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Sintesi 4° sezione di "Arte. Una storia naturale e civile" (volume 3) di Settis-Montanari, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi della 4° sezione (capitoli 11-19) del terzo volume, dettagliata e di chiara comprensione. Possibili errori di battitura.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 01/08/2022

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Scarica Sintesi 4° sezione di "Arte. Una storia naturale e civile" (volume 3) di Settis-Montanari e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Sezione 4 La diffusione del Rinascimento in Italia Lineamenti storici  Francesco Sforza per lungo tempo era stato al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, finendo per sposarne la figlia nel 1441. Dopo la morte senza eredi maschi di Filippo Maria, nel 1450 Francesco divenne signore di Milano, e sotto costui la città iniziò ad aprirsi al Rinascimento. A Napoli, la contesa tra Angioini e Aragonesi ebbe fine quando Alfonso d’Aragona prese la città. Egli unì le capacità militari alla passione per le lettere e le arti.  La cultura umanistica prosperò e fece prosperare le corti italiane, dal momento che i signori fecero a gara per accogliere i migliori uomini di lettere, per avere a disposizione ottimi maestri per i loro eredi.  L’amore per le lettere antiche coinvolse anche gli uomini di Chiesa. Roma iniziò a diventare una vera e propria capitale del Rinascimento. In questa vicenda giocarono ruolo decisivo due umanisti che furono eletti pontefici: Niccolò V e Pio II. Quest'ultimo diede vita al progetto di una sorta di città ideale, Pienza, fondata su quello che possiamo considerare il primo piano urbanistico moderno. Quanto al campo spirituale, intorno alla metà del secolo la Chiesa proclamò alcuni nuovi santi, tutti appartenenti a ordini regolari e tutti subito effigiati dai pittori e dagli scultori. Sul piano politico bisogna ricordare che Niccolò V incoronò imperatore Federico III, riuscendo a realizzare la Pace di Lodi.  Regnava Niccolò V quando, il 29 maggio 1453, Costantinopoli fu conquistata dai Turchi del sultano Maometto II, segnando la fine dell'Impero d'Oriente. Il successore Callisto III si impegnò a organizzare una crociata per riconquistare Bisanzio, e Pio II, nel 1459, convocò a tal fine addirittura un concilio a Mantova: al di là dei molti propositi, nessuna spedizione sarebbe mai partita, perché nessun signore d'Italia e d'Europa aveva davvero intenzione di gettarsi in una simile impresa.  Il Quattrocento fu un secolo di espansione per la Repubblica di Venezia. I suoi confini giunsero a comprendere il Veneto e quasi tutto il Friuli. La città lagunare era la capitale di uno Stato multiculturale e multi-territoriale, che continuava fondare la sua ricchezza sulle intense relazioni commerciali con l'Oriente. Era veneziana anche Padova, che nella sua prestigiosa università educò numerosi umanisti e, grazie a una decennale presenza di Donatello, rappresentò la testa di ponte per la diffusione del linguaggio artistico rinascimentale in Italia settentrionale. Capitolo 11 Nel ‘400 in Italia il paesaggio inizia ad essere apprezzato per i suoi valori estetici. Pittore fiorentino, Tavola Strozzi (Veduta di Napoli) (ante 1487); la tavola raffigura una dettagliata veduta della città affacciata sul mare, dove si riconosce una flotta, in primo piano, che sembra essere quella aragonese al rientro da una battaglia ad Ischia. Città affollata di campanili e fortezze, e racchiusa dalle mura (a differenza di oggi). Quando Firenze fu assediata, nel 1529-1530, erano in uso le armi da fuoco, e le sottili mura medievali non erano più adatte a sostenere l'attacco dei proiettili delle bombarde. Architetti e ingegneri militari, iniziarono a escogitare nuove forme di sistemi difensivi, contraddistinte dall'uso di murature molto spesse e dall'elaborazione di fortificazioni a piante geometriche, pensate per evitare di offrire ai colpi del nemico il maggiore numero