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Simona Colarizi. Storia politica della Repubblica. 1943-2006., Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto completo del testo di Simona Colarizi.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Simona Colarizi. Storia politica della Repubblica. 1943-2006. e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 1. LA TRANSIZIONE DAL FASCISMO ALLA DEMOCRAZIA 1943-1948 1° Tappa 1943-1945 La prima tappa, dal 43 al 45, si compie a conflitto ancora in corso e mentre il territorio italiano è diventato campo di battaglia tra eserciti stranieri e teatro di una guerra civile. La nazione è scomparsa: al sud ci sono gli alleati, al nord i tedeschi. La resa del 43 segna una continuità con il regime fascista e con il regno sabaudo. Contro il re si schierano l’R.S.I. e i partiti antifascisti, che si sono organizzati nel Cnl e che non perdonano a Vittorio Emanuele III la fuga da Roma al momento della firma dell’armistizio. L’R.S.I. non è riconosciuta né dal re né dagli antifascisti i quali si mobilitano a dichiarare guerra. L’obiettivo è di ricostruire l’edificio istituzionale e politico. La questione è definire quale forma di stato e quale sistema politico dare all’Italia. Inizia qui la parabola dei partiti che saranno protagonisti della storia repubblicana. Re, antifascisti e fascisti devono rassegnarsi a essere dei comprimari degli eserciti stranieri, è da loro che passa la via alla legittimazione. Sconfitta la Germania, l’Italia passa sotto l’influenza di Gran Bretagna e USA dai quali dovrebbe mutuare il modello politico e istituzionale e cioè trasformarsi in una moderna democrazia. 2° Tappa 1945-1948 La seconda tappa va grosso modo dall’aprile del 45 e l’aprile del 48, tre anni durante i quali si risolve la questione della forma di stato attraverso il referendum che sarà a favore della Repubblica. Si hanno le elezioni per l’Assemblea costituente che dovrà redigere la costituzione italiana. Si formano i governi di unità nazionale con il compito di pacificare il paese e iniziare la ricostruzione. L’intesa fra DC-PSI-PCI si spezzerà già nel 47, in coincidenza con la rottura internazionale delle alleanze contro il nazismo (rottura alleanza USA-URSS). La guerra fredda tra USA e URSS si ripercuote sull’Europa, spezzando le coalizioni antifasciste. Nel 47 l’Italia non è ancora arrivata all’ultimo atto di fondazione che va datato ufficialmente l’1 gennaio 48, quando viene approvata la Costituzione e si indicono elezioni per il primo Parlamento della Repubblica. Solo dopo le elezioni si può considerare chiusa la fase della transizione. Le forze antifasciste troveranno la loro identità in dei veri e proprio partiti con dei propri programmi e valori che i cittadini dovranno votare. 1.1: La prima fase di transizione 43-45 Il crollo del fascismo, i 45 giorni, l’8 settembre 1943: con lo sbarco degli alleati in Sicilia, il colpo di stato del re e il crollo del fascismo, si riaprono le porte delle carceri e gli antifascisti ritornano in scena dal loro esilio. In questa fase il confronto politico assume il volto della guerra civile. L’arresto di Mussolini nel 43 non chiude definitivamente i giochi al fascismo, nonostante il Pnf si disgrega inaspettatamente. Vittorio Emanuele III cerca di conservare il patrimonio di ordine sociale e di repressioni di libertà civili e politiche lasciato dal fascismo. Impossibile, dato che il nuovo esecutivo retto da Badoglio dovrà aprire un dialogo con i partiti antifascisti. Le masse sono ormai entusiaste della disgregazione della macchina di repressione fascista e associano erroneamente tutto ciò alla fine del conflitto, acclamando il sovrano. La popolarità di Vittorio Emanuele III declina precipitosamente quando annuncerà che la guerra prosegue con i tedeschi. Le conseguenze furono un aumento delle diffidenze da parte degli alleati con i quali sta trattando per un armistizio, e lasciare campo libero ai tedeschi che occupano precipitosamente la penisola. L’8 settembre 43 viene firmato l’armistizio, l’esercito italiano è allo sbando e Vittorio Emanuele III e tutto il suo Stato Maggiore si ripara nelle retrovie alleate a Brindisi. L’avanzata dell’esercito tedesco apre le prigioni a Mussolini, che verrà immediatamente incaricato da Hitler di ricostruire un stato fascista con capitale a Salò. La patria è morta: privo di legittimità l’R.S.I. di Mussolini come il Re a sud. Si affaccerà un terzo potere a rivendicare il ruolo legittimo di guida del popolo italiano; il comitato delle opposizioni antifasciste si trasforma in Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). I partiti del CNL: resi per vent’anni invisibili agli occhi degli italiani, i partiti antifascisti sono entità del tutto sconosciute alle generazioni maturate durante la dittatura. I valori della democrazia e della libertà sono per lo più estranei partito, ma faticavano a trovare compattezza all’interno del partito, tra chi decideva di fiancheggiare il regime e chi di compiere il salto nell’antifascismo. I liberali si erano dissolti con lo stato liberale prefascista, di cui sono stati tra i maggiori responsabili, sottovalutando la natura eversiva dei fascisti. Una scelta che avrà ripercussioni nel dopoguerra dove saranno la minoranza rispetto ai partiti marxisti e cattolici. La continuità con il passato però è la loro unica carta perché il nuovo che comincia ad avanzare con la liberazione mano a mano delle regioni italiane spaventa molto cittadini rimasti privi di punti di riferimento. Democrazia del lavoro: guidato da Ivanoe Bonomi, anche questo partito si richiama al passato, dato che Bonomi fu Presidente del consiglio nel 21. Anche questo partito però avrà vita breve nonostante sia proprio Bonomi a guidare il primo esecutivo antifascista (esapartito Dc, Psiup, Pci, Pda, Pli, Ddl). Il Movimento dell’Uomo qualunque: nell’Italia meridionale, dove si vive già una vita politica libera, l’antifascismo non ha radici solide come al nord. La propaganda fascista ha lasciato il segno, anche se in superficie, e in una cultura dove la democrazia è mancante non è facile tale transizione. Dalla sfiducia verso la partitocrazia nasce nel 44 il Movimento dell’uomo qualunque fondato da Guglielmo Giannini. Dallo slogan “si stava meglio quando si stava peggio” emerge la nostalgia per l’ordine e la stabilità portata dal vecchio regime. Tant’è vero che i fascisti utilizzeranno il movimento per rientrare in politica sotto un’altra etichetta. La liberazione del Nord: iniziata in sordina, la guerra partigiana si è sviluppata incontenibile con l’avanzata del fronte di guerra a nord di Roma. I partigiani hanno progressivamente ampliato le loro file, trasformandosi in brigate sempre più numerose; la loro sopravvivenza dipende sempre di più dalla complicità dei civili che abitano sui monti e nelle valli dove sono i depositi di armi e rifugi improvvisati, che le truppe di occupazione fanno pagare a caro prezzo, come dimostrano le rappresaglie e le stragi naziste. All’odio anti-tedesco e allo scarso consenso per il rinato fascismo, si contrappone quindi la simpatia per i partigiani, anche se i resistenti che chiedono altro sangue e sacrifici non suscitano un generale entusiasmo negli italiani del Nord, rimasti sotto il giogo nazifascista fino al 1945, stanchi, affamati e sofferenti. L’attentato di via Rasella a Roma, seguito dalla rappresaglia tedesca alle Fosse Ardeatine seminano sgomento e rafforzano la posizione della Chiesa che indica ai fedeli la via dell’attesa. Nell’autunno del 44 l’attendismo sembra contagiare anche i partigiani, non è facile trattenere gli uomini con un altro inverno alle porte e se si considera che l’invito a sciogliere le file viene direttamente dal comando inglese dove prevale la paura per la crescita delle formazioni comuniste. La querelle tra alleati e partiti antifascisti si risolve con un accordo in base al quale il Cnl si impegna a disarmare i partigiani e a trasferire i poteri nella mani del comando anglo-americano. Pacificare il paese è un compito urgente: l’unità dell’antifascismo rappresenta un bene prezioso per i comunisti ma anche per il loro avversari politici. L’esperienza dolorosa del passato fa prevalere nei partiti antifascisti ragionevolezza e prudenza, due doti necessarie perché la transizione possa continuare con successo. 1.2: La seconda fase di transizione 1945-1947 Referendum monarchia-repubblica e le elezioni per l’assemblea costituente: De Gasperi sa bene che la maggioranza della borghesia media e piccola, urbana e rurale e ampie fasce contadine, si preparano a votare per il re al referendum. Nonostante ciò lascerà libertà di coscienza agli elettori, e si rivelerà una mossa vincente ai danni del sovrano, che verrà sconfitto di misura al referendum. Punta a costruire un sistema democratico forte e moderno e per farlo dovrà liquidare il Re, che potrebbe mettere a rischio l’istituzione democratica favorendo una svolta autoritaria. Meno preoccupante è la chiamata alle urne per eleggere l’assemblea costituente; due sono le incognite: l’affluenza alle urne e il voto delle donne. Per la prima i timori si fondano su un possibile disimpegno della popolazione provocato dalla lunga parentesi del ventennio fascista. Per il suffragio ottenuto con notevole ritardo dalle italiane, pesa su di loro una pregiudiziale in base alla quale non sarebbero in grado di esprimere un voto libero dai condizionamenti familiari e clericali. La Repubblica dei partiti: dai risultati delle elezioni la Dc non può sottovalutare il peso del Psiup e del Pci. Non è possibile insidiare un esecutivo rappresentante di una sola parte della nazione nel redigere la Costituzione. Su ciò concordano tutti i partiti, impegnati a mediare con gli altri per raggiungere il fine. Alla guida della nazione viene eletto provvisoriamente Enrico De Nicola. Si arriva così alla formazione di un governo tripartito Dc, Psiup, Pci con a capo De Gasperi e appoggiato anche dai repubblicani e frutto di un compromesso tra i partiti, portatori dei valori del cattolicesimo, del socialismo e del liberalismo. Vengono eliminati così tutti i possibili ostacoli alla redazione della Carta costituzionale, il primo “contratto sociale” stipulato dai cittadini italiani, che non avevano mai avuto l’opportunità di pronunciarsi sui fondamenti della vita civile nazionale.. Il Governo tripartito (Dc, Psiup, Pci): al congresso di Parigi, l’Italia occupa la posizione di nazione sconfitta, e tale congresso è uno scoglio che nessun partito vuole affrontare da solo, col pericolo di addossarsi tutte le colpe. La perdita delle colonie africane, dell’Istria e della Dalmazia costituisce una ferita per molti italiani martellati dalla propaganda fascista. Trieste sarà oggetto di rivendicazioni da parte della Jugoslavia di Tito, Togliatti concorderà con De Gasperi di chiudere al più presto la questione, ricordando quanto fosse stata significativa nel 19 la questione della “vittoria mutilata”. Verrà divisa in Zona A sotto l’amministrazione alleate e Zona B sotto amministrazione jugoslava. La posizione della Santa Sede rafforza nella Dc le correnti di destra. Ma Papa Pio XII è disposto a prolungare la vita del tripartito in attesa dell’esito dell’assemblea costituente. Esisto nelle mani di Togliatti che darà il suo appoggio nello stilare l’art. 7 riguardante il Concordato. Ciò dà la misura di quanto sia importante per i comunisti rimanere attaccati al sistema politico da dove ricavare quella legittimazione vitale per la loro esistenza. Il neofascismo e la nascita del Movimento sociale italiano (MSI): le spoglie del movimento qualunquista non confluiscono solo nella Dc, insieme ai camerati di Salò fondano nel 47 il Movimento Sociale Italiano (Msi). Questa nuova organizzazione politica fa esplicito riferimento all’ideologia fascista, con a capo Giorgio Almirante, ex militante nell’R.S.I. In teoria all’Msi andrebbe applicato il divieto costituzionale, in pratica invece diventa parte integrante del sistema politico ed è destinato a giocare un ruolo non indifferente durante la repubblica. La spaccatura tra comunisti e anticomunisti offre alla Dc un alibi solido per respingere la richiesta di mettere fuori legge l’Msi. Se si procede contro i missini si dovrebbe dare ascolto anche alle tante voci che chiedono la messa fuori legge del Pci. Togliatti lo sa bene e per questo sceglierà di non affondare troppo il coltello nella questione. La motivazione della Dc però è un’altra: la polarizzazione comunisti- anticomunisti è sinonimo di divisione destra-sinistra, sinonimo non gradito dai cattolici che sostengono che un’identificazione con la destra potrebbe avere conseguenze negative per la sua collocazione nel sistema politico. I cattolici puntano a inserire il sistema politico in una griglia tripolare per ricavarsi lo spazio politico centrale da dove esercitare il ruolo di forza equilibratrice dell’intero quadro. 