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Simbolismo, Baudelaire, Decadentismo, Gabriele d'Annunzio, Dispense di Italiano

Il documento contiene: - Caratteri generali del simbolismo e di Budelaire; - Analisi de <<I fiori malsani>>; - Caratteri generali del decadentismo (+ analisi de "Il ritratto di Dorian Gray" di Oscar Wilde); - Vita, poetica, teatro ed opere (Maya ed Elettra, Alcyone, Il Notturno, Le Laudi).

Tipologia: Dispense

2022/2023

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Scarica Simbolismo, Baudelaire, Decadentismo, Gabriele d'Annunzio e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Charles Baudelaire Il poeta romantico Alphonse de Lamartine rivendicava il merito di <<aver fatto scendere la poesia dal Parnaso>> (il monte sede delle Muse) ossia di avere liberato la lirica dalle rigidità del Classicismo in nome dell'espressività soggettiva. Verso la metà dell'Ottocento in Francia si manifesta però una reazione contro la poesia romantica, in particolare nei confronti di alcuni autori accusati di eccessi di sentimentalismo, di retorica sovrabbondante, di trascuratezza nella forma. Tra il 1850 e il 1885 si afferma così il movimento dei cosiddetti "parnassiani", poeti che attraverso un ritorno ai classici si propongono il recupero del rigore formale, la cura puntigliosa per lo stile e il controllo della regolarità metrica; nella raccolta "Il Parnaso contemporaneo" sono riunite poesie di una trentina di autori accomunate dal culto per la forma limpida e perfetta. Precursore e ispiratore del movimento parnassiano è Théophile Gautier (1811-1872), che sin dagli anni Trenta mostra una dedizione meticolosa per la bellezza formale e scrive versi raffinati, che escludono ogni abbandono sentimentale ma anche ogni impegno ideologico: nella visione di Gautier l'arte non deve prefiggersi alcuno scopo morale o civile ma basta a se stessa, e canta con fredda perfezione argomenti convenzionali tratti dalla storia antica, dalla mitologia, dall'osservazione del paesaggio. Baudelaire riconosce dunque in Gautier un maestro per quanto riguarda la necessità della cura formale e del lavoro minuzioso su ogni verso; se ne distacca però totalmente per i contenuti e per l'idea stessa di poesia. Nell'opera di Baudelaire, come vedremo, l'io del poeta ritorna al centro, non tanto per esprimere la propria dimensione affettiva e sentimentale come in epoca romantica, quanto per dilatare la propria sensibilità, il potere conoscitivo dei sensi. Il poeta è colui che, grazie all'immaginazione e all'intuizione, può cogliere i misteriosi legami tra i vari elementi della natura; non aspira a una conoscenza oggettiva e razionale del mondo ma cerca l'anima segreta delle cose, la loro vera essenza. Le cose non sono soltanto ciò che appaiono, ma celano un mistero che soltanto il poeta può sfiorare, e che tenta di rappresentare attraverso simboli, analogie, sinestesie, accostamenti inattesi, in una forma comunque "classica" e perfetta. Privo di ogni fiducia nel possibile progresso della società, Baudelaire osserva e rappresenta anche gli aspetti più oscuri e scabrosi della realtà, mostrando il poeta come un esiliato, un angelo decaduto, un maestoso uccello che sulla Terra inciampa nelle sue stesse ali. Come scrive Macchia, la poesia per Baudelaire è un oggetto prezioso, lavorato come un'opera di oreficeria ma nutrito dall'ombra; non è affatto uno sfogo immediato o frutto di improvvisazione, ma nasce da una dura fatica, è regolata da leggi formali ardue da conquistare. Baudelaire è considerato un modello da alcuni poeti francesi che operano negli anni Settanta dell'Ottocento e che portano a uno sviluppo ulteriore le sue suggestioni. Per Paul Verlaine la poesia è soprattutto musicalità: in una poesia programmatica, intitolata Arte poetica, Verlaine espone appunto la sua idea di poesia:  «Musica, prima d'ogni altra cosa»: obiettivo della poesia è trasformarsi in musica, che è la più libera delle arti. la più capace di parlare all'anima senza la necessità di legami logici riconoscibili. L'idea baudelairiana che la poesia sia svincolata da legami logici e voglia esplorare ciò che è ignoto è ripresa e portata all'estremo dal giovane Arthur Rimbaud, che incarna più di ogni altro la figura dell'artista ribelle e maledetto, dalla vita breve e sregolata. La sua esperienza è annunciata in forma simbolica e visionaria nel poemetto Il battello ebbro, nel quale un battello, che narra in prima persona, discende la corrente in un viaggio folle che ha come scopo la conoscenza. Rimbaud sostiene che il poeta attraverso il "deragliamento", il «disordine di tutti i sensi», sperimenta ogni sensazione e si avvicina alla «quintessenza» della realtà: è un percorso che implica sofferenza e richiede molta forza, che lo rende inviso agli occhi degli uomini ma gli permette di arrivare alla conoscenza di ciò che è inesprimibile. Il poeta è dunque assimilato ad un <<veggente>>, che non intende comunicare ma evocare, suggerire qualche cosa dell'<<ignoto>>. Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Con Mallarmé il suo percorso di allontanamento dalla parola poetica dalla realtà raggiunge il culmine. Per lui il poeta diviene una sorta di sacerdote, custode di un rito in cui gli elementi essenziali sono le parole e i simboli: il ruolo del poeta è di suggerire, evocare a poco a poco oggetti e stati d'animo che spetta al lettore decifrare. La parola poetica per Mallarmé ha dunque il potere magico di creare la realtà: la parola deve essere scelta dal poeta con dedizione, quasi reinventata, per raggiungere una purezza nuova, assoluta; inoltre il poeta ricorre a simboli, privi di legami logici riconoscibili, estremamente soggettivi e pertanto spesso indecifrabili per il lettore. Emerge infatti la paralisi, l'ossessione davanti la pagina bianca, poiché ciò che il poeta ha da dire è talmente al di là dell'umano da risultare ineffabile, non esistono i mezzi per esprimerlo. Nel 1884 Verlaine pubblica un'opera intitolata I poeti maledetti, nella quale inserisce poesie di Rimbaud, Mallarmé e Tristan Corbière, scegliendo come spartiacque il 1873, ed è questa la ragione per cui Baudelaire, considerato maestro e ispiratore, non è inserito nella raccolta. Con il termine «maledetti» egli spiega di volere designare poeti <<assoluti>>, veri creatori, destinati all'urto con il proprio tempo a causa della loro visione anticipatrice e rivoluzionaria. Il titolo è ispirato a una poesia di Baudelaire, nella quale una madre maledice la sorte per avere avuto un figlio poeta. L'espressione <<poeti maledetti>> è poi passata a indicare più in generale quegli autori che, unendo arte e vita, assumono atteggiamenti autodistruttivi e vivono con sregolatezza per ribellarsi alla società borghese. Verlaine, Rimbaud e Mallarmé sono anche designati come "poeti simbolisti"; il movimento simbolista nasce ufficialmente nel 1886, quando Jean Moréas pubblica sul giornale "Le Figaro" il Manifesto del Simbolismo, per annunciare l'affacciarsi di una nuova corrente letteraria nel panorama francese. Moréas individua in Baudelaire il precursore del movimento e in Verlaine e Mallarmé le voci più significative, per le innovazioni rispettivamente nella versificazione. Verlaine ha inventato nuovi ritmi e musicalità nuova e nell'adozione di un linguaggio innovativo ha introdotto il senso del mistero e dell'ineffabile. Delinea inoltre i caratteri stilistici principali del Simbolismo nella «stranezza della metafora», nel «lessico nuovo», nella ricerca di periodi dalla sintassi complessa e tortuosa, spesso con cambi improvvisi di soggetto, nell'insistita assenza di elementi del discorso, nell'uso di figure retoriche inconsuete, infine nell'esplorazione delle infinite possibilità della <<buona e lussureggiante e focosa lingua francese>>. Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Nella nostra trattazione seguiremo la seconda proposta, ossia distinguiamo una fase propriamente "decadente" che coincide con la fine dell'Ottocento, e una fase "modernista” novecentesca, scegliendo come data di discrimine tra i due periodi il 1904, anno in cui viene pubblicato il romanzo II fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, che segna una de profonda rottura con i modelli narrativi ottocenteschi. Naturalmente si tratta di categorie che servono ad agevolare la comprensione e lo studio dei fenomeni letterari, ma che non costituiscono barriere impermeabili. Nel panorama francese rientra in questa categoria la poesia del Simbolismo, ossia la produzione di quei poeti che si ispirano all’opera di Charles Baudelaire, un libro incentrato sulla figura di un aristocratico che si isola dal mondo per perseguire il suo ideale assoluto di bellezza e di arte rifuggendo dalla volgarità di massa. Joris-Karl Huysmans Dopo avere lasciato Parigi ed essersi ritirato in una villa, Des Esseintes si costruisce un mondo artificiale, con una selezionatissima biblioteca, una galleria d’arte ed una serra di fiori inconsueti; il criterio guida è la convinzione che l’artificio sia superiore alla natura, e che l’immaginazione abbia bisogno della realtà. Controcorrente è considerato una sorta di “catalogo” del gusto e della sensibilità decadente. Tuttavia, nemmeno un'esistenza ricercata e dedita ai piaceri più raffinati riesce a guarire il protagonista dalla sua inquietudine e dalla sua malattia interiore. I medici dunque gli consigliano di spezzare l'isolamento e di rientrare a Parigi, ed egli acconsente a malincuore, rendendosi conto che gli è impossibile sfuggire alla mediocrità della vita. Il romanzo si conclude con un'esclamazione in cui De Esseintes denuncia con sgomento la condizione dell'uomo del suo tempo, un <<forzato della vita>> destinato a procedere da solo, senza punti di riferimento, una volta abbandonate le consolanti certezze del passato. Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo L’Inghilterra: Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde Il romanzo emblematico del Decadentismo in lingua inglese è The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde. In quest'opera si realizza concretamente, attraverso un meccanismo fantastico, la separazione tra sfera estetica e sera morale dell'uomo, fino alle conseguenze più luttuose. Dorian Gray è un giovane dalla bellezza straordinaria, ancora inconsapevole della vita e di se stesso; l'aristocrati Lord Henry Wotton, colto e raffinato estimatore del lusso e dei piaceri, è molto colpito al suo aspetto e lo invita ad assaporare la vita finché la giovinezza glielo consente. Lord Henry propone a Dorian un <<nuovo edonismo>>, sostenendo l’assoluta superiorità della bellezza sulla morale. Un amico pittore, Basil Hallward, ritrae Dorian sulla tela, fissandone l'aspetto nel momento in cui la giovinezza e lo splendore sono all'apice; il ragazzo, scosso dalle parole di Lord Henry sulla fugacità della bellezza, esprime il desiderio che sia il quadro a invecchiare al posto suo: in cambio si dice disposto a dare la sua stessa anima. Mentre le opere d'arte, una volta realizzate, restano identiche nella loro perfezione e sono eternamente amate Dorian teme infatti di essere disprezzato non appena apparirà sulla sua fronte la prima ruga: ma in Dorian ormai si è radicata la convinzione che l’apparenza sia tutto. Affascinato dalla personalità e dallo stile di vita di Lord Henry, Dorian si lascia plasmare da lui; si abbandona a ogni tipo di esperienza e di passione, fino a sperimentare delitti e depravazioni che, misteriosamente, non lasciano alcuna traccia sul suo aspetto giovane e innocente, mentre il ritratto, specchio della sua anima, assume su di sé i segni del tempo e dei vizi. Infine arriva ad assassinare il pittore, per non ascoltarne i rimproveri e per evitare che il suo segreto venga alla luce; non riuscendo più a sopportare la visione delle proprie colpe, Dorian decide inoltre distruggere il quadro, ma in questo modo uccide sé stesso. I servi forzano la porta della stanza segreta in cui il loro signore si è rinchiuso: all'interno ritrovano il misterioso quadro a tutti celato da anni, e vedono a terra un uomo irriconoscibile. Il romanzo di Wilde è distante dalla letteratura naturalista perché non si propone d’aderire alla realtà, né di fornire una rappresentazione oggettiva dei fatti: recupera invece elementi gotico-romantici come il "patto diabolico", la trama articolata e ricca di colpi di scena patetici. Il desiderio di sperimentare gli abissi del male con assoluta libertà e senza conseguenze morali è anche il tema di un romanzo di Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Tuttavia la sensibilità con cui le vicende di Dorian Gray sono narrate è propria del nuovo clima decadente: i protagonisti sono esteti che ricercano sempre e comunque la bellezza e la novità. Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Gabriele d’Annunzio La vita Nella storia della letteratura italiana Gabriele d’Annunzio è uno degli autori più dibattuti e contrastati. La ragione di tanto fervore polemico è legata alla particolare natura di un’attività letteraria che appare indissociabile dalla vita dell’autore: personalità eccentrica, disinvolta, eclettica, d’Annunzio viene da molti ricordato più per le sue azioni clamorose che per le sue opere, che pure sono state un punto di riferimento essenziale per molti autori della letteratura italiana. Al di là delle immagini che lo stesso scrittore ha diffuso con calcolata abilità, si deve riconoscere a d’Annunzio un’inesauribile e acuta capacità di assimilare le tendenze letterarie e filosofiche della sua epoca per introdurle in un paese ancora provinciale e chiuso alle novità europee. Questo ruolo di mediatore fa si che ottenga largo successo presso i lettori contemporanei, l'autore ha pochi estimatori tra i letterati italiani, ad eccezione di Marinetti; sono perlopiù gli autori stranieri a dimostrare interesse per le opere del vate. Per affrontare la complessità di questo autore, occorre dunque seguire il suo avventuroso percorso biografico. Gabriele d'Annunzio nasce a Pescara nel 1863 come terzogenito di cinque figli. Il padre, proviene da una famiglia modesta ma è stato adottato da uno zio benestante. Antonio d'Annunzio, da cui ha ereditato i beni ed il cognome. Al ragazzo, primo figlio maschio, viene riservata una