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Sociologia: dalla Scuola di Chicago alle teorie di Durkheim e Weber - Prof. D'amato, Appunti di Sociologia dell'Educazione

PoliticaEconomiaStoriaAntropologiaSociologia

Nel documento vengono trattate le teorie sociologiche sviluppate negli USA tra il 1915 e il 1935, con particolare riferimento alla Scuola di Chicago e ai contributi di Durkheim e Weber. La sociologia si affermò come scienza empirica, in connessione con le discipline storiche, economiche e filosofiche, e si occupò di studiare le leggi dei fenomeni sociali, la statica e la dinamica sociale, il ruolo della religione e l'influsso economico sui processi sociali. Durkheim distingue tra solidarietà meccanica e organica, e analizza il suicidio come espressione di crisi economiche e sociali. Weber considera la società da molti punti di vista e distingue tra ribalta e retroscena, analizzando il ruolo della religione come fattore di coesione sociale.

Cosa imparerai

  • Come la sociologia è una scienza empirica?
  • Come la sociologia è connessa con le discipline che studiano vari aspetti della dimensione sociale?
  • Come il singolo agisce all'interno del gruppo sociale?
  • Quali sono le pratiche educative che dipendono dalle rappresentazioni che si hanno della realtà?
  • Quali sono le caratteristiche della vita metropolitana che corrispondono alla società capitalistica?
  • Quali sono le solidarietà meccanica e organica?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 05/01/2019

MartinaAmiati
MartinaAmiati 🇮🇹

4.3

(52)

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Scarica Sociologia: dalla Scuola di Chicago alle teorie di Durkheim e Weber - Prof. D'amato e più Appunti in PDF di Sociologia dell'Educazione solo su Docsity! SOCIOLOGIA Studiare i meccanismi della vita sociale La sociologia come scienza della società nasce in Francia a inizio ‘800 per comprendere e descrivere i fenomeni sociali e i meccanismi che governano il funzionamento della società. La nascita Auguste Comte coniò il termine sociologia in un testo “Corso di filosofia positiva” nella prima metà dell’800, il termine era per metà latino (socius=compagno) e per metà greco (logos=argomento di studio). Sviluppatasi inizialmente in Francia nel periodo postrivoluzionario, la sociologia prende spunto dall’illuminismo, dandosi come scopo quello di individuare i meccanismi del funzionamento sociale per aiutare gli individui a organizzare liberamente la propria vita. In Germania il massimo esponente della sociologia è stato Weber a inizi’900 che era in stretta connessione con l’Associazione per la politica sociale che riuniva storici, sociologi, economisti e uomini politici che potevano influenzare l’orientamento della politica di Bismack. Negli USA la sociologia si affermò tra il 1915 e il 1935 con la Scuola di Chicago, anch’essa legata all’analisi dei problemi sociali della città. Due diverse concezioni della società La sociologia si propone di studiare gli individui nella collettività. Sin dall’origine ci si poneva il dubbio se considerare la società come una realtà indipendente dai membri o come un semplice aggregato di individui il cui funzionamento si può comprendere solo analizzando il comportamento dei singoli. Queste diverse concezioni hanno dato origine a due scuole di pensiero. La prima considerava la società come un agente esterno che condiziona la vita degli individui; Durkheim privilegiava questa visione e dunque si soffermava maggiormente sullo studio delle leggi che governano la società e sulle strutture che condizionano gli individui. La seconda invece, l’individualismo metodologico, fondato da Weber, sosteneva che la sociologia esiste in funzione delle azioni degli individui, dunque privilegia l’azione sociale, l’attività umana. La contrapposizione col tempo è andata diminuendo e oggi vengono prese in considerazione sia le strutture sociali che il ruolo degli attori sociali. I rapporti con le altre scienze Lo studio della società è da subito connesso con le questioni storiche, economiche, filosofiche… dunque è in connessione con le discipline che studiano vari aspetti della dimensione sociale: antropologia, economia, storia, politica… e per questo si sono sviluppate come specializzazioni della sociologia. La sociologia come scienza empirica La sociologia è una scienza empirica in quanto propone, oltre alla riflessione teorica, anche l’analisi concreta di un fenomeno o problema sociale. 1 Il metodo della ricerca sociologica La ricerca sociologica si articola in più fasi: la ricerca di sfondo che mette in risalto i vari aspetti di un fenomeno da studiare; l’elaborazione di ipotesi da verificare con la ricerca sul campo; la formulazione di un indicatore per misurare il fenomeno da studiare; la scelta della tecnica di raccolta dei dati: intervista, questionario… CAP.1 Che cos’è la sociologia La prima definizione della sociologia, cioè scienza che studia la società, è indefinita e lascia aperte molte questioni, tra cui il capire cos’è la società. Tutti noi facciamo parte della società e la nostra partecipazione a essa influenza il comportamento degli altri e in qualche modo anche le istituzioni. Anche chi non sa nulla di sociologia spesso si esprime, dà il proprio parere ma bisogna imparare a distinguere tra un parere e uno che deriva da una specifica preparazione. La sociologia deve affrontare particolari difficoltà perché è una scienza giovane che non ha un bagaglio storico alle spalle, tecnicamente essa si fa partire dalla rivoluzione industriale. Essa ha dato contributi sia sullo studio dei grandi sistemi che dei singoli comportamenti o istituzioni.In diversi momenti storici o in base ai contesti sociali si è focalizzata su uno o sull’altro argomenti: nel primo caso si tratta di macrosociologia, nel secondo di microsociologia. La sociologia sviluppa dei rapporti con altri studi o altri metodi: con la storia i rapporti hanno origine dalla necessità di fare una storia che non fosse solo una storia di guerre di potere, ma anche una storia delle popolazioni interessate, del loro modo di vivere, dei loro problemi; nel metodo la storia va accostandosi alla sociologia in quanto inizia a prendere in esame anche materiali “secondari” come memorie e racconti personali o documenti locali. Con la geografia il rapporto nasce da quando la geografia non è più considerata uno studio degli spazi, ma uno studio del rapporto dell’uomo con lo spazio; il metodo è però differente . La sociologia dunque si può definire come una giovane scienza che ha rapporti con altre scienze, in particolare quelle sociali, e che in genere studia il fenomeno inteso nellasua globalità e poi si propone di approfondire dei fenomeni particolare, studiati dalle singole sociologie. La sociologia mette insieme teoria e esperienza: Da una parte l’impostazione concettuale e dall’altra la ricerca empirica sul campo . 1.1 Le origini E’ importante cercare di capire il contesto storico in cui nasce la nuova disciplina della sociologia. La sua nascita viene associata all’avvento della società industriale, quindi in un periodo di grandi trasformazioni economiche e culturali: soprattutto in Inghilterra, c’è una grande evoluzione tecnica che comporta un enorme 2 Karl Marx Le idee di Marx si inseriscono nel contesto economico inglese in cui vi sono tragiche condizioni per il proletariato (12/14 ore di lavoro, condizioni disastrose delle abitazioni) e dunque è sempre più marcata la questione sociale. Secondo Marx lo stato difende il potere economico della classe borghese e dunque per avere giustizia e libertà è necessaria la lotta di classe. L’idea di Marx più importante per la sociologia è il tentativo di spiegare la struttura sociale e le sue trasformazioni come un sistema di causa ed effetti: per Marx, come per Comte, la storia era una costante evoluzione, ma a differenza di Comte la causa di questa evoluzione non è il perfezionamento del pensiero umano ma una legge chiamata materialismo storico o dialettico.Per Marx le strutture sociali, le basi economiche di una data società, sono date da un processo dialettico avviato da fattori economici, i mezzi di produzione. Questi cambiano col tempo, si evolvono fino a entrare in conflitto con i rapporti di produzione prevista da quella data società. Si tratta qui del rapporto tra struttura e sovrastruttura: il modo di produzione è fondamentale per determinare il tipo di economia di una società e si crea da sé il proprio ordine sociale e tutta la “sovrastruttura” politica, giuridica, scientifica, religiosa ecc… Questa è la tesi. A l’antitesi si mostra sotto forma di progresso tecnico e nuovi migliori mezzi di produzione, Le vecchie forme di produzione e il vecchio ordine sociale impediscono lo sviluppo del nuovo fino al momento in cui queste non diventano abbastanza forti da introdurre con una rivoluzione i nuovi mezzi di produzione e quindi una nuova organizzazione sociale. Questa è la sintesi. La lotta di classe non è che un conflitto sociale tra i vecchi e i nuovi mezzi di produzione. Il contributo di Marx si può riassumere in due grandi questioni: la ricerca dell’influsso esercitato dai fattori economici sui processi sociale e l’analisi del ruolo dei conflitti sociale all’interno della società. 