2. GLI ANNI DEL CENTRISMO 1948 – 1960 La collocazione al centro del sistema che la Dc attribuisce a se e ai suoi alleati non altera il disegno bipolare di fondo. Uno spazio dove si affolla un gran numero di partiti. La formula del pluralismo polarizzato, integrata dalla tesi che individua nelle dinamiche interne ai due poli un movimento centripeto, cioè la corsa nei partiti a creare una zona centrale dove esercitare il potere con il massimo consenso. Il polo di destra è diviso in: Sinistra: Psli, Centro: Dc, Pri, Destra: Msi, Monarchici, Pli. Il polo di sinistra è diviso in: Sinistra: Pci, Centro: Psi, Destra: Psli. Il centro è l’area di governo, invece nei sistemi USA e di Gran Bretagna si alternano destra e sinistra. Con il bipartitismo imperfetto si evidenzia quell’impossibilità di attivare il meccanismo dell’alternanza maggioranza- opposizione che immobilizzerà il quadro politico italiano. Rimangono due divisioni: quella della guerra fredda e quella tra democrazia e dittatura risolta con la mutazione dell’Msi in An tra il 92 e 94. A favore dell’alleanza con gli USA si schierano tutti i partiti tranne il Pci e il Psi (e in un primo momento l’Msi). Solo i neofascisti dichiareranno di puntare esplicitamente alla dittatura; i comunisti, malgrado il loro legame con Mosca, rimarranno leali alla repubblica. Le forze politiche atlantiche e filo-atlantiche stabiliranno una sorta di conventio ad excludendum, che vieta l’ingresso all’area di governo ai partiti filosovietici. Neanche l’Msi potrà perché si temono manovre per destabilizzare le istituzioni democratiche. Tale veto caratterizza un’altra peculiarità del sistema italiano; l’area della rappresentanza non coinciderà mai con l’area dei partiti legittimati a governare. 2.1 La I Legislatura 1948-1953 La frattura internazionale: all’inizio della I legislatura (1948-1953), il periodo di incomunicabilità tra i protagonisti della vita politica italiana, pesa soprattutto la situazione internazionale, dal momento che la guerra fredda appena dichiarata sembra la vigilia del terzo conflitto mondiale. Il Piano Marshall operante in tutti i paesi occidentali, è una spina al cuore dell’URSS, che vede negli aiuti americani uno strumento di guerra e, sentendosi aggredita, reagisce con il blocco via terra da Berlino, che gli americani riforniscono però con un ponte aereo. Per mesi il mondo intero resta col fiato sospeso in attesa di un’esplosione che non si verifica, perché cede prima Mosca, consapevole della sua inferiorità negli armamenti. Gli effetti devastanti della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki sono ancora vivo ricordo in tutti. I partiti dell’opposizione di sinistra Psi: in casa socialista, si consuma la pensate delusione della sconfitta del Fdp. Le tensioni interne portano alle dimissioni di Nenni e gli succederà Alberto Jacometti. Si rimprovera Nenni il suo eccessivo appiattimento sulla linea del Pci, che è costato l’espulsione del Psi dall’internazionale socialista. Invertire la rotta senza avere la sponda della destra di Saragat appare impossibile per i nuovi dirigenti che rimangono al potere per un solo anno. Ritornerà Nenni che riadatterà la sua vecchia strategia; la frattura internazionale per lui rende evidente che la ricerca di altre strade altro non vuol dire che aderire al blocco filoamericano, come hanno i socialdemocratici di Saragat. Malgrado la sua dichiarazione di neutralità rispetto ai due blocchi mondiali, Nenni non nasconde la sua ammirazione per l’Urss dai quali indirettamente riceve appoggio finanziario. Il legame con i comunisti appanna la loro identità; solo a partire dagli anni 50 il legame fra Psi e Pci si incomincia a indebolire. Pci: la delusione in casa comunista non si traduce in nessuna protesta interna, ma il malumore c’è e si manifesta quando nel 48 si attua un attentato nei confronti di Togliatti. L’amarezza e la delusione esplodono in una serie di manifestazioni di piazza. La forza pubblica già sta provvedendo a soffocare i fuochi insurrezionali; non si hanno dubbi di un probabile esito negativo in caso di rivoluzione. I dirigenti che sostituiscono Togliatti, si faranno interpreti del suo pensiero ordinando la smobilitazione, evitando conseguenze disastrose per il partito. Ma non riusciranno a evitare tre conseguenze: la rottura dell’unita sindacale; l’alibi fornito alle forze reazionarie che chiedono a gran voce di mettere fuori legge il partito comunista; e la criminalizzazione del mondo del lavoro. Il Pci però ingaggerà un’altra battaglia, più difficile da controbattere perché la polizia non può intervenire con la repressione contro i “partigiani della pace”. Tale mobilitazione avrà successo a causa della paura dilagante in Europa di un altro devastante conflitto. Sono gli USA a minacciare guerra, mentre l’URSS invoca la pace a nome del proletariato mondiale. I partiti della coalizione di governo Msi: i missini dispongono di una base di massa più diffusa dei monarchici. La riforma agraria incide solo parzialmente al loro aumento dei voti. Le radici missine sono composte da settori del sottoproletariato e da una sottoborghesia, una massa di persone senza riferimenti politici e difficilmente aggregabili nella sinistra. Il partito neofascista li accoglie con un duplice volto; uno legalitario e l’altro extraparlamentare. Il neofascismo movimentista da voce alla loro ribellione e li organizza convincendoli con un messaggio sovversivo dell’ordine costituito. L’altra faccia dell’Msi, quella entrata in parlamento, si rivolge a quei nostalgici dell’ordine stabilito dal vecchio regime, che adesso è continuamente in agitazione. La legge truffa e le elezioni politiche del 1953: elaborata da De Gasperi consapevole del probabile calo dei consensi dei partiti di governo alle urne del 53. Tale legge ricompensa con dei seggi aggiuntivi quel partito o cartello di partiti che raggiungerà il 50%+1 dei consensi. Immediate le polemiche dei partiti di opposizione che rivendicano le somiglianze di questa legge con la legge Acerbo varata in tempo fascista. Tali polemiche saranno decisive perché la coalizione centrista per una manciata di voti non riesce a raggiungere la soglia necessaria per attivare il premio di maggioranza. 2.2 La II Legislatura (1953-1958) La distensione internazionale e la ricerca di un’alternativa al centrismo: il terremoto elettorale avvenuto nei voti della Dc trova spiegazione nel venir meno del “voto utile” tanto efficace nelle elezioni del 48. Cala la tensione estrema degli anni precedenti e i cittadini si sentono più liberi di esprimere le loro idee politiche. Tale clima riflette la distensione che avviene in campo internazionale dove la morte di Stalin e la fine della guerra di Corea (1953) contribuiscono a riaprire il dialogo fra le due potenze. Si concluderà inoltre la vicenda di Trieste che ritorna interamente all’Italia; ma gran parte del territorio giuliano e l’Istria rimangono alla Jugoslavia. Ogni rivendicazione da parte dell’Italia sarà inutile perché gli USA non vogliono inimicarsi Tito che ha appena rotto con L’URSS. I partiti dell’opposizione di sinistra Psi: a proporsi come candidato a cooperare con l’area di governo è il Psi di Nenni che ha fatto il suo primo passo verso l’autonomia rompendo il Fdp con il Pci alle elezioni del ’53. Il clima di distensione contribuisce un’apertura di Nenni al patto atlantico solo in termini “difensivi e geograficamente limitati”. La destalinizzazione che avviene nel 56 induce Nenni a rompere il patto d’azione con il Pci e a riaprire il dialogo con il Psdi di Saragat. Altra sponda interessata verrà dalla sinistra democristiana che li aiuterà ad aggirare la conventio ad excludendum che li relegava in una improduttiva opposizione. L’obiettivo è quello di acquistare piena legittimazione per reinserirsi nell’area di governo. Procederanno dunque i dialoghi con Dc e Psdi per accordarsi su una piattaforma di riforme sociali ed economiche che spianino la strada a una piena cittadinanza delle classi subalterne. Le correnti democristiane di sinistra premono in questa direzione, e diverrà più concreta con la morte di De Gasperi nel 54 a cui succederà alla segreteria Amintore Fanfani, uno degli esponenti di spicco della sinistra democristiana. Pci: in un primo momento Togliatti guarda con favore al dialogo tra Psi e sinistra cattolica; un dialogo che per il Pci è impossibile avviare. La tempesta della destalinizzazione investe il partito comunista quando Kruscev diffonde il rapporto segreto dei crimini di Stalin, che provocano un’ondata di proteste in tutti i paesi dell’est. Il Pci si trova a dover sconfessare il mito di Stalin e a difendere la repressione ordinata da Kruscev contro gli insorti in Ungheria. Ma ciò non eviterà l’abbandono di una pattuglia di intellettuali comunisti dal Pci. Il Pci sbarrerà la strada al percorso di autonomia del Psi con i dirigenti della sinistra socialista che ha legato a se negli anni del frontismo, i cosiddetti “carristi”. I partiti della coalizione di governo Dc: il nuovo leader orienta il governo verso un dirigismo in materia economica funzionale a un più marcato intervento pubblico nei settori sociali deboli. I primi passi sono l’istituzione del ministero delle Partecipazioni statali, il rilancio dell’Iri e dell’Agip, quest’ultima affidata a Enrico Mattei, un manager moderno. Tale politica prelude un futuro coinvolgimento del Psi nell’esecutivo. Il dialogo tra democristiani e socialisti si cementa proprio sul terreno dell’intervento pubblico che il Psi interpreta come un preludio a una politica di nazionalizzazioni ideale al suo programma. Fanfani però sarà molto attento a non allarmare le destra democristiana ne gli alleati liberali che però non riescono a rassicurarsi scatenando continue crisi di governo. Si crea così un asse tra liberali e destra cattolica e un altro tra missini e monarchici, quest’ultimi pronti a soccorrere con i loro voti gli esecutivi traballanti. Una struttura organizzativa forte è stata sempre considerata superflua dalla Dc che lascia alla Chiesa il reclutamento delle masse cattoliche. Il leader democristiano si propone di aggirare questo handicap nominando nei settori pubblici dell’economia dirigenti fedeli alla segreteria di partito e meno influenzabili dalla Santa Sede (come ad esempio Mattei). Psdi: lo sconfortante calo elettorale del 53 allarma anche il Psdi, dove la sinistra interna preme per il dialogo con il Psi dove sono confluiti i voti in fuga dal Psdi. In realtà ricompattare le due anime socialiste non è semplice,Saragat non si fida di Nenni e non crede alla democraticità del Psi dove convivono ancora le correnti comuniste. Inoltre un ingresso nell’esecutivo dei socialisti rischia di far passare in secondo piano i socialdemocratici scalzandoli dalle posizioni di potere acquisite. Pri: il dirigismo di Fanfani compiace La Malfa, che ha sempre criticato la politica economica di De Gasperi. Per quanto riguarda l’apertura a sinistra le voci sono dissonanti. Randolfo Pacciardi ritiene necessario mantenere in piedi l’esecutivo centrista; Ugo La Malfa ritiene necessaria aprire l’area di governo ad altri interlocutori. Tale duello non avrà buoni riscontri nelle prossime elezioni. Pli: l’apertura a sinistra segna l’allontanamento progressivo dei liberali dai democristiani. Verranno attratti dal dinamismo di Msi e Pnm, ma i liberali subiranno una scissione interna dove si staccheranno un gruppo di intellettuali liberali contrari all’alleanza con la Dc e al dirigismo fanfaniano perché apre il varco all’occupazione dello Stato da parte del partito cattolico; tali dissidenti fonderanno nel ’55 il Partito Radicale. La defezione dei radicali non preoccupa il nuovo segretario Giovanni Malagodi che imprime un volto nuovo e moderno al partito, bloccando il dialogo della destra liberale con democristiana. Tale governo è stato designato solo per fare da ponte all’esecutivo di centrosinistra che si verrà a formare, il che farebbe pensare che la discussione tra destra e sinistra democristiana si sia risolta a favore dei secondi. Ma la questione è ancora aperta, tanto basta ai missini per reinserirsi nei giochi offrendo i suoi voti all’esecutivo traballante di Tambroni. Si dimetterà ma le sue dimissioni verranno respinte dal capo dello stato che lo incarica di ritornare alle Camere. Tambroni consapevole dei consensi che gli mancano in parlamento, cerca tali consensi direttamente nel paese con provvedimenti popolari (calo del prezzo della benzina), palesando la sua intenzione di durare nonostante la dura campagna orchestrata da socialisti comunisti e sinistra democristiana contro di lui. I toni si faranno più accesi quando consentirà all’Msi di celebrare il suo congresso a Genova; concessione che appare una beffa perché la città ligure si distinse nelle lotte antifasciste. Al dilagare delle manifestazioni antifasciste in Italia, il governo risponde con la repressione, è un errore per Tambroni. L’indignazione del paese e il violento confronto in parlamento condannano il governo e segnano anche la fine del centrismo. 