formazione d'eccellenza: il padre lo iscrive al reale collegio "Cicognini" di Prato, celebre per il rigore dell'insegnamento. Allievo studioso, il ragazzo eccelle in tutte le materie. Nel collegio, strutturato militarmente, distinguendosi tra l'altro per l'eleganza del contegno e dell'abbigliamento, descritto nei numerosi aneddoti che tramanda ai suoi anni trascorsi al Cicognini, d'Annunzio tende ad attribuirsi una sorta di eccezionalità da enfant prodige irrequieto e ribelle. Nella volontà di ricreare a posteriori un'immagine mitizzata di sé emergono due dei tratti fondamentali del personaggio: l'ingegno versatile e lo spiccato talento per l'autopromozione (d'Annunzio si imporrà infatti come un protagonista della vita culturale e politica italiana). Negli anni del Cicognini d'Annunzio legge voracemente i classici, gli autori del Cinquecento come Manzoni, Byron, Goethe, Milton, Darwin e soprattutto le Odi barbare di Carducci, poeta che risveglia nel giovane un'improvvisa vocazione lirica. Nel 1879, a soli sedici anni, pubblica a spese del padre Primo vere, un libretto di versi "carducciani" per la metrica e la scelta del linguaggio, che viene sequestrato in quanto troppo licenzioso e sensuale. d'Annunzio è spinto dall'ambizione di soppiantare il "maestro", assicurandosi a sua volta l'investitura a "vate nazionale". Per promuovere sé stesso e i propri libri, poco apprezzati in patria, d'Annunzio non esita a mettersi in scena fin dai suoi esordi con spregiudicato valore. Terminati gli studi liceali, nel 1881 d'Annunzio trascorre l'estate a Pescara per poi recarsi a Roma, con l'intento di inserirsi nei centri vitali della cultura italiana. Si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università “La Sapienza", ma non porterà mai a termine gli studi, preferendo intrecciare rapporti con gli intellettuali più influenti del mondo editoriale romano. Accolto con simpatia negli ambienti giornalistici, comincia a collaborare con il settimanale "Fanfulla della domenica" e con la rivista "Cronaca Bizantina". La classe borghese medio-alta di Roma trova in d'Annunzio il proprio rappresentante, la posta che sa cogliere ed esprimere i suoi ideali estetici e le sue nuove ambizioni. Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Allo scoppio della guerra, d'Annunzio si reca sul fronte francese come inviato del "Corriere della Sera". Dalle colonne del quotidiano, l'autore svolge un'intensa azione di propaganda per l'entrata in campo dell'Italia a fianco dell'Intesa. I suoi interventi sono apprezzati anche in patria. Quando il Regno d'Italia decide di scendere in guerra, d'Annunzio, che ha cinquantadue anni, sceglie di arruolarsi. Divenuto poeta-soldato, il vate narra la sua esperienza e le sue imprese belliche nei Canti della guerra latina: confluiranno nel volume postumo Asterope, che conclude il ciclo delle Laudi. Affrontare la battaglia con audacia è per d'Annunzio il naturale sbocco della disposizione a interpretare la politica in senso superomistico, eroico. Le sue più note imprese militari sono la "beffa di Buccari" (dal nome di una bala croata) del febbraio 1918, un'incursione condotta a sorpresa da tre navi italiane contro la flotta austriaca, e il volo su Vienna dell'agosto 1918, effettuato per lanciare volantini propagandistici di invito alla resa. Nel 1916 l'autore viene ferito in un incidente aereo e perde un occhio. Durante il periodo di convalescenza al buio trascorso a Venezia, inizia a redigere alcune note che convergeranno in seguito nel Notturno. Condannato a una provvisoria cecità totale, scrive su sottili strisce di carta che la figlia Renata provvede a decifrare e a ricopiare. Un anno dopo la fine del conflitto mondiale, d'Annunzio si lancia nell'impresa di Fiume, città che il trattato di Londra non aveva assegnato all'Italia ma al nascente Stato jugoslavo. Al comando di un contingente di uomini indignati per la "vittoria mutilata" e animata da un acceso nazionalismo, d'Annunzio entra a Fiume il 12 settembre 1919 senza incontrare resistenze. Reclamata la reggenza, il poeta-comandante occupa la città fino al dicembre 1920, quando viene costretto militarmente a evacuarla. L'impresa si chiude nel 1920 con la firma del trattato di Rapallo, che sancisce l'indipendenza di Fiume. Nel 1921 d'Annunzio, seguito dalla nuova amante Luisa Baccara, si rifugia in una villa a Gardone sul lago di Garda, e torna a dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Nello stesso anno dà alle stampe il Notturno, libro che segna l'ultima stagione poetica del vate ed è caratterizzato da alcune significative novità formali. Agli inizi del 1922 d'Annunzio cerca di ritagliarsi uno spazio politico autonomo in opposizione al programma del Partito fascista. i suoi rapporti con il fascismo