possibile di superfici piane. Alle torri medievali si sostituirono possenti e tozzi bastioni a pianta circolare o poligonale, che divennero l'elemento cardine della nuova architettura militare. Caduta la Repubblica, il duca di Firenze Cosimo I si impegnò nel migliorare le difese del proprio Stato e nel 1564 fondò una nuova città, chiamata Terra del Sole: una città fortezza costruita su una pianta rettangolare, dotata di bastioni agli angoli. Un modello analogo fu utilizzato negli stessi anni dal condottiero Vespasiano Gonzaga per costruire la città di Sabbioneta nella Pianura padana, tra Mantova e Parma, che non fu solo fortezza, ma anche capitale e sede della corte del minuscolo Stato di cui Vespasiano era duca. Ha una pianta ancora più complessa, a forma di stella, la città di Palmanova, voluta sul finire del Cinquecento dalla Repubblica veneziana. Tutte le strade conducono verso la piazza centrale, secondo un disegno di estrema razionalità. La progettualità dell'uomo ha inserito nel paesaggio nuovi centri urbani attentamente studiati nelle loro piante e nelle loro forme: per questa ragione si parla di "città ideali". Molto diversa è la logica con cui fu costruita Loreto, cittadina delle Marche poco lontana da Recanati. Qui nel 1296, secondo la tradizione, sarebbe stata posata dagli angeli la casa di Nazareth in cui Maria ricevette l'annuncio della nascita di Gesù. La dimora sarebbe giunta miracolosamente in volo da una Palestina divenuta islamica. È attorno a questa straordinaria reliquia che Loreto sorse come una città destinata ad accogliere i pellegrini. Tra gli ultimi decenni. del Quattrocento e il secolo successivo fu costruito il santuario, affidando la fabbrica della chiesa a Donato Bramante. Assai frequenti furono i casi di chiese innalzate per rendere onore a immagini miracolose, di norma mariane, e spesso questo avvenne fuori delle mura delle città. Fu così che poterono sorgere santuari isolati in mezzo alla campagna, ma piuttosto vicini alle porte urbane, così da essere facilmente raggiungibili sia dai cittadini sia dagli abitanti del contado. Capitolo 12 Martino V aveva intrapreso una politica artistica determinata a rilanciare Roma, avviando una serie di cantieri che seppero attirare nella città maestri del calibro di Masolino, Masaccio, Gentile da Fabriano e Pisanello. La Roma di allora era molto diversa da quella antica e da quella di oggi: la città non era molto popolata. Filarete, Marco Aurelio (1440-1445 circa); bronzetto, una scultura in bronzo intesa a replicare in piccolo un'opera d'arte antica, che avrebbe avuto molto successo nel Rinascimento. Filarete, Porta (1433-1445); due grandi battenti della nuova basilica di San Pietro e che recano le immagini di Cristo, della Vergine, dei santi Paolo e Pietro e delle storie del loro martirio. Amante della virtù, Filarete non seppe aggiornarsi sulla nuova visione dell'antico elaborata da Donatello; perciò, i rilievi della sua porta appaiono privi di profondità e le scene risultano affollate all'inverosimile di figure e di ornati ispirati all'antichità. In questo lavoro colossale la libertà della fantasia e della decorazione domina sul rigore della razionalità. Eugenio IV chiamò a Roma Beato Angelico: il pittore sarebbe rimasto nell'Urbe almeno fino al 1449, quando ormai era sul soglio pontificio il nuovo Papa Niccolò V. Proprio alla committenza di Niccolò quinto si deve l'unica opera superstite dell'attività dell'Angelico a Roma: le storie dei santi Stefano e Lorenzo della cappella detta Niccolina. Beato Angelico, Lorenzo è consacrato diacono da Sisto II (1447-1448) la scena sembra ritrarre uno dei consueti momenti ufficiali di quel rituale liturgico e di Corte cui Niccolò teneva moltissimo. monumenti sepolcrali innalzati per rendere onore a due eminenti cancellieri della Repubblica fiorentina del primo ‘400. Bernardo Rossellino, Monumento sepolcrale di Leonardo Bruni (1445- 1450); monumento all'antica impostato sul modello di un grande arcosolio, ovvero un sepolcro inserito entro