3. GLI ANNI DEL CENTROSINISTRA 1960-1970 Nel 1960 l’ingresso del Psi nella maggioranza è agevolato da due avvenimenti internazionali di grande impatto nell’opinione pubblica italiana: a) L’ascesa di Giovanni XXIII che si dimostra più aperto ai processi di modernizzazione e si rivolge a tutti i diseredati della terra e “tutti gli uomini di buona volontà” a prescindere dal loro credo. Questo viene interpretato come un’apertura ai socialisti. b) L’insediamento del democratico Kennedy nella Casa Bianca destinato a incardinare miti di libertà, diritti e progresso; nonostante non venga meno il suo impegno contro i sovietici, viene valutata positivamente una legittimazione dei socialisti italiani perché contribuisce a isolare e indebolire il Pci. Non so dello stesso parere le forze della destra italiana, comprese le correnti democristiane, sorde agli appelli di riconciliazione di Fanfani che si prepara a formare nel 1962 un nuovo governo (tripartito Dc, Pri, Psdi) con l’appoggio esterno del Psi. Uno spostamento così vistoso a sinistra richiede una compensazione che rassicuri i cattolici conservatori, secondo un metodo di governo che serva a bilanciare le diverse anime democristiane: l’elezione a Presidente della Repubblica di Antonio Segni acquista questo significato e contribuisce a mantenere unita la Dc. 3.1 I primi passi della IV Legislatura 1963-1968 Il verdetto delle urne è assai atteso da tutte le forze politiche perché il paese è chiamato a pronunciarsi sulla svolta politica in atto: diventa quasi un referendum di approvazione o negazione del centrosinistra. Il Pci, unico partito dell’opposizione di sinistra: L’ondata migratoria al nord del sottoproletariato del sud, che si convertirà in classe operaia, fornisce nuovi voti al Pci che, rimasto isolato, anziché perdere voti, ne guadagna. Togliatti sceglierà di seguire due binari: dialogare in parlamento con il governo di centrosinistra e una politica dura sulle piazze. Ma la rivoluzione appare ormai impossibile, data la fossilizzazione del panorama internazionale (USA-URSS). Vengono quindi rispolverate parole come “Via italiana al socialismo”, “democrazia progressiva” utili al Pci per guadagnare l’entrata nella Repubblica. Approfitterà del battibecco tra URSS e Cina (non schierandosi con i cinesi) per ripercorrere una strada di reinserimento dei comunisti nella politica italiana. Su quale strategia intraprendere, i vertici del partito sono divisi: Pietro Ingrao sostiene che sia necessario rimanere all’opposizione per interpretare i cambiamenti del paese; Giorgio Amendola sostiene invece una strategia di ingresso al governo cominciando con il recupero del rapporto con il Psi. Togliatti fino alla sua morte terrà in equilibrio queste due correnti, funzionali ai suoi due binari. L’ingresso nel governo del Psi: il risultato alle elezioni si traduce in una sconfitta per il Psi. La decisione di entrare al governo e di rinnegare il legame con il Pci e Mosca si traduce in un’altra pesante scissione per il Psi. Sarà proprio Mosca ad appoggiare gli scissionisti, i quali formeranno il Psiup, che ha solo il vantaggio molto relativo di rompere l’isolamento a sinistra del Pci; relativo perché si dimostrerà un insidia per il Pci in quanto il Psiup costituisce un’alternativa ai comunisti. È un colpo duro per il Psi che si vede così ridotto il suo potere contrattuale agli occhi della Dc. I partiti della coalizione di governo Dc: il crollo dei voti alle elezioni è dovuto allo spostamento dei voti della destra democristiana (sfavorevole al centrosinistra) al Pli che infatti passerà all’opposizione. Ma nonostante ciò il governo di centrosinistra prosegue sempre per il motivo di coinvolgere negli esecutivi un partito portatore dei consensi delle nuove classi sociali create dai mutamenti. Psdi: la crescita del Psdi è traducibile in un gradimento degli elettori per una politica delineata a sinistra ma sempre moderata. Sembra ci sia chiarezza ora nel panorama politico italiano, “democratici con i democratici” “comunisti con i comunisti”; sembra così realizzabile il progetto di unità socialista per costruire il grande partito socialdemocratico del futuro. Pri: La Malfa, uscito vincente dallo scontro con Pacciardi, resta convinto quindi che bisogna continuare sul binario di una modernizzazione e pianificazione dell’economia. La Malfa vuole rappresentare il mondo finanziario e industriale che punta alla modernizzazione. I partiti dell’opposizione di destra Pli: il passaggio all’opposizione del Pli viene premiato in ampia misura alle elezioni. Contribuisce la campagna antigovernativa degli industriali elettrici espropriati che sollevano preoccupazioni per la futura statalizzazione dell’economia italiana che potrebbe spostare l’Italia sotto l’influenza dell’Urss. Msi: la vicenda Tambroni appare come un boomerang per i missini per si ritrovano ancora più relegati nella conventio ad excludendum. Ad indebolire i passa necessariamente da un allentamento di questo legame che subisce un primo strappo ufficiale con la primavera di Praga (1968), quando i sovietici reprimono con i carri armati la protesta. La presa di distanze dall’URSS si accompagna anche alle prime aperture sulla questione dell’integrazione europea, processo sempre rifiutato in passato, perché per l’Unione sovietica rappresentava un’arma della guerra fredda costruita dagli Stati Uniti per strangolare l’economia sovietica. In questo momento il Pci cerca di offrire di sé l’immagine di partito di opposizione intransigente per compiacere gli umori dei settori più radicali, ma la realtà è che la scelta riformatrice dei comunisti appare ormai irreversibile. I partiti della coalizione di governo Psi e Psdi: la scissione del Psiup dal Psi rende ora più che mai necessaria l’unità socialista, costituisce l’unica possibilità di riacquistare potere contrattuale agli occhi della Dc che ha sempre giovato della divisione dei suoi alleati. (Divide et impera). La salita alla presidenza della repubblica di Saragat apre la strada per un ricongiungimento delle forze socialiste. Ma Psi e Psdi sembrano confrontarsi solo in termini di potere da spartire; i 20 anni al governo del Psdi lo hanno trasformato in un partito del ceto medio con caratteristiche clientelari. La sua capacità di attrazione sta nella sua permanenza nei ministeri e nel sottogoverno da dove può erogare favori e benefici. Un’unione appare improbabile ma prevarrà la ragione politica, si presenteranno alle elezioni come Psu (Partito Socialista Unitario), ma si presenteranno divisi e frammentati e non si faranno illusioni di un loro successo alle elezioni. Dc: passata la tempesta dell’estate del 64, il governo Moro si trova ad affrontare il nodo della Presidenza della Repubblica, rivendicata da Nenni che pretende l’elezione di Saragat nell’elezione del presidente della repubblica Saragat a compenso del passo indietro sulle riforme. Una richiesta sgradita alla Dc, che impegnata a rassicurare la destra in fuga dalle liste dello scudo crociato, trova un alleato proprio nel Pci, decisamente ostile alla candidatura del leader socialdemocratico. Inizia in questo periodo quel dialogo della Dc con il Pci che sarà codificato come “strategia dell’attenzione” nella V Legislatura, preludio a quello che sarà il compromesso storico negli anni 70. I fermenti sociali e politici in atto nel paese e che si stanno scaricando contro l’intera classe politica vanno controllati, indirizzati nei canali parlamentari e svuotati di quella carica sovversiva che può essere l’alibi della destra autoritaria; e questo solo il Pci può farlo Pri: la scelta del Pri di continuare sulla strada dei governi di centrosinistra provoca una scissione interna. Pacciardi ha chiesto invano il ritorno al centrismo, rifiutato da La Malfa e verrà espulso dal partito a causa del suo voto contrario alla fiducia del governo Moro. I partiti dell’opposizione di destra Pli: il grande successo alle elezioni del ’63 dei liberali si tramuta in un fallimento perché non riusciranno ne ad accrescere i loro voti ne a mantenerli. La Dc si darà molto da fare per recuperare i consensi perduti e verrà facilitata dall’isolamento del Pli. Il loro 7% infatti si rivela nullo se non si progetta un appoggio con altre forze politiche. Msi: la conventio ad excludendum strozza i missini impedendogli di attuare un’eventuale alleanza con il Pli. L’ala dura e violenta si allontana dal Msi polemizzando la gestione parlamentarista di Michelini. I monarchici (Pdium): anche in questa IV Legislatura continua il declino dei monarchici, che invano rilanciano il progetto di aggregare i partiti della destra in un unico fronte. 3.4 Le elezioni politiche del 1968 e V Legislatura La crisi di identità dei socialisti: come si immaginava, il Psu subisce una clamorosa sconfitta nelle elezione del ’68. La crescita del Psiup e del Pci dimezza l’elettorato del Psi. La somma dei voti del Psu è tutto a vantaggio dei Socialdemocratici. Il Psdi si convincerà di mettere un freno alla crescita delle sinistre e finirà per rimpiangere il centrismo. Si ha l’esigenza dunque di ricostruire un argine anticomunista, che è proprio il contrario di ciò che avverrà in futuro. Il Psi non ha intenzione di abbandonare il governo, ma la strategia di Nenni ha fallito su tutti i fronti: non ha strappato voti al Pci, non ha costruito un grande partito socialdemocratico e non ha ridisegnato il sistema politico su tre poli. Nenni infatti lascerà la segreteria di partito. Sono due elementi quelli che porteranno a estremizzarsi sempre di più i gruppi di estrema sinistra fino a diventare gruppi terroristici: la convizione di un imminente colpo di stato organizzato dalla destra extralegale appoggiato dalla Cia e dalla destra legale (fanno riferimento al golpe dei colonnelli in grecia); altro motivo è il fallimento della via legalitaria. La sfida al PCI dell’estrema destra: l’offerta di pace di De Martino non potrebbe venire in un momento più opportuno per il Pci, che sta affrontando la sfida più difficile della sua storia. Una sfida che viene proprio dal suo interno, di quella parte ormai in cammino per la costruzione del partito rivoluzionario. I gruppi extraparlamentari rappresentano fasce marginali della società, ma il ruolo che sono destinate a giocare negli anni 80 porterà a conseguenze dure e sanguinose per l’Italia. Sono due gli elementi che portano all’estremizzazione di questi gruppi, dai quali si staccheranno i nuclei terroristi delle Br, Prima Linea e Comunisti combattenti: prima di tutto la convinzione di un imminente colpo di stato organizzato dalla destra extralegale appoggiato dagli USA e dalla Cia; a rafforzare questa convinzione interviene la strage di piazza Fontana a Milano nel 1969, sulla quale si proietta l’ombra dei servizi segreti, di cui si sospetta puntino alla strategia della tensione, cioè creare un clima di paura nei cittadini da convincerli che solo un governo autoritario possa riportare l’ordine. Il secondo fattore che porta all’uso della violenza come strumento politico sta nel fallimento degli obiettivi legalitari, cioè la conversione dei gruppetti in un vero e proprio partito rivoluzionario che occupi lo spazio a sinistra lasciato libero dal Pci social democratizzato. Per tutta la V Legislatura il Pci si trova nell’occhio del ciclone che nel passato aveva sempre cercato di contrastare la formazione di gruppi autoproclamatisi i veri custodi della dottrina comunista; le scomuniche però non sempre sono sufficienti e le deviazioni vanno assorbite nel corpo del partito e ciò spiega il nel sistema politico, e tutt’ora essi sono determinati a conservare tale riconoscimento. Ciò spiegherebbe anche la loro cautela verso il referendum sull’aborto, che causerebbe uno scontro frontale con la Dc. I partiti della coalizione di governo Psi: la scelta di proseguire su due binari (binario del governo e binario del dialogo con le opposizioni) non convincerà gli elettori che rimproverano una mancanza di identità dei socialisti. Psdi: la sua svolta a destra non avrà un buon riscontro nel suo elettorato. La sua immagine appare contraddittoria: come baluardo anticomunista è poco credibile e come partito socialdemocratico è troppo spostato a destra. Pri: la sua crescita alle elezioni del ’72 conferma il gradimento degli elettori per i suoi propositi di una razionalizzazione del sistema economico, gradirà soprattutto la borghesia imprenditoriale moderna. La Malfa verrà maggiormente apprezzato quando, preoccupato dai primi segnali di una crisi economica, inizierà una politica di rigore economico andando contro democristiani e socialisti. Dc: il risultato elettorale riflette il pericolo che la Dc rischia nel sud dove perde una valanga di voti nel meridione, dove incombe la rivolta di Reggio Calabria. Tale ribellione è causata più che dalla mancata nomina di capoluogo di regione, che verrà attribuita a Catanzaro, dal danno economico che tale scelta ha portato. La mancata nomina provoca un’emorragia di posti nell’amministrazione pubblica, che sono il massimo sogno di sicurezza per i cittadini del sud. Ciò renderà ancora più evidente come il boom economico sia stato ineguale tra Nord e Sud. I missini approfitteranno di questa fuga di voti dalla Dc soffiandole i voti. I partiti dell’opposizione di destra Pli: la paralisi dei liberali proseguirà anche nelle elezioni del 72. Ritornare al governo è impossibile dato l’atteggiamento del Psi, e i missini mettono alle strette i liberali incamerando ciò che resta dei monarchici. Monarchici e Msi: dopo l’ultimo fiasco elettorale i monarchici non hanno altra scelta se non quella di un’alleanza organica con l’Msi. Almirante, tornato ai vertici del partito, rivitalizza la strategia parlamentarista di Michelini aggiungendo un po’ di movimentismo. Assorbire i monarchici serve a rafforzare l’identità di partito della destra legalitaria. C’è bisogno di una destra forte che impedisca al paese di cadere nella mani dei comunisti, in grado di porsi come interlocutore di quella parte dei cattolici che non condivide l’orientamento di Moro verso il centrosinistra. È esplicito quindi l’appello a quella “maggioranza silenziosa” stanca dei disordini e dell’avanzata del Pci. Almirante non minaccia colpo di stato, ma è determinato a ricavare tutti i vantaggi possibili dalla strategia della tensione che fa salire la richiesta di un esecutivo dal pugno di ferro. 