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Sindrome metabolica e malattie dell'intestino - Prof. Della Morte, Prof. Pastore, Sintesi del corso di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione

riassunto completo di 40 pagine di tutto il programma d'esame. Prof. della morte. Prof. pastore

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 05/05/2020

loshn
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Scarica Sindrome metabolica e malattie dell'intestino - Prof. Della Morte, Prof. Pastore e più Sintesi del corso in PDF di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione solo su Docsity! SINDROME METABOLICA E MALATTIE DELL’INTESTINO Dolore Può essere di due tipi: • Dolore somatico: proviene da strutture innervate da nervi somatici (ad es. muscoli e articolazioni) o da nervi frenici (diaframma) • Dolore viscerale: proviene da strutture innervate da fibre viscerali sia simpatiche che parasimpatiche (ad es. dolore provocato dalla distensione della parete di stomaco o intestino o dovuto a irritanti chimici) Nella maggior parte dei casi il dolore somatico e quello viscerale si sommano, ad esempio se l’organo addominale coinvolge nel processo patologico anche il peritoneo che ha un’innervazione somatica. Si parla di corrispondenza metamerica quando il nervo viscerale e il nervo somatico, che condividono lo stesso metamero d’ingresso a livello spinale, condividono lo stesso territorio doloroso in periferia. Anoressia, nausea, vomito, rigurgito L’anoressia è letteralmente la mancanza di desiderio di assumere cibo (nelle persone anoressiche in realtà l’appetito è conservato) La nausea è la sensazione di disgusto per il cibo. Il vomito è l’emissione forzata di cibo dalla bocca, accompagnata da contrazioni addominali e diaframmatiche, spesso preceduto da nausea e malessere. Nel conato di vomito manca l’emissione di cibo per mancato rilasciamento del cardias. Il vomito può essere: acquoso, mucoso, alimentare, biliare, emorragico, fecaloide. Può essere dovuto a cause viscerali (ad es. gastrite), cause tossiche (ad es. chetoacidosi diabetica), cause centrali (ad es. stress o emorraggie cerebrali), cause otovestibolari (ad es. mal di mare). Il rigurgito è un ritorno nel cavo orale di materiale alimentare ingerito ma non digerito o succo gastrico senza la partecipazione dei muscoli addominali e del diaframma e non è preceduto da nausea o malessere. Stipsi e diarrea La stipsi è una ridotta frequenza delle defecazioni dovuta a un rallentamento del transito intestinale, può essere favorita da inattività fisica, dieta a basso contenuto di fibra, terapie farmacologiche, ipotiroidismo, megacolon etc. La diarrea consiste invece nella defecazione molto frequente con espulsione di feci non formate che possono assumere carattere acquoso ed essere accompagnate da dolore colico. Si distingue una forma acuta, dovuta ad es. ad infezioni gastrointestinali, da una forma cronica, secondaria ad es. a malattie infiammatorie croniche intestinali. Dispnea Senso di respirazione difficoltosa. Si distingue in: • Ortopnea: difficoltà respiratoria che compare in posizione supina • Dispnea parossistica notturna: ad insorgenza notturna in pazienti con scompenso cardiaco. Può riconoscere diverse cause: congestione, acidosi metabolica, patologie respiratorie (anossia, versamento pleurico, pleuriti, enfisema, asma etc.), obesità, cifosi dorsale, alterazioni SNC (neoplasie, encefalite, emorragia etc.) Febbre La febbre è un aumento anomalo della temperatura corporea, che è regolata dai centri di termoregolazione dell’ipotalamo, e mediato dall’azione di prostaglandine, si distingue dall’ipertermia, che è invece un aumento incontrollato della temperatura corporea che può verificarsi a causa di particolari condizioni climatiche (caldo, umidità, esposizione al sole) e che non è innescata dall’ipotalamo. La febbre comporta: • Aumento attività metabolica: circa 12% per ogni grado di temperatura • Aumento perdite idriche: circa 300-400 ml di acqua per ogni grado di temperatura • Aumento della frequenza cardiaca Si parla di iperpiressia quando la temperatura corporea supera i 40°C A seconda dell’andamento si distinguono: • Febbre continua: temperatura > 38°C con oscillazioni nelle 24 h < 1°C • Febbricola: temperatura < 38°C persistente nelle 24 h • Febbre remittente: le oscillazioni nell’arco della giornata superano il grado senza raggiungere i valori normali • Febbre intermittente: episodi febbrili intervallati da giorni di completa apiressia (ad es. nella malaria), se la febbre compare a giorni alterni si parla di terzana se invece è intervallata da 2 giorni di apiressia si parla di quartana • Febbre ondulante: febbre che aumenta in modo graduale per poi diminuire gradualmente nell’arco di alcuni giorni • Febbre ricorrente: periodi di febbre continua di alcuni giorni intervallati da periodi di apiressia Edema Tumefazione dei tessuti molli dovuta ad un accumulo di liquido interstiziale, ovvero trasudato dal plasma. Alla digitopressione permane una fossetta transitoria chiamata fovea. L’edema può essere: • Generalizzato e simmetrico: compare di frequente nelle regioni declivi (regione sacrale o AAII) e bilateralmente (processo sistemico), dovuto ad esempio a scompenso cardiaco o cirrosi epatica. • Localizzato e asimmetrico: che compare in territorio di patologie circoscritte Sincope Improvvisa e transitoria perdita di coscienza associata ad incapacità di mantenere il tono muscolare, si differenzia dalla lipotimia che, pur condividendone l’eziopatogenesi, non arriva alla perdita di coscienza. Si classifica in: • Vaso-vagale: è la forma più frequente e corrisponde al comune svenimento, dovuta di solito a fattori emozionali intensi che provocano un’attivazione del sistema vagale con diminuzione della frequenza di battiti cardiaci • Da gittata cardiaca inadeguata: a causa di disturbi cv (infarto, aritmie, stenosi aortica etc.) • Neurologica: sincope da vasculopatia occlusiva cerebrale L’associazione bupropione/naltrexone prevede l’uso di un inibitore della dopamina abbinato ad un oppioide, non ha effetti collaterali psichiatrici mentre può causare un aumento della PA. • Farmaci che riducono l’assorbimento di nutrienti: ad es. orlistat che agisce inibendo la lipasi intestinale, riducendo così l’assorbimento del 30% dei grassi ingeriti. Effetti collaterali sono diarrea, flatulenza, malassorbimento delle vitamine liposolubili. La tp andrebbe prolungata oltre i 3 mesi solo se il paziente ha perso almeno il 5% del suo peso. • Farmaci che aumentano il dispendio energetico MAGREZZA Con il termine magrezza si intende una condizione di marcata riduzione del peso (<15% del peso ideale) con diminuzione prevalente del tessuto adiposo (<5% massa corporea totale). Si distingue una magrezza primitiva (costituzionale) idiopatica da una magrezza secondaria che è sintomatica e conseguente a cause nutrizionali o patologiche. Nei soggetti con magrezza primitiva l’unica forma di spesa energetica che potrebbe differire rispetto a un soggetto normopeso o sovrappeso è la termogenesi alimentare che è caratterizzata da: • Termogenesi dieto-indotta obbligatoria: connessa al costo energetico della digestione, dell’assorbimento e dell’elaborazione dei substrati nutritivi • Termogenesi dieto-indotta facoltativa: esprime la dissipazione di energia sotto forma di calore non riferibile ai processi obbligati. Questa può aumentare ad esempio a causa di una minor efficienza di conversione glicogeno-lipogenetica del glucosio o a causa di una maggior termodispesione nel ciclo del glicerol-fosfato e nel trasporto transmembrana degli ioni sodio e potassio o per un maggior consumo termogenetico di ATP. Le magrezze costituzionali sono caratterizzate solitamente da familiarità e assenza di disturbi organici. Nell’ambito delle magrezze costituzionali si distinguono poi le forme steniche (basso tessuto adiposo) dalle forme iposteniche (basso tessuto adiposo ma anche ridotta massa muscolare e ossea). Le magrezze primitive rispondono scarsamente sia alla terapia farmacologica che alimentare e gli incrementi ponderali sono di solito transitori e poco consistenti. Le magrezze secondarie si manifestano in presenza di un bilancio energetico negativo per un tempo prolungato, possono essere causate da: • Insufficiente apporto calorico • Patologia digestiva: che può comportare un malassorbimento (ad es. cirrosi epatica, celiachia, etc.) • Alterata utilizzazione energetica: ad es. DM1 • Aumentato consumo energetico: ad es. esercizio fisico intenso • Anoressia nervosa La magrezza può dare diverse complicanze: riduzione delle secrezioni G-I, ritardo nella crescita, riduzione funzione linfocitaria, ipertensione arteriosa, ipotermia, aritmie, osteoporosi, disfunzione gonadica, stato di malattia frequente etc. SINDROME METABOLICA Condizione clinica che comprende una serie di fattori di rischio cardiovascolare che si manifestano contemporaneamente nell'individuo e che sono correlati allo stile di vita della persona e/o a situazioni patologiche. Colpisce principalmente la popolazione adulta dei paesi occidentali con il rischio che aumenta con l’età. Criteri diagnostici (ATP III) della sindrome metabolica sono: o Pressione arteriosa >130/85 mm Hg o Circonferenza vita >102 cm uomo, >88 cm donna o Glicemia a digiuno >110 mg/dl o Trigliceridemia >150 mg/dl o Colesterolo HDL <40 mg/dl uomo, <50 mg/dl donna E‘ sufficiente la copresenza di 3 di questi criteri per porre la diagnosi di sindrome metabolica. La sindrome metabolica