1.2 I classici Il periodo classico della sociologia va dalla fine dell’800 all’inizio del ‘900. Lo scopo dei fondatori era in poche parole individuarsi come scienza e solo successivamente definire in modo più specifico il proprio ambito. I sociologi classici hanno invece altre esigenze, rispetto ai fondatori: la loro attenzione era rivolta ai problemi della società industriale, alla divisione del lavoro. Ci troviamo in un altro contesto di fronte all’urbanizzazione, all’abbandono delle campagne e la sociologia che si afferma, che avrà sempre come sfondo la società industriale, cerca di formulare un’analisi scientifica. Georg Simmel Nell’opera di Simmel è centrale il metodo in quanto per lui la sociologia si distingue dalle altre scienze in quanto ha un proprio metodo. L’importanza della sua opera sta nell’analisi della società industriale, in cui i 5 rapporti appaiono solo una merce di scambio, nell’analisi delle caratteristiche della vita metropolitana, che corrisponde alla società capitalistica in cui dominano la meccanizzazione a la spersonalizzazione delle relazioni umani. Le conseguenze dell’industrializzazione possono solo portare l’uomo al ritiro in se stessi, alla fuga verso la propria intimità individuale. Egli studiò anche la dinamica dei gruppi e celebre è la sua analisi circa il ruolo degli estranei: l’alienato è colui che arriva da fuori, da un posto nuovo, che porta conoscenze nuove, ma non è coinvolto negli intrighi del luogo e per questo è spesso preso come arbitro nelle controversie. Per il fatto di avere una certa libertà e obiettività è però anche considerato sospetto. Max Weber (guarda i riass) Molto attivo nella vita politica della Germania, periodo Bismark. Il tratto comune di tutte le sue opere è il tentativo di separare la vita sociale da quella politica, ma è impossibile cogliere la portata delle sue teorie senza fare un collegamento alla politica da cui deriva il suo pensiero. Weber distingue tra relazione ai valori e giudizio di valori. La relazione ai valori è il punto di vista e il fine che lo studioso si pone per delimitare il campo di indagine, il giudizio di valore è, invece, una presa di posizione valutativa, una affermazione di valutazione. Per Weber, la scienze storico-sociali devono selezionare il materiale empirico, i dati e le informazioni ricavate secondo determinati criteri di orientamento, ma non possono e non devono esprimere opinioni valutative. Sono, cioè, avalutative. La valutazione è una presa di posizione, che riguarda ogni uomo, ma che non è oggetto di indagine delle scienze storico-sociali. Queste, infatti, prendono in considerazione i valori in quanto criteri di orientamento e di scelta dell’agire dell’uomo, e non come criteri di giudizio per definire una cosa giusta o sbagliata.La possibilità di ritrovare l’oggettiva, per Weber, sta nel metodo, in quanto una volta accettati determinati presupposti valutativi, la garanzia dell’oggettività della ricerca scientifica sta nel modo di procedere. Questo consiste nell’accentuare in modo unilaterale un fattore scientifico del complesso fenomeno storico-sociale che si sta studiando e nel costruire sulla sua base un modello con cui interpretare la realtà da quello specifico punto di vista. Questo fattore è detto “tipo ideale” e da questo si passa all’interpretazione della realtà in modo oggettivo, in quanto dopo averlo costruito si passa a ricercare in qualsiasi contesto il grado di presenza di quel fattore. Molto importante per Weber è poi il concetto di capitalismo, contenuto nel saggio del 1905 “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Per Weber il capitalismo è un fenomeno specifico dal punto di vista storico perché è diverso dalla volontà di sopraffazione economica. Esso è basato sul calcolo razionale e finalizzato a un guadagno sempre nuovo. Egli sostiene che lo sviluppo del capitalismo è avvenuto nell’800 nell’Europa Occidentale, per poi fiorire nel Nord America, grazie alla dottrina protestante che ha sviluppato la dottrina dell’adempimento al dovere terreno e ha promosso l’affermarsi di concetti e valori mirati al razionalismo economico.In quest’ottica calvinista la parsimonia e l’accumulo di denaro non sono più considerate peccaminose, anzi sono considerate una virtù e ciò avrebbe spinto i fedeli a organizzare il proprio lavoro mirando ai massimi risultati economici. Weber, a differenza dei fondatori che si erano dedicati a studiare un singolo aspetto della realtà sociale per poi interpretare l’insieme a partire da un singolo fattore, è molto attento a non fare generalizzazioni e dunque 6 considera la società da più punti di vista. Utilizza il metodo comparativo. Ad esempio per arrivare a completare la ricerca sull’etica calvinista considerata la base dell’economia capitalista, ha studiato a lungo la morale cinese, l’induismo e il giudaismo, tutte civiltà in cui non era fiorito il capitalismo. In un altro suo scritto, “l’azione dotata di senso” chiarisce che per lui la sociologia studia l’agire sociale, tentando di spiegarne il corso e gli effetti. Per azione sociale è riferita al comportamento degli altri ed è orientata verso di loro. Weber determina una tipologia dei fattori che determinano l’agire sociale. E’ rimasta famosa anche la sua analisi del potere, divisa in tre tipi ideali: il potere razionale legale (burocratico)è quello sancito dalla legge ed è quello che per Weber prevale perché si identifica con la razionalità; il potere tradizionale che è sancito dalle autorità del passato ed apparteneva ai re e a chi lo otteneva per eredità; il potere carismatico che si riferisce alla caratteristiche dei singoli capi, è il potere dei leaders che trascinano la folla. Nel suo pensiero distingue tra classi, ceti e caste: il ceto è caratterizzato da un certo modo di vivere, quindi è l’aggregazione spontanea sulla base di consumi standard; la classe è un’aggregazione per analisi livelli di reddito; la casta è un ceto chiuso che ha riferimento a una specificità etnica. Emile Durkheim Per Durkheim la società, il tutto, è qualcosa di più della semplice somma delle parti, cioè dei singoli individui. Questo qualcosa in più è la coscienza collettiva, una specie di energia morale che supera gli individui singoli. In una delle prime opere importanti, “La divisione del lavoro sociale”, egli distingue tra solidarietà meccanica, quella delle società semplici in cui la divisione del lavoro è minima, e la solidarietà organica, tipica delle società complesse in cui la divisione del lavoro è indispensabile. Nel primo tipo di società la coscienza collettiva prevale su quella individuale e mano mano che il gruppo aumenta, diventa necessaria la divisione del lavoro quindi si arriva alla solidarietà organica. Questa divisione comporta un sistema con delle regole. Secondo Durkheim la società industriale si è sviluppata troppo rapidamente quindi non è stato possibile creare un sistema di regole adeguato e si è venuta a creare una situazione caotica. L’operaio viene isolato e si riduce ad essere una vera e propria macchina. La differenza con Marxè che questi ritiene che l’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione è l’unica che possa far superare l’alienazione, mentre Durkheim ritiene che la soluzione è la divisione del lavoro fatta in modo che ognuno possa esercitare funzioni più vicine alle proprie inclinazioni. Durkheim si è soffermato molto sulla società che esercita il potere sul singolo distinguendo la coercizione esteriore subita da parte di leggi e non che, se infrante, si viene puniti, e quella interiore che agisce attraverso la coscienza. Ma l’elemento più interessante della sua opera è il metodo, contenuto nell’opera “Le regole del metodo sociologico” in cui la sociologia è definita la disciplina che studia i fatti sociali: un modo di agire o pensare è un fatto sociale se è coercitivo, cioè se il singolo non può sfuggire, dunque la sociologia studia le strutture esterne che agiscono in modo coercitivo sugli uomini. Analizza anche le istituzioni sociali, come il matrimonio, e certi fenomeni sociali, come la divisione del lavoro, intendendoli come realtà che obbediscono a nome particolari, le leggi sociologiche. 