4.2 La fine del Centro sinistra I risultati delle elezioni del 72 rendono quasi chiaro uno spostamento a destra del sistema a causa di una riconferma del consenso della Dc e della crescita di quello dell’Msi, grazie probabilmente a parte dell’elettorale della Dc confluito nell’Msi. Il successo missino ha un forte impatto sull’opinione pubblica proprio perché si tratta di un partito all’estremo limite del sistema. Tuttavia la percezione di una svolta a destra del paese non è corretta: si potrebbe dire, invece, che la parte dei cittadini orientata da sempre su posizioni conservatrici si radicalizza, cioè esprime una posizione più estrema, proprio perché si è innalzato il livello di sfiducia nei confronti dei governanti. La strategia di Berlinguer: nel 72 Luigi Longo lascia la segreteria a Enrico Berlinguer, che lo affiancava già da tempo ed è stato l’artefice della politica comunista per tutta la V Legislatura. E’ lui ad aver consigliato il primo strappo con Mosca in concomitanza della “primavera di Praga” e a premere per una politica di maggiore legittimazione del Pci nel sistema politico. Per aggirare la conventio ad excludendum bisogna rinnegare il legame con Mosca e rinnegare leninismo e la famiglia politica comunista, attuare cioè una trasformazione che riuscirà agli eredi di Berlinguer solo dopo il crollo del muro di Berlino. “L’eurocomunismo”, la strategia europea di Berlinguer punta a costruire un polo comunista alternativo a quello sovietico e guidato dal Pci. Propone un “comunismo democratico” compatibile con le democrazie occidentali per guadagnare l’accesso al governo proprio dal suo nemico più odiato, la Dc, ormai in evidente difficoltà a governare. Proporrà una grande alleanza, il compromesso storico, tra tutte le forze politiche rappresentanti le masse cattoliche, socialiste e comuniste, per consentire agli italiani di superare questa fase critica e a tutelare le istituzioni democratiche. Gli opposti estremismi e il referendum sul divorzio del ’74: la presenza di gruppi extralegali a destra e sinistra costituisce un pericolo per le due ali estreme del sistema (Msi e Pci) prive di piena legittimazione. Il governo intanto ritorna al centrismo, con un governo presieduto da Giulio Andreotti che guida un tripartito DC, Psdi, Pli e con l’appoggio esterno del Pri. L’esperimento centrista però durerà poco a causa della crisi petrolifera. In questa fase si rende necessario un governo di larga intesa, la resurrezione del centrosinistra non garantisce una maggioranza stabile perché la conflittualità tra gli alleati della coalizione è ancora alta. Fanfani punta al referendum sul divorzio convinto che una vittoria degli antidivorzisti si possa tradurre in un successo della Dc e quindi in un suo recupero di prestigio. Sarà un grave errore, causato dall’evidente ritardo del partito cattolico a leggere i cambiamenti avvenuti nel paese con la sua trasformazione da società contadina a società industriale. In tutto il paese si attua un processo di “scristianizzazione”. Fanfani punta tutte le sue carte sul referendum convinto che una vittoria degli antidivorzisti potesse essere un successo per la Dc, ma fa un grossolano errore di valutazione sottovalutando il cambio di mentalità in avanti della società dopo l’industrializzazione e l’avvento della società dei consumi. Pochi democristiani saranno consapevoli della sconfitta a cui andranno incontro, considerato anche il suo isolamento nella sua posizione sul referendum, l’unica forza politica che lo affianca è l’Msi, un’alleanza scomoda e poco gradita. Lo schema tripolare sembra cancellato, con uno schema tra destra e sinistra dove il centro sembra scomparso. La prima Tangentopoli: la Dc sta attraversando un periodo molto difficile a causa di alcuni terremoti interni. Due sono gli scandali per corruzione in cui la Dc a formare un governo monocolore della “non sfiducia” la cui maggioranza in Parlamento è garantita dall’astensione di tutti gli altri partiti, Pci compreso, tranne l’Msi. Questa è solo la prima tappa del percorso che porterà nel 1978 alla coalizione di solidarietà nazionale, guidata da Andreotti, sostenuta dall’appoggio esterno dei comunisti, dei socialisti, dei socialdemocratici e dai repubblicani. Per Andreotti e per le correnti di destra e centro l’appoggio del Pci di Berlinguer ha una funzione strumentale: solo il Pci è in grado di convincere l’intera sinistra a votare misure eccezionali su crisi economica e ordine pubblico. Il movimento del 77 e l’assassinio di Aldo Moro (1978): la strategia del compromesso storico (l’accordo Dc-Pci) viene visto come un vero e proprio tradimento dai militanti comunisti vicini alla nuova sinistra. Le proteste dei movimenti del ’77 coinvolgono tutti i partiti, Pci inclusa dato che l’accordo con la Dc li omologa a tutte le forze politiche. L’intesa per ottenere l’appoggio esterno dei comunisti si risolve in un confronto che finirà solo con il rapimento di Moro nel ’78 che farà crollare tutte le resistenze di entrambi le parti. Le misure di austerità proposte da Berlinguer e dal leader della Cgil Luciano Lama provocano dissensi nei lavoratori. La pericolosa deriva all’estrema sinistra preoccupa il Pci che dai suoi vertici ordinerà di denunciare i simpatizzanti del terrorismo e di emarginare i violenti. Con l’uccisione di un sindacalista nel ’79 Berlinguer vincerà la battaglia interna perché i terroristi hanno fatto l’errore di uccidere un militante comunista. Le Br rapendo Moro dichiarano di aver lanciato un “attacco al cuore dello stato”, eliminando così il principale interlocutore dell’odiata strategia berlingueriana. I giorni di prigionia di Moro sono tutt’ora non chiari e tutt’ora si dubita se sia stato fatto veramente di tutto per cercare di liberarlo, si sospetta che si volesse lasciar morire il leader democristiano. Con la morte di Moro, muore anche il compromesso storico. A questo punto le voci di chi vuole liberarsi del legame con i comunisti diventano più pressanti. I cattolici premono quindi per un ritorno alle urne per “incassare il premio” della morte di Moro nella speranza di un mutamento nell’elettorato. L’appello al “voto utile” invocato dal partito cattolico ha svuotato l’elettorato dei partiti laici, e l’ingresso del Pci nella maggioranza li ha privati di potere contrattuale. L’area laica e socialista Pci: il Pci riesce ancora a imporsi sulla Dc con l’elezione del socialista Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica nel 1978. E’ l’ultima mossa prima della crisi del secondo governo Andreotti. Invano il Psi e il Pri cercano di convincere la Dc a continuare sulla strada della solidarietà nazionale; i cattolici vogliono andare alle urne per incassare il premio del sacrificio di Moro. Il bipolarismo consociativo, l’accordo tra i due grandi partiti, non lasciano nessuno spazio intermedio ai partiti intermedi che si devono rassegnare al ruolo di comparse col rischio di venire cancellate dal sistema. Pri: La Malfa spinge per continuare il governo di solidarietà nazionale, dato che le politiche di austerità di Berlinguer hanno avuto la sua approvazione. Apprezzano anche la linea della fermezza dei comunisti durante la vicenda Moro: nessuna trattativa con i terroristi. Il contributo di Berlinguer abbatte la conventio ad excludendum e bisogna governare con i comunisti facendoli entrare nell’esecutivo. Psdi: paralizzato per tutta la VII legislatura a causa della scandalo Lockheed. Il partito ha ormai perso le radici di massa divenendo un partito clientelare. Saragat cercherà di ridare un immagine al suo partito ma si tratterà di un tentativo fallito in partenza. Psi: rifondare il partito per realizzare il progetto della grande socialdemocrazia che possa insediarsi alla guida del paese è l’obbiettivo di Bettino Craxi. La mobilitazione di tanti energie intellettuali offrono al Psi una base solida per avere successo nella rifondazione del suo partito (cosa che non avverrà con gli altri partiti). I radicali: da piccolo gruppo di intellettuali fondati nel 55, costola del Pli, sono diventati un vero è proprio movimento. Hanno individuato nel campo dei diritti civili e delle libertà individuali uno spazio pubblico dove proliferare. La battaglia per la modernizzazione della legislazione passa attraverso i referendum, che permettono così di attaccare la Dc. Essi saranno di intralcio anche al Pci. Scelgono come luogo privilegiato le piazze dove si raccolgono le firme per abrogare le vecchie leggi. I partiti della destra Pli: il partito nelle ultime elezioni del ’76 tocca i suoi minimi storici. Il suo elettorato è stato svuotato un po’ per l’appello al “voto utile” e un po’ per la paralisi del partito che è da molti anni che non ha un ben definita strategia. Msi: le ultime elezioni sono una delusione per l’Msi che registrerà un calo. Esito prevedibile dato che Almirante non ha risolto il dissidio tra le due anime dell’estrema destra, una legalitaria l’altra extralegalitaria. 5. UNA NUOVA STAGIONE DEL CENTROSINISTRA: I GOVERNI DEL PENTAPARTITO 1979-1987 La fine dei governi di centrosinistra è da attribuirsi ai rapporti tra i partiti italiani, ma anche il quadro internazionale ha la sua parte. L’URSS non abbandona il suo progetto missilistico che la porterebbe in vantaggio sugli USA; vantaggio intollerabile per quest’ultimi, già preoccupati per l’espansionismo sovietico in Asia. La rivoluzione komenista in Iran e l’invasione sovietica in Afghanistan spingono gli USA a chiedere un rafforzamento missilistico agli alleati. La discussione parlamentare sugli euromissili nel ’79 si chiude con il voto favorevole di tutti, tranne per il Pci. Tale voto testimonia quanto sia scomodo per Berlinguer il legame con Mosca, che compie un’ulteriore strappo dopo la repressione in Polonia dell’81. Tale legame allentato non basta a rilanciare la politica dei comunisti. A condizionare la vicenda italiana contribuisce anche la trasformazione economica di USA, Giappone e Europa. Tale passaggio a una società post- industriale, dovuto alla rivoluzione informatica e della comunicazione e informazione è preceduto da processi di cambiamento e riconversione del sistema produttivo che porta a un rallentamento dell’economia. Il crollo della borsa di Milano mette in crisi gli operatori economici e i palazzi del potere dove il presidente della repubblica Sandro Pertini incaricherà Giovanni Spadolini (Leader Pri) di formare un nuovo esecutivo. È la prima volta dal 45 che la Dc perde la guida del governo. La non reazione della Dc di fronte alla scelta del capo dello stato mostra quanta confusione ci sia nelle file democristiane. In un congresso nell’82, un accordo tra Andreotti, Forlani, Flaminio Piccoli e Benigno Zaccagnini porta alla segreteria di partito Ciriaco De Mita, proveniente dalla sinistra democristiana di Fanfani e Moro. Il suo obiettivo è quello di rilanciare la Dc riaggregando i vecchi consensi e magari cercandone di nuove tra le nuove fasce sociali emergenti. Ciò prevedere necessariamente uno scontro con il Psi impegnato a soffiare voti alla Dc. Pci: dal compromesso storico all’alternativa democratica: la scomparsa di La Malfa e il passaggio in minoranza della sinistra democristiana lascia il Pci senza interlocutori politici per tessere quel compromesso storico a cui Berlinguer non vuole