si caratterizza quindi per l’accumulo di grasso in sede viscerale, il quale è sottoposto ad azione lipolitica con riversamento dei FFA nel circolo portale, questi raggiungono il fegato dove inducono insulino-resistenza, sintesi di VLDL e gluconeogensi. Insulino-resistenza e afflusso di acidi grassi liberi cauano NAFLD con possibile progressione verso NASH. Il maggiore afflusso di FFA a livello muscolare causa una riduzione della captazione di glucosio insulino-mediata. Al contempo il pancreas è costretto a compensare aumentando la secrezione insulinica e a lungo andare l’aumentato carico di lavoro, assieme alla lipotossicità, all’infiammazione e allo stress ossidativo danneggiano le beta cellule. Il genotipo/fenotipo thrifty (parsimonioso) è stato selezionato dall’evoluzione della specie perché chi vi appartiene tende ad accumulare energia, sopravvivendo così nei periodi di carestia alimentare, tuttavia oggi si trova svantaggiato dalla disponibilità di cibo che caratterizza la nostra era. La circonferenza vita, indipendentemente dal BMI, predispone a diabete, ipertensione, dislipidemia e rischio cardiovascolare. Effetti della sindrome metabolica sull’organismo o Fegato: steatosi epatica, aumento dei grassi liberi, riduzione del colesterolo HDL, aumento del colesterolo LDL, aumento dei trigliceridi, aumento della glicemia. o Muscolo scheletrico: perde la propria capacità di utilizzare in maniera efficace il glucosio, che resta quindi in circolo peggiorando l’insulino-resistenza. o Pancreas: lavora doppiamente per produrre gli alti livelli di insulina richiesta. L’eccesso di glucidi e lipidi risulta tossico per le beta-cellule che smettono di funzionare in maniera corretta fino all’insorgenza del diabete. o A livello sistemico: aumentano i livelli di leptina e calano i livelli di adiponectina (regola l'insulino- sensibilità), aumenta angiotensinogeno, aumenta il PAI-1, aumenta IL-6 e TNF-alfa, aumenta la PCR, queste variazioni contribuiscono a determinare dislipidemia, insulino-resistenza e infiammazione aumentando il rischio cardio-metabolico. Il trattamento della sindrome metabolica è la perdita di peso che riduce il rischio di complicanze, il trattamento farmacologico è mirato a trattare le singole patologie presenti (diabete, dislipidemia, ipertensione, etc.) ATEROSCLEROSI L’aterosclerosi è una malattia infiammatoria caratterizzata dall’alterazione della parete interna (tonaca intima) delle arterie di medio e grosso calibro che coinvolge diverse popolazioni cellulari: o Cellule endoteliali o Cellule infiammatorie (monociti, macrofagi, linfociti etc.) o Cellule muscolari liscie vascolari La placca aterosclerotica (o ateroma) consiste in un ispessimento dell’intima dovuto ad un progressivo accumulo di diverse popolazioni cellulari, materiale lipidico e tessuto connettivo. La placca è costituita da un core lipidico circondato da cappuccio fibroso, può essere eccentrica oppure concentrica. L’aterosclerosi è la causa più importante di insufficiente irrorazione sanguigna. Fattori che possono favorire l’insorgenza dell’aterosclerosi si distinguono in: o Modificabili: dislipidemia, diabete, ipertensione, stili di vita (tabagismo, obesità, alimentazione, sedentarietà etc.) o Non modificabili: età, sesso, etnia, familiarità Fisiopatologia dell’aterosclerosi: 1. Disfunzione endoteliale: I lipidi ossidati si depositano nella tonaca intima determinando disfunzione endoteliale, questo accade soprattutto a livello dei punti di ramificazione del sistema arterioso. Le cellule endoteliali attivate esprimono molecole di adesione (adesine) e producono molecole pro- infiammatorie, le quali richiamano cellule del sistema immunitario, in particolare monociti e linfociti. 2. Ingresso dei monociti: i monociti entrano nell’intima, si differenziano in macrofagi ed inglobano i lipidi all’interno della tonaca intima formando cellule schiumose che andranno a comporre il core lipidico della placca. Macrofagi e linfociti T producono citochine e fattori di crescita pro-infiammatoria inducendo così la migrazione e la proliferazione delle cellule muscolari lisce dalla tonaca media alla tonaca intima. Le cellule muscolari liscie migrate nell’intima cambiano il proprio fenotipo da “contrattile” a “fibrogenico”. 3. Formazione della cappa aterosclerotica: le cellule muscolari diventate di tipo fibrogenico formano la matrice della cappa fibrosa che si trasforma in placca aterosclerotica stabile, formata cioè dalla cappa fibrosa, da cellule muscolari fibrogeniche, da cellule muscolari contrattili e dal core lipidico. 4. Dalla placca stabile alla placca instabile: i macrofagi inducono l’apoptosi delle cellule muscolari lisce della cappa fibrosa, la quale si assottiglia e diventa instabile fino a provocare una fissurazione della placca. 5. Formazione del trombo: la formazione della lesione (fissurazione) della placca richiama piastrine (trombociti) che si aggregano con formazione di un trombo che si estende al lume riducendo ulteriormente l’ampiezza del vaso. Se il trombo si stacca può andare a causare un’embolia, ossia i suoi frammenti vanno ad occludere arterie a valle della placca. La rottura o meno della placca può essere determinata da: o Fattori locali: infiammazione della placca, dimensione e consistenza del core lipidico, spessore della cappa fibrotica ridotto o Fattori sistemici: iperlipidemia, diabete, ipertensione, tabagismo, iperomocisteinemia, iperfibrinogenemia. Le placche aterosclerotiche tendono a formarsi nei punti di ramificazione del sistema arterioso dove il flusso del sangue è più turbolento, come a livello di: arterie cerebrali, arterie coronarie, arterie carotidee e vertebrali, arco dell’aorta, arteria addominale, arteria renale, arteria iliaca, arteria femorale. Principali conseguenze dell’aterosclerosi sono: o Angina Pectoris: sindrome dovuta ad un temporaneo insufficiente apporto di sangue al muscolo • Glicazione delle proteine strutturali (ad es. HbA1c cede meno facilemente ossigeno ai tessuti, la glicazione concorre nella formazione della cataratta); • AGE (prodotti finali di glicazione avanzata che comportano aumento dei fattori di coagulazione ed endotelina e minor produzione di ossido nitrico); • Attivazione della via dei polioli (il glucosio è ridotto in sorbitolo che si accumula nelle cellule e ne aumenta l’osmolarità con conseguente danno cellulare); • Alterazione del metabolismo dei fosfoinositidi (l’accumulo di sorbitolo si associa a una riduzione del mioinositolo intracellulare che è importante per il funzionamento della pompa Na/K ATPasica); • Stress ossidativo Queste alterazioni, che causano danno ossidativo, sono alla base della patogenesi della microangiopatia. La retinopatia diabetica può avere complicanze acute come emorragie e distacco di retina e aumenta il rischio di cecità. La nefropatia diabetica predispone all’insufficienza renale, la microalbuminuria compare dopo circa 10-15 anni di malattia nei DM1 mentre è già presente nel 10% dei DM2 al momento della diagnosi, essa comporta un aumento della PA e progredisce in nefropatia conclamata nel corso di 10-15 anni. La microalbuminuria è un marker di rischio cv e può essere causata anche da altre condizioni come infezioni urinarie, ipertensione incontrollata o esercizio fisico troppo intenso. In caso di nefropatia la terapia prevede stretto controllo glicemico, dieta ipoproteica e stretto controllo pressorio. La neuropatia diabetica è caratterizzata da una diminuzione del numero di fibre nervose e da alterazioni strutturali di assoni, neuroni, cellule perineurali e cellule vascolari endoneurali. Si disinguono: polineuropatia sensitiva (caratterizzata da parestesie e dolori spesso agli AAII), neuropatia autonomica (compromissione di fibre del SN autonomo, caratterizzata da sudorazione; disfunzioni dell’apparato cv come tachicardia e ipotensione ortostatica; disfunzioni dell’apparato gastro-intestinale come stipsi e ritardo dello svuotamento gastrico; disfunzioni dell’apparato urinario come ritardo della minzione). L’ipertensione arteriosa è una conseguenza spesso presente nei diabetici: nei DM1 è correlata al danno renale e di solito non è presente alla diagnosi con un aumento proporzionale della diastolica e della sistolica, nei DM2 è correlata all’obesità, all’IR e all’età e solitamente è già presente alla diagnosi con un aumento prevalente della sistolica rispetto alla diastolica. • Complicanze acute: legate al DM1 e correlate agli sbalzi glicemici: coma chetoacidosico, iperosmolare, lattoacidosico, ipoglicemico. L’ipoglicemia può essere causata da un’eccessiva assunzione di insulina e/o da una ridotta assunzione di glucosio, essa provoca un’attivazione del SN autonomo con manifestazioni adrenergiche (tachicardia, tremore, ansia, fame, sudorazione) e neuroglicopenia (insufficiente apporto di zuccheri a livello cerebrale che può provocare disturbi visivi, vertigini, cefalea, fino a convulsioni e coma). La diagnosi è basata sulla triade di Whipple (presenza di sintomi + bassa glicemia + scomparsa di sintomi con ripristino livelli normali di glicemia). Si distingue dalla pseudo-ipoglicemia che invece è caratterizzata da sintomi simili ma senza un reale abbassamento glicemico. Rimedi: 15-20 g di CHO per OS da riassumere dopo 15-20 min se permane glicemia inferiore a 100 mg/dl; se il paziente è incosciente somministrazione ev di 30-60 ml di soluzione glucosata al 33% e poi continuare con infusione di glucosata a 10-20%, se non è presente accesso venoso allora glucagone 1 mg per via sottocutanea