7 Robert King Merton Merton è esponente della corrente funzionalista e ha insistito sul concetto di funzione distinguendo tra funzione manifesta, azioni compiute con uno scopo dichiarato e manifesto, e funzione latente, risultato di azioni non previste, non volute. Pensiamo alla danza della pioggia degli indiani che, anche se non raggiunge la sua funzione manifesta, la pioggia, rafforza la coesione sociale, quindi ha una funzione latente. La sua impostazione è detta struttural-funzionalismo e mira a determinare i confini tra il sistema social e gli altri sistemi rilevanti, come quello culturale e biologico e a definire le unità strutturali che compongono il sistema sociale, facendo attenzione ai rapporti normativi esistenti tra queste unità. Egli si focalizza sull’analisi della società, studia le funzioni e le disfunzioni sociali. L’idea alla base è che in tutte le società i mezzi di comunicazione di massa spingano tutte le persone ad interiorizzare alcuni fini e scopi che appartengono a una solo classe sociale, tutti vengono indotti a lottare per le stesse mete, gli stessi desideri. Viene diffusa l’idea che queste mete sono accessibili a tutti con uno sforzo personale, ma non si tiene conto delle difficoltà individuali, delle condizioni di partenza, non tutti hanno le stesse opportunità e gli stessi mezzi. Quando ci vuole adattare alla meta ma non ai mezzi consigliati (studio serio, lavoro duro), vi è una frattura, si trasgrediscono le regole, vi è anomia. Ma l’anomia si ha anche quando si rifiuta la meta, ma non i mezzi, ciò non è pericolo perché è ritualista, si lascia che la società imponga la finalità, ma è comunque una devianza. A questa corrente sociologica se ne contrappone un’altra in America, che fa capo a Wright Mills, che critica il funzionalismo, insiste sulla costrizione della società americana criticando il suo ordine economico e politico e attacca la sociologia che si mostra come una semplice espressione passiva di tale ordine. Lo struttural-funzionalismo La principale espressione dello struttural-funzionalismo è la teoria di Parsons che si mostra la risposta giusta agli studi empirici degli anni ’20-30 e all’esigenza di un modello di società sistematica che nasce dal periodo di crisi economica del ’29. Tale crisi genera il bisogno di trovare, tra tante differenze, un punto di unione, così i sociologi erano impegnati a trovare gli aspetti analoghi in situazioni diverse. In tutta l’opera di Parsons si cercano di comprendere i fenomeni del suo tempo, prendendo in considerazione anche le zone marginali. Ad esempio l’esistenza delle borgate, oltre che delle zone centrali è vista come funzionale all’esistenza delle zone ricche centrali, in quanto la manodopera non qualificata della periferia permette alle zone centrali di attingere a questo personale. Altre ricerche invece mettono in evidenza le matrici dell’emarginazione scolastica mostrando come chi appartiene alle classi più basse è più facilmente emarginato nel sistema scolastico. Da qui si sono sviluppati studi sulle discriminazioni, anche involontarie, sulla base della selezione linguistica: un linguaggio colto favorisce l’apertura mentale, le possibilità comunicative e anche l’apprendimento. Mentre Parsons propone una concezione della società a lungo raggio, che ingloba anche gli aspetti antropologici e psicologici, Merton procede per teorie a medio raggio, in cui si rilevano dati e non si implica una speculazione generalizzante.Merton come Parsons interpreta la realtà analizzando le strutture e le funzioni, intese come categorie interconnesse. Dunque la società è vista come stabile e duratura, composta da elementi 10 integrati. L’approccio struttural-funzionalista infatti implica che ogni elemento abbia una sua funzione e sia utile per la conservazione della società. Differenza tra i due: Parsons è assertore della conservazione dello status-quo sociale e politico, mentre Merton propone un approccio più dinamico. 1.5 La teoria critica La teoria critica della società nasce a Francoforte, tra gli esponenti ricordiamo Adorno e Marcuse, il suo scopo è quello di denunciare le coperture ideologiche della società, di mettere in crisi la razionalità borghese delle società capitalistiche avanzate. In un periodo in cui il fascismo stava diventando realtà, essa attacca le interpretazioni funzionaliste perché sostiene aiutino a conservare le strutture dominanti. La scuola di Francoforte ha riferimento alle teorie di Marx, Hegel e Freud. Di Marx vengono presi in considerazione gli scritti giovanili, di Hegel viene rivalutato l’aspetto critico verso la destra, il principio dialettico come metodo adatto per la comprensione della realtà sociale e la visione totalizzante per cui il fenomeno vie considerato solo nel quadro più ampio in cui è inserito. Di Freud si mette in evidenza l’idea che le tensioni collettive possono riflettersi a livello individuale. Marcuse parte dall’idea di ragione di Hegel intesa come esame della realtà, di ciò che è inadeguato e va modificato. L’idea di ragione è quindi assimilata a quella di rivoluzione. 1.6 Il dibattito sociologico contemporaneo Durante gli anni ’50 e ’60 con la stabilizzazione a livello accademico e istituzionale della sociologia, aumentano anche coloro che la criticano e la percepiscono solo come una scienza che vuole legittimare il sistema sociale dominante. Nascono dunque proteste negli istituti e nelle università in cui si insegna sociologia. Dunque nasce una crisi della sociologia e in particolare della sociologia occidentale il cui modello dominante è quello funzionalistico. 1.7 Interazionismo simbolico E’ un orientamento teorico che si afferma in sociologia e in psicologia sociale, negli USA, nella prima metà del ‘900. Esso pone al centro dell’analisi l’interazione sociale e l’interpretazione che ne danno gli attori che partecipano a questa. Acquistano centralità i processi interpersonali tramite cui gli individui si rapportano al proprio modo di pensare e a quello che ritengono essere degli altri per scegliere la condotta da seguire. Uno dei principali contributi è la visione della condotta umana non come semplice reazione agli stimoli esterni, ma come frutto di una mediazione tra le capacità di simbolizzazione e interpretazione dell’uomo. 11 George Herber Mead E’ considerato il padre della scuola chiamata Interazionismo simbolico. I princìpi dell'interazionismo simbolico sono: -gli esseri umani agiscono nei confronti delle "cose" (oggetti fisici, esseri umani, istituzioni, idee...) in base al significato che attribuiscono ad esse; -il significato attribuito a tali oggetti nasce dall'interazione tra gli individui ed è quindi condiviso da questi (il significato è un prodotto sociale); -tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un "processo interpretativo messo in atto da una persona nell'affrontare le cose in cui si imbatte". Mead sosteneva che le interazioni fra individui e gruppi di individui non nascano da una serie di risposte a stimoli (prospettiva comportamentista), ma dall'interpretazione dei significati simbolici attribuiti agli stimoli stessi. Per Mead l'individuo vive e opera in un mondo sociale. Si può comprendere il modo in cui il singolo agisce solo se si considera il suo comportamento all'interno del gruppo sociale al quale appartiene, poiché le azioni del soggetto trascendono i confini del singolo e coinvolgono anche gli altri membri del gruppo. L’espressione più evidente di tale processo si ritrova nel linguaggio che non è altro che un insieme di significati condivisi. I segni, le parole, possono significare la stessa cosa per chi parla e per chi ascolta solo perché entrambi sono in grado di assumere il ruolo dell’altro. Secondo Mead tutta la struttura sociale si può considerare come un insieme di vari self, in forma di ruoli. Mead distingue 3 componenti nel self: io, me e altro generalizzato. Il self è una combinazione di almeno 2 punti di vista: un self osservatore e un self che è osservato. Il me è il self sociale, quello visto dal punto di vista degli altri, in qualche modo è passivo, è l’oggetto; l’io è la parte più intima, vera, creativa dell’individuo; l’altro generalizzato è il prodotto delle interiorizzazione dei ruoli, cioè dei compiti che la società prescrive agli individui in base alla loro posizione sociale. ErvingGoffman Fondatore della