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Sintesi 2°sezione di "Arte. Una storia naturale e civile" (volume 3) di Settis-Montanari, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi della 2° sezione (capitoli 4-8) del terzo volume, dettagliata e di chiara comprensione. Possibili errori di battitura.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 01/08/2022

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Scarica Sintesi 2°sezione di "Arte. Una storia naturale e civile" (volume 3) di Settis-Montanari e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Sezione 2 Firenze e il primo Rinascimento Lineamenti storici  Coluccio Salutati si proclama erede dell’antica Repubblica Romana e del suo modo di vivere, che prevedeva una forma anti-tirannica di governo e l’impegno di ogni cittadino per la difesa della patria. Umanesimo civile. Propaganda contro i Visconti di Milano, che invece erano famosi per la loro tirannia. Alla morte di Salutati fu Leonardo Bruni a prendere il suo posto, coltivando i suoi stessi ideali: libertà e parità dei cittadini.  La Repubblica era fondata sul lavoro: per essere ammessi agli uffici bisognava essere iscritti ad un’Arte, una delle Corporazioni che riunivano i membri di una categoria professionale, tutelandone gli interessi. Le Corporazioni erano 21: 7 erano dette maggiori, le restanti 14 minori, e riunivano i mestieri più artigianali.  Nella prima metà del ‘400 Firenze fu coinvolta in diverse battaglie militari, spesso con esito positivo. Sconfisse Pisa, garantendosi l’accesso sul mare, e fu impegnata nelle guerre di Lombardia. Nel 1440 i Milanesi furono sconfitti ad Anghiari, ponendo fine alle loro pressioni su Firenze.  Nel 1434 arrivò papa Eugenio IV e rientrò anche Cosimo de’ Medici. Il papa trasferì a Firenze il concilio ecumenico per riunificare le chiese d’Oriente e d’Occidente, che venne finanziato da Cosimo stesso. Così facendo, si fece signore della città, avviando il predominio che la sua famiglia avrebbe avuto in seguito. Capitolo 4 Una nuova generazione di maestri elaborava ora un nuovo linguaggio che si ispirava alla letteratura e all’arte antica, e che si accingeva a scoprire la prospettiva. Brunelleschi, Donatello e Masaccio saranno i promotori di quello che può essere definito come Rinascimento. Nel 1401 fu bandito un concorso tra i migliori artisti toscani, e chi avrebbe vinto avrebbe realizzato una porta per il Battistero di San Giovanni. Questa chiesa aveva tre ingressi, e uno era già stato chiuso da una porta realizzata da Andrea Pisano nel 1336, e a cui la nuova porta si sarebbe dovuta ispirare. Per il concorso ogni artista avrebbe dovuto realizzare una formella mistilinea (una lastra decorativa con cornice gotica) con la rappresentazione del Sacrificio di Isacco. Si dice che i partecipanti furono 7, e tra questi vi furono Ghiberti e Brunelleschi. Lorenzo Ghiberti, Sacrificio di Isacco (1401-1402); l'artista aveva dimestichezza con il bronzo, e realizza una formella dallo stile ancora gotico. Rocce trecentesche, figura di Abramo in una posa elegantissima e arcuata, Isacco diverso leggermente dal resto per il suo nudo giovanile che sembra ispirato all’anatomia di un torso antico. Filippo Brunelleschi, Sacrificio di Isacco (1401-1402); simile alla formella di Ghiberti, non c’è rigore prospettico e tutto è giocato sulla finezza delle figure. Importante il dettaglio dello Spinario. Filippo Brunelleschi, Geremia e Isaia? (1400); profeti con caratteristiche fisiche simili all’Abramo del Sacrificio, vedi la barba arricciata e i panneggi eleganti. Lorenzo Ghiberti, Porta Nord per il Battistero di San Giovanni (1403-1424); presenta 28 formelle mistilinee, dove sono narrate 20 Storie evangeliche, sono effigiati i 4 Evangelisti e i 4 Dottori della Chiesa. Le sue formelle eleganti e ricche di dettagli corrispondono pienamente allo stile del Gotico