o intramuscolare. L’ipoglicemia a digiuno può essere con iperinsulinemia (dovuta a tp insulinica, tp con sulfaniluree, insulinoma etc.) oppure senza iperinsulinemia (dovuta ad alcool che può inibire gluconeogenesi, oppure deficit di GH o catecolamine o di glucagone, oppure epatopatie etc.). Se invece l’ipoglicemia compare in un paziente non diabetico, che non assume farmaci e non presenta patologie bisogna valutare il rapporto insulinemia/glicemia che deve essere inferiore a 0,4; se non lo è si deve effettuare il test del digiuno che consiste nella provocazione dell’ipoglicemia tramite un ricovero di 72 ore dove sono valutati ripetutamente glicemia, insulinemia e peptide C. Esiste un particolare tipo di ipoglicemia che è l’ipoglicemia reattiva (o postprandiale) che si manifesta di solito dopo 2-3 ore dopo i pasti e che può essere dovuta ad interventi chirurgici (ad es. gastrectomia o piloroplastica) che comportanto un accelerato svuotamento gastrico e quindi un rapido assorbimento di glucosio con conseguente ipersecrezione insulinica, oppure può comparire nel DM2 all’esordio oppure può essere dovuta ad un’aumentata sensibilità individuale all’insulina. La diagnosi dell’ipoglicemia reattiva si esegue con il test da carico di glucosio a 5 ore. L’iperglicemia iperosmolare non chetoacidosica è una complicanza acuta, più frequente del DM2, caratterizzata da marcata iperglicemia (> 600 mg/dl) in assenza di chetosi significativa e quindi con aumentata osmolarità plasmatica, grave disidratazione e ottundimento del sensorio. Può essere scatenata da polmoniti, infezioni virali acute, severa disidratazione e da alcuni farmaci (cortisonici, diuretici, etc.). • Insulina circolante: ridotta o assente in DM1; in DM2 normale o aumentata nelle fasi precoci nel tentativo di compensare l’iperglicemia cronica e la resistenza insulinica. • Terapia farmacologica: DM1 terapia insulinica necessaria dall’esordio, DM2 può bastare dieta e esercizio al fine di ottimizzare la glicemia post prandiale e a digiuno, solo nei casi più scompensati si ricorre all’insulina altrimenti si impiegano ipoglicemizzanti orali. Lo screening per il DM2 è destinato a pazienti che presentano BMI elevato e almeno una condizione fra: inattività fisica, famigliarità, gruppo etnico a rischio, ipertensione arteriosa, basso HDL e/o alti TSG, pregresso diabete gestazionale, PCOS, malattie cv, precedente IGT o IFG. Obiettivi glicemici nei diabetici sono: • HbA1c < 7% • Glicemia a digiuno: 70-130 mg/dl • Glicemia post prandiale < 160 mg/dl (invece che 140 nel sano) La terapia dietetica deve essere accompagnata da regolare attività fisica almeno 20-30 minuti al giorno (oppure 150 minuti a settimana) di tipo aerobico e di intensità moderata per almeno 3 giorni a settimana. La terapia farmacologica prevede l’impiego di ipoglicemizzanti orali, incretine, insulina. L’insulina è necessaria nei diabetici di tipo 1 e nei diabetici di tipo 2 scompensati (chetosi, fallimento di altri ipoglicemizzanti, calo ponderale non altrimenti giustificato, comorbidità, etc.). La metformina, ad esempio, agisce incrementando l’utilizzazione periferica di glucosio e riducendo la produzione epatica di glucosio. Le incretine (GLP-1 e GIP) sono ormoni G-I, secreti dopo i pasti, che hanno la funzione di regolare la glicemia in vari modi: • Aumentando la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas • Diminuendo la secrezione di glucagone da parte delle cellule alfa del pancreas • Aumentando la produzione di somatostatina da parte delle cellule gamma del pancreas (che a sua volta inibisce rilascio insulina e glucagone) • Rallentando la motilità e lo svuotamento gastrico (diminuendo l’appetito) • Riducendo il rilascio di glucosio epatico L’effetto incretinico è stato dimostrato attraverso l’osservazione della risposta insulinca che è risultata maggiore dopo la somministrazione orale di glucosio piuttosto che dopo la somministrazione endovenosa. Il GLP-1 ha inoltre effetti sul sistema nervoso (azione neuroprotettiva, aumento senso di sazietà, favorisce apprendimento e memoria) e sul sistema cardiovascolare (riduce la secrezione di PAI-1 e TNF-alfa e aumenta la sintesi di ossido nitrico migliorando la funzione endoteliale e riducendo la pressione arteriosa). Nel paziente diabetico di tipo 2 la fisiologica produzione di GLP-1 è ridotta rispetto ai pazienti sani e le terapie a base di incretine hanno quindi dimostrato di migliorare la proliferazione e il differenziamento delle beta- cellule, di ridurre la secrezione di glucagone e di migliorare la sensibilità insulinica periferica. Nel paziente con diabete di tipo 2 di origine alimentare, che spesso si accompagna a sovrappeso, le terapie incretiniche riducono l'appetito, contribuendo così alla perdita di peso. Le patologie macrovascolari sono la principale complicanza del diabete mellito di tipo 2 e il GLP-1, come già detto, migliora la funzione cardiovascolare. Le terapie incretiniche possono essere di due tipi: • Inibitori del DPP-4: inibiscono l’enzima che degrada il GLP-1 • Agonisti del recettore del GLP-1: analoghi del GLP-1 sintetizzati in laboratorio, la struttura è modificata in modo da consentire una maggior emivita (ad es liraglutide) Riducono l’emoglobina glicata di 1-2%. La liraglutide riesce inoltre a determinare una secrezione insulinica che è dipendente dal glucosio. L’effetto delle terapie incretiniche è dose-dipendente. Una nuova classe di farmaci ipoglicemizzanti è rappresentata dalle gliflozine, una classe di inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio che è responsabile del riassorbimento di circa il 90% del glucosio a livello renale. Questi farmaci sono in grado quindi di aumentare di circa il 40% l’eliminazione di glucosio con le urine e di ridurre l’emoglobina glicata di circa lo 0,7-0,8%. Effetto collaterale è la maggior predisposizione a infezioni urinarie. DISLIPIDEMIE Alterazione del metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine con conseguente alterazione delle loro concentrazioni plasmatiche. Possono essere primitive se sono causate da difetti genetici del metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine (ad es. mutazioni del recettore delle LDL) oppure secondarie se insorgono a causa di fattori ambientali o patologie (obesità, diabete, alcol, farmaci, epatite, stress, diabete etc.). Le dislipidemie familiari sono malattie su base genetica e comportano un aumentato rischio di malattia aterosclerotica (nel caso delle ipercolesterolemie) e di pancreatite (nel caso delle ipertag). Si possono distinguere: ipercolesterolemia pura, ipertrigliceridemia pura oppure dislipidemia mista (ipertrigliceridemia + ipercolesterolemia). Uno dei segni dell’ipercolesterolemia è la presenza di xantomi, ossia nodularità irregolari a livello dei tendini. Le lipoproteine sono particelle globulari costituite da un core che contiene lipidi non polari (TAG ed esteri del colesterolo), circondati uno strato di fosfolipidi, colesterolo non esterificato ed apoproteine. In questo modo i lipidi, che sono insolubili in acqua, possono essere trasportati nel sangue. In base al contenuto lipidico si classificano in: • Chilomicroni: trasportano i lipidi alimentari dall'intestino ai tessuti periferici. • VLDL: trasportano i lipidi endogeni (spt trigliceridi), prodotti dal fegato, verso i tessuti periferici. • IDL: lipoproteine a densità intermedia, sono i principali prodotti della degradazione delle VLDL pochi secondi fino a 15 minuti, spesso si associa a pallore, sudorazione, nausea, ansia, etc. Nelle angine si distinguono: • Angina cronica stabile, caratterizzata da stenosi coronarica costante con placche che riducono il lume >75%, il dolore compare a seguito di aumentata richiesta di O2 e regredisce alla cessazione della causa ed è sensibile alla somministrazione di nitrati. Compare con costanza e ripetibilità. • Angina instabile: dovuta ad una grave e transitoria ischemia miocardica (< 20 min) che regredisce con la somministrazione di nitroderivati. L’infarto miocardico acuto è una sindrome acuta caratterizzata da necrosi del miocardio, secondaria all’ostruzione permanente di una coronaria. Il dolore è superiore ai 20 minuti, di intensità che può essere intollerabile, ed essere associata ad angoscia e senso di morte imminente e non recede dopo la somministrazione di nitroderivati. Nei pz con con estesa necrosi, o pregresso IMA, l’infarto può causare edema polmonare acuto e/o shock cardiogeno. Il 20-60% degli IMA non fatali non vengono riconosciuti dal paziente e sono diagnosticati solo successivamente, di questi circa la metà sono realmente silenti. La mancanza di flusso in una regione del miocardio determina alterazioni della cinetica cardiaca (ipocinesia, acinesia, discinesia, etc.). All’esame obiettivo il paziente con IMA presenta: • Dolore precordiale • Dispnea • Aumento FC • Diminuzione PA • Toni cardiaci di minore intensità • Aritmie • Sfregamenti pericardici I marker biologici dell’IMA sono: troponina, CK-MB (creatina chinasi MB), mioglobina (alta sensibilità e bassa specificità) La depressione della funzione cardiaca sarà DP all’estensione dell’area infartuata: • una riduzione della motilità cardiaca <10% non comporta una riduzione della frazione di eiezione • una riduzione della motilità cardiaca del 15%-25% comporta una frazione di eiezione ridotta • una riduzione della motilità cardiaca del 25%-40% comporta scompenso cardiaco • una riduzione della motilità cardiaca superiore al 40% comporta shock cardiogeno Frazione di