cosiddetta micro-sociologia che si occupa di studiare le relazioni tra gli individui studiando la realtà e le istituzioni della società come fossero una rappresentazione drammaturgica. Le azioni quotidiane sono assimilate a script teatrali che vengono messe in scena a seconda della situazione. La vita è dunque intesa come un intreccio di diversi allestimenti scenografici in cui si mette in scena un’adeguata rappresentazione dell’identità sociale del sé, il self. I self sono quindi molteplici, come i comportamenti che cambiano a seconda della situazione. In questa prospettiva Goffman distingue tra ribalta, cioè lo spazio dell’interazione,quando gli attori si trovano sulla scena sociale, e il retroscena, in cui gli attori sono da soli. Per Goffman però in realtà il retroscena non esiste perchp non esiste un momento in cui non si recita. La società del rischio 12 -Il bambino innocente: rappresentazione molto più positiva. Il bambino è considerato un essere puro, innocente, angelico, privo di vizi quindi è idealizzato. L’approccio educativo deve lasciare ampio spazio alla libertà e alla possibilità di espressione del bambino, deve solo aiutare questo sviluppo senza snaturare o sciupare la sua purezza. L’infanzia non è più considerata una fase di passaggio, ma come un0essenza preziosa. Oggi questa rappresentazione è la più diffusa. Il riferimento è all’Emilio di Rousseau che pensa un’educazione poco direttiva, ma anche al Piccolo Principe di Saint Exupery. Il Bambin Gesù è invece la versione cristiana di questo bambino evangelizzato. -Il bambino scientifico: questo approccio tenta di descrivere l’infanzia come un oggetto, essa è considerata solo una tappa necessaria per arrivare all’età adulta che è il termine di questa evoluzione. Questa visione cerca di essere il più possibile oggettiva e scientifica. La nascita di questa corrente si può rinvenire nel Rinascimento, anche se più o meno è sempre esistita, e la sua vera affermazione si ha nel 19° secolo. Da qui nasce la pediatria, la psicologia dell’età evolutiva, le scienze dell’educazione. L’educazione sembra essere solo una programmazione dello sviluppo del bambino, la pedagogia ha l’idea di una programmazione dell’insegnamento e dell’apprendimento. -Il bambino soggetto: questa concezione vede il bambino come soggetto attivo: è una persona originale diversa dalle altre e per questo originale, ha il diritto alla libertà, è prezioso cioè ha una dignità. Molto importante è l’intersoggettività quindi l’educazione è più una messa in relazione piuttosto che un’azione su di lui. Questa rappresentazione del bambino è molto usata nei programmi attuali in cui il bambino attraverso la vita scolastica metta alla prova la propria cittadinanza. 3.3 L’infanzia nelle scienze umane Inizialmente la riflessione sull’infanzia fu più che altro filosofica e politica: Quintiliano considera l’educazione un processo continuo dalla culla alla vecchiaia, inoltre il bambino non deve essere avviato allo studio prima dei 7 anni perché egli potrebbe odiare lo studio, il maestro lo guiderà nella sua ascesa alla maturità in modo giusto e con un’istruzione collettiva. Successivamente i bambini divennero centrali nella psicologia: Freud e il caso del Piccolo Hans sono un esempio di analisi infantile infatti Freud attraverso il racconto del padre del bambino ricostruisce come si sviluppa una nevrosi infantile, cercando di cogliere la complessità dei processi psichici infantili. Di recente sono divenuti protagonisti di analisi antropologiche che partendo da una giornata di una scuola cinese, una giapponese e una americana, si indaga su come queste strutture influenzino le opinioni di ogni paese sui temi dello sviluppo e dell’educazione. Solo infine i bambini sono divenuti protagonisti della sociologia. Il bambino pre-sociologico Queste teorie dimostrano che l’attenzione al mondo dell’infanzia non è così recente. Questa categoria racchiude diversi modelli: 15 -Il bambino cattivo: l’immagine del bambino cattivo ha origine nella mitologia e nella dottrina biblica del peccato originale. I bambini sono considerati cattivi, corrotti, amano il piacere e fanno di tutto per soddisfarlo e per gratificarsi. Dunque l’adulto deve indicare loro la strada giusta tramite punizioni, programmi di disciplina rigidi e restrizioni. In questo quadro il bambino deve evitare luoghi pericolosi come i centri commerciali dove ci sono tanti oggetti ce desiderano, per evitare di scatenare le forze demoniache in loro. Fa parte di questo filo di pensiero Foucault che parla di educazione come mezzo per ottenere corpi adulti docili e anche Hobbes, la cui educazione è di matrice teologica e attribuisce ai genitori il ruolo di sovrano portatore di conoscenza e ai bambini quello di sudditi che non hanno né diritti né poteri. -Il bambino innocente: Questa teoria sostiene che i bambini siano puri di cuore e non corrotti dal contesto in cui vivono e ha origine nel pensiero di Rousseau che riteneva che i bambini vengono al mondo innocenti e pronti ad esplorare il mondo secondo il loro sviluppo naturale e senza forzature. Egli rinnega ogni idea sul peccato originale e anzi propone di raccogliere i loro valori fondanti in modo da utilizzarli per guidare il mondo. -Il bambino immanente: John Locke, prima di Rousseau, idealizzò l’infanzia ma non identifica il bambino come un essere angelico per natura, ma li considera una non-cosa cioè tabula rasa, incapaci di ragionamento e comprensione. Egli li considera esseri umani con necessità speciali e il genitore è un pedagogo che deve pensare l’educazione in modo ce faccia crescere il bambino in modo misurato e virtuoso. Quindi se per Locke il bambino è immanente nel senso che se inserito nell’ambiente adeguato estrarrà il ragionamento, per Rousseau è immanente e portatore innato di ragione che potrà sviluppare in un ambiente appropriato. -Il bambino che si sviluppa naturalmente: si rifà alla psicologia evolutiva e a Piaget che dedicò i suoi studi alla ricerca di modello per la comprensione dei processi mentali che avesse valore scientifico. Per Piaget il bambino ha grandi potenzialità di diventare qualcosa a cui è destinato a diventare secondo tappe dello sviluppo ben definite che lo porteranno alla maturazione dell’intelligenza: lo stadio senso-motorio, pre-operatorio, operatorio concreto e operatorio formale. Quindi si parte dalla ricezione dei messaggi sensoriali e azioni motorie, per giungere poi allo sviluppo di capacità mentali flessibili e poi di astrazione. Dunque l’intelligenza non è una caratteristica innata, ma che evolve durante lo sviluppo ed è condizionata dall’ambiente con cui il bambino ha un rapporto attivo, uno scambio e non è solo ricettivo. -Il bambino inconscio: all’inizio del 20° secolo le teorie di Freud influenzarono anche il modo di intendere l’infanzia. Fino ad allora il bambino ero concepito come una figura rivolta al futuro, mentre ora è intesa come il passato degli adulti. Nell’ottica di Freud l’infanzia è l’architettura psicopatologica dell’adulto. Freud divide la vita psichica in conscia e inconscia, il comporta mante è governato dalla libido, cioè un’energia che agisce a livello inconscio fin dalla nascita. Lo sviluppo lega tre livelli di personalità: Es, Io e Superio. L’Es è il luogo della libido in cui il comportamento è governato dalla libido, cioè un’energia che agisce a livello inconscio sin dalla nascita. Chiaro è il richiamo al modello del bambino cattivo. L’Io supervisiona il comportamento dell’Es richiamando la teoria del bambino immanente. Il Superio è il luogo della coscienza e della moralità, delle regole e dei divieti. In ogni fase la libido investe parti del corpo maggiormente sensibili a quell’età: fase orale, anale, fallica… ma perché lo sviluppo proceda bene è necessario un ambiente idoneo alla soddisfazione dei bisogni di ogni fase. 16 3.4 Il bambino sociologico Esistono diverse teorie secondo cui il bambino è costruito socialmente: -Il bambino che si sviluppa socialmente: lo sviluppo sociale del bambino è parallelo allo sviluppo naturale, ma ci possono essere delle resistenze quando le propensioni naturali incontrano il contesto sociale. Secondo questa teoria infatti è la società che forma l’individuo. Il processo di socializzazione è concepito in due modi: uno hard che intende la socializzazione come interiorizzazione di costrizioni sociali (Parsons che analizza il legame tra individuo, personalità e società intesi come un microcosmo) e uno soft che intende la socializzazione come qualcosa di fondamentale nell’interazione (interazionismo simbolico di Mead che analizza