa, analogamente a tutte le altre volte in cui si trova questo termine nel testo, un portare a stare, un stabilizzare nella “visibilità”. Il qui indica invece l’apertura, cioè l’opera, la Terra, che coincide con il sacro ineffabile in quanto costantemente ritraentesi, è nell’opera tanto quanto il Mondo che l’opera espone. Ponendo qui la Terra, Ingadine sull’essenza delle verità che si storicizza / mette in opera nell’opera L’indagine sull’essenza della verità muove da una critica nei confronti della concezione di verità secondo la sua essenza derivata e secondaria, che si è tradizionalmente fin dai greci posta come dominante rispetto a quella autentica che ne identifica l’autentica essenza. IV. Concezione secondaria della verità come rettitudine : Verità = Adeguamento oggetto – conoscenza Heidegger mette in evidenza come tale definizione delinei un circolo vizioso, infatti definendo il vero come la proposizione che si adegua al reale e tale reale come ciò che è vero, i due termini si presuppongono a vicenda senza chiarirsi. Heidegger definisce la concezione della verità come rettitudine, cioè come adeguamento al reale, secondaria proprio in quanto deriva in primo luogo da questo reale, che per essere un termine di paragone deve in primo luogo essersi aperto alla conoscibilità, deve non essere nascosto e solo in virtù di questo non-nascondimento è possibile l’adeguamento ad esso come rettitudine. → La verità come rettitudine della proposizione nei confronti del reale deriva dal concetto di verità autentica come non-nascondimento di questo essere, che è il reale. “La proposizione è vera se è retta dal non-esser-nascosto. La verità della proposizione è sempre e sempre solo questa rettitudine.” La secondarietà della verità come rettitudine rispetto alla verità come aletheia deriva dal fatto che la prima è verità della proposizione e la seconda verità dell’essere, l’essere viene sempre prima della proposizione e quest’ultima si riferisce ad esso. “Nonostante tutte le nostre rappresentazioni rette, non saremmo nulla e non potremmo neppur presupporre che ci sia alcunchè di manifesto in cui possa trovar verifica la rettitudine, se il non-esser-nascosto dell’ente non ci avesse già esposti a quell’illuminato dominio in cui si mantiene e in base a cui si ritrae ogni ente.” V. Significato primo ed autentico di verità: Aletheia = Non essere nascosto dell’essere La verità dell’essere, che è quella prima ed autentica in virtù della quale si può concepire una verità della proposizione come rettitudine, consiste nella processualità del non nascondimento dell’essere attraverso l’apertura, che si confronta sempre con una resistenza volta al nascondimento, che emerge in questa apertura in quanto resistenza. E’ in virtù della strutturazione di un Aperto, che coinciderebbe con il Mondo, che l’ente è concepito come tale, cioè che la realtà viene ordinata e dotata di senso e dunque con essa anche gli elementi che la costituiscono. → A questo punto Heidegger definisce la verità come un Centro aperto che non è circondato dagli enti, ma che circonda ogni ente e circondandolo lo inserisce nel Mondo, quindi nella struttura di senso, che determina come tale. • Centro aperto = Illuminazione = Aprimento = Verità • Aperto = Illuminato = Mondo • Ente = Elemento del mondo circondato dalla verità in quanto solo in virtù di essa è inserito nel Mondo che gli fornisce un senso, rendendolo tale ente → Rapporto verità - Mondo “Questo Centro aperto non è quindi circondato dall’ente; al contrario, è questo Centro che – come il nulla, noto a malapena – circonda ogni ente. L’ente può essere come ente solo se si immerge ed emerge dal seno dell’illuminato di questa illuminazione. Solo questa illuminazione apre e garantisce a noi uomini l’accesso all’ente che noi stessi non siamo, e l’entrata nell’ente che noi stessi siamo.” L’ente, pur inserendosi nell’aperto del Mondo, e dunque aprendosi, uscendo dal nascondimento, rimane in una certa misura nascosto, più precisamente rimane nascosto nella misura del duplice nascondimento che serve nei confronti di questo aprimento. Tale duplice nascondimento dell’ente all’aprimento e dunque il suo rimanere in una certa misura nel nascondimento corrisponde alla Terra. La Terra come rifiuto all’aprimento è una componente essenziale che costituisce tale aprimento, che è la verità, ne costituisce anch’essa l’essenza. DUPLICE NASCONDIMENTO → Resistenza dell’ente all’aprimento e permanenza di esso in una certa misura nel nascondimento, impossibilità dunque di esaurire l’essere nella struttura di senso che si costituisce come mondo. • Simulare → Nascondimento che consiste nel presentarsi dell’ente come esso non è in verità, dunque non secondo la sua vera essenza. es. Scarpe da contadino: essenza presunta come usabilità ma essenza reale come fidatezza • Semplice rifiuto → Non conoscenza dell’essenza, si sa solo che un ente è (non è nulla) ma non si ha e non è possibile nessuna determinazione di tale essenza. → Rapporto verità – Terra “La verità è presente proprio come se stessa, nella misura in cui il diniego nascondente, in quanto rifiuto, conferisce a ogni illuminazione la sua costante provenienza; e in quanto simulazione assegna ad essa l’irrimediabile presenza dell’erramento (dinamicità)” • Rifiuto – Provenienza → L’illuminazione illumina sempre qualcosa che prima era oscuro, tra fuori dall’oscuro portando alla luce, tale luce dunque proviene dall’oscuro da cui emerge. • Simulazione – Erramento → Permanenza del nascondimento anche nel momento in cui è avvenuta l’illuminazione che permette di concepirla come processuale, come evento, non come condizione eterna. La componente terrestre della verità, cioè il nascondimento costante in cui l’ente portato nell’aperto tende a ritrarsi, manifesta il carattere di processualità della verità e del diniego che la costituisce, che la caratterizza come evento. Verità = Evento → Nella misura in cui si costituisce come processo di illuminazione in opposizione alla costante ritrazione nel nascondimento. “L’essenza della verità, cioè il non-esser-nascosto, è pervasa da un diniego. Questo diniego non è affatto una mancanza o un difetto, come se la verità fosse un semplice non-nascondimento liberatosi da ogni impaccio*. E’ all’essenza stessa della verità come non-esser-nascosto che questo diniego appartiene nella forma del duplice nascondimento.” *Se il non-nascondimento fosse interpretato come una liberazione definitiva verrebbe meno