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sindrome di Down e disabilità, Appunti di Psicologia

descrizione delle disabilità, sindrome di Down con esami prenatali e post natali, integrazione sociale, scolastica e lavorativa

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 17/05/2021

milena_solimine
milena_solimine 🇮🇹

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Scarica sindrome di Down e disabilità e più Appunti in PDF di Psicologia solo su Docsity! 1 LE DISABILITA’ Nel corso della storia le persone con disabilità sono state percepite e socialmente collocate in svariate maniere, segregandole, abbandonandole, discriminandole, dando loro assistenza, ma anche eliminandole. È a partire dagli anni Settanta che si iniziano a riconoscere i diritti alle persone con disabilità. Si cerca di far valere i diversi diritti dei disabili tenendo presente che esiste l'articolo 3 della Costituzione, dove si fa presente che "la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Il percorso compiuto dalla seconda metà del Novecento per garantire ai diversamente abili gli stessi diritti di tutti gli altri e la possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale non si è ancora concluso. La scena italiana di questi anni è segnata anche da un'ulteriore particolarità, l'uso di tre termini, dei quali risulta necessario chiarire il significato: menomazione, disabilità ed handicap. Questa distinzione viene fatta per la prima volta nel 1980 dall’OMS. Per menomazione viene inteso “qualsiasi perdita o anomalia delle strutture psicologiche a carico della delle strutture psicologiche, fisiologiche o anatomiche”. Essa è caratterizzata da anomalie, difetti o perdite a carico di arti, tessuti o altre strutture del corpo, incluso il sistema cognitivo. Ad esempio, l’anomalia cromosomica che caratterizza la sindrome di Down (47 cromosomi invece di 46) è una menomazione. La disabilità è definita come “qualsiasi restrizione o carenza, conseguente a una menomazione, della capacità di svolgere un’attività dei modi o nei limiti ritenuti normali per un essere umano”. Essa può avere carattere transitorio o permanente, reversibile o irreversibile progressivo o regressivo, e riguarda l’ambito della capacità funzionali, cioè la misura in cui una persona è in grado di assolvere a certe funzioni. Ad esempio, un bambino che a causa di un’anomalia cromosomica(menomazione) manifesta una disabilità intellettiva può essere più lento nell’acquisizione delle conoscenze, oppure nell’adozione di comportamenti autonomi come lavarsi e vestirsi. L’handicap è definito come la “situazione di svantaggio vissuta da una determinata persona, in conseguenza di una menomazione o di una disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio”, per cui un soggetto non può svolgere i normali compiti legati all’ambiente, in cui vive, alle richieste della società. Ad esempio una persona che fatica a rapportarsi agli altri a causa di un ritardo mentale ha un handicap. Da questa classificazione si evince che l’handicap può essere conseguenza di una menomazione senza che vi sia effettivamente uno stato di disabilità: è il caso di una deformità al volto che può comportare uno svantaggio sociale, ma non pregiudica alcuna funzione del soggetto. Abbiamo diversi tipi di disabilità, da quelle intellettive, a quelle motorie e ciascuna influisce sullo sviluppo psico-fisico e sul benessere degli individui che ne sono colpiti. Le disabilità possono essere suddivise in quattro grandi categorie a seconda delle strutture e delle funzioni corporee interessate:  Disabilità Sensoriali: sono quelle disabilità che interessano gli organi di senso (vista, udito, tatto, gusto, olfatto); 2  Disabilità Fisiche o Motorie: sono quelle disabilità che interessano la motricità e gli organi delle parti del corpo deputati al movimento;  Disabilità Intellettive: sono quelle disabilità che riguardano le funzioni intellettive e che possono essere verificate attraverso la valutazione del Quoziente Intellettivo della persona;  Disabilità Psichiche: sono quelle disabilità che riguardano la sfera psichica, psicologica e relazionale. Le cause della disabilità possono essere di diverso tipo:  Genetiche: insorgono al momento della fecondazione e riguardano alterazioni cromosomiche a anomalie del processo biochimico di costituzione delle cellule; ne è un esempio la sindrome di Down, provocato da un’anomalia cromosomica (47 cromosomi invece di 46);  Prenatali: insorgono durante il periodo gestionale, cioè durante la vita fetale; possono entrare a far parte di questa