gruppi di individui e la loro acquisizione del linguaggio e della abilità interattive). -Il bambino socialmente costruito: deriva dal costruzionismo sociale, in cui il bambino è considerato in termini causali, è lui che da solo o grazie alle interazioni con gli adulti, crea dei significati attribuibili al mondo esterno. In quest’ottica l’idea di infanzia, che dipende dal metro di giudizio della propria realtà, non è unica e unitaria, ma sono tante. -Il bambino tribale: in questa prospettiva i mondi dell’infanzia non sono più visti come fantasie, giochi o reinterpretazioni del mondo adulto, ma come luoghi reali e significativi. La vita dei bambini non è più considerata errata o superficiale, ma anzi si rispettala loro interpretazione della realtà. Grazie a questo approccio l’infanzia viene ampiamente documentata portando a una consapevolezza del mondo del bambino e del modo in cui esso si rapporta nel sociale e come apprende. -Il bambino come gruppo minoritario: si parte dalla discriminazione che esiste nella gerarchizzazione sociale in cui vi è un gran divario tra i ruoli di potere dei bambini e degli adulti. L’infanzia è considerato un gruppo minoritario, impotente, prevaricato e vittimizzato. Il limiti di questo approccio è che il gruppo dell’infanzia non è considerato un gruppo a se stante, ma che dipende dalla stratificazione sociale di appartenenza dei bambini quindi essi devono uniformarsi alle politicizzazioni della società. -Il bambino socio-strutturale: I bambini sono una categoria costante in tutte le società, universalmente accettata. I bambini sono attori sociali, sono cittadini con bisogni e diritti, sono soggetti il cui modo di essere è determinato dalla società, quindi sono un fenomeno sociale. Si preferisce parlare di infanzia intendendo i bambini come tutti accomunati da caratteristiche comuni perché ciò ci permette di paragonare l’infanzia agli altri gruppi di età o di paragonare i bambini di una certa area in vari momenti storici. Ciò ci permette di fare paragoni transnazionali e interculturali. 3.5 L’infanzia: un problema per la sociologia 17 3.6 Idee ricevute sui bambini Le ricerche sul modo di pensare dei bambini hanno subito grandi trasformazioni nel tempo: all’inizio ci si soffermava sugli stadi di sviluppo intellettuale e affettivo, considerati indispensabili per giungere ad essere adulti. Il bambino era dunque considerato incompiuto, ma col tempo ci è capito che i bambini sono più intelligenti e più attivi di quanto si credeva, anzi sono anche più adulti. Da lì l’immaginario infantile non è più pensato come fuga in un mondo irreale e la fantasia non è un modo per distrarsi, ma uno strumento per pensare. L’idea di una distanza tra universo dei bambini e universo adulto è stata confermata da un secolo di psicologia: l’apprendimento consiste da uscire dal pensiero egocentrico, irrazionale e ingenuo ed entrare nel mondo dei grandi, razionale e pragmatico. Ma questa distanza non è reale. Permanenza dei figli in famiglia La lunghezza del periodo di permanenza presso la famiglia d’origine cambia nel corso del tempo. Prima del ‘600 poteva essere molto breve perché i bambini venivano mandati presso altre famiglie come apprendisti o domestici. Nel ‘600 si inizia a prendere in considerazione i bambini in quanto tali, quindi si cerca per loro un abbigliamento particolare, sono considerati un momento di svago per gli adulti, ma è anche allora che iniziano le preoccupazioni per la fragilità non solo fisica, ma anche psichica dell’infanzia, dunque si cerca di proteggerla. Nasce il concetto di educazione e formazione. Da allora l’infanzia acquisisce sempre più un ruolo centrale tanto che tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 si parla di puerocentrismo. La famiglia borghese è molto concentrata sui figli che sono uno strumento di riuscita familiare e per la prima volta il bambino è considerato soggetto di diritti (Dichiarazione dei diritti del fanciullo emanata dalla Società delle nazioni nel 1924). Negli anni ’60 si passa al puerocentrismo narcisistico, cioè il bambino diviene prodotto e prolungamento dell’adulto che in lui investe e tende a rispecchiarsi. La vita del bambino diviene scandita da tante attività dettate dall’adulto che annullano il suo tempo libero e la capacità d’espressione tipica di questa fase, inoltre si tende a far acquisire sempre prima le competenze che si ritengono importanti per l’affermazione sociale. Il bambino poi diventa il centro della coppia, quasi un re, colui che dà senso e la tiene unita, ciò si ripercuote sullo stile educativo. Il genitore è più interessato a saturare il bambino, a compiacere i suoi bisogni, che a educarlo. Il bambino diviene sovrano o addirittura idolo della famiglia. Questo investimento sui figli da parte della famiglia porta a un sempre maggiore rallentamento nel processo di distacco. 3.7 Atteggiamenti e pratiche Partendo dal presupposto che le azioni educative dipendono dalle rappresentazioni che si hanno della realtà si dà luogo a 4 tipo: la rappresentazione dell’infanzia mancata che porta a pratiche violente, a educazioni brutali con punizioni; la rappresentazione dell’infanzia innocente che implica pratiche più dolci, materne piene di sensibilità; la rappresentazione del bambino oggetto che induce a approcci tecnocratici (empirici) e a uno scientismo pedagogico; la rappresentazione del bambino soggetto produce pratiche puerocentriche, basate sulla libera attività e sull’autonomia del bambino. Tali rappresentazioni però appaiono grossolane perché la realtà è più complessa e frutto di combinazioni tra le varie rappresentazioni. 20 CAP.4 Infanzia e sociologia 4.1 Un po’ di storia Tutti sono concordi nel far risalire lo studio scientifico del bambino al XIX secolo, quando gli studi erano influenzati dal metodo genetico (Darwin) che vuole spiegare il fenomeno a partire dalla sua origine. Solo nel XX secolo si inizia a rinvenire una differenza tra la psicologia del bambino e il metodo genetico. L’interesse per i bambini è stato discontinuo e intermittente fino agli anni ’70 quando viene posta la questione del ruolo femminile. Per quanto riguarda la primissima infanzia essa ha avuto un ‘attenzione costante a partire da Piaget con cui si scopre che la prima infanzia non è solo un periodo che richiede cure a livello psichico e affettivo, ma anche un momento cruciale per promuovere la formazione dell’intelligenza. L’infanzia è stata per lungo tempo appannaggio di discipline mediche come la pediatria e la psicologia, mentre la sociologia ha iniziato a interessarsene più tardi, ponendo l’accento sui modelli e i processi di socializzazione. Berger e Luckmann hanno una teoria costruttivista che considera il processo di socializzazione composto da tre momenti; esteriorizzazione, oggettivazione e interiorizzazione. Il bambino è studiato attraverso il gioco in cui il bambino si esprime, sperimenta, reinventa le norme di comportamento, comunica… Aries fu il primo a teorizzare l’infanzia intendendola come un’età profondamente diversa da quella adulta e non riducendola a una semplice categoria naturalistica. Nasman intendeva i bambini come persone concrete, non più come uomini in potenza o adulti per difetto. Rose mette in luce molte azioni ed idee per la protezione e la salvaguardia dell’infanzia per assicurarne il suo normale sviluppo. 4.2 Le teorie Mauss sosteneva che la sociologia dell’infanzia è di fatto parte della sociologia, che ogni ambito della sociologia può essere attraversato dalla sociologia dell’infanzia e che le discipline del corpo possano servire all’educazione dell’infanzia. Il bambino sociologico vive una situazione di dipendenza dal mondo adulto nel senso che, proprio perché infante, è sotto la responsabilità dell’adulto perché irresponsabile. La prima teoria parla del bambino che si sviluppa socialmente: l’infanzia considera il mondo adulto come un garante capace di offrire risposte alle proprie domande. Poi nella fase della pre-adolescenza e dell’adolescenza inizierà ad affidarsi agli altri, al gruppo dei pari adottando pratiche diverse o opposte a quelle degli adulti di riferimento (il bambino diventa individuo sociale). 