il carattere dinamico della verità, essa sarebbe una sorta di conquista permanente ed eterna, che invece essa non è proprio perché tale nascondimento è destinato sempre a ripresentarsi in quanto carattere essenziale. VERITA’ = LOTTA TRA MONDO E TERRA = LOTTA TRA ILLUMINAZIONE E NASCONDIMENTO VERITA’ E ARTE Heidegger a questo punto riprende l’indagine riguardante la cosità dell’opera, infatti egli evidenzia come la definizione dell’opera come messa in opera, cioè storicizzarsi, della verità presupponga già un’opera, la realtà dell’opera, cioè un oggetto, in cui tale storicizzarsi avviene. L’obiettivo dunque diventa quello di indagare questo presupposto, l’opera nel senso di cosa, ed in particolare la ricerca si dirige verso il processo con cui tale opera-cosa viene ad essere, che è quello del fare artistico. Fare artistico → Produzione della cosa che è opera in quanto in essa si storicizza la verità VI. Concetto di techne nella dimensione del fare artistico Heidegger in primo luogo afferma la distinzione tra il fare artistico e la fabbricazione artigiana, nonostante l’apparente somiglianza che queste attività presentano in quanto sono entrambe produttive (poiesisi → fine al di fuori dell’azione). Tale differenza è argomentata esponendo il concetto di techne e spiegando le differenze nell’accezione che essa assume nella dimensione del fare artistico ed in quella della fabbricazione. Questo concetto di techne secondo Heidegger è quello autentico, che però è stato, nel corso della storia del pensiero, travisato e ridotto semplicemente ad una delle sue molteplici declinazioni (quella della fabbricazione manuale) che quindi è stata estesa a significato di techne in generale ed attribuita anche all’arte. Techne = Produrre traente-fuori→ Modalità del sapere, cioè modalità di percezione dell’essente presente come tale, che si dà attraverso un processo di trarre-fuori questo essente presente, ovvero un trarlo fuori dal nascondimento portandolo nell’aperto. Questo trarre fuori dal nascondimento della techne consiste nel trarre fuori una cosa dalla physis producendola manualmente, il trarre fuori dalla physis è il trarre fuori dal nascondimento dello spontaneo autochiudentesi, che quindi si configura come aprimento, per l’appunto messa in opera delle verità. Ogni investigazione deve muoversi entro questo progetto fondamentale della natura. Questo progetto della natura trova la sua garanzia nel fatto che l'indagine fisica è vincolata anticipatamente ad esso in ognuno dei suoi passi del cammino della ricerca. Questo vincolo, il rigore della ricerca, assume il suo carattere specifico in base a progetto. Così il rigore della scienza matematica della natura è l'esattezza. Ogni fenomeno che pretenda valere come fenomeno naturale dev'essere anticipatamente determinato come quantità di movimento spazio-temporale. Questa determinazione ha luogo con la misurazione mediante il numero e il calcolo. Ma l'investigazione matematica della natura non è esatta perché calcola esattamente, ma deve calcolare in questo modo perché ciò che la vincola alla sua regione oggettiva ha il carattere dell'esattezza. Viceversa le scienze dello spirito, e le scienze degli esseri viventi, devono essere necessariamente inesatte per poter restare rigorose. La inesattezza delle scienze storiche dello spirito non è una deficienza, ma la soddisfazione di un'esigenza essenziale di questo tipo di indagine; diverso e ben di più difficile realizzazione del rigore delle scienze esatte. La scienza si costituisce a ricerca in virtù del progetto e attraverso l'assicurazione del medesimo nel rigore dell'investigazione. Rigore e progetto divengono ciò che sono soltanto nel procedimento. Esso costituisce il secondo carattere fondamentale dell'indagine. L'investigazione deve rappresentare il mutevole nel suo mutamento, portarlo a stabilità, ma lasciare che il movimento sia movimento. La stabilità dei fatti e la costanza del loro mutamento è la regola. La costanza del mutamento nella necessità del suo corso, è la legge. Solo nell'orizzonte della regola e della legge i fatti si manifestano come i fatti che sono. Così lo studio dei fatti nel dominio della natura si risolve nella formulazione e nella verifica di regole e di leggi. Il procedimento in virtù del quale una regione di oggetti accede alla rappresentazione, ha il carattere della chiarificazione a partire da ciò che è già chiaro, della spiegazione. Questo ha sempre un duplice aspetto:  Dà fondamento a qualcosa di non-conosciuto mediante qualcosa di conosciuto;  verifica questo conosciuto attraverso quel non-conosciuto. Ma la scienza della natura non diviene ricerca in virtù dell'esperimento; al contrario, l'esperimento è possibile là e solo là dove la conoscenza della natura ha assunto l'andamento della ricerca. L'aspetto decisivo dell'esperimento comincia con la formulazione di una legge. La formazione della legge ha luogo in riferimento al progetto fondamentale della regione oggettiva. Questo progetto fornisce la misura e vincola la rappresentazione in cui e con cui ha inizio il l'esperimento e non ha nulla a che fare con l'immaginazione arbitraria. Newton diceva: hypotheses non fingo; le ipotesi non sono escogitazioni arbitrarie. Esse sono ricavate dal progetto fondamentale della natura e iscritte in esso. L'esperimento è quel procedimento che, nella sua impostazione ed esecuzione, è sorretto e guidato dalla legge ipotizzata e mira al reperimento di fatti che verifichino tale legge o neghino la verifica. Nel frattempo il cristianesimo ha trasferito il possesso autentico della verità nella fede, mediante l'identificazione della verità con la Scrittura e con la dottrina della Chiesa. La conoscenza e la dottrina più alte sono costituite dalla teologia. Qui la conoscenza non consiste nella ricerca, ma nella comprensione esatta della parola che fa legge e delle autorità che la bandiscono. Ecco perché nel Medioevo si ritiene che la verità si raggiunga innanzitutto mediante l'interpretazione delle parole. L'argumentum ex verbo è ciò che decide che le filosofie platoniche e aristoteliche debbano assumere la forma di dialettica scolastica Bacone richiede la sostituzione dell'experimentum ex verbo con l'experimento ex re, cioè la sostituzione della discussione delle dottrine con l'osservazione delle cose stesse. All'esperimento della fisica corrisponde, nel campo delle scienze storiche dello spirito, la critica delle fonti. Nelle scienze storiche il procedimento