sono complicati e a volte tesi: l'autore si mostra ideologicamente prossimo al regime, ma si sente perlopiù <<usurpato>> dalle autorità fasciste di cui spesso non condivide le azioni (non partecipa alla marcia su Roma e in seguito disapproverà l'alleanza con la Germania hitleriana). Dal canto suo Mussolini non attribuisce a d'Annunzio una funzione politica di primo piano: l'ideologia individualistica del vate, dimostrata dall'impresa di Flume, appare inconciliabile con la sicca obbedienza soluta dal regime. Le autorità fasciste, che hanno interesse ad associare alla propria causa il celebre poeta, lo relegano a un ruolo più decorativo che attivo sacralizzando la sua immagine e mantenendolo in tal modo sotto controllo. La villa sul lago di Garda, acquistata dal poeta nel 1922, viene statalizzata e diventa un mausoleo, il "Vittoriale degli Italiani". Nel 1924 d'Annunzio si vede inoltre attribuito il titolo di principe di monte Nevoso. Nel 1937, per insistenza di Mussolini, diviene presidente dell'Accademia d'Italia. Lo scrittore aveva scritto <<lo voglio morir giovine e di morte violenta>>, ma trascorre invece i suoi ultimi anni nella sontuosa villa sul Garda. La sua esistenza è ormai più "notturna" che mondana: il vate vive isolato nel suo mausoleo carico di simboli mortuari sparsi ovunque, nelle stanze, sui viali e nei sentieri. Le sue ultime opere sono anch'esse "notturne", sia perché scritte perlopiù di notte nello studio pieno di libri, sia perché gravate da un senso di stanchezza e di morte. Il poeta ormai esausto muore improvvisamente per emorragia cerebrale nel marzo del 1938, pochi giorni prima di complete settantacinque anni. Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo La poetica Sul finire del secolo d'Annunzio si dichiara profeta di un <<nuovo Rinascimento>>. Per l'autore, la modernità italiana ha il compito di misurarsi con il <<passato augusto>>, di cui è l'erede. Per raccogliere questa eredità, il poeta vuole promuovere il fecondo ricongiungimento tra l'antico e il nuovo, tra il passato eroico e artistico di Roma e un futuro che sappia liberare il presente dalla mediocrità che lo affligge. Il <<nuovo Rinascimento>> non è dunque un semplice ritorno ai tempi gloriosi dell'antichità latina, ma è indissociabile dalla nascente civiltà industriale. In quanto erede consapevole del patrimonio estetico italiano, d'Annunzio si attribuisce il compito di coniugare tra loro la tradizione nota e la modernità ignota, che è destinata ad accrescere il passato illustre di nuova Bellezza. A differenza di molti letterati suoi contemporanei che si levano contro gli effetti nefasti dell'industrializzazione, d'Annunzio accoglie la modernità e le sue potenziali bellezze, «a patto che si armonizzino con le auguste vestigia storiche». Sennonché, osserva d'Annunzio, non tutte le classi sociali si dimostrano all'altezza dell'illustre retaggio italiano: il vate lamenta lo scarso interesse per il passato nazionale della classe dirigente borghese. Il ricongiungimento ideale tra la classicità e la modernità prende forma compiuta in Maia (1903), il primo libro delle Laudi, in cui d'Annunzio trasfigura in chiave mitica un viaggio in Grecia realmente compiuto nel 1895, configurandolo come il percorso iniziatico di un eroe «ulisside» (cioè un "novello Ulisse"), che ritorna alle origini greco-latine dell'Europa alla ricerca della vitalità primigenia e di un vivere sublime, facendosi a sua volta iniziatore di una nuova arte moderna che trovi nell'arte antica il suo punto di origine. A differenza dei futuristi, i quali esaltano una modernità che nasce sulle ceneri di un passato da distruggere, per d'Annunzio la modernità è dunque debitrice dell'eredità antica e classica, da cui non può prescindere. Pur attratto dall'estetismo, dall'art pour l'art (arte per l'arte), d'Annunzio rivendica la sua libertà di non essere soltanto un poeta, ma di poter attingere ad ogni campo. Questo interesse avido e a tutto campo conduce d'Annunzio a esplorare precocemente l'universo dell'immagine, dal film alla fotografia; spinto da una sconfinata fiducia nei confronti del progresso tecnico. Uno degli aspetti più vistosi di questo allargamento degli orizzonti estetici è l'interesse che d'Annunzio rivolge a quelli che in seguito si definiranno i "beni culturali": contro il degrado artistico e ambientale, egli milita attivamente per la salvaguardia delle bellezze artistiche e naturali italiane. L'approfondita conoscenza dei beni culturali incide anche sull'elaborazione delle opere; d'Annunzio è infatti solito servirsi di guide specializzate per introdurre nei suoi scritti descrizioni dettagliate e notizie storiche delle grandi città d'Italia e dei loro scorci: monumenti, piazze, etc. La poetica di d'Annunzio segue