internazionale. Annunciazione; il comparire dell’Angelo fa ritrarre la Vergine in una posa innaturale e inarcata. Dietro di lei, architettura priva di preoccupazioni per le proporzioni e la rappresentazione dello spazio. Dio lancia la colomba come una palla (ricordando l’angelo che, nella formella di prova, interviene per fermare Abramo): ciò simboleggia l’apparizione del divino che assume la regia della scena sacra. Lorenzo Monaco, Annunciazione e Santi (1410-1415); opera che rispecchia in tutto e per tutto lo stile del Gotico Internazionale. Donatello, Crocifisso di Santa Croce (1406-1408); opera che riflette la formazione ghibertiana, soprattutto nelle pieghe taglienti e sinuose del lembo di stoffa che il Cristo ricordano quelle della Crocifissione della Porta Nord di Ghiberti. Il volto non riflette nulla di tutto ciò, vi è un brutale naturalismo. Forte espressività che sarà poi un tratto distintivo della scultura di Donatello. Filippo Brunelleschi, Crocifisso di Santa Maria Novella (1410-1415); composizione serena e attento studio delle anatomie. Sembra un’opera del Rinascimento maturo. Brunelleschi si recò a Roma per studiare le sculture degli antichi e le architetture romane: non è una scelta scontata, perché agli inizi del ‘400 Roma non era ancora una capitale artistica, perché a lungo era mancata l’autorità e la presenza del papa. Brunelleschi sceglie di andare lì perché era convinto che la Repubblica di Firenze dovesse trarre ispirazione da quella antica romana. Nel 1408 l’Opera di Santa Maria del Fiore ordinò tre sculture di Evangelisti seduti per la facciata del Duomo. A Donatello fu affidato il San Giovanni, a Nanni di Banco il San Luca e a Niccolò Lamberti il San Marco. Al migliore sarebbe stato assegnato il San Matteo mancante, che alla fine fu assegnato a Bernardo Ciuffagni. L'accostamento di queste 4 sculture palesa uno spartiacque tra due diversi mondi artistici: Lamberti e Ciuffagni realizzano le loro sculture ancora in chiave gotica, come attestano gli eleganti panneggi e le acconciature artificiose; Donatello e Nanni di Banco, invece, sembrano ispirarsi all’antico, realizzando due sculture solide strutturalmente e con fierezza della testa Orsanmichele; sulle pareti le Arti fiorentine posero le statue dei loro santi patroni, creando un complesso composto da 14 nicchie popolate di sculture, tutte realizzate nei primi decenni del ‘400. Le copie originali sono state sostituite da repliche per motivi di sicurezza. Lorenzo Ghiberti, San Giovanni Battista (1412-1416); scultura ancora fedele al Gotico internazionale, lo si nota dal panneggio affilato e elaborato, la pettinatura e la barba elegantemente arricciata. Nanni di Banco, I quattro coronati (1409-1417); realizzata per il Tabernacolo dell’Arte dei Maestri della Pietra e del Legname, qui lo scultore fa qualcosa di molto diverso: inserisce le 4 robuste sculture nella nicchia nell’atto di conversare tra loro, raggruppate in semicerchio, per seguire l’incurvarsi della parete stessa. Nella predella sono presenti riferimenti alla scultura e alla falegnameria. Donatello, San Giorgio (1417); volumetria marcata e recupero dell’antico in questa scultura del santo, raffigurato come un cavaliere. Forte semplicità, mancanza di orpelli e decorazioni tipiche del Gotico internazionale. Severità nel volto e figura ben piantata a terra, protetta da un enorme scudo. Ben proporzionata. Viene inserita però in un coronamento gotico. San Giorgio che sconfigge il drago, predella del San Giorgio; è il più antico esperimento della tecnica dello “stiacciato”, un rilievo basso con effetti simili al disegno. Donatello, San Ludovico (1420-1426); prima scultura in bronzo di Donatello. Al contrario di San Giorgio, sembra privo di struttura e risalta moltissimo l’incresparsi dei suoi panni, che sembrano vibrare allo sbattere della luce; si capisce che Donatello ha compreso quanto si possa giocare