tende, non diversamente che in quelle naturali, a cogliere ciò che è costante e a costituire la storia dell'oggetto. Ma la storia può divenire oggettiva solo se è passata, tiene conto del sempre- già-così-essente-stato. Nella costante comparazione di tutto con tutto, il comprensibile è calcolato, verificato e confermato come il piano della storia. Il campo dell'indagine può estendersi solo fin dove giunge la spiegazione storiografica. Poiché la storiografia, in quanto ricerca, progetta e oggettivizza il passato con un complesso di effetti spiegabile e scopribile, essa esige la critica delle fonti come strumento di oggettivazione. Nella misura in cui la storiografia si approssima al giornalismo, questi criteri cambiano. Ogni scienza, in quanto ricerca, è fondata sul progetto di una determinata regione oggettiva e perciò è necessariamente scienza particolare. Ogni scienza particolare deve specializzarsi in un determinato campo di ricerca. Questa differenziazione (la specialistica) non è affatto una conseguenza fatale della vastità dei risultati di ricerca. La specialistica non è una conseguenza, ma la ragione del progresso della scienza. Questa non disperde i propri procedimenti in direzioni casuali per poi perdervisi. Ciò dipende dal fatto che la scienza moderna è caratterizzata da un terzo atteggiamento fondamentale: l'operativismo. Una scienza, sia essa della natura o dello spirito, assume oggi l'andamento di una vera scienza solo se è organizzabile in istituti. Una scienza non è operativa perché il suo lavoro è compiuto in istituti, ma gli istituti sono necessari perché la scienza ha in sé, in quanto ricerca, il carattere dell'operatività. Il procedimento della scienza si incrocia continuamente coi suoi risultati. In questa necessità di riorganizzarsi in base ai propri risultati sta l'essenza del carattere operativo della ricerca. Questo carattere è la ragione ultima della necessità del suo organizzarsi in istituti. Solo per la sua impostazione operativistica il progetto della regione oggettiva è introdotto nell'ente. Che cos'è che si annuncia nell'estensione e nell'approfondimento del carattere di istituto della scienza? L'assicurazione del primato del procedimento rispetto all'ente (natura e storia) che è oggettivato nella ricerca sul fondamento del proprio carattere operativo le scienze si vanno forgiando l'omogeneità e l'unità loro proprie. Lo sviluppo decisivo del carattere operativo della scienza crea pertanto un nuovo tipo di uomo. Lo studioso scompare. Viene a crearsi il ricercatore, impegnato nei suoi programmi di ricerca. Questi, e non la coltivazione dell'erudizione, caratterizzano l'orizzonte dinamico del suo lavoro. Il ricercatore non ha più bisogno di biblioteche personali, è sempre in viaggio. Il ricercatore assume necessariamente e da sé stesso la figura del tecnico, nel senso essenziale del termine. Il sistema reale della scienza consiste nella comunità di processo e di atteggiamento rispetto all'oggettivazione dell'ente. Il vantaggio che ne deriva è la mobilità – regolata, ma libera la massimo – di cambiamento e di ripresa delle ricerche in funzione degli obiettivi a cui si mira. Quanto più incondizionatamente la scienza e lo scienziato andranno sino in fondo alla loro essenza moderna, e tanto più chiaramente e immediatamente potranno porsi a disposizione dell'utile comune, ma altrettanto incondizionatamente dovranno ritirarsi nell'anonimato ufficiale dei lavori di pubblica utilità. La scienza moderna si fonda e si specializza ad un tempo nei progetti di determinate regioni oggettive. Questi progetti si sviluppano nei procedimenti corrispondenti, garantiti da un certo tipo di rigore. I singoli procedimenti si organizzano su basi operative. Progetto e rigore, procedimento e operazioni, esigendosi reciprocamente, esprimono l'essenza della scienza moderna qualificandola come ricerca. Stiamo esaminando l'essenza della scienza moderna per rintracciarne il fondamento metafisico. Il conoscere come ricerca vuol che l'ente renda conto del come e del quando della sua disponibilità per la rappresentazione. La ricerca decide dell'ente sia calcolandone anticipatamente il corso futuro sia completandone il corso passato. Nel primo caso è posta la natura. Nel secondo caso la storia. Natura e storia divengono oggetti di una rappresentazione esplicativa. Solo ciò che diviene così oggetto è, vale, come essente. La scienza diviene ricerca quando si ripone l'essere dell'ente in tale oggettività questa oggettivazione dell'ente si compie in un rappresentare che mira a presentare ogni ente in modo che l'uomo calcolatore possa essere certo dell'ente. La scienza come ricerca si costituisce soltanto se la verità si è trasformata in certezza del rappresentare. È nella metafisica di Cartesio che per la prima volta l'ente è determinato come oggettività del rappresentare e la verità come certezza del rappresentare stesso. L'intera metafisica moderna si mantiene nell'interpretazione dell'ente e della verità stabilite da Cartesio. Ma se la scienza come ricerca è una manifestazione essenziale del mondo, ciò che costituisce il fondamento metafisico della ricerca dovrà, prima di tutto e sin dalle origini, costituire l'essenza del Mondo Moderno. Col costituirsi del mondo a immagine, l'uomo intende la propria posizione come visione del mondo (non come contemplazione passiva del mondo), inteso come visione della vita: ente conta come essente in quanto e nella misura in cui è incluso e ricondotto in questa vita, cioè vissuto e risolto in un'esperienza vissuta. Il tratto fondamentale del mondo moderno è la conquista del mondo risolto in immagine. Immagine significa in questo caso: la configurazione della produzione rappresentante. In questa produzione l'uomo lotta per prendere quella posizione in cui può essere quell'ente che vale come regola e canone per ogni ente. Poiché questa posizione si esprime come visione del mondo, il rapporto moderno all'ente prende la forma di un confronto di visioni del mondo. La scienza come ricerca, è una forma indispensabile di questo insignorirsi del mondo. È una delle vie lungo le quali il mondo moderno va verso il compimento della sua essenza. Con questa lotta fra le visioni del mondo, il mondo moderno entra nel moneto decisivo e più durevole della sua storia. Un segno di questo processo è costituito dal fatto che ovunque si fa innanzi il gigantesco. Ciò avviene anche nella direzione del sempre più piccolo. Il gigantesco avanza in una forma