diverse fasi, che corrispondono alle tappe di una ricerca del ruolo dell'intellettuale nella civiltà borghese moderna. La prima è quella del cosiddetto "estetismo", inteso come il culto quasi religioso dell'arte e della bellezza a cui vengono subordinati tutti gli altri valori, compresi quelli morali. A incarnare l'estetismo dannunziano è in particolare Andrea Sperelli, il protagonista del Piacere, capace di elevare la sua esistenza nella sfera di una bellezza raffinata riservata a pochi eletti dotati di squisita sensibilità; tutto ció rappresenta per d'Annunzio una forma di risarcimento dell'artista che, nella società italiana postunitaria avviata sulla strada dell'industrialismo, aveva perso i suoi privilegi e il suo antico prestigio. Tuttavia questa posizione si rivela in definitiva sterile e distruttiva perché l'esteta non ha la forza di imporsi in un mondo lacerato da conflitti brutali. Stanco degli artifici dell'estetismo, d'Annunzio si lancia in un periodo di incerte sperimentazioni. Sorgono in questo periodo alcune opere che risentono della sua appassionata lettura dei narratori russi dell'Ottocento: è la fase solitamente definita della "bontà", caratterizzata da un'esigenza di rigenerazione e di purezza (come quella espressa nei romanzi di Tolstoj), ma anche da uno studio delle passioni più buie dell'animo umano (sul modello dei ro- manzi di Dostoevskij). Appartengono a questo periodo il romanzo Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Giovanni Episcopo (1892), L'innocente (1892) e il Poema paradisiaco (1893), in cui domina il desiderio di un ritorno all'innocenza dell'infanzia. Tuttavia la fase della "bontà" è una soluzione provvisoria e di breve durata. Attraverso il mito del "superuomo" ricavato dalla lettura di Nietzsche, d'Annunzio investe di un nuovo compito la figura dell'esteta: si incarica di agire sulla realtà, imponendo il dominio di un'élite aristocratica raffinata e violenta sul mondo borghese mediocre e vile e sui suoi buoni sentimenti. Nel filosofo tedesco d'Annunzio privilegia i principi a lui più affini, come il vitalismo "dionisiaco" (Dioniso era il dio greco del vino e della vitalità della natura), la teoria del "superuomo", la libertà d'azione dell'individuo superiore al di là del bene e del male, il culto della bellezza e il rifiuto del conformismo borghese e dell'etica della pietà. In questo modo lo scrittore banalizza la complessità del nichilismo nietzschiano interpretandolo in senso prevalentemente estetico e reazionario: mentre infatti nell'opera di Nietzsche Così parlò Zarathustra il "superuomo" incarna una nuova filosofia che implica il superamento dell'umano ma non la supremazia dell'uomo sull'uomo, in d'Annunzio questa filosofia diventa azione pratica e politica, e si traduce in violenza, rifiuto del superuomo la democrazia, bellicismo e disprezzo delle masse. L'artista "superuomo" di d'Annunzio si attribuisce la missione di profeta di questo nuovo ordine rivestendo un ruolo più attivo, più politico: invitando all'azione eroica di pochi privilegiati, egli esprime una violenta carica antiborghese che si accorda con le tendenze profonde e i sogni di riscatto di una parte degli intellettuali italiani, che verrà pienamente rappresentato nelle Vergini delle rocce (1895). In seguito alla lettura di Nietzsche e ai suoi contatti con le avanguardie storiche, d'Annunzio esplora nuove dimensioni estetiche che prevedono un rapporto più diretto tra lo scrittore ed il suo pubblico. Per questa sua attenzione alle <<pressioni dello spirito pubblico>>, alla velocissima propagazione delle idee nella società industriale, d'Annunzio viene considerato da molti come un precursore della comunicazione di massa, capace di captare prima degli altri i segni della crisi di fine secolo. Tra le sue doti di mediatore culturale della società dei consumi vi è quella di inventore di nuovi nomi, motti, slogan e messaggi pubblicitari di grande successo: sue sono espressioni come "milite ignoto" e "vittoria mutilata", o l'italianizzazione di alcune parole straniere come sandwich, che diventa "tramezzino"; sua è anche la proposta di cambiare il genere di "automobile" - che per i futuristi è maschile - al femminile, perché essa, spiega, «ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice». Più che di vere e proprie invenzioni, si tratta il più delle volte di calchi tratti dal latino o da etimologie antiche, come "velivolo" (dal latino velivolus, "sospinto dalle vele"). Quanto al nome di "La Rinascente" che d'Annunzio immagina per un grande magazzino milanese, esso è il tipico esempio di una ricercata armonizzazione tra l'antico, il Rinascimento e la modernità celebrata nel trionfo degli scambi commerciali. D'Annunzio considera l'arte come una "continuazione" e