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Settis-Montanari, storia dell'arte moderna. Dal Quattrocento alla Controriforma, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi del Settis-Montanari per la prova ad itinere, da pag. 80 a pag. 275

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 01/12/2022

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Scarica Settis-Montanari, storia dell'arte moderna. Dal Quattrocento alla Controriforma e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 CAP.6 Pittura di luce La pittura di luce è quell’arte che ebbe origine a Firenze sul finire degli anni ’30 grazie all’artista Domenico Veneziano, e si diffuse rapidamente nelle regioni del centro Italia, grazia all’allievo Piero della Francesca. Le caratteristiche della “pittura di luce” sono l’attenzione alla prospettiva, l’elaborazione di una composizione essenziale e lineare, utilizzo di colori chiari e luminosi. Prospettiva matematica: La prospettiva è la rappresentazione di un volume che ha tre dimensioni su un piano che ha due dimensioni. Si fissa il punto di fuga da cui partono le linee direttrici che formano una scatola spaziale. La scatola spaziale è la costruzione matematica di uno spazio per un corretto inserimento delle figure e degli oggetti in uno spazio. La pala di Santa Lucia de’ Magnoli, ca. 1445 (Domenico Veneziano) Manifesto della nuova corrente artistica della “luce”, si tratta di una pala d’altare per la chiesa fiorentina di Santa Lucia de’ Magnoli dipinta verso la metà degli anni ’40. Nella pala sono raffigurati la Madonna con in braccio Gesù bambino, i Santi Francesco, Giovanni Battista, Zanobi e Lucia. Adotta il formato quadrato, rinunciando a cupidi e pinnacoli gotici. I personaggi sono collocati nel concreto spazio di un loggiato, definito dalla prospettiva attraverso un dettagliato studio del pavimento e della base del trono. La cosa che più stupisce è l’uso di colori chiari e luminosi, non solo nelle figure, ma anche nell’architettura. Piero della Francesca (1415/20 - 1492) Durante la sua vita studiò la matematica e la prospettiva, sui quali scrisse il trattato “De prospectiva pingendi” (la prospettiva in pittura). Gli elementi chiave della sua pittura sono: → coerenza spaziale (prospettiva); → colori chiari e luminosi; → architetture all’antica; → figure volumetriche. Piero della Francesca ad Arezzo Battesimo di Cristo, ca 1443-1445 (tempera su tavola) La formazione con Domenico Veneziano traspare in quest’opera. Cristo e la soprastante colomba (spirito santo) sono il centro della composizione dove l’effetto di tridimensionale lontananza è sottolineato dall’attento digradare del paesaggio. Il terzetto di angeli a sinistra somiglia nella fisionomia e nella compattezza alle figure di Luca della Robbia (scultore che Piero aveva conosciuto a Firenze), mentre dietro il giovane fedele che si sta spogliando spunta un gruppo di curiose comparse, le cui vesti Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 allungate e i bizzarri copricapi rimandano alla delegazione bizantina intervenuta al Concilio di Firenze nel 1439. Il Battesimo era nato per stare al centro di un trittico cuspidato, che si conserva al Museo Civico di Sansepolcro, compiuto entro il 1456 da Matteo di Giovanni. Polittico della Misericordia, 1445-1462 (oro, tempera e olio su tavola) Il polittico fu commissionato dalla Confraternita della Misericordia di Sansepolcro nel 1445, nel quale, secondo contratto, le figure dovevano stagliarsi sul fondo dorato. Sovradimensionata, la Vergine allarga il manto a proteggere un piccolo gruppo di devoti che, nell’inginocchiarsi, si posizionano per dare un senso di circolarità. Il polittico è stato completato solo nel 1462, perché Piero della Francesca è stato occupato altrove: a Ferrara, Rimini e Arezzo. Affresco del Tempio Malatestiano, Rimini 1451 Sigismondo Pandolfo Malatesta Nel 1449 Sigismondo Malatesta cercò un abile pittore per le sue cappelle del Tempio Malatestiano, la scelta ricadde su Piero della Francesca, cui si deve un affresco esposto attualmente nel transetto della chiesa. In origine l’immagine fu affrescata all’interno della piccola sagrestia che divide le prime due cappelle del Tempio, subito sopra la porta di ingresso. La scena di corte fu probabilmente pensata per la prima cappella dedicata a san Sigismondo; ma, nel lasso di tempo passato tra la commissione e la realizzazione dell’affresco, Sigismondo decise che per la decorazione del Tempio sia preferibile la scultura alla pittura, quindi l’affresco finì in sagrestia. Su commissione dipinse una scena di corte ambientata nello spazio prospettico di un’aula chiusa da una coppia di lesene architravate all’antica e ornate di festoni. Sigismondo spicca al centro della composizione nel netto profilo, alle sue spalle sono sdraiati due levrieri, uno bianco e uno nero, mentre sulla sinistra si erge di tre quarti, seduto su una sedia, un san Sigismondo che ha il volto dell’imperatore Sigismondo del Lussemburgo che nel 1433 era passato da Rimini e aveva confermato la signoria al giovane Malatesta. L’oculo prospettico aperto sulla destra finge illusionisticamente ad una finestra su Castel Sismondo: la residenza fortificata della famiglia malatestiana inaugurata nel 1446. L’affresco è stato firmato e datato nella parte inferiore. Flagellazione di Cristo, ca 1445-1450 Tempera grassa su tavola La scena mostra la Flagellazione di Cristo, un tema inconsueto come opera a sé stante. Ancora più originale è la composizione della scena, divisa in due parti, con tre figure in primo piano a destra, sullo sfondo di una via cittadina all'aperto, e la flagellazione vera e propria che avviene a sinistra, più distante, in un porticato simile a quello dell’incontro con Salomone con la regina. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Madonna di Senigallia, 1470 - olio e tempera su tavola Le figure sono maestose e volumetriche, le figure a mezzo busto si adattano all’atmosfera ovattata e domestica di un interno rischiarato dai raggi del sole filtrati dalla finestra, particolare l’effetto del pulviscolo atmosferico. Nell lato sinistro è raffigurata una piccola nicchia rinascimentale, simili a quelle del palazzo Ducale, dove un paio di mensole sorreggono i brani di natura morta del cesto di panni e del soprastante contenitore. Pala di Montefeltro /o Pala di Brera, 1472 Sacra conversazione (pinacoteca di Brera) Olio e tempera su tavola In questa pala votiva, voluta per celebrare la nascita di Guidobaldo Sforza, Piero della Francesca rinnova lo schema noto della “sacra conversazione” ponendo le sue figure in un’architettura solenne con i personaggi quanto con i ritmi compositivi della chiesa urbinate di San Bernardino, nella cui abside era posta. La pala sarebbe stata decurtata sui lati e in alto, in modo da diminuirne la suggestione spaziale. Le figure si pongono con naturalezza, maestose ma ammorbidite dalla stesura del colore, collegate dall’illuminazione che evidenzia gli oggetti più minuti. Il duca è ritratto nuovamente di profilo, a mostrare sempre il lato con l’occhio buono, ci appare come un devoto committente inginocchiato di fronte alla Vergine, la quale reca sulle ginocchia il Figlio ed è accompagnata da una corte di santi e di angeli. La Vergine è il centro della composizione prospettica posta all’interno di uno spazio all’antica: pareti decorate con riquadri di marmi policromi, lesene scanalate e capitelli, una perfetta valva di conchiglia nella calotta absidale, la volta a botte… L’uovo di struzzo è carico di significati simbolici legati al concetto di generazione e di redenzione, coincide con l’asse e con il centro geometrico della composizione simmetrica. La “divina protezione” che governa tutta la realtà, si concretizza e l’uovo può essere assunto come medio proporzionale tra l’ovale del volto di Maria e la circolarità dell’abside e dell’arco. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Luca della Robbia, le cantorie del Duomo di Firenze Nella Firenze del primo rinascimento anche la scultura seppe crearsi un nuovo linguaggio, nel quale il colore e la luce riuscirono a giocare un ruolo decisivo grazie all’invenzione di una nuova tecnica: la terracotta invetriata. Brunelleschi non si occupò solo del cantiere del Duomo di Firenze, aveva anche progettato l’arredo della zona sottostante, intorno all’altare maggiore, dotandolo di una coppia di cantorie: due balconi che accolgono il nuovo organo e i coristi della cattedrale. La cantoria del lato sinistro, sopra l’ingresso della Sagrestia delle Messe, era stata commissionata nel 1431 a Luca della Robbia, che l’avrebbe completata nel 1438, quando era pronta anche l’altra, ordinata nel 1433 a Donatello e collocata sopra l’ingresso della Sagrestia dei Canonici. I due complessi si conservano adesso nel Museo dell’Opera del Duomo. La cantoria di Donatello Nel 1433 Donatello ottenne la commissione della cantoria. Volendo richiamare il tema della musica, allestisce sul parapetto del balcone una sfrenata danza di putti alati, impreziosita da colorati inserti musivi. Il rifiuto della rigida composizione e la scelta di lasciare le figure poco più che abbozzate, la composizione è studiata anche in funzione dell’altezza della cantoria. La cantoria di Luca della Robbia Il balcone di luca della Robbia è popolato di fanciulli, lo spunto è il salmo 150, che si legge nella doppia iscrizione latina della cornice, e invita a lodare Dio al suono della tromba, con arpe e cetre, tamburi e danze, liuti e flauti… Mette a punto una serie di dieci rilievi quadrati, dove gruppi di cantori e danzatori ben in carne sono torniti e levigati nel marmo; alcune pose sono tratte dall’antico e sono dominate da un’armoniosa serenità. L’ordine architettonico è scandito su due registri dalle mensole del balcone e da coppie di paraste. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Resurrezione, Duomo di Firenze (1442-1444) Nel 1442 Luca della Robbia ebbe l’incarico di eseguire una lunetta con la Resurrezione per la porta della Sagrestia delle Messe, sotto la sua cantoria. Terminata entro il 1444, la scena fu realizzata con la tecnica della terracotta invetriata, scegliendo di far risaltare il bianco delle figure su uno sfondo azzurro. Al centro della composizione è raffigurato Cristo risorto, adorato da quattro angeli, mentre svetta sul sepolcro scoperchiato attorno alla quale dormono dei soldati. La misura della composizione è esaltata dal contrasto cromatico delle figure e del fondo. La tecnica della terracotta invetriata La scultura in terracotta consiste nel plasmare con l’argilla sia i rilievi che figure a tutto tondo, poi cotti in forno per assumere una definitiva solidità. Abbandonata nel Medioevo, la scultura in terracotta fu riscoperta a Firenze nel Quattrocento. Luca della Robbia sperimenta un particolare tipo di terracotta colorata, realizzata attraverso uno speciale smalto superficiale, capace di aumentare tanto la resistenza della terra, quanto di conferire una lucentezza vitrea: nasce così la terracotta invetriata. L’invetriatura smaltata era molto più luminosa e resistente delle tradizionali policromie, inoltre, la terracotta permetteva non solo di replicare composizioni da una matrice, ma anche di realizzare grandi complessi tramite l’assemblaggio di molteplici pezzi plasmati autonomamente. Questa tecnica poteva essere utilizzata anche per statue a tutto tondo. Tabernacolo di sant’Egidio, 1441-1442 Tra il 1441 e il 1442 aveva collaudato la tecnica della terracotta invetriata in un tabernacolo eucaristico per la chiesa fiorentina di Sant’Egidio. Alleste un tempietto all’antica, inquadrato da lesene scanalate e coronato da un timpano. La struttura è in marmo, così come le figure principali; l’invetriatura compare a impreziosire il fondo azzurro della lunetta, il motivo decorato del basamento, i festoni e le teste di cherubini e serafini che ornano l’architrave e gli ornati vegetali dei pennacchi. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Sagrestia vecchia di San Lorenzo, Firenze Prima ancora che Cosimo de Medici iniziasse ad imporsi a Firenze, era stato uso padre Giovanni de Bicci a promuovere e finanziare un importante cantiere della città, la ristrutturazione della chiesa di San Lorenzo nel 1420. Il progetto fu affidato a Brunelleschi, nacque intorno alla costruzione di una sagrestia pensata come mausoleo mediceo e ultimata già nel 1428. La Sagrestia Vecchia di San Lorenzo è costituita da un’aula composta (spazio cubico) scandita da elementi architettonici classicheggianti in pietra serena (arenaria grigia). Su ogni lato si sviluppano grandi lunette a tutto sesto sul quale si sviluppa una cupola, impostata su quattro grandi pennacchi, nei quali si riconosce lo stemma mediceo. Al centro, sotto il grande tavolo marmoreo dove i sacerdoti depongono le vesti liturgiche, si trova la tomba di Giovanni de Medici morto nel 1429. Il grande vano si ripropone proporzionalmente nella scarsella, uno spazio architettonico misurato nel quale risultano una serie di rilievi colorati eseguiti da Donatello per gli archi, i pennacchi e i sovrapporta della sagrestia. Agitate figure di evangelisti e di santi si alternano con le storie di San Giovanni Evangelista. Nell’episodio della Resurrezione di Drusiana, la donna in nero, miracolata risorge dal letto funebre provocano un’esaltazione nelle candide forme dei presenti che risaltano sul color mattone di un’enorme sala ordinata da arcate a tutto sesto. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Capitolo de Pazzi in Santa Croce, Firenze Andrea Pazzi decise di partecipare alla ricostruzione di alcuni ambienti del convento di Santa Croce distrutti da un incendio, incaricò Filippo Brunelleschi di costruire una cappella nel 1429. Si tratta di un edificio a pianta centrale, impostato all’interno su di un’aula cubica con cupola e scarsella (molto simile alla Sagrestia Vecchia). La differenza con la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo sta nella decorazione: qui utilizza un corredo scultoreo in terracotta invetriata; purtroppo, né Andrea Pazzi né Brunelleschi riuscirono a vedere questi elementi montati perché morirono rispettivamente nel 1445 e nel 1446. L’edificio sarebbe stato ultimato solamente nella seconda metà del Quattrocento. Il prospetto della cappella si distingue per un porticato all’antica, sorretto da due terzetti di colonne corinzie che sostengono una trabeazione, interrotta al centro da un arco a tutto sesto. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Lorenzo Ghiberti La Porta del Paradiso del Ghiberti, 1425-1452 Compiuta la porta nord nel 1424, aveva ottenuto dall’Arte di Calimala (corporazione delle arti), l’incarico di realizzare l’ultima porta del Battistero: la porta del Paradiso, venne installata solo nel 1452. La struttura dei due battenti rinuncia ad ogni riferimento gotico e prevedeva dieci grandi scene quadrate con storie dell’Antico Testamento, oltre ad una cornice con piccole figure di altri personaggi biblici. Adotta un linguaggio nella quale le figure acquisiscono un po' di volume, la prospettiva rimane sostanzialmente oscura e lo “stiacciato” donatelliano veniva utilizzato per le rifiniture dei dettagli. La storia di Adamo ed Eva È la prima formella della porta del Paradiso, nel quale Ghiberti racconta la storia dei progenitori in un unico fondale; racconta più episodi della stessa storia in una sola scena. Nel breve spazio della formella hanno luogo quattro momenti successivi del racconto biblico, per giunta intrecciati e combinati fra loro. Inizia a sinistra con la creazione di Adamo e si prosegue al centro con quella di Eva. La narrazione continua poi con il momento del peccato originale, illustrato a bassissimo rilievo in secondo piano a sinistra, che ha come conseguenza la cacciata dal Paradiso terrestre. La storia di Giuseppe Ebreo Figlio preferito di Giacobbe, Giuseppe fu venduto dai fratelli invidiosi e, giunto in Egitto, fece fortuna interpretando i sogni del faraone che lo volle come suo ministro; quando i fratelli, in un periodo di carestia, andarono in Egitto a cercare grano, Giuseppe si fece riconoscere e, perdonandoli, li accolse da sé. La vicenda è raffigurata in sette episodi, predisposti intorno a una grande loggia circolare, che Ghiberti non riesce a collocare correttamente nello spazio. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Si ergono monumentalmente nello spazio, sono realizzate in modo realistico:in certi punti del panneggio tende a aderire e a evidenziare gli arti e le anatomie sottostanti, come se il tessuto fosse bagnato (“cercare lo ignudo delle figure” Vasari). Sull’alto zoccolo dell’altare, in duplice registro, ci sono 22 rilievi, la maggior parte in bronzo: i quattro simboli degli evangelisti; una serie di dodici angioletti; una Pietà; una scena della Deposizione; quattro Storie di Sant’Antonio da Padova. Queste occupano il registro superiore, e sono state realizzate con la tecnica dello stiacciato. Tecnica dello stiacciato, in scultura, rilievo bassissimo che intende dare una riduzione in prospettiva del volume reale dei corpi, conseguendo così un valore pittorico. Miracolo della mula, altare di sant’Antonio In quest’episodio l’animale si inginocchia miracolosamente per ricevere il sacramento dal santo, è ambientato nella scenografia architettonica di una sorta di basilica antica, tripartita in tre ampie volte a botte. I personaggi sono ritratti dal sotto in su. Donatello a Siena Donatello, ormai settantenne, si trasferisce a Siena per lavorare alle porte in bronzo della Cattedrale; nonostante le promesse dell’Opera del Duomo, il progetto fallì e nel 1461 tornò a Firenze. Nonostante ciò, lasciò a Siena un San Giovanni Battista in bronzo che si conserva in cattedrale, statua di impressionante e crudo vigore, qui è esternata al meglio quell’accentuazione espressiva di Donatello. Donatello di nuovo a Firenze Giuditta, 1457-1464 Sempre eseguito per Cosimo de Medici, la Giuditta di Donatello è un bronzo monumentale di soggetto biblico: l’eroina Giuditta in atto di decapitare Oloferne. Completata nel 1464, anno di morte di Cosimo e poco prima del decesso di Donatello stesso (1466), dopo l’esperienza padovana. Realizza un gruppo scultoreo a tutto tondo, caratterizzato dalle due figure in alto e dal basamento decorato con tre scene bacchiche, le quali alludono all’ebbrezza di Oloferne. Un tempo recava una scritta latina che nominava il committente ed esaltava la funzione civile dell’opera, ricordando come Piero de Medici dedicasse la statua femminile all’unione di fortezza e libertà. A seguito della cacciata dei Medici da Firenze nel 1494, l’opera sarebbe stata requisita dalla Repubblica ed esposta di fronte al Palazzo Vecchio. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Jan van Eyck, e gli elementi della pittura fiamminga Formatosi probabilmente come miniatore, Jan van Eyck è stato al servizio del conte d’Olanda Giovanni di Baviera, alla corte di Filippo il Buono e fu in Portogallo per ritrarre Isabella degli Aziz. La pittura fiamminga si serve della tecnica della pittura ad olio, che permette di avere colori più brillanti e una resa intensa della luce. Rappresentazione analitica della realtà, che si realizza nella minuta descrizione di ogni dettaglio, pur in assenza di una razionale scatola tradizionale: i pittori fiamminghi in questa data non conoscono la prospettiva lineare brunelleschiana e ricostruiscono lo spazio empiricamente (esperienza). Il ritratto dei coniugi Arnolfini È presente un accentuato verismo dei particolari del pavimento di legno, degli zoccoli, i frutti sul davanzale e sul mobile sottostante… Il clima di intimità domestica è reso attraverso la luce che si irradia dalla finestra sugli arredi, a offrire una sorta di fotogramma di una coppia di sposi ritratti nella propria camera. Gli sposi ritratti sono il facoltoso mercante lucchese Giovanni Arnolfini e la moglie Giovanna Cenami. Manca tuttavia la tensione sentimentale, e le pose lasciano intendere che ci troviamo di fronte a un ritratto celebrativo, inteso a commemorare il fidanzamento tra i due. Polittico dell’agnello mistico, 1432 Cattedrale di San Bavone, Gand Si tratta di un’opera monumentale, per dimensioni e fama. È una grande macchina d’altare ancora tardomedievale nel soggetto e nel formato, contraddistinta da sportelli dipinti sia davanti che dietro, così da poter alternare due immagini differenti. La pala era destinata alla cappella privata del ricco mercante Joos Vyd. Quando gli sportelli sono chiusi, Vyd si vede ritratto in basso, insieme con la moglie Isabelle Borluut, inginocchiate di fronte alle statue dei santi Giovanni Battista ed Evangelista, mentre nel registro soprastante si dispiega la scena dell’Annunciazione. Aprendo i battenti, ci si trova immersi in un lussureggiante giardini, al centro del quale è il divino agnello, simbolo di Cristo, adorato dagli angeli e da una varia umanità, divisa gerarchicamente. Nello scomparto superiore dominano le figure del Dio Padre, della Vergine e del Battista, affiancate da un gruppo di angeli cantori e, nelle ante laterali, dalle figure di Adamo ed Eva. Il paesaggio è illuminato dal chiarore del cielo e indagato nei più precisi elementi di natura, ma sfugge a ogni rigore prospettico. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 L’uomo col turbante rosso, 1433 Appare a mezzo busto e di tre quarti il ritratto del cosiddetto Uomo con il turbante rosso della National Gallery di Londra, firmato e datato. Gli strumenti per mettere in scena un’indagine della realtà tanto diligente sono la pittura a olio e una luce radente, proiettata a far risaltare le forme del volto contro il fondo scuro. Questo quadro rappresenta una sintesi perfetta delle caratteristiche della ritrattistica fiamminga, che nel corso del secolo si sarebbe diffusa in Italia. La Madonna del cancelliere Nicolas Rolin, 1430-1434 Nicolas Rolin è l’autorevole consigliere del duca di Borgogna volle per la propria cappella nella chiesa di Notre-Dame-du-Chastel ad Autun. È una pala di formato quadrato, ambientata nella sala di una sontuosa dimora che si apre in un luminoso loggiato. Sono raffigurati un devoto abbigliato con una ricchissima veste di broccato e la Vergine col figlio incoronata da un angelo. Nello sfondo è raffigurato un rigoglioso hortus conclusus delimitato da una merlatura dalla quale due uomini si affacciano verso il lontano paesaggio, solcato da un fulmine, a scrutare le architetture gotiche di una grande città e la rigogliosa vegetazione delle circostanti colline. Rogier van der Weyden: dalle Fiandre all’Italia e ritorno Altro protagonista della pittura fiamminga fu Rogier van der Weyden, nato verso il 1399 a Tournai (Ducato di Borgogna, oggi Belgio), e trasferitosi nel 1435 a Bruxelles, dove si affermò rapidamente. La deposizione di Lovanio, 1443 Dipinta per la cappella della Corporazione dei Balestrieri della città di Lovanio, la pala d’altare ha al centro la Deposizione, oggi si trova al museo del Prado di Madrid. I personaggi si accalcano senza interesse per una razionale organizzazione spaziale e si distinguono per l’immancabile precisione nei dettagli, per la concreta sodalità e la teatrale gestualità di un gruppo statuario tardomedievale. Il giudizio di Beaune, post 1443 Il polittico del Giudizio universale compiuto negli anni Quaranta per l’ospedale fondato nel 1443 nella cittadina borgognona di Beaune. Questo complesso si caratterizza per la possibilità di alternare, attraverso l’apertura e la chiusura delle ante, due immagini diverse: l’arcangelo Michele che divide i beati dai dannati, e la più serena e domestica scena del committente e della moglie, Guigonne de Salins, in atto di venerare le statue dei santi Sebastiano e Antonio abate. Le due sculture, così come la soprastante Annunciazione, sono rese a trompe-l’oeil. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Barthélemy d’Eyck Trittico d’Aix-en-Provence, 1443- 1445 Dipinto tra il 1443 e il 1445, per la chiesa d’Aix-en-Provence, oggi è smembrato tra la chiesa della Maddalena della città provenzale, Rotterdam, Amsterdam e Bruxelles. Fu commissionato dal mercante Pierre Corpici. Lo scomparto centrale inquadra l’episodio dell’Annunciazione entro un solenne edificio gotico; attraverso i finestroni si diffonde un lume a rischiarare gli spazi, e un’identica luce definisce le realistiche ombre delle figure dei profeti Isaia e Geremia. Al di sopra di ogni profeta ha ritratto uno scaffale pieno di libri e gremito dei più vari oggetti, come se si trattasse di un brano di natura morta. Enguerrand Quarton Incoronazione della Vergine, 1453-1454 Commissionata nel 1453 per la Certosa di Villeneuve-les- Avignon. La tavola è ordinata secondo una gerarchia che ingigantisce i personaggi principali al centro della composizione, ai danni della corte celeste ai lati e alla sottostante visione in cui si compie il Giudizio, che si distende fra le città murate di Gerusalemme e Roma. La luce zenitale (che proviene dall’alto) uniforma la composizione, in mancanza di prospettiva. È il Crocifisso al centro che annienta la distanza geografica fra le due città e le trasforma in due entità simboliche. Barthélemy d’Eyck Trittico d’Aix-en-Provence, 1443-1445 Dipinto tra il 1443 e il 1445, per la chiesa d’Aix-en-Provence, oggi è smembrato tra la chiesa della Maddalena della città provenzale, Rotterdam, Amsterdam e Bruxelles. Fu commissionato dal mercante Pierre Corpici. Lo scomparto centrale inquadra l’episodio dell’Annunciazione entro un solenne edificio gotico; attraverso i finestroni si diffonde un lume a rischiarare gli spazi, e un’identica luce definisce le realistiche ombre delle figure dei profeti Isaia e Geremia. Al di sopra di ogni profeta ha ritratto uno scaffale pieno di libri e gremito dei più vari oggetti, come se si trattasse di un brano di natura morta. Enguerrand Quarton Incoronazione della Vergine, 1453-1454 Commissionata nel 1453 per la Certosa di Villeneuve-les-Avignon. La tavola è ordinata secondo una gerarchia che ingigantisce i personaggi principali al centro della composizione, ai danni della corte celeste ai lati e alla sottostante visione in cui si compie il Giudizio, che si distende fra le città murate di Gerusalemme e Roma. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 La luce zenitale (che proviene dall’alto) uniforma la composizione, in mancanza di prospettiva. È il Crocifisso al centro che annienta la distanza geografica fra le due città e le trasforma in due entità simboliche. Konrad Witz Pesca miracolosa, 1444 Olio su tavola, Ginevra Dipinta per la Cattedrale di Ginevra, si tratta di una pala d’altare di cui fa parte la Pesca miracolosa, ora al Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra. Il panorama è padrone della scena, rasserenata da una luce alpina che si diffonde sulle alture e sulle acque, dove cose e persone sono dipinte con estrema precisione. Jean Fouquet Dittico di Melun, ca 1452 Olio su tavola, Berlino Nel 1452 Etienne pianse la morte della moglie Catherine Budé, per la quale Foquet dipinse un dittico ad oggi smembrato. Dalla cornice di questo dittico proviene un piccolissimo tondo, oggi al Louvre, con l’autoritratto del pittore e la firma. Il mezzobusto dipinto di tre quarti, a monocromo sul fondo scuro. A sinistra il devoto Etienne Chevalier è presentato dal suo santo eponimo, Santo Stefano, il quale si fa riconoscere per l’attributo del sasso del martirio.Il committente e il suo patrono guardano verso la loro sinistra, dove un tempo l’affascinante figura della Vergine con il figlio, illuminata da una luce gelida e astratta; Maria ha le forme provocanti di una giovane. La scultorea tridimensionalità del suo corpo fa pensare alla pittura di Piero della Francesca; il riferimento all’Italia è presente nell’anta sinistra, lo sfondo è costituito da una parete disposta prospetticamente in diagonale. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Colantonio, maestro di Antonello Le presenze fiamminghe a Napoli sono fondamentali per capire il linguaggio del pittore Colantonio, che fu protagonista della pittura napoletana intorno al 1450. Pala di San Lorenzo Maggiore, ca 1445-1450 Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli La pala d’altare destinata alla chiesa francescana di San Lorenzo Maggiore era costituita da due tavole conservate nel museo nazionale di Capodimonte: in basso, la scena di San Girolamo nello studio e sopra l’episodio di San Francesco consegna la regola ai principali esponenti del suo ordine, spartiti ai suoi piedi tra uomini e donne. È curioso l’accostamento tra i due soggetti: Girolamo è vissuto molti secoli prima di Francesco, ma qui appare in vesti francescane, quasi ad essere il precursore dell’ordine. Del suo linguaggio non c’è nulla di Rinascimentale: utilizzo dell’oro, manca la tridimensionalità dello spazio (le figure galleggiano sul pavimento), i panneggi sono nordici e i volti catalani. San Girolamo è effigiato col fedele leone in uno studio, pieno di libri quasi identici al trittico di Barthélemy d’Eyck, con il quale aveva fatto conoscenza nel 1440. Antonello da Messina Era stato allievo di Colantonio a Napoli (aragonese), qui ebbe modo di apprendere le novità stilistiche e tecniche della pittura fiamminga. Crocifissione di Sibiu, ca 1460 (Romania) È tra le opere più antiche di Antonello da Messina, si conserva in Romania nel museo nazionale di Sibiu. Guarda ai modelli della pittura fiamminga lo si può notare dalle figure di Cristo, dei ladroni e dei dolenti, ma il panorama è familiare al pittore, lo stretto di Messina e in lontananza il mare e le isole Eolie. (influenza provenzale e fiamminga) Preferisce una veduta distesa, piuttosto che piena di dettagli, per questa ragione si pensa che possa essere maturato grazie ad un viaggio in Provenza terminato nel 1460. Polittico San Gregorio, 1473 Museo regionale, Messina La pittura di Piero della Francesca gli doveva essere nota, poiché nelle opere del suo ultimo decennio di attività presentano consapevolezza spaziale e tridimensionale. Nel polittico realizzato per la badessa della chiesa di San Gregorio a Messina, crea uno spazio unificato. È uno spazio costruito attraverso il basamento del trono della Vergine con il figlio, che si estende pure negli scomparti laterali e al centro del quale pende un rosario. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 ANDREA MANTEGNA Andrea Mantegna iniziò la carriera di pittore a Padova nella prima metà degli anni ’40 del Quattrocento, ancora adolescente. Nel 1448 fu coinvolto nella decorazione della cappella della famiglia Orvetari nella chiesa degli Eremitani. Il progetto prevedeva la pittura di un ciclo di Storie dei santi Giacomo e Cristoforo, che sarebbe stato completato solo nel 1457. (ricostruzione digitale poiché gli affreschi sono stati oggetto di bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale). Andrea Mantegna realizzò le Storie di san Giacomo sulla parete sinistra, il martirio di San Cristoforo e il trasporto del suo corpo nel registro inferiore della parete destra e l’Assunzione della Vergine dell’abside. Le figure sono poste come se le vedessimo dal basso verso l’alto, così da amplificarne l’aspetto monumentale. Riprende gli insegnamenti impartiti dal maestro Squarcione: diventa regista di una narrazione teatrale altissima e tragica, le maschere donatelliane recitano entro quinte architettoniche ispirate al mondo classico, o aperte vedute su paesaggi. Pala d’altare della Basilica di San Zeno a Verona, 1457-1459 Dipinge una monumentale ancona (tavola da altare) per la chiesa di San Zeno a Verona, voluta dall’abate Gregorio Correr, ultimata nel 1459. Vi è interazione fra la cornice e lo spazio dipinto delle tavole che costituiscono il polittico: attraverso la prospettiva è stata costruita una struttura tridimensionale, creando una continuità illusionistica fra le tavole, come una sorta di portico. La Vergine in piedi con il bambino in braccio, gli angioletti musicanti e i festoni naturalistici e il fregio è un’assimilazione del mondo antico rielaborata in chiave moderna; questa esuberante decorazione è frutto della formazione di Squarcione. Le predelle sono state oggetto di furti in età napoleonica, infatti, ad oggi alcune si trovano in Francia. Predella della pala di San Zeno Nel gradino sottostante al registro principale della pala sono raffigurate tre storie di Cristo: l’Orazione nell’orto, la Crocifissione e la Resurrezione. In tutti i tre casi si tratta di copie, perché gli originali furono condotti in Francia al tempo di Napoleone e lì sono rimasti: gli episodi laterali si conservano nel museo di Tours, mentre la Crocifissione è esposta al Louvre a Parigi. Narrato con colori esuberanti e vivaci, il doloroso evento evangelico appare come pietrificato, i personaggi sono attentamente studiati nelle anatomie. Le rocce appuntite svettano a fare da quinte, mentre in lontananza una ripidissima salita conduce a una città sulla cima di un colle, gremita di torri ed edifici, tra i quali si riconosce una cupola simile a quella del Pantheon. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Orazione dell’orto, 1455-1460 Un sereno racconto in cui gli apostoli dormono serenamente, mentre Cristo recita la sua ultima preghiera, in attesa dei soldati che vengono ad arrestarlo. I soldati arrivano da una curiosa Gerusalemme, che entro le sue possenti mura alterna architetture venete e romane. …una volta compiuta la pala di San Zeno avrebbe lasciato Padova e diventò un pittore di corte. Andrea Mantegna a Mantova Nel 1460 si sarebbe trasferito a Mantova, presso la corte del marchese Ludovico Gonzaga che aveva il suo centro nel Castello di San Giorgio, dove trovò una corte attratta dagli studi e dal recupero dell’antico. Qui rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1506, dove svolge il compito di consulente artistico e curatore della raccolta e allestimento delle antiquarie dei Gonzaga. Morte della Vergine, ca. 1460-1464 Il primo compito a lui affidato fu la decorazione della cappella privata all’interno del castello (che oggi non esiste più), che fu compiuta entro il 1464. Si tratta di una rappresentazione singolare della Morte della Vergine. La vecchia Maria è distesa, senza vita, nel letto funebre circondata da un gruppo di apostoli che ricordano Donatello per vigore e temperamento. Sullo sfondo della sala si apre una grande finestra che mostra una veduta sulla dimora dei Gonzaga. È uno scorcio dell’antico ponte di San Giorgio e del circostante bacino lacustre; quest’immagine documenta come, al contrario di oggi, fosse allora coperto (fino alla prima metà del Seicento). Cristo Morto, ca 1475-1480 Il Cristo morto della pinacoteca di Brera è il vertice della sperimentazione prospettica di Andrea Mantegna. È dipinta su tela, non su tavola, cosa abbastanza inconsueta per il Quattrocento. Il soggetto è un compianto su Cristo morto, ma i dolenti sono rilegati di lato, ridotti a poco più di teste piangenti. Il corpo nudo di Gesù, poggiato sulla pietra tombale dell’unzione permette a Mantegna a dedicarsi ad un attento studio dell’anatomia. I colori sono spenti, l’atmosfera è cupa e l’effetto è scultoreo. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 La Camera degli Sposi, 1465-1474 Castello di San Giorgio Mantegna realizzò degli affreschi, tra il 1465 e il 1474, nella cosiddetta “camera picta” di uno dei torrioni del castello, meglio conosciuta come “camera degli Sposi”. In questa aula di rappresentanza, nella quale si preferisce la concretezza del racconto di quotidiane scene di corte, i tendaggi si aprono a mostrare solidi personaggi su sfondi di paese. L’intarsio marmoreo ricostruisce questa sorta di loggiato che si apre al paesaggio. Lo spazio viene sfruttato in base a ciò che voleva rappresentare. In una scena, Ludovico Gonzaga, comodamente seduto accanto alla moglie Barbara di Brandeburgo e di fronte alla sua corte, riceve da un fido segretario una lettera (si pensa riguardasse le cattive condizione di salute del duca di Milano, Francesco Sforza). In un’altra scena incontra il figlio Francesco ormai divenuto cardinale. L’alto prelato reca per mano il fratello minore Ludovico, che tiene a sua volta il piccolo Sigismondo (futuro cardinale), mentre accanto al marchese si riconosce il nipote Francesco, colui che erediterà il titolo di marchese di Mantova. Il soffitto della camera degli sposi, dove il tema antiquario è chiamato a fare da cornice a una soluzione prospettica innovativa. Finge con la pittura una serie di elementi architettonici e una sequenza di busti di Cesari clipeati (inseriti dentro ad un cerchio, che richiama la forma di un clipeo, scudo rotondo) come se fossero scolpiti a rilievo. I medaglioni con gli imperatori, ognuno identificato da una scritta, fanno da contorno alla geniale idea di sfondare il centro del soffitto con un oculo prospettico aperto sul cielo (Pantheon) dal quale si affacciano alcuni spiritelli. Nelle decorazioni grottesche delle paraste si ipotizza ci sia il viso di Mantegna, gli elementi naturalistici stilizzati diventano decorazione. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Leon Battista Alberti Quando fornì a Sigismondo Pandolfo Malatesta il progetto per il tempio malatestiano, Leon Battista Alberti era ben inserito nella Roma di Niccolò V, ma non mancava di tenere rapporti con Firenze. Leon Battista Alberti a Firenze: L’amico Giovanni Rucellai lo coinvolse in due progetti: il completamento della facciata della chiesa di Santa Maria Novella e il palazzo di famiglia. Facciata di Santa Maria Novella, 1470 Alla metà del Quattrocento la chiesa medievale domenicana attendeva ancora il completamento della facciata, avviata nel secolo precedente con un rivestimento di marmi bianchi e verdi ispirati al motivo Romanico fiorentino che caratterizza il Battistero e la chiesa di San Miniato. Nell’elaborare una soluzione per la facciata della chiesa non poteva pianificare un nuovo rivestimento come a Rimini. Riuscì a raccordare la predilezione per l’antico con una personale attenzione al recupero della tradizione architettonica tardomedievale fiorentina. Dalla cornice del portale principale, le quattro colonne dell’ordine inferiore e il formato del timpano sono di spirito classicista; mentre, l’ornamento del timpano e della sottostante parete, con motivi geometrici e decorativi appartiene al Romanico fiorentino. Palazzo Rucellai e il recupero degli ordini antichi, 1465 Il nuovo palazzo della famiglia Rucellai sarebbe stato completato nel 1465, su progetto di Leon Battista Alberti. La direzione del cantiere fu affidata a Bernardo Rossellino. Il palazzo è suddiviso in tre piani e coronato da un ampio cornicione, il bugnato è piatto e uniforme. Per la scansione dei piani sceglie di recuperare gli ordini vitruviani dell’antica architettura romana. Le finestre sono bifore con arco a tutto sesto inquadrate da lesene decorate da peducci, capitelli incassati al muro che sostengono un arco o una volta. La forma di questi varia dal basso verso l’alto: il registro inferiore presenta l’ordine dorico, il mezzano l’ordine ionico e il registro superiore quello corinzio. Leon Battista Alberti a Mantova: Leon Battista Alberti giunse a Mantova nel 1459, Ludovico Gonzaga ne approfittò per avviare con lui una collaborazione: a lui si devono i progetti di alcune chiese mantovane, cui serviva un direttore dei lavori che fu Luca Fancelli. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Chiesa di San Sebastiano, 1460 Verso il 1460 disegnò la Chiesa di San Sebastiano, che si sarebbe distinta per l’aspetto classico del prospetto, e soprattutto, per l’originalissima struttura rialzata su una cripta e concepita con una pianta centrale che gioca a mettere proporzionalmente le forme geometriche del cerchio e del quadrato. Preannuncia così la predilezione per gli edifici a croce greca che saranno ampiamente diffusi nel maturo Rinascimento. Chiesa di Sant’Andrea, 1470 A seguito di un soggiorno dell’Alberti a Mantova nel 1470, il marchese Ludovico diede avvio al cantiere inteso a ricostruire la chiesa medievale di Sant’Andrea, che custodiva la reliquia del sangue di Cristo. Per questo grandissimo edificio Alberti studiò una facciata ispirata a un tempio antico e un maestoso interno a pianta basilicale, che nelle imponenti arcate a lacunare ricorda la Basilica di Massenzio a Roma. Preferisce le lesene alle consuete colonne. La chiesa venne completata solamente nel XVIII secolo con la cupola di Filippo Juvarra. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Urbino e la corte di Federico da Montefeltro Nel Quattrocento la città di Urbino, capitale del Montefeltro, dominava su di un territorio piuttosto vasto; divenne uno dei maggiori centri artistici del Rinascimento, grazie alla scelta del suo signore di investire i suoi notevoli guadagni nella città e nel suo territorio. Palazzo Ducale La facciata del palazzo rivolta verso la città è la cosiddetta “facciata dei torricini”, dove le allungate ed eleganti torri rotonde angolari affiancano un prospetto slanciato dal sovrapporsi di quattro logge. Le due logge più in alto si distinguono per il candido paramento marmoreo, richiamo all’antichità. Luciano Laurana e il cortile d’onore del Palazzo Ducale A sovrintendere alla costruzione della facciata fu Luciano Laurana, architetto nato in Dalmazia e che sappiamo essere attivo a Mantova e poi ad Urbino dal 1466 al 1472. Gli assegnano anche il progetto del cortile d’onore intorno al quale è organizzato il Palazzo. Il cortile è contraddistinto dalla successione sui quattro lati di loggiati con archi a tutto sesto, combinati tramite dei pilastri angolari. Sopra le arcate corre un’iscrizione in latino che ricorda le gloriose imprese del committente. Lo studiolo di Federico e le tarsie prospettiche Lo studiolo riservato al duca è una stanzina, adiacente alla facciata dei torricini, decorata nella parte alta da un ciclo di Uomini illustri dipinto da Giusto di Gand e Pedro Berruguete. Il vero protagonista è l’arredo ligneo, rivestito da una serie di tarsie prospettiche realizzate verso il 1474-1476 nella bottega fiorentina di Giuliano e Benedetto da Maiano. La tecnica medievale della tarsia viene utilizzata come strumento per poter creare effetti di illusione spaziale. Pala del Corpus Domini, Giusto di Gand (1473-1474) Galleria Nazionale delle Marche, Urbino Giusto di Gand fu chiamato a dipingere la comunione degli apostoli, per la pala del Corpus Domini. I discepoli sono inginocchiati intorno a Cristo che offre il sacramento al primo di loro. L’influenza fiamminga si nota dalla scenografia alla cura dei dettagli, dalle fisionomie dei personaggi alle forme degli angeli, l’irrazionalità della composizione e gli edifici visibili al di là delle aperture laterali. Il committente è stato ritratto di profilo, sulla destra, a precedere un gruppo di cortigiani. Predella del corpus domini, Paolo Uccello (1467-1468) Galleria Nazionale delle Marche, Urbino Riallacciandosi al tema eucaristico aveva narrato nel gradino, in sei episodi, il Miracolo dell’ostia profanata: appartenente alle persecuzioni antisemite, di un ebreo parigino che avendo oltraggiato il sacramento, finì sul rogo con tutta la famiglia. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Ferrara e gli Estensi: tre pittori e un progetto urbanistico Nella Ferrara di Lionello e Borso d’Este Stirpe di antica nobiltà feudale, gli Estensi erano i signori della città di Ferrara dal Duecento, capitale di uno stato che si estendeva fino a Modena, Reggio Emilia e alla Garfagnana, a fare da cuscinetto fra le terre di Venezia, Milano, Mantova e gli Appennini. Nel decennio in cui Lionello d’Este fu signore di Ferrara (1441-1450), si incrociarono artisti da Pisanello a Piero della Francesca, dal fiammingo Rogier van der Weyden a Leon Battista Alberti. Alla morte di Lionello, Ferrara passò nelle mani del fratello Borso d’Este, che vide la nascita di una vera e propria scuola pittorica ferrarese, che ebbe il suo primo grande protagonista in Cosmè Tura. Cosmè Tura Calliope, 1458-1463 La tavola era originariamente parte di una parte di nove Muse, destinata a decorare lo studio della “delizia” di Belfiore. Si ispira molto agli artisti incontrati a Ferrara: - Pisanello è evocato nel tono cortese; - il perfetto ovale del viso, la saldezza strutturale della giovane, la luce tersa e il panneggio aderente alle gambe attestano una buona conoscenza della pittura di Piero della Francesca; - i colori brillanti e la precisione descrittiva dei dettagli rimandano alla pittura fiamminga. Pala Roverella, 1476-1479 È un trittico centinato per la cappella della famiglia Roverella, nella chiesa ferrarese di San Giorgio Fuori le Mura. Lo scomparto centrale con la Madonna col Bambino e gli angeli si trova alla National Gallery di Londra. Nonostante le cornici che articolano la composizione come a citare la tipologia del polittico, la pala vuole essere unico, grazie alle prospettive e alle grandi arcate in scorcio degli elementi superiori. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 I Mesi di Palazzo Schifanoia, 1469 Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti… Il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia (allontana noia) Per il salone di rappresentanza Borso d’Este chiese all’umanista e astrologo Pellegrino Prisciani di progettare un programma finalizzato a celebrare la corte attraverso un ciclo allegorico dei dodici mesi dell’anno, che sarebbe stato affrescato nel 1469 ad una equipe di pittori della scuola ferrarese: Cosmè Tura (luglio, agosto e settembre), Francesco del Cossa (aprile, maggio), Ercole de’ Roberti… Il tema dei Mesi è organizzato su tre registri paralleli: superiore, è il trionfo della divinità mitologica del mese; mezzano, segno zodiacale con relative figure allegoriche; inferiore, scorcio di vita di corte. Francesco del Cossa L’unico nome documentato è quello di Francesco Cossa grazie a una lettera del 1470 in cui chiedeva di essere pagato adeguatamente per la realizzazione dei mesi di marzo, aprile e maggio. Aprile A dominare aprile, sotto il segno del toro, è Venere trionfante su un carro trainato da una coppia di cigni e sul quale compare pure Marte incatenato; intorno vi è un gruppo di giovani, accompagnato sullo sfondo da tre Grazie, qua e là sono presenti gruppetti di fertili conigli (ricorda che gli svaghi d’amore si risvegliano in primavera). Nel registro inferiore compare il duca Borso che rientra da una battuta di caccia e dona una moneta al giullare di corte Scocola, mentre in lontananza si scorge il racconto del palio di San Giorgio. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Ercole de Roberti Il mese di settembre è stato riconosciuto come un’opera degli esordi di Ercole de Roberti, che evidenzia molto il legame con Tura. Settembre Il divino Vulcano trionfa sul suo carro, mentre un grottesco gruppo di ciclopi è impegnato a realizzare armi nella sua Fucina, in cui fa bella mostra uno scudo con la lupa, Romolo e Remo. Di contro è il prologo della narrazione: Marte e la vestale Ilia, dentro un letto coperto da un lenzuolo esageratamente increspato, si accoppiano, è dal loro amore che nasceranno i gemelli al quale il mito assegna la fondazione di Roma. Francesco del Cossa Pala Griffoni, ca 1470-1473 Francesco del Cossa si trasferì a Bologna nei primi anni Settanta, dove dipinse una pala per la cappella Griffoni nella chiesa di San Petronio. La pala è formata da un trittico di formato rinascimentale, al centro rende omaggio al domenicano San Vincenzo Ferrer e dal registro superiore si affacciano, ancora da uno sfondo dorato, la coppia dei Santi Floriano e Lucia. Per la predella con le storie del domenicano spagnolo e i santini dei pilastrini, Cossa si fece aiutare da Ercole de Roberti. Ercole de Roberti Pala di Santa Maria in Porto /o Pala Portuense (pala di Ravenna), 1479-1481 Si tratta di una pala tra il 1479 e il 1481 per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria in porto nei pressi di Ravenna. Le cornici divisorie sono assenti e la misura centinata adotta uno spazio unificato tramite un porticato all’antica, al centro del quale si erge il baldacchino della Vergine con il bambino, accompagnata da Anna e Elisabetta. Le due figure ai lati sono Sant’Agostino e il beato Pietro degli Onesti, colui che aveva fondato questa chiesa come ex voto per essere miracolosamente scampato a una tempesta che lo aveva sorpreso in nave in prossimità delle coste di Ravenna. È inedita la scelta di soprelevare il trono per mostrare sul fondo il paesaggio marino offuscato da un cielo carico di nubi. La narrazione della predella è stata inserita nella scalinata del trono come se fosse un altorilievo. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Andrea del Verrocchio Simultaneamente ai fratelli Pollaiolo, emergeva a Firenze Andrea del Verrocchio e la sua bottega, di cui fecero parte molti dei principali e più importanti artisti del Rinascimento. L’incredulità di San Tommaso, 1467-1483 Orsanmichele, Firenze Fin dal 1467 fu impegnato in un gruppo di due figure che dovevano raffigurare l’Incredulità di Tommaso e andare a sostituire il San Ludovico di Donatello nella nicchia della chiesa di Orsanmichele che la parte Guelfa aveva ceduto all’Arte della Mercanzia (corporazione). Disposto dentro la nicchia, il Cristo accoglie lo scettico apostolo alzando il braccio destro; questo diviene l’apice di una immaginaria piramide che ha il suo estremo vertice di base nel piede destro di Tommaso, disposto al di fuori dell’incavo. L’opera venne compiuta solamente nel 1483. Monumento sepolcrale di Piero e Giovanni de Medici San Lorenzo, Firenze (1469-1472) Per i Medici realizzò un David in bronzo, oggi nel Museo del Bargello, e tra il 1469 e il 1472 il monumento sepolcrale di Piero il Gottoso e suo fratello Giovanni (detti Cosmiadi, figli di Cosimo), in San Lorenzo. La tomba si distingue da ogni sepolcro per posizione, materiale e assenza di immagini: è posizionata in una intercapedine a forma di arcosolio, rinuncia alle figure e utilizza materiali preziosi, tra cui il marmo, porfido, serpentino verde ed elementi decorativi in bronzo. Battesimo di Cristo, bottega del Verrocchio (ca 1475) Tempera e olio su tavola, Galleria degli Uffizi Realizzato nella bottega di Andrea del Verrocchio, è evidente la compresenza di mani diverse, il capo-bottega e i suoi allievi, tra cui Leonardo da Vinci. Era usuale, nell’organizzazione delle officine artistiche del Quattrocento, che il capo-bottega ideasse l’opera, lasciando poi l’esecuzione di parti secondarie ad allievi e collaboratori. Angioletto di Leonardo Da Vinci: Andrea del Verrocchio riconobbe la bravura di Leonardo: “l’allievo supera il maestro”. Utilizzò la struttura piramidale anche in questa pala, che era destinata alla chiesa di San Salvi. Leonardo da Vinci La rappresentazione della natura e del paesaggio diventerà un’ossessione per Leonardo. Leonardo Da Vinci era affascinato dai colori, la cosa che lo colpiva maggiormente era l'effetto che aveva l'atmosfera sui colori dei soggetti più distanti. Una delle teorie pittoriche affinate da Leonardo Da Vinci è l"inazzurrimento dei lontani" che consiste nell'aumentare la percentuale di Ciano nei soggetti terzo piano (montagne) per dare una maggiore illusione di profondità nelle opere. Questo effetto è dato dalla sovrapposizione dei vari strati dell'atmosfera che dona una colorazione sempre più azzurrina man mano che l'occhio umano si allontana dai soggetti in primo piano. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Nei suoi studi per le opere usa la tecnica di disegno a punta metallica, per la precisione in argento che consentiva un tratto più fine e la biacca per le rifiniture. Annunciazione, 1472-1475 Tempera e olio su tavola, Galleria degli Uffizi Avviò la sua carriera con l’esecuzione di una pala d’altare per la chiesa di San Bartolomeo a Monteoliveto. Si tratta di un’annunciazione, ad oggi situata nella Galleria degli Uffizi. Gabriele si inginocchia nel prato fiorito di un hortus conclusus, portando il suo saluto alla Vergine, che siede sulla soglia della propria dimora. Leonardo fa sedere Maria di fronte ad un leggio: secondo una traduzione, al momento dell’annuncio ella sarebbe stata intenta alla lettura dell’Antico Testamento, in particolare il passo in cui il profeta Isaia prediceva l’incarnazione di Cristo per mezzo di una donna. Sono insegnamenti del Verrocchio i panneggi delle vesti plasmati dalla luce, l’eleganza dei volti e le fisionomie, la composizione piramidale della figura di Maria e nel piede del leggio, che ricorda il monumento sepolcrale de Medici. Pala d’altare di San Donato degli Scopeti L’adorazione dei Magi, 1481-1482 Galleria degli Uffizi Commissionata nel 1481 per l’altare maggiore della chiesa agostiniana di San Donato a Scopeto, la pala appare come una sorta di grande disegno, corredato da pochi colori; è rimasta incompleta. Di norma l’adorazione dei magi era illustrata ordinando la capanna di lato in primo piano e l’arrivo del corteo dei Magi sul proscenio. La Madonna col Bambino è posta al centro, all’ombra di un albero, e fa ruotare (vortice) intorno a loro il folto gruppo dei Magi e del loro seguito. In secondo piano la mole delle scale e degli archi di un edificio in costruzione, si alterna con il paesaggio roccioso ravvivato dall’azione di uomini e cavalli in movimento. Utilizza una griglia prospettica tridimensionale focalizzata su un punto di fuga. Non è il primo dipinto lasciato incompiuto (es. San Girolamo); nel 1482, mentre altri artisti vanno a Roma per dipingere la Cappella Sistina; Leonardo va alla corte di Ludovico il Moro a Milano. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Sandro Botticelli (1445-1510) Gli inizi sotto Filippo Lippi Mentre Lippi moriva nel 1469, Botticelli cominciava ad affermarsi a Firenze: nel 1470 dipingeva per il tribunale della Mercanzia un’immagine della Fortezza in cui voleva aggiornarsi sulle novità del Verrocchio e Pollaiolo, nella costruzione del panneggio e nella luce che definisce le forme del volto e lustra l’armatura. Questa tavola fa parte di un ciclo che comprende anche le altre sei Virtù compiute da Piero del Pollaiolo e la capacità di assimilare in modo personale i diversi linguaggi avrebbe permesso a Botticelli di affermarsi come pittore per eccellenza del tempo di Lorenzo il Magnifico. (le favole pagane) In pittura il mito dell’età Laurenziana e la fortuna del Neoplatonismo sono associati a Sandro Botticelli e ai due dipinti della Galleria degli Uffizi: la Primavera e la nascita di Venere; probabilmente destinati al Palazzo Medici in Via Larga, essi furono commissionati da Lorenzo di Pierfrancesco, cugino del Magnifico. La loro fama è dovuta alla scelta del soggetto profano e mitologico, ma anche al linguaggio tendente alla raffinatezza e alla bellezza. Qui Botticelli rinuncia alla prospettiva molto presente nella pittura fiorentina del Quattrocento e propone grandi scene in cui la resa spaziale viene elusa. Riproduce dettagliatamente le specie botaniche del prato fiorito o a dipingere le onde del mare; attentamente disegnate nei contorni, le figure appaiono bidimensionali e prive di vigore plastico. La Primavera, 1478-1482 Al centro della scena della Primavera c’è la dea Venere, che si erge vestita in mezzo ad un bosco di aranci e di infinite specie vegetali, accompagnata in alto da un Cupido bendato; alla sua sinistra il vento di primavera Zefiro rapisce la ninfa Clori per amore. Unitasi al vento, Clori rinasce nelle forme di Flora: personificazione della primavera, veste un abito ricamato di piante e avanza spargendo fiori. Alla destra di Venere danzano le tre Grazie, mentre Mercurio scaccia le nubi. La nascita di Venere, 1482-1485 È rappresentata la nascita di Venere, con la dea che, al di sopra di una conchiglia, approda sull’isola di Cipro, sospinta dal vento di ponente Zefiro, abbracciato ad una figura femminile (una ninfa o un’altra personificazione del vento); mentre, sulla sponda l’attende una fanciulla nelle vesti della Primavera, che le porge un manto fiorito per coprirla. Questa favola è tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, ripreso da Angelo Poliziano in alcune ottave delle stanze nella quale è descritta la nascita di Venere. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 La diffusione del Rinascimento in Italia Nei decenni a cavallo della metà del Quattrocento il nuovo linguaggio rinascimentale si propaga da Firenze ufficialmente repubblicana, ma sotto il controllo di Cosimo il Vecchio, agli altri Stati italiani, retti da signori feudali appoggiati dalla Chiesa o dal Sacro Romano Impero, e difesi da eserciti mercenari. La guerra era una presenza quasi quotidiana, un capo di Stato doveva essere anche un buon condottiero e un abile condottiero poteva diventare un capo di Stato. - Milano Un caso di condottiero salito al potere è quello di Francesco Sforza, che per tanto tempo è stato al servizio del duca di Milano Visconti, finì per sposarne la figlia Bianca Maria nel 1441. - Napoli La presa della città da parte di Alfonso d’Aragona mise fine al breve regno di Renato d’Angiò. Alla sua corte ebbe successo la pittura fiamminga. La cultura umanistica prosperò e fece prosperare le corti italiane, i signori fecero a gara per raccogliere i migliori uomini di lettere, pittori, scultori, architetti… Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Michelangelo Nacque il 6 maro 1475 a Caprese, città nella provincia di Arezzo che allora era parte dello Stato fiorentino di cui suo padre Ludovico ne era potestà. Rientrata la famiglia a Firenze, nel 1488 inizia la sua formazione nella bottega di Domenico Ghirlandaio. Studia quei maestri che sperimentano la solidità e la disposizione dei personaggi nello spazio (Masaccio, Donatello), tra cui Giotto che dà i fondamenti dell’arte moderna. A indirizzare il giovane artista allo studio di Donatello fu Bertoldo di Giovanni, uno scultore della stretta cerchia medicea, cui Lorenzo aveva affidato la custodia del Giardino di San Marco. Bertoldo di Giovanni fu l’ultimo allievo e assistente di Donatello. Il Giardino di San Marco La vera formazione di Michelangelo si realizzò grazie alla protezione di Lorenzo il Magnifico e alla frequentazione del “Giardino San Marco”. Qui i giovani di talento intraprendevano lo studio della pittura, della scultura e dell’architettura attraverso il disegno e lo studio dell’arte antica e dei maggiori artisti fiorentini del Quattrocento. Madonna della scala, ca 1490-1492 È una delle opere di esordio di Michelangelo nella scultura, oggi conservata nella casa Buonarroti a Firenze. L’ispirazione a Donatello è evidentissima nell’uso dello stiacciato, nei panni aderenti alle forme solide della Vergine seduta di profilo, nelle figure dei bambini: Gesù bambino è posto di spalle, in una posa particolare che consente una torsione della schiena, e quelli che si affacciano dalla scala per dare un senso di profondità e di prospettiva. Vasari la descrive “Una Nostra Donna di basso rilievo di mano di Michelagnolo, di marmo, alta poco più di un braccio, nella quale, sendo giovanetto in questo tempo medesimo, volendo contrafare la maniera di Donatello, si portò bene che par di man sua, eccetto che vi si vede più grazia e più disegno”. Centauromachia “battaglia dei centauri”, ca 1490-1492 È un’altra opera giovanile di Michelangelo conservata nella Casa Buonarroti a Firenze. Il tema della battaglia è un espediente per studiare il movimento e le pose dei corpi in lotta, allo stesso tempo richiama i soggetti storico-mitologici tipici della scultura antica, in particolare dei sarcofagi. È un vero e proprio groviglio di nudi, il solo centauro a terra in primo piano giustifica il titolo dell’opera. Rinuncia allo stiacciato Donatelliano e fa emergere concretamente figure solide dal fondo, come quelle che scolpiva Benedetto da Maiano, maggiore scultore della Firenze laurenziana. Come strumenti, oltre a utilizzare lo scalpello a punta piatta, usa principalmente la gradina: una sorta di scalpello dentato. Si pensa che l’opera sia rimasta incompleta per la morte di Lorenzo il Magnifico. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Crocifisso di Santo Spirito, 1493 Verso il 1493 intagliò un Crocifisso ligneo per la chiesa di Santo Spirito. Era la prima opera pubblica dello scultore, destinata all’altare maggiore della grande chiesa che era stata ricostruita nel corso del Quattrocento su disegno di Brunelleschi. Le forme piene e levigate sono segno della lezione di Benedetto da Maiano e la perfezione della descrizione anatomica dipende dal fatto che aveva avuto la possibilità di sezionare e studiare i cadaveri. Tecnica della “vasca del bagno” - “Non ha l'ottimo artista alcun concetto c'un marmo solo in sé non circoscriva”. (concezione neoplatonica della scultura). Attacca il marmo solo da una parte (sia rilievi e statue a tutto tondo). Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Le alcune comparse recano in mano il compasso e la squadra, identificati come Baccio Pontelli e Giovannino de’ Dolci, progettista e direttore del cantiere sistino. Il gruppo di attori è disposto sulla ribalta di una piazza, pavimentata con grandi lastre di marmo che individuano con chiarezza la fuga prospettica indirizzata sull’edificio sullo sfondo, che vuole alludere al tempio di Salomone. Lo affiancano due archi antichi che richiamano le forme quello di Costantino, e in lontananza è un quieto paesaggio. Le figure in secondo piano si muovono, a narrare due ulteriori episodi evangelici: il tributo della moneta e la tentata lapidazione di Cristo. In questo affresco risaltano l’ordine e la precisione di una composizione prospettica, scandita su piani diversi e illuminata da una luce nitida e chiarissima, che fa risaltare le forme tridimensionali dei protagonisti e delle architetture. … regista della cappella Sistina Pietro Vannucci, detto il Perugino perché era nato nel 1450 a Città del Pieve, una cittadina non troppo distante da Perugia. Sisto IV gli affidò le pitture perdute della parete dell’altare (la pala con l’Assunta e gli episodi della nascita di Mosè e di Cristo) e tre ulteriori storie della Cappella Sistina. … allievo di Verrocchio Il Perugino risulta iscritto alla bottega del Verrocchio nel 1472. A Firenze studiò la “disciplina d’Andrea del Verrocchio”, dalla quale deriva il modo di accartocciare i lunghi mantelli in ampie pieghe. … maestro di Pinturicchio Ebbe numerosi assistenti, primo fra tutti il giovane pittore umbro Bernardino di Betto detto il Pinturicchio, che con Pietro aveva collaborato anche alle Storie di San Bernardino del 1473. Il linguaggio maturo Perugino maturò un nuovo linguaggio, ben rappresentato da una pala compiuta nel 1493 per la chiesa di San Domenico a Fiesole, oggi agli Uffizi. Perugino ottenne un successo eccezionale, che da Firenze dilagò a tutta l’Italia, fino a Milano dove Ludovico il Moro gli commissionò una pala per la Certosa di Pavia, e Isabella d’Este per il suo studiolo di Mantova. Tutte queste opere condividono tanto l’utilizzo della pittura ad olio quanto un medesimo linguaggio, che Perugino adottò fino al termine della sua lunga vita. Madonna col Bambino in trono tra i santi Giovanni Battista e Sebastiano, 1493 La serenità del paesaggio umbro si diffonde sull’intera composizione; davanti ad un semplicissimo e severo loggiato, la Madonna col Bambino siede al centro, su un piedistallo appena ornato di un motivo antiquariato. La affiancano un devoto san Giovanni Battista, che piega la testa e addita con la destra il fanciullo, e un giovane san Sebastiano che, pur infilzato dai dardi, non esprime dolore. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Luca Signorelli L’affollato cantiere della cappella sistina fu frequentato anche da Luca Signorelli, nato a Cortona al confine tra Umbria e Toscana. In gioventù era stato allievo di Piero della Francesca, ma nel corso degli anni Settanta era entrato in contatto con la bottega del Verrocchio. Nel cantiere della Cappella Sistina collaborò con Pietro Perugino, dipingendo nella Consegna delle chiavi i dettagli di tre teste di apostoli, riconoscibili per un “fare” più arcigno. Il suo linguaggio è differente da quello del Perugino, preferisce il vigore e il movimento dei corpi. Flagellazione, ca 1482-1484 Il dipinto in origine era uno dei lati dello stendardo della confraternita dei Raccomandati di Santa Maria del Mercato a Fabriano. La composizione è agguerrita nel movimento e nelle torsioni dei corpi delle guardie e di Gesù, nei quali la carne non aderisce ad un volume puro, ma si gonfia dell’energia dei muscoli. Non dimentica, però, l’omaggio all’antichità nella colonna centrale sormontata da una statua (come in quella di Piero), e nella parete di sfondo decorata di rilievi. Cappella di san Brizio, Orvieto (1499-1504) Nel 1499 ottenne l’incarico di decorare la cappella di san Brizio, all’interno del Duomo di Orvieto. Ha svolto il tema in forme drammatiche, riempiendo le scene di nudi attentamente studiati nelle anatomie: dettaglio dell’episodio della Resurrezione della carne, dove i corpi emergono da un terreno candido come la neve, alcuni in forma di scheletri, mentre altri sono già rivestiti di muscoli e carne. L’inferno è un vero e proprio trionfo di nudi, i diavoli e i dannati sono colti nelle pose più complicate. Il ciclo venne compiuto nel 1504 e, oltre alle vele, comprendeva alla base delle pareti le immagini di illustri letterati antichi e moderni, tra i quali si riconosce Dante, intento alla lettura e inserito entro un ornato all’antica, corredato di quattro medaglioni con episodi del Purgatorio e motivi decorativi detti “grottesche”. La scoperta della Domus Aurea e delle “grottesche” L’antica villa urbana dell’imperatore Nerone venne riscoperta verso la fine del Quattrocento; le decorazioni pittoriche romane conservate al suo interno ebbero un successo immediato, questa tipologia ornamentale estrosa, fatta di figure esili e mostruose, è conosciuta con il termine grottesca. Arte. Una storia naturale e civile. Dal 1450 al 1505 Pinturicchio e il culto per l’antico Pinturicchio e Alessandro VI Pinturicchio è stato uno dei primi interpreti della decorazione a grottesca. Quando Rodrigo Borgia divenne papa con il nome di Alessandro VI, si rivolse a Pinturicchio per affrescare il suo appartamento in Vaticano. Affrescò le cinque sale dal 1492 al 1494, con una pittura estremamente decorativa, ridondante d’oro, di colori e di grottesche, come si vede nella Resurrezione con Alessandro VI inginocchiato in primo piano, o nell’affollata Disputa di Santa Caterina d’Alessandria. Pinturicchio a Spello: Annunciazione (storie della Vergine) Tra il 1500 e il 1501, Pinturicchio affrescava un ciclo di Storie della Vergine nella Cappella Baglioni della chiesa di Santa Maria Maggiore a Spello, poco lontano da Perugia. Nell’episodio dell’Annunciazione, che sulla parete destra, accanto alla parasta con le grottesche ha apposto un proprio autoritratto come se fosse un quadretto attaccato al muro. Pinturicchio a Siena: La libreria Piccolomini Nel 1502 stipulò un contratto con il cardinale Francesco Tedeschini Piccolomini per trasferirsi a Siena e decorare la Libreria Piccolomini: un vasto spazio che si apre come cappella laterale del duomo di Siena, avrebbe dovuto custodire i libri appartenenti al defunto al defunto zio del committente, il papa Pio II. Questo lavoro sarebbe stato ultimato nel 1508, nel frattempo il committente sarebbe morto nel 1503, facendo in tempo a diventare papa con il nome di Pio III (per poco meno di un mese). Il soffitto è riservato alle grottesche, che si estendono sulle sottostanti paraste, dipinte a suddividere le pareti in dieci finestroni entro i quali sono narrate le vicende di Enea Silvio Piccolomini, dalla giovinezza agli anni che lo videro papa Pio II.
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