una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, affiancata da lesene scanalate e sovrabbondante di elementi decorativi che impreziosiscono il catafalco, sul quale si innalza il letto funebre. Dietro è il motivo dei riquadri in porfido, mentre soltanto nella lunetta soprastante con il tondo della Madonna col Bambino e gli angeli c'è spazio per il tema cristiano. Desiderio da Settignano, Monumento sepolcrale di Carlo Marsuppini (circa 1459- 1460); preferisce alle forme classiche e volumetriche di Rossellino un'interpretazione più espressiva e virtuosistica nella cura dei dettagli. Al carattere araldico delle romanticissime aquile del catafalco di Bernardo, Desiderio rispose con una coppia di arpie dal piumaggio mosso e naturalistico. Desiderio era particolarmente dotato della capacità di scolpire teste di grandissima grazia e leggiadria, con particolare riferimento a quelle di femmine e fanciulli. Ne è una prova indiscutibile il gioioso Bambino sorridente (1460-1464), dove Desiderio coglie la spensieratezza del fanciullo in maniera naturalistica. Leon Battista Alberti scrisse anche il “De statua”, dove individuò il fine della scultura nell’imitazione della natura: una statua doveva dunque essere a tutto tondo e accuratamente studiata nelle anatomie e nelle proporzioni. Capitolo 15 Nel ‘400 la città di Urbino dominava su di un territorio piuttosto vasto. Era un'area di rilievo strategico, ma non particolarmente ricca: infatti Urbino divenne uno dei centri artistici di maggiore rilievo del Rinascimento solo perché il suo signore fu uno dei più grandi condottieri del tempo e scelse di investire i notevoli guadagni dell'arte della guerra nella sua città e nel suo territorio. Il protagonista della storia è Federico da Montefeltro, acerrimo nemico e primo responsabile del declino di Sigismondo Pandolfo Malatesta, che seppe coniugare l'abilità militare con la passione per le lettere e le arti allo stesso modo del signore riminese. Palazzo Ducale; si estende su un'area considerevole del centro della città, perché andò a incorporare una serie di edifici preesistenti nel corso di una lunga serie di lavori. Il volto che il palazzo offre di sé verso l'esterno della città è quello della “facciata dei torricini”, dove le allungate ed eleganti torri rotonde angolari fiancheggiano un prospetto slanciato al centro dal sovrapporsi di quattro logge; le due più in alto si distinguono per il candido paramento murario di marmo, palesando un richiamo all'antichità, nelle forme e nelle decorazioni a lacunari delle volte. È verosimile che nell'ideazione abbia giocato un qualche ruolo Leon Battista Alberti. Luciano Laurana, Cortile del Palazzo Ducale; cortile d'onore intorno al quale è organizzato il palazzo, il luogo in cui Federico accoglieva i suoi ospiti. Il cortile è contraddistinto dalla successione sui quattro lati di loggiati con archi a tutto sesto, combinati tramite la soluzione dei pilastri agli angoli; sopra le arcate vi è un'iscrizione in latino che ricorda le gloriose imprese del committente. Studiolo del Palazzo Ducale (circa 1474-1476); alla monumentale dimensione di questi ambienti si contrappone questo studiolo riservato al duca, una stanzina decorata nella parte alta da un ciclo di Uomini illustri dipinto da Giusto di Gand e Pedro Berruguete. Protagonista è l’arredo ligneo, rivestito da tarsie prospettiche realizzate nella bottega di Giuliano e Benedetto da Maiano. I pannelli urbinati dimostrano come nel ‘400 la tecnica medievale della tarsia potesse essere trasformata in uno strumento per creare effetti di illusione spaziale e resa minuziosa e realistica dei dettagli. Tra i molti maestri a cui Federico affidò la sua immagine, il più celebre è sicuramente Piero della Francesca. Piero della Francesca, Dittico Montefeltro (1460-1465); sono ritratti Federico e la moglie Battista Sforza, entrambi di profilo e a mezzobusto, con un paesaggio sullo sfondo (specchi d’acqua e colline verdi). Piero si sofferma su ogni dettaglio attraverso una pittura