categoriale infezioni materne (ad esempio, se la madre contrae la rosolia o la toxoplasmosi durante la gravidanza il nascituro potrà subire danni al sistema nervoso), le intossicazioni da farmaci, droghe, alcol o l’esposizione alle radiazioni;  Perinatali: insorgono alla nascita, come la prematurità o l’anossia neonatale (dovuta al mancato apporto di ossigeno), i traumi da forpice o qualsiasi altra complicazione possa subentrare durante il parto;  Postnatali: insorgono dopo la nascita, come i traumi e le infezioni celebrali oppure le carenze alimentari, affettive e relazionali (secondo alcune teorie, infatti, i genitori che non soddisfano fin dai primissimi giorni i bisogni dei propri figli possono compromettere lo sviluppo intellettivo). SINDROME DI DOWN Tra le varie disabilità genetiche abbiamo la sindrome di Down. La sindrome di Down rientra tra le sindromi da aberrazione cromosomiche che sono così definite in quanto il corredo cromosomico del soggetto ne è alterato: si può avere un numero di cromosomi in difetto o in eccesso ma comunque diverso da quello normale di 46 cromosomi. La sindrome di Down è una disabilità intellettiva molto conosciuta. Prende il nome dal medico britannico John Langton Down, che nel 1866 ne individuò per primo le principali caratteristiche. Egli scoprì che la sindrome è provocata da un’alterazione cromosomica, a causa della quale nel nucleo di ogni cellula non vi sono 46 cromosomi ma 47; il cromosoma in più è il numero 21, e per questo è conosciuta anche con il nome di trisomia 21. La sindrome di Down è causata dalla presenza nel patrimonio genetico di un cromosoma 21 in più. Normalmente, nell'uomo sono presenti 46 cromosomi in ogni cellula, 23 di origine materna e 23 di origine paterna. Ogni persona possiede quindi - in ogni cellula - due copie di ogni cromosoma (con l'eccezione di quelli sessuali X e Y. Nelle persone affette da sindrome di Down, il cromosoma numero 21 è presente invece in triplice copia. Per questo si parla di trisomia 21. Nella maggior parte dei casi la trisomia 21 è dovuta ad un meccanismo chiamato non disgiunzione. Durante la formazione dei gameti (ovuli e spermatozoi), le coppie di cromosomi omologhi devono separarsi e ogni cromosoma deve andare in un gamete diverso. La non disgiunzione ha origine quando questo meccanismo non funziona correttamente: in uno o più gameti le coppie di cromosomi 21 non si separano. Questo succede soprattutto negli ovuli materni, e molto più 5 inserire l’ago deve essere scelto con estrema attenzione e cautela, assolutamente in una posizione lontana dalla testa del feto. Questo punto viene indicato con un segno sulla cute della madre. Con l’ecografo si segue, a video, l’avanzare dell’ago e una volta entrati, si aspira 1 ml di liquido. Questo primo campione viene buttato, in quanto potrebbe contenere cellule provenienti dalla madre. In seguito, si prelevano 20 ml di liquido amniotico che viene messo in due provette per essere analizzato. Al termine del prelievo si ripete l’ecografia e si controlla il battito cardiaco, per verificare che l’operazione non abbia comportato conseguenze sul feto. La gestante, dopo questo intervento, deve stare due giorni a riposo e segnalare al ginecologo qualsiasi anomalia (crampi, contrazioni, perdite). Dopo una settimana, deve ripetere l’esame ecografico. La villocentesi è un’indagine che viene effettuata tra la nona e la dodicesima settimana di gestazione. Come tutti gli esami invasivi ha una percentuale di rischio di abortività e deve essere eseguita da personale preparato e di buona esperienza. Il prelievo consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di villo coriale (parte fetale della placenta) per via transaddominale. Deve essere effettuato con ago sottile e sotto stretto controllo ecografico. Una parte delle cellule fetali si presta ad una analisi immediata e offre la possibilità di disporre nel giro di due giorni circa dei primi risultati. L’esame colturale più approfondito richiede globalmente due settimane. Quest’esame viene eseguito per verificare l’eventuale presenza di anomalie cromosomiche. La villocentesi rispetto all’amniocentesi fornisce di vantaggio di conoscere prima la mappa cromosomica del nascituro. Per tanto se si verifica la necessità di un’interruzione volontaria di gravidanza, questo tipo di indagine consente di effettuare un aborto terapeutico con minori complicanze mediche, poiché il feto in tale periodo è in una fase di sviluppo iniziale. La funicolocentesi viene effettuata dalla diciannovesima settimana di gestazione: è un esame