eiezione: volume di sangue che il cuore pompa dal ventricolo sx ad ogni battito cardiaco- Complicanze dell’infarto sono quindi: aritmie, pericardite, edema polmonare acuto, shock cardiogeno, trombosi, scompenso cardiaco, insufficienza mitralica, aneurisma ventircolare, rottura di cuore etc. La rottura di cuore può essere del setto interventricolare o della parete libera del ventricolo sx. L’aneurisma ventricolare è una complicanza che interessa circa l’8-15% dei pz che sopravvivono ad IMA e che determina una riduzione della gittata sistolica, si associa a segni di insufficienza cardiaca e ad elevata incidenza di morte improvvisa. Il trattamento dell’IMA prevede: • Sedazione del dolore: morfina + benzodiazepine • Ricanalizzazione del vaso occluso: lisi del troppo tramite terapia trombolitica, angioplastica o bypass aorto-coronarico • Protezione del miocardio: riducendo il consumo di ossigeno con beta-bloccanti e nitrati nell’immediato e successivamente nel lungo termine somministrare ACE-inibitori e/o calcio- antagonisti SCOMPENSO CARDIACO Per scompenso cardiaco si intende l’incapacità del cuore di pompare sangue in quantità sufficiente a soddisfare le richieste metaboliche. Nel cuore normale l’atrio dx riceve il sangue venoso dalle vene cave il quale passa nel ventricolo dx attraverso la valvola tricuspide che lo spinge attraverso la valvola polmonare in arteria polmonare dove il sangue raggiunge gli alveoli polmonari e si arricchisce di ossigeno. Il sangue arricchito di ossigeno arriva attraverso le vene polmonari nell’atrio sx, l’atrio sx si contrae e spinge il sangue nel ventricolo sx attraverso la valvola mitralica. Il ventricolo sx, quando è pieno di sangue, si contrae e spinge il sangue arterioso nell’aorta. Nel cuore scompensato si verifica un’incapacità del cuore di pompare tutto il sangue che arriva e, di conseguenza, il ventricolo sx si danneggia e aumenta di volume. La funzione cardiaca è regolata da: • Precarico: rappresenta la pressione di riempimento esercitata dal sangue nel ventricolo sx alla fine della diastole. La performance del ventricolo normale è altamente correlata al precarico: una riduzione del precarico comporta un effetto lieve sulle pressioni di riempimento del ventricolo SN, mentre un incremento del precarico può causare un peggioramento della congestione polmonare. • Postcarico: è indice della resistenza opposta al ventricolo dall’aorta e dall’albero arterioso e che il ventricolo deve superare per poter pompare il sangue in circolo. • Contrattilità: proprietà peculiare del cuore di contrarsi, un indice clinico della contrattilità è la frazione di eiezione, ossia il rapporto tra la quantità di sangue espulsa durante una contrazione ed il contenuto del ventricolo alla fine della diastole. Secondo la legge di Frank-Starling il cuore si adatta autonomamente ai cambiamenti del volume di sangue che riceve. Lo scompenso cardiaco può essere dovuto a: o Disfunzione sistolica: ossia un’alterata contrattilità miocardica, il cuore perde la sua capacità di contrarsi e si ha una riduzione della frazione di eiezione a cui consegue una dilatazione ventricolare. o Disfunzione diastolica: dovuta ad una rigidità ventricolare che impedisce al ventricolo di dilatarsi. Il ventricolo sn con disfunzione diastolica causa ipertensione atriale sn che a sua volta può causare congestione polmonare. Spesso è associata a frazione di eiezione normale. o Scompenso cardiaco con normale funzione miocardica: ad es. a causa di pericardite, ipertiroidismo, anemia, masse mediastiniche etc. L’aterosclerosi può determinare una riduzione del flusso ematico miocardico che può causare un rapido declino della funzione contrattile. Le conseguenze dello scompenso cardiaco a livello dell’organismo sono: o Risposta neuro-ormonale: riguarda il SN simpatico il quale viene attivato dai segnali provenienti dai barocettori arteriosi e l’ipoperfusione renale, determina un aumento dei livelli di noradrenalina e aumenta l’attività dei nervi simpatici. La noradrenalina stimola la FC, stimola la contrattilità miocardica e induce vasocostrizione, contrastando la riduzione della gittata cardiaca e della pressione arteriosa. o Attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: l’ipoperfusione renale e l’iponatriemia, causati dallo scompenso cardiaco, determinano un'aumento della produzione di renina da parte del rene e un’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, il quale a sua volta aumenta la PA. o Attivazione delle citochine: incremento delle citochine pro-infiammatorie, spt IL-1beta, IL-6 e TNF- alfa Lo scompenso cardiaco colpisce prevalentemente soggetti adulti che vivono in paesi industrializzati. Solitamente è preceduto da un periodo di insufficienza cardiaca, ossia una sofferenza miocardica caratterizzata da meccanismi di compenso che fanno sì che la patologia sia asintomatica. Sintomi dello scompenso cardiaco: o Dispnea, ortopnea, dispnea parossistica notturna: la dispnea tende a peggiorare durante l’attività fisica ed è dovuta a congestione polmonare con aumento dei fluidi interstiziali o intra-alveolari. L’ortopnea è una dispnea che compare quando il pz è supino o semisupino. La dispnea parossistica notturna consiste in un attacco di dispnea acuta e severa che provoca il risveglio del paziente 1-3 ore dopo essersi coricato. Sono dovute a scompenso cardiaco sx. o Tosse: dovuta a scompenso cardiaco sx o Edema polmonare acuto: secondario a trasudazione dei liquidi negli spazi alveolari e dovuto a depressione acuta della funzione cardiaca, si manifesta con tosse e dispnea progressiva. Dovuto a scompenso cardiaco sx. o Astenia, ansia, insonnia, confusione, nicturia: dovute a scompenso cardiaco sx o Anoressia, nausea, stipsi, epatalgia: dovute a scompenso cardiaco dx o globale o Edema e ritenzione di liquidi: causato da un rallentamento del circolo ed aumento della pressione idrostatica capillare. Diminuisce l’eliminazione di acqua e sali per aumento di ormoni ad azione anti- diuretica. o Insufficienza renale o Segni cardiovascolari: tachicardia, aritmie, ipotensione, ipertensione La classificazione NYHA (New York Heart Association) identifica 4 stadi di malattia in base alla limitazione all’esercizio fisico (classe 1: nessuna limitazione; classe 2: lieve limitazione; classe 3: grave limitazione; classe 4: incapacità a svolgere qualsiasi attività). La terapia dello scompenso cardiaco è complessa, prevede: o Calo ponderale o Dieta a basso contenuto di alcol e sodio o Cessazione del fumo o Esercizio fisico aerobico 30-40 min 3-4 volte a settimana o Trattamento farmacologico: antipertensivi, anticoagulanti (se fibrillazione atriale), ACE-inibitori e beta bloccanti etc. estendersi alle vene iliache e alla vena cava. Nel 50% dei casi è asintomatica. Le manifestazioni cliniche più comuni sono: arto edematoso, segno della fovea, cute lucida, calda arrossata, etc. • Embolia polmonare: dislocazione di una frazione di trombo che va ad occludere le arterie polmonari e l’area polmonare interessata può evolvere in infarto polmonare. A seconda delle dimensioni del trombo la sintomatologia cambia (da appena percepibile fino alla morte). Sintomi: emottisi, dolore toracico, tachicardia, dispnea, rantoli, cianosi etc. In genere si sviluppa 3-7 gg dopo l’insorgenza di TVP. La terapia è: trombolitica, anticoagulante, embolectomia per via percutanea, etc. Il 30-50% dei pazienti con TVP sviluppa EP Il 70% dei pazienti con EP ha TVP Il trombo venoso è un coagulo intravascolare di fibrina, piastrine, globuli rossi e globuli bianchi, in genere si forma in regioni di flusso rallentato e può occludere parzialmente o totalmente i vasi venosi. Siccome il trombo venoso si forma in un ambiente di stasi ematica è ricco di globuli rossi e per questo viene anche definito trombo rosso (o da stasi). Si forma spesso a livello delle valvole delle vene dove il sangue ristagna più facilmente. Le principali cause sono: • Stasi venosa: dovuta a un deficit muscolare degli arti inferiori (ad es. a causa di traumi, chirurgia, immobilizzazione etc.) • Ipercoagubilità: dovuta a condizioni congenite (ad es. deficit di antitrombina III) o acquisite (gravidanza, contraccettivi orali, neoplasie etc.) • Lesione endoteliale: ad es. a seguito di traumi INSUFFICIENZA RESPIRATORIA La respirazione serve a mantenere la pressione parziale di O2 ad un livello sufficiente nei tessuti per far avvenire i processi aerobici. Durante l’inspirazione la gabbia toracica si espande determinando una riduzione della pressione interna che causa una differenza di pressione parziale tra l’aria atmosferica e la cavità polmonare permettendo così all’aria di entrare. Nell’espirazione, invece, la gabbia toracica diminuisce di volume facendo così aumentare la pressione interna rispetto a quella atmosferica e favorendo così la fuoriuscita di aria. La frequenza respiratoria corrisponde al numero di atti respiratori al minuto (a risposo 12- 14 atti). Il volume di aria per ogni atto respiratorio è di circa 500 ml (6 litri al minuto). Durante la respirazione l’ossigeno diffonde dagli alveoli al sangue mentre l’anidride carbonica diffonde dal sangue agli alveoli. Lo scambio di gas avviene per semplice diffusione, per questo è importante mantenere la pressione di O2 maggiore negli alveoli (100 mmHg) rispetto al sangue (40 mmHg) e la pressione di CO2 maggiore nel sangue (46 mmHg) rispetto agli alveoli (40 mmHg). Gli scambi gassosi dipendono da: • Ventilazione alveolare: quantità di aria che raggiunge gli alveoli in un minuto • Perfusione