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Sinossi filmica del Satyricon di Fellini, Guide, Progetti e Ricerche di Latino

Un viaggio attraverso il mondo di Petronio con gli occhi di Federico Fellini in un film-capolavoro del cinema italiano.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2019/2020

Caricato il 28/02/2024

Benn5
Benn5 🇮🇹

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Scarica Sinossi filmica del Satyricon di Fellini e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Latino solo su Docsity! Sinossi filmica del Satyricon di Fellini Capire, interpretare, studiare, guardare, analizzare, esaminare, la trasposizione cinematografica di una delle opere più importanti rinvenute non è semplice sia per la tecnica del regista Federico Fellini, molto particolare, sia per il mondo variopinto delle parole di Petronio, immenso e non disposto a un’interpretazione univoca e definita (cosa che lo scrittore stesso non desiderava). Bisogna partire, perciò, dallo studio del sistema idealizzato da Fellini. Egli, nei suoi capolavori, come La voce della luna, La vita è bella, Otto e mezzo, ha sempre adottato uno stile non comune ai suoi colleghi contemporanei, motivo per cui si è contraddistinto in maniera così considerevole, e ha sempre preferito inserire elementi che suscitavano nello spettatore sensazioni strane, pungenti, scomode, aggiungendo, inoltre, citazioni e riferimenti ai più grandi personaggi della storia (ne La voce della luna, ad esempio, imposta la regia e la sceneggiatura sul pensiero di Giacomo Leopardi, che lui conosceva e amava), segno evidente della sua immane cultura. Per l’interpretazione del Satyricon, non si può dire quindi che esista regista migliore, anche per l’esame attento degli elementi critici che Petronio ha sottinteso o nascosto. La caratteristica che il regista riesce a far cogliere immediatamente nel suo capolavoro è la frammentarietà: scene che iniziano e si interrompono di botto, angolature di ripresa a stacchi, parole e discorsi vaghi e incompleti. La frammentarietà si riflette anche nell’ambito luce-oscurità. Infatti, Fellini alterna momenti di luce cupa e smorta a lampi improvvisi di luce accesa e forte, presenti nella scena del banchetto alla cena di Trimalchione, che ci concedono un attimo di respiro per poi ritornare all’oscurità ossessiva. Egli ambienta le sue vicende in una terra sotterranea e labirintica, in cui i protagonisti camminano ingenuamente senza comprendere il degrado che germoglia, metafora dello scadimento della società. In questa terra sotterranea, simile a un grosso alveare, vi sono prostitute, donne brutte, malate, povere, uomini sporchi, arcigni, approfittatori, che osservano languidamente il viaggiare dei due giovani. Fellini annienta la bellezza, all’infuori del terzetto, e inserisce l’elemento della sessualità più sconcia e impura; infatti, il suo Satyricon è stato censurato in Italia per le scene sessuali, e non solo, troppo esplicite. Con la creazione di questo labirinto sotterraneo trasporta nel mondo dell’interiorità e dell’istinto, elementi che non stanno alla luce del sole ma covano dentro l’uomo, dando l’idea che il sotterraneo sia metafora di pulsioni ossessive e non permesse che agiscono di nascosto, all’oscuro. La grande opera latina non era destinata a tutti, ma ai colti, con il suo vagare labirintico come chiave di volta, le trappole, le insidie, tutto volto a trovare una via d’uscita. Fellini dimostra come nemmeno la passione sia un possesso stabile e lo si intende molto bene nella scena iniziale, in cui Encolpio, preso dall’amore per il giovane Gitone si lascia trascinare in lotte inutili contro vari personaggi incontrati nel loro cammino, per poi essere abbandonato dal fanciullo, che preferisce Ascilto. Il protagonista va sempre incontro al fallimento. Encolpio è un letterato che racconta il suo vagare, e Fellini, così come Petronio, riesce a ritrarlo in questo suo essere continuamente sconfitto. Un altro elemento cardine di questo capolavoro è la morte. La morte sentita soprattutto come corruzione e rovina della carne (esemplari, in tal senso, la figura di Eumolpo, il finto funerale di Trimalchione sullo sfondo di un paesaggio carico di malevoli presentimenti). La morte, la fine, l'annientamento sono la cifra del film, il suo messaggio estetico e drammatico: una nota sola, quella funebre, un colore solo, quello spettrale, un solo stato d'animo, quello del disfacimento. Quella di Fellini è una grande ricerca dell’immagine: ideando le scenografie ha sfrenato il proprio genio prospettico dando vita a scene con la massima tensione