21 Negli ultimi anni la novità è il tentativo di considerate l’infanzia come categoria sociale permanente di ogni comunità, quindi non subordinata ad altre categorie. Nel modello dello sviluppo sociale del bambino è la società che forma l’individuo: il bambino grazie alla socializzazione, vista come interiorizzazione delle costrizioni sociali, diventerà un adulto conformato alle norme sociali. Parsons è il maggiore esponente di questo atteggiamento e individua una correlazione tra la personalità degli individui e la società. L’interazionismo simbolico. Il costruzionismo simbolico invece si rivolge alla comprensione dello status e dei ruoli infantili: la conoscenza del bambino dipende dal formarsi di una coscienza che si costruisce attraverso il rapporto con il contesto sociale, politico, storico e morale. Le teorie dell’approccio socio-strutturale partono dal presupposto che i bambini sono una caratteristica costante di tutte le realtà sociali. Anche se le loro manifestazioni variano da una società all’altra, all’interno di ogni società risultano uniformi. 4.3 La famiglia Un’istituzione sociale La famiglia è un’istituzione fondamentale in ogni società, attraverso cui la società si perpetua, sia biologicamente che culturalmente. Malgrado la sua universalità, la famiglia assume una straordinaria varietà di forme in base ai contesti sociali e culturali, tanto che è difficile trovarne un tratto distintivo comune. Il nucleo centrale è però sempre il rapporto tra la madre e i figli, infatti in molte società, benché l’uomo sia fondamentale per l’unione biologica, è poi la donna, con magari i fratelli, a occuparsi dei figli. La famiglia come invenzione culturale L’interesse della sociologia per la famiglia nasce dalla questione della sua origine. Le analisi sociologiche partono dall’idea che la famiglia si un’invenzione sociale, nata dallo scopo di stabilizzare la divisione del lavoro tra i sessi e le generazioni. La famiglia è vista come un sistema sociale in miniatura di cui si studiano le dimensioni, l’organizzazione economica, la distribuzione dei ruoli di autorità, l’influenza all’esterno sulla stratificazione sociale e le funzioni di formazione della personalità e di socializzazione degli individui. Le trasformazioni al suo interno permettono di leggere i mutamenti nella società. Tante sono le prospettive di studio della famiglia, ma tutte sono concordi nel considerare la famiglia come un gruppo per sé, legato a problemi specifici della coppia, ai rapporti tra generazioni, ma comunque dotata di autonomia. 22 scientifico, ma vi è una sensibile differenza tra quelle che vogliono rintracciare i processi più elementari e quelle che prediligono il punto di vista globale. Un altro aspetto dell’ampliamento delle funzioni educative riguarda l’attenzione alle età precedenti e seguenti e il principio che l’educazione dura tutta la vita (educazione permanente). Un po’ di storia L’inizio del 21° secolo non si caratterizza solo per l’attenzione all’educazione permanente, ma anche per l’interesse a tematiche molto delicate, a dinamiche nuove nella società odierna e quindi c’è l’esigenza di nuove educazioni: ambientali, alla solidarietà, alla sessualità, alla pace, alla multiculturalità, alla musica, artistica, sportiva… Ci si interroga inoltre sul perché questo problema non prevede un ridisegno dell’intervento educativo a scuola. Insegnare ad imparare Molti studi, tra cui quelli dell’Università di Harvard, hanno dimostrato che buoni maestri nella scuola dell’infanzia e primaria lasciano il segno per tutta la vita: dei test hanno valutato gli insegnanti dividendoli in bravi, medi e scarsi, gli allievi che hanno avuto bravi insegnanti sono più sereni, guadagnano di più, i loro matrimoni sono più felici e svolgono lavori più gratificanti. Le politiche europee negli ultimi anni spronano le politiche educative ad un approccio teso ad insegnare ad imparare, quindi a spingere l’alunno a riflette sulle proprie strategie di apprendimento per potersi auto valutare, invece di spingere su un insegnamento nozionistico. Prima delle legge Gelmini in Italia si era concentrati a valutare gli atteggiamenti, le capacità relazionali, i valori che servono per imparare a imparare. Ma l’attuale legge modifica molto le modalità e le finalità della formazione, non solo per il maestro unico, il grembiulino e il voto in condotta, ma perché modifica la formazione degli insegnanti. Nel nostro cdl in sfp è cambiata la logica: non si è più concentrati a sviluppare le potenzialità, le attitudini, ma si è passati solo a fornire conoscenze, competenze, soprattutto scientifiche tra l’altro. Come se le scienze umane fossero meno importanti o non avessero la funzione sociale di formare il cittadino. 4.5 il processo di individualizzazione Nel corso degli ultimi 50 anni è iniziato un processo di individualizzazione dei bambini, con ciò si intende che la sua prima definizione identitaria non è la sua origine familiare, ma il bambino, come un adulto, ha il diritto fin dalla nascita a un’identità totalmente personale. Perché ciò avvenga è necessario che il bambino non sia sottoposto a un’autorità troppo forte e a un potere troppo forte, ma deve in qualche senso emanciparsi dai genitori. L’individualizzazione è difficile da pensare per un bambino, basti pensare alle Convenzioni dei diritti dei bambini che li considerano sempre minori, da difendere… ma il bambino va rispettato in modo diverso, sì tenendo conto la sua fragilità, ma senza diminuire la sua identità umana. Senza far venir meno la sua specificità. Il bambino non è un adulto, quindi il rapporto deve essere sì di uguaglianza ma nel rispetto delle 25 differenze: le vari istituzioni scolastiche (famiglia, scuola, Stato) devono trovare il modo di trovare e rispettare questo equilibrio. L’individualizzazione del bambino non vuol dire isolarlo dalla società, anzi. Il bambino passa da una situazione storica in cui era dominato dai genitori, a una situazione in cui gli interlocutori sono di più, genitori, maestri, professionisti e anche i pari. I genitori sono di certo gli educatori che avranno maggiore peso e influenza sui bambini, ma l’educazione dei bambini sarà più socializzata, in qualche modo gli specialisti vengono a porsi come terzi nel rapporto tra genitori e bambini, senza però svalorizzare la figura dei genitori o destabilizzare l’educazione familiare. CAP.5 Cenni di sociologia dell’educazione La sociologia dell’educazione si concentra sulle istituzioni e sui processi formativi. 5.1 La scoperta sociale dell’educazione Esistono diversi punti di vista a proposito del legame educazione/società perché l’educazione dipende da una precisa concezione della società e dell’organizzazione sociale. Per Durkheiml’educazione è una variabile che si definisce in funzione della società di riferimento e strumento indispensabile di costruzione dell’essere sociale, di integrazione e di controllo sociale. L’educazione è il processo adattivo alla società. Marxconcepisce l’educazione come una variabile dipendente in relazione con la struttura economica. Il rapporto tra società ed educazione parte da una critica alla società esistente e concepisce l’educazione come emancipazione e mezzo di conseguimento di una piena umanizzazione. Weber concepisce l’educazione come mezzo per promuovere le energie individuali nella direzione della costruzione di un legame stabile con il gruppo di appartenenza. Simmelsostiene che l’educazione nella società moderna è definita a partire dall’analisi delle forme di socialità: ogni individuo vede nell’altro la sua collocazione sociale, ogni elemento di un gruppo non è solo parte di un gruppo ma è anche colto nella sua individualità, la società è composta da elementi disuguali e caratterizzata da 26 intrecci di funzioni. La possibilità dell’individuo di appartenere alla società e di avere una professione dipende dalla professione, quindi dalla formazione. Mannheim considera l’educazione uno strumento con cui influire sul sistema di vita e sul modo di pensare degli individui. I poli dell’educazione sono l’adattamento del soggetto e l’autonomia del soggetto. Parsons vede il rapporto tra educazione e società legato al concetto di azione sociale, cioè quella compiuta da un agente in vista di un fine e avviene in un sistema di aspettative reciproche. L’educazione e la socializzazione sono processi che attivano legami di interdipendenza tra il sistema di personalità, la cultura e il sistema sociale. 