polmonare: flusso ematico che attraversa il circolo polmonare in un minuto (dipende dalla gittata cardiaca) • Distribuzione rapporto ventilazione/perfusione: decresce dall’apice verso la base (in posizione eretta) • Diffusibilità alveolo-capillare: la diffusione dei gas avviene attraverso la membrana alveolo-capillare ed è DP alla superficie del letto capillare in contatto con gli alveoli e al grado di diffusibilità del gas mentre è IP allo spessore della membrana. Segni e sintomi delle malattie respiratorie: • Tosse • Espettorazione • Emottisi/emoftoe • Dolore toracico • Cianosi • Dispnea: si distinguono: • Polipnea: > 20 atti/minuto • Bradipnea: < 12 atti/minuto • Apnea: assenza di respiro • Tachipnea: respiro superficiale e celere • Iperpnea: profondo e celere • Ortopnea: insorge in posizione supina Attraverso l’emogasanalisi si può misurate la quantità di O2, CO2 e pH nel sangue arterioso (si preleva dall’arteria radiale). Attraverso la pulsossimetria si misura la saturazione periferica di O2 (% di emoglobina legata), si avvale di un sensore simile a una clip posizionato di solito sul dito. Per insufficienza respiratoria si intende l’incapacità dei polmoni di soddisfare le esigenze metaboliche di ossigeno dell’organismo. Per la diagnosi non sono sufficienti i sintomi e i segni clinici ma è indispensabile la misurazione di O2 e CO2 tramite l’emogasanalisi. Si distinguono 2 tipi di insufficienza respiratoria: • Insufficienza respiratoria di tipo 1 (normo/ipocapnica): ipossiemia (PaO2 < 60 mmHg) e valori normali o ridotti di PaCO2 • Insufficienza respiratoria di tipo 2 (ipercapnica): ipossiemia associata a ipercapnia e acidosi L’insufficienza respiratoria si classifica In base alla gravità in: • Acuta: compare in tempi brevi, può essere di tipo 1 o tipo 2 (in questo caso con acidosi perché i meccanismi di compenso renale richiedono almeno 24 h) • Cronica: a lenta insorgenza, può essere di tipo 1 o tipo 2, in genere associata con aumento dei bicarbonati plasmatici per via del compenso renale • Cronica riacutizzata: causata da un aumento rapido della PaCO2 in un paziente con insufficienza respiratoria cronica, una volta risolta la causa della riacutizzazione si ripristina il quadro cronico compensato. Dal punto di vista dell’eziopatogenesi l’insufficienza respiratoria può essere: • Pneumogena: è la forma più frequente, può essere dovuta ad alterati scambi gassosi (alterato rapporto ventilazione/diffusione spt a causa circolatoria) oppure a turbe della ventilazione (cause polmonari ed extra-polmonari come ad es. difetti della gabbia toracica). Può anche essere dovuta a sindromi disventilatorie ostruttive a livello bronchiale come edema della muscosa o ipersecrezione ghiandolare. • Cardiogena: ad es. scompenso cardiaco, edema polmonare cardiogeno etc. • Ematogena: ad es. anemie, emoglobinopatie, etc. • Tissutale: ad es. vasculopatie periferiche. BPCO La BPCO è una malattia respiratoria cronica, prevenibile e trattabile, associata a comorbidità sistemiche extrapolmonari. La malattia si caratterizza per alterazioni broncopolmonari ed enfisema che ostacolano il flusso d’aria e che sono causate da un’abnorme risposta infiammatoria delle vie aeree in risposta alla prolungata esposizione al fumo di sigaretta o altri inquinanti. L’enfisema polmonare è una dilatazione patologica degli alveoli polmonari con alterazione delle loro pareti e perdita di elasticità. La BPCO si manifesta con tosse ed espettorato per almeno 3 mesi all’anno per due anni consecutivi, si distingue dalla bronchite cronica semplice per l’ostruzione al flusso che è persistente. Colpisce prevalentemente soggetti adulti di ambo i sessi che vivono in paesi industrializzati, aumenta con l’aumentare dell’età. Rappresenta il 50-55% delle morti per malattie respiratorie. I sintomi sono: dispnea, espettorazione cronica, tosse cronica. A seconda dei sintomi si possono anche riconoscere 2 fenotipi: il “pink puffer” è magro, astenico, con dispnea ingravescente, tosse assente o secca e torace bloccato in posizione inspiratoria, modesta ipossiemia; il blue bloater” è fumatore di vecchia data, tosse ed espettorazione croniche da anni, dispnea ingravescente, gravie ipossiemia. Le riacutizzazioni sono peggioramenti della sintomatologia tali da comportare una modifica della terapia e sono di solito scatenate da infezioni batteriche e virali. Esami per la diagnosi: spirometria, pulsossimetria, emogasanalisi, test da sforzo con cicloergometro, rx/tc torace, ECG, emocromo, polisonnografia etc. SINDROME DELLE APNEE OSTRUTTIVE DEL SONNO (OSAS) Disturbo respiratorio del sonno caratterizzato da ripetuti episodi di parziale o completa ostruzione delle vie aeree superiori che si verificano durante la fase inspiratoria, causata dal collabimento delle pareti della faringe che ostacola il glusso aereo. Si tratta di una malattia cronica, che colpisce prevalentemente gli uomini e aumenta con l’età. Fattori predisponenti: obesità, setto nasale deviato, ipertrofia turbinati, obesità (accumulo grasso che riduce volumi polmonari in posizione supina), etc. Sintomi: russamento (dovuto al passaggio d’aria a velocità aumentata attraverso una via più stretta), risvegli improvvisi con “fame d’aria”, sonnolenza diurna (lieve-moderata-grave), pause respiratorie nel sonno. Conseguenze: riduzione della saturazione di ossigeno del sangue arterioso e, nel caso di sforzi prolungati, un graduale aumento della paCO2; le apnee causano un aumento della PA notturna e possono provocare aritmie e ipertrofia cardiaca e quindi complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari. La diagnosi si effettua tramite polisonnografia e si pone se: • È presente almeno uno fra i seguenti sintomi: episodi di sonno diurno indesiderati, eccessiva sonnolenza diurna, sonno notturno non riposante, russamento forte etc. associato a 5 o più eventi respiratori ostruttivi per ora di sonno • 15 o + eventi respiratori ostruttivi per ora di sonno anche in assenza di sintomi clinici L’OSAS può essere: lieve (< 15 episodi per ora); moderata (16-30 episodi per ora); grave (> 30 episodi per ora). La terapia può prevedere: utilizzo di dispositivi come il CPAP (provoca pressione positiva continua nelle vie aeree) o il rimodellamento chirurgico delle prime vie aeree. La scelta di inziare il trattamento con CPAP dipende dalla gravità: si è soliti trattare pazienti con più di 20 episodi per ora oppure tra 5-19 se in presenza di sintomi. DOLORE ADDOMINALE Può essere causato da: rapido stiramento o tensione dei visceri, spasmo muscolare, neoplasia, ischemia, infiammazione, etc. Può essere acuto (se < 7 gg) o non acuto, il non acuto si divide in non complicato o complicato (melena, rettorragia, sangue occulto nelle feci, anemia sideropenica, calo ponderale). Il dolore può essere poi colico (se intermittente, può essere localizzato o diffuso) o di tipo continuo (con esordio violento oppure con aumento graduale). L’esame obiettivo prevede la palpazione addominale da parte del medico alla ricerca di 3 segni: • Segno di Blumberg: pz in posizione supina, la palpazione ricerca aree di contrattura o dolorabilità la cui palpazione causa il brusco sollevamento della mano dall’addome ed è indice di possibile peritonite. • Segno di Giordano: pz in posizione seduta con il tronco flesso in avanti, il medico colpisce con il bordo ulnare della mano la loggia renale del paziente, se è presente una calcolosi del bacinetto renale questa manovra provoca un dolore violento. • Segno di Murphy: il medico preme indice e medio sul punto colecistico sotto alla 10 costa di dx e fa inspirare il paziente, se è presente una colecistite o una calcolosi della colecisti questa manovra accentua il dolore. DISPEPSIA Condizione caratterizzata generalmente da una varietà di sintomi fra cui: epigastralgia, pirosi retrosternale, eruttazione, sazietà precoce, nausea/vomito, gonfiore addominale. La dispepsia è frequente, si presenta periodicamente o occasionalmente nel 40% della popolazione. Può essere: • Organica (40%): causa precisa, migliora con terapia specifica, può essere dovuta a farmaci (FANS, antibiotici etc.), malattie metaboliche (diabete, patologia tiroidea etc.), malattie gastroenteriche (celiachia, m. di Crohn, intolleranza al lattosio, ulcera peptica, gastrite, neoplasie etc.) • Funzionale (60%): disturbi digestivi aspecifici, può essere dovuta ad infezioni batteriche, alterata secrezione acida, ipersensibilità, stress, etc. PATOLOGIE DELL’ESOFAGO DISFAGIA La deglutizione si realizza attraverso 3 fasi: • fase orale: è volontaria, consiste nello spostamento da parte della lingua del bolo verso la regione posteriore della cavità orale mentre labbra e mandibola sono chiuse. • fase faringea: è involontaria (riflessa), il riflesso è coordinato dal centro della deglutizione, la lingua viene portata verso il palato molle, che tende a sollevarsi, per evitare che vi sia un reflusso verso le cavità nasali, la glottide si contrae e l'epiglottide si abbassa. • fase esofagea: viene rilasciato prima lo sfintere esofageo superiore e poi quello inferiore come conseguenza dell'aumento della pressione casuata dalla presenza del bolo La disfagia è una difficoltà alla deglutizione che può essere dovuta ad un ostacolo meccanico che può essere intraesofageo (ad es. corpo estraneo, tumore, stenosi) oppure extraesfogaeo (aneurisma dell’aorda, tumefazione linfoghiandolare etc.). La disfagia può anche riconoscere cause nervose senza occlusione (ad es. bolo isterico) oppure essere dovuta ad un deficit