luminosa e minuziosa, ispirata alle novità fiamminghe. Utilizza infatti la pittura ad olio. Concretezza delle carni e dei tessuti delle vesti. Federico ha la parte alta del naso smussata, Battista ha la fronte alta, il viso pallido, un’acconciatura elegantissima e un prezioso corredo di gioielli. I due pannelli sono dipinti anche sul retro, dove Piero raffigurò un trionfo dei due, accompagnati da figure di virtù. Trae ispirazione dai Trionfi di Petrarca: i due guidano due carri, sullo sfondo vi è Montefeltro, e in basso vi sono due iscrizioni in versi latini che celebrano gli sposi. Piero della Francesca, Madonna di Senigallia (1474 circa); figure a mezzo busto in questo interno rischiarato dai raggi di luce provenienti dalla finestra. Dall'altro lato vi è una nicchia rinascimentale dove un paio di mensole sorreggono diversi oggetti, richiamando la pittura fiamminga. Gesù Bambino è seduto sul braccio sinistro della madre, con un corallo al collo (simbolo di protezione ma anche richiamo al sangue versato sulla croce) e con in mano una rosa bianca (rimando al rosario), e rivolge il gesto della benedizione nei riguardi dell’osservatore. Piero della Francesca, Pala Montefeltro (1472-1474); duca effigiato di profilo e con un’armatura, in ginocchio davanti alla Vergine, che ha sulle ginocchia il Bambino ed è accompagnata da una corte di santi e angeli. È il centro di una composizione prospettica che ha il punto di fuga in mezzo al viso, e continua con assoluta razionalità nelle forme architettoniche dell'area presbiteriale in cui è ordinata la sacra conversazione. Troppe volte si sono cercati significati astrusi nell'uovo di struzzo appeso al di sopra della Vergine: si tratta di un oggetto non troppo raro tra le suppellettili liturgiche del tardo medioevo. Piero ha tenuto a raffigurarlo per accentuare l'effetto tridimensionale dell'architettura attraverso la collocazione di uno sferoide nel vuoto di uno spazio prospettico. Il crudo dettaglio della mano di Federico da Montefeltro gonfia non spetta a Piero, ma svela la responsabilità di un pittore non italiano, Pedro Berruguete. Giusto di Gand, Pala del corpus domini (Comunione degli apostoli) (1473- 1474); la predella è stata realizzata da Paolo Uccello, mentre la tavola principale ha un linguaggio tutto nordico. È il culmine dell'ultima cena e tutti hanno abbandonato la tavola; i discepoli sono inginocchiati intorno a Cristo che, in piedi, offre il sacramento al primo di loro. Scenografia, cura dei dettagli, fisionomie dei personaggi, irrazionalità della composizione, edifici visibili al di là delle aperture laterali: tutto ciò non ha nulla di italiano, fatta eccezione per la faccia del duca Federico, ritratto sulla destra. Paolo Uccello aveva narrato nel gradino, in sei episodi, il Miracolo dell'ostia profanata, la storia di un ebreo parigino che, avendo oltraggiato il sacramento ed essendo stato scoperto, finì sul rogo con tutta la famiglia. Paolo Uccello, Vendita sacrilega (1467- 1468); ambientazione in interno che offre l'occasione di allestire un'essenziale scatola prospettica. Pedro Berruguete, Federico da Montefeltro e il figlio Guidobaldo (1476 circa); il duca, ancora in armi, siede intento alla lettura di un libro (sorretto con le mani un po' gonfie e identiche a quelle della Pala di Montefeltro di Piero), mentre un bambino elegantissimo si appoggia al suo ginocchio e non lo vuole disturbare. Atmosfera intima, luce soffusa, attenzione ad ogni dettaglio, con un particolare soffermarsi sui bagliori metallici dell'armatura, sulla coperta rossa del libro, sulle gemme luccicanti della veste del bambino e sulle carni dei due protagonisti. Federico de Montefeltro accolse a Urbino Francesco di Giorgio Martini, affidandogli non solo il cantiere del Palazzo Ducale, ma anche il compito di rendere più sicuri i suoi domini, costruendo una serie di nuove fortificazioni. Francesco di Giorgio fu il primo grande interprete di una nuova architettura militare, studiata per difendersi dalla potenza delle