con i metalli, più particolari rispetto al semplice marmo. È in una nicchia che non ha un coronamento gotico, ma un arco a tutto sesto. Beato Angelico (frate domenicano), Madonna col Bambino e i Santi Domenico, Giovanni Battista, Pietro Martire e Tommaso D’Aquino (comunemente detto Trittico di San Pietro Martire) (1429); formato gotico della carpenteria e fondo dorato. I 4 Santi, 3 domenicani, si distinguono però per una certa solidità. Particolare del pavimento in marmi screziati. Filippino Lippi (frate carmelitano), Madonna dell’umiltà e Santi (1429-1432); piccola pala d’altare che stravolge il solito concept di questa rappresentazione, rielaborandola in termini masacceschi: fondo azzurro, non oro, non vi sono decorazioni floreali, le figure sono salde e ben piantate a terra. Il gruppo della Vergine e del Bambino ha la compattezza di un cono. Alla destra di essi sono presenti due santi, riconoscibili dalla cappa bianca che copre il manto scuro: il martire Angelo di Sicilia, con un coltello in testa, e Alberto da Trapani, con un giglio in mano. Lui fu uno dei veri seguaci di Masaccio. Paolo Uccello, Monumento equestre di Giovanni Acuto (1436); grande amante della prospettiva, qui l’artista realizza una cassa da morto, sormontata da un monumento equestre. Grande resa spaziale della cassa, accentuato plasticismo del condottiero e del cavallo. Verso il 1438 dipinse 3 grandi tavole che raccontano le principali fasi della Battaglia di San Romano, combattuta durante le cosiddette Guerre di Lucca:  Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini  Disarcionamento del condottiero senese Bernardino della Carda  Michele Attendolo guida i Fiorentini alla vittoria Vi è una vera e propria ossessione per gli scorci difficili e le geometriche volumetrie delle figure e degli ampi copricapi. Ottimo uso della prospettiva, nonostante la scenografia complessa, affollata da figure. Contrasto netto tra battaglia in primo piano e scena sullo sfondo. Capitolo 6 Meno di dieci anni dopo la morte di Masaccio, una nuova generazione di artisti si mosse prendendo spunto dalla sua lezione per dare vita ad un tipo di pittura fondata sul rigore prospettico e sulla scelta di un registro cromatico vivace e luminoso detta “pittura di luce”. Fu Domenico Veneziano a dar vita a tutto ciò verso la fine degli anni ‘30 a Firenze, e la sua idea si diffuse rapidamente in tutta Italia grazie anche a Piero della Francesca, un suo allievo. I cardini della pittura di luce sono:  Prospettiva  Composizione essenziale e lineare  Narrazione ordinata della storia  Utilizzo di colori chiari e luminosi Domenico Veneziano, Adorazione dei Magi (o Tondo di Berlino) (1439-1440); presenza di alcuni elementi tardogotici, come il prato fiorito, gli animali, la ricchezza degli abiti. Il corteo aiuta a comprendere la tridimensionalità del dipinto. Grande attenzione al paesaggio. Domenico Veneziano, Pala di Santa Lucia de’ Magnoli (1445); pala di formato quadrato, spariscono tutti gli orpelli gotici. I protagonisti sono in un loggiato (con archi gotici) ben definito dalla prospettiva e dallo studio geometrico del pavimento e della base del trono. La scena è illuminata da una forte luce, che si riflette sui personaggi, definendone i contorni e le vesti. Paramento murario decorato con marmi policromi. Colpiscono i colori chiari. Andrea del Castagno, Cenacolo di Sant’Apollonia (1447); Andrea fu uno dei primi seguaci della pittura di luce. Scena ambientata in un edificio all’antica, decorato riccamente (vedi le arpie e i marmi policromi, con luce intensissima che fa risaltare gli elementi chiari. Andrea del Castagno, Uomini e donne illustri della Villa Carducci (1447-1449); ciclo profano voluto da Filippo Carducci, dove Andrea scelse di raffigurare, a gruppi da 3, donne virtuose, poeti fiorentini o militari, facendoli affacciare da un’illusionistica loggia all’antica ornata da