neurologico (ad es. SLA) o disordini muscolari. La disfagia è pericolosa per il rischio di polmonite ab ingestis. Si differenzia dal globo faringeo che è la sensazione di corpo estraneo in gola, il quale compare tra le deglutizioni (la disfagia entro 1 secondo) e che è associato a stress psicologico senza rischio di aspirazione. Si ha disfagia per i solidi se il disturbo è causato da una stenosi organica; si ha disfagia per solidi e liquidi se è dovuto ad un disordine motorio. ACALASIA Disordine motorio primitivo dell’esofago caratterizzato dall’assenza di peristalsi nel corpo esofageo e mancato rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore per degenerazione del plesso mioenterico. E’ una malattia che colpisce principalmente le donne e nella fascia di età fra i 30 e i 50 anni. La malattia comporta ipertrofia della muscolatura esofagea fino a megaesofago. Il sintomo tipico è la disfagia, che è maggiore per i liquidi, possono anche comparire dolore toracico e rigurgito di cibo ingerito fino a calo ponderale e polmonite ab ingestis nei casi più gravi. Gli esami radiologici utilizzati per la diagnosi: rx torace, esofagografia, esofagoscopia, manometria esofagea. RGE Insieme di segni e sintomi provocati dal prolungato tempo di contatto tra esofago e materiale refluito. Colpisce maggiormente sesso maschile, i paesi occidentali e la fascia d’età tra i 30 e i 50 anni. Può essere idiopatico o secondario a obesità, diabete, ipotiroidismo, farmaci, gravidanza, etc. La malattia è causata da uno squilibrio tra i meccanismi difensivi della mucosa esofagea e fattori aggressivi (acido cloridrico, acidi biliari, enzimi pancreatici, alcol, FANS, etc.). I meccanismi difensivi sono: • Barriera antireflusso: la presenza del cardias dovrebbe impedire il reflusso di materiale in esofago • Clearance esofagea: peristalsi primaria (indotta dalla deglutizione) + peristalsi secondaria (innescata dalla presenza di materiale nel lume esofageo) • Barriera mucosa esofagea: rivestimento di muco e bicarbonati, membrane cellulari, giunzioni strette, meccanismi di equilibrio acido-base etc. Sintomi: tipici (pirosi, rigurgito), atipici (dolore retrosternale), altri: eruttazioni, disfagia, scialorrea, singhiozzo. Sintomi extraesofagei possono essere disfonia, faringite, raucedine, tosse stizzosa, polmonite, etc. L’esofago di Barrett è una complicanza cronica dell’RGE, definito come la presenza, endoscopicamente, di epitelio colonnare gastrico che sostituisce il normale rivestimento squamoso esofageo. Rappresenta il principale fattore di rischio per adenocarcinoma esofageo. L’ernia iatale è la risalita dello stomaco nel torace attraverso lo iato esofageo con dislocazione toracica del SEI. Non è detto che il cardias sia incontinente: la maggior parte dei pazienti con ernia iatale non ha RGE. La diagnosi si effettua tramite esame endoscopico, il quale permette anche di eseguire prelievi bioptici, e/o tramite esame radiologico, che fornisce anche informazioni funzionali e permette di distinguere l’ernia iatale di tipo 1 (da scivolamento) da quella di tipo 2 (paraesofagea). La manometria consente invece la valutazione della pressione intraesofagea nei vari settori del lume esofageo e si usa per rilevare anomalie dello sfintere esofageo inferiore o a carico del corpo dell’esofago. La pH-metria permette invece di distinguere il reflusso fisiologico da quello patologico (monitoraggio nelle 24h). Il trattamento dell’RGE prevede: • Norme comportamentali: dormire con busto rialzato, eliminare il fumo, non indosssare abiti stretti in vita etc. • Norme dietetiche: pasti non troppo abbondanti, evitare cibi in grado di rilassare SEI (cipolla, menta, cioccolata etc.), evitare agrumi e salsa di pomodoro etc. • Terapia medica: antiacidi, inibitori di pompa, procinetici etc. • Terapia chirurgica: solo nel 10-15% dei pazienti, ha scopo di ripristinare corretto funzionamento SEI MALATTIE DELLO STOMACO Anatomicamente lo stomaco è separato dall’esofago dal cardias e dal duodeno dal piloro, è costituito dal fondo, che è la porzione più alta, il corpo, che è la porzione più ampia, l’antro, che è la porzione più bassa a contatto col piloro ed è quella che durante i pasti si riempie per prima. A livello dello stomaco si distinguono diverse popolazioni cellulari: • Cellule mucose: producono il muco e il bicarbonato, il quale forma una barriera fisica tra il lume e l'epitelio e tampona l'acidità del succo gastrico. • Cellule parietali (o ossintiche): responsabili della produzione di acido cloridrico e di fattore intrinseco, la secrezione di acido cloridrico è resa possibile dall'attività della pompa protonica, la quale permette di pompare, contro gradiente, lo ione idrogeno con consumo di ATP scambiandolo con ioni potassio. La funzione dell'acido cloridrico è quella di attivare il pepsinogeno e di uccidere i patogeni. Il fattore intrinseco permette l’assorbimento della vitamina B12. • Cellule enterocromaffini: producono istamina che ha la funzione di stimolare la secrezione di acido cloridrico. • Cellule principali: producono pepsinogeno e lipasi gastrica, sostanze che hanno la funzione di digerire grassi e proteine. • Cellule D: producono somatostatina la quale è stimolata dall'ambiente acido e ha la funzione di inibire la secrezione di acido. • Cellule G: producono la gastrina, la quale stimola la secrezione di acido cloridrico. GASTRITE La gastrite è un processo infiammatorio acuto o cronico della mucosa gastrica. La gastrite acuta può essere accompagnata da emorragia della mucosa e, nelle circostanze più gravi, dalla desquamazione dell’epitelio della mucosa superficiale. Può essere causata da infezioni batteriche (ad es. HP), virali, parassitarie, micotiche. La gastrite cronica è caratterizzata istologicamente dalla comparsa di infiltrato infiammatorio dominato da linfociti e plasmacellule, in base all’estensione in profondità può essere: superficiale (limitata alla regione foveolare senza interessare il comparto ghiandolare), atrofica (compromette il comparto ghiandolare), gastrica (si associa a metaplasia intestinale: l’epitelio gastrico è sostituito con epitelio simile a quello del tenue; la metaplasia può evolvere in displasia e neoplasia). In base al tipo di zona interessata la gastrite cronica si classifica poi in: tipo A (ad eziologia autoimmune, meno frequente, colpisce corpo gastrico, caratterizzata dalla presenza di anticorpi anticellule parietali, generalmente asintomatica, predispone a k gastrico); tipo B (colpisce antro gastrico, distribuzione multifocale, causata da agenti ambientali come HP, generalmente asintomatica). Il decorso della gastrite cronica è quindi generalmente asintomatico, mentre a volte si associa a dispepsia oppure conseguenze del deficit di assorbimento di B12 (anemia sideropenica) o Lo sviluppo della malattia conosce diversi passaggi: 1. Danno cronico agli epatociti fino alla necrosi 2. Attivazione delle cellule stellate normalmente quiescienti e deputate all’accumulo di vitamina A con sintesi di collagene e di altre proteine della matrice extracellulare 3. Accumulo di collagene nello spazio del Disse 4. Tessuto fibrotico che sostituisce le zone di necrosi 5. Formazione dei noduli di rigenerazione La cirrosi riconosce 2 fasi: compensata (paucisintomatica, può durare anche molti anni con sintomi simili all’epatite cronica), scompensata (quando il fegato è fortemente compromesso o quando si è instaurata un’importante ipertensione portale). A livello metabolico la cirrosi provoca: • Alterazioni ematochimiche: ipoalbuminemia, ipercolesterolemia, iperbilirubinemia, alterato metabolismo del glucosio, ridotta sintesi dei fattori di coagulazione. • Ipertensione portale • Ascite: ossia aumento dei liquidi liberi in cavità peritoneale, può essere batterica se causata da traslocazione dei batteri intestinali attraverso la mucosa enterica. • Sindrome epatorenale: una condizione di insufficienza renale prerenale dovuta a un’intensa vasocostrizione compensatoria a livello dei nefroni della corticale del rene in risposta alla vasodilatazione splenica. • Encefalopatia epatica: una sindrome neurologica caratterizzata da alterazioni dello stato mentale e della funzione neuromuscolare come conseguenza di un aumento dell’ammonio o di altre sostanze di sintesi batterica, può insorgere come episodio acuto (BCAA in vena) o cronico subclinico (basso contenuto di proteine). La cirrosi è una condizione irreversibile e non esiste una terapia in grado di far regredire la fibrosi o il sovvertimento strutturale epatico. La terapia serve per migliorare la prognosi e deve prevedere una dieta varia che prevenga l’iponutrizione, deve prevedere l’astensione dall’alcol, l’utilizzo di farmaci deve essere attentamente valutato per non compromettere ulteriormente il metabolismo epatico. Il trapianto di fegato è indicato negli stadi di insufficienza epatica terminale. In caso di ascite la dieta deve essere a basso contenuto di sodio e con ritenzione di liquidi. EPATITI VIRALI Le epatiti virali sono un gruppo di patologie epatiche causate da virus: A, B, C, E, G, agente delta. La distribuzione in Italia: 52% A; 31% B (vaccinazione obbligatoria dal ’90); C 10%. • L’epatite A è a trasmissione oro-fecale, i cibi più a rischio sono i frutti di mare crudi, l’acqua, la frutta e le verdure crude. La patologia si manifesta con ittero, febbre, astenia, nausea, dolore addominale, feci ipocoliche e urine scure (bilirubinuria). Il virus viene riversato nella bile e poi nelle feci, dove compare già 10 giorni prima