che sembra voler dissolverlo: con l'annullamento delle grandi distane, con la rappresentazione di mondi lontani nella loro quotidianità. Si sarebbe ciechi se si credesse di aver trovato una spiegazione all'avanzato del gigantesco pronunciando l'americanismo. Americanismo: è qualcosa di europero. È una varietà del gigantesco, nel momento in cui è ancora fluttuante, cioè non scaturisce ancora dalla piena e raccolta metafisica del mondo moderno. L'interpretazione americana, sotto la forma di pragmatismo, resta al di fuori del dominio della metafisica. Il gigantesco è ciò attraverso cui il quantitativo si costituisce in una sua propria qualità, diventando in tal modo eminente del grande. Ogni epoca storica non solo è di grandezza rispetto alle altre, ma porta sempre con sé un suo preciso concetto di grandezza. Appena il gigantesco della pianificazione, dell'organizzazione, del calcolo porta il quantitativo a capovolgersi in una sua propria qualità, ecco che il gigantesco e ciò che apparentemente è sempre interamente calcolabile si trasformano nell'incalcolabile. Esso è l'ombra invisibile che si stende su tutte le cose quando l'uomo sia divenuto subjectum e il mondo immagine. Invece l'ombra è la manifesta testimonianza dell'illuminazione nascosta. Così intendiamo l'incalcolabile come ciò che, sottratto alla rappresentazione, si fa tuttavia innanzi nell'ente, attestando l'ente nel suo nascondimento. A causa di questa ombra il mondo moderno si dispone in una regione che sfugge alla rappresentazione, conferendo all'incalcolabile la determinatezza che gli è propria e la specificità storica. Ma quest'ombra annuncia qualcos'altro la cui comprensione ci è oggi vietata.* *e se il rifiuto stesso dovesse divenire la più alta e la più severa rivelazione dell'essere. Visto a partire dalla metafisica, l'essenza nascosta dell'essere si rivela come il mero non-essente, il nulla. Ma il nulla come nulla non è mai un mero niente, come non è affatto qualcosa, alla stregua di un soggetto; il nulla è l'essere stesso, la cui verità sopravverrà l'uomo quando si sarà oltrepassato come soggetto, cioè quando non si rappresenterà più l'ente come oggetto. IL CONCETTO HEGELIANO DI ESPERIENZA Uno dei saggi più complessi e articolati di “Sentieri interrotti” in cui Heidegger si propone, attraverso l’analisi di sedici paragrafi de la “Fenomenologia dello spirito” (prima “Scienza dell’esperienza della coscienza”) di Hegel, come il pensiero di quest’ultimo si configuri come il penultimo passo per il compimento della metafisica e del soggettivismo cartesiano (Hegel cita Cartesio e tutto ciò che ne consegue, con riconoscimento). La coscienza, (che sembra configurarsi come il soggetto che è nel modo dell’esperienza che è modalità dell’esser-presente dell’ente nella auto-rappresentazione) nella metafisica hegeliana come essere dell’ente, vuole se stessa per divenire coscienza assoluta e farsi tutta la realtà. Le tre proposizioni che Heidegger analizza sono: 1) La coscienza è per se stessa il suo concetto; 2) La coscienza dà la sua misura in se stessa (misura e misurato); 3) La coscienza esamina se stessa. Hegel, strumentalizzando il frammento parmenideo, ha portato l’essere a dipendere dal pensiero; la realtà esiste cioè solo se pensabile (ovviamente da un soggetto), tesi di fondo dell’idealismo e dell’hegelismo, insomma il vero essere è il pensiero che pensa se stesso, donde l’identità di essere e pensiero (inteso in senso hegeliano). Nella “Fenomenologia” si tratta di intendere, attraverso la “storia romanzata” della coscienza, che si risolve in se stessa facendosi prima autocoscienza e poi ragione quando scopre di essere la realtà stessa, come il vero è l’assoluto (idea) (riposante presso di noi) e viceversa, come il reale sia razionale e viceversa. Dialegestai (dialettica) come raccogliere-rinchiudere il molteplice nell’unità relativo al soggetto raccogliente (per l’io in quanto io), finalizzato all’autoaffermazione della coscienza come coscienza assoluta, che fa venir fuori pro-ducendo la soggettività. Dialettica = processo di produzione della soggettività del soggetto assoluto, formata da tesi (idea in sé, astratto), antitesi (idea fuori di sé), sintesi (Aufhebung, idea che ritorna in sé, come cogliere ciò che è opposto nella sua unità, un superamento che è un togliere e un conservare). Nei tre momenti della coscienza facenti più attenzione all’oggetto (certezza sensibile, percezione e intelletto) Hegel mostra come la coscienza prima colga l’indeterminatezza del generico questo, poi si rivela essere l’unica capace di ricondurre all’unità la molteplicità (es. proprietà di una casa) e infine come si risolva in se stessa, facendosi autocoscienza; nei tre momenti dell’autocoscienza facenti più attenzione al soggetto (servo-padrone, stoicismo e scetticismo, coscienza infelice) l’autocoscienza necessita di un’altra autocoscienza per essere riconosciuta (come l’io necessita il tu), credendo poi di essere diversa dalla realtà (l’esempio di stoicismo e scetticismo), non riuscendo a capire (coscienza infelice) di essere essa stessa tutta la realtà. Introducendo una serie di figure a “carattere religioso” Hegel mostrerà come l’autocoscienza arrivi fino alla mortificazione di se stessa, per poi compiere il salto necessario per farsi ragione e comprendere di essere essa stessa tutta la realtà. Ragione non a caso è identità di soggetto e oggetto, identità di pensiero ed essere, sintesi del processo dialettico della coscienza (le tre frasi sopra citate). L'uomo non potrà mai conoscere questo divieto finché si limiterà a muoversi nella semplice negazione della sua epoca. La sentenza di Nietzsche “Dio è morto” da Sentieri Interrotti, di Martin Heidegger In questa indagine sono affrontati due problemi: 1) Il luogo a partire dal quale si potrà un giorno discutere dell'essenza del nichilismo; 2) La posizione assunta da Nietzsche nella storia della metafisica occidentale - La metafisica occidentale è verosimilmente nel suo stadio finale, dato il suo capovolgimento operato da Nietzsche nel non essere. Il soprasensibile è stato riconosciuto come l’incosistente prodotto del sensibile: la destituzione del soprasensibile, annullando ogni distinzione tra soprasensibile e sensibile, ha comportato la destituzione anche del puro sensibile. -Della nostra indagine noi vogliamo intendere la metafisica come la verità dell'ente come tale nel suo insieme, e non come dottrina del singolo pensatore. L’esame della metafisica