invasivo con elevato rischio di abortività. Questo esame consiste nel prelievo del sangue fetale, inserendo un ago nel cordone ombelicale. Sotto stretto controllo ecografico. Questo esame ha l’obiettivo di ottenere un campione di sangue di almeno 2 ml dalla vene ombelicale. L’esame deve essere eseguito dopo uno studio ecografico preliminare, che evidenzi l’esatto punto di ingresso del cordone ombelicale nell’addome del feto. Rispetto all’amniocentesi, questa indagine ha il vantaggio di permettere l’esecuzione della mappa cromosomica in un tempo più breve. Generalmente viene usata nel caso in cui la gestazione alla ventesima/ventiduesima settimana, mostra segni di sofferenza fetale e imponga di conoscere il cariotipo in tempi brevi anche per poter eseguire un interruzione volontaria di gravidanza entro il termine previsto dalla Legge 174/1978. La funicolocentesi eseguita dopo la ventiduesima settimana di gestazione permette di evidenziare malattie metaboliche o emoglobiniche. Inoltre attraverso questa indagine si possono scoprire infezioni e sofferenze fetali e pertanto somministrare farmaci direttamente al feto. INDAGINI NEONATALI Le indagini neonatali vengono effettuate subito dopo la nascita del neonato seguendo uno specifico protocollo regionale , le cui indicazioni sono riferibili, se pur con alcune variabili, a tutto il territorio nazionale. Alla nascita, la diagnosi di sindrome di Down viene fatta sulla base delle caratteristiche fisiche del neonato. La conferma proviene dallo studio del corredo cromosomico tramite il prelievo di un 6 campione di sangue per determinare l'eventuale presenza di una copia soprannumeraria del cromosoma 21 nelle cellule del bambino. Molto utile è anche il test di Apgar prende in considerazione le capacità vitali del neonato e viene effettuato ad uno e cinque minuti dalla nascita. Consiste nel valutare cinque parametri vitali del neonato: attività cardiaca, attività respiratoria, tono muscolare, reattività agli stimoli e colorito cutaneo. A questi parametri viene assegnato un punteggio compreso tra zero e due punti. Dalla somma dei singoli valori si ottiene l’indice totale. Il neonato è normale quando l’indice totale è compreso tra sette e dieci punti; è moderatamente a rischio quando il punteggio è compreso tra quattro e sei. Quando il punteggio è inferiore a tre punti, il bambino è ad alto rischio e in tal caso deve essere sottoposto a terapia intensiva di rianimazione. Questo test viene preso in considerazione per confermare la presenza della sindrome di Down perché uno dei parametri analizzati è il tono muscolare poco presente nei soggetti affetti da sindrome di Down. INTEGRAZIONE SOCIALE Il termine integrazione indica quel processo che permette di aggiungere a un intero, le sue parti mancanti, per renderlo completo e armonioso. Utilizzando una metafora, possiamo paragonare l’integrazione alla creazione di un mosaico, in cui ogni tessera è fondamentale a rendere il risultato d’insieme soddisfacente. Analogamente, nel campo dell’integrazione sociale a fungere da “tessere” che contribuiscono a determinare l’intero sono la famiglia, la scuola, il lavoro. Si può affermare che l’essere umano si sente integrato socialmente se è protagonista attivo in ognuno di questi ambiti, ossia se riesce ad acquisire un ruolo ben preciso al loro interno, ad assolvere determinati compiti e funzioni, a collaborare con altri soggetti in tali contesti e a condividere situazioni, eventi e decisioni. L’integrazione si distingue dall’inserimento, che implica il semplice “entrare a far parte” di un contesto fino a quel momento sconosciuto ed estraneo, senza portare alcun contributo personale. L’inserimento, che da solo non è sufficiente per provare quel senso di completezza, è comunque una premessa indispensabile dell’integrazione, poiché quest’ultimo senza di esso non potrebbe avere luogo. Nell’ambiente socio - sanitario è fondamentale creare le 7 condizioni favorevoli affinché gli utenti con cui si lavora possano raggiungere l’integrazione sociale. Occorre quindi adoperarsi non soltanto per inserire i soggetti appartenenti alle fasce deboli all’interno di determinati contesti (scolastici, lavorativi, ecc.), ma anche per fare in modo che essi vi trovino una collocazione bene precisa e possano dare il proprio apporto. L’obiettivo degli operatori socio-sanitari che si occupano dei soggetti diversamente abili deve essere non soltanto l’inserimento dell’utente in un certo contesto, ma anche la sua integrazione e la sua inclusione. Quando si parla di inserimento ci si riferisce a