rinunciare. Il Psi è ora un nemico aggressivo e pericoloso, deciso a impedire la rimessa in gioco dei comunisti. Berlinguer si arrocca sulla sua “terza via” tra comunismo sovietico e socialdemocrazie occidentali. La stagione dell’eurocomunismo, ovvero di una costruzione di un polo comunista europeo alternativo all’URSS e egemonizzato dal Pci, è tramontata con il crollo dei partiti comunisti in Europa e l’ascesa di quelli socialisti. La “questione morale” sarà da questo momento in poi il cavallo di battaglia del Pci: la classe politica ha abdicato la guida del paese per convertirsi in un’oligarchia di affaristi corrotti ad eccezione del Pci che è tenuto fuori dalle stanze del potere proprio perché “per natura” sono immuni al virus della corruzione. Estrema sinistra e nuovi movimenti: il 22% ottenuto alle elezioni del 1979 dal cartello tra il Pdup e la Nuova sinistra non preoccupa il Pci. L’offensiva antiterrorista, sta svuotando la sacca della protesta estremista, dove si rarefanno atteggiamenti indulgenti nei confronti dei compagni che sbagliano. L’uccisione del sindacalista Rossa è un tragico episodio ed è emblematico dei dubbi che si vanno diffondendo anche tra i militanti più duri. A leggere l’elenco delle vittime dei caduti sotto il fuoco delle Br, di Prima Linea e delle Ronde proletarie, non si può non rimaner sgomenti. La strage di Bologna coinvolge tante famiglie di vittime e carnefici e incide su un’intera generazione di giovani e si trascina oltre gli anni 80 con processi e inchieste che però non fanno emergere una chiara interpretazione degli anni di piombo. Dietro al disimpegno e alla fuga dalla politica però si attivano nella società civile nuove forme di aggregazione non violenta: centri di volontariato, comunità di recupero per i drogati, associazioni laiche e religiose in difesa dei deboli. Nel bacino della sinistra si collocano anche i movimenti ecologisti, i più politicizzati; a farli decollare una sempre maggiore presa di coscienza sui temi dell’ambiente e al suo degrado. Lo scoppio di un reattore nell’industria Icmesa, ha portato alla ribalta il tema del nucleare, dibattuto in tutti i paesi dell’Occidente, che sono alla ricerca di fonti alternative al petrolio. Il distacco da una politica dottrinaria porta all’estinzione delle piccole formazioni politiche: è il caso del Pdup espressione del gruppo del Manifesto, che decide di sciogliersi per confluire nel Pci. Della nuova sinistra resta solo il Dp che però alle politiche dell’83 riuscirà a prendere solo l’1,5%. I nuovi movimenti coinvolgono i radicali, da sempre attivi su molti temi adesso arrivati all’attenzione dell’opinione pubblica; Pannella non abbandona la battaglia contro la partitocrazia, ma i referendum hanno comunque bisogno del sostegno di altri partiti, che questa volta negano il loro appoggio sui quattro quesiti in votazione nell’81, per esempio sull’aborto, tema che non fa eco nemmeno sull’opinione pubblica orientata a sinistra, convinta di aver vinto già la battaglia con la legge 194 del 78. Estrema destra e il Msi: il riflusso che coinvolge l’estrema sinistra investe anche l’estrema destra, stanca dopo anni di sanguinosi conflitti. Non è un caso che i terroristi Mambro e Fioravanti in carcere, assieme a tanti altri giovani di destra e sinistra, inizieranno un percorso che li porterà a condanna la violenza e ad impegnarsi per il proprio riscatto nel volontariato. Il Msi invece cerca in tutti i modi di prendere le distanze da questi figli degeneri per recuperare l’immagine di partito baluardo della legalità e dell’ordine. Simbolica è l’iniziativa di referendum sulla pena di morte e anche la raccolta firme nelle piazze, con la quale si rivolge all’opinione pubblica per persuaderla che l’Msi è una forza politica legittima e che non può essere esclusa dal sistema. Almirante andrà a rendere omaggio alla salma di Berlinguer: è un indizio della fine dello scontro tra fascisti e antifascisti e di un lento miglioramento dei rapporti tra missini e il resto del mondo politico; una normalizzazione che si è riscontrata anche alle elezioni politiche dell’83 con un aumento di voti dell’Msi. 5.2 La IX Legislatura (1983-1987) La sconfitta della Dc: ddeve aprire le porte all’esterno creando alleanze con la grande industria, la finanza e l’associazionismo cattolico in ascesa. La struttura feudale va smantellata e De Mita punta a un rinnovamento analogo a quello del Psi. Ma la Dc è diversa dal Psi, e De Mita sa quanto sono infide le fila democristiane, che illudendosi di aver superato la tempesta, complottano per liquidare il segretario. Il governo socialista: nonostante la delusione di Craxi per le elezione dell’83, il calo democristiano gli spiana la strada per Palazzo Chigi. Solo quando il Psi sarà la forza egemone della sinistra si potrà ipotizzare uno schieramento vincente Psi-Pci. Ormai però è talmente evidente la paralisi dei partiti, bloccati dai veti incrociati, che solo la società civile che si mobiliterà nella X Legislatura modificando a colpi di referendum alcune normative elettorali. Ciò segnala anche il pessimo stato di salute della partitocrazia. Il Pci tra questione morale e disgelo sovietico: Berlinguer coglie il punto debole dei socialisti, il finanziamento pubblico ai partiti da cui socialisti e altri partiti hanno attinto denaro a piene mani, e affonda il coltello consapevole che la “questione morale” ha un’eco forte nel paese. Craxi fa quadrato intorno ai suoi uomini perseguitati dalla magistratura invece di affrontare l’affarismo dilagante in periferia e al centro. È un errore, perché il problema della corruzione esiste e sarà la causa del crollo del sistema politico. La sua morte sarà determinante per il sorpasso dei comunisti nelle elezioni europee dell’84, gli elettori sembra che vogliano rendergli omaggio premiando il Pci con i voti. Ma la successione di Alessandro Natta svanisce questo vantaggio. L’eredità di tradizionali. Non si trattano più di voti fluttuanti. Se prima esistevano solo i radicali, adesso esplode il fenomeno degli ambientalisti e delle Leghe. I Verdi vengono agevolati nelle loro battaglie dalla tragedia di Chernobyl dell’86. Il partito più penalizzato è il Pci che oltre a perdere i voti di coloro che voteranno gli ambientalisti, altra fuga più preoccupante è quelle nelle liste del Psi. Da registrare però è soprattutto il calo di voti nel Sud, a favore del Psi. Il partito di Craxi piace ai meridionali che contano sui finanziamenti pubblici e ingrossano le clientele locali del Psi, il cui potere nelle amministrazioni periferiche è aumentato. Il fenomeno delle leghe: nell’area settentrionale, dove la Dc è in calo costante, stanno crescendo le leghe che raggiungono l’1,8% e mandano il Parlamento solo un deputato, Leoni, e un senatore, Bossi. E’ la base geografica il pilastro fondante del leghismo che mette le sue radici nelle valli del Nord dove prevale un’economia chiusa di tipo localistico; è proprio il localismo come senso di appartenenza al territorio il primo fattore di coesione degli adepti. I primi nuclei leghisti sono insediati nelle regioni italiane dove il tenore di vita è tra i più alti in Europa; ad ingrossare le file delle leghe sono i ceti medi, commercianti, piccoli imprenditori, impiegati. L’avversione verso i partiti trova la sua ragione d’essere proprio nelle aspettative di crescita messe in pericolo dal sistema partitocratico, che sperpera denaro pubblico e alimenta con finanziamenti a pioggia il mezzogiorno “parassitario” riversa di voti clientelari. Bossi traduce il nuovo messaggio in rozzi ma efficaci slogan all’insegna dell’antimeridionalismo, ai limiti del vero e proprio razzismo, come testimonia la politica contro i meridionali, terroni parassiti mantenuti dalla ricchezza prodotta dai settentrionali laboriosi e attivi. L’intolleranza si scaricherà anche nei confronti degli extracomunitari quando il fenomeno prenderà via via piede tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90. Un altro elemento è la contrapposizione tra Milano e Roma: la prima centro del lavoro e della produzione, la seconda sede dei vizi e del parassitismo, metafora del potere dei partiti, lontani dalla società e dai cittadini. 6 IL CROLLO DEL SISTEMA POLITICO 1987-1994 Il crollo si consuma nella XI legislatura, ma è già annunciato nel periodo precedente 87-92. Le votazioni dell’87 hanno alterato di poco il quadro, e ciò sembra confermare la stabilità del governo. Ma è una falsa percezione, che non aiuta le forze politiche a cogliere il pericolo imminente e rafforza la loro illusione che vada tutto bene. In realtà si stanno aprendo crepe vistose nel blocco sociale dove poggia il pentapartito. A destare l’allarme fu la rapida fine del secondo miracolo economico, durato meno di tre anni. Si riapre la questione dei conti di stato che i partiti non hanno avuto il coraggio di affrontare, perché intervenire sul debito pubblico significava bloccare il meccanismo benefici-voti sul quale reggeva la partitocrazia. Adesso rinviare il problema voleva dire essere fuori dall’Europa comunitaria che procede verso la moneta unica con il trattato di Maastricht nel ’92. Il 5°/6° nella classifica dei paesi industrializzati poggia sullo sviluppo delle regioni settentrionali. Il movimento leghista aveva già espresso paura di un declassamento a causa del sud. Avrà una straordinaria crescita nella X Legislatura a causa dell’ennesima cecità dei partiti e della simpatia riscossa dai piccoli industriali. Lo scollamento tra la società civile e società politica sarà l’argomento di discussione dei media. Sarà il Psi a lamentare una presunta “congiura mediatica”. Ma non è così, del declino ne sono consapevoli i cittadini. Si farà strada l’idea di sostituire gli esecutivi del pentapartito con un governo tecnico che affronti la crisi finanziaria. Si spiega così l’appoggio di esponenti del mondo economico a tutte le iniziative volte a scardinare la partitocrazia. La Dc sta vivendo una fuga di elettori al nord, che affluiscono nelle file delle Leghe, e al sud dove la Dc è infangata dal coinvolgimento di alcuni suoi esponenti nella Mafia. Non a caso “La Rete” di Leoluca Orlando sarà il primo partito a contestare il monopolio della Dc. Ciò costituisce la prima scissione nella Dc unita dal principio inviolabile dell’unità politica di cui garante era la Chiesa. Infine, la dissoluzione dell’URSS contribuisce a travolgere il sistema politico; nell’89 verrà abbattuto il simbolo della divisione europea: il muro di berlino. Ciò segnerà la fine della guerra fredda e un coinvolgimento non indifferente in ogni nazione. La sconfitta comunista era già annunciata dai processi di cambiamento sociale/culturale in atto anche oltre la cortina di ferro. La scomparsa del Pci si ripercuote sull’insieme della partitocrazia che neppure di fronte a tale evento opererà una svolta. Ed è a questo punto che sarà evidente l’irrimediabile paralisi dei partiti. 6.1 La X Legislatura (1987-1992) L’asse Dc-Psi Psi: dopo 10 anni alla segreteria e quasi 4 di governo, Craxi è riuscito a far crescere il Psi di 5 punti percentuali, ma è consapevole che il partito socialista rimane un partito di medie proporzioni. Craxi commetterà però l’errore di pensare di avere un tempo infinito a disposizione, ovvero rinuncia alla presidenza del consiglio e si accomoda nell’esecutivo accontentandosi di quel 50% del potere che la Dc gli concede; non intuisce però il ribollire sotterraneo della società civile e il cambio del quadro internazionale. Dc: l’inversione di tendenza di voti della Dc bastano per liquidare i progetti di rilancio di De Mita, che mirava a recuperare l’egemonia del partito senza nulla chiedere al Psi. Andreotti e Forlani prediligono una linea più morbida che non impegni la Dc in uno scontro frontale con il Psi. Si direbbe che Dc e Psi abbiano siglato una tregua in cui il Psi non insidia più il monopolio democristiano e la Dc non contesta la sproporzionata quota socialista nella lottizzazione delle cariche. Il patto verrà chiamato Caf (Craxi-Andreotti- Forlani) e dovrebbe consentire una navigazione più stabile degli esecutivi. Nell’88 De Mita raggiunge Palazzo Chigi ma è già al suo tramonto; i feudatari democristiani hanno sempre visto male chi accumulasse a se troppo potere, infatti il suo esecutivo durerà solo un anno per passare la mano ad Andreotti e perderà anche la segreteria che passerà a Forlani. di un uso politico della giustizia, sospetto che diventa un’arma per delegittimare i pubblici ministeri. Craxi sa di essere il principale bersaglio di un attacco indiretto del Pci che cerca di dare del Psi l’immagine di un partito corrotto e affarista. Da qui si origina la proposta dei socialisti di riformare la giustizia. Tale progetto verrà respinto dai magistrati e da una parte del Csm; accusano Craxi di voler sottomettere al controllo politico chi indaga sulla corruzione dei politici. Nella querelle interviene Francesco Cossiga, presidente della repubblica dall’85 e del Csm. Le sue “esternazioni” appaiono come altrettanti colpi di piccone alla partitocrazia. Cossiga rivendica a se il compito di guidare la transizione verso nuovi assetti sistemici, a prescindere dalle resistenze dei partiti. Si auto-candida a gestire una sorte di supplenza che prefigura quella riforma della Costituzione in senso presidenziale gradita sia ai socialisti che alle destre. La paralisi della partitocrazia spiega il protagonismo di Cossiga, le continue esternazioni di Cossiga hanno come obbiettivo la mediazione con i cittadini saltando la mediazione dei partiti, con il risultato di alimentare il fuoco già acceso dell’opinione pubblica e di aumentare la conflittualità della coalizione di governo. Cossiga rappresenta un’ulteriore sasso che si aggiunge alla valanga imminente che travolgerà la prima repubblica. 