da parte di Nietzsche diviene una sorta di meditazione sulla situazione dell’uomo contemporaneo il cui desino (GESCHIK) rispetto alla propria verità risulta scarsamente compreso, per cui trattare della metafisica in Nietzsche non significa limitarsi ad una parte della sua filosofia, ma prendere sul serio Nietzsche come pensatore. Pensare, anche per Nietzsche, significa rappresentare l'ente in quanto ente: la metafisica è ontologia. Qui noi tentiamo un pensiero preparatorio che procede nel non appariscente: si tratta per noi di dissodare un campo, di presentirlo, trovarlo ed infine coltivarlo, un campo, questo, che con l'inevitabile predominio della metafisica doveva restare sconosciuto. Si tratta di entrarvi una prima volta. Numerosi sono i sentieri( feldwege) sconosciuti che conducono ad esso, e per ogni pensatore ne sussiste uno soltanto, quello che viene lui assegnato sulla cui traccia può muoversi. Forse il titolo Sein und Zeit è l'indicazione di un cammino di questo genere. In conformità all’ intreccio essenziale della metafisica con le scienze, le quali appartengono alla discendenza della metafisica, il pensiero preparatorio dovrà muoversi talvolta anche nella sfera delle scienze stesse. Ad esso incombe anche un'educazione al pensare all'interno delle scienze. Si tratta di trovare la forma adatta affinché tale educazione al pensare non si confonda con l’erudizione o con la ricerca scientifica. Tale compito risulta complesso perché in primo luogo il pensiero deve trovare la propria dimora. Pensare nel filo delle scienze significa oltrepassarle senza svilirle. Non sappiamo quali possibilità riservi al nostro popolo e all'Occidente il destino [Geschick] della storia occidentale. L'analisi che segue si mantiene nell'ambito di quelle esperienza di pensiero entro cui fu pensato Sein un Zeit. -->Nella storia del pensiero occidentale (sotto forma di metafisica) fin dall'inizio si pensa l’ente rispetto al suo essere, ma senza che sia pensata la verità dell'essere; la verità non solo è rifiutata al pensiero come possibile apprensione, ma lo è in modo tale che il pensiero occidentale stesso nasconde il fatto di questo rifiuto, anche se non ne è consapevole. Il pensiero preparatorio si mantiene perciò necessariamente nel campo della riflessione storica; per questo pensiero la storia non è successione di periodi storici, ma un'unica vicinanza del cristianesimo in questo senso non è la cristianità della fede neotestamentaria. Perciò una polemica sul cristianesimo non è assolutamente una lotta contro ciò che è cristiano. L'espressione “Dio è morto” non può essere dunque soltanto la formula della miscredenza, perché per Dio, come già sottolineato, si intende il mondo soprasensibile degli ideali: se la fede si dilegua e l’ammaestramento della Chiesa perde terreno, al loro posto si impone l'autorità della ragione. Le cure del culto religioso sono sostituite dall’entusiasmo per le creazioni culturali e per la diffusione della civiltà -ma si tratta pur sempre di derivati dell'interpretazione del mondo cristiano-chiesastica e teologica, dunque non si esce dalla metafisica, cioè da quell’ordinamento dell’ente in virtù del quale si distinge tra soprasensibile e sensibile. Idee, Dio cristiano, legge morale, autorità della ragione, progresso, cultura: tutto ciò per N. è “Dio”, vale a dire mondo soprasensibile. La miscredenza non potrà che essere una mera conseguenza, e non l’essenza, del nichilismo. In una nota dell'anno 1887 ( Volontà di potenza, Af. 2), N. si domanda: “Che cosa significa nichilismo?”, e risponde: “ che i valori supremi perdono ogni valore” -Dio, gli ideali e le idee, il mondo ultrasensibile come mondo veramente essente e tutto determinante, i fini e le ragioni che determinano e reggono ogni ente e particolarmente la vita umana, il vero, il bene e il bello: tutto ciò perde ogni valore quando si diffonde la convinzione che il mondo ideale non è mai realizzabile nel mondo reale. Potremmo leggere tutto ciò come avviene di sovente come il segno di una decadenza generale. Ma il nichilismo è molto più di questo: esso è la logica interna della storia occidentale, Dopo il crollo dei valori supremi il mondo continua a sussistere, adesso sprovvisto di ogni valore, e tende inevitabilmente a una nuova posizione di valori. La nuova posizione assume, rispetto ai valori supremi precedenti, la forma di un “capovolgimento di tutti i valori”: il “no” ai valori precedenti si converte in un “sì” della nuova posizione -è questo il nichilismo assunto in una prospettiva positiva, come nichilismo classico o compiuto. L’ambiguità del nichilismo -che indica da un lato la perdita di valore dei valori supremi, e dall’altro un capovolgimento di tutti i valori che è dunque nuova posizione- viene del resto preannunciata dall’ambiguità di un altro fenomeno, il pessimismo. Per Schopenhauer il pessimismo è la convinzione secondo cui in questo che è il peggiore dei mondi la vita non vale la pena di essere vissuta. La vita e quindi l’ente come tale devono essere rifiutati: questo è per Nietzsche il pessimismo della debolezza. Il pessimismo della forza al contrario non si fa illusioni, vede il pericolo, non tollera simulazioni, penetra analiticamente nei fenomeni esigendo la chiarezza circa le condizioni e le forze che nonostante tutto permettono il controllo della situazione storica. Il pessimismo nella sua duplice forma fa emergere gli estremi. Nasce così uno stato di esasperata tensione sotto forma di aut-aut. Si delinea una situazione intermedia in cui si fa chiaro da un lato che la realizzazione dei valori supremi non ha luogo e il mondo appare senza valore, e dall'altro questa consapevolezza volge l'attenzione verso la sorgente di una nuova posizione di valori senza che il mondo riottenga già il proprio valore. Certamente la caduta dei precedenti valori può anche concludersi in un altro tentativo. Se Dio, nel senso del Dio cristiano, ha abbandonato il suo posto nel mondo ultrasensibile, il posto c'è ancora, anche se vacante. Questa regione vuota del mondo sovrasensibile può essere mantenuta. Essa richiede allora un nuovo occupante: nuovi ideali sono pertanto istituiti. Secondo N., come si legge in Volontà di potenza, ciò avviene con le dottrine della felicità universale e col socialismo, con la musica wagneriana. Si ha allora il nichilismo incompiuto -noi viviamo in mezzo alle forme del nichilismo incompiuto; ma i tentativi di sottrarci al nichilismo senza rovesciare i valori precedenti