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Sintesi affreschi basilica inferiore san Francesco assisi, Dispense di Storia dell'arte medievale

Sintesi del ciclo di affreschi di Giotto nella basilica inferiore di Assisi

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 26/08/2020

ivan.pupitti
ivan.pupitti 🇮🇹

3.8

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Scarica Sintesi affreschi basilica inferiore san Francesco assisi e più Dispense in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! Il ciclo di affreschi nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi Storia dell’arte medievale 2019/2020 Ivan Pupitti – Master MLCCI a.a. 2019/2020 La basilica di Assisi e le opere in essa contenute rappresentano oggi uno degli oggetti più magnificenti di quella rivoluzione artistica che influenzò gran parte del quattordicesimo secolo. Occorre annotare qualche cenno sulla storia della basilica e del suo santo: Francesco da Assisi ha un ruolo determinante nel denso periodo della lotta ai movimenti ereticali diffusi tra i laici del tempo. La Chiesa si trovava in posizione di conflitto con qualunque nuovo movimento religioso, l’unico riconosciuto rimaneva quello dell’ordine di San Benedetto. Facendo qualche passo indietro nel tempo: Francesco nasce ad Assisi nel 1182, ma la madre inizialmente lo chiamerà Giovanni1. Solo al ritorno del padre da un lungo viaggio di lavoro gli viene attribuito il nome con cui tutti oggi lo conosciamo. Le fonti lo riportano come figlio di un ricco mercante umbro, che, una volta ricevuta la vocazione, abbandona la casa del padre per dedicarsi alla predicazione della povertà e del ritorno a una Chiesa più vicina ai valori di carità del primo cristianesimo. Francesco e i suoi frati vengono tollerati ma non riconosciuti dalla Chiesa: solo nel 1209 con l’enciclica Solet annuere Papa Onorio III ne istituzionalizza la Regola, ponendo le basi della creazione dell’Ordine dei frati Minori, gruppo che faceva parte dell’Ordine dei mendicanti. Francesco muore a Porziuncola la sera del 3 ottobre 1226. Al momento della morte viene scoperta anche la presenza della stimmate sulle mani del monaco, assieme alla cicatrice della lancia sul costato. Frate Elia, seguace prediletto di Francesco e suo vicario tra il 1221 e il 1227, era presente alla morte del futuro santo e in una lettera2 riportata nell’agiografia di Francesco racconta: “Ed ora vi annuncio una grande gioia, uno straordinario miracolo. Non si è mai udito al mondo un portento simile, fuorché nel Figlio di Dio, che è il Cristo Signore. Qualche tempo prima della sua morte, il fratello e padre nostro apparve crocifisso, portando impresse nel suo corpo le cinque piaghe, che erano veramente le stimmate di Cristo. Le mani e i piedi di lui erano trafitti come da chiodi penetrati dall’una e dall’altra parte, e avevano delle cicatrici al colore nero dei chiodi. Il suo fianco appariva trafitto da una lancia, ed emetteva spesso gocciole di sangue. Mentre era in vita aveva un aspetto dimesso e non c’era bellezza nel suo volto: non era rimasto in lui membro che non fosse straziato. Le sue membra 1 Il nome di Francesco era infatti Giovanni di Pietro di Bernardone. Confronta Elvio Lunghi, La basilica di San Francesco di Assisi, pp. 6-7; 2 Citazione in appendice della Lettera enciclica di Frate Elia, a tutte le province dell’ordine, sulla morte di San Francesco, paragrafi 309 e 310 da Pietro Messa, Frate Elia da Assisi a Cortona. Storia di un passaggio (Cortona francescana, 2). erano rigide, per la contrazione dei nervi, come avviene in un corpo morto. Ma dopo la sua morte il suo volto si fece bellissimo, splendente di mirabile candore e consolante a vedersi. Le membra, prima rigide, divennero flessibili e pieghevoli qua e là come si volevano disporre, a guisa di tenero fanciullo”. Il frammento è riportato dalla lettera di fra Elia, che enuncia la testimonianza diretta della santità di Francesco: verrà infatti santificato da Papa Gregorio IX il 16 luglio 1228 esattamente due anni dopo la sua morte. Successivamente al riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa romana, il 17 luglio dello stesso anno, a distanza di solo un giorno dalla beatificazione di Francesco, viene posata la prima pietra della basilica che sorgerà nella capitale umbra per ospitare le spoglie del santo defunto. È noto che il processo di canonizzazione del santo non era ancora stato ultimato che già venivano condotte le trattative per costruire l’imponente edificio per conservarne le spoglie. Gli attori principali di questo negoziato possono essere individuati tra la sede pontificia, che mirava all’accrescimento dell’immagine di sé dando il giusto riconoscimento alla figura del frate e dell’intero ordine mendicante, la città di Assisi che voleva assurgere al ruolo di meta di pellegrinaggio