5.3 La socializzazione come processo La socializzazione è un processo presente nell’intera vita di un individuo soprattutto in una società moderna complessa in cui deve interpretare tanti ruoli. Tre sono le concezioni che fanno riferimento alla socializzazione: -L’approccio funzionalista ha la base nell’idea di Durkheim che vede alla base dell’educazione tre presupposti fondamentali: l’uomo egoistico, che sarebbe asociale, il primato storico, logico e morale della società e la società armonica e ben organizzata in cui ognuno occuperà il posto per cui è destinato. Parsons introduce la distinzione tra socializzazione primaria che è l’interiorizzazione degli orientamenti fondamentali di un valore e la socializzazione secondaria con cui si ha una specificazione degli orientamenti precedentemente interiorizzati. La scuola e la famiglia sono due agenzie di socializzazione importanti ma con un ruolo e un peso ben diverso. -L’approccio conflittualista parte dal conflitto. Dalla lotta tra i rapporti sociali e dall’analisi di tali rapporti in cui sono insite delle contraddizioni. La funzione è quella di analisi dei condizionamenti e l’approfondimento di come si realizza il processo di socializzazione. -L’approccio interazionista-fenomenologico parte dal presupposto che l’uomo costruisce attivamente la realtà sociale attraverso la sua capacità di riprodurre simboli. Molte sono le varianti, tra cui Mead che prevede che i significati simbolici traggono origine da una interiorizzazione delle strutture oggettive. 5.4 Personalità e socializzazione Parsons sottolinea che è durante la socializzazione primaria che avviene la formazione della personalità fondamentale attraverso l’interiorizzazione dei valori trasmessi dai genitori. Questa personalità si distingue in base a sesso, status dei genitori e ruoli che i genitori rappresentano. Per questo non sarà mai possibile ottenere una socializzazione uniforme, ma la formazione non avviene a caso. 5.5 L’uguaglianza di opportunità di fronte all’istruzione Esistono due concezioni di società egualitaria, che hanno a che fare con l’istruzione: 27 Le trasmissioni per ragazzi nei canali generalisti non occupano uno spazio privilegiato, spesso si a una sovrapposizione nelle ore della prima mattina e pomeridiane, sebbene bambini e ragazzi guardino la tv più di tutti e per più ore di tutti. Uno degli aspetti più dibattuti è l’influenza che la tv e gli altri media hanno su bambini e ragazzi. Tale questione è molto antica: già Platone esortava i commediografi a proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita dei ragazzi tramite l’imitazione. All’opposto Aristotele con la teoria della catarsi sosteneva che la rappresentazione simbolica della realtà possa esorcizzare ansie e paure. Tali teorie però non tengono conto dell’insieme sociale in cui si muove il bambino in quanto il comportamento infantile è influenzato da famiglia, scuola, amicizie. Non potendo però isolare la variabile televisione non si riesce a affermare quanto è l’influenza dei media, soprattutto sul tema della violenza. Molti studi sull’aumento della criminalità e dell’aggressività, si basano proprio sull’impatto della violenza trasmessa in tv sugli atteggiamenti dei ragazzi ma, anche se ciò non può essere scientificamente provato, i due fenomeni vengono interpretati in ottica di causa-effetto. E’ probabile però che la violenza non crei violenza, ma contribuisca ad evidenziare quando questa è già presente. Sicuramente non è fondata dal tesi della catarsi, secondo cui le scene violente in tv permetterebbero ai giovani di scaricare la propria aggressività. In queste analisi bisogna però considerare il fatto cheil bambino è spesso da solo di fronte alla tv e, anche in presenza di programmi educativi non vi è un adulto educatore pronto a valorizzarli. Maragliano, sostenitore della tv educativa, sostiene che i ragazzi nati nella cultura mediatica sostiene che gli adulti più critici nei confronti dei media sono quelli che meno li conoscono, non ne conoscono le potenzialità. Dunque la televisione e la scuola sono complementari: il primo programma con chiari intenti educativi realizzato negli Usa e conosciuto in Italia come Giocagiò ebbe delle influenze molto positive per l’acquisizione di conoscenze da parte dei piccolissimi che avevano poi migliori risultati scolastici. 6.2 Generazione “touch screen” Si intende con questa definizione la generazione di bambini immersa nel digitale, che ha molta più dimestichezza con computer e internet che con quaderni e tavola pitagorica. I bambini in media usano il computer meglio di genitori e insegnanti e questo va ad alterare i rapporti di autorità. Col tempo si abbassa l’età a cui in cui i bambini si avvicinano alle tecnologie, a internet al cellulare. L’Italia è indietro rispetto al resto dell’Europa per quanto riguarda internet, ma nelle famiglie in cui c’è almeno un minorenne ci sono più tecnologie. Molto contrastanti sono le idee riguardo questi nuovi media. Per alcuni i giochi possono avere virtù catartiche, infatti uccidere attraverso un videogioco può liberare da paura e stress, per altro è un’istigazione alla violenza. Moti sono concordi nel dire che sono temuti ossessione e dipendenza. Un altro rischio è quello di immergersi nella simulazione, o di andare in qualche modo a sostituire il docente con internet nella scuola, ma senza la guida di un docente le conoscenze non hanno un’organizzazione, serve una guida. Per altri i media elettronici aiutano a sviluppare l’intelligenza perché le competenze cognitive e motorie si sviluppano più velocemente. 30 Una questione molto dibattuta è l’inserimento sociale dei figli di play station e pc. Sempre più il loro utilizzo si mette in relazione con il ripiegamento sul proprio io, col l’isolamento. Il gioco può essere un legame, un messo per entrare nella comunità dei pari, nella società; i genitori ne sono spaventati perché non lo conoscono, non possono gestirlo. Internet infatti permette di entrare in rapporto con individui del mondo intero, i gruppi di discussione, le chat sono una possibilità in più per gli adolescenti, in un luogo dove non esistono i problemi di apparenza, tanto cari per loro. L’84% dei navigatori dichiara di aver utilizzato internet per entrare in contatto con gli altri, per avere contatti con gruppi etnici e religiosi diversi. Di contro internet produce molte attività solitari e di ripiegamento su se stessi, in quanto è molto facile la personalizzazione del suo uso. Inoltre dà la possibilità di scaricare film, musica e libri e quindi aumentano gli elementi di chiusura verso il mondo esterno. E’ considerata generazione touch quella tra 0 a 3 anni che non è in grado ancora di usare mouse e tasti ma si muove agilmente sugli schermi touch. I nativi digitali (4-12 anni) sono coloro che sono nati già immersi nel mondo digitale, in internet e non possono fare a meno dei videogiochi. I millenari (13-18 anni) sono nati a cavallo del secolo, eccellenti conoscitori della tecnologia ma nati ancora nell’era della tv. I migranti digitali (19-25 anni) sono legati alla parola scritta e all’insegnamento frontale. 6.3 Giochi Storicamente vi è un’opposizione gioco/lavoro. Pensiamo ad Aristotele che concepiva il gioco come un momento di rilassamento indispensabile, ma incapace di contribuire alla felicità (la vita virtuosa è una vita di sforzi). Per i Padri della Chiesa il gioco non era visto di buon occhio e doveva essere limitato per evitare gli eccessi. Solo nel 19° secolo si comincia a rivalutare la nozione di gioco con Rousseau che in esso osservava la natura pura, integra e spontanea dei bambini e con Darwin che dava un posto d’onore al gioco infantile considerandolo una manifestazione degli istinti essenziali, primitivi dell’umanità. Nel 20° secolo il gioco viene preso più in considerazione dalle scienze sociali con Chateau e Piaget che lo pone al centro dello sviluppo cognitivo e motorio del bambino. Huizinga nel 1938 fu il primo autore a prendere in considerazione il gioco dal punto di vista sociologico, visto che finora era stato studiato solo da discipline come psicologia, pedagogia, antropologia… Il gioco diventa un fatto sociale: in esso vi è il principio originario di ogni cultura, l’origine delle pratiche rituali, dell’arte, della creatività di una società. A lui spetta il merito di aver analizzato le sue caratteristiche fondamentali e di averne dimostrato l’importanza nello sviluppo della civiltà. Secondo Huizinga il gioco è un’azione libera, cosciente, fuori dalla vita concreta che si compie entro spazi e tempi delimitati, con regole stabilite, con la coscienza specifica che sia un gioco. Il gioco è su un piano diverso rispetto alla vita che è dominata dalla serietà. Esso inoltre rappresenta una considerevole parte del processo di socializzazione all’interno del gruppo di appartenenza. Caillois nel 1958 ha pubblicato “Lesjeux et leshommes”, testo fortemente influenzato dalle tesi di Huizinga, definendo il gioco come il principio permanente della vita sociale. Egli propone diverse tipologie di giochi: -agon: i giochi di competizione 31 -alea: i giochi in cui ci si affida alla sorte, quindi