6.2 Dal referendum elettorale del ’91 alle elezioni politiche del ’92 Si spezza l’unità politica dei cattolici Dc: la diaspora dei democristiani si consuma con la contestazione di Mario Segni e soprattutto con la rottura di Leoluca Orlando. I democristiani, minacciati dal potere riscosso da quest’ultimo nelle elezioni amministrative, cercheranno di liquidarlo, disturbati dalle sue polemiche contro le connivenze con la mafia e la corruzione politica dilaganti in Sicilia. L’ex sindaco di Palermo però ha dalla sua parte il gesuita Bartolomeo Sorge che incoraggia Orlando a dimettersi dalla Dc e a costituire “La Rete”. La propaganda della Rete ha una forte eco nei settori più a sinistra del Pci allo sbando. La scadenza del referendum elettorale con il quale si vuole cancellare la preferenza multipla, vista come strumento di controllo del voto clientelare, è fissata per il giugno ’91. Prevale la convinzione di una progressiva disaffezione degli elettori nei confronti delle battaglie referendarie, come hanno dimostrato nel 90 i referendum sulla caccia e i pesticidi che non hanno raggiunto il quorum. Il quorum sembra irraggiungibile e Segni, già condannato alla sconfitta, non attira nemmeno l’attenzione di De Mita; ma il quadro cambia nel giro di poche settimane, grazie alla nuova strategia comunicativa dello schieramento referendario, che rompe il silenzio con uno slogan efficace: un voto contro i partiti. Il consenso di Segni si fa sempre più folto di autorevoli personalità, sia di sinistra sia di larga parte della Dc; arroccata al no resta la maggioranza democristiana, anche se rimane defilata; mentre il Psi passa al contrattacco destinata a segnare la prima tappa del suo declino: Craxi si impegna direttamente e invita gli elettori a trascorrere una giornata al mare che vedono in lui il simbolo della partitocrazia e di contro rispondono con una valanga di si. Il declino del Psi: il rassicurante andamento dei due turni elettorali delle europee dell’89 e delle amministrative del 90 porta Craxi a scegliere l’immobilità, in un momento in cui la situazione generale interna e quella internazionale sembra in movimento. La crisi del Pci a seguito del crollo del muro di Berlino, non serve a rilanciare l’iniziativa dei socialisti che hanno un’occasione d’oro per mettere fine al conflitto storico iniziato a Livorno nel 1921. Craxi preferisce assistere all’agonia degli ex compagni in attesa che vengano a bussare alla porta della casa socialista; è convinto che la diaspora interna porterà numerosi ex comunisti ad abbracciare i socialisti senza bisogno di fare concessioni. A determinare la rovina del Psi sono le accuse di corruzione sui suoi dirigenti e la risposta del paese, piuttosto che disertare le urne, è quella di andare in massa a votare il referendum contro la partitocrazia. Per la prima volta la poltrona di Craxi traballa; all’interno del Psi si formano due correnti: quella movimentista di Martelli che polemizza contro l’immobilismo e quella ministerialista di De Michelis, ma lo scontro si riduce ad una lotta contro vassalli craxiani sempre legati al loro capo socialista. Il destino dei socialisti è legato a quello di Craxi, finito nel mirino dei magistrati. La prima vittima è il cognato sindaco del leader costretto a dimettersi per irregolarità amministrative. Da qui prende le mosse una delle indagini più clamorose di Tangentopoli. Ancora il Psi spera di sottrarsi alla tempesta giudiziaria, illudendosi di un altro progresso elettorale e convinti che un altro ritorno di Craxi a Palazzo Chigi, come sancito dal patto del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani), rialzerà il partito e metterà il leader al riparo dal fuoco della magistratura, soprattutto del giudice Antonio Di Pietro protagonista dell’inchiesta milanese. Entrambi gli obiettivi falliscono perché il risultato elettorale non è quello atteso e perché il terremoto in casa democristiana azzera gli accordi del Caf. Chiuse le urne si apre il problema del governo. Craxi è ormai coinvolto direttamente nell’inchiesta di tangentopoli ed è costretto a fare un passo indietro. I partiti della coalizione di governo: Pli, Pri, Psdi: la vicenda politica dei tre partiti minori della coalizione di governo appare sempre meno rilevante per gli equilibri del sistema, sia per il loro peso diminuito con le elezioni dell’87, sia per la marginalizzazione causata dall’accordo di ferro Psi-Dc. Pli: filo socialista è il segretario Renato Altissimo, che ha scelto di raccogliere le briciole della torta del potere; a risvegliare l’opposizione nel Pli interviene la campagna referendaria: molti esponenti entrano nel comitato per il referendum e firmano il patto Segni: Ciò li porterà ad avere quasi un punto in più alle elezioni del 1992 rispetto a quelle dell’87, non molto ma positivo considerato il rischio di estinzione. Pri: il segretario Giorgio La Malfa ha una posizione di aperta ostilità nei confronti di Craxi, via via cresciuta di fronte alla subalternità ai socialisti da parte del Ministro delle poste Mammì, che aveva firmato una legge sulle televisioni imposta dal leader socialista per favorire il suo amico Berlusconi. Dopo il braccio di ferro sulla scelta dei nomi dei repubblicani da inserire nel governo Andreotti bis, La Malfa sceglie la via del disimpegno e punta tutto sulla campagna referendaria. L’impegno del segretario repubblicano confronti dell’impiego pubblico, i tagli alla sanità e le privatizzazione dei grandi enti a partecipazione statale sono cose possibili solo con un accordo allargato. Tangentopoli: nell’estate del ’92 sul parlamento si rovescia una pioggia di richieste di autorizzazione a procedere. Segretari di Dc, Psi e persino dell’ex Pci sono nel mirino dei magistrati. Un numero così elevato di indagati è la prova di come la corruzione sia organica al sistema dei partiti, che si sono finanziati attraverso pratiche illegali per anni. Craxi si appella ai “correi” sostenendo che tale meccanismo è conosciuto da tutti i partiti. Le indagini dei magistrati suscitano l’entusiasmo della popolazione che vuole l’interaclasse dei politici sul banco degli imputati. I suicidi di esponenti politici e di dirigenti di enti pubblici testimoniano la drammaticità della gogna mediatica. È un dato psicologico significativo che fa vedere come i cittadini assolvono se stessi scaricando sui politici malaffare,nepotismo,clientelismo, imbrogli di cui è tessuta tutta la società civile. I giudici vengono trasformati in veri eroi popolari, ma il loro contributo non sarebbe bastato se non avessero ricevuto una sponda decisiva dal mondo della politica, cioè dai partiti di recente formazione che potrebbero godere di eventuali vantaggi dalla dissoluzione di quelli vecchi. Il Referendum elettorale del ’93 e il governo Ciampi: la vittoria di Segni in questo referendum è scontata, il referendum punta a sistema uninominale, cioè a un bipartitismo anglosassone che assicuri quell’alternanza maggioranza opposizione difficile da ottenere in un quadro politico pluripartitico. I nuovi partiti non si oppongono a tale referendum convinti che segni la fine della prima Repubblica. Il governo di Carlo Azeglio Ciampi che succede a Giuliano Amato apre una fase di transizione che porta alle elezioni nel ’94. Ciampi è il primo presidente del Consiglio non parlamentare (ex governatore della Banca d’Italia) scelto proprio perché esterno ai partiti. L’esecutivo del nuovo presidente è guardato con sospetto dai partiti che vogliono le elezioni per approfittare dell’agonia dei vecchi partiti, perché il suo è un esecutivo molto più forte di quello di Amato; esecutivo contro cui viene scagliato il primo attacco quando verrà negata l’autorizzazione a procedere contro Craxi. La fine della partitocrazia Dc: gli avvisi di garanzia piovono sulla Dc e non risparmiano nemmeno i più potenti; verrà coinvolto anche Giulio Andreotti, anche se tra assoluzione e prescrizioni ne uscirà indenne. Nella corrente di sinistra democristiana viene individuato un nuovo segretario, Mino Martinazzoli, dalla fama di incorruttibile, che inizia un’opera di riordino e moralizzazione del partito cattolico. Tentativo fallito in partenza perché i feudatari democristiani rifiuteranno di seguire le direttive della segreteria. Nel giro di pochi mesi Martinazzoli si accorge di essere completamente isolato. Il segretario propone una vera e propria rifondazione attraverso un’assemblea costituente nel ’93. Anche se la sinistra democristiana ottiene che gli inquisiti non partecipano al congresso, non nasce nulla di significativo da questa assemblea. Il cambiamento del nome in Ppi ha l’evidente significato di una volontà di ritornare alla origini ma non riesce ad assorbire ne La Rete di Orlando ne i pattisti di Segni e assiste alla nascita del Ccd (Centro cristiano democratico). Quattro poli di attrazione impediscono alla Dc di resuscitare e i voti della ex Dc investono su forze nuove capaci di imporsi su un sistema tutto da ricostruire. Psi: più vistoso è il dissolvimento del Psi. Craxi è deciso a farsi difendere a oltranza dal suo Psi, a costo di ucciderlo. Martelli cerca disperatamente di aprirsi un suo spazio politico aprendo al Pds di Occhetto che un primo momento sembra interessato dato che gli darebbe il pass per l’internazionale socialista che Craxi gli offre per bruciare l’iniziativa del suo ex delfino. Ma il dialogo si ferma con l’avviso di garanzia a Craxi che prima di crollare coinvolge Martelli. Il continuo cambio di esecutivi provenienti dalle file del sindacato testimonia la difficoltà di trovare dirigenti di partito non inquisiti. La vecchia nomenclatura sta scomparendo; Martelli si ritira dalla vita politica, Craxi sfuggirà dall’Italia per sfuggire ai giudici e anche altri dirigenti verranno inquisiti precludendogli ogni iniziativa politica. Pri: solo questo partito ha una residua presenza nella XI legislatura. La Malfa ha puntato a un asse privilegiato con Segni e con il quale parteciperà al progetto di costruzione di una nuova forza politica (Alleanza democratica). Ma la sua credibilità è ormai minata dopo l’avviso di garanzia ricevuto per l’affare Enimont; il segretario repubblicano non ha più alle sue spalle un a forza politica effettiva che si sta dissolvendo sotto la tempesta degli avvisi di garanzia. Morirà quindi anche il Pri. Pli: anche i liberali perderanno ogni credibilità con gli scandali della sanità e dell’affare Enimont che coinvolgono il ministro liberale Francesco De Lorenzo e il segretario Renato Altissimo. Psdi: segue a ruota il destino del Psdi distrutto dagli avvisi di garanzia che coinvolgono praticamente ogni dirigente. La sua uscita di scena coincide con la morte di Socialdemocratici. La trasformazione del Msi: la crisi del sistema politico serve a dare il rilancio ai missini. La loro perenne marginalità al sistema politico è un vantaggio, paradossalmente ora è il loro pass perla legittimazione tanto agognata. Fini investe sulla loro immagine di partito non coinvolto nella corruzione schierandosi apertamente con il pubblico ministero Antonio Di Pietro, protagonista dell’inchiesta “Mani Pulite”. Va sciolto il nodo dell’appartenenza storica, ovvero quella pregiudiziale di neofascisti che Almirante molti anni prima aveva intuito che bisognava scrollarsi di dosso. A offrirgli una sponda è il magnate delle televisioni Silvio Berlusconi che non ha ancora iniziato la sua discesa in politica con “Forza Italia”. Berlusconi invita gli elettori romani a votare Fini anziché il suo sfidante Rutelli; mossa proiettata al futuro, quando lo sdoganamento dei missini potrà essergli molto utile. È la prima volta che un esponente del neofascismo riceve un riconoscimento così impegnativo da un imprenditore di grande calibro. Nel ’94 Fini, al congresso di Fiuggi cambierà l’identità del partito da Msi a An (cravatta, bandiera, distintivo, manuale operativo) e assicurato un collegamento alla sede centrale con videotel, il che fa parlare di “partito virtuale”. Il successo organizzativo si spiega con le immense