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SIGNORIE, REGIMI OLIGARCHICI E STATI REGIONALI IN ITALIA ALLA FINE DEL MEDIOEVO , Dispense di Storia

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Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 13/07/2020

sara_stitch_vitali
sara_stitch_vitali 🇮🇹

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Scarica SIGNORIE, REGIMI OLIGARCHICI E STATI REGIONALI IN ITALIA ALLA FINE DEL MEDIOEVO e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! SIGNORIE, REGIMI OLIGARCHICI E STATI REGIONALI IN ITALIA ALLA FINE DEL MEDIOEVO Origini e prime sperimentazioni del regime signorile Nel XIII secolo il comune cittadino ebbe difficoltà a dare stabilità ai propri ordinamenti e a disciplinare i vari nuclei di potere. La coesistenza di diversi ceti con varie connotazioni sociali ed economiche generava rivalità che spesso sfociavano in scontri armati che, se non placati, dilagavano in città e contadi. Approfittando dell’instabilità creata da queste situazioni individui, famiglie e fazioni tentarono l’ascesa al potere e nacquero così le signorie urbane. Tra le prime signorie, alcune si proposero per l’iniziativa di stirpi feudali radicate nel contado. Ezzelino III da Romano impose il suo dominio su Verona, Vicenza, Padova e Treviso. La sua forza derivava da una solida base di potere e dalla presenza di clientele vassallatiche. Tuttavia, egli fu sconfitto a Cassano d’Adda da un esercito che riuniva le milizie agli ordini di Oberto Pelavicino. Quest’ultimo, signore di molti castelli e fortezze in area padana, era esponente dello schieramento filoimperiale e fu signore di Cremona, Pavia, Alessandria, Parma, Piacenza e Milano. Tuttavia, la sua signoria si disgregò presto, per la discesa in Italia degli angioini e i successi delle milizie guelfe. A Ferrara si affermarono gli Este, i quali ebbero la meglio sui Torelli ottenendo il riconoscimento della signoria e la sua ereditarietà. A Verona si impose la signoria scaligera con Mastino della Scala e Cangrande, con cui il potere scaligero si estese a Vicenza, Padova e Treviso. A Padova si affermarono i da Carrara. All’inizio a Milano ottennero il controllo delle magistrature comunali i della Torre, ma essi non seppero contrastare la parte nobiliare che proclamò signore Ottone Visconti. La posizione dei Visconti si rafforzò con Matteo Visconti, eletto capitano del popolo nel 1287. Si andava costruendo uno Stato di tipo principesco, con un assetto amministrativo e militare collegato alle volontà di un signore. Il passaggio dal regime comunale a quello signorile non era irreversibile, per cui in un certo momento si attribuivano poteri decisionali ad una persona per poi tornare dopo un certo periodo di tempo alle forme di governo comunali. Questo accadde soprattutto in Toscana, come con Uguccione della Faggiuola, capo dello schieramento ghibellino. Le spedizioni imperiali e la fine del sogno ghibellino Salito al trono di Germania nel 1308, Enrico VII, per arginare le pretese del re di Francia Filippo il Bello, volse la sua attenzione all’Italia, dove era invocato da molti con la speranza di porre fine alle lotte interne ed instaurare un regime di concordia e giustizia. Nel 1310, sceso in Italia, ricevette prima la corona d’Italia e poi quella di imperatore. Tuttavia, l’impresa di Enrico si rivelò piena di difficoltà, per l’ostilità di signori e comuni. Mentre Enrico ripiegava verso nord, morì di malaria. Il suo successore, Ludovico IV il Bavaro, scese a Roma chiamato dai ghibelline e ricevette la corona imperiale in Campidoglio da Sciarra Colonna. Verso gli Stati regionali Con l’affermazione dei regimi signorili si trasformò l’assetto politico-territoriale dell’Italia padana. I diversi centri di potere, primi fra tutti i comuni cittadini, vennero inglobati negli Stati regionali, entità statuali più grandi governate da famiglie nobiliari di radicamento urbano. Mentre l’Italia del Centro-Sud era ancora inquadrata nell’esperienza monarchica, il quadro politico a Nord si assestò intorno alle cinque maggiori formazioni: lo stato di tipo principesco dei Savoia, quello dei Visconti e gli Stati-repubblica di Genova, Venezia e Firenze. Nel 300, i giuristi attribuirono piena sovranità alle città, che si configurarono come sibi principes, cioè svincolate da qualsiasi potere superiore. Simile fenomeno si verificò per coloro che detenevano i titoli di vicari imperiali o pontifici, membri cioè delle famiglie che tra 200 e 300 avevano visto legittimato il potere esercitato su comunità o aree territoriali. Una volta ottenuti dall’imperatore o dal papa i titoli di duchi o marchesi, i vicari smisero di essere funzionari di un superiore e acquisirono completamente i poteri. È il caso dei Visconti, duchi di Milano, dei Savoia, dei Gonzaga, marchesi di Mantova; degli Este, duchi di Ferrara e dei Montefeltro, duchi di Urbino. Principati e repubbliche del nord Gli Stati regionali del Nord potevano essere Stati signorili monocittadini o Stati principeschi maggiori. Dal XIV secolo, lo Stato dei Visconti si espanse dal Milanese alla Lombardia e a molti comuni di Piemonte ed Emilia. La massima estensione si ebbe con Gian Galeazzo, che sottomise la Marca trevigiana, Pisa, Siena e Perugia. Alla sua morte però, non essendosi