e in ultimo i frati minori, che volevano donare una sepoltura degna della sua importanza al proprio fondatore. Il luogo prescelto risulta un terreno che venne donato da Simone di Pucciarello a frate Elia il 29 marzo del 1228, che lo riceve per conto del papa Gregorio IX. Di conseguenza il Papa nel mese successivo concede un’importante indulgenza (una quarantina di giorni) a chiunque volesse donare una somma per la costruzione della nuova basilica. Una delle più note biografie3 non ufficiali di Francesco d’Assisi recita “[…] questo Papa, che aveva sommamente amato Francesco mentre ancora viveva, non soltanto l’onorò mirabilmente iscrivendolo nel coro dei Santi, ma fece anche erigere a gloria di lui una chiesa, ponendone in persona la prima pietra, e poi arricchendola con sacri donativi e ornati preziosissimi. A due anni dalla canonizzazione, il corpo di San Francesco, tolto dal luogo dov’era stato tumulato prima, fu solennemente trasferito a questa nuova chiesa. Ad essa il pontefice inviò in dono una croce d’oro, scintillante di pietre preziose, con incastonata una reliquia del legno della croce di Cristo. Oltre a ciò, oggetti di decorazione, suppellettile liturgica e altri oggetti utili al servizio dell’altare, molti preziosi e splendidi parati sacri. La basilica fu esentata da ogni giurisdizione inferiore a quella pontificia e, per autorità apostolica, fu da lui proclamata ‘capo e madre’ di tutto l’ordine dei frati minori, come attesta il privilegio promulgato in una bolla sottoscritta da tutti i cardinali”. Dal frammento riportato si evidenzia l’importanza e l’autorità esclusiva della sede romana sulla basilica e la sua costruzione. 3 L’episodio è tratto dalla cosiddetta “leggenda dei tre mercanti”, annotata anche nella lettera di Greccio dell’11 agosto 1246. La biografia viene attribuita ai tre mercanti Leone, Rufino e Angelo ed è stata trascritta in diverse edizioni moderne. Per la seguente si fa riferimento a Th. Desbonnets, Legenda trium sociorum. Edition critique, in AFH, LXVII (1974), pp. 38 -144; cronologica del problema: il ciclo di affreschi risulta infatti concludersi nel 1295, quando la presenza di Giotto ad Assisi non è documentata. Quando entra in scena di Pietro Cavallini come possibile esecutore? Zanardi propone un modello di confronto: nelle Storie, in particolare nel caso delle due opere Approvazione della regola (VII) e Stigmate (XIX), appare una conguenza di metodo di lavoro nella realizzazione delle mani, piedi e panneggi con un un altro ciclo di affreschi terminati a Roma poco tempo prima da Pietro Cavallini9. Attraverso un’attenta analisi tecnica, il critico ricostruisce il lavoro della “bottega di Assisi” di Giotto che sposa perfettamente l’enunciato dei Commentarii di Ghiberti riguardo al maestro toscano. Lo stesso Zanardi indica l’opera della “bottega di Giotto” presente a più riprese: la prima del 1297 durante la fase degli affreschi della cappella di San Nicola, la seconda invece nella stessa cappella e in seguito nella cappella di Maddalena nelle Storie della vita di Cristo del transetto destro e nelle Allegorie francescane presenti nelle vele. In sostanza rimane un intervento eccellente quello di Zanardi sulla questione della paternità di Giotto delle opere della basilica superiore di Assisi, in quanto ripercorre in maniera critica e puntuale tutte le fasi di lavorazione delle varie opere e ragionando sulla validità del suo percorso di costruzione, ne enuncia di conseguenza l’esistenza di un modus di Giotto e della sua bottega di artisti. Le Storie francescane sono quindi per lui in massima parte attribuibili alla cosiddetta scuola romana e solo in seguito avviene l’entrata di Giotto e della sua bottega (1297) che inizierà con uno spirito del tutto rinnovato la realizzazione della basilica inferiore. L’originalità dell’opera di Zanardi (e delle tesi espresse) ha quindi contribuito a dare un punto di vista conclusivo sulla questione della paternità di Giotto negli affreschi di Assisi, ma anche in maniera più ampia a donare un senso tutto nuovo all’artista non più come singolo esecutore bensì come “maestro” che supervisiona un vero e proprio cantiere. È un ribaltamento importante del ruolo dell’artista dell’epoca, che può dare spazio anche a osservazioni più obiettive circa le opere che gli sono attribuite o non. Ora viste le dovute anticipazioni, l’attenzione può tornare al ciclo pittorico delle Storie di San Francesco. Questione importante è l’origine degli spunti per la realizzazione dell’opera: è noto che le fonti duecentesche sulla vita di San Francesco erano rare e fornivano scarso materiale all’artista per trarne ispirazione. Sicuramente l’affidamento di una commissione così importante come quella di ritrarre la vita intera di un santo, ha comportato non poche difficoltà nella scelta di un testo da cui