un'elevazione dell'esistenza che, liberata della propria imperfezione, assume un valore sacrale. La forma d'arte più adatta a esprimere questa <<continuità vitale>> è, per d'Annunzio, il romanzo. L'autore espone i principi che dovrebbero guidare una scrittura narrativa ideale:  questa prosa deve avere la musicalità di una poesia;  deve essere capace di armonizzare la varietà della conoscenza e quella del mistero. D'Annunzio difende così un concetto di opera assoluta che si sviluppa nel segno del compositore Richard Wagner e della sua idea di «opera d'arte totale»: con l'intento di superare la separazione tra arte e vita e la rottura dei confini tra le varie arti (poesia, dramma, recitazione, danza, scenografia ecc.) chiamate a comunicare tra loro sotto la guida della musica, Wagner mirava infatti a promuovere un coinvolgimento dei Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Maia ed Elettra Il primo libro, Maia, costituito da un lungo poema di quasi novemila versi divisi in ventuno parti, si configura come un'esaltazione dionisiaca della vita (il sottotitolo è infatti Laus vitae, "Lode alla vita"). È un poema totale, il carre profetico, il carre dello slancio vitalistico, dell’ambizione panica all’esperienza totale, il carme dell’Ulissismo. Il viaggio di iniziazione nel passato mitico dell'Ellade porta l'eroe «ulisside» dal mondo classico tutto proteso alla forza e alla bellezza fino alla realtà moderna delle metropoli industriali (le «città terribili»); nonostante la loro caotica bruttezza, questi centri abitati rivelano nuove energie e straordinarie potenzialità vitali. In Maia d'Annunzio canta i «Rinascimenti anteriori» stabilendo alcune similitudini tra le città che, in epoche diverse, sono state simbolo della fioritura dello spirito umano, come Atene e Firenze. Dopo avere scoperto l'essenza della realtà moderna nelle metropoli industriali caotiche ma vitali, il poeta segue un itinerario mentale che lo porta fino a Roma, mèta ultima del viaggio. La città, continuatrice ideale delle antiche glorie mediterranee, rappresenta il terzo e nuovo Rinascimento, che dovrà ergersi a baluardo contro i «barbari», cioè i borghesi che, sacrificando la Bellezza al guadagno, rischiano di distruggere la civiltà greco-latina; il mito classico serve a riscattare l'orrore della civiltà industriale dal suo squallore e a conferirgli una nuova bellezza. Riscattato e nobilitato dal mito classico, l'orrore del presente si trasfigura allora in una nuova forma di bellezza. Mentre durante la fase dell'estetismo e quella del superuomo d'Annunzio ha opposto alla volgarità moderna il culto della bellezza e dell'eroismo del passato, ora, celebra gli aspetti più vistosi della modernità, come la forza travolgente del capitalismo, gli immensi impianti industriali, la potenza della tecnica e delle macchine, le brulicanti masse operaie. L'impetuosa vitalità moderna appare agli occhi dell'«ulisside» come un nuovo mito, un'espressione diversa ma non meno affascinante e potente del sublime che egli ha cercato attraverso l'immersione nel passato mitico. Sovrapponendo le immagini del mito e della storia classica alla modernità più aggressiva, d'Annunzio esorcizza la paura del mondo industriale che minaccia la legittimità stessa del letterato umanista; nella veste di cantore entusiasta della realtà moderna il poeta argina la minaccia e ritrova il proprio ruolo. Nel secondo libro, Elettra, l'impianto mitico lascia il posto alla propaganda politica diretta: celebrando i personaggi eroici del passato (soprattutto italiani), i grandi pensatori e le antiche città ricche di storia e di innumerevoli bellezze artistiche, il poeta mitizza la storia patria con toni di acceso nazionalismo e si investe esplicitamente del ruolo di vate del destino bellico e imperiale del paese. Celebra poeti come Dante, artisti come Verghi ed eroi come Garibaldi e celebra anche le glorie della città “del silenzio”, come Pisa o Ravenna che aspettano, appunto in silenzio, che sorga la nuova Italia. Alcyone Nell'estate del 1902, d'Annunzio si trova a Romena, nel Casentino, in compagnia di Eleonora Duse: durante quell'estate il poeta compone tutti i giorni con ispirazione e porta a termine il terzo libro delle Laudi, Alcyone, le cui prime liriche risalgono al 1899 (sono 88 in totale). Alcyone è definito il poema del sole e dell’estate: La prima lirica è La tregua , poi il libro è suddiviso in cinque sezioni separate da inni in onore di Dioniso che scandiscono le fasi dell’estate; la lirica finale, Commiato , è dedicata a Pascoli. La parola in questo testo fa musica e scompare l’enfasi retorica. Nei temi principali della raccolta, spiega lo studioso Federico Roncoroni, la linea di sviluppo è costituita dall'intenzione di «narrare una