armi da fuoco. Tra tutte le fortezze spicca la Rocca di Sassocorvaro. Francesco de Giorgio progettò una fortezza che ricorda la forma di una tartaruga e ha un aspetto massiccio. Una predilezione per edifici antropomorfi o zoomorfi si accorda alla necessità di pensare strutture capaci di opporsi alla veemenza delle nuove armi da fuoco, con possenti murature scarpate, disposte il più possibile in obliquo, per evitare di offrire ai colpi del nemico il facile bersaglio di una superficie piana. Da ciò dipende la scelta di piante prive di pareti rettilinee e distinte dal susseguirsi di torrioni circolari e corpi avanzati. Francesco di Giorgio fu qui assolutamente originale, perché l'esempio degli antichi non poteva contare, visto che non avevano mai avuto a che fare con armi da fuoco. A lui si deve anche l'ammodernamento delle difese di San Leo: per difendere il fianco esposto eventuali attacchi ideò una coppia di torrioni cilindrici innalzati sul limitare della rupe e uniti da una cortina. Non furono solo le fortezze a rinnovare il paesaggio nella seconda metà del ‘400: vi fu una progettazione ambiziosa e funzionale degli spazi urbani ed extraurbani, che non si limitava a prevedere nuove chiese e palazzi, ma pianificava la nascita di città fondate su disegni urbanistici tanto razionali da apparire “ideali”. Città ideale; è raffigurata l'ampia piazza di una città, imperniata su di un edificio a pianta rotonda e di gusto antiquario, chiusa lateralmente da una serie di palazzi. Non ci sono abitanti ed emerge come protagonista assoluta la prospettiva. Non si sa chi sia l'autore di questa tavola, ma si pensa a Donato Bramante. Capitolo 16 Nel 1458 fu eletto Papa Pio II, un colto uomo di lettere. Scelse di raccontare la sua vita in una sorta di autobiografia, che intitolò Commentari e in cui descrisse l'impresa cui deve la sua fama: la costruzione di una nuova città, Pienza; era nato in campagna, in un piccolo villaggio della Toscana che si chiamava Corsignano, e divenuto papa decise di trasformare quel villaggio in una vera e propria città. Affido al progetto Bernardo Rossellino, ha pronto un piano urbanistico incentrato su una piazza dominata dal prospetto all'antica della cattedrale. Borsellino allestì la piazza come un palcoscenico teatrale, adottando una pianta trapezoidale capace di dare un senso di maggiore ampiezza allo spazio e lasciando ai lati della Chiesa centrale due vuoti. Cattedrale di Pienza; si innalza al centro della piazza con una facciata in travertino, tripartita dalle grandi arcate a tutto sesto e sormontata da un timpano con al centro lo stemma del pontefice. Allo stesso modo di Rimini, l'interno della Chiesa è gotico, nelle volte a crociera sostenute da pilastri e negli alti finestroni. In ricordo dei suoi soggiorni in terra germanica, Pio II chiese a Rossellino di attenersi al modello delle “chiese ad aula”, nelle quali navata centrale e navate laterali condividono la stessa altezza. La navata centrale è più ampia rispetto a quelle laterali. Palazzo Piccolomini; organizzato intorno a un cortile centrale, destinato ad essere dimora del papa nei periodi di vacanza. Si innalza accanto alla cattedrale a costituire un tutto organico, e l 'aspetto più originale si coglie solo entrandovi e giungendo fino alla loggia aperta sul giardino pensile, sospeso su un panorama mozzafiato. Capitolo 18 Nel 1460 Mantegna si trasferì a Mantova, presso la corte del Marchese Ludovico Gonzaga. Come tanti altri signori, combinava la dimestichezza nel mestiere delle armi e la passione per le lettere e l’antichità. Andrea Mantegna, Morte della Vergine (1460-1464); versione singolare dell’episodio: Maria è distesa nel letto funebre, circondata da un gruppo di apostoli profondamente donatelliani, soprattutto per temperamento. Sul fondo della sala si apre una grande finestra, che mostra un paesaggio diverso da quello di Gerusalemme o di Efeso: è una veduta realistica di ciò che si ammirava dalla dimora dei Gonzaga, uno scorcio del ponte di San Giorgio e del