estrapolare le informazioni necessarie per rappresentare in sequenza i fatti più emblematici della vita del frate. Henry Thode, nel suo Franz Vom assisi und die Anfänge der Kunst der Renaissance in Italien10 pone in appendice il problema della categorizzazione delle fonti biografiche coeve della storia di San Francesco d’Assisi. Oltre alla già citata Leggenda dei tre mercanti, ne esistono altre tre. In 9 Bruno Zanardi, Giotto e Pietro Cavallini, p. 11; 10 Henry Thode, Francesco d’Assisi. E le origini dell’arte del Rinascimento in Italia a cura di Luciano Bellosi, trad.ne di Rossella Zeni, Donzelli editore, Roma 1993. questa analisi si è deciso di concentrarsi sull’ultima, ossia quella scritta da Bonaventura nel 1261 che ha per oggetto la sincresi delle prime tre. Come già accennato, Bonaventura cerca una ricostruzione unitaria delle tre biografie precedenti, ossia vuole creare una biografia del santo che fosse priva di mistificazioni e che servisse da unicum per un’agiografia ufficiale. Ed è su questo testo che l’autore del ciclo delle Storie francescane si basa per progettare la complessa architettura delle situazioni proposte negli affreschi. Come sono già state notate da gran parte della critica moderna, esiste una forte congruenza tra scene rappresentate e ciò che è scritto proprio nella Legenda maior di Bonaventura. Essa perciò deve essere considerata come il punto di partenza dell’analisi delle opere. Bonaventura scrive nella sua prefazione: “Inoltre non ho sempre intrecciato la storia secondo l’ordine cronologico, allo scopo di evitare confusioni; mi sono studiato piuttosto di osservare una disposizione più adatta a mettere in risalto la concatenazione dei fatti. Perciò mi è parso di dover ridistribuire sotto argomenti diversi cose compiute in uno stesso periodo di tempo, oppure di dover disporre sotto un medesimo argomento cose compiute in periodi diversi”11. Come prosegue Lunghi, lo stesso autore degli affreschi deve aver seguito la medesima strategia logica: il ciclo non poteva essere ideato come un accumulo di situazioni disposte in ordine cronologico ma bensì doveva mettere in scena una serie di momenti rappresentativi della vita del santo e della sua stessa “santità”. La connessione che si crea tra le scene di San Francesco e quelle dei protagonisti biblici presenti nella parte alta della parete è risolta in una forma di “dialogo” tra le figure, in cui quella di Francesco si carica di un’aura di positiva santità che avvicina le vicende della sua vita a quella del Cristo stesso, come raccontano le sacre scritture. Al lato destro si possono intravedere gli affreschi, nella loro cornice mentre sopra compaiono le figure bibliche sopracitate. Da un punto di vista macroscopico è evidente il voluto inserimento da parte dell’artista delle scene all’interno di quella che lunghi definisce una “finta incorniciatura 11 Vedi traduzione di Elvio Lunghi in La basilica di San Francesco d’Assisi, p. 62. Figura 2 Nell’immagine, uno spaccato della Basilica superiore. illusionistica”12, una tecnica pittorica che già esprime il desiderio di rinnovamento voluto dall’autore. Ogni campata è divisa in tre storie, ognuna di forma quadrata. Lo zoccolo inferiore si compone invece di finti tendaggi con una cornice che “sembra sorretta da mensoline convergenti”. Da notare che sopra il cornicione sono dipinte delle mensole di pietra, che fungono da elemento scenico di “sostegno” del ballatoio in muratura. Il meccanismo della finzione, unito all’inserimento di elementi disegnati e quindi non reali anticipano già l’innovazione pittorica e la grande invenzione del maestro-artista. Si ottiene così un particolare senso prospettico determinato dall’inclinazione delle suddette mensole dipinte, che danno l’impressione di convergere verso la mensola centrale (che è l’unica reale). L’effetto risulta straordinario nel suo complesso: la vita del santo viene rappresentata come in una sorta di palcoscenico, dove il soggetto (San Francesco) è raffigurato all’interno del paesaggio umbro in maniera naturalistica come se si trovasse all’interno di un porticato che guarda verso l’ambiente circostante alla chiesa stessa. L’inquadratura suggerisce allo spettatore il giusto punto di osservazione, che deve porsi perfettamente al centro di ciascuna campata. Una sorta di realismo che traduce con una nitidezza magnificente le vicende del santo. 12 Elvio Lunghi, La basilica di San Francesco d’Assisi, pp. 63-64. Figura 3 Un altro esempio dell’interno della basilica superiore, con un’angolazione diametralmente opposta. Figura 4 Nell’esempio è ritratto in ordine Morte di San Francesco (XX), Visioni del frate Agostino e del vescovo di Assisi (XXI) e Girolamo esamina la stimmate (XXII) inquadrati nel consueto schema tipo già accennato.
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