acutizzano il problema. Se il nichilismo incompiuto sostituisce i precedenti valori con altri ponendoli sempre nel medesimo luogo, il nichilismo compiuto invece deve eliminare il luogo tradizionale del valore, il sovrasensibile come regione a sè, che oramai appare priva di vita, e deve pertanto porre i valori in modo diverso, cioè capovolgerli. La posizione dei valori richiede quindi un nuovo principio, una nuova regione, in un capovolgimento che ha il carattere di ciò che è vivente al massimo grado: il nichilismo si muta così in un ideale di vita potenziata al massimo. Cosa è per Nietsche “valore” e “vita”, per arrivare poi alla volontà di potenza valore: Dal XIX secolo parlare di valori diviene abituale. Si parla di valori vitali, di valori culturali, di valori di eternità, di rango di valori, di valori spirituali. Attraverso l'esercizio erudito della filosofia è la rielaborazione del neokantismo nasce la filosofia dei valori. Si costruiscono sistemi di valori e l'etica studia le stratificazioni di valore. Anche la teologia cristiana definisce Dio come supremo valore. Si dichiara la scienza estranea al valore e si collegano i valori alle visioni del mondo. Il valore e ciò che ha valore divengono un surrogato positivistico del metafisico. Al diffuso impiego della nozione di valore fa riscontro l’indeterminatezza del suo significato. Annotazione del 1887-88, Volontà di potenza, af. 715: Il punto di vista del “valore” è il punto di vista delle condizioni di conservazione-accrescimento in ordine alle formazioni complesse di relativa durata della vita in seno al divenire. Da tale definizione apprendiamo innanzitutto che il valore è un punto di vista. Il valore è l'angolo visuale di un vedere che mira a qualcosa, che conta su qualcosa e deve quindi fare i conti con qualcos'altro. Il valore è in un rapporto col tanto, col quantum e col numero. I valori sono perciò rapportati ad una scala numerativa e misurativa. Resta il problema quindi del fondamento di questa scala di accrescimento e diminuzione. In quanto punto di vista, il valore è posto da un determinato vedere e per esso. Il vedere è quel rappresentare che da Leibniz in poi è concepito come tendere (appetitus). Ogni ente è rappresentante perché all'essere dell'ente appartiene il nisus, cioè l'impulso al sorgere, nisus che impone a qualcosa di farsi innanzi (apparire), determinandone in tal modo la presentazione. L’essenza di ogni ente, in quanto determinata dal nisus, irraggia un angolo visuale, che è appunto il valore, ed offre la prospettiva che deve essere seguita. Leggiamo secondo la definizione che coi valori sono poste le condizioni di conservazioneaccrescimento, vale a dire di conservazione e insieme di accrescimento, che designano l'unità reciproca dei tra i fondamentali della vita. Il vivente è perciò sempre una commissione di accrescimento e conservazione, e perciò una formazione complessa della vita. La durata di queste complesse formazioni della vita riposa sulla relazione reciproca di accrescimento e conservazione. Essa è pertanto proporzionata alla situazione, è la relativa durata del vivente e quindi della vita. Il divenire, infine, non è lo scorrimento di tutte le cose, il semplice mutamento degli Stati o un'evoluzione o un processo indefinito. Divenire significa il trapasso di qualcosa a qualcos'altro. Nietzsche pensa questo carattere come il tratto fondamentale di ogni reale, quindi di ogni ente. Ciò che determina ogni ente nella sua essenza è la volontà di potenza, dunque il divenire equivale in senso lato alla volontà di potenza. Divenire = Volontà di Potenza=Vita=Essere. La vita si concentra in vari centri della volontà di potenza, che sono lo Stato, la religione, la scienza, la società. La volontà di potenza pone dunque i valori, come sue condizioni, cioè è proprio la volontà di potenza a giudicare secondo valori: Pertanto i valori e il loro mutamento sono in rapporto all’ accrescimento di potenza di coloro che li pongono. Il principio della nuova posizione di valori: la volontà di potenza Il principio della nuova posizione di valori, in quanto principio del capovolgimento di tutti i valori precedenti, è dunque ormai stato identificato: si tratta della volontà di potenza, con la quale si pone in atto il rovesciamento di ogni metafisica. Questo rovesciamento è un oltrepassamento della metafisica -ma in realtà, vedremo che ogni rovesciamento di questo genere non può che essere un inconsapevole irretimento nella medesima cosa, dunque nella metafisica stessa. Diventa chiaro a questo punto il collegamento fra il nichilismo e la sentenza “dio è morto” con la volontà di potenza. Ma cosa significa volontà di potenza per Nietzsche? Volere è tendere a qualcosa; potenza è l’esercizio del potere e della forza, dunque la volontà di potenza è l’appetito della potenza. In quanto tendenza a qualcosa di non ancora posseduto, essa rinvia a un senso di mancanza. L'analisi della volontà di potenza in questo modo finisce tuttavia per cadere nel dominio della psicologia. Per uscire da tale ambito occorre parlare di ciò che Nietzsche intende per volontà di potenza mediante una riflessione sul pensiero metafisico e su tutta la storia della metafisica occidentale. Nella seconda parte di Così parlò Zarathustra, che apparve un anno dopo la Gaia scienza nel 1883, Nietzsche nomina per la prima volta la volontà di potenza nel senso in cui essa doveva venire intesa: “dovunque troverai un vivente, troverai volontà di potenza; anche nella volontà del servo troverai la volontà di essere padrone”. La volontà è dunque presente anche nel volore di coloro che servono. Questo non vuol dire che il servo voglia sottrarsi al proprio ruolo di servo per sostituirsi al padrone: è proprio in quanto servo che egli vuol sempre aver qualcosa sotto di sé a cui poter comandare nel proprio servizio. Così, in quanto servo, è pur anche padrone: anche l'essere servo è un voler essere padrone. La Volontà non è un desiderio o la semplice aspirazione a qualcosa, perché volere è in se stesso comandare. Colui che comanda può, da padrone, disporre delle possibilità dell'agire efficace. Il comandare è da tenere distinto dal semplice impartire ordini agli altri. Solo chi non sa ubbidire a se stesso ha ancora bisogno di ordini. Ciò che la volontà vuole non è allora qualcosa a cui essa mira senza possederlo ancora, ma ciò che vuole è già in suo possesso, perché la volontà non vuole altro che il suo volere. La volontà vuole se stessa ed