di azzardo -mimicry: i giochi di finzione e imitazione -ilinx: i giochi in cui si ricerca la vertigine, sono uno stimolo per lo stato fisico ed emotivo dell’individuo. Queste tipologie rientrano nella categoria del Ludus, cioè quelli che si rifanno alle abilità, alla tendenza a superare gli ostacoli (giochi sportivi) o alla Paidia, cioè l’ebbrezza, il gioco connotato dall’eccesso che dà piacere in quanto permette di uscire dai parametri ordinari della vita. Secondo Chateau il gioco è un godimento ma anche un’attività seria in cui la finzione dà la possibilità al bambino di sviluppare funzioni latenti. Durante il gioco emerge la personalità del soggetto in età evolutiva per questo è considerato in mezzo utile per l’educazione. La serietà del gioco implica però un distacco dall’ambiente reale, nel gioco non sono nel mondo degli adulti, ma è un altro mondo. Questo distacco rende possibile dare un un nuovo senso agli oggetti: il bastone diventa spada nel contesto ludico. Chateau divide i giochi in: giochi funzionali, che derivano da un bisogno interiore dei bambini di spendere le loro energie in attività motorie; il gioco del far finta che può essere sia un gioco di imitazione che un gioco di finzione, i mestieri, le attività degli adulti vengono imitati, ma possono essere introdotte variazioni; i giochi tradizionali, che sono quelli che provengono dal mondo adulto, che vengono tramandati di generazione in generazione. Per il bambino giocare non vuol dire solo divertirsi, ma è un percorso di conoscenza, di apprendimento di sé, dell’altro, del mondo, ma anche di realizzazione del proprio io e della propria autonomia. Attraverso il gioco inoltre il bambino socializza, cioè acquisisce e fa propri valori, norme, modelli di comportamenti propri del gruppo sociale a cui appartiene. 6.4 I videogiochi Il 96% dei giovani italiani tra i 6 e i 17 anni usa i videogiochi. Il giro d’affari è enorme e sembra in crescita. La play-station ha superato la tv ormai, i giovani passano 1 o 2 ore al giorno a giocarci. E’ un mondo con cui gli adulti non entrano facilmente in contatto, ma è comunque un argomento di conversazione quotidiana. Questi videogiochi hanno dato vita a nuovi gruppi e comunità: i legami sociali attraverso cui apprendere (sale gioco), i raggruppamenti in rete, i clan, le tribù, e i momenti di incontro tra giocatori. Il mondo dei videogame è si sta espandendo, sempre più spesso essi diventano film, mostre, conferenze, libri… tutto ciò ha portato al cambiamento anche degli utenti che va ora dai 13 ai 45 anni con costante crescita di adulti e una partecipazione più ampia del mondo femminile. I giochi contemporanei portano ad assumere le sembianze di qualcuno e di entrare in ambientazioni molto varie, ma di solito vengono stigmatizzati dal pubblico che non li conosce perché si attribuisce loro la colpa di indurre violenza, dipendenza o addirittura epilessia. Quello che affascina i giocatori all’inizio è la curiosità di scoprire un mondo fantastico in cui il personaggio si evolverà superando ostacoli e difficoltà. La differenza con i giochi tradizionali è proprio questa: concepire un 32 Una questione fondamentale della Media Education è che non si preoccupa dei minori che si rapportano con i media, ma ci fa attenzione. E’ ben diverso. La preoccupazione è statica, non porta al progresso, mentre l’attenzione fa pensare, riflettere, fa guardare da diverse prospettive. Maragliano sostiene che esistano tre diverse modalità d’azione nella Media Education: interpretativa che si propone l’analisi testuale considerando aspetti cognitivi, affettivi e proiettivi, ad esempio in Gran Bretagna ha trovato il suo spazio nelle scuole nelle lezioni di lingua e di letteratura; di studio delle interrelazioni dei media con le istituzioni, i gruppi sociali e gli individui; creativa in quanto vengono considerate le realizzazioni di produzioni, ad esempio nei corsi tecnici e professionali o nella scuola quando i bambini si attivano nella realizzazione di spot, video… Manca nelle scuole la figura del media educator: spesso la presenza dei media nella scuola dipende da iniziative volontarie dei docenti o da esperti extrascolastici, ma manca una vera e propria disciplina che si occupi dello studio dei media. Media Education. Le buone prassi Maragliano sostiene che il bambino vive e cresce dentro un ambiente multimediale, mentre l’adulto è cresciuto in un contesto monomediale, la società della scrittura, quindi ci si trova di fronte a una frattura fra mondo adulto e giovanile non solo nella fruizione dei media, ma anche nel modo di pensarli. Per i bambini la tv è vivacità, colore, leggerezza e così è anche per pc e videogiochi, questo mondo li coinvolge pienamente. L’adulto è invece distante da questo mondo, estraneo e crede di poter risolvere ogni problema con divieti e imposizioni. Di fronte a questa rivoluzione la scuola è indietro, c’è ancora una cultura monomediale, ma quella multimediale è migliore perchè interagente, moltiplica linguaggi e conoscenze. La scuola deve dunque riacquistare una posizione centrale in questo, ma non è sufficiente introdurre tv e computer nelle scuole se prima non si cambia l mentalità nei confronti dei media. Maragliano sostiene che i media possono entrare nelle scuole in tre modi: come strumenti, come risorse per l’apprendimento; come oggetto di studio, i media diventano l’argomento da studiare, da analizzare; come ambiente di lavoro in cui agire per apprendere. Perché entrino nella scuola si deve creare un equilibrio tra scrittura e audiovisivo, la prima come mezzo del pensiero astratto, il secondo del pensiero concreto. Educare all’immagine Con i Nuovi programmi didattici della scuola primaria dell’85 di fa una prima modifica all’attività didattica con l’inserimento dell’educazione all’immagine, quindi della comunicazione legata al mondo delle immagini. L’obiettivo è sviluppare competenze tecniche, lessicali per sapere leggere e produrre immagini, ma soprattutto difendere lo spettatore rendendolo critico. Dunque è importante la decodifica dell’immagine, ma anche la sua lettura psicanalitica. Gli studi dimostrano che l’85% dei ragazzi dopo aver seguito le lezioni, hanno le idee più chiare sui concetto di realtà e finzione, segue con più attenzione i film, capisce molti passaggi delle scene, dei trucchi… 35 36 CSPIB INTRO. Si sono persi i bambini. Perché? I bambini stanno scomparendo perché gli adulti li trattano subito da grandi e non riconoscono la loro specificità. Genitori e figli fanno le stesse cose: navigano su internet, giocano ai videogame, guardano la tv… E’ come se ci fosse un’alterazione dei ruoli, un’adultizzazione dei bambini e un’infantilizzazione dei grandi. I genitori sembrano delegare alla scuola, al gruppo, alle tecnologie l’accudimento e la stimolazione dei bambini, questi più rapidamente crescono e diventano autonomi, più gli adulti hanno meno responsabilità del loro ruolo. CAP.9 La preoccupazione come alibi dell’attenzione Prima della nascita Ancora prima di attenzioni il bambino è oggetto di preoccupazione, già prima della nascita. Basta pensare a tutte le visite a cui si sottopongono i futuri genitori. Tantissimi sono i manuali, i blog, i siti dedicati al tempo dell’attesa. Un altro spetto normale della preoccupazione è l’allestimento dell’habitat perfetto per accogliere il neonato. Dalla nascita in poi la vita del bambino è accompagnata da genitori sempre più performanti che pensano di dover fare sempre di più e sempre meglio. C’è una forte ansia da prestazione che connota il rapporto genitori- figli e trasforma i figli in progetti di capolavoro. Tutto viene perfettamente organizzato, tempi e modi delle attività. Il ritmo è velocissimo, tutte le competenze devono essere raggiunte il prima possibile. A quanto pare è più semplice preoccuparsi, che essere attenti. Molto viene delegato ad altro o altri. L’inserimento precoce nella comunità (nido, scuola a tempo pieno…) è un segnale di spinta verso la socialità, ma anche del desiderio di affidare la cura dei piccoli ad altri. L’attività lavorativa di molti genitori è all’origine di molte deleghe, ma allo stesso tempo è motivo di molte altre preoccupazioni (far parte di organizzazioni, curare la dieta…) e tutte queste attività lasciano sempre meno spazio all’attenzione per i propri figli. L’ansia, attivata dalle deleghe e placata con l’organizzazione, diventa un alibi per non stare con i bambini. La preoccupazione diviene la strategia dei genitori per confermare l’attendibilità e l’efficacia del proprio ruolo. 37
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