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Burnout: Intervista a una infermiera affetta dalla sindrome, Guide, Progetti e Ricerche di Psicologia

Un'intervista a alessandra bruno, una infermiera professionale affetta dal burnout, una sindrome di esaurimento emotivo e fisico causata da stress e sforzi lavorativi protrattici. La donna descrive il suo percorso lavorativo, i turni, i pazienti e le difficoltà organizzative che hanno contribuito al suo stato di burnout. Anche una breve introduzione alla sindrome e considerazioni personali della sottoscritta.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2018/2019

Caricato il 21/03/2019

anna_b98
anna_b98 🇮🇹

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Scarica Burnout: Intervista a una infermiera affetta dalla sindrome e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Psicologia solo su Docsity! Anna Brigante 27/03/2017 IL BURNOUT Alessandra Bruno, infermiera professionale Intervista ad un’infermiera affetta dalla sindrome di burnout in seguito all’assunzione presso un RSA. Breve introduzione alla sindrome e considerazioni personali della sottoscritta. 27/3/2017 1 Intervista Alessandra Bruno Da quando hai cominciato a lavorare nella RSA? Sono 7 anni che lavoro in questa struttura residenziale. Precisamente da quando ho perso il posto nell’ospedale della mia città in seguito a dei tagli del personale. Da quel giorno piena di coraggio ho iniziato a fare varie domande di lavoro e a spedire il mio curriculum vitae per le varie strutture private della provincia, oltre che a tentare vari concorsi pubblici. Quando finalmente mi hanno assunta ero felice del mio lavoro e l’ambiente sembrava apparentemente tranquillo e ben organizzato, i colleghi erano veramente cordiali e i pazienti molto calmi e gentili ed inoltre la struttura di trovava a 4 km da casa. Dopo circa 5 anni la struttura ha chiuso e siamo stati trasferiti. Questi ultimi 3 anni sono stati e sono l’inferno. Sono cambiati i colleghi, i pazienti con i quali ho a che fare sono molto più gravi, con patologie e caratteristiche complesse, l’organizzazione è pessima e tutto questo causa in me una tale angoscia che delle volte lascerei tutto per ritirarmi in me stessa e non tornare a lavoro mai più. Quali sono gli orari dei turni lavorativi? Gli orari sono simili a quelli degli ospedali pubblici. La mattina mi sveglio alle 5:00 parto alle 6:00 e monto alle 7:00 circa, smonto alle 13:30 e arrivo a casa verso le 14:30. Il pomeriggio parto da casa alle 12:10 e prendo servizio alle 13:30 fino alle 21:00 per poi arrivare la sera alle 22:00. Mentre il turno di notte comincia alle 20:30, quindi parto da casa alle 18:45 e smonto la mattina alle 7:00, naturalmente rientro a casa alla 8:00. Sono turni molto lunghi tenendo in considerazione il tipo di lavoro che si svolge e il viaggio che devo affrontare per arrivare a lavoro e tornare a casa. Quanti pazienti sono presenti nella struttura? In tutto ad oggi sono presenti 58 pazienti, naturalmente il numero varia in continuazione, in base ai decessi e ai nuovi arrivi. Apparentemente non sembrano molti, ma in realtà sono molti rispetto al personale in turno durante la giornata; infatti per ogni turno è presente un solo infermiere, insieme ad un OSS e di mattina e a pomeriggi alternati un medico, raramente gli OSS e gli infermieri sono doppi. Quindi oltre al mio lavoro, curare i pazienti a livello infermieristico mi tocca dover aiutare gli OSS per permettergli di terminare in tempo tutto. Sono sposata con 2 figli quindi il lavoro non finisce lì, ma continua a casa e non è più sostenibile per me. Con quali tipi di pazienti lavora? I pazienti con cui lavoro sono quasi tutti molto gravi, in quanto sono per lo più malati terminali arrivati in seguito una dimissione ospedaliera attraverso un ricovero protetto. Quindi non è sempre facile gestirli, pochi sono coscienti e quelli che non lo 27/3/2017 4 di rilassarsi e di recuperare, mancanza di energia per affrontare nuove situazioni, nuove persone, nuove sfide. • Cinismo: la persona assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e delle persone che incontra sul lavoro, diminuisce o azzera il proprio coinvolgimento emotivo nel lavoro. Queste reazioni rappresentano il tentativo di proteggere se stessi dall’esaurimento e dalla delusione, si pensa di essere più al sicuro adottando un atteggiamento di indifferenza, specialmente quando il futuro è incerto. • Inefficienza: nella persona cresce la sensazione di inadeguatezza, qualsiasi progetto nuovo viene vissuto come opprimente. Si ha l’impressione che il mondo trami contro ogni tentativo di fare progressi, e quel poco che si riesce a realizzare, appare insignificante, si perde la fiducia nelle proprie capacità e in sé stessi. Il burnout non rappresenta un problema che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia” contagiosa che si propaga dall’utenza all’équipe, da un membro dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti e può riguardare quindi l’intera organizzazione. Alcune delle cause specifiche possono essere il sovraccarico di lavoro, crollo del senso di appartenenza, valori contrastanti o anche scarsa remunerazione. Mentre per quanto riguarda l’ambito personale troviamo le caratteristiche della personalità, quali l’introversione, la tendenza a porsi obiettivi irrealistici, l’adozione uno stile di vita iperattivo, una personalità autoritaria, la sostituzione della vita privata con il lavoro, concetto di se stessi come indispensabili. Sul posto di lavoro spesso l’organizzazione dello stesso gioca un ruolo importante, le tensioni, le richieste di responsabilità eccessive incompatibili con il proprio ruolo, un sovraddosaggio di funzioni, la turnazione lavorativa innescano nel soggetto delle reazioni esagerate, come se esso stesso fosse impossibilitato ad affrontare e superare degli ostacoli. La sindrome è caratterizzata da manifestazioni quali nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità delle persone, sia tra di loro sia verso terzi; Il soggetto colpito da burnout manifesta anche sintomi somatici: insorgenza di patologie varie(ulcera, cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.) e sintomi psicologici: rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, negativismo, indifferenza, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, isolamento, sensazione di immobilismo, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi. Tale situazione di disagio molto spesso porta il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo. 27/3/2017 5 Relazione In seguito all’assegnazione di questo caso ho incontrato, Alessandra Bruno, una donna di 38 anni, sposata e con due figli. Lavora in un RSA come infermiera professionale e si occupa generalmente di soggetti anziani affetti da gravi patologie, quasi tutti in fin di vita. Purtroppo in seguito al trasferimento da una struttura all’altra, oltre ad essersi allontanata da casa ha trovato un clima totalmente differente da quello che aveva lasciato. I colleghi con cui deve lavorare non sono soggetti cordiali e spesso sono in conflitto per delle banalità. Alessandra a distanza di 7 anni da quando ha cominciato a lavorare si sente in gravi difficoltà, nel senso che non vuole più lavorare e vorrebbe non rivedere alcune persone. È spesso nervosa e questo grava anche sulla famiglia, i suoi figli ne risentono molto e anche il marito che in dei momenti fa difficoltà a riconoscere la donna che ha a fianco. È chiaro che Alessandra è affetta dalla Sindrome di Burnout. L’atteggiamento così negativo della ragazza può compromettere seriamente il benessere della sua persona, il suo equilibrio psico-fisico e la sua capacità di lavorare; infatti vari studi hanno dimostrato che il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale opera. Il lavoro modella il modo in cui le persone interagiscono tra di loro e il modo in cui ricoprono la propria mansione. Quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro stesso, il rischio di burnout aumenta. Questi problemi a livello lavorativo, i conflitti con i colleghi, il continuo accudire soggetti in stato di bisogno ha innescato in lei dei meccanismi che fanno capire che la donna ha bisogno di aiuto per risolverli. Per evitare che la sindrome del burnout, deteriori sia la vita lavorativa, sia la vita privata della persona, bisogna intervenire con efficacia. Riconoscere la sindrome del burnout non è così facile, spesso si tende a ricondurre il tutto come un problema dell’individuo e non del contesto lavorativo nel suo insieme, allo stress o ad un periodo negativo che presto passerà. Ma effettivamente non è così. Le organizzazioni quasi sempre ignorano questo problema e questo rappresenta un errore molto pericoloso, in quanto il burnout può incidere pesantemente sull’economia dell’intera organizzazione. Infatti un soggetto che soffre di questa sindrome potrebbe commettere degli errori seri o meno seri, che potrebbero costare ai pazienti oltre che ai datori di lavoro e a se stessi. L’aiuto maggiormente efficace per la singola persona, in questo caso per Alessandra, è sicuramente un intervento da parte di un professionista competente in materia che possa fornire strumenti cognitivi, favorire una maggiore comprensione/consapevolezza del problema, aiutare a comprendere le relazioni esistenti tra il comportamento personale, il proprio vissuto ed il contesto di vita e lavorativo, modificare il proprio comportamento e i propri atteggiamenti in coerenza con quanto acquisito. L’incontro con lo specialista insegnerà ad Alessandra a gestire la sua vita in modo più adeguato, e a far sì che possa organizzare la sua vita privata, la famiglia e il lavoro in modo migliore; e soprattutto che possa crescere a livello personale per potersi lasciare alle spalle rapporti superflui e complicati. 27/3/2017 6
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