della comparsa dei sintomi. Il periodo di incubazione è di 1-2 mesi, spesso l’infezione è subclinica, raramente fatale, nel 99% dei casi si ha una guarigione completa in 2- 4 settimane. La diagnosi è sierologica e la dieta deve essere ricca di cho e proteine. La prevenzione può essere effettuata mediante immunoprofilassi passiva con IgG (se somministrate entro 1-2 settimane dall’esposizione al rischio di epatite A) oppure con immunoprofilassi attiva mediante vaccino. IL virus HAV è molto resistente, si devono utilizzare disinfettanti allo 0,5% di ipoclorito di sodio. • L’epatite E di solito è causa di infezioni acute, si trasmette per via oro-fecale, può essere asintomatica, si può prevenire con vaccino e con clorazione dell’acqua. • L’epatite C colpisce circa il 3% della popolazione mondiale, spesso asintomatica, si caratterizzate per variabilità della sequenza genomica con 6 genotipi ciascuno suddiviso in sottotipi, quello più comune in Italia è il genotipo 1b. Il virus è in grado di mutare geneticamente in risposta all’azione del sistema immunitario dell’ospite e questa proprietà fa sì che ci sia una frequente cronicizzazione dell’infezione, una possibile reinfezione nonché una difficoltà a realizzare un vaccino. L’infezione da HCV prevede: attacco à penetrazione à moltiplicazione del virus à esposizione di antigeni virali sulla superficie della cellula infettata à riconoscimento degli antigeni da parte dei linfociti T con distruzione della cellula e del virus, contemporaneamente i linfociti B producono anticorpi che neutralizzano gli antigeni virali e impediscono a nuove cellule di essere infettate. La trasmissione può avvenire per via parenterale, sessuale, verticale oppure ospedaliera (dialisi, intervento etc.). L’HCV può essere causa di 2 tipi di condizioni patologiche: epatite acuta con risoluzione dell’infezione e guarigione (15% dei casi) oppure infezione cronica persistente (85% dei casi) se dura oltre 6 mesi. L’infezione cronica è spesso asintomatica ma le transaminasi sono alte. Un 20% di infezioni croniche evolve rapidamente a cirrosi. La diagnosi è sierologica mediante ricerca di anticorpi anti HCV nel sangue, tuttavia per sapere se è acuta o cronica si deve ricercare l’RNA virale (utile per stabilire il genotipo virale e quindi ottimizzare la terapia farmacologica). Non è disponibile un vaccino efficace. • L’epatite B ha una prevalenza maggiore in Asia ed è caratterizzato da un’elevata resistenza ambientale. La trasmissione può avvenire per via parenterale, sessuale, verticale o ospedaliera mediante strumenti chirurgici non sterilizzati. La diagnosi è sierologica mediante la ricerca di antigeni ed anticorpi. La profilassi prevede: immunoprofilassi passiva in caso di esposizione accidentale tramite somministrazione di IG umane specifiche contro HBV entro 2-4 ore dall’esposizione; immunoprofilassi attiva mediante vaccinazione che è obbligatoria dal 1991 per i nuovi nati e per i bambini con meno di 12 anni. Il vaccino è efficace in oltre il 90% dei casi. • L’epatite G è un virus ad RNA di recente scoperta, che sembra avere effetti limitati sul fegato. La trasmissione è per via parenterale. Non esistono test diagnostici di screening e la diagnosi può essere effettuata solo tramite la ricerca di RNA virale in laboratori specializzati. NEOPLASIE DEL FEGATO Patologie tumorali sia primitive che metastatiche. L’epatocarcinoma rappresenta oltre i 2/3 di tutte le neoplasie epatiche primitive maligne, è il 5° tumore più comune al mondo e la 3^ causa di morte per cancro. Colpisce prevalentemente il sesso maschile, sono fattori di rischio la cirrosi, HBV e HCV, l’alcol e l’aflatossina (prodotta dal fungo Aspergillus flavus). La cirrosi rappresenta il principale fattore di rischio. Sintomi: spesso asintomatico fino a stadio avanzato, compaiono dolore fianco dx, perdita di peso e astenia. Segni: nel paziente con cirrosi compaiono ascite e ittero; nel paziente senza cirrosi compaiono ascite, ittero, epatomegalia ed emoperitoneo. L’ecografia è l’indagine utilizzata per la sorveglianza dei soggetti a rischio, eventualmente associata all’alfa-fetoproteina (AFP), un marcatore aspecifico prodotto in caso di affezioni epatiche di diversa natura e che non è pertanto affidabile come unico test di screening. Nei pazienti con cirrosi la comparsa di una lesione focale epatica all’ecografia richiede sempre approfondimenti diagnostici: TC con mdc o e/o esame bioptico. Il trattamento prevede: resezione chirurgica, trapianto di fegato, trattamenti percutanei, oppure chemio-embolizzazione (palliativo). PATOLOGIE DEL PANCREAS Il pancreas è un organo retroperitoneale appartenente all’apparato digerente. Nell’organismo ha funzione endocrina, esocrina e digestiva. E’ diviso in 3 parti: testa, corpo e coda. Circa il 97-99% del parenchima ghiandolare ha funzione esocrina mentre la restante parte, costituita dalle isole del Langerhans, ha funzione endocrina. Il pancreas esocrino ha funzioni digestive, secerne il succo pancreatico, costituito per il 97% di acqua ed elettroliti, in particolare bicarbonato (secreto dalle cellule duttali) e per il 3% da enzimi digestivi (secreti dalle cellule acinose), in grado di digerire proteine, grassi e carboidrati. Tutti gli enzimi pancreatici sono secreti come proenzimi e sono attivati nel lume intestinale dalle enterochinasi presenti sull’orletto a spazzola degli enterociti. L’azione secernente del pancreas è continua ma modesta. Il pancreas endocrino è costituito da circa 1 milione di isole di Langerhans, ammassi cellulari distribuiti prevalentemente nella coda e costituiti da diverse popolazioni cellulari: cellule alfa (10-20%; secernenti glucagone), cellule beta (75-80%; secernenti insulina), cellule delta (3-4%; secernenti somatostatina), cellule G (producono gastrina), cellule PP (producono polipeptide pancreatico). Funzione del pancreas endocrino è quindi la regolazione del glucosio nel sangue. TUMORI DEL PANCREAS I tumori benigni del pancreas esocrino sono tumori rari e possono essere cistoadenomi, neoplasie papillari- cistiche, papillomi intraduttali o adenomi (di solito di piccole dimensioni). I tumori maligni del pancreas esocrino possono invece essere carcinomi, sarcomi e linfomi. Sono le neoplasie a prognosi più infausta: solo il 5% degli uomini e il 6% delle donne sopravvivono a 5 anni. Il picco di maggiore incidenza è tra la 6^ e la 7^ decade di vita. Fattori di rischio di carcinoma pancreatico: fumo, dieta iperlipidica, alcol, BMI, esposizione professionale a sostanze chimiche (ad es. DDT), patologie del pancreas (diabete, pancreatite cronica etc.), predisposizione genetica. Il carcinoma pancreatico può originare sia da cellule duttali che acinose ed è altamente aggressivo con una diffusione metastatica molto precoce che può avvenire per via linfatica, per via ematica o per contiguità. Al momento della diagnosi nell’80-90% dei casi sono presenti metastasi e il ritardo diagnostico è dovuto alla mancanza di segni e sintomi specifici nelle fasi iniziali di malattia. Sintomi: anoressia, calo ponderale, ittero, diarrea, malassorbimento, massa addominale. In particolare, l’adenocarcinoma della testa del pancreas si presenta con ittero ostruttivo (urine ipercromiche, feci alcoliche etc.), mentre i carcinomi localizzati a livello del corpo e della coda si manifestano con dolore addominale o dorsale e l’ittero compare solo tardivamente ed è spesso indice di massiva metastatizzazione. Diagnosi: esami di laboratorio, TC/RM, biopsia ecoguidata. Trattamento: chirurgico (radicale o palliativo), RT, CT. I tumori del pancreas endocrino rappresentano il 2% di tutte le neoplasie pancreatiche, hanno una prevalenza nel sesso femminile e compaiono di solito nella 3^ o 4^ decade di vita. Possono essere classificati in funzionanti (85%) o non funzionanti (15%), a seconda che siano associati o meno ad una sindrome riconoscibile. I non funzionanti insorgono più frequentemente nella testa del pancreas e le manifestazioni cliniche sono essenzialmente correlate all’effetto massa esercitato dalla neoplasia sulle strutture circostanti, hanno decorso lento ma sono perlopiù maligni. Il tumore neuroendocrino funzionante più comune è l’insulinoma, caratterizzato di solito da una piccola lesione singola del pancreas che causa ipoglicemia iperinsulinemica. Terapia dei tumori endocrini: chirurgia, terapia con ocreotide (in caso di insulinoma, è analogo della somatostatina) e inibitori della secrezione acida (gastrinoma). Diagnosi: esami ematochimici (iperbilirubinemia, alta fosfatasi alcalina e gamma-GT, aumento transaminasi), esami radiologici (eco, TC, colangio-RM). Terapia: chirurgia curativa o palliativa, bassa risposta a CT e RT. STIPSI E DIARREA Le feci sono composte per il 75% da acqua e per il 25% da materiale solido, il materiale solido include: fibre non digerite, batteri, acidi grassi, lipidi e muco. In condizioni fisiologiche la quantità emessa è 150-300 g/die. Valori superiori possono essere dovuti a dieta vegetariana oppure in caso di diarrea; valori inferiori possono essere dovuti a stipsi o digiuno prolungato. La consistenza deve essere morbida e formata e varia a seconda del contenuto idrico: consistenza liquida (acqua 90%), consistenza semiliquida (acqua 85%), consistenza polacea (acqua 80%), consistenza solida (acqua 75%). Il colore è dato dalla presenza di stercobilinogeno (prodotto di degradazione intestinale della bilirubina), in condizioni patologiche può essere: • Feci marrone chiaro/giallastro: incompleta digestione grassi • Feci alcoliche/ipocoliche/biancastre: in caso di patologia epatica (mancanza pigmento biliare) • Feci ipercromiche: tipiche dell’ittero emolitico • Feci verde chiaro: tifo o infezione intestinale (ad es. c. difficile) • Feci biancastre ad “acqua di riso”: in caso di colera In base alla presenza di sangue poi si possono distinguere: • Feci picee: dovute ad emorragie gastriche o duodenali, il sangue si altera per azione dei succhi digestivi • Feci color rosso vivo: sanguinamento dell’ultimo tratto intestinale, l’emissione di sangue dal retto prende il nome di rettorragia • Feci con frustoli ematici o chiazze ematiche sulle feci: secondari ad emorroidi o ragadi sanguinanti La presenza di muco in quantità superiori alla norma può essere indice di flogosi della mucosa intestinale. La presenza di pus è indice di infezioni intestinali. Si parla di steatorrea quando il contenuto di grassi è > di 6 g/die, spesso si associa a diarrea. La defecazione è quel processo che permette l'eliminazione delle feci attraverso l'orifizio anale. E' determinata dall'attività motoria controllata sia dal sistema nervoso autonomo, che controlla lo sfintere anale interno, che dal sistema nervoso volontario, che controlla lo sfintere anale esterno. Lo sfintere anale è innervato da muscolatura liscia al suo interno e da muscolatura striata all'esterno. L’ileo immette quotidianamente 1-2 litri di materiale fecale fluido nel colon che riassorbe circa il 90% del contenuto acquoso e le feci acquistano consistenza solida. Quando il materiale contenuto nel sigma è immesso nel retto, la distensione dell’ampolla rettale induce lo stimolo della defecazione. La frequenza di evacuazioni normale è nel range che va da 1-2 volte al giorno a 1 volta ogni 2-3 giorni. Il cibo ingerito giunge nell’ampolla rettale dopo 24-36 ore. La consistenza delle feci e la frequenza di evacuazione è fortemente condizionato dall’apporto di fibra alimentare nella dieta, la fibra è una componente degli alimenti di origine vegetale e fungina, non digeribile dallo stomaco e dal tenue, mentre è parzialmente digerita dal colon. La fibra contribuisce a costituire la massa fecale, favorendo l’attività motoria intestinale. Si distingue: • Fibra solubile: costituita da pectine, gomme e mucillagini. Ha la proprietà di gelificare a contatto con l’acqua e questo consente di rallentare lo svuotamento gastrico, di costituire la massa fecale e di ridurre l’assorbimento di colesterolo. • Fibra insolubile: costituita da cellulosa, emicellulosa e lignina. Aumenta la massa fecale e accelera il transito intestinale. Si definisce stipsi la presenza di meno di 2 evacuazioni a settimana negli ultimi 12 mesi oppure la presenza per un minimo di 3 mesi di almeno 2 dei seguenti criteri: • < 3 evacuazioni/settimana • Sforzo evacuativo in almeno il 25% delle evacuazioni in assenza di lassativi • Sensazione di evacuazione incompleta dopo almeno il 25% delle evacuazioni in assenza di lassativi • Feci dure in almeno il 25% delle evacuazioni in assenza di lassativi Nella persona stitica la maggior permanenza delle feci nel colon causa un maggior riassorbimento di acqua e quindi le feci diventano dure e scarsamente lubrificate. Cause: scarso apporto idrico, basso consumo di fibre, età avanzata, gravidanza, inattività fisica, interventi chirurgici, farmaci, paura del dolore, cause psicologiche, disbiosi intestinale, neoplasie, megacolon, malattie neurologiche etc. Sintomi: senso di distensione addominale, meteorismo, dolore addominale, inappetenza, alitosi, tenesmo rettale. Conseguenze: ragadi, emorroidi, manovra di Valsavia. Trattamento: dieta, attività fisica, farmaci: lassativi formanti massa (non adatti a stipsi cronica), magnesio, zuccheri non assorbibili (sorbitolo, lattulosio, mannitolo etc.), lassativi stimolanti (senna, aloe, glicerina etc. che hanno proprietà irritanti). La diarrea è la presenza di più di 3 scariche liquide al giorno con un volume totale superiore a 400 ml. Nella diarrea cronica questa condizione deve essere mantenuta per almeno 6-7 settimane. Nella diarrea acuta questa condizione è di breve durata. Diversi tipi di diarrea: • Diarrea osmotica: presenza nel lume intestinale di quantità elevate di soluti osmoticamente attivi, scarsamente assorbibili, in tal modo l’acqua viene trattenuta nel lume intestinale e causa diarrea. • Diarrea secretoria: secondaria ad un aumento della secrezione di acqua nel lume intestinale, ad es. come conseguenza di infezioni batteriche o interventi chirurgici. Ha la caratteristica di persistere anche durante il digiuno. • Diarrea infiammatoria: secondaria ad un’ampia distruzione dell’epitelio assorbente intestinale, può essere causata da infezioni intestinali come C.difficile, E. Coli, Shighella, Salmonella etc . • Diarrea ad alterata motilità: il transito accellerato causa una riduzione dell’assorbimento. Segni e sintomi: necessità di evacuare frequentemente, crampi addominali, malessere generale, inappetenza, nausea, senso di distensione addominale. Conseguenze: squilibri idrici ed elettrolitici, infiammazione e lesioni della cute perianale. Diagnosi: eco addomino-pelvica, esami ematochimici e colturali, test intolleranze (ad es. lattosio), colonscopia. Terapia: antibiotici, antinfiammatori, probiotici, antidiarroici, dieta, riequilibrio idro-elettrolitico etc. CELIACHIA La celiachia è una malattia infiammatoria permanente su base autoimmune scatenata dall’ingestione del glutine. Nelle persone geneticamente predisposte, le cellule del sistema immunitario, attivate dall’esposizione al glutine, attaccano la mucosa dell’intestino tenue distruggendo i villi responsabili dell’assorbimento di nutrienti con conseguente malassorbimento e manifestazioni extraintestinali. La malattia da un punto di vista clinico si può presentare in diverse forme: • Tipica: diarrea e arresto di crescita • Atipica: esordio tardivo con sintomatologia sia intestinale che extra-intestinale (ad es. anemia) • Silente: assenza di sintomatologia • Potenziale: esami sierologici positivi ma biopsia negativa La diagnosi si avvale della ricerca sierologica di: • Anticorpi antigliadina (AGA: sono stati i primi anticorpi esaminati ma oggi sono superati da altri più specifici: • Anticorpi antiendomisio (EmA) • Anticorpi antitransglutaminasi tissutale (anti-tTG) • Anticorpi anti gliadina deamidata (DGP-AGA): più specifici degli antigliadina normali Se anticorpi positivi si esegue biopsia duodenale che conferma la diagnosi di malattia celiaca e permette di stimare la gravità del danno intestinale. Terapia: dieta senza glutine. Conseguenze: deficit nutrizionali, anemia, osteoporosi, diarrea, ulcere, linfoma intestinale, adenocarcinoma del tenue, carcinoma esofago (raro), carcinoma colon (raro). Prevenzione: dieta varia senza restrizioni ingiustificate. MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI (IBD) Sono il morbo di Crohn (MC) e la rettocolite ulcerosa (RCU), queste malattie immunitarie sono simili per molti aspetti, tanto che la diagnosi differenziale può in certi casi risultare complessa, tuttavia esistono importanti differenze: il MC è una malattia segmentaria che può interessare quasi tutto il digerente mentre la RCU interessa il retto e può estendersi al colon. Altra differenza importante è che il MC, a differenza della RUC, è transmurale e interessa quindi la parete intestinale in tutto il suo spessore, ed è più soggetto a formazione di fistole e di perforazioni della parete. Sintomi: entrambe le malattie possono avere periodi di latenza alternati a fasi di riacutizzazione in cui compaiono: dolore addominale, febbre, dimagrimento, astenia, inappetenza, diarrea. La RCU provoca spesso diarrea muco-sanguinolenta; nel MC i sintomi variano a seconda che interessi l’intestino tenue (steatorrea, ipoproteinemia, squilibri elettrolitici, anemia etc.) oppure che interessi il colon (diarrea, emorragia, crampi, tenesmo). Il MC può avere 3 andamenti: stenosante (sindrome occlusiva che risponde meno alla terapia), ulcerativo-infiammatorio (risponde alla terapia con corticosteroidi e recidiva frequentemente), fistolizzante. Complicanze: RCU: cancro mucosa, megacolon tossico e complicanze extra-intestinali come patologie articolari o cutanee; MC: stenosi, fistole o ascessi. Diagnosi: anamnesi, sintomi, colonscopia, biopsia, ecografia, esami ematici (emocromo + indici di infiammazione). Terapia: dieta che deve prevenire malnutrizione e anemia, garantire adeguato apporto di omega 3, SCFA, prebiotici e probiotici; nella fase acuta la dieta deve eliminare fibre, zuccheri e latticini. Farmaci: antinfiammatori, cortisonici, antibiotici, biologici, immunosopressori etc. Chirurgia: l’intervento è indicato nei pz con malattia grave resistente a tp farmacologica o che hanno complicanze derivanti dalla tp farmacologica oppure pazienti che all’esame endoscopico presentano un quadro di displasia grave. SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE (IBS) La sindrome dell’intestino irritabile è una condizione molto comune e debilitante che colpisce prevalentemente tra i 20 e i 40 anni ed è caratterizzata da dolore o fastidio addominale, associati all’alterazione della funzione intestinale ed accompagnati da gonfiore o distensione, in assenza di alterazioni anatomiche. Concorrono fattori psicologici e fisici (come ad es. l’incapacità dell’intestino di contrarsi e rilasciarsi in maniera coordinata). Sintomi: addominasdlgia, alterazioni dell’alvo (stipsi, diarrea), sintomi
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