quel processo grazie al quale l’individuo entra a far parte di un contesto nuovo, a lui estraneo. L’integrazione si verifica dopo l’inserimento, quando l’individuo finalmente assume un ruolo specifico nel contesto in cui è inserito, partecipando attivamente alla vita sociale. L’integrazione comporta l’accettazione dell’altro (senza discriminazioni) all’interno di una realtà che, tuttavia, resta sostanzialmente invariata. L’inclusione, invece, prevede una modifica del sistema in cui la persona si è integrata , sulla base delle sue esigenze e delle relazioni che si vengono a creare con la sua presenza. L’ottica inclusiva consiste quindi in un’apertura totale dell’altro, al fine di renderlo a tutti gli effetti membro della collettività. Si può fare un esempio concreto riferendoci all’ingresso di un alunno diversamente abile in una classe nuova. L’inserimento connota i primi giorni di scuola, nel corso dei quali il ragazzo è introdotto nel nuovo contesto. Dopo un po’ di tempo l’alunno potrà integrarsi nell’ambiente, partecipando alle attività della classe (eventuali uscite didattiche, progetti, conferenze, ecc.), svolgendo i compiti a lui richiesti (esercizi, verifiche, interrogazioni, ecc.) e instaurando con i compagni rapporti proficui. In questo caso, però, è l’alunno che si deve adattare alla classe, mentre con l’inclusione accade il contrario: la classe si adatta al nuovo alunno, valorizzando la differenza di cui è portatore e facendo in modo che tutti i compagni traggano vantaggio da essa. Nello specifico, l’insegnante può avvalersi di strategie didattiche e di metodologie apposite (mappe concettuali, schemi, diagrammi, lavoro di gruppo o a coppie, ecc.), che possono essere particolarmente utile allo studente diversamente abile, ma che, allo stesso tempo, si rivelano una risorsa anche per gli altri e favoriscono uguali condizioni di apprendimento. L’integrazione sociale dei soggetti con cui l’operatore si relaziona dipende anche da fattori esterni agli individui, come la qualità dei servizi socio-sanitari presenti sul territorio e le caratteristiche degli ambienti da loro frequentati, quali la scuola o il luogo di lavoro. La qualità dei servizi socio- sanitari è determinata, a livello generale, dalla capacità che essi hanno di:  lavorare in rete, sfruttando tutte le risorse presenti sul territorio che possono favorire l’integrazione dei soggetti svantaggiati; a questo proposito è fondamentale il ruolo giocato dagli enti locali e dal terzo settore, come le cooperative sociali, le associazioni di volontariato, ecc.;  occuparsi della persona non soltanto nell’emergenza e nelle situazioni di crisi, ma anche nella sua globalità e nell’intero percorso esistenziale che la contraddistingue, adottando una prospettiva che vada al di là dei problemi contingenti del presente e si proietti nel futuro. A livello più specifico, poi, entrano in gioco altri fattori quali la capacità di fornire al soggetto svantaggiato gli strumenti utili alla sua integrazione, considerando le sue risorse individuali, stimolando lo sviluppo delle sue potenzialità e indirizzandolo verso percorsi adeguati alle sue propensioni. Tutto questo non è sicuramente realizzabile se non si adotta un’ottica centrata sulla 10 che il linguaggio viene appreso soprattutto dall’interazione con gli altri. Ecco perché è necessario parlare al bambino fornendogli un modello semplice ma corretto da imitare, ed è essenziale incoraggiare qualunque tentativo evitando di correggerlo costantemente. Una considerazione da tener presente, in tal modo, riguardo il fatto che il bambino, anche se diversamente abile, deve essere comunque protagonista del suo apprendimento. Naturalmente, il rapporto con gli altri, i genitori e i fratelli a casa, i coetanei a scuola, risulta fondamentale per la stimolazione del bambino, per favorirne l’apprendimento, l’acquisizione di un ruolo sociale e delle autonomie personali (per esempio, imparare a curare la propria persona, a cucinare, a uscire e fare acquisti da soli, ecc.). E’ soprattutto dall’osservazione di quello che il bambino è in grado di fare quando si trova con i coetanei o in ambienti diversi da quello familiare, come ad esempio la scuola, che si può meglio capire quali sono le sue potenzialità, spesso sottovalutate, e permettergli di esprimerle concedendo fiducia ai suoi tentativi. Per quanto abbiamo potuto osservare, può essere utile organizzare un intervento educativo globale che favorisca la crescita e lo sviluppo del bambino Down in un’interazione dinamica tra le sue potenzialità (come ad esempio, aumento