marmi colorati sul fondo. Andrea del Castagno, Monumento equestre a Niccolò da Tolentino (1456); opera ispirata al Monumento equestre di Giovanni Acuto di Paolo Uccello e concepita in gara con la scultura. Il vero profeta della pittura di luce fu Piero della Francesca: gli elementi chiave della sua pittura sono la coerenza spaziale, i colori chiari e luminosi, le architetture all’antica e le figure volumetriche. Piero della Francesca, Battesimo di Cristo (1443-1445); traspare la formazione di Pietro con Domenico. Cristo e la colomba sono il centro della composizione. Effetto di lontananza tridimensionale sottolineato dal digradare degli alberi. Visione serena, distaccata, dove sono presenti figure allungate con bizzarri copricapi sullo sfondo. Piero della Francesca, Polittico della Misericordia di Sansepolcro (1445-1462); Piero avrebbe dovuto realizzare questo polittico con delle figure stagliate su sfondo dorato, ma seppe superare queste limitazioni, e lo si vede nel comparto centrale, dove la Vergine accoglie i fedeli sotto al suo manto. I personaggi inginocchiati vanno a delineare uno spazio autentico e danno il senso di un cerchio. Piero deve la sua fama al ciclo di Storie della Vera Croce che realizzò ad Arezzo, una serie di affreschi commissionati dalla famiglia Bacci dove l’artista narra episodi sul legno della croce di Cristo. Piero della Francesca, Morte di Adamo; il figlio Seth gli mette in bocca il germoglio da cui nascerà l’albero che verrà utilizzato per realizzare la croce. Piero della Francesca, La regina di Saba adora il futuro legno della croce e incontra Salomone; due episodi differenti nella stessa opera, Piero riesce a rendere l'idea di un ambiente unificato sfruttando la colonna centrale come perno per la piramide prospettica. Piero della Francesca, Flagellazione di Urbino (1445-1450); si tratta di una prova di prospettiva, nata con la funzione di dimostrare le doti del pittore. Il supplizio di Cristo ha luogo a sinistra, in un porticato simile a quello in cui si incontrano Salomone e la regina, mentre in primo piano a destra tre personaggi sono disposti sul proscenio di un fondale urbano. Per il profilo di Pilato, seduto in fondo a sinistra, il pittore ha preso spunto dalla medaglia dell'imperatore Giovanni VIII Paleologo. Gli abiti sono ricchi e solenni. Piero della Francesca, Battaglia di Ponte Milvio; il volto di Giovanni VIII Paleologo compare anche qui nel volto di Costantino che, ostentando la croce, guida le sue truppe. La battaglia sembra quasi una parata, e Piero vi rappresenta a dovere la paura e allo stesso tempo la forza dei combattenti. Piero della Francesca, Sogno di Costantino; resa tridimensionale del padiglione in cui dorme l’imperatore, scorcio difficilissimo dell’angelo che cala a mostrare la croce, studio luministico straordinario che culmina nei contrasti tra superfici oscure e armature lucenti. Piero della Francesca, Ritrovamento e verifica della Croce; Elena, la madre di Costantino, ritrova la reliquia della croce in Terrasanta: prima la vediamo osservare il recupero delle 3 croci del Golgota, poi inginocchiarsi di fronte alla croce che, solo con un contatto, aveva resuscitato un morto. Importante il palazzo tripartito e timpanato che innalza Piero. Anche qui 2 episodi in uno spazio unico. Capitolo 7 Nella Firenze del primo Rinascimento anche la scultura seppe crearsi un nuovo linguaggio, dove colore e luce giocarono un ruolo fondamentale anche grazie all’invenzione della terracotta invetriata. La scultura in terracotta consiste nel plasmare con l'argilla sia rilievi che figura tutto tondo poi cotti in forno per assumere una definitiva solidità. Questa tecnica fu assai diffusa nell'antichità, prevedendo che il tono neutro delle immagini fosse ravvivato attraverso la policromia. Abbandonata nel Medioevo, la scultura in terracotta fu riscoperta a Firenze, e Luca della Robbia procedette a sperimentare un particolare tipo di terracotta colorata realizzata attraverso uno smalto superficiale capace di aumentare la resistenza della terra e di donare una lucentezza vitrea ai rilievi e alle figure. Luca della Robbia, scultore grandissimo, negli anni ‘30 del ‘400 si cimentò nella costruzione delle cantorie per il Duomo di Firenze insieme a Donatello. Brunelleschi non si era occupato soltanto del cantiere della cupola del Duomo, aveva anche progettato l’arredo della zona sottostante, dotandolo di due cantorie, ovvero due balconi che avrebbero dovuto ospitare il nuovo organo e i coristi della cattedrale, affacciandosi l’uno di fronte all’altro. Una delle due fu commissionata nel 1431 a Luca, l’altra nel 1433 a Donatello. Luca della Robbia, Cantoria (1431-1438); pervade un grande senso di serenità e armonia, lo scultore mette a punto una serie di 10 rilievi quadrati, all’interno dei quali inserisce gruppi di cantori e danzatori in candido marmo, che con gioia si applicano alle diverse attività musicali e del ballo. Donatello, Cantoria (1433-1438); è una cantoria completamente diversa da quella di Luca. Innanzitutto, Donatello era appena tornato da un altro soggiorno a Roma, dove aveva approfondito i suoi studi archeologici. Cercando di richiamare il tema della musica, inserisce sul prospetto del balcone una sfrenata e instancabile danza di putti alati, che volteggiano furiosamente contro lo spazio continuo di una galleria impreziosita sul fondo e nelle colonne da tessere vitree colorate. Sembra andare in direzione ostinata e contraria rispetto al senso di equilibrio di Brunelleschi, lo dimostra la vitalità della scena, l’utilizzo di tessere colorate, il rifiuto di una composizione armoniosa e ordinata. Particolare la presenza di due teste in bronzo nella parte sottostante. Il linguaggio pacato palesato da Luca della Robbia nella cantoria trova un parallelo in pittura in alcune opere eseguite da Filippo Lippi e da Domenico di Bartolo. Agli esordi masacceschi Filippo fece seguire alcuni dipinti con forme delle figure più pacate e larghe. Filippo Lippi, Trittico con la Madonna col Bambino, quattro angeli, il donatore San Giovanni Battista e San Giorgio (1430-1434); il fondo è ancora adorato ma la carpenteria rinuncia alle cuspidi gotiche, innalzando sullo scomparto centrale un timpano che contiene lo stemma del committente, che compare di profilo e in abisso (cioè con la metà inferiore del corpo tagliata dalla cornice, come se stesse spuntando dal basso) a raccogliere la benedizione del bambino. Quest'ultimo è un bambolotto paffuto che assomiglia molto alla madre corpulenta, che sta in mezzo a un gruppo di angeli fanciulli che le reggono un cuscino. Lo scomparto centrale, che si caratterizza per tre colonne che danno il senso dello spazio, non si deve confondere con una Madonna dell'Umiltà, perché la Vergine sembra accoccolata a terra ma in realtà è sospesa sopra un tappeto di nuvole dalle quali piovono raggi dorati. Domenico di Bartolo, Madonna dell’Umiltà (1433); nonostante il fondo oro, la tavola è di formato rettangolare e ha lasciato i complicati ornati delle cornici gotiche. Non c'è più l'esuberanza vegetale e animale delle più tipiche Madonne dell'Umiltà, si conserva soltanto il prato fiorito. Tutta la composizione è infatti centrata sulla figura possente di Maria, caratterizzata da un manto azzurro accartocciato a rendere le forme delle gambe. Bambino solido e gruppo di angeli musicanti alle spalle della Vergine che ricordano le figure della cantoria di Luca della Robbia. Lorenzo Ghiberti, Storia di Adamo ed Eva; racconta più episodi della stessa storia in una sola scena, non congegnata come un palcoscenico tridimensionale. Si inizia sinistra con la creazione di Adamo, si prosegue al centro con quella di Eva, poi si continua con il momento del peccato originale illustrato in secondo piano a sinistra a bassissimo rilievo, per poi finire con la cacciata dal paradiso terrestre che è raffigurata sulla destra, con i due protagonisti spinti dall'angelo al di fuori di una porta in diagonale. Questa scena ricorda la versione raffigurata nella cappella Brancacci, anche se qui non c'è nulla di masaccesco: i personaggi tendono più alla bellezza che al dramma e il paesaggio è descritto dettagliatamente. Lorenzo Ghiberti, Storia di Giuseppe ebreo; le difficoltà a intendere la prospettiva qui emergono. Giuseppe, figlio preferito di Giacobbe, fu venduto dai fratelli invidiosi e, arrivato in Egitto, fece fortuna interpretando i sogni del faraone, che lo volle come suo ministro; quando i fratelli, in un periodo di carestia, andarono in Egitto a cercare grano, Giuseppe si fece riconoscere, li perdonò e li accolse presso di sé. La vicenda è illustrata nella formella attraverso 7 episodi predisposti intorno a una grande loggia circolare che Ghiberti non riesce a collocare correttamente nello spazio. Minuzia delle elegantissime figure arcuate, segnate dai panneggi ricurvi o dalla perfezione calligrafica delle acconciature. Donatello, David (1435-1440); è una scultura in cui Donatello esprime una grazia eccezionale. Un'adolescente dai lunghi capelli, completamente nudo se non per il cappello in testa e i calzari. Nella mano destra ha la spada e nella sinistra il sasso con il quale ha battuto Golia. Il giovinetto trionfante poggia un piede sul capo del gigante morto, in una posizione chiastica. Il nudo del David è di un'eleganza estrema, ma rispetto a quanto avrebbe saputo fare Ghiberti Donatello propone una novità decisiva: è infatti una statua a tutto tondo, studiata affinché fosse possibile girarle attorno osservandolo da sotto in su; si poteva così incrociarne lo sguardo appositamente rivolto verso il basso e altrimenti quasi nascosto dalla tesa del cappello. Donatello, Giuditta (1457-1464); in questa scultura viene raffigurata l'eroina Giuditta in atto di decapitare Oloferne. Donatello aveva alle spalle un lungo soggiorno a Padova, e questa esperienza, in cui lo scultore diede vita a bronzi monumentali di raro vigore espressivo, è il tramite che dall'avvenenza del David conduce al dramma della Giuditta. Un gruppo scultoreo pensato di nuovo a tutto tondo, ma di una forza impressionante nello scarto della figura che sta per essere decapitata, nel gesto dell'eroina che alza la spada, nel panneggio della sua veste e nelle storie ai piedi del basamento. Qui corrono tre scene bacchiche che alludono all'ebbrezza di Oloferne; infatti, Giuditta lo uccise dopo averlo fatto ubriacare. Un tempo il gruppo della Giuditta recava una scritta latina che nominava il committente ed esaltava la funzione civile dell'opera, ricordando come Piero, figlio di Cosimo, dedicasse la statua femminile all'unione di fortezza e libertà. Il gruppo donatelliano, quindi, rappresenta un esempio di virtù civili e amore di patria. Michelozzo di Bartolomeo, Palazzo Medici (1444-1460); rappresenta un prototipo ideale di edificio gentilizio rinascimentale. La sua sobria magnificenza risponde alle esigenze del signore di dimostrare la sua ricchezza e il suo potere, evitando un fasto eccessivo e offensivo per i cittadini repubblicani. Inizialmente era una struttura cubica organizzata intorno al cortile da cui si accede sia agli appartamenti sia al giardino sul retro. La facciata è stata alterata in età moderna: le finestre al piano terra sono del ‘500, forse di Michelangelo, mentre il prolungamento sulla strada risale al tardo ‘600. Importanti le bifore con archi a tutto sesto e il bugnato di volta in volta rustico sui 3 piani. Michelozzo si era occupato, dal 1437 al 1443, della ristrutturazione del Convento di San Marco: un monumento unico, decorato da più di 40 affreschi eseguiti da Beato Angelico e dalla sua bottega.
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