ancora realizzata l’unificazione amministrativa dei territori acquisiti, questi vennero persi. Una ripresa espansionistica si ebbe con Filippo Maria, suo figlio, che prese il controllo del territorio compreso tra il Mincio, le Alpi e Genova. Si avvicinò anche all’Italia centrale, ma Venezia e Firenze crearono la lega antiviscontea, appoggiata da Este, Gonzaga ed Amedeo VIII. Gli scontri tra i due portarono alla battaglia di Maclodio, dove i milanesi furono sconfitti. Alla battaglia seguì la pace siglata a Ferrara, che fissò i confini dello Stato visconteo. Filippo Maria Visconti all’inizio era contrario alla decisione di Giovanna II di designare Alfonso d’Aragona come erede per la paura di un eccessivo rafforzamento degli aragonesi nel Mediterraneo. Successivamente però tra i due nacque un’intesa volta a suddividere la penisola in due sfere d’influenza: una viscontea al Centro-Nord e una aragonese nel Meridione e nelle Isole. Tuttavia, il progetto rimase incompiuto alla morte del Visconti. Alla morte del duca ci fu un’esperienza di governo oligarchico nota come Repubblica ambrosiana e poi ottenne la signoria di Milano Francesco Sforza, che ampliò lo Stato milanese, rilanciò le attività manifatturiere e agricole e realizzò importanti opere pubbliche. Egli cercò di controllare una realtà politica piuttosto variegata, con ampi spazi di dominio signorile radicatisi durante la crisi del controllo comunale sul contado. All’epoca di Gian Galeazzo risale la fondazione di un efficiente apparato burocratico. Sin dal 300 i Visconti riconoscevano i poteri signorili alla testa delle città che conquistavano, ma solo una volta assunto il titolo ducale furono legittimati a istituire i feudi per legare alla corte le signorie. Con il feudo visconteo il duca delegava ai signori le funzioni giurisdizionali e amministrative imponendosi come fonte della sovranità e si creava un consenso. Per riconquistare i territori dei Visconti Sforza accordò concessioni alle comunità locali, che approfittarono della situazione per migliorare la loro condizione. Nel 1416 i Savoia ottennero il titolo ducale; Amedeo VIII promosse la riorganizzazione politico-amministrativa dei territori conquistati. Nel 400 si costruì lo Stato veneziano e con Francesco Foscari vennero conquistate Brescia, Belluno, Padova, Verona, Vicenza, Bergamo e le terre del patriarcato d’Aquileia e Ravenna. Le vicende delle istituzioni cittadine veneziane furono particolari perché a Venezia si mantenne ai vertici della vita politica un’oligarchia formata dagli esponenti delle maggiori famiglie mercantili che si rivelarono rispettosi delle istituzioni e dei poteri locali. Lo Stato fiorentino Firenze, all’inizio del 400, regnava su Prato, San Gimignano, Colle Val d’Elsa, Poggibonsi, Arezzo e Pistoia. Con la morte di Gian Galeazzo i fiorentini acquisirono uno sbocco sul mare con la conquista di Pisa ed ampliarono i confini con la sottomissione di Livorno e Cortona. Anche qui il potere centrale era detenuto da una ristretta oligarchia e i rapporti tra popolo grasso e ceto nobiliare sfociarono in contrasti violenti. Ad essere esclusi dagli organismi di governo non erano i casati maggiori, ma quelli che apparivano più pericolosi per il governo popolare. L’assetto istituzionale della città restò quello di origine tardo comunale, con organi collegiali con varie prerogative. Tra 300 e 400 però i consigli civici furono interessati da una chiusura che portò al governo della città un gruppo ristretto di famiglie. In tale contesto si situa il tumulto dei ciompi, cioè la rivolta dei lavoratori salariati che chiedevano migliori condizioni di lavoro ed il diritto di partecipare alla vita politica. Tuttavia, essi furono sconfitti. L’oligarchia era formata da cittadini con alto profilo economico come mercanti, banchieri ed imprenditori. Presto si scontrarono due famiglie: gli Albizzi e i Medici. All’inizio furono gli Albizzi ad affermarsi nel governo della città, ma infine prevalsero i Medici con Cosimo il Vecchio de’ Medici, che diede vita a una criptosignoria: le istituzioni rimasero inalterate, ma i Medici riservarono agli uomini del proprio entourage le posizioni più importanti di governo. Lorenzo il Magnifico cercò di rafforzare l’egemonia della famiglia e fu grazie a lui se il precario equilibrio su cui vigilava la Lega italica poté mantenersi in piedi fino alla fine del XV secolo. I Medici furono però vittime della congiura dei Pazzi che li sostituirono nella gestione della finanza pontificia. Alcuni scari aggredirono Lorenzo ma lui si salvò e la reazione popolare che seguì vide soccombere molti esponenti della famiglia dei Pazzi e l’arcivescovo di Firenze Francesco Salviati. Dopo ciò, il papa scomunicò Lorenzo. I rapporti con il papa si ripresero nel 1480 grazie a un accordo. Lo Stato della Chiesa Per lo Stato della Chiesa gli anni dello scisma segnarono una svolta. La riduzione delle entrare per il minor controllo esercitato sulla distribuzione dei benefici portarono i pontefici a prestare più attenzione all’amministrazione delle regioni sottoposte. Per drenare le ricchezze bisognava controllarle più efficacemente e con Martino V queste furono interessate da un processo di riorganizzazione. Il principale
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