del Quoziente Intellettivo) e l’ambiente circostante, piuttosto che compensare o recuperare una particolare funzione. È importante, infine, ricordare che ogni bambino è diverso dall’altro e necessita quindi di interventi che rispettino la propria individualità e i propri tempi. Questo ci suggerisce come la loro integrazione sociale, scolastica, lavorativa ha accresciuto il bisogno di trovare dei canali comunicativi idonei a comprendere le peculiarità e le potenzialità, e a superare le difficoltà di queste persone. In tal senso, per uno sviluppo armonico della loro personalità risulta fondamentale l’integrazione nel mondo degli altri bambini e nella scuola. Proprio per questo sosteniamo che l’intervento educativo sul bambino Down debba avere come obiettivo da raggiungere un buon livello di qualità della vita. Esistono poi anche interventi dedicati alla famiglia del bambino Down: è utile un intervento di sostegno psicologico molto precoce sulla famiglia, per ridimensionare e riequilibrare le ansie dei genitori, prepararli alle tappe dello sviluppo psicofisico del bambino, così da essere pronti ad intervenire, senza perdere tempo, quando lo si ritiene opportuno, e stimolarli a collaborare direttamente agli interventi educativi. INTEGRAZIONE SCOLASTICA La scuola è un ambito formativo di notevole importanza: le esperienze che si fanno al suo interno segnano profondamente il processo di crescita degli individui. Attraverso questa istituzione ogni cittadino ha la possibilità di sviluppare quegli aspetti cognitivi, affettivi e sociali che gli permettono di diventare autonomo e di essere protagonista delle proprie scelte di vita. Il processo di integrazione, quindi, non può esulare da una partecipazione attiva al contesto scolastico. 11 La scuola, soprattutto quella dell’obbligo, appare come il luogo più appropriato per favorire il superamento delle condizioni di emarginazione sociale che possono riguardare soggetti in condizione di disabilità o, più in generale, di difficoltà (come gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento quali la dislessia, la disgrafia, la disortografia, e la discalculia) o di svantaggio (come gli allievi stranieri o con problematiche comportamentali). Rispetto a questi soggetti la scuola si sta orientando verso un modello inclusivo. Fino agli anni Settanta del secolo scorso i disabili studiavano nelle cosiddette classi differenziali. Queste ultime si trovavano all’interno dei plessi scolastici e accoglievano non soltanto alunni con diverse disabilità, ma anche coloro che si trovavano in una situazione di svantaggio sociale, come bambini provenienti da paesi esteri o dal sud Italia, in cui l’analfabetismo era ancora molto diffuso. Per i bambini e i ragazzi che erano ciechi e sordi, invece, esistevano vere e proprie scuole speciali a loro riservate, in plessi distinti dalle scuole “normali”. Le classi differenziali erano state istituite con l’obiettivo di fornire ai ragazzi svantaggiati possibilità di apprendimento differenti, maggiormente graduate e calibrate sulle difficoltà di ciascuno. Il loro intento era quello di permettere a questi studenti di assimilare i saperi di base per favorire poi, in un secondo tempo, il loro rientro nelle classi regolari. In realtà questo reinserimento non avveniva quasi mai e questo configurerà le classi differenziali come un percorso parallelo a quello ordinario che privilegiò la logica della separazione e della differenziazione. La vera svolta giuridica in questa direzione si ebbe con la legge n.517 del 1977, che condusse la scuola italiana a inserire le persone diversamente abili nei contesti scolastico normale. Grazie a questa legge, oltre ad abolire le classi differenziali, si istituì l’insegnante di sostegno, figura specializzata con la funzione di supportare l’alunno diversamente abile nel suo percorso scolastico. Con il tempo si capì che inserire gli alunni diversamente abili nella scuola “normale” non era sufficiente per garantire l’effettivo sviluppo delle loro potenzialità. Ci si rese subito conto, infatti, che la capacità di accoglienza nella scuola non bastava a far sì che l’inserimento assicurasse risultati positivi, ma era necessaria una riorganizzazione complessiva della didattica e dell’offerta formativa. La scuola doveva non soltanto rivedere i suoi metodi di insegnamento e il suo sistema di valutazione, ma anche collaborare ampiamente con i servizi socio-sanitari presenti sul territorio al fine di creare una rete di sostegno intorno al soggetto diversamente abile. Gli atti normativi che hanno giocato