figurativa, non unica quella del banchetto. La minuziosità con cui il regista riproduce ogni evento, ogni dettaglio, ogni sensazione è straordinaria. Petronio descrive la scena con teatralità, il cui protagonista è proprio Trimalchione, uomo grande, avvinazzato e mangione. Fellini, oltre a dipingere la stessa identica figura, riesce a realizzare anche il quadro delle emozioni del nostro Encolpio, il quale inizialmente prova meraviglia di fronte a tutto quel ben di Dio, che il ricco liberto aveva predisposto tutt’intorno alla sala, ma che solo in seguito sentirà un senso più opprimente di angoscia osservando i modi dissoluti e smodati e ascoltando i discorsi vacui e sciocchi. Come riesce Fellini a mescolare questo calderone e farne uscire un perfetto agglomerato di elementi? La risposta risiede sempre nell’intermittenza: se il banchetto è caratterizzato da costumi dai colori sgargianti, dalla luce vivida, dal tono e dalla fluidità dei discorsi, la scena successiva (la rappresentazione del funerale di Trimalchione) è permeata da una luce soffusa, cupa, da discorsi interrotti e tagli di scena frequenti. Fellini proietta da un mondo a un altro senza soluzione di continuità, con l’intento di lasciare interdetti e prossimi a una riflessione, non solo sui personaggi della vicenda ma anche su se stessi. La scena contiene, pertanto, un intreccio quasi inestricabile di tempi diversi: il passato della vicenda incontra il presente della realtà, fondendosi e determinando un unico grande scenario di valori trascurati e costumi in decadenza. TRIMALCHIONE Nel tessuto sociale romano, i liberti costituiscono, per utilizzare una felice espressione di Paul Veyne, “l’élement différencié”; in una società la cui ricchezza è prevalentemente legata al latifondo, essi sono svincolati dalla terra e rappresentano uno strato sociale nel quale convogliano i mestieri non agricoli al punto da poter affermare che “i due terzi degli artigiani a Roma e più della metà nel resto dell’Italia sono dei liberti”. Le cause sociali alla base della cosiddetta “ascesa dei liberti” sono state ampiamente e variamente discusse e non è questa la sede per affrontarle. A prescindere dalle varie interpretazioni sociologiche, a partire dal I secolo, la categoria dei liberti comincia a godere di una nuova fortuna, dovuta a una maggiore richiesta di liquidità, della quale disponeva quella parte della società “affairiste et tapageuse” rappresentata dai liberti ricchi che, grazie alle attività commerciali, riuscivano a disporre di capitale liquido più facilmente della nobilitas equestre e senatoria, ancestralmente legata al latifondo. Come spiega Veyne nella “Vie de Trimalchion”, il cursus del liberto si svolge su un piano parallelo rispetto a quello degli ingenui, Trimalchione, ricoprendo la carica di sevir Augustalis, è giunto alla vetta del cursus riservato ai liberti e non può andare oltre. Grazie alle enormi risorse economiche di cui dispone, egli vive cercando di uniformarsi allo stile di vita della nobilitas senza poterne far parte. Egli si trova incastrato nell’ingranaggio del sistema dell’affrancamento dello schiavo, nel quale i liberti ricchi e indipendenti rappresentano soltanto una ‘falla’. Ciò che caratterizza la categoria dei liberti è un ‘provisoire perpétuel’: essi durano lo spazio di una generazione; i loro figli saranno ingenui e, come tali, avranno un’altra visione delle cose, un’altra gamma di possibilità e di conseguenza condivideranno soltanto in parte (o non condivideranno affatto) la mentalità ‘libertina’ dei loro padri. Trimalchione, la sua casa e la sua tomba, sono stati considerati esemplari dei modi espressivi di un’intera classe sociale, riconducendo di fatto l’intera visione dell’espressione artistica di una categoria sociale varia ed eterogenea a un’unica testimonianza letteraria di élite qual è il Satyricon. Tale atteggiamento è stato criticato negli studi archeologici più recenti, in particolare da Petersen .Tuttavia, tale emancipazione degli studi archeologici dalla figura di Trimalchione ha portato talora all’eccesso opposto: è il caso, per esempio, del recente studio di Laird sugli Augustales, in cui l’autrice non accenna volontariamente alla figura del personaggio petroniano a causa della sua complessità. Si tratta di una posizione comprensibile, ma poco condivisibile: nel suo studio, peraltro assai informato, si trascura la sola fonte letteraria che faccia riferimento agli Augustali (nel Satyricon, oltre a Trimalchione sono seviri Augustali anche Ermerote e Abinna), e ciò contribuisce
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