risorse finanziarie di Berlusconi e l’abilità dei suoi esperti. Nasce in Italia il primo “partito azienda”, che i politologi ritengono irripetibile, poiché nato grazie all’eccezionalità del momento storico e alla particolare struttura della Fininvest. Gli attori politici già presenti sottovalutano e irridono il nuovo partito e il suo leader, lontano dai canoni dei vecchi politici. Un atteggiamento simile avuto nei confronti di Bossi; ma se il leader leghista era stato presto riconosciuto come capopopolo, non può dirsi lo stesso per Berlusconi, che ha più le caratteristiche di piccolo borghese. In realtà i politici non colgono l’immagine di sefl made man del cavaliere, che malgrado la ricchezza accumulata, non ha reciso i suoi legami con i ceti medio-piccoli. Gli slogan “sono uno di voi” e “non sono un politico”, la promessa di risollevare l’azienda Italia come le sue aziende, il non etichettare Forza Italia come un partito ma come “servizio offerto alla gente”, fanno immediatamente presa su un’opinione pubblica ormai completamente scollata dalla società politica. Del resto, la caccia agli uomini nuovi aveva portato alla ribalta, soprattutto al Nord, imprenditori, funzionari tecnici, intellettuali, proposti da sinistra, PPI e partito di Segni. I moderati e i conservatori restano invece orfani: il Msi non ha candidati credibili da proporre e la rozza Lega è priva di intellettuali. Berlusconi colmerà questo vuoto, selezionando i candidati addirittura con esami-video. La costruzione dello schieramento di destra: Berlusconi non sottovaluta il fatto che la nuova legge elettorale spinga verso un bipolarismo che lo obbliga a coalizzarsi con altri partner politici. E’ sicuro del successo di FI, in gradi di attirare i moderati dell’ex Dc e del Psi. Inoltre, spera di attirare parte dei voti del Nord puntando sul fascino dell’imprenditore settentrionale. In questo caso le previsioni sono ottimistiche, perché non tutti sono convinti di questa commistione tra affari e politica, tanto da arrivare alla rottura con Indro Montanelli, importante opinion leader e direttore de “Il Giornale” di proprietà del cavaliere. L’obbligo di trovare partner lo spinge a sdoganare gli ex fascisti, convinto che il bacino di voti possa allargarsi grazie ad alcuni ex Dc. Il sostegno a Fini per la poltrona a sindaco di Roma è il primo passo per questa legittimazione. Al Sud l’alleanza con Fini è quasi obbligatoria: le parole d’ordine liberiste e antistataliste non hanno presa nel meridione. Al Nord è quasi impossibile proporre gli ex fascisti, tanto che lo stesso Bossi si pronuncerà contro fascisti e nipoti di fascisti. Le concomitanti questioni lo costringono a stringere due alleanze: al nord il Polo delle libertà con la Lega, al sud il Polo del buon Governo con An. Lo schema delle alleanze prevede anche un’intesa con la Lista Pannella e il Ccd, il primo in polemica con i metodi persecutori delle inchieste giudiziarie che violano il garantismo caro a Pannella; i cristiani democratici puntano a riconquistare i voti democristiani moderati, contando sulle poche clientele ancora in piedi. Il collante tra le diverse forze è l’anticomunismo e Berlusconi cavalca quest’onda, convincendo che sotto la veste diessina si nascondano gli stessi comunisti di prima. Nell’uninominale, il Polo delle Libertà avrà il 22,8% e il Polo del Buon Governo il 16,7%; nella proporzionale Fi ha il 21%. Il cartello dei progressisti: il gran successo di Fi è inaspettato per le sinistre, convinte di avere la vittoria in tasca, anche visti i risultati alle amministrative del 1993. Questa sicurezza deriva dal fatto di essere l’unica organizzazione politica a possedere una struttura solida e radicamento territoriale. I pidiessini sottovalutano la differenza tra amministrative e politiche (preferenza personale contro preferenza politica) e scordano che mai nella Repubblica le forze di sinistra hanno superato quelle di centrodestra. Era dunque prevedibile che chiunque si fosse fatto interprete dei voti moderati avrebbe avuto successo: un chiunque proprietario di un impero mediatico e sottovalutato. Non giocano nemmeno la carta del conflitto di interessi (previsto da una legge del 1957) e lo stesso Occhetto si mostra impreparato ad una competizione televisiva, in cui sbaglia tutto, dalla terminologia al vestiario. Va considerato anche il momento: gli italiani devono scegliere tra un candidato che fa sognare futuro e benessere e uno che parla di austerità e rigore. Il Pds non ha dietro di se una forza politica tale da diventare trascinante, il Psi porta pochi voti e Alleanza democratica non riesce ad aggregare Segni, che invece si propone con Patto per l’Italia che sarà decisivo per l’esito delle elezioni perché la sua unione con le sinistre avrebbe portato al superamento della coalizione di Fi ma non durerà a lungo. 7.2 La XII Legislatura (1994-1996) Il difficile governo: il successo di Fi è grande ma il mezzo punto percentuale di vantaggio al Pds non è enorme e in Senato sono solo 9 i seggi di differenza, troppo pochi per un governo tranquillo. A rendere più difficile la situazione è l’incompatibilità tra Bossi e Fini, che non perde occasione per attaccare An. La situazione precipita in autunno mentre Berlusconi sta per varare la finanziaria e Bossi decide di uscire dalla coalizione; in più il premier viene colpito da un avviso di garanzia per un’inchiesta su tangenti versate alla Guardia di finanza. Il tono vittimistico con cui Berlusconi si presenta alla manifestazione a Milano con cui annuncia il ritiro dal governo e l’intenzione di dare battaglia, è comprensibilissimo. Convinto del sostegno della gente, preme per tornare alle urne, ma Scalfaro lo convince ad accettare il governo tecnico di Dini, sostenuto dalle sinistre e dalla Lega; errore di cui si rende conto dopo, perché nel frattempo la sinistra può organizzare la campagna elettorale e individuare un leader vincente. L’alleato infedele: Lega nord: Bossi capisce quanto sia difficile combattere Berlusconi e fermare l’emorragia di voti restando nella stessa coalizione. Bossi incarna l’uomo che può restaurare il primato del popolo sulla classe politica traditrice. Bossi attacca Berlusconi toccando tutte le corde dell’anticapitalismo e il tema della corruzione, illudendo la sinistra di avere una sponda forte; Bossi non vuole sottostare alla sinistra. La lega si presenta sola contro tutti, contro lo strapotere del capitale e il mundialismo, contro gli immigrati. I voti che arrivano a Bossi sono mossi da questi temi. la mancata crescita non gioca a favore delle sinistre e alimenta il bacino del Polo delle Libertà, che prepara la rivincita. Il Pds, partito di maggioranza del sistema: la strategia di D’Alema non cambia, ma lo scontro con Veltroni è sempre aspro. Il neo vicepresidente del Consiglio vede nell’Ulivo proprio quella formazione di sinistra democratica kennediana che desidera. La cosa non è scontata proprio perché D’Alema vuole costruire una nuova formazione, la “Cosa 2”, ma le possibilità di successo sono poche, dato che resta ben poco del patrimonio del Psi confluito nel Polo delle Libertà. Pesa su questa trasformazione anche il veto dell’autoesiliato Craxi. Serve a ben poco il confluire nel partito di Spini e Aniasi (socialisti dal seguito ridotto), Carniti (sinistra sociale cattolica) e alcuni repubblicani: ciò che resta è solo il cambiamento del nome da Pds a Ds. E’ un insuccesso tentare la riforma costituzionale concordandola col Polo delle Libertà. La bicamerale non decolla e la sinistra perde l’occasione di legiferare sul conflitto di interessi. Il problema di D’Alema è quello di trovare spazio di crescita, bloccato a sinistra da Rc e Verdi e i cattolici estranei al laicismo diessino. Anche la questione di legittimare Berlusconi è reale dato che la sua demonizzazione non impedisce la sua vittoria nel 2001 o un effettivo successo dell’Ulivo nel 2006. L’arretramento dei Ds nel 1998 crea un clima teso così Prodi viene sostituito da D’Alema in una crisi manovrata da Bertinotti e Cossiga, che spostano a loro piacimento partiti piccoli ma con potere interdittivo. I primi problemi arrivano con l’intervento in Kosovo che trova l’opposizione di Rc e Verdi, Comunisti italiani e Lega e l’esecutivo è tenuto in vita da Berlusconi. Nel 1999 alle europee i ds ottengono il 17% e vengono sorpassati da Fi (25%) e D’Alema è costretto a dimettersi. Veltroni, nuovo segretario Ds accentua i connotati nuovi dei diessini, eredi della tradizione riformista italiana, ma lo fa con slogan incomprensibili ai più. Parisi, braccio destro di Prodi, auspica uno scioglimento di tutti i partiti per formare il partito democratico, ma i diessini non vogliono rinunciare a un’egemonia sull’ Ulivo. D’Alema in uno slancio di orgoglio del partito si candida in prima persona in un referendum contro il cavaliere, ma le aspettative si dimostrano negative costringendolo a dimettersi. L’esecutivo va nelle mani di Amato, vicino a D’Alema, ma resta un anno di governo, poco per fare ordine nel quadro politico di un paese perennemente in campagna elettorale. I partiti dell’Ulivo Rc e Comunisti italiani: anche se esclusa dall’Ulivo al momento delle elezioni Rc sfrutta il suo potere coalittivo alla camera. Il partito è diviso tra l’area Bertinotti e Cossutta: Rc respinge il documento di programmazione economica (finanziaria) di Prodi, in disaccordo con l’ala cossuttiana, che vuole evitare elezioni anticipate. L’arrivo di D’Alema evita le urne ma alimenta il sospetto che ci sia stata un’intesa tra il leader diessino e Bertinotti. La frattura tra Rc e Comunisti italiani (Cossutta) non altera la somma di voti; le forze di sinistra hanno un elettorato fedele ma poco spazio per allargare i consensi. Verdi, Socialisti, Repubblicani, Italia dei Valori: i Verdi perdono qualche frazione di punto e si aprono a nuove dispute interne tra radicali (Pecoraro Scanio) e moderati (Manconi). Marginali sono anche i nuovi socialisti, Sdi (socialisti democratici italiani) contrari alla Cosa 2 di D’Alema e anche i Repubblicani presentatisi col cartello PpiProdi, con La Malfa però pronto a saltare nell’altro polo. Nammeno il nuovo partito fondato dal magistrato Di Pietro ha un grande seguito. Questo insieme di piccoli partiti fa da cerniera tra sinistra e destra ulivista. Ppi, Udr e Democratici: sono due i fattori che rendono difficile la strada per gli ex democristiani: alcuni hanno la tentazione di ricreare uno spazio al centro e rompere il bipolarismo; un altro ostacolo riguarda l’Ulivo, dove Prodi non ha alle spalle una forza politica tale da garantire una sua leadership contro i Ds. Il Ppi ha sperato di incrementare i voti incamerando Rinnovamento italiano di Dini, ma da qui l’elettorato passa al polo. Cossiga approfitta di queste difficoltà per far diventare il suo Udr la nuova casa dei cattolici, ma l’ipotesi di un declino del Polo non si concretizza e Cossiga abbandona la sua creatura , passata all’ex berlusconiano Mastella. Prodi tenta a sua volta di costruirsi una forza politica, i Democratici (futura Margherita), con l’adesione di Idv e il Movimento dei sindaci (nato dalla popolarità di alcuni sindaci come Rutelli, Orlando, Bianco). Un quadro così confuso evidenzia le macerie del crollo della prima Repubblica, con processi di scomposizione e ricomposizione che influenzeranno anche il Parlamento. I partiti del Polo delle Libertà Fi: il primo compito di Berlusconi è quello di dare una struttura più solida al partito, che non è adatto alla battaglia di opposizione. Il cattivo stato di salute è confermato dalle accuse di scarsa democrazia interna, la fuga degli intellettuali e l’ostilità degli ex della prima Repubblica verso i manager Fininvest. Nel 1998, a cinque anni dalla fondazione, i forzisti celebrano il primo Congresso che si riduce ad una manifestazione di propaganda per Berlusconi, che sceglie da solo metà dei candidati del Consiglio nazionale appena istituito. Alle europee riscuote il 25,6% dei consensi, un successo che è anche merito dello spazio d’azione concesso da D’Alema, che congela il conflitto di interessi alla ricerca della doppia legittimazione. Berlusconi risponde accordandosi per le riforme costituzionali, con il sostegno per la guerra in Kosovo e per la candidatura di Ciampi. Il successo delle europee convince Berlusconi a rompere l’idillio e a scatenare una massiccia campagna per le regionali usando tutti i mezzi (compresi aerei con striscioni) anche personalizzando la campagna elettorale. La vittoria di Fi arriva comunque grazie all’appoggio della Lega, la ripresa di An e l’avanzata di Ccd e Cdu. An: nonostante la sconfitta del Polo e la concorrenza del partito di Rauti, An guadagna due punti percentuali, anche se il risultato è difficile da conservare; la base postfascista non ama gli affari poco limpidi dell’alleato Berlusconi. Ma il crollo di An in occasione delle europee del 99 dove An si presenta in un cartello con Segni (accordo saldato anche in occasione di due referendum precedenti: abolizione quota proporzionale e finanziamento pubblico ai partiti), fa capire a Fini che non si può prescindere da Berlusconi per non rischiare l’isolamento e l’esclusione. (Lega, Fi, Idv) e gli stessi partiti, per accattivarsi il paese, sono costretti a cavalcare gli umori antipolitici. 