decisivo in questo processo sono:  la legge n.104 del 1992, che sancisce il diritto all’istruzione e all’educazione dei soggetti diversamente abili e sottolinea l’importanza di creare ambienti favorevoli alla loro integrazione, anche attraverso un lavoro di rete con i servizi soci-sanitari del territorio;  il DPR del 1994 “atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie in materia di alunni portatori di handicap”, in cui si specifica che ogni alunno diversamente abile ha diritto a una diagnosi funzionale, un profilo dinamico funzionale e un piano educativo finalizzato, ai fini dell’integrazione scolastica. Il concetto di inclusione scolastica si collega alla necessità di attuare strategie educative che oltrepassano la logica dell’integrazione per abbracciare una più totalizzante, in gradi farsi carico dei cosiddetti bisogni integrativi speciali. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, con la legge n.59 del 1997 e il DPR n. 275 del 1999, le scuole si sono vista assegnare maggiore autonomia e, conseguentemente, più responsabilità progettuale, grazie alla quale hanno potuto tradurre in azione didattica e educativa la cultura dell’integrazione. La presenza di alunni con esigenze 12 diversificate ha fatto sì che le singole istituzioni scolastiche ripensassero i loro interventi in maniera flessibile, impegnandosi per divenire maggiormente capaci di rispondere alle richieste “speciali”dei propri alunni sia tramite la realizzazione di progetti specifici sia attraverso l’utilizzo delle tecnologie nella didattica. In questo modo la scuola è diventata una “comunità educativa”, il cui tratto caratterizzante è rappresentato dalla sua dimensione inclusiva, ossia dalla sua capacità di mutarsi con la diversità, adattandosi ad essa invece di imporre agli alunni l’adattamento. L’obiettivo di una scuola inclusiva è quello di soddisfare i bisogni educativi speciali. I bisogni educativi speciali sono esigenze educative particolari dettate da svariati fattori e condizioni come disabilità deprivazione sociale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana. L’espressone scuola inclusiva è diventata di uso comune in seguito all’emanazione della Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. L’espressione scuola inclusiva vuole indicare che tutto coloro che, per svariati motivi, sono in condizione di difficoltà oppure di svantaggio, come gli alunni con disabilità effettiva (intellettiva, sensoriale, motoria), con disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, gli alunni immigrati che non conoscono la cultura ne la lingua italiane, i ragazzi con problemi comportamentali o in condizione di deprivazione sociale e culturale. Un alunno appartenente a quest’ultima categoria, ad esempio, può necessitare di maggiori interventi di un soggetto con sindrome di Down. La differenza è che per il primo non sono previsti interventi specifici perché la legislazione in materia non li contempla, mentre per il secondo si attiveranno tutte le risorse possibili. Una logica dell’inclusione vera e propria mira dunque a superare questa distinzione oltrepassando i limiti imposti dalle etichette diagnostiche. INTEGRAZIONE LAVORATIVA Il lavoro è uno degli ambiti fondamentali della vita, attraverso il quale ciascuno può soddisfare i propri bisogni, applicare le proprie competenze e capacità, partecipare a un’organizzazione produttiva collaborando con altri individui e instaurando relazioni sociali più o meno significative. Per questi motivi l’ambito lavorativo gioca un ruolo essenziale nel processo di integrazione sociale, e se questo è vero per i soggetti che non presentano difficoltà particolari lo è ancora di più per i soggetti svantaggiati (diversamente abili, ex carcerati, ex tossicodipendenti). Le cooperative sociali sono imprese particolari che, come specificato dalla legge n.381 del 1991, hanno lo scopo di “perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini” tramite:  la gestione educativi e socio- sanitari (cooperative sociali di tipo A);  lo svolgimento di varie attività finalizzate a inserire nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati (cooperative sociali di tipo B). Esse non hanno finalità di lucro e la loro particolarità, rispetto alle società cooperative tradizionali (di credito, di produzione e lavoro, agricole, edilizie, ecc), risiede nel fatto che non nascono con l’intento di soddisfare non soltanto i bisogni dei soci, ma anche i bisogni collettivi della più vasta comunità locale di appartenenza.
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