vicenda stagionale e geografica, presentata come un momento di pausa “, momento che doveva snodarsi da giugno a settembre, dalle colline di Fiesole alla Versilia. Di fatto la cronaca della parabola estiva si espande, dilatandosi fino al mese di novembre. Alcyone appare lontano dai toni celebrativi e politici dei primi due libri delle Laudi ed è percorso da una vena poetica perplessa e malinconica. L'atmosfera che vi domina è contemplativa e il tema lirico centrale è quello della metamorfosi panica, cioè della fusione dell'io lirico con la natura, con il flusso della vita universale. Proteso a conseguire l'immortalità attraverso la perdita della propria identità umana nel ritmo della natura, il poeta si identifica con le diverse presenze animali, vegetali e minerali e, trasfigurandosi, attinge a una condizione divina. Tuttavia il divino viene poi irrimediabilmente perduto: la tristezza per l'inevitabile declino dell'estate viene associata all'angoscia nata dalla perdita della dimensione mitica. Dal punto di vista ideologico Alcyone non appare del tutto esente dai motivi superomistici che dominavano nei primi due libri delle Laudi: la possibilità di accedere alla comunione con il Elisa Masella, 5^BS/D – Riassunti di italiano – Baudelaire, d’Annunzio e il decadentismo Tutto, di rivelare l'essenza misteriosa delle cose e di attingere a una vita superiore presuppone infatti una sensibilità privilegiata, più che umana. In Alcyone tuttavia questi motivi, come l'impetuosa vitalità “dionisiaca" del poeta «ulisside», vengono inseriti in un contesto mitologico segnato dal declino che attenua la loro portata ideologica. La raccolta offre, soprattutto sul piano linguistico-espressivo, alcuni dei risultati più alti della poesia dannunziana. È giudizio comune infatti che Alcyone segni il culmine della lunga ricerca poetica di d'Annunzio: gran parte della critica ha celebrato nella raccolta l'approdo a una poesia "pura", finalmente libera dall'artificio estetizzante e dalla retorica del superuomo. L'alternarsi delle fonti e dei registri le forme espressive sperimentali, l'organizzazione metrica, il raffinato tessuto analogico, fonico e melodico fanno del terzo libro delle Laudi un testo capitale del primo Novecento a cui attingeranno molti poeti successivi. Il Notturno La stesura del Notturno è frutto di una singolare tecnica compositiva: ferito all'occhio destro a causa di un infortunio avuto con il suo idrovolante nel 1916, il poeta è costretto a rimanere quasi totalmente immobile a letto, al buio, con gli occhi bendati, afflitto per qualche tempo da una totale cecità. Egli si serve di un accorgimento che gli consente di scrivere senza aiutarsi con la vista. Ad aiutarlo in questa complessa tecnica di scrittura è la figlia Renata, detta "la Sirenetta", la quale non soltanto ritaglia per lui le liste di carta ma, le decifra, pur con grandi difficoltà e le consegna all'editore che le stampa nell'autunno dello stesso anno. La prima edizione completa del volume esce nel novembre del 1921. Nelle tenebre in cui si trova, inerte, insonne, lo scrittore si concentra nell’ascolto del proprio tumulto interiore che lo trascina in un vortice di sogni, ricordi, emozioni e visioni. Non potendo contare sulla vista, tutta l’esperienza vitale passa ora attraverso gli altri sensi, condotta dai liberi movimenti della mente. Sulle pagine convergono al tempo stesso, senza ordine e con rapidi trapassi, il crudo resoconto della vita presente del malato: le sue riflessioni esistenziali o le sue confessioni, le sue percezioni uditive, tattili e olfattive, i suoi ricordi. Su tutto domina la presenza della morte. Lo scritto si configura come una sorta di cupa e frammentaria riflessione sull’oscurità reale e metaforica (<<un comentario di tenebre>>). Nell’opera emerge principalmente un d’Annunzio ormai lontano dalla tensione oratoria, più vulnerabile, più sotterraneo che solare, più sensibile al destino altrui, il poeta appare in definitiva più vicino all’uomo che al superuomo.Le circostanze pratiche della redazione condizionano il sorgere di una prosa spezzata, paratattica (preposizioni coordinate, sullo stesso piano), le immagini, isolate, procedono per libere associazioni. L’opera che inaugura l’ultima stagione della produzione dannunziana (definita appunto “notturna” dalla critica) si inserisce nella tendenza della cultura italiana del primo Novecento a superare le forme compatte del romanzo ottocentesco per avviarsi verso una prosa di memoria, lirica e frammentaria. D’Annunzio adotta nel notturno una scrittura intensa; verso questa prosa lo scrittore riesce a cogliere la totalità del reale come mai aveva fatto prima: finalmente ripone la maschera del superuomo.
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