bacino lacustre. Andrea Mantegna, Camera degli Sposi (1465-1474); affreschi che realizzò nella cosiddetta "camera picta" di uno dei torrioni del castello. Concretezza del racconto di quotidiane scene di corte, illustrate da Mantegna sulle pareti tramite un finto loggiato coronato di festoni, dove i tendaggi si aprono a mostrare solidi personaggi su sfondi di paese. Andrea Mantegna, Incontro tra Ludovico Gonzaga e il figlio Francesco cardinale (1465-1474); il signore mantovano incontra il figlio Francesco. L'alto prelato reca per mano il fratello minore Ludovico, che tiene a sua volta il piccolo Sigismondo (futuro cardinale), mentre accanto al marchese si riconosce il nipotino Francesco, che ne erediterà il titolo. È una celebrazione dinastica, corredata nel prosieguo delle pareti da un gruppo di servitori, cani e destrieri. Alle spalle del cardinale vi è un paesaggio dominato da una città fortificata. Andrea Mantegna, Volta con busti di Cesari e oculo prospettico (1465-1474); soffitto dove il tema antiquario è chiamato a fare da cornice a una soluzione prospettica straordinariamente innovativa. Nella volta della Camera degli Sposi Mantegna finge con la pittura una serie di elementi architettonici e una fastosa sequenza di busti di Cesari clipeati (cioè inseriti all'interno di un cerchio che richiama la forma di un clipeo, ovvero di uno scudo rotondo), come se fossero scolpiti a rilievo. I medaglioni con gli imperatori, ognuno identificato da una scritta, fanno da contorno all'idea geniale di sfondare il centro del soffitto con un oculo prospettico aperto sul cielo dal quale si affacciano alcuni spiritelli con curiosità. È un espediente illusionistico che ha alle spalle la piccola finestra aperta su Castel Sismondo da Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano. Andrea Mantegna, Cristo morto (1475-1480); eccezionali capacità prospettiche di Mantegna sia nella concezione sia nella resa tridimensionale dello spazio. Molti sono gli aspetti singolari di questa immagine, che innanzitutto non è dipinta su tavola, ma su tela: cosa abbastanza inconsueta per il ‘400. Il soggetto è un compianto sul Cristo morto, ma i dolenti si fanno di lato, ridotti a poco più che teste piangenti. Il corpo nudo di Gesù, poggiato sulla dura pietra dell'unzione (ovvero quella pietra sulla quale fu preparato per la sepoltura), monopolizza la scena; il sudario dalle pieghe metalliche cala dal bacino poco sopra le caviglie, così Mantegna può dedicarsi nel resto della figura a un attento studio di anatomia. L'atmosfera è cupa, i colori sono spenti, l'effetto è scultoreo, e vi è la scelta di farci osservare il cadavere dal basso. Capitolo 19 Molto tempo prima di trasferirsi a Mantova, Andrea Mantegna aveva fatto una breve apparizione anche a Ferrara, soggiornando nel 1449 presso la corte del marchese Lionello d'Este. Gli Estensi signoreggiavano dagli inizi del '200 sulla città, un grande centro culturale. Nel decennio in cui Lionello d'Este fu signore di Ferrara (1441-1450), in città si incrociarono artisti veramente eterogenei: da Pisanello (autore di un ritratto del marchese) a Piero della Francesca, dal fiammingo Rogier van der Weyden a Leon Battista Alberti. Niccolò Baroncelli, “Arco del cavallo” (1450-1451); nella principale piazza ferrarese si innalza un monumento pubblico che, nel carattere antiquario, reca il segno del passaggio in città di Leon Battista Alberti. Eretto per sostenere un gruppo equestre in bronzo di Niccolò III d'Este, andato distrutto nel 1796 e oggi sostituito da una libera copia novecentesca. Baroncelli si era occupato del destriero, mentre la soprastante statua del padre di Lionello era stata eseguita da un altro fiorentino, Antonio di Cristoforo. La tipologia di monumento evoca immediatamente il Gattamelata di Donatello, rispetto al quale si distingue per un'invenzione antiquaria ancor più sofisticata: porre la statua equestre in cima a un arco. Il tempo di Borso d'Este vide la nascita di una vera e propria scuola pittorica ferrarese, che