in questo oltrepassa se stessa. Volere in generale equivale a voler diventare più forte, cioè più potente: la potenza è sempre accrescimento di Potenza, una semplice pausa nell’accrescimento di potenza, un semplice arresto ad un determinato grado di potenza, segnerebbe l'inizio del declino della potenza. Nell'espressione Volontà di potenza “potenza” Indica semplicemente il modo in cui la volontà vuole se stessa in quanto è comando. Una volontà per sé non esiste, come non esiste una potenza per sè. Volontà e potenza non sono semplicemente accoppiate nella volontà di potenza. La volontà di potenza è l'essenza intima dell'essere. [ricorda sempre che Divenire = Volontà di Potenza=Vita=Essere]. Essentia (volontà di potenza) ed Existentia (l’eterno ritorno dell’eguale) Le due espressioni fondamentali della metafisica di Nietzsche sono la volontà di potenza e l'eterno ritorno dell'uguale. Esse definiscono l’ente nel suo essere secondo le due prospettive tipiche della metafisica occidentale fin dalle sue origini: l’ente nel senso di essentia e existentia. tale processo resta di natura metafisica, proprio nel senso della metafisica della volontà di potenza. I nuovi valori determinano in maniera nuova l’uomo: l’essere-uomo si innalza ad una nuova dimensione storica. L'autocoscienza, in cui consiste l'essenza dell'umanità moderna, compie il suo passo estremo: e sta vuole se stessa come autrice della volontà incondizionata di potenza. Il termine che designa la nuova forma di umanità è quello di “ superuomo”. Di colpo l'uomo viene a trovarsi di fronte al compito dell’assunzione del dominio della Terra. Ma l’uomo di fino ad oggi si è assicurato se la sua essenza possiede la maturità e la forza per corrispondere a questa pretesa dell’essere? L’uomo di fino ad oggi vorrebbe restare ciò che è stato fin’ora, in cui si è trattenuto con ripieghi e raggiri disconoscendo ciò che egli è. Questo uomo non è ancora preparato nella sua essenza per l’essere che frattanto domina l’ente. Nell’essere si accampa la necessità che l’uomo vada oltre l’uomo attuale, esclusivamente per l’essere stesso. La dottrina del superuomo trae origine da un pensiero che pensa l’ente in quanto ente: essa si riconnette pertanto all'essenza della metafisica, senza tuttavia poter rendersi conto di questa essenza, chiusa come è all'interno della metafisica stessa. Resta così nascosto alla metafisica di Nietzsche, e del resto a ogni metafisica precedente, come l'essenza dell'uomo sia determinata dall’essenza dell'essere. Ecco perché nella metafisica di Nietzsche è necessariamente oscuro il fondamento della connessione tra la volontà di potenza e l'essenza del superuomo. Tuttavia in ogni velamento domina già un disvelamento. L'esistenza, che è propria della essenza dell'ente come volontà di potenza, è l'eterno ritorno dell'uguale. L'essere, pensato nel ritorno, contiene il rapporto all’essenza del superuomo. Ma questo rapporto resta necessariamente non pensato nella sua connessione essenziale all'essere. Perciò anche N. resta completamente all'oscuro del rapporto intercorrente fra l'essenza della metafisica e il pensiero che penso il superuomo nella forma di Zarathustra. Si tratta di pensare non sono metafisicamente ma a partire dalla essenza della metafisica stessa (cosa fino ad ora non ancora compiuta). Nietzsche conclude la prima parte di Così parlo Zarathustra (1883) così: “Tutti gli dei sono morti: ora noi vogliamo che viva il superuomo!” Si potrebbe credere grossolanamente che queste parole stiano a significare che il dominio sull’ente passa da Dio all'uomo o, peggio ancora, che Nietzsche pone l'uomo al posto di Dio. L'uomo non può mai porsi al posto di Dio. Ma può accadere qualcosa di assai più inquietante di questa impossibilità. Quel posto che nell'ordine della metafisica appartiene a Dio è il luogo della efficienza causale o della conservazione dell'ente in quanto ente creato. Questo posto di Dio può restare vuoto. In sua vece può aprirsi un altro posto, metafisicamente corrispondente, che non è identico nè alla regione dell' essenza divina nè all’essenza dell’uomo, col quale però l’uomo intrattiene una particolare relazione. Il superuomo non subentra e non può subentrare al posto di Dio: il posto in cui si insedia il volere del superuomo è un altro dominio, da cui procede un'altra fondazione dell'ente in base a un suo altroessere. Questo altro essere dell'ente è la soggettività, quale si è costituita all'inizio della metafisica moderna. Ho niente e o il reale come oggetto o il realizzante come rappresentazione oggettivante in cui si costituisce la oggettività dell'oggetto.La rappresentazione oggettivante, rappresentando, subordina l'oggetto all’ego cogito. Quast’ultimo, in base alla sua attività (la subordinazione rappresentativa) si rivela come soggetto. Il soggetto è soggetto a se stesso. L'essenza della coscienza è l'autocoscienza. Ogni ente è dunque o oggetto del soggetto o soggetto del soggetto. In entrambi i casi l'essere dell'ente consiste in una rappresentazione che è un porsi-innanzi-a-se- stesso e quindi un imporsi. Anche l’uomo si costituisce nell’insorgere, mentre il mondo si muta in oggetto. La natura appare ovunque come l’oggetto della tecnica. Nella Metafisica l’essere è decaduto a valore: ecco l’evento fondamentale della storia occidentale in procinto di trasformarsi in storia universale Risale allo stesso periodo (1881-1882) a cui appartiene lo scritto sull’uomo pazzo, l’annotazione di N.: “ Si avvicina il tempo in cui sarà combattuta la lotta per il dominio della Terra -essa sarà combattuta nel nome di dottrine filosofiche fondamentali”. Questa affermazione non vuol dire che la lotta per lo sfruttamento illimitato della terra come materia prima e per l'Impiego senza riserve del materiale umano al servizio del potenziamento assoluto della volontà di potenza chiama in causa esplicitamente la filosofia. Al contrario, è da presumersi che la filosofia come dottrina e prodotto culturale, quale è stata genuinamente fin’ora, scompaia. Le “dottrine filosofiche fondamentali” non sono le dottrine dei dotti, ma il linguaggio della verità dell’ente come tale; verità, questa, che è la metafisica stessa nella forma della metafisica della soggettività incondizionata della volontà di potenza. La lotta per il dominio sulla terra deriva già, nella sua essenza storica, dall’apparizione dell’ente come tale nel modo della volontà di potenza, senza che tuttavia esso sia riconosciuto e compreso come