8.1 Le elezioni politiche del 2001 La sconfitta dell’Ulivo alle politiche del 2001: i risultati di europee e amministrative non possono lasciare tranquillo l’Ulivo privo anche del leader Prodi. La necessità di trovare un antagonista all’altezza di Berlusconi appare difficile, anche perché un diessino non è spendibile. La scelta Amato appare la più logica, stimato da tutti e gradito all’elettorato moderato, sui cui pesa, però, la collaborazione con Craxi e, quindi, l’ostilità di Di Pietro. A sorpresa viene scelto Rutelli, leader della nascente Margherita nata dai Democratici di Prodi e che deve la sua popolarità al ruolo di sindaco di Roma, conquistata a scapito di Fini nel 1993. La personalizzazione della politica è un elemento imprescindibile e Rutelli ha le carte in regola per affrontare Berlusconi: il modo in cui si presenta, l’accento, il linguaggio semplice e persino la bella moglie, sono elementi a suo favore nello scontro telecratico tanto caro a Berlusconi. Contano anche le notevoli doti manageriali mostrate durante la guida della capitale; è anche gradito al mondo ecclesiastico grazie al riuscitissimo Giubileo del 2000, cosa non da poco, ma non sufficiente per cambiare le sorti di una sconfitta annunciata. La sinistra è sempre più frammentata e le molte formazioni nate sono spesso in conflitto tra di loro: è dubbia la lealtà all’Ulivo da parte di questi soggetti e dei loro elettori. Lo stesso La Malfa abbandona il Pri per passare al Polo; l’accordo con l’Idv fallisce e Rc rimane nuovamente fuori dalla coalizione. La rivincita di Berlusconi: la vittoria di Berlusconi, una volta riallacciata l’alleanza con la Lega, è scontata. Ma il merito non è solo della potenza mediatica della Casa delle Libertà; intorno a Berlusconi si coagula quel blocco di interessi economici e sociali che L’Ulivo non ha saputo rappresentare. Questione settentrionale e meridionale si ripropongono e Berlusconi firma un “contratto” con gli italiani con cui promette di occuparsi dei loro interessi: maggiore imprenditorialità del sistema statale e sgravi fiscali, pensioni generose, lavori pubblici, lotta alla criminalità, leggi anti-immigrazione, ammodernamento di scuola e sanità. Nel proporzionale Fi arriva al 29.4% e guadagna il 9% rispetto al 1996. La confluenza di Bossi è determinante perché garantisce una più ampia maggioranza in entrambe le camere. Gli alleati delle Casa delle Libertà Lega: Bossi sa bene che il suo partito è in declino come testimonia la scissione in Veneto e ha bisogno di incassare in brevissimo tempo risultati visibili per bloccare la fuga dalla Lega e riesce a concordare la devolution con Berlusconi (Riforma del titolo V della Costituzione – l. Cost. 3/2001. Lo Stato centralizzato amplia le competenze legislative e amministrative delle autonomie territoriali, conferendo loro nuove funzioni - Federalismo). Il ministro dell’economia Tremonti è l’incaricato per tessere il rapporto tra Bossi e Berlusconi, con la sua politica gradita alle piccole e medie imprese del Nord. Se Bossi non avesse impostato una leadership dittatoriale, sarebbe stato per lui difficile far accettare al popolo della Lega l’alleanza con i “ricchi affaristi” e con i “fascisti”. An e Udc: pagano il dazio di questa inusuale alleanza. Il tema della devolution non è gradito ad An, sostenitore dei valori nazionali. Fini deve però piegare la testa e cerca un’intesa con Ccd e Cdu (che poco dopo diventano Udc: Unione dei democratici cristiani) per bilanciare l’asse Lega-Fi. Casini ritiene di poter manovrare anche gli ex democristiani che in Fi appaiono ostili alla Lega, come Formigoni. Le carte nelle mani dei cattolici sono più del peso effettivo dei loro voti, per via del potere coalittivo e, soprattutto, l’Udc può approfittare dell’inesperienza al governo Berlusconi. La determinazione a durare del cavaliere lo costringe a piegarsi ai diktat degli alleati, anche se matura la convinzione di quanto sia inefficace la democrazia rappresentativa e di quanto sarebbe più facile governare in una telecrazia. 8.2 La XIV Legislatura (2001-2006) I primi ostacoli sulla strada del governo: due fattori internazionali si pongono come ostacolo sulla strada di Berlusconi. L’entrata nell’euro è una vittoria dell’Ulivo, giunta grazie alla politica di rigore che Tremonti vuole smantellare. Il passaggio dalla lira all’euro determina una riduzione del potere d’acquisto e alimenta una speculazione e una corsa al rialzo dei prezzi. L’Italia è stata ammessa di un soffio e la necessità di contenere i conti pubblici non è venuta meno. E’ difficile, quindi, applicare la politica di deficit spending. L’11 settembre, poi, innesca una fase recessiva in tutto l’Occidente e le guerre in Iraq e Afghanistan sollevano timori e sfiducia negli investitori; a ciò si aggiunge un aumento del prezzo del petrolio. Di fronte a ciò appare incongruo che i primi problemi affrontati siano stati quelli in materia di giustizia e comunicazioni, ma, in realtà, il cavaliere vuole solo risolvere i suoi problemi personali, motivo per cui entrò in politica nel 1994. Collocando il leghista Castelli come guarda sigilli, vuole assicurarsi la lealtà di Bossi, costretto ad assumersi la responsabilità sulle nuove normative sul diritto societario. Sono numerosi i provvedimenti che sembrano ad hoc per azzerare i reati contestati a Berlusconi: derubricazione del falso in bilancio, disposizioni che rendono complesso il meccanismo delle rogatorie internazionali, sono i primi passi per svuotare le inchieste e i processi contro il cavaliere. An provvede con Gasparri alla prosperità delle sue aziende con una legge sulle emittenze. La sinistra accusa il premier di fare leggi ad personam perché è indubbio che tragga vantaggi da queste disposizioni. Anche le leggi sul conflitto di interessi sono troppo blande e come se non bastasse, il cavaliere assume anche il controllo della rai, spartita tra gli alleati della Casa. La scelta di affiancare Bush nella politica di guerra è un’altra delle scelte contestate dalla sinistra. Se l’avvallo dell’Onu per l’intervento in Afghanistan convince l’Ulivo, altrettanto non si può dire per quello in Iraq, che vede spaccati gli stati come la politica italiana, con le opposizioni che si schierano compatte contro il governo con la forza dei movimenti pacifisti. Un’altra stagione di movimenti: la sconfitta del 2001 ha un effetto paralizzante nel centrosinistra; la sensazione è che i partiti ulivisti siano impegnati a mettere ordine al loro interno, come i Ds, che eleggono come loro segretario Fassino al posto del neo-sindaco di Roma Veltroni. L’arrivo di Fassino è un successo dell’ala riformista di D’Alema sulle sinistre (che europee del 2004 Fi perde 9 punti, arretra anche An, mentre Lega e Udc guadagnano qualche punto. La sofferenza di An è dovuta alle difficoltà della base di riconoscersi in un partito che si sta trasformando in forza moderata e i cui dirigenti litigano per pezzi di potere; il disagio esplode quando Fini si pronuncerà contro politica di discriminazione razziale; si profila la scissione guidata da Storace. Il successo dell’Udc invece sta nei connotati democristiani che i quadri del partito non vogliono alterare e la vocazione a mediare: il dialogo che Casini imbastisce coinvolge la Casa, l’Udeur e perfino la Margherita. L’Udc non vede di buon occhio Berlusconi e ciò emerge in una contestazione della sua leadership. La cosa peggiora mentre si avvicinano le regionali del 2005. Invece di far quadrato i partiti della Casa si fronteggiano, ricompattandosi solo per criticare il cavaliere; An e Udc si preparano a un futuro senza Berlusconi. Sarebbe la fine del bipolarismo visto che nasceva con la sua persona. Subito prima della scadenza elettorale per le politiche del 2006, consigliato dagli alleati e dai suoi esperti, disegna in fretta una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e sbarramento del 2%. Iniziata criticata dalle sinistre, ma solo di facciata, visto che in realtà, molti partiti dell’Ulivo sono bel contenti del ritorno al proporzionale. La rimonta dell’Ulivo: il trend positivo che porta alle politiche del 2006 con la crescita alle europee e la vittoria alle regionali (12 su 14), conferma che si sta arrivando alla fine dell’era Berlusconi. Esaurito il suo mandato, Prodi torna in Italia, deciso di non farsi abbattere dai suoi stessi partner; perfino la crescita della margherita non ha significato un suo rafforzamento, dato che i prodiani sono solo una corrente del partito che ha visto la leadership di Rutelli per tutta la legislatura. Prodi vuole liberarsi dalla posizione di candidato di bandiera, privo di potere decisionale e mero esecutore degli ordini dei partiti dell’Ulivo. Rilancia l’idea di partito unico, con i prodiani motori del cambiamento in modo da acquisire un ruolo centrale. La creazione di questo partito è tormentata; nessuno vuole privarsi dei propri spazi. I punti di vista sono molto diversi tra Margherita e Ds e non possono essere accomunati solo dal tema del riformismo. Uno dei maggiori problemi è il tema della laicità, diventato centrale visto il crescere dell’immigrazione e, quindi, del numero di fedi religiose con cui dialogare; per non parlare del rispetto delle diversità in riferimento a matrimoni, convivenze, adozioni, interruzione di gravidanza, eutanasia, terapia del dolore, uso delle droghe. Sono tutti temi su cui Ds e Margherita non riescono a trovare una posizione comune. Il primo passo è la lista Uniti per l’Ulivo che si attesta al 31,1%; Prodi non tentenna sulla scelta di andare avanti nemmeno col ritorno al proporzionale, che spingerebbe ogni forza politica a massimizzare i propri consensi. Il dibattito interno vede vincere le posizioni di Prodi ma il cartello comprende solo Ds e Margherita; i socialisti sono contenti di doversi smarcare dalla tutela dei Ds e vedono nell’Ulivo lo spettro del compromesso storico tra Pci e Dc e Pannella, che aveva abbandonato la Casa poiché i temi a lui cari non vi trovano spazio, li invita a unirsi ai radicali con cui condividono libertarismo e laicismo. Una nuova contesa si apre nell’Ulivo, ora Unione, quando Prodi intende accogliere Bertinotti che cerca di cancellare l’impronta più estremista del suo partito per non essere emarginato. La partnership consentirebbe di guadagnare spazio e visibilità e di accogliere la sinistra diessina che non vede di buon occhio questa fusione. I Ds non sono d’accordo mettono in discussione la leadership di Prodi che per legittimarsi chiede il pronunciamento della base con le primarie: ha una vittoria schiacciante e Bertinotti otterrà il nulla osta per entrare in coalizione. Il pareggio elettorale: durante la campagna politica per le elezioni del 2006 riemerge il Berlusconi carismatico e populista. Gli elettori sono convinti che il cavaliere nella successiva legislatura potrà realizzare ciò che si era riproposto. Parla ottimisticamente di un periodo nero e di crisi ormai lasciato alle spalle e dipinge l’Unione come una coalizione triste e rancorosa, che tasserà gli italiani; evoca lo spettro del comunismo alimentato dalla presenza di Rc con Bertinotti con cui il cavaliere si confronta proprio per rimarcare la distanza, mentre rifiuta il confronto con Prodi al quale non può dare l’etichetta di comunista. La campagna elettorale dell’Unione si basa sul rimarcare come il cavaliere abbia fallito nei suoi impegni e sulla demonizzazione dell’avversario; tutto ciò compatta la casa e trasforma le elezioni in un “Berlusconi sì, Berlusconi no”. Prodi accettata la personalizzazione dello scontro, con i suoi toni pacati spiega agli italiani la situazione difficile dei conti pubblici. L’Unione non conquista la maggioranza in Senato, mentre alla Camera ha un certo vantaggio. La vittoria così labile scatena la richiesta di nuovo conteggio delle schede da parte della Casa e la situazione di stallo dura settimane e le elezioni dei presidenti delle Camere e del presidente della Repubblica accendono ancor di più il conflitto. Bertinotti va alla Camera, Marini della Margherita al Senato e il diessino Napolitano come Capo dello Stato. Queste scelte allontanano l’ipotesi di una grande coalizione, come invece era accaduto in Germania. La divisione dell’Italia politica è difficile da ricomporre e l’aspro scontro elettorale non aiuta un accordo tra i poli. La ricerca di identità da parte delle forze politiche mostra che la transizione non è ancora compiuta e lede in modo pesante la stabilità del sistema.
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