ebbe il suo primo grande protagonista in Cosmè Tura e trova la sua icona in una Musa. Cosmè Tura, Musa (1458-1473); la tavola era originariamente parte di una serie di 9 Muse, destinata a decorare lo studiolo della "delizia” di Belfiore. Questa figura (per la quale si sono fatti i nomi di Erato e Calliope) si distingue per un temperamento davvero estroso, sembra di riconoscere qualcosa di ogni grande artista che aveva frequentato Ferrara negli anni di Lionello: Pisanello è evocato nel tono cortese, mentre il perfetto ovale del volto, la saldezza strutturale della giovane, la luce tersa e il panneggio aderente alle gambe attestano una buona conoscenza della pittura di Piero della Francesca. Per le accese cromie e la precisione descrittiva dei dettagli viene in mente la pittura fiamminga. Linguaggio veramente eccentrico nella posa della Musa, nella fantasia del trono su cui siede, nel tenore metallico delle superfici e dei panneggi. La migliore finestra per gettare uno sguardo sulla Ferrara del ‘400 è il Salone dei Mesi del Palazzo Schifanoia: un edificio sorto per godersi le gioie della vita, che celebra la corte attraverso un ciclo allegorico dei 12 mesi dell’anno. Il solo nome documentato è quello di Francesco del Cossa, grazie a una lettera con la quale il pittore chiedeva a Borso di essere pagato adeguatamente per l'esecuzione delle scene di Marzo, Aprile e Maggio. Il tema dei mesi, che tanta fortuna godeva in ambito cortese fin dal Gotico internazionale, è organizzato su tre registri paralleli: in alto è il trionfo della divinità mitologica del mese, al centro il segno zodiacale con relative figure allegoriche e in basso uno scorcio della vita di corte. Francesco del Cossa, Allegoria del mese di Aprile (circa 1469); a dominare Aprile, sotto il segno del Toro, è Venere, trionfante su un carro trainato da una coppia di candidi cigni e sul quale compare Marte incatenato; tutto intorno un folto gruppo di giovani, accompagnato sullo sfondo dalle tre Grazie e qua e là da gruppetti di conigli, ci ricorda come gli svaghi d'amore risorgano in primavera. Nel registro inferiore compare il duca Borso: in mezzo al seguito rientra prima da una battuta di caccia e dona una moneta al giullare di corte Scocola, mentre in lontananza si scorge il racconto del palio di San Giorgio. Dettaglio del giovane seduto sul cornicione a dividere i due episodi in cui il duca è protagonista. Ercole de’ Roberti, Allegoria del mese di Settembre (circa 1469); l’atmosfera è meno idilliaca: mentre il divino Vulcano trionfa sul suo carro, un grottesco gruppo di Ciclopi è duramente impegnato a realizza armi nella sua Fucina, in cui fa bella mostra di sé uno scudo con la lupa, Romolo e Remo. Di contro è il prologo di quella storia: Marte e la vestale Ilia, dentro un letto coperto da un lenzuolo oltre modo increspato, si accoppiano; è dal loro amore che nasceranno i gemelli ai quali il mito assegna l'origine di Roma. Lo stile eccentrico visto nel Salone dei Mesi non si limitò alle raffigurazioni profane, ma ebbe fortuna anche sugli altari delle chiese, come dimostrano gli elementi di un paio di pale che con il tempo sono andate smembrate. Cosmè Tura, Pala Roverella (1476-1479); trittico centinato, con scomparto centrale con la Madonna col Bambino e angeli. Nonostante le cornici che articolano la composizione, lo spazio della pala vuole essere unico, grazie alla prospettiva e alle grandi arcate in scorcio degli elementi superiori, e le figure sacre sono innervate dal medesimo estro della Musa di Belfiore e dei Mesi di Palazzo Schifanoia. Francesco del Cossa, Pala Griffoni (1470-1473); trittico di formato rinascimentale, che al centro rendeva omaggio al domenicano San Vincenzo Ferrere dal registro superiore faceva affacciare, ancora da un fondo dorato, l'elegante coppia dei Santi Floriano e Lucia. Per la predella con le storie del domenicano spagnolo e i santini dei pilastrini, Cossa si fece aiutare da Ercole de' Roberti.
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