volontà. Con l'inizio della lotta per il dominio della terra, l'epoca della soggettività è spinta verso il suo compimento. Fa parte di questo compimento che l’ente, essente nella forma della volontà di potenza, si renda certo e perciò consapevole della propria verità circa se stesso, secondo la modalità che gli è propria e sotto ogni riguardo. Il rendersi consapevole è un necessario strumento del volere che vuole sul fondamento della volontà di potenza. Esso si attua, per quanto concerne la oggettivazione, nella forma della pianificazione, mentre per quanto concerne l'insorgere dell’uomo, nella forma dell’autovolizione, mediante l'analisi incessante della situazione storica. Dunque, che ne è dell’essere nell’epoca dell’inizio del predominio della volontà di potenza? “Il grande mezzodì” è il tempo della chiarezza estrema. Nel volere della volontà di potenza, si impone all'uomo la necessità di volere nello stesso tempo le condizioni di questo volere. Ciò equivale a porre valori e a giudicare ogni cosa secondo valori. E così il valore determina ogni ente nel suo essere. L’essere è divenuto valore. Mentre è elevato a valore, l'essere è nel contempo abbassato a condizione posta dalla volontà di potenza come tale. Questa valutazione e attribuzione di dignità all'essere poggia sulla svalutazione della dignità della sua essenza. Quando l'essere dell'ente è degradato a valore e la sua essenza è determinata su questa base, all'interno di questa metafisica, cioè all'interno della verità dell'ente come tale, è smarrita, per tutta la durata dell'epoca, ogni via di accesso all’essere come tale. Obliando l’essere e la verità che gli è propria, il pensiero occidentale già dalle sue origini pensa l’ente in quanto tale. Di conseguenza esso ha pensato l’essere solo in questa verità, e ha introdotto nel linguaggio questo termine in modo maldestro e in una ambiguità contorta. Questo pensiero, in cui l'essere stesso resta non pensato, è l’evento semplice e fondamentale, e perciò enigmatico e non riconosciuto, della storia occidentale in procinto di trasformarsi in Storia Universale. In ultima analisi, nella metafisica l’essere è decaduto a valore, il che attesta che l'essere non è lasciato essere in quanto essere. La metafisica è nella sua essenza nichilismo [se la Mf, cioè tutto il pensiero occidentale, che pretende di pensare l’ente in quanto ente, rinuncia ad una autentica interrogazione sull’essere e non fa altro che degradarlo a valore, allora dell’essere non resta nulla (nihil, da cui nichilismo)→ questo significa che la Mf, come pensiero che pensa per valori, è nichilismo] Che ne è allora dell’essere, degradato a valore? Dell’essere ne è nulla E se proprio qui si rivelasse l’essenza del vero nichilismo, cioè nel pensare per valori? Si ricorderà che per N. il nichilismo è il venir meno dei valori supremi e la volontà di potenza è il principio del capovolgimento di valori in virtù di una nuova posizione dei valori supremi. Dunque la metafisica della volontà di potenza, in questi termini, è certamente un oltrepassamento del nichilismo. Ma se l’essere decade a valore, se l’essere non è lasciato essere in quanto essere, il preteso oltrepassamento non sarà che il compimento del nichilismo! La metafisica infatti non solo non pensa l'essere stesso, ma, dimentica dell'essere, vuol far credere che, per il fatto di assumere l'essere come valore, lo pensa anche nel modo più alto. Il pensiero che pensa tutto per valori, degradando l’essere a valore, cioè niente, è l’autentico nichilismo! L’interpretazione del mondo ultrasensibile e di Dio come valori supremi non è pensata in base all’essere. Proprio il colpo più duro contro Dio consiste allora nel ritenerlo un valore supremo, e questo colpo è inferto dai credenti e dai teologi. Conclusioni - Tutta la metafisica, anche nel suo stadio finale come metafisica della volontà di potenza, è oblio dell'essere e della sua verità Riprendiamo l'aforisma dell'uomo pazzo. Come può accadere che gli uomini siano capaci di uccidere Dio? 1. “Noi l’abbiamo ucciso”; 2. “E tuttavia essi l’hanno fatto”, cioè hanno compiuto l’atto di uccidere Dio benchè non lo sappiano ancora. Queste due frasi danno la chiave per l'interpretazione della sentenza “ dio è morto”. Questa affermazione non corrisponde a un atteggiamento di negazione e di astio quasi significasse che non esiste alcun Dio, ma rispecchia invece lo sdegno. Concentriamo adesso la nostra attenzione su tre bellissime immagini: 1) come potremmo bere il mare? 2) chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? 3) che facemmo sciogliendo la Terra dal suo sole? A quest'ultima domanda possiamo rispondere facendo riferimento alla storia europea degli ultimi tre secoli e mezzo. Quando Nietzsche parla del rapporto fra sole e terra non pensa soltanto alla rivoluzione copernicana, ma il termine sole rievoca anche l'immagine della caverna platonica. Mare, orizzonte, sole indicano il mondo sovrasensibile quale mondo veramente esente. Nell'epoca moderna il regno del sovrasensibile essente-in-se-stesso non sta più al di sopra degli uomini come una luce normativa. L'orizzonte non illumina più. L’ “uccidere” allude allora al fatto che gli uomini dell’epoca moderna hanno soppresso il mondo sovrasensibile nel suo essere in sè. L’uccisione è l'evento in cui l’ente come tale non è certo annichilito, ma diviene altro nel suo essere. In questo evento anche l'uomo, soprattutto l'uomo, diviene altro. L’uomo si è costituito nella iità dell’ego cogito. A causa di questa rivolta ogni ente si è fatto oggetto, ed “oggettivo” è ciò che è posto nell’essere dell’uomo come soggetto dalla rappresentazione. La soppressione dell’essente in sè implica dunque la posizione di valori. E’ questo l'ultimo colpo all'uccisione di Dio inferto dalla metafisica, come metafisica della volontà di potenza. Con questo colpo estremo l'essere è sminuito a semplice valore, ma tale colpo non è riconosciuto da Nietzsche in ciò che esso è, cioè nei confronti dell'essere stesso. Ma N., considerandoci tutti assassini, considera la stessa metafisica della volontà di potenza come nichilismo; questo per N. significa semplicemente che essa, come capovolgimento di tutti i precedenti valori, compie più radicalmente quel venir meno di tutti supremi valori precedenti che era già in corso. Ma proprio per questo Nietzsche non può più pensare come nichilismo, come uccisione la nuova posizione di valori.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved