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Sintesi appunti e slides glottologia, Sintesi del corso di Glottologia

Sintesi tra appunti presi a lezione e slides. Il tutto riordinato e sistemato sottolinendo i punti più importanti e aggiungendo approfondimenti di interesse personale. DISCLAIMER: è tutto basato sul MIO metodo di studio, che potrebbe non essere il tuo. In bocca al lupo! :)

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Sintesi appunti e slides glottologia e più Sintesi del corso in PDF di Glottologia solo su Docsity! GLOTTOLOGGGìA • Obiettivi • fornire ai futuri laureati gli strumenti e i metodi della linguistica storica; • di illustrare i princìpi della ricostruzione linguistica e della • ricostruzione culturale secondo il paradigma della linguistica storico comparativa. • Aspetti teorici e metodologici: - princìpi e metodi della linguistica storica e comparativa; - ricostruzione linguistica e culturale dell’indoeuropeo; - linguistica geografica; - classificazione genetica. • + Conoscenza delle finalità e dei metodi della linguistica storico- comparativa; • + conoscenza dei principi della classificazione genetica, tipologica e areale. Riflessioni scientifiche e ‘paradigmi’ • Inizi dell’800 (linguistica ‘storico comparativa’); • I Neogrammatici (1880-1910); • Lo strutturalismo (1916: Cours de linguistique générale di F. de Saussure); • N. Chomsky e la grammatica generativo trasformazionale (1957-). Il metodo storico-comparativo Perché classificare le lingue? La domanda si è posta in termini moderni alla fine del XVIII secolo quando, grazie alle scoperte di nuove lingue e al loro studio scientifico che ha caratterizzato il XIX secolo, ci si è posti la questione della descrizione delle lingue e della loro classificazione in base alle somiglianze o differenze che queste esibivano. Il principio dell’arbitrarietà del segno linguistico, teorizzato da de Saussure ma già largamente accettato da lungo tempo (*teorie convenzionaliste del segno), afferma che l’unione di significante e significato è arbitraria. Se questo è vero e se il principio viene esteso all’intera struttura di ciascuna lingua, in linea teorica ci si attenderebbe che confrontando due lingue riscontrassimo solo differenze, in quanto ogni somiglianza contraddirebbe appunto il principio dell’arbitrarietà dei segni linguistici. Infatti, se ogni comunità linguistica avesse fatto autonomamente gli accoppiamenti significante/significato, le probabilità che in due comunità diverse si avesse lo stesso tipo di associazione in un segno linguistico sarebbero minime, vista la complessità dei sistemi linguistici. Da quanto appena visto consegue che l’attesa teorica prevede che a lingue diverse corrispondano diversità di strutture linguistiche, sia a livello lessicale che a livello grammaticale: ogni lingua dovrebbe essere diversa da ogni altra. Ma ci sono motivi che mettono in dubbio quest’attesa teorica Il quadro con cui invece si confrontarono gli studiosi fin dall’inizio del XIX secolo era ben diverso. In particolare, i primi comparatisti affrontarono con il problema di spiegare perché, in lingue distanti geograficamente e cronologicamente e le cui comunità non erano state storicamente in collegamento si verificassero somiglianze di questo tipo: E problemi ancora maggiori erano posti dalle corrispondenze di carattere morfologico, da cui si potevano ricavare principi astratti di opposizione (ultima riga in basso): La conclusione cui Sir William Jones, giudice inglese che operava a Calcutta, arrivò in una sua relazione presentata nel 1787 alla Royal Asiatic Society del Bengala, fu che le tre lingue che mostravano tali somiglianze dovevano derivare da un’unica lingua antichissima che non esisteva più. Tale conclusione anticipava gli interessi della linguistica storico comparativa e il ragionamento sulle somiglianze tra lingue diverse da ricondurre ad un’unica origine rappresentava la base della classificazione genealogica delle lingue: posto che le somiglianze riscontrate non potevano essere frutto del caso, era necessario riportare tali somiglianze ad un’origine comune, vale a dire alla lingua madre. Il criterio seguito dal Jones in queste sue osservazioni è che la concordanza tra due lingue diventa significativa quando: 1) forme di significato simile presentano 2) una sequenza di suoni uguali o che si corrispondono secondo regole fisse in lingue diverse, 3) lingue che non possono essersi influenzate a vicenda, come appunto scr. pitar, matar, sapta, nava corrispondono al latino pater, mater, septem, novem. Punto di partenza è il confronto tra le lingue (l. comparativa), da cui si fanno derivare deduzioni di carattere storico (ricostruzione). Friedrich Von Schlegel Über die Sprache und Weisheit der Indier. Ein Beitrag zur Begründung der Altertumskunde, 1808 ("Sulla lingua e la saggezza degli Indiani. Contributo alla fondazione dello studio dell'antichità"). Sostiene la necessità di una comparazione sistematica del sanscrito e dell’antico persiano (avestico) con le lingue occidentali. Dal confronto ricava che il sanscrito sarebbe la lingua madre delle altre lingue indo-europee. Viene coniato il termine “indo-germanisch”, corrispondente a indoeuropeo. + Clima romantico + Orientalismo Franz Bopp (1791-1867) Über das Coniugationssystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprachen, (Frankfurt am Main 1816). Nuovo metodo di comparazione basato sul confronto dei sistemi morfologici, sfociato nell’opera: Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Gotischen und Deutschen, Berlino 1833-1852 (2a ed. 1857-1863, 3a ed. 1868-1870). =>Il sanscrito perde la posizione di origine delle altre lingue, sostenuta da Schlegel, anche se Bopp riconosce al scr. di essere “variazione di una lingua originaria” di cui avrebbe conservato le caratteristiche più fedelmente delle altre lingue i.e. Bopp è considerato il principale esponente della prima generazione dei comparatisti tedeschi. La prima generazione di comparatisti: acquisizioni o il sanscrito non è la lingua madre rispetto alle altre lingue i.e.; o il panorama delle lingue comparate si accresce; o piano fonetico e morfologico sono considerati livelli autonomi dell’analisi linguistica e hanno la priorità rispetto a quello lessicale; o la comparazione linguistica deve essere sistematica e non occasionale; o il clima dominante è quello del romanticismo tedesco della prima metà dell’Ottocento. La comparazione linguistica e le relative ‘leggi’ Tra gli studiosi che si ispirano alla nuova metodologia della linguistica comparativa, si possono annoverare quattro nomi che hanno lasciato una traccia importante nello studio delle lingue germaniche, grazie alla formulazione di "leggi" che hanno preso il nome dai rispettivi scopritori: Rasmus Rask, Jakob e Wilhelm Grimm, Karl Verner. Un esame delle formulazioni che questi studiosi diedero alle costanti (‘leggi’) da loro rinvenute grazie alla comparazione linguistica risulta istruttivo per descrivere la nuova metodologia da essi seguita. Le intuizioni di Sir William Jones furono approfondite dagli studiosi tedeschi della prima generazione della comparatistica: La prima regola in ordine cronologico deve essere stata a), che ha agito per un periodo di tempo e poi è cessata; quando è iniziata la regola b), a) non doveva più essere attiva, altrimenti anche b2 avrebbe subito la stessa sorte di a1. Altrettanto vale per il rapporto fra b) e c): quest’ultima regola deve aver avuto inizio quando la regola b) non valeva più, altrimenti c2 avrebbe subito la stessa sorte di b1. Legge di Grimm: eccezioni p, t, k non diventano spiranti sorde, ma rimangono immutate se sono precedute da s: lat. spuere ("sputare"), ingl. spew ("vomitare"), ted. speien; lat. stare, ingl stay, ted. stehen; lat. piscis ("pesce"), got. fsks, a.ingl. fsc. Quest'ultima parola fu pronunciata come [fisk] almeno fino al X secolo, quando cominciò ad essere pronunciata [fʃ]; si noti che il passaggio da /sk/ a /s/ palatale era già esaurito quando furono introdotte in inglese parole dalle lingue scandinave: ad es. ingl. sky "cielo" < ant. nordico sky "nube", ingl. skin "pelle" < a.nord. skinn, ingl. skill "esperienza" < a.nord. skill, debbono essere stati introdotti in inglese quando non si verificava più la palatalizzazione del gruppo /sk/. t rimane inalterato dopo k e p: lat. octo, ingl. eight, ted. acht; lat noctem, a.ingl. neaht, n.ingl. night, ted. Nacht; lat. neptis ("la nipote"), a.ingl. nift (niece è prestito dal francese ant. niece), ted. Nichte La natura delle ‘leggi’ Le due eccezioni appena esaminate rappresentano un buon esempio del significato di "legge": la legge linguistica descrive (descrittiva non prescrittiva) semplicemente un fenomeno, ma non pretende di essere né prescrittiva né esplicativa. In questo senso le eccezioni alla legge di Grimm rappresentano esse stesse delle leggi, dotate di minor carattere di generalizzazione, che vengono a restringere il potere descrittivo della legge caratterizzata da generalizzazione più ampia. Accanto al livello descrittivo c’è quello esplicativo: non è difficile individuare in precisi motivi di carattere fonetico le cause che hanno determinato tali "eccezioni"; nel primo caso se p, t, k precedute da s fossero passate alle corrispondenti spiranti sorde, ci sarebbe stato un cumulo di articolazioni spiranti di difficile articolazione; analogamente nel secondo caso, se si fossero verificati i passaggi di pt e kt a *fθ e *hθ. Il metodo dei Grimm Un'ultima osservazione riguardo al metodo che caratterizza l'opera dei fratelli Grimm. Nella sua ricostruzione interna della grammatica storica del tedesco, i Grimm ricorrono al confronto, soprattutto fonetico, con le altre lingue indoeuropee; è importante sottolineare che tale confronto si svolge su un piano per così dire "orizzontale", coerentemente con i presupposti della grammatica e della linguistica comparata, ma non si ricorre ancora alla proiezione ricostruttiva, che caratterizzerà, invece, l'opera degli studiosi della generazione successiva a quella dei Grimm. Glottologia = linguistica storica, studio nell’asse diacronico della lingua. Dal greco glotta-lingua. Forme asteriscate-non attestate, frutto di un processo a ritroso di ricostruzione. Classificazione genealogica/genetica delle varie lingue. Dalla ricostruzione della lingua indoeuropea si è poi arrivati a una ricostruzione della cultura indoeuropea. Vi furono delle osservazioni prescientifiche, pre 800 con la linguistica storico-comparativa.  inizio 800 linguistica storico-comparativa;  1880-1910 Neogrammatici;  1916 strutturalismo di Ferdinand De Saussure;  1957 Noam Chomsky e la grammatica generativo-trasformazionale; Parametri di variazione delle lingue naturali: o asse diatopico o asse diacronico o variazioni diafasiche - situazionali o variazioni diastratiche - sociali o variazioni diamesiche - dipendente dal mezzo Sir William Jones, studioso di sanscrito a Calcutta, che notò le varie somiglianze tra greco, latino e sanscrito rendendosi conto che non era una semplice somiglianza ma bisogna riportarsi a un’origine comune. SEMINARIO: ‘RIFLESSIONI SUL SOSTRATO: FENOMENI ANTICHI NEI DIALETTI MODERNI?’ Etimologia: • Termine sostrato (o substrato) dal latino substratus (participio passato di substernĕre, “collocare sotto”) • Strato di lingua precedente che influenza la lingua successiva • Le lingue che formano una sorta di strato, su cui si è diffusa in un secondo tempo una nuova lingua, vengono dette lingue di sostrato Le lingue italiche sono le lingue parlate dal VIII al I secolo a.C. nel periodo precedente alla latinizzazione linguistica e romanizzazione politica. Partendo dalla Sicilia con siculo, sicaro e enimo e nell’Italia centro meridionale osco e umbro (sabellico o italico-iperonimo), unità principali con all’interno dei dialetti minori. Nel nord venetico, ligure, gallico, retico, etrusco. Osco in Molise, Abruzzo, Basilicata e Puglia. L’integrazione di due comunità di parlanti lingue differenti, in seguito ad eventi storici come conquiste, colonizzazioni, espansioni socioeconomiche, conduce a una situazione di bilinguismo (e poi diglossia) Tale bilinguismo, nel corso del tempo, porta una delle comunità ad accogliere la lingua con cui si trova in contatto, senza limitazione alcuna nell’uso Bilinguismo VS diglossia. Superstrato in Italia con gotico e longobardo e adstrato latino ed etrusco. Se si parla di adstrato abbiamo un bilinguismo vero e proprio, mentre di diglossia con una prevalenza dell’una sull’altra. Esempio del sardo e dell’italiano in Sardegna. ▪ La lingua ʻabbandonataʼ non scompare nel nulla, bensì lascia traccia e sopravvive (periodo di convivenza) mediante fenomeni di interferenza della fase precedente ▪ Si parla di ʻreazione di sostratoʼ per la lingua della comunità sottomessa (lingua indigena) e, viceversa, ʻreazione di superstratoʼ per la lingua che si è sovrapposta all’altra v Si parla di adstrato (o parastrato) nel momento in cui l’interferenza tra due (o più) lingue parlate in zone confinanti avviene senza la prevalenza di una sull’altra, ma in un rapporto di reciproca influenza v Le differenze fonetiche, che permettono di operare la triplice ripartizione tra dialetti del nord, parlate toscane e dialetti del centro-sud, sono state riportate all’azione del sostrato v Come l’italiano parlato contemporaneo è suddiviso in tanti italiani regionali, così il latino parlato ha risentito delle lingue alle quali si è sostituito. Graziadio I. Ascoli (1829-1907) elabora una vera e propria teoria del ʻsostratoʼ nel quadro del metodo storico-comparativo Per Ascoli il sostrato è il motore principale delle differenziazioni dialettali, «il motore delle leggi fonetiche» Esempio: Ascoli ipotizzò che il fonema /y/ (francese e molti dialetti gallo- romanzi, compresi quelli dell’Italia settentrionale) fosse una «reazione etnica» delle popolazioni celtiche apprendenti il latino. Nell’apprendimento del latino i Celti avrebbero trasportato una parte delle loro abitudini fonetiche e questo avrebbe influenzato lo sviluppo dello stesso latino. La teoria di Ascoli: Si basa su tre prove che dovrebbero essere soddisfatte: corografica, intrinseca ed estrinseca • Prova corografica: coincidenza della diffusione geografica delle due lingue nelle quali si osserva il fenomeno (lingua moderna e lingua antica, di sostrato); • Prova intrinseca: identità strutturale del fenomeno nelle due lingue; • Prova estrinseca: ricorrenza dello stesso fenomeno in lingue di altre aree con medesimo sostrato; Sostrato Celtico Passaggio dal latino ū > (ü) > y Per Ascoli tutte e tre le prove venivano soddisfatte o Prova corografica: presenza di ü nel territorio che fu di lingua celtica; o Prova intrinseca: presenza di i < ū in alcuni idiomi celtici moderni; o Prova estrinseca: presenza di ü < ū in Neerlandese; Scetticismo Ma bisogna verificare se: 1) Il celtico avesse ovunque, nel suo territorio alquanto esteso, il fonema in questione; 2) Tutte le varietà romanze che possiedono y corrispondono a stanziamenti celtici; 3) Età in cui si verifica il passaggio: in francese non prima del VII secolo; in provenzale dopo l’età carolingia; nei dialetti settentrionali italiani dopo il XII secolo Vexata quaestio Durante tutto l’Ottocento e anche nel primo Novecento l’interesse dei linguisti verte sulle leggi fonetiche, nella fattispecie sul come avvengono i mutamenti e quali sono i contesti in cui avvengono; erano meno interessati, invece, a determinare le cause -> risvolto ideologico Però, della teoria del sostrato si è arrivati, in non pochi casi, a un uso eccessivo, a un abuso, che ha finito per screditare anche i più sicuri risultati conseguiti mediante questo modus operandi Uso eccessivo nel momento in cui si è cercato di eludere/aggirare le tre prove di Ascoli, piegandole a nuove esigenze: es. ricostruzione dislocazione geografica di popolazioni prelatine, senza riscontri epigrafici o archeologici A partire dalla seconda metà del Novecento, nel panorama scientifico iniziano a manifestarsi i primi dubbi circa la validità della teoria di Ascoli e si affievolisce la fiducia verso questo tipo di spiegazione Il problema non si pone al livello del lessico: i lasciti sono visibili soprattutto nella toponomastica Se per il lessico si ricorre spesso alla teoria sostratistica, il terreno diviene più scivoloso per quanto riguarda fonetica e morfologia (in generale, struttura grammaticale) Lo scetticismo è legato all’esistenza di un continuum diretto tra gli influssi prelatini e gli sviluppi propri dei dialetti italo-romanzi In generale, è possibile parlare di due atteggiamenti attualmente dominanti: sostratomania vs sostratofobia (Fanciullo 2015, 73-81) Fanciullo (2015, 75-76) constata come le età recenti (medievali e moderne) possano essere protagoniste di cambiamenti e parla di un inevitabile «sbiadimento della portata esplicativa del sostrato» Dibattito tuttora insoluto Sostrato etrusco Fenomeno della ʽGorgiaʼ in Toscana: spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche [p, t, k] es. fiorentino ʻfuocoʼ [fɔ:ho] o Prova corografica: i dialetti toscani si parlano oggi nella zona in cui un tempo si parlava l’etrusco o Prova intrinseca: le iscrizioni etrusche presentano le consonanti aspirate scritte in alfabeto greco (φ θ χ): zilaθ ʻpretoreʼ; lusχnei ʽlunaʼ; semφalχ ʻsettantaʼ o Prova estrinseca: assente. Non vi è una ricorrenza dello stesso fenomeno nelle lingue con il medesimo sostrato. Difatti la gorgia non ricopre in modo uniforme tutta la Toscana, ma ha «la sua vitalità più vigorosa in Firenze, e nel suo contado, […] e perde di vigoria a mano a mano che si procede verso occidente, verso il Tirreno» Merlo Scetticismo Divergenze rispetto alla matrice etrusca. Ragionamento di Rohlfs (1963): Distanza cronologica e differenza strutturale, poiché il fenomeno toscano è un indebolimento intervocalico, mentre le aspirate etrusche compaiono anche in Verner aveva notato che molto spesso alle occlusive sorde delle altre lingue indo-europee non corrispondevano nelle lingue germaniche delle spiranti sorde, come previsto dalla legge di Grimm, bensì delle spiranti sonore. ❖ i.e. p, t, k, s ≠> germ. [f], [θ](thorn), [x] ❖ i.e. p, t, k, s => germ. [β], [ð] (the), [ɣ], z Il confronto con le forme corrispondenti delle altre lingue i.e., portò Verner a individuare le due condizioni che, se concomitanti, producevano l’esito non previsto nella legge di Grimm: ✓ l’accento i.e. non doveva cadere sulla sillaba immediatamente precedente quella del suono interessato; ✓ il suono interessato doveva trovarsi tra vocali o elementi sonantici (l, m, n, r) quindi se p, t, k, s: ➢ si trovano in ambiente sonoro ➢ e l’accento indoeuropeo non cade sulla sillaba immediatamente precedente o diventano fricative sonore: germ. [β], [ð] (the), [ɣ], z Poiché l’indo-europeo non è direttamente attestato, l’accento originario veniva ricavato da lingue come il sanscrito e il greco che avevano mantenuto un accento musicale, simile a quello originario. Il fenomeno della grammatischer Wechsel Il fenomeno dell'inglese e del tedesco, noto come "grammatischer Wechsel" mostra l’azione della legge di Verner anche nel verbo. I was ≈ we were Condizioni dell’accento nel verbo i.e.: scr. véda, "io so" ≈ vidmá, "noi sappiamo" La posizione dell’accento crea le condizioni per l'azione della legge di Verner, per cui la -r- della forma inglese < -s-, sonorizzatasi e poi rotacizzata, poiché nel plurale del verbo indoeuropeo l'accento non cadeva sulla sillaba immediatamente precedente. Rotacismo: è il passaggio a r d'un suono, più comunemente s (attraverso uno stadio z). Rotacismo di s abbiamo in latino (compiuto alla fine del sec. IV a. C.) in posizione intervocalica, p. es., Valerius da più antico Valesius. Legge di Verner e fonetica Anche la legge di Verner è motivabile sul piano della fonetica generale. Infatti, le spiranti sonore che si realizzano al posto delle spiranti sorde attese in base alla legge di Grimm sono spiegabili in termini di assimilazione prodotta dagli elementi vocalici o sonori circostanti. In contesto /V___V è fisiologicamente più economico articolare una sonora che una sorda, per l'inerzia degli organi di fonazione: casi di questo genere sono frequenti anche in ambiti diversi e rispondono a tendenze fonetiche generali. La ruotazione consonantica e i possibili scenari storici Generalmente si pensa che il gruppo linguistico germanico sia stato portato nell'Europa centrale da popolazioni indoeuropee che in successive ondate migratorie si sono sovrapposte a precedenti popolazioni di lingua non indoeuropea: in tale prospettiva non è inverosimile pensare che la rotazione consonantica (legge di Grimm) sia imputabile all'azione che certe abitudini articolatorie delle popolazioni pre-indoeuropee hanno esercitato sul tipo indoeuropeo portato dalle popolazioni germaniche (fenomeno di "sostrato"). Gli indizi offerti dalla forma fonetica di alcuni toponimi germanici riportati da Cesare nel De bello Gallico (scritto attorno alla metà del I secolo a.C.) fanno pensare che la rotazione consonantica descritta dalla legge di Grimm fosse già avvenuta in questo periodo; oggi diversi studiosi propongono una datazione tra 450 e 250 a.C. Legge di Grimm e Verner e la loro cronologia relativa Più o meno allo stesso periodo (IV-II sec. a.C.) deve essere fatta risalire anche la legge di Verner, almeno per due ragioni: a) essa presuppone che l'accento fosse ancora di tipo mobile, come quello indoeuropeo e da vari indizi sappiamo che nelle lingue germaniche l'accento si è fissato ed è divenuto di natura dinamica prima del I secolo a.C.; la legge deve essere dunque anteriore a tale data; b) da un punto di vista generale, è più economico supporre l'esistenza di un'unica trasformazione, variabile in base alla posizione dell’accento Apofonia Studiando il funzionamento della flessione verbale in inglese e in tedesco, Grimm mise in evidenza variazioni vocaliche della radice verbale, connesse con l'espressione di tempi diversi. Ad esempio: Lo stesso fenomeno si verifica anche nei verbi ‘forti’ del tedesco: Va a spiegare le eccezioni alla legge di Grimm. Scoperta all’interno dell’università di Leipzig nel contesto dei neogrammatici. Si interrogò sull’accento tra lingua madre e lingue figlie domandandosi se andasse nella prima o nell’ultima sillaba. o p,t,k + s  sf, s, sth ma restano inalterate per motivi di fonetica sintattica ma sp, st, sk lat. stare ted. stehen, lat. piscis got. fisks o t + k,p  k p ma resta inalterata lat. octo ted. Acht Riguarda solo le varietà dialettali alto tedesche (francone, alemanno, bavarese e svevo) nella zona centro-meridionale della Germania da cui nasce il tedesco standard poiché ha avuto fortuna con la traduzione della bibbia di Lutero in dialetto alto-tedesco (contrasto con l’italia, perché? Storia della lingua italiana). Si è articolato in tre fasi (l’ultima viene considerata come un’appendice della seconda rotazione consonantica più che come fase a sè): Apofonia (in ted. Ablaut): variazione regolare di una vocale in parole connesse sul piano etimologico e morfologico. Variazioni di vocali all’interno di una radice che ne cambia il significato e la funzione grammaticale. Vi può essere un’apofonia di tipo qualitativo, cambia la vocale, o quantitativo, cambia la durata della vocale. L’esito delle sonanti l, m, n, r rappresentano il grado ridotto in tedesco In inglese abbiamo solo due dei tre gradi apofonici, vi fu una semplificazione analogica, il grado ridotto del participio passato si è esteso in inglese moderno anche al preterito dove anticamente c’era solo il grado forte. Questo è un fenomeno con esito di importante valore morfologico: distinzione dei paradigmi dei verbi. Nel caso dei verbi forti/irregolari dell’inglese e del tedesco l’apofonia serve per la distinzione di importanti categorie verbali come tempo e aspetto. In seguito all'intuizione del Grimm il fenomeno dell'apofonia fu in seguito studiato su base comparativa, cosa che permise agli studiosi di indoeuropeistica di postulare per l'indoeuropeo originario l'esistenza di un'apofonia fondamentale, con tre gradi apofonici: o grado normale, caratterizzato dalla vocale e, o grado forte, con vocale o, o grado ridotto o debole caratterizzato dall’ assenza di vocale (∅), Nelle lingue germaniche: *ă, *ŏ > ă *ā, *ō > ō queste due regole, che determinano la differenza fra protoindoeuropeo e germanico comune, spiegano l’apofonia di forme come: o see (grado /e/), săw (grado /o/) o nehmen (grado /e/), nāhm (grado /o/). Inoltre, il verbo inglese è caratterizzato da fenomeni di analogia che hanno sconvolto l’originaria alternanza apofonica, creando dei preteriti con lo stesso grado ridotto del participio passato: • steal, stole, stolen < ant. ingl. steal /el/, stael /ol/, gestolen /l/ • bear, bore, born(e) < ant. ing. bear /er/, bare /or/, born (r) Metafonesi / metafonia L'altro fenomeno individuato dal Grimm nello studio della grammatica tedesca è la metafonia o metafonesi (ted. Umlaut), un fenomeno che è ben attestato anche fuori dal dominio linguistico germanico, ad esempio in molti dialetti italiani. Metafonia (o metafonesi: i due termini sono calchi, con elementi greci, del ted. Umlaut «modificazione di suono») è un processo fonetico- fonologico che interessa le vocali toniche medie o basse di una parola se nella sillaba seguente compaiono vocali atone alte: /-i/ e /-u/ Metafonesi: <<anticipazione nel suono radicale tonico della natura della vocale o della semivocale della sillaba finale>>. La metafonesi ha rilevanza a livello morfologico, poiché sia in inglese che in tedesco, la desinenza di plurale metafonizza la vocale radicale, producendo coppie singolare/plurale di questo genere: Conseguenze della Stammbaumtheorie La sicurezza del metodo schleicheriano, raggiunta attraverso l'applicazione dei metodi delle scienze naturali alla linguistica, giunse ad eccessi quali il ritenere la lingua completamente indipendente dagli individui che la producono. Su questa base si ritenne possibile ricostruire addirittura brani della lingua originaria indoeuropea (come la famosa favoletta della pecora e dei cavalli), che, per quanto non attestata, Schleicher riteneva di poter ricostruire con assoluta affidabilità considerata l'esattezza positivistica delle "leggi" della linguistica, caratterizzate da meccanismi non diversi da quelli delle scienze naturali e, di conseguenza, da un analogo grado di affidabilità molto alto. Un esempio di "legge" sulla quale lo Schleicher basava la certezza della propria ricostruzione, che rappresenta, tra l'altro, un principio ancor oggi ritenuto generalmente valido in linguistica storica, è il seguente: "se in un dato contesto un suono x della lingua L è sostituito dal suono y della lingua L1, ammesso che L1 rappresenti la continuazione storica di L, è necessario che tutti i suoni x di L diventino suoni y di L1 e se ciò non accade, questo deve dipendere da cause di disturbo che noi dobbiamo scoprire". Era inevitabile che una formulazione teorica così rigida come quella di Schleicher, dovesse destare delle reazioni, sia da parte di studiosi di impostazione sociologica (D. Whitney), sia idealistica (U. Schuchardt), sia con attenzione alla diffusione dell'innovazione in senso geografico (J. Schmidt). I ‘Neogrammatici’ Continuità e discontinuità nella linguistica ottocentesca A parte le reazioni suscitate nella seconda metà del XIX secolo al troppo rigido organicismo schleicheriano, è possibile individuare all’interno dell’interesse storico-comparativo, dominante per tutto il secolo, una linea di continuità che, dalla prima generazione di comparatisti, supera le posizioni schleicheriane della Stammbaumtheorie e arriva fino alla scuola dei Neogrammatici. Questa corrente di studio appare caratterizzata da un duplice aspetto: 1 primo il rifiuto del naturalismo schleicheriano, sostituito da un interesse verso l’individuale, il sociale e le lingue moderne; 2 secondo, sul piano tecnico, il tentativo di proseguire sulla via della formulazione delle leggi fonetiche, fino a perfezionarne la formulazione, trovando una risposta a tutti i problemi lasciati aperti nelle precedenti formulazioni (cfr. l. di Grimm e di Verner) Il nome di "Neogrammatici" ("Junggrammatiker") fu dapprima coniato con intenti ironici dagli oppositori di questo movimento e fu attribuito, attorno agli anni '70 dell’Ottocento, ad un gruppo di studiosi della scuola di Lipsia. I principali esponenti di questo movimento sono Hermann Osthoff (1847-1909) e Karl Brugmann (1849-1919): le conclusioni delle ricerche effettuate da questa scuola sono condensate nei cinque volumi del Grundriss der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen, pubblicati dal Brugmann e da Berthold Delbrück (Strasburgo 1886-1900). L’opera fu condensata, e notevolmente modificata, dal Brugmann nella Kurze Grammatik der indogermanischen Sprachen (Strasburgo 1902-1904). Aspetti teorici sono invece toccati da un altro esponente di questa scuola, Hermann Paul (1846- 1921) nei Prinzipien der Sprachgeschichte, versante teorico che lo stesso Brugmann aveva toccato in Zum heutigen Stand der Sprachwissenschaft, 1885. I Neogrammatici: aspetti teorici I Neogrammatici presero anzitutto posizione contro la concezione schleicheriana che la lingua è un organismo vivente che si evolve con leggi sue proprie, simili a quelle delle specie biologiche ed indipendentemente dagli individui che producono gli atti di lingua. Per i Neogrammatici, al contrario, la lingua è un prodotto umano ed è proprio questa sua caratteristica che introduce il maggior fattore di perturbazione alle leggi fonetiche, l'analogia: l'analogia, infatti, in quanto fattore psicologico, individuale, di natura associazionistica, può sconvolgere la regolarità della legge fonetica. Un altro esempio dell’azione perturbatrice dell’analogia si può cogliere nella flessione dei seguenti verbi, dove la forma fonetica radicale è determinata dalla legge per cui “vocale breve latina in sillaba tonica aperta si dittonga in italiano”. Ausnahmlosigkeit der Lautgesetze / L' ineccepibilità delle leggi fonetiche "Ogni cambiamento fonetico, nella misura in cui avviene meccanicamente, si effettua secondo leggi senza eccezioni". (Osthoff-Brugmann, Morphologische Untersuchungen) Il concetto di Lautgesetz non va inteso nel senso in cui noi parliamo di leggi della fisica o della chimica [...] La legge fonetica non prescrive ciò che deve verificarsi in tutti i casi e a certe condizioni generali; essa constata soltanto l'uniformità che regna all'interno di un gruppo di determinati fenomeni storici. La "legge fonetica", nella formulazione ora riportata del Paul, descrive la regolarità del mutamento da una fase A ad una B; poiché i Neogrammatici hanno costantemente sottolineato l'importanza di partire dalle lingue e dai dialetti attestati (fase B), il ricostruire a ritroso la derivazione di B da A, significa in qualche misura "spiegare" B. Esempio: Le leggi fonetiche e la ricostruzione I risultati derivanti dal principio della ineccepibilità delle leggi fonetiche furono estesamente applicati dai Neogrammatici alla ricostruzione della madre- lingua indo-europea. Ad esempio, la legge di Verner fu enunciata dal suo scopritore in un articolo che prendeva le mosse dall’individuazione delle irregolarità della l. di Grimm: “Eine Ausnahme der ersten Lautverschiebung” (KZ 13/1875-1877), e spiegava le irregolarità osservate con alcune condizioni legate alla posizione dell’accento nelle forme indo-europee ricostruite. A H. Osthoff e K. Brugmann si devono le leggi relative alla ricostruzione delle sonanti*: Osthoff enunciò la legge delle liquide sonanti e Brugmann quella delle nasali sonanti. *Sonante: m, n , r, l, in funzione di apice sillabico (slov. Trst, ingl. appel). Le leggi di Osthoff, o delle liquide sonanti Riguarda l’abbreviamento delle vocali lunghe seguite dal gruppo liquida/nasale + consonante nelle lingue europee. Questo ha permesso la ricostruzione delle sonanti i.e. Dalla comparazione risultava che, tranne il sanscrito (dove le liquide confluiscono in ṛ che si conserva), la maggior parte delle altre lingue i.e. tendono a sviluppare regolarmente una vocale d’appoggio alla sonante (se non ad assorbire proprio la sonante nella vocale nasali scr. E gr. >a, slavo in>e), liquide: in o / u lat., u in germanico, i /u slavo; nasali: in e lat., u germanico, per l’indoeuropeo osthoff individua le liquide *ṛ e *ḷ (scr. Vṛka, ags. Wulf, ing. Ted. Wolf < i.e. *wḷkʷos) sonante In linguistica, si dice di suono capace di costituire da sé una sillaba, contrariamente a quanto accade per la consonante. Sono quindi s. le vocali e altri suoni quali le nasali e liquide in funzione vocalica, per es. -n nell’ingl. Johnson o -r- nello sloveno Trst. In alcuni sistemi di traslitterazione e di trascrizione fonetica sono indicate da un puntino sotto la lettera (per es. ṇ, ṛ) Le leggi di Brugmann, o delle nasali sonanti Brugmann individua le nasali *ṃ e *ṇ (scr. Šatám, ira. satem, lit. simt(as), lat. centum, gr. he-katòn, got. hund, ing. hundred. Prendiamo in esame i numerali ‘sette’ e ‘dieci’ in latino e in greco > septem/decem e heptá/déka Come si spiega che alla finale lat. –em corrisponda la greca –a ? Si ipotizza che la –em latina e la –a greca derivino da un suono particolare posseduto solo dalla lingua madre indoeuropea e sviluppatasi diversamente: la ‘nasale sonante’, una m o una n formanti da sole un nucleo sillabico. L’ultimo suono delle forme originarie era una nasale sonante del tipo m: questa poi sviluppa una vocale d’appoggio (lat. e; gr. a); mentre il latino conserva la nasale, il greco la perde. Le sonanti e la regolarità delle corrispondenze Ascoli e le tre serie di velari Nel 1873 Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), uno dei più grandi glottologi italiani del XIX secolo, spesso in polemica con i Neogrammatici, ma più per rivendicare una sua priorità scientifica che per mettere in discussione i principi della linguistica comparativa, pubblica l’opera: Lezioni di fonologia comparata del sanscrito del greco e del latino ["fonologia" è inteso, alla maniera ottocentesaca, come equivalente di "fonetica"]. Ascoli si muove nei limiti metodologici della comparazione linguistica di stampo neogrammaticale, ed arriva alla formulazione di tre serie di consonanti occlusive velari per l'indoeuropeo. L'Ascoli individuò tre diverse serie di corrispondenze tra le consonanti velari delle lingue indoeuropee, che possono essere esemplificate come nello schema seguente. Ascoli si oppone ai neogrammatici dicendo che lui aveva sempre applicato questo metodo e rivendicava una paternità di questo metodo. Velare sorda, velare palatale e labiovelare. Questi suoni sono completamente scomparsi in tutte le lingue indoeuropee attestate, e sono stati individuati solo nelle lingue anatoliche, in particolare nella lingua ittita. Le prove della loro esistenza sono molto indirette, ma l'esistenza di laringali permette di rendere conto di numerosi fenomeni all'interno del sistema vocalico delle lingue indoeuropee. La storia del laringalismo si interseca con quella dello scevà, un suono vocalico ricostruito per l'indoeuropeo, di cui la laringale costituirebbe il grado zero. Quante laringali si debbano postulare e quali fossero con precisione i valori fonetici da attribuire alle laringali indeuropee rimangono tuttora questioni controverse Nel 1916-1917 l'assiriologo Bedrich Hrozny' nell'opera Die Sprache der Hethiter (Lipsia) decifrò e dimostrò il carattere indoeuropeo della lingua ittita, scoperta agli inizî del XX secolo in documenti scritti rinvenuti a Boghazköy e risalenti al 1800-1200 a.C. Le laringali nelle lingue indo-europee Nel 1927, studiando questa lingua da poco acquisita agli studî indoeuropeistici, il polacco J. Kurylowicz, individuò in alcune parole ittite proprio due delle laringali (H2 e H3), la cui esistenza era stata fino allora supposta solo in maniera teorica. Infatti, le forme indoeuropee che la teoria delle laringali permetteva di ricostruire come *H1esti (‘egli è’), *H2enti (‘davanti’), *H3est- (‘osso’) e che nelle altre lingue indoeuropee davano forme come *esti, *anti, *ost-, in ittito si presentavano come eszi (senza traccia di H1), hanza e hastai (con H2 e H3 materialmente conservate). Ferdinand De Saussure indoeuropeista Sia la teoria dei coefficienti sonanti, enunciata nel Mémoire (1878), dunque in un’opera molto distante dagli interessi del Saussure strutturalista, sia la legge delle palatali mostrano un’impostazione teorica coerente con i principi dello strutturalismo. Infatti, sia i coefficienti sonantici sia le apparenti irregolarità negli esiti di *kw, vengono postulati in base a considerazioni complessive del sistema e non vengono definiti nella loro essenza fisica, ma per le rispettive proprietà funzionali (allungamento della vocale in un caso, palatalizzazione della labiovelare nell’altro). strutturalismo Teoria e metodologia affermatesi in varie scienze dal primo Novecento, fondate sul presupposto che ogni oggetto di studio costituisce una struttura, costituisce cioè un insieme organico e globale i cui elementi non hanno valore funzionale autonomo ma lo assumono nelle relazioni oppositive e distintive di ciascun elemento rispetto a tutti gli altri dell’insieme. Per strutturalismo, si intende in linguistica la teoria e il metodo delle scuole e correnti elaborate sulla base teorica del linguista svizzero Ferdinand de Saussure. Il "Cours de linguistique générale" (1916) di Saussure si propone lo studio della lingua intesa come sistema autonomo e unitario di segni, dando rilievo primario al sistema (struttura) rispetto ai singoli elementi, all'asse della sincronia rispetto a quello della diacronia. Lo strutturalismo, di tradizione e prospettiva positivistica storica, si è occupato dei valori e delle funzioni determinate dalle relazioni reciproche dei singoli elementi linguistici, considerati come parti di un ordinamento strutturale e di un insieme di fenomeni in continua interdipendenza e interazione. Variabilità diatopica o Geografia linguistica Geografia linguistica: Corrente della linguistica che studia la distribuzione nello spazio e i fenomeni linguistici comuni alle diverse varietà di un dialetto o ai vari dialetti di un gruppo linguistico. È una rappresentazione cartografica dei fenomeni linguistici. • Considerazioni preliminari •La Wellentheorie (Johannes Schmidt, 1872) •I Neogrammatici e la considerazione spaziale dei fenomeni linguistici •Georg Wenker e il ‘ventaglio renano' •Jules Gilliéron e la geografia linguistica •Le carte linguistiche •I principali atlanti linguistici • Norme areali o spaziali Geografia Linguistica: considerazioni preliminari Questo settore della linguistica (noto anche come geografia dialettale o linguistica areale) si pone l’obiettivo di analizzare i fenomeni linguistici sulla base della loro diffusione geografica, includendo considerazioni storiche, linguistiche e geografiche; esso trae origine dalla Wellentheorie (Teoria delle Onde) di J. Schmidt (1872), intesa come «perfezionamento» della rappresentazione ad albero genealogico, sviluppata da Schleicher, la quale non era in grado di dar conto della maggior somiglianza tra lingue appartenenti a gruppi diversi e parlate in territori confinanti nonché della somiglianza fra lingue non appartenenti al medesimo gruppo e geograficamente distanti. Schleicher e la Stammbaumtheorie fotografano l’innovazione linguistica nel momento della sua realizzazione (nodo dell’albero e sue diramazioni successive), in modo che dopo la separazione due lingue hanno sempre evoluzione divergente. Schmidt e la Wellentheorie descrivono invece la diffusione dell’innovazione nello spazio e le intersezioni che ciascuna innovazione ha con le altre innovazioni. La Wellentheorie (J. Schmidt, 1872) • Le innovazioni sono intese come un’onda che si amplifica in cerchi concentrici la cui portata si indebolisce in misura maggiore quanto più ci si allontana dal centro; • l’unità linguistica i.e. è, di conseguenza, considerata come il risultato della contiguità geografica fra lingue che presentano un numero più alto di tratti in comune quanto più è stato lungo il loro contatto nel corso della storia; • la presenza di tratti comuni fra parlate geograficamente distanti sarebbe stata causata dal fatto che le migrazioni dei popoli avrebbero fatto venir meno la contiguità geografica. La teoria di Schmidt : • nega l’esistenza di confini linguistici; • introduce il concetto di centri irradiatori: le innovazioni sono spiegate facendo appello al principio socioculturale di prestigio che una lingua può esercitare su un’altra. • Schmidt è però solo un precursore della Geografia Linguistica. È necessario precisare che con la Teoria delle onde non si può già parlare di Geografia Linguistica, dal momento che, in conformità alle opinioni degli studiosi suoi contemporanei, Schmidt considera la lingua come un’entità unitaria, per cui le innovazioni (centri concentrici che, allontanandosi dal punto di origine, si indeboliscono nel corso della loro propagazione nello spazio) sono considerate in maniera astratta. • Tuttavia, è opportuno rilevare che i punti investiti dalle innovazioni possono a loro volta diventare centri irradiatori secondari, i quali rinvigoriscono le innovazioni stesse. Pertanto, la propagazione delle innovazioni più che essere limitata dalla distanza percorsa, è ostacolata dall’incontro con altre innovazioni. “Mi sembra anche non inadeguata l’immagine del piano inclinato la cui pendenza prosegua ininterrotta dal sanscrito al celtico. Confini linguistici all’interno di questo dominio originariamente non ne esistevano, due dei suoi dialetti presi tra altri distanti a piacere A e X erano collegati da varietà continue B, C, D, ecc. La genesi dei confini linguistici, ovvero, per continuare l’immagine, la trasformazione di un piano inclinato in una scala, a mio parere avviene secondo questo procedimento: una razza o una tribù, che per esempio parlava la varietà F, per cause politiche, religiose o sociali o di qualsiasi altra natura, acquistò la supremazia sui suoi più diretti vicini. In tal modo le varietà linguistiche G, H, I, K che seguivano da un lato e E, D, C dall’altro furono soppiantate e sostituite da F. Una volta ottenuto questo, F si trovò a confinare direttamente con B da una parte e con L dall’altra […] In tal modo veniva ad essere tracciato tra F e B da una parte e tra F e L dall’altra un netto confine linguistico e, al posto del piano inclinato, si era formato un gradino”. (Da Die Verwandtschftverhältnisse der indogermanischen Sprachen, 1872) La teoria del piano inclinato e i confini linguistici Le forme linguistiche si susseguono nello spazio geografico in maniera continua e con piccole variazioni (cfr. il concetto di Romània continua ad indicare i territori latinizzati dalla penisola iberica alla Romania): sul piano inclinato è impossibile individuare dei confini netti. Il passaggio dal piano inclinato, cioè da una variazione graduale nello spazio geografico, a confini linguistici netti è alla base della formazione delle lingue standard. Se inseguiamo il confine tra i dialetti liguri al qua e al di là del confine politico con la Francia si ha l’immagine del piano inclinato (le varietà dialettali di Ventimiglia e di Mentone (FR) sono molto simili fra loro; al contrario, se confrontiamo le due lingue standard italiano e francese troviamo una notevole distanza: questa distanza è il risultato del fatto che il francese standard è basato sui dialetti dell’Ile de France (Francia nord-occidentale), mentre l’italiano standard è basato sul toscano. Il risultato della standardizzazione è aver esteso su entrambi i territori nazionali varietà originariamente limitate sul piano diatonico, con la conseguente creazione di un gradino, cioè di un confine linguistico netto. Isoglosse, fasci di isoglosse e i confini linguistici La moderna geografia linguistica, considerando che normalmente le isoglosse che segnano i confini linguistici hanno andamenti divergenti come quelli visti nel Ventaglio renano o nei confini dialettali italiani hanno coniato accanto al concetto isoglossa quello di eteroglossa. Isoglossa: la linea ideale che unisce tutti i punti di una carta geografica che esibiscono lo stesso tratto linguistico (fonetico, morfologico o lessicale). Eteroglossa: è una doppia linea di cui una linea rappresenta il confine del territorio caratterizzato dal tratto A, l’altra il confine del territorio caratterizzato dal tratto B. Nel primo caso il confine è netto, nel secondo, invece, si presenta la possibilità che nello spazio geografico tra il confine di A e quello di B ci sia una zona neutra o di passaggio, le cui caratteristiche possono essere oggetto di descrizione più accurata. Ci si rende conto di dover studiare le lingue vive piuttosto che le morte per rendersi conto della complessità dei processi linguistica. Isoglosse La Spezia-Rimini e Roma-Ancona Fascio di isoglosse che dividono un’area italo romanza. Glossa La Spezia-Rimini (o Massa-Senigallia). L’Italia è divisa in due da questo confine con a nord le varietà italo-romanze e le lingue romanze in sé. rimediare all’omonimia/polisemia che in un certo momento si è venuta a creare in un dato momento storico tra gli esiti del lat. serrare ‘segare’ e ser(r)are ‘chiudere’. Per rimediare all’omonimia, è stata introdotta l’innovazione sectare, per indicare ‘mietere con la falce dentata’ , rispetto a secare ‘mietere con la falce liscia’. Esempio 2 La denominazione del "gallo" nella Guascogna. Poiché in questa regione -ll > -t, i discendenti del latino GALLUS sarebbero venuti a coincidere con quelli del latino GATTUS (entrambi gat), a questo punto, per usare le parole dello stesso Gilliéron: “fu necessario cercare per il gallo di cortile un nome che non gli suscitasse un avversario troppo immediato e pericoloso. Dovette esserci qualche esitazione per la scelta di questo nome e una certa divergenza; si arrivò finalmente a fare del gallo ambiziosamente un "fagiano" [in guascone azâ, con perdita di f-, come in spagnolo] o, scherzosamente un "vicario" [in guascone bigey], cosa migliore che non lasciarlo alle prese col gatto". o Vicario: che esercita un'autorità o una funzione in sostituzione o in rappresentanza di altra persona di grado superiore. Esempio 3 Le denominazioni del chiodo. La relativa carta dell'Atlas mostra che il nord della Francia attesta forme che continuano il latino CLAVUS (ad es. clou), mentre al sud si trovano forme che continuano il diminutivo latino CLAVELLUS. Ecco la spiegazione che Gilliéron fornisce a questa circostanza: - nel sud CLAVUS > claus e veniva così a coincidere col derivato di latino CLAVIS, che al nord, invece, diventava clef; - così l'omonimia produce, al sud, la sostituzione di claus < CLAVUS con clavel < CLAVELLUS, mentre al nord continuano a coesistere senza conflitti clou e clef. Conseguenze metodologiche della geografia linguistica: o fedeltà alla parola udita e non più «epurazione» delle forme in base allo standard; o negazione a priori del concetto di necessità della purezza linguistica; o peculiarità linguistiche individuali frutto del contatto con altri parlanti; o interpretazione storica dei fenomeni linguistici; La carta linguistica Si riconoscono tre tipi di carte: o carte fonetiche: rappresentazioni del comportamento di un fonema nei vari luoghi di un dato territorio; o carte lessicali: rappresentazioni dei tipi lessicali esistenti in un dato territorio in relazione ad un certo concetto; o carte propriamente linguistiche: rappresentazioni semantiche e fonetiche dei tipi lessicali coesistenti in una certa regione. Sulla carta linguistica, ad ogni punto (luogo) è associata la trascrizione fonetica del termine rilevato. Gli atlanti moderni si basano su questo tipo di carta. L’atlante linguistico contiene carte tutte uguali, ma con intestazione differente in virtù del fenomeno in questione. Oltre agli elementi linguistici, le carte possono presentare documentazioni fotografiche relative al referente che ha elicitato il dato raccolto. Aggiunte simili conferiscono all’atlante un carattere etnografico. Atlante linguistico italiano (ALI): progetto di Bartoli e Vidossi, raccoglitore Pellis. Norme areali o spaziali Dall'incontro delle speculazioni idealistiche di Croce e di Vossler con il movimento "Wörter und Sachen" si sviluppa in Italia, a partire dagli anni '20, la scuola neolinguistica, i cui teorizzatori sono Giulio Bertoni e Matteo Bartoli. A quest'ultimo (1873-1946) si devono sia importanti opere teoriche (Introduzione alla neolinguistica, Ginevra 1925), sia ricerche che si muovono nell'ambito della geografia linguistica (Saggi di linguistica spaziale, Torino 1945). Il Bartoli è ricordato soprattutto per la formulazione delle cosiddette "norme areali", cioè un insieme di "norme", non di "leggi", dal momento che la loro validità è di natura statistica e non assoluta, che, muovendo dall'osservazione della distribuzione geografica di varianti linguistiche, mirano alla ricostruzione del rapporto cronologico che intercorre tra queste fasi. Norme areali o spaziali ✓ Sono basate su valutazioni statistiche; ✓ offrono, tra l’altro, la possibilità di ampliare le possibilità interpretative di una carta linguistica; ✓ permettono di individuare il rapporto cronologico tra due o più fasi linguistiche; ✓ permettono di sviluppare considerazioni diacroniche sulla base della collocazione spaziale del fenomeno considerato. Le quattro norme bartoliane sono: 1) la norma dell'area meno esposta; 2) la norma delle aree laterali; 3) la norma dell'area maggiore; 4) la norma dell'area seriore Norma dell'area meno esposta "se di due fasi cronologiche (parole, suoni, forme, costrutti) una si trovi in un'area meno esposta che l'area dell'altra, la fase dell'area meno esposta è di solito la fase più antica". La relativa esemplificazione si basa sulla storia del dialetto sardo. Norma delle aree laterali "se di due fasi cronologiche l'una si trova o si è trovata in aree laterali e l'altra in aree intermedie ad esse, la fase delle aree laterali è di solito più antica che la fase delle aree intermedie, a meno che l'area intermedia non sia meno esposta alle comunicazioni di quelle laterali". La restrizione ("a meno che l'area centrale non sia meno esposta alle comunicazioni di quelle laterali") è esemplificabile ancora nel dominio dialettale sardo, dove la zona centrale, invece che innovare, conserva la fase più antica perché è più isolata. Norma dell'area maggiore "se di due aree l'una è o è stata molto più estesa dell'altra, la fase linguistica dell'area maggiore è di solito la più antica. Con due notevoli eccezioni: primo che l'area meno estesa sia anche la meno esposta alle comunicazioni; secondo, che l'area meno estesa rappresenti la somma di aree laterali". Nel caso precedente il rumeno mostra le innovazioni latine sic e lucrum rispetto ai più arcaici et e causa, conservati nella parte più estesa della Romània. Benché questa sia la situazione più frequente, talora si può verificare anche una configurazione diversa, come nello schema seguente: dove il rumeno, funzionando da area isolata più che da area minore, conserva l'arcaico lingula e non conosce l'innovazione cochlear, -arium, diffusasi nella maggior parte del territorio romanzo. Norma dell'area seriore "L'area seriore (colonia, ecc.) conserva di solito la fase linguistica più antica, rispetto all'area anteriore". Questa norma trova applicazione soprattutto nel caso della fase linguistica delle colonie rispetto a quella della madre patria colonizzatrice e dunque nelle lingue che continuano il latino delle provincie, rispetto all'italiano che continua, invece, il latino della madre patria. La situazione precedente in cui il latino d'Italia conservato nell'italiano appare molto più innovatore di quello delle provincie, conservato in lingue romanze come francese, spagnolo e rumeno, è di gran lunga la più frequente. Tuttavia esistono eccezioni in cui fasi linguistiche antiche sono conservate in Italia e sono sostituite in almeno una delle provincie dell'impero romano. Norme areali o spaziali : conseguenze Se volessimo cercare qualche spiegazione del perché le aree maggiori, le seriori, le laterali e le meno esposte siano più conservative, troveremmo facilmente delle ragioni molto semplici ed evidenti: ➢ il carattere conservativo delle aree meno esposte alle comunicazioni è di per sé evidente; ➢ è facile anche capire perché la fase linguistica più diffusa è più arcaica: il fatto stesso che abbia percorso più strada mostra che la sua diffusione è iniziata prima. Per le aree laterali si osservi la seguente configurazione Per l’area seriore si osservi la seguente configurazione, in cui l’innovazione diffusa dal centro non ha raggiunto la periferia dove si è mantenuto il tipo arcaico Comparazione e ricostruzione linguistica Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, grazie alle acquisizioni ora passate in rassegna (tre serie di velari, legge delle palatali, leggi delle liquide e nasali sonanti, coefficienti sonantici / laringali) e ad altre ancora, ottenute nell'ambito metodologico della linguistica storico-comparativa e della scuola dei Neogrammatici, ci si poteva basare su di un quadro fonologico della lingua madre indoeuropea, ricostruito in base alla comparazione delle lingue indoeuropee attestate. Tale quadro, nella componente vocalica e consonantica può essere delineato come segue. Vocalismo i.e. - vocali brevi: a, e, i, o, u, ə*; - vocali lunghe: ā, ē, ī, ō, ū; - dittonghi brevi: ai̯, ei, ̯oi, ̯au̯, eu̯, ou̯; - dittonghi lunghi: āi̯, i̯ēi̯, i̯ōi̯, i̯āu̯, ēu̯, ōu̯; - sonanti brevi: r ̥ , l, ̥ m ̥, n ̥ ; - sonanti lunghe: r ̥ ː, lː̥, m ̥ ː, n ̥ ː; * La vocale indistinta ə, allofono sillabico delle laringali, fu attribuita al vocalismo originario in base a serie di corrispondenze in cui tutte le lingue i.e. hanno /a/, mentre l'indoiranico ha /i/ (lat. pater, gr. patér, irl. athir, got. fadar, ma scr. pitá-, avestico pita); si ricostruì, così una vocale originaria dal timbro indistinto, capace di svilupparsi sia in /a/ che in /i/ e fu chiamata col nome di un suono dell’alfabeto ebraico che mostra appunto queste caratteristiche, "schwa". Consonantismo i.e. - nasali: m, n; b) che si sia consapevoli della limitazione che, attraverso la comparazione e la ricostruzione, è possibile arrivare solo alla seconda realtà (i.e. ‘formale’). Validità attuale della ricostruzione Accettando una visione moderatamente formalistica del processo di ricostruzione linguistica, il prodotto finale della prassi ricostruttiva: o non rappresenterà più reali vicende storiche, scissioni di lingue madri in lingue figlie e così via, o ma si identificherà in un modello tassonomico in cui i nodi intermedi dell'albero, al posto delle protolingue, rappresenteranno semplicemente la presenza di particolari rapporti tra le lingue sottostanti. Ciò non esclude affatto che un certo nodo possa anche rappresentare il punto da cui si sono scisse storicamente altre lingue, come nel caso del latino rispetto alle lingue romanze, anche se questo rappresenta l'eccezione e non la regola nel panorama delle lingue indoeuropee. Famiglie linguistiche e protolingue La conseguenza ultima della netta distinzione fra ricostruzione realistica e ricostruzione di carattere formale può essere schematizzata così: All’interno delle lingue indo-europee si verificano due situazioni diverse che corrispondono allo schema precedente: Come risulta dagli schemi precedenti, il gruppo del latino-lingue romanze rappresenta un’eccezione nel panorama delle lingue indoeuropee, in quanto è l’unico segmento dell’intero albero genealogico dell’indo-europeo in cui abbiamo nello stesso tempo attestate dello stesso ramo linguistico: 1) una fase antica (latino) e 2) fasi contemporanee (lingue/dialetti romanzi). In questo caso il rapporto tra fase antica e recente può essere inteso nel senso di una effettiva parentela linguistica; anzi le fasi moderne delle lingue/dialetti romanzi non sono altro che l’estrema evoluzione diacronica del diasistema latino, caratterizzato da tutti i fenomeni evolutivi, dovuti al contatto e ai fattori areali che ne hanno trasformato progressivamente la struttura interna. Diasistema: In linguistica strutturale, sistema linguistico di livello superiore, che riunisce due o più sistemi omogenei tra i quali ci siano somiglianze parziali sul piano fonematico, morfologico, lessicale. Famiglie linguistiche e protolingue Tuttavia, se noi applicassimo al ramo latino/romanzo le leggi ricostruttive di stampo neogrammaticale, partendo da frasi delle lingue romanze come: o sp. veo dos gendarmes a caballo o fr. je vois deux gendermes à cheval ne ricostruiremmo una fase latina del tipo: o **video duas gentes de armas ad cavallum** che è a colpo d’occhio impossibile in latino. E’ evidente che questo rappresenta un altro elemento a favore di una visione non realistica della ricostruzione: infatti, ricostruendo all’indietro a partire dalle fasi attestate, otteniamo un prodotto non coincidente con la realtà più antica documentata (latino). Protolingue in zone alte dello Stammbaum Negli schemi precedenti si è esaminata la tassonomia all’interno di determinati gruppi linguistici (germanico, slavo), fino alle varietà linguistiche parlate. Nella storia degli studi indoeuropei si è talora parlato di unità intermedie collocate ancora più in alto nello Stammbaum, ad esempio: - balto-slavo, - italo-celtico. Tali concetti debbono essere intesi nel senso tassonomico/cladistico, piuttosto che in quello realistico di unità corrispondenti a vere e proprie lingue parlate in certi periodi da determinate comunità linguistiche. Inoltre, è da tenere presente che più le unità supposte sono distanti nello schema dello Stammbaum dalle varietà parlate o documentate, tanto maggiore è la distanza da lingue naturali in senso proprio. Alcune conclusioni possibili Nonostante le limitazioni esaminate, il metodo ricostruttivo nel suo complesso permette di arrivare a ricostruire molti tratti della lingua originaria, ottenuti seguendo una serie di principi dettati sia dal buon senso che dalle leggi interne alle lingue naturali. Criterio dell’area maggiore o scr pitá:(r), gr. patḗr, lat. pater, got. fadar, irl. athir la correlazione t, t, t, d, th ammette tre ipotesi teoriche rispetto all’antecedente di questo suono: o t o d o né t né d Il criterio dell’area maggiore permette di supporre che la prima ipotesi è quella giusta; infatti, in caso contrario, sarebbe ben difficile che tutte le lingue dell’area maggiore abbiano introdotto indipendentemente l’una dall’altra la stessa innovazione t. Criterio dell’antichità dei testi Nelle tradizioni monolingui è logico che i testi più antichi conservino le forme più vicine all’originale. Criterio delle aree laterali Nelle aree laterali di solito è conservata la forma più antica (come nel caso dell’opposizione kentum/satem). Criteri relativi a norme generali Data la correlazione scr. saptá, lat. septem, got. sibun, gr. heptá, anche prescindendo dalla maggiore diffusione di s, le lingue naturali attestano molti casi di s > h, ma nessun caso opposto. Altrettanto vale per it. figlio, fr. fils, sp. hijo: anche senza conoscere la forma latina, f > h è un passaggio normale e molto attestato, ma non il passaggio opposto. Modelli classificatori ed eventi storici L’insieme dei dati appena visti mostra che una serie di principi di varia natura può contribuire a rendere conto con maggiore o minore approssimazione il rapporto fra il prodotto della ricostruzione (*f) e il sistema della madrelingua indoeuropea (*F). Ora, si pone proprio il problema di stabilire una serie di criteri che ci metta in grado di razionalizzare il rapporto fra la ricostruzione come operazione algebrica/astratta e i reali fatti storici che si possono ipotizzare in corrispondenza delle tassonomie classificatorie sottese ai vari alberi genealogici. In quale misura il modello biologico che implica l’uso di etichette come lingue madri, lingue figlie, lingue sorelle, ecc. riflette reali rapporti di somiglianza e i corrispondenti eventi storici? Alberi genealogici ed eventi storici Schleicher 1853 implica che slavi, germani e baltici abbiano fatto parte di uno stesso popolo e che i celti non siano imparentati con nessuna delle altre lingue indo-europee maggiori. Lottner 1858 implica una separazione tra greco e latino ed oppone le lingue orientali a quelle occidentali. Schleicher 1861 rappresenta una mediazione fra la prima ipotesi di Schleicher e le acquisizioni di Lottner. Sturtevant anni ’30 del ‘900 pone il ramo anatolico in posizione separata e molto antica rispetto all’intera famiglia i.e. Schmidt 1872 proponeva una metafora diversa rispetto a quella dello Stammbaum. Grado di somiglianza tra le lingue i.e. Nel XIX secolo se due lingue i.e. avessero mostrato tratti comuni, questi avrebbero potuto essere spiegati solo in chiave genetica. Alla luce delle diverse teorie e modelli di sviluppo dell’indo-europeo e delle lingue indo- europee alla spiegazione di carattere genetico se ne sono affiancate altre possibili per rendere conto dei tratti comuni a più lingue o dialetti: ✓ per appartenenza alla famiglia i.e.; ✓ per essere stati dialetti contigui nel continuum linguistico dell’i.e. in una fase della sua evoluzione; ✓ per essere stati dialetti di una stessa lingua storica attestata dopo lo smembramento delle lingue i.e.; ✓ per essere derivati dallo stesso strato i.e. tra quelli successivi ammessi; ✓ per contatto secondario di maggiore o minore entità; ✓ per motivazioni esterne o interne, ma che non implicano rapporto dialettale (sviluppi paralleli, azione del sostrato, ...). Grado di somiglianza tra le lingue i.e. I fenomeni di tipo a) hanno scarso o nullo valore per la classificazione delle lingue/dialetti indo-europei, poiché si configurano solo come il mantenimento o la perdita di arcaismi. Al contrario tutti i fenomeni da b) a e), in quanto innovazioni rispetto allo stadio precedente, hanno valore per i rapporti tra le varietà che li condividono: l’analisi del diverso significato di ciascun tratto in base alla tipologia cui appartiene e le conseguenze che questo ha per tracciare i rapporti fra le diverse lingue i.e. rientra nell’ambito della dialettologia indo- europea. Dialettologia e/o storia dell’indo europeizzazione a) È necessario ristabilire il rapporto fra somiglianze/diversità delle lingue e la storia dei popoli indo-europei. b) È necessario determinare i tratti che possono essere oggetto di prestito e quelli che invece debbono essere attribuiti alla parentela genetica. Problema della trasferibilità dei tratti morfologici: - a favore Schuchardt, - contro Meillet, Sapir. Weinreich 1953 dimostra la trasferibilità dei tratti morfologici da un sistema all’altro e mostra che il trasferimento dei morfemi è più difficile quanto più i morfemi sono legati e appartengono a categorie obbligatorie di un dato sistema linguistico. Il punto b) ha profondi riflessi sulla natura dei rapporti che si debbono stabilire fra diverse lingue i.e. Esempio: greco e latino sono le due uniche lingue indo-europee ad avere come morfemi di nominativo plurale delle forme innovative rispetto a tutte le altre lingue i.e.: latino -ŏi / -ăi greco -ŏi / -ăi altre lingue i.e. -ŏi / -ās Facendo riferimento alla tipologia di fattori (a-f) che spiegano le analogie fra le lingue, quella del gr. e del lat. appare come una innovazione, perciò pienamente significativa per stabilire il grado di affinità fra due lingue. Fino a quando si pensava che i morfemi non potessero essere oggetto di prestito (anni ’30 del ‘900) l’unico modo di spiegare l’innovazione condivisa da lat. e gr. era quella di ipotizzare una fase geneticamente comune per le due lingue (italo- greco). Ma quando si è accertato che: a) i morfemi possono passare da una lingua all’altra per contatto secondario; b) che i greci sono stati presenti nel Lazio fin dall’età micenea, allora è stato possibile supporre che l’analogia fra i nom. plur. delle due lingue fosse dovuta a imitazione da parte del lat. del modello greco. Questo ha cambiato completamente il quadro dei rapporti genetici fra le due lingue. Quanto appena detto del latino e del greco deve essere proiettato sull’intero complesso delle lingue i.e., con la differenza che in quest’ultimo caso: o i movimenti di popolazione sono stati lunghi e complessi, o le influenze fra le diverse lingue sono state molte e disparate, o i contatti possono essere durati a lungo, essersi interrotti e poi ripresi, o possono essersi formati dei centri secondari di indo-europeizzazione. Rispetto alla visione dell’i.e. divisosi in diversi rami che sarebbero andati ad occupare le sedi storiche, dove sarebbero avvenuti limitati movimenti di popolazioni, per lo più storicamente documentate, oggi la visione dell’indoeuropeizzazione si presenta molto più complessa, sia per le coordinate cronologiche sia per quelle spaziali sia sul piano dei contatti secondari. Schema generale dell’indoeuropeizzazione Nello studio della dialettologia i.e. il livello (1-3) cui si riallaccia la formazione di una lingua diventa essenziale per le sue affinità con le altre lingue i.e.; inoltre c’è la possibilità che una lingua i.e. appartenente a fasi tarde dell’indoeuropeizzazione si sovrapponga ad una lingua, pure i.e., di uno strato precedente. Archeologi, storici, linguisti Se la dialettologia i.e. è in stretto rapporto con i processi storici che hanno portato all’indo-europeizzazione, è necessario chiarire il rapporto fra dati storico-archeologici e dati linguistici. Nell’Ottocento si riteneva che le culture archeologiche coincidessero con determinati gruppi etnici, per cui la sostituzione di una cultura da parte di un’altra significava necessariamente l’arrivo di un nuovo gruppo etnico che soppiantava il precedente, imponendo la propria cultura (Lex Kossinna). Tuttavia, è stato obiettato che tutti i prodotti culturali, anche sofisticati, possono essere oggetto di prestito e di imitazione, e questo vale soprattutto per la lingua che non conosce legami obbligatori con l’etnia e con la cultura. In linea di massima oggi i dati degli archeologi sono abbastanza distanti da quelli dei linguisti perché i primi (Renfrew) tendono ad accreditare un modello stanziale dell’indo-europeo, i secondi un modello di stampo diffusionista basato sulle migrazioni. ❖ Lex Kossinna: le aree archeologiche-culturali corrispondono indiscutibilmente con le aree di un particolare popolo o tribù Fasi dell’indo-europeizzazione (1) Per giudizio di molti linguisti il ramo anatolico è uno dei primi ad essersi separato e a ricevere una propria identità. Secondo gli archeologi (M.Gimbutas) quest’episodio risale alla penetrazione in Asia Minore di elementi provenienti dalle steppe della Russia meridionale fra 3500 e 3000 a.C. Secondo i linguisti l’identità linguistica anatolica doveva essere già separata e presente nelle sedi storiche almeno dal 2300 a.C. (2) Le prime migrazioni dalle steppe all’Europa centro-orientale risalgono al V millennio, ma nessuna realtà linguistica di questa epoca così alta è sopravvissuta fino a noi. È possibile che le analogie dell’etrusco con l’i.e. risalgano a questa epoca e non siano riflesse perciò in nessuna delle lingue i.e. arrivate fino a noi. L’indo-europeizzazione definitiva dell’Europa centro- orientale è avvenuta grazie a nuovi impulsi dalle steppe nel corso del IV millennio. Questo ha portato alla costituzione di un continuum linguistico i.e. dal Baltico ai Balcani: qui si dovrebbe essere formata l’isoglossa satem, dopo la separazione delle lingue occidentali. Questo continuum linguistico sarebbe un centro di indo-europeizzazione secondaria, da cui sarebbero partite migrazioni che portarono elementi i.e. in Europa centro-occidentale e settentrionale. (3) Il ramo centro occidentale si sarebbe spinto verso occidente sovrapponendosi ad un sostrato di tipo analogo all’ugro finnico: da tale vicenda ha avuto luogo il gruppo germanico. (4) Dal gruppo centro occidentale impulsi minori si sarebbero spinti verso occidente e verso sud (penisola iberica e italiana), lasciando delle tracce soprattutto nell’idronimia (‘antico-europea’). Nella zona più occidentale della Germania, in Francia in parte della Svizzera e nella pianura Padana si enucleano in questo periodo i gruppi linguistici del celtico. Il celtico potrebbe essere: a) la continuazione del dialetto antico europeo collocato nella zona europea centrale; b) una varietà portata più tardi da gruppi provenienti forse dai Balcani. Anche le varietà italiche (latino, venetico e altri dialetti dell’Italia antica) potrebbero essere l’esito delle corrispondenti varietà antico europee (come il celtico dell’ipotesi), poiché in questo caso è ancora più difficile individuare da dove sarebbero venuti i gruppi i.e. parlanti queste varietà storiche. (5) Le lingue i.e. che potremmo definire ‘orientali’ derivano tutte da una fase linguistica unitaria separatasi più tardi rispetto a quanto appena visto per le lingue europee. Quando questo ramo si è separato, l’i.e. aveva intrapreso delle innovazioni che non compaiono né nel ramo anatolico né in quello europeo nel suo insieme, come nel caso dell’aumento come marca temporale, condiviso da greco, frigio e armeno. (6) Con la separazione del greco, del frigio e dell’armeno la linea dell’i.e. resta formata solo dalle lingue indo-iraniche. Anche queste sono state caratterizzate tuttavia da fasi successive: a) ariani di Babilonia, Mitanni e Palestina sono i primi a ricevere precise identità storiche; b) successivamente si deve porre l’individuazione dell’indiano, che nella sua forma vedica fa registrare una serie di fatti dovuti al sostrato incontrato nelle sedi storiche (formazione delle sorde aspirate e aggiunta della serie cacuminale agli altri ordini occlusivi). (10) Sia il ramo greco sia quello ario sono caratterizzate sul piano culturale e dei realia dall’invenzione del carro trainato da cavalli come arma da guerra; in cronologia assoluta si può pensare che i primi gruppi con tali caratteri si siano separati dall’indoeuropeo attorno al 2700 a.C., mentre gli ultimi (ariani) risalirebbero al 2000 a.C. Tra 2000 e 1500 nelle steppe si perfeziona l’uso del morso che permetteva di combattere da cavallo: tale tecnica è nota alle tribù iraniche separatesi dopo gli indiani. L’insieme dei fatti descritti da 1 a 10 può essere rappresentato schematicamente come segue. L’indo-europeo che possiamo ricostruire su base comparativa è quello immediatamente precedente la diaspora delle popolazioni che hanno dato vita alle diverse lingue i.e.; questo comporta, tuttavia, dei notevoli margini di incertezza, perché il prodotto della ricostruzione non è mai una lingua ben individuata nello spazio e nel tempo ma un sistema di elementi riferibili a diverse entità spazio-temporali, anche se facenti parte di un unico sistema linguistico. Se si accetta che tra l’indo-europeo unitario e lo stanziamento delle singole lingue nelle sedi storiche sia trascorso un intervallo temporale più o meno lungo (secondo alcune ipotesi lungo più di due millenni) e che le lingue si siano separate dal tronco unitario in epoche e fasi diverse, ecco che la ricostruzione si complica perché è necessario riferire il prodotto della comparazione ad una delle diverse fasi della diaspora indoeuropea. Dalla comparazione linguistica alla ricostruzione culturale La ricostruzione di cui abbiamo parlato finora ha come suo oggetto unicamente la ricostruzione di unità linguistiche di diverso livello, ma unicamente di unità linguistiche. Fin dagli inizi dell’’800 tuttavia diversi studiosi ipotizzarono di poter ricostruire non solo le unità linguistiche, bensì anche i referenti esterni* a queste unità corrispondenti. Il primo studioso che fece un tentativo in tal senso è K. O. Müller che nel 1828 attraverso un esame comparativo del lessico latino e di quello etrusco tentò di individuare i caratteri storici delle due civiltà. Il tentativo deve ritenersi oggi totalmente fallito sia nei presupposti teorici sia per la mancanza di un’attrezzatura tecnica adeguata. Il tentativo venne ripreso nel 1845 da un eccellente comparatista A. Kuhn (fondatore della più antica rivista di linguistica comparata, tuttoggi viva, la Zeitschrift für verglichende Sprachforschung / Rivista di linguistica comparata detta anche, dal nome del suo fondatore “Kuhn Zeitschrift”) in un articolo dal titolo programmatico: “Zur ältesten Geschichte der indogermanische Völker”. A quest’epoca, grazie al lavoro della prima generazione di comparatisti, erano già state analizzate ampie sezioni del lessico indo-europeo: basandosi su queste acquisizioni Kuhn tracciò un primo quadro organico della civiltà indo- europea, relativamente a diversi campi semantici: ✓ struttura familiare ricavata dai termini di parentela, ✓ struttura statale (termini per re, popolo, tribù), ✓ religione (termini per dio e nomi di molte divinità del pantheon i.e.), ✓ allevamento del bestiame e relativi termini tecnici, ✓ agricoltura e relative tecniche. Il quadro che usciva dalla ricerca del Kuhn era quello di una società patriarcale, contadina, legata alla tradizione, religiosa anche se non priva di attitudini militari. L’immagine appare molto vicina alla società latina arcaica. Uno dei limiti insiti in questo metodo è che intere sfere della vita associativa di una comunità erano assenti per la semplice mancanza di documentazione del relativo lessico, raramente conservato nei documenti delle lingue i.e.: mancavano così i termini relativi al commercio, alla pesca alla navigazione. Il lavoro del Kuhn fu ripreso e ampliato da A. Pictet nell’opera “Les origines indo- européennes ou les Aryas primitifs”, Paris, Cherbuliez, 1859, che in due volumi ricostruisce tutti gli aspetti della vita materiale e intellettuale della società indo-europea. Sia i risultati raggiunti dal Kuhn sia quelli raggiunti dal Pictet prestano il fianco a due critiche sostanziali. ➢ Innanzi tutto è falso che la presenza di un lessema nelle lingue parlate in una certa area linguistica implichi meccanicamente l’esistenza in quest’area del referente corrispondente: in tutte le lingue slave è conservato il lessema per ‘elefante’ (slonŭ), ma l’elefante non è mai stato presente nei territori occupati dalle lingue slave. ➢ L’obiezione più grave riguarda però un altro aspetto: la ricostruzione ci permette di postulare per l’i.e. la presenza del lessema per ‘re’ *rēǵs e da questo si ricavò che la struttura statale i.e. dovesse essere di tipo monarchico. Ma questa constatazione è solo apparentemente soddisfacente: infatti niente sappiamo sulla figura del re, i suoi poteri, la sua successione e per questo finiamo per attribuire arbitrariamente al monarca i.e. i connotati delle moderne monarchie di cui abbiamo documentazione, con operazioni esposte alle soggettive intuizioni dei singoli studiosi, ma senza garanzie che queste fossero appunto i corrispettivi politici della società indo-europea. È indispensabile a questo punto seguire un’altra via. Ricostruzione di lessemi e comparazione di (frammenti di) testi La strada alternativa da battere per superare i problemi appena descritti è quella di passare dalla ricostruzione di singoli lessemi, che pongono la serie di questioni già viste, alla comparazione di testi e frammenti testuali delle singole lingue i.e.: se i testi coincidono nell’attestare elementi e funzioni (anche al di là della somiglianza dei singoli lessemi), allora possiamo supporre che questi dati culturali ricavati dai testi rappresentino l’eredità della cultura i.e. originaria, sempre che non si tratti di innovazioni parallele attuate dalle singole lingue i.e. Ritorniamo al caso del ‘re’. Al di là della ricostruzione della protoforma *rēǵs, una serie di testi indiani, celtici e soprattutto latini conferma che il re indoeuropeo più che un capo politico o militare doveva essere una figura semidivina che, attraverso un rapporto privilegiato con il mondo divino, garantisce pace e prosperità al proprio popolo. Questa concezione spiega diversi fatti storici: ✓ i Romani, dopo la cacciata dei re, sentirono la necessità di creare un nuovo e particolare sacerdozio, quello del ‘re sacrificatore’ (rex sacrificulus); ✓ nell’Atene repubblicana, tra le altre magistrature, esisteva quella dell’ ἄρχων βασιλεύς, fuori contesto in un regime repubblicano. In entrambi i casi si sentiva che certe azioni liturgiche, indispensabili per il bene della comunità, potevano essere compiute solo da un ‘re’. Alcune ricostruzioni possibili con il metodo testuale L’ideologia tripartita Utilizzando il metodo testuale si può ricostruire l’ideologia sottostante l’organizzazione sociale del mondo i.e., cioè le categorie di analisi e di giudizio applicate al mondo esterno e alla sua organizzazione. È merito del comparatista francese G. Dumézil la scoperta e la definizione dell’ideologia indo-europea che, secondo lo studioso francese, inquadrava ogni aspetto della realtà, sia già esistente sia da creare, secondo le tre categorie o funzioni: del sacro, del militare, dell’economico. La totalità è rappresentata dalla compresenza delle tre funzioni; una simile organizzazione del reale è sopravvissuta alla diaspora i.e. e molte lingue mantengono precise tracce di questa ideologia comune risalente al periodo pre- diasporico. Quando in età arcaica i Romani vollero ricostruire e narrare le origini della propria città procurarono di contemperare queste tre funzioni in modo che nessuna prevalesse sull’altra; lo dimostrano le figure dei primi tre re di Roma: Numa Pompilio, creatore di riti religiosi e di collegi sacerdotali personifica la prima funzione, Tullo Ostilio, re guerriero e feroce impersona la seconda funzione, Romolo che protegge la città con la costruzione delle mura, procura le mogli ai propri guerrieri personifica la terza funzione. Quasi contemporaneamente alla creazione mitica delle origini di Roma, l’imperatore di Persia Dario il Grande componeva a Persepoli un’iscrizione rivolta ad Ahuramazda, pregandolo di tenere lontano dal suo popolo tutti i mali; questa totalità viene espressa da tre elementi che corrispondono precisamente alle tre funzioni: la carestia (terza funzione), l’esercito nemico (seconda funzione), il culto dei falsi dei (prima funzione). A Roma in epoca predocumentaria venivano adorati nel tempio capitolino Giove, Marte e Quirino, la triade pre-capitolina anteriore a quella costituita da Giove, Giunone, Minerva; il motivo sta proprio nell’applicazione dell’ideologia tripartita, con Giove che corrisponde alla prima funzione, Marte alla seconda e Quirino, dio della fertilità, alla terza. Dumézil e oggi pochi suoi seguaci ritengono che l’ideologia tripartita corrisponda anche ad una effettiva divisione della società in caste diverse; la maggior parte degli studiosi ritiene che l’ideologia tripartita sia un metodo di analisi della realtà esterna, piuttosto che una sua applicazione meccanica alla struttura sociale. La divisione in tre caste, corrispondenti all’ideologia tripartita è attestata solo in poche situazioni del mondo indoeuropeo e per di più in situazioni marginali, come in India e, parzialmente, in Iran; in questi casi alle tre caste corrispondenti all’ideologia tripartita se ne aggiunge una quarta, la più disprezzata costituita dalle popolazioni preesistenti all’arrivo degli indoeuropei. È possibile riunire alcuni lineamenti dei principali aspetti della cultura indoeuropea, tenendo presente che questi non sono mai da considerarsi come isolati dati di fatto, e che il compito degli studiosi è oggi quello di recuperare il carattere organico e complessivo della cultura i.e. piuttosto che quello di individuare sempre nuovi singoli elementi isolati. La religione È significativo che, nonostante le ricerche di molti studiosi si sia riusciti a ricostruire il nome di una sola divinità: gr. Ζεύς/Διός, vedico Dyau-, lat. Iuppiter, ittito sius, che permettono la ricostruzione di una radice i.e. *dyēṷ-, collegabile con quella di dies. Da questa denominazione discendono alcune conseguenze per la ricostruzione del pensiero religioso degli i.e.: il collegamento della maggiore divinità con la luce solare e con il cielo come principio maschile universale, in contrapposizione automatica con la terra (la ‘nera terra’) e l’uomo; la denominazione vedica dyaus pitá e quella latina Iuppiter (dyēṷ- > dioṷ- > iu- + pater) rimandano a una visione dell’autorità tipica di una società patriarcale come quella i.e. in contrapposizione alla divinità mediterranea e pre- indo-europea della “Grande Madre”. Secondo Campanile la probabile ragione del fatto che si possa ricostruire solo la denominazione di Zeus va ricercata nel fatto che nella religione i.e. non aveva alcun senso la figura precisa di un dio, valeva bensì la funzione divina che egli rappresentava; questo avrebbe consentito alle genti i.e. di recepire le divinità straniere, a patto che vi fosse l'esatto riscontro della funzione che esse rappresentavano nella propria cultura religiosa (sincretismo). • Sincretismo: fusione o mutuazione di elementi fra religioni diverse. Questo si rivela ancora in piena età storica nell'interpretatio romana dei pantheon stranieri: i Romani ogni volta che venivano a contatto con la religione di un popolo barbaro attribuivano a ciascuno di quegli dei il nome della divinità romana che a loro giudizio aveva identica funzione. Così in Tacito i germanici *Wōdanaz, *Dunaraz e *Teiwaz divengono, rispettivamente Giove, Ercole e Marte. Anche nel caso della ricostruzione di dyēṷ- si ha una riprova del limite inerente alla ricostruzione operata con il metodo lessicale: infatti, dietro a questo segno ricostruito si celano realtà molto diverse: gr. Ζεύς/Διός e lat. Iuppiter sono in Grecia e a Roma la divinità suprema del pantheon, perfetta espressione della prima funzione; ma l’ittito sius si è evoluto a nome comune di qualsiasi divinità, mentre il vedico Dyau-, già nei testi vedici più antichi, appare come un vero e proprio relitto culturale, di cui si ignorava perfino il sesso. L’identità dei sistemi religiosi delle popolazioni i.e. non consiste nell’adorare gli stessi dei, ma nel disporre le figure divine secondo il medesimo schema tripartito: divinità del sacro, divinità della guerra, divinità del benessere. Da questo punto di vista Mitra e Varuna, divinità vediche della prima funzione sono perfettamente paragonabili al romano Iuppiter o al germanico Wōdanaz. Il rapporto che lega il mondo umano e quello divino è un rapporto di pura utilità e un concetto tipicamente cristiano quale ‘amor di Dio’ non sarebbe stato concepibile a livello di ideologia religiosa indo-europea; l’uomo non ama gli dei e gli dei non amano l’uomo, ma ciò non esclude che tra i due mondi si possano stabilire rapporti di reciproca utilità: l’uomo compie il sacrificio ad una divinità Tutto conferma la natura maschilista della società i.e. e l’ideologia della famiglia basata sulla discendenza patrilineare. La ricostruzione culturale Il poeta La ricostruzione dell’espressione “gloria immortale”, κλέος ἄφθιτον presuppone la sopravvivenza delle gesta eroiche e questo implica l’esistenza di un personaggio fondamentale della cultura i.e.: il poeta. In realtà dietro a questa figura si cela uno specialista della parola che di volta in volta può essere sacerdote (in quanto conosce le formule di preghiera appropriate alla grazia invocata), medico (conosce le formule magiche per guarire ogni male), giurista (in quanto conosceva le formule del diritto consuetudinario), storico (in quanto conosceva e narrava la storia più o meno leggendaria della sua tribù). Ma, soprattutto, era colui che in poesia ricordava e celebrava le imprese gloriose di principi ed eroi del presente e del passato, mosso da ispirazione divina. Questo personaggio, nonostante l’importante funzione di conservare e trasmettere alle future generazioni tutta la cultura intellettuale del proprio popolo, non occupava un posto di rilievo a livello sociale: era collocato allo stesso livello di artigiani particolarmente specializzati come il fabbro o il fabbricante di carri. I suoi ultimi eredei sopravvivono in aree marginali del mondo indoeuropeo come quello slavo, in cui i guslar iugoslavi improvvisano liriche in onore di Tito. Questo enorme patrimonio intellettuale si acquisiva attraverso un tirocinio presso un poeta più anziano, con un insegnamento scolastico molto rigoroso e di carattere strettamente orale che a seconda delle tradizioni durava anche 20 (Gallia) o 12 anni (Irlanda). Personaggi simili, oltre al mondo slavo dove sono sopravvissuti fino ad età moderna, sono documentati in Grecia, a Roma, in Iran e in India. Il poeta è spesso una figura itinerante che gira di luogo in luogo in cerca di chi avesse bisogno dei propri servigi per uno degli scopi diversi cui poteva rispondere; la retribuzione era abbastanza misera se un aedo irlandese compone un’ode in onore di una fanciulla in cambio di un boccale di birra. Ma i capi politici intuiscono ben presto l’importante ruolo che il poeta poteva svolgere per diffondere l’ideologia dominante e per celebrare la sua persona, le sue gesta o la sua famiglia. Nasce così il poeta di corte che, vivendo stabilmente presso un principe ha la funzione di intrattenerlo con la narrazione delle vicende che conosce o con la celebrazione delle imprese sue o dei suoi antenati. Questo presuppone una notevole floridezza economica dei re che permetteva loro non solo di mantenere i poeti e la corte ma anche di ricambiare i poeti con splendidi doni che dovevano celebrare di fronte a tutti la munificenza del re. In Omero si ha ancora ricordo di questi due tipi di poeti: Alcinoo appresta il banchetto in onore di Ulisse e manda a chiamare l’aedo Demodoco come indispensabile ornamento dell’intrattenimento: evidentemente Demodoco era un poeta itinerante che accorreva là dove richiesto; Agamennone, d’altra parte, partendo per l’impresa di Troia, affida la moglie ad un poeta e qui si tratta evidentemente di un poeta di corte che, al tempo stesso, è consigliere e persona di fiducia del principe presso il quale risiede stabilmente. Ci si è chiesti fin dalla metà dell’Ottocento quale metro fosse usato dai poeti indoeuropei e per rispondere alla domanda si è fatto ricorso alla comparazione dei metri impiegati nelle varie tradizioni poetiche delle lingue i.e.; i risultati sono sostanzialmente negativi: pare che i poeti i.e. non usassero né versi quantitativi né sillabici. Lo specifico della poesia i.e. doveva essere piuttosto di ordine strettamente linguistico e doveva riflettere una costruzione volontaria assai distante dalla lingua quotidiana. Un buon paragone può essere offerto dalla lingua dei Poemi Omerici che non è mai stata lingua naturale di nessuno, ma che si caratterizza per arcaismi, mescolanza di forme dialettali diverse, formule, metafore, locuzioni fisse e simili. Questo testo irlandese, tipico del genere eulogistico (elogiativo, celebrativo) costituisce un buon esempio delle celebrazioni tipiche della poesia i.e.; si celebra il re Labraid Longsech Moen, illustre antenato del sovrano all’epoca regnate sul regno del Leinster. Il testo appare abbastanza oscuro e ancor più lo è l’originale irlandese. Ma questo è un tratto voluto dal poeta che non doveva dire niente di nuovo, ma doveva solo creare l’atmosfera dell’insolito e dell’oscuro. Sappiamo infatti che il re d’Oriel, quando ebbe ascoltato l’ode composta in suo onore da Dallan, esclamò estasiato: “Stupendo. Peccato che non abbia capito nulla”. Poeta come artigiano La comparazione di testi di diverse culture i.e. permette di attribuire alla cultura i.e. alcune espressioni e modi di esprimersi che hanno alla loro base un determinato procedimento metaforico. Si è già detto della natura del poeta i.e., definibile in termini omerici come δημιοεργός (ρ 381 ss); i testi di diverse tradizioni linguistiche i.e. presentano passi in cui c’è un accostamento fra il poeta e la radice verbale che significa ‘costruire con il legno’, in riferimento all’attività del carpentiere o del falegname. Già uno studioso dell’Ottocento, J. Darmesteter, aveva supposto che “cette métaphore nous vient des poètes de la période d’unité indo-européenne”. Significativi alcuni passi del Rig Veda: - “Questo discorso, bene augurandosi, hanno per te fabbricato i discendenti di Āyu, come un abile artigiano fabbrica un carro” (1, 130, 6); - “Questo canto, o possente, io ho per te fabbricato come un abile artigiano (fabbrica) un carro” (5, 2, 11); - “Queste salutari preghiere che noi fabbrichiamo a guisa di carri, siano rafforzatrici degli Ašvin” (5, 73, 10); - “Facemmo, o Ašvin, questa vostra lode; l’abbiamo fabbricata come i Bhṛgu (fabbricano) un carro” (10, 39, 14). Queste comparazioni vediche del poeta e della sua attività con il carpentiere che fabbrica carri sono in pieno accordo con testimonianze di altre culture: • in avestico la strofa è vacastašti, letteralmente “fabbricazione verbale” (vaca- cfr. lat. vox, gr. Ϝέπος < * wekw- ‘voce’). • In greco i poeti sono definiti da Pindaro τέκτονες σοφοί ‘sapienti artefici’ e μελιγαρύων τέκτονες κώμων ‘artefici di dolci epinici’. • Per Sofocle la Musa è τεκτόναρχος ‘capo-costruttore’. • Pausania attribuisce al mitico poeta Oleno il sintagma τεκταίνω ἀοιδάν ‘costruisco canti/odi’. Quest’insieme di confronti permette di ricostruire una metafora di antichità indoeuropea che paragona il poeta al carpentiere, ma non si tratta dell’unica metafora del genere, perché ugualmente è attestata l’associazione del poeta con il tessere e con il cucire: o ags. wordkrœft wœf ‘ho tessuto poesia’; o gr. μύθους ὑφαίνειν Γ 212 e sintagmi analoghi in Pindaro e Bacchilide; o irl. “Questo lago io celebro ogni giorno quando cucio il tesoro della leggenda”; o gr. in un frammento pseudo-esiodeo è usata l’espressione ῥάπτειν ἀοιδήν probabilmente come gioco di parole che scioglie l’ἀοιδοί del verso precedente. La ricostruzione culturale la sede originaria degli Indo-europei e la ‘paleontologia linguistica’ ottocentesca La sede originaria degli i.e. A partire dalla metà dell’Ottocento si sono susseguite le ipotesi sulla collocazione della sede originaria degli indo-europei. Il metodo seguito per individuarla era soprattutto quello lessicalistico: una volta ricostruito per la madre lingua un lessema corrispondente ad un elemento legato per particolari ragioni ad un dato ambiente geografico o naturale, se ne deduceva che proprio quell’ambiente doveva essere la sede originaria degli i.e. Tra gli argomenti più sfruttati in tal senso erano quelli delle denominazioni del faggio e del salmone. Sulla base della comparazione linguistica era possibile ricostruire per il lessico della madre lingua indoeuropea i termini per ‘salmone’, *laks, e quella per ‘faggio’, *bhāgos. Sulla base di questa constatazione gli studiosi del XIX secolo studiarono l’habitat naturale di queste due specie, sperando di trarne conferma per la sede originaria degli indoeuropei. Le cose, tuttavia, non erano così semplici come ritenevano gli studiosi dell’Ottocento aderenti alla corrente della paleontologia linguistica (ricostruire una parola equivaleva a ricostruire il corrispettivo denotato, con tutte le implicazioni che ne derivano). Infatti, riflessi della radice *bhāgos ci sono in molte lingue, ma il designatum è diverso: russo buz = ‘salice’, gr. phāgós = ‘quercia’, curdo būz = ‘olmo’. Non esiste perciò nessuna prova certa che il termine ricostruito denotasse precisamente l’essenza arborea del ‘faggio’. Inoltre, la carta seguente evidenzia la regione in cui è diffuso il Fagus silvatica, mentre se si prende in considerazione l’altro potenziale concorrente di questa designazione, il fagus orientalis, l’area di riferimento cambia completamente, con tutte le conseguenze che ne derivano per la deduzione della sede originaria degli indoeuropei. La parola indoeuropea ‘per faggio’ è *bhāghos, e l’area di diffusione del faggio (varietà fagus silvatica) è la seguente. Ceara 3. Area di diffusione del faggio (Fagus Siluatica). Notare la visione eurocentrica. L’altro termine spesso utilizzato per la ricostruzione della sede i.e. originaria, *laksos (‘salmone’) pone altri problemi: il significato proprio (‘salmone’) si trova solo nella zona atlantica, mentre in altre aree lo stesso termine ha assunto o il significato generico di ‘pesce’ (tocario) oppure indica il numerale 100.000 (sanscrito). Quest’ultimo punto trova una spiegazione nel fatto che in diverse lingue orientali numerali molto alti sono designati con il nome di animali che compaiono in gruppi molto numerosi e indeterminati (gerogl. egiz. 100.000 è rappresentato da un girino). Di recente si è poi scoperto che salmoni si trovano anche vicino la zona del mar Nero, per cui questo non contrasterebbe con una collocazione orientale della sede i.e. originaria. La sede originaria degli i.e. nelle teorie di alcuni studiosi moderni Sede originaria i.e. proposta da Gamkrelizde e Ivanov, sulla base dei rapporti reciproci dell’i.e. con le lingue semitiche e con il cartvelico (lingue caucasiche). Secondo l’archeologo C. Renfrew la sede i.e. originaria sarebbe da collocare nella zona Anatolia, in cui sarebbe stata introdotta la tecnica dell’agricoltura. Confronto tra le varie ipotesi avanzate per la sede originaria. Raggruppamento genetico E’ un tipo di classificazione basato sulla possibilità di ricondurre due lingue diverse ad un comune antenato, sia attestato sia frutto della ricostruzione diacronica operata sulla base di determinate leggi di mutamento. Due lingue fanno parte di uno stesso raggruppamento genealogico se derivano da una stessa lingua madre originaria. All’interno di questo criterio di classificazione è possibile distinguere diversi livelli gerarchicamente ordinati: ▸ famiglia linguistica ▸▸ gruppi (o classi) della stessa famiglia ▸▸▸ sottogruppi dello stesso gruppo Oltre alle lingue geneticamente riconducibili a determinate famiglie linguistiche esistono delle lingue ‘isolate’ non riconducibili a nessuna delle famiglie individuate. Le famiglie linguistiche in Europa Famiglie linguistiche presenti nel continente europeo: o lingue indoeuropee o lingue uraliche o lingue altaiche o lingue caucasiche o lingue semitiche (il maltese) o E una lingua isolata: il basco Il termine indoeuropeo identifica sia il prodotto della ricostruzione diacronica attuata con il metodo comparativo, sia la famiglia linguistica delle lingue indoeuropee. L’indoeuropeo come nozione unitaria è il risultato delle diverse acquisizioni compiute: - dalla prima generazione di comparatisti, - dallo Schleicher - dai Neogrammatici - dagli studiosi che nel corso del XX secolo hanno perfezionato il complesso delle leggi e delle norme del metodo storico-comparativo. Versioni successivamente modificate dell’albero genealogico delle lingue indoeuropee formulato da Schleicher e successivamente depurato degli aspetti ‘naturalistici’ del metodo per assumere il valore di modello cladistico e classificatorio hanno assunto la forma seguente (modelli tassonomici). La famiglia linguistica indoeuropea: gruppo indo-iranico Il gruppo indo-iranico è suddiviso in due sottogruppi: ➢ indiano (lingue antiche: sanscrito, vedico; lingue moderne: hindi, urdu); ➣ iranico ulteriormente suddiviso in due rami: - lingue iraniche occidentali (persiano antico, avestico, persiano moderno, curdo); - lingue iraniche orientali (pashto o afgano). Fin dall’inizio della comparatistica ottocentesca indiano e iranico sono stati considerati membri di un unico gruppo, con alcune precisazioni successive: o l’unità indoiranica è contemporanea alla migrazione delle genti arie nel continente indiano e non è da considerare come cellula indipendente entro l’i.e.; o - caratteristiche comuni sono: - il carattere satem, - *l > r, - des. 1ª pers. plur. att. -masi (cfr. dorico -µες), - *ĕ, *ă, *ŏ > ă, mentre *ē, *ā, *ō > ā, - consonantismo delle occlusive con quattro serie p, ph , b, bh. 1)Indiano (antico) L’indoeuropeizzazione dell’India è avvenuta da nord con l’ingresso di popolazioni indo-arie che si sono gradualmente sovrapposte a popolazioni di lingua dravidica e munda, rimaste in epoca storica a livello di isole linguistiche o di aree marginali. L’indiano conosce tre fasi cronologiche: antico, medio e moderno. L’antico indiano conosce: a) il periodo vedico, caratterizzato dai Veda (testi religiosi, il più antico dei quali, il Rig Veda è stato trasmesso oralmente fino alla sua fissazione grafica nel VII sec. a.C.; b) il periodo del sánscrito (‘lingua perfetta’ o ‘regolata’) con opere esegetiche dei testi vedici e con testi epici come il Mahābhārata e il Rāmāyaṇa; questa varietà ha conosciuto fra IV e II secolo a.C. una accurata descrizione grammaticale ad opera di Panini, grammatico vissuto nel IV a.C. 2)Indiano (medio) Nelle iscrizioni del re Aśoka (III sec. a.C.) cominciano ad essere attestati i cosiddetti prakriti, che rappresentano le prime manifestazioni del medio indiano (il termine prākṛta- significa ‘popolare’). Dai prakriti medio- indiani si sviluppano le varietà dell’indiano moderno distinte in due gruppi: - di nord ovest (kafir, cashmiri, zingaresco); - dell’India (sindi, gujarati, singalese, hindi, assamese, bengali, indostano). Caratteristiche dell’indiano antico sono: - conservazione delle liquide sonanti, - conservazione della flessione con 7 casi (+strumentale e locativo) - fusione di *e, *o in /a/ (cfr. legge delle palatali). 3)Iranico Le l. del gruppo iranico sono localizzabili nel NO dell’India e in Iran. La popolazione i. e. che si è stanziata in questo territorio, probabilmente, ha vissuto e viaggiato per periodi considerevoli con le popolazioni del gruppo indiano. Una simile affermazione trae conferma nel numero di caratteristiche in comune. La suddetta area è stata sottoposta ad influenza semitica; spostamenti successivi hanno diffuso le l. di questo gruppo in territori remoti come la Russia meridionale e la Cina centrale; tale gruppo presentava anticamente una suddivisione geografica: o oriente avestico; o occidente antico persiano. o Iranico Avestico: lingua dell’Avesta, libro sacro degli zoroastriani; alcune delle gāthas (‘inni’) sarebbero stati composti dallo stesso Zarathustra (X sec. A.C.), mentre altre sono più recenti. Assai simile all’avestico doveva essere il medo, lingua dell’impero dei Medi che raggiunse l’apice della potenza nel VII a.C.). o Antico Persiano: ve ne sono tracce nelle iscrizioni cuneiformi che narrano le conquiste di Dario (522-486 a. C.) e Serse (486-466 a. C.). Questa lingua è l’antenata del moderno persiano (o farsi), il cui lessico contiene molte influenze dall’arabo; Il persiano moderno o farsi è la lingua ufficiale dell’Iran; inoltre: • afghano (o pashto) in Afghanistan; • baluchi, nei territori orientali in Pakistan; • kurdo in Kurdistan. 4)Tocario All’inizio del XX secolo nel Turchestan cinese furono trovati manoscritti contenenti letteratura religiosa buddhista redatti in una lingua fino allora sconosciuta, cui fu dato il nome di tocario. Successive ricerche hanno permesso di individuare due dialetti: - tocario A (orientale); - tocario B (occidentale), ancora vivo nel VII secolo d.C. La lingua è di tipo kentum (sak ‘dieci’, kante ‘cento’). 5)Armeno Localizzabile in una piccola area a sud delle montagne del Caucaso vicino al confine orientale del Mar Nero. La penetrazione degli Armeni in tale regione è collocabile fra l’VIII e il VI sec. a. C., con conseguente sovrapposizione alle lingue locali che ne hanno influenzato accento e fonologia. Presenta la mutazione di alcune consonanti che ricorda le rotazioni delle l. germaniche, probabilmente frutto del contatto con lingue locali. Come nelle lingue caucasiche, il sistema morfologico nominale difetta del genere. L’armeno non presenta caratteristiche in comune con gli altri gruppi: occupa una posizione isolata; Gli armeni sono stati per lungo tempo sotto dominazione persiana, da cui una forte influenza del persiano sull’armeno, al punto che in passato l’armeno era classificato fra le lingue iraniche. Numerosi contatti anche con le l. semitiche, il greco e il turco che ne hanno arricchito il lessico. Il gruppo anatolico Gli scavi effettuati nel 1907 presso Boghazköy portarono alla luce, presso la capitale dell’antico regno Hittita, centinaia di tavolette d’argilla scritte in caratteri cuneiformi che registravano una lingua allora sconosciuta. Nel 1917 l’assiriologo B. Hrozný decifrò la scrittura e riconobbe il carattere i.e. della lingua, denominata ittita (hittita o etea); questa era la lingua usata dagli scribi dell’impero di Hatti (1900-1200 a.C.) per registrazioni economiche, storiche e religiose. Altre lingue i.e. anatoliche sono il luvio e il palaico, assai affini all’ittita. Più recenti sono invece: il lidio (documentato partire dal VI secolo a.C.); il licio (documentato partire dal I secolo a.C.). L’ittita è lingua kentum e conserva due laringali (H2 e H3) o la lenizione, cioè l’indebolimento articolatorio delle consonanti in posizione intervocalica (già attestato nella forma di alcuni toponimi in alcune iscrizioni galliche), secondo la scala generale: consonanti occlusive sorde (/p t k/) → occlusive sonore (/b d g/) → fricative sonore (/β-v ð ɣ/); o il passaggio *ē > ī ( cfr. il suffisso -rix = -rex di alcuni antroponimi celtici: Vercingetorix); o la caduta di *p- e *-p- (irl. athir ‘padre’, cim. nei ‘nepos’) Il gruppo italico La posizione di predominio del latino non deve far dimenticare che, nel periodo storico, quest’ultimo era solo una delle lingue i.e. impiegate nella penisola italiana, oltre a cui: - venetico; caratterizzato da isoglosse che lo collegano con il latino • gen. sing. -i, • *occlus. son. asp. > fricative sorde all’inizio di parola e occl. sonore all’interno. - umbro parlato fra il corso del Tevere il mar Adriatico, testimoniato principalmente dalle Tavole Iguvine, 7 tavole di bronzo contenenti il rituale dei Fratres Athiedii; tipologicamente assai simile al latino (cfr. es.). - osco lingua dei Sanniti parlato nella gran parte del sud della penisola, ad eccezione delle estremità più meridionali; attestato fra VI a.C. e I d.C. da numerose iscrizioni in alfabeto locale, latino e greco. Anche l’osco è assai simile all’umbro e al latino, come dall’esempio seguente. - dialetti minori assai vicini al latino parlati da occidente a oriente fra Tirreno e Adriatico sono: sabino, marso, marrucino, vestino, peligno; - greco, lingua delle numerose colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia dall’VIII sec. a.C. al I a.C. - messapico (attestato da qualche centinaio di iscrizioni datate fra VI e I sec. a.C., secondo alcuni affine all’illirico); - leponzio attestato in poche iscrizioni tra Liguria, Piemonte e Canton Ticino; - siculo, lingua i.e. di Sicilia da distinguere dal Sicano, lingua non i.e Lingue non i.e. dell’Italia antica Lingue non i.e. dell’Italia antica - sicano, lingua non i.e della Sicilia; - etrusco (l. non i.e.), ad occidente, più precisamente a nord del corso del Tevere. Gruppo italico confronti interlinguistici • umbro: ahaltrutitisdunumdede • latino: Ahal Trutitis donum dedit. • osco: v. aadirans.v. °eìtiuvam°. paam *vereiaì* . pùmpaianaì . tristaamentud . deded. eìsak . eìtiuvad . v . viìnikiìs. mr. kvaìsstur . pùmpaaiians . trììbùm . ekak . ^kùmbennieìs^ . °tanginud° . ùpsannam. deded . ìsìdum . prùfatted • latino: V. Adiranus V.f. °pecuniam° quam *iuventuti* Pompeianae testamento dedit, ea pecunia V. Vicinius Mr. f. quaestor pompeianus aedificium hoc hoc ^conventus^ °sententia° faciendum dedit, idemque probavit. • -ud, -ad (ablativo sing.) • kùmbennieìs: con-venio <*gwen- (gr. βαίνω) • ùpsannam: operandam cfr. opus • prùfatted: probavit (perfetto). Latino Secondo molti studiosi l’Italia antica avrebbe conosciuto una prima ondata di popolazioni i.e. che avrebbero portato il latino e il siculo, mentre una seconda ondata, che avrebbe portato l’osco-umbro, avrebbe spinto le precedenti popolazioni verso occidente a sud. Il latino originariamente non era che uno di diversi dialetti italici di tipo i.e. che sarebbe stato successivamente promosso al rango di lingua egemone dalla potenza crescente di Roma, non senza ricevere alcuni tratti dialettali dalle altre varietà • sabinismi con -l- per -d-: solium vs sedere e olere vs odor) • -f- ‘italica’ al posto di -b- ‘latina’ come nei doppioni: bufalus, rufus, sifilus, sifilo, vafer bubalus, ruber, sibilus, sibilo, vaber e così anche: popina (Plauto) per coquina (<*kwekwo-) Latino diglossia L’affermarsi di una tradizione letteraria prestigiosa fa sì che dalla fine del periodo classico si crei una scissione fra il latino attestato nelle opere di autori come Cesare, Cicerone e Virgilio e il latino dell’uso quotidiano. A questo si deve aggiungere la forma di latino appreso da parlanti di altra lingua materna, sempre più numerosi in epoca imperiale. Nella fase imperiale e tarda del latino le due forme si distanziano sempre più e, con la caduta dell’Impero Romano d’occidente 476 d.C., viene a mancare un’autorità centrale che si faccia promotrice della norma classica. La deriva progressiva del latino parlato nelle varie aree in cui era stato esportato a seguito delle conquiste d’età imperiale apre la strada alla formazione delle varietà romanze. Il latino è il risultato del prevalere della forma urbana di Roma sui dialetti italici circostanti, come conseguenza della crescita del potere politico e militare di Roma; chiare tracce di questa lotta con le varietà dialettali vicine sono, ad esempio, i sabinismi come consul, solium, olere (con [l] sabina invece della forma urbana con [d]) o gli italicismi come tafanus, bufalus, scrofa (con [f] italico invece di [b]), circoscritti a lessemi concernenti realtà rurali. PARENTESI: • L'età della letteratura latina classica (o età aurea) è compresa fra il 78 a.C. (quando Cicerone intraprese l'attività letteraria) e il 14 d.C. (morte di Augusto). Età imperiale: dal 31 o 27 a.C. al 476 d.C., anno della deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d'Occidente Se da questi fenomeni che hanno caratterizzato la storia della lingua di Roma nel periodo della sua formazione (prima del V secolo a.C.) passiamo a considerare il latino del periodo classico, la situazione è assai complessa: Distinzione diastratica tra: a) la norma letteraria/standard usata nelle opere degli autori del periodo aureo (e probabilmente dalle classi superiori nel parlato più formale) b) e b) il latino parlato dalle classi inferiori, per lo più di modesta o nessuna alfabetizzazione; questa seconda realtà, spesso denominata "latino volgare" è attestata soprattutto nel periodo arcaico (ad esempio in alcune parti delle commedie di Plauto, ma anche in diverse iscrizioni) e nel periodo tardo (si pensi alle iscrizioni pompeiane) e rappresenta l'aspetto della continuità della lingua parlata dagli strati socialmente più bassi, che affiora soprattutto nei periodi in cui la pressione sociolinguistica del latino colto e letterario viene meno per ragioni sociali e politiche. Distinzione diafasica tra: il latino letterario, usato nello scritto e nel parlato sorvegliato, e la "lingua d'uso" impiegata nel parlato informale e, limitatamente, nello scritto (si pensi, ad esempio, alla diversità tra il latino delle opere retoriche e filosofiche di Cicerone e quello delle lettere agli amici e ai familiari). o La diafasia è una variabile sociolinguistica determinata dal mutare della situazione nella quale il parlante si trova a comunicare: il contesto, gli interlocutori, le circostanze o le finalità della comunicazione. A partire dal primo periodo repubblicano la potenza militare di Roma e la sua politica imperialistica portarono il latino a diffondersi dapprima in tutta la penisola italiana e poi nelle colonie, dalla penisola iberica alla Dacia (Romania). La romanizzazione dei territori assoggettati sul piano militare avveniva soprattutto attraverso la fondazione di colonie e di insediamenti in cui venivano trapiantati veterani e coloni latini: il latino diffuso attraverso questi canali non poteva che essere la lingua parlata dalle classi inferiori, quelle che contribuivano in maniera massiccia alla formazione dell'esercito romano. Questo tipo di latino, di per sé meno soggetto alla uniformità della norma standard, e portato da coloni di disparata provenienza, era destinato a differenziarsi ulteriormente a contatto con le lingue parlate dai popoli sottomessi e talora in una situazione di lontananza e di isolamento dei coloni rispetto alla madre patria. A queste circostanze si aggiunse il decisivo fattore disgregante della caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e delle invasioni barbariche, che rappresentano i presupposti grazie ai quali le diverse forme di latino parlate nei territori dell'impero, in assenza di uno standard riconosciuto ed imposto da un'autorità centrale, poterono intraprendere il cammino che le ha portate a trasformarsi nelle varietà romanze. Latino-lingue romanze Le prime attestazioni scritte delle varietà romanze risalgono all’VIII o IX secolo d.C., quando ‘i volgari’ riescono a superare la situazione diglottica per cui il dominio della scrittura era riservato al latino, ormai lingua ‘morta’ cioè non appresa più da nessuno come L1. I principali tipi romanzi individuabili nella ‘romània continua’ sono: o romanzo balcanico (rumeno e dalmatico) o retoromanzo (dialetti ladini) o galloromanzo (francese, provenzale e francoprovenzale) o ibèroromanzo (spagnolo, catalano, galiziano, portoghese). La progressiva differenziazione del latino parlato nei territori dell'impero romano ha dato luogo al seguente quadro: a) Rumeno b) Dalmatico, Italiano, Sardo, Ladino c) Francese, Franco-provenzale, Provenzale, Catalano d) Spagnolo, Portoghese Questo dominio, definito come “Romània continua” è perfettamente coerente con le immagini della teoria delle onde e del piano inclinato enunciate da J. Schmidt: considerando Roma e l'Italia romanizzata come il centro diffusore delle innovazioni linguistiche, la Romanìa e la penisola iberica rappresentano le aree laterali di questo dominio e mantengono così aspetti linguistici arcaizzanti rispetto al latino e al romanzo centrale, al pari di aree isolate come la Sardegna. Il risultato di una tale diffusione del latino è un territorio che per tutto il periodo medievale appare come un continuum linguistico, sul quale successive vicende politiche e sociali hanno introdotto le differenziazioni nette che hanno portato all'individuazione delle lingue romanze moderne. Le lingue germaniche Il germanico comune o protogermanico è la lingua ricostruita sulla base della comparazione linguistica delle lingue germaniche, distinguibili, dal punto di vista diatopico e classificatorio in tre gruppi: o germanico orientale; o germ. settentrionale; o germ. occidentale. Germanico orientale In occidente i Goti sono divisi in Ostrogoti e Visigoti, i primi conquistarono l’Italia e i secondi la Spagna, la loro l. fu ben presto soppiantata dal latino. La lingua più nota di questo gruppo è il gotico. A partire dal III sec., dalla Vistola, i Goti raggiunsero le coste del Mar Nero. Nel secolo successivo furono cristianizzati dal missionario Wulfila (311-383). Ad eccezione delle iscrizioni runiche trovate in Scandinavia, la traduzione della Bibbia operata da Wulfila (IV sec.) rappresenta la più antica attestazione di una l. germanica. Il testo è conservato principalmente nel Codex Argenteus che contiene una copia costantemente finché, alla fine del ‘700, la varietà del tedesco centro-orientale si impose per il proprio prestigio sugli altri dialetti. Nacque così il Neuhochdeutsch (alto-tedesco moderno). Durante questi secoli tutti gli aspetti della lingua scritta furono soggetti a continue modifiche, al fine di raffinare e migliorare la capacità espressiva della lingua tedesca. Fra 1600 e 1700 l'influsso del francese si rafforzò, i piccoli stati del territorio tedesco vedevano quasi tutti nella Francia aristocratica il modello della vita nobile: così, una grande quantità di parole francesi entrò nel tedesco e molte sono rimaste fino ad oggi. Anche i primi giornali e riviste ebbero un ruolo da non sottovalutare nella formazione di una lingua sempre più unitaria in tutta la Germania. Per tutto il XVIII secolo tuttavia non esistono ancora delle regole vincolanti. Persino Goethe (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) scriveva in fondo come voleva e anche in una stessa lettera l'ortografia poteva cambiare. Tra quelli che sapevano scrivere c'erano ancora grandi differenze, la lingua scritta quotidiana continuava ad essere influenzata dai dialetti delle diverse regioni. La moglie di Goethe, Cristiane Vulpius, ad esempio, scriveva quasi sempre in dialetto e questo era ritenuto del tutto normale. La definitiva fissazione delle regole della grammatica, dell'ortografia e anche della pronuncia è opera del secolo XIX (ultimo quarto) e dei primi decenni del '900. Figura centrale nella standardizzazione del tedesco contemporaneo fu Konrad Duden, filologo, linguista e germanista tedesco, autore del più prestigioso dizionario della lingua tedesca, che porta il suo nome: il Vollständiges Orthographisches Wörterbuch der deutschen Sprache, il più grande dizionario e lessico della lingua tedesca, che ancora oggi porta il suo nome ("il Duden") e che viene annualmente aggiornato. Le principali caratteristiche che contraddistinguono le lingue germaniche nel loro complesso sono: - le leggi di Grimm e di Verner; - accento fisso e dinamico sulla prima sillaba della radice; - formazione di un preterito debole in dentale, accanto a quello forte con apofonia; - la distinzione tra flessione debole (in nasale) e forte (in vocale) dell’aggettivo; - metafonesi palatale e velare In epoca arcaica (antico tedesco adl VII/VIII secolo in poi) le differenze dialettali erano molto marcate, come si può vedere dall’incipit dei diversi Pater noster conservati: tutta la storia della lingua tedesca è dunque caratterizzata da un’evoluzione convergente verso l’a.t. e lo standard. 1. Padre Nostro di San Gallo Fater unser, thu pist in himile, uiihi namun dinan … prooth 2. Oratio dominica di Notker Fater unser du in himele bist … brot 3. Padre nostro di Frisinga Fater unser du pist in himilum 4. Padre nostro di Taziano Fater unser, thu thar bist in himile Seminario: Le lingue indo-iraniche ✓ Storia dei popoli indoari ✓ Le lingue indoarie: genealogia e tipologia morfologica e sintattica ▪ Indoeuropei: popolo guerriero dell’età del rame (ca. 5000- 3000 a.C.) ▪ Urheimat (regione tra il Volga e il Dnepr) ▪ Cultura del Kurgan -> La cultura kurgan è l'insieme di quelle culture preistoriche e protostoriche dell'Eurasia, che usavano seppellire i morti di alto rango in tumuli funerari chiamati appunto kurgan ▪ Migrazioni: o migrazione verso sud (Asia minore e penisola balcanica) o migrazione verso est (territori asiatici – attuali India e Persia) o migrazione verso ovest (Europa occidentale e meridionale) Fenomeno migratorio verso sud (1800-1500 a.C.) Periodo vedico (1750-500 a.C.) - inizialmente solo valle dell’Indo (II millennio) - spostamento verso la valle del Gange (I millennio) periodo successivo alle altre migrazioni (1800-1500 a.C.) e si è divisa in due parti: ➢ fino alla valle dell’Indo (II millennio) ➢ fino al Gange (I millennio) dove c’erano già altri popoli – guerre e battaglie tra questi e da qui viene la multietnicità dell’India. Nord dell’India – lingue indoeuropee, mentre a sud e al centro lingue non indoeuropee. EARLY VEDIC PERIOD (1750-1000 a.C.) o economia pastorale e semi-nomade (ovini, caprini e bovini), agricoltura limitata o testi letterari e religiosi (Rigveda) o conflitti LATE VEDIC PERIOD (1000-500 a.C.) • alcuni gruppi rimasero lì: passaggio dal nomadismo alla sedentarietà e dall’allevamento all’agricoltura di riso, orzo e grano; • altri andarono verso il Bangladesh fino alla foce del Gange; • implementazione di carpenteria, lavorazione della pelle, conceria, ceramica, tessitura Le lingue indo-iraniche - Gruppo satǝm Due gruppi: - lingue iraniche o fase antica (avestico e antico persiano) o fase attuale (farsi, curdo, pashto) - lingue indoarie o fase antica (sanscrito) o fase intermedia (pali e pracriti prima, apabhramshas poi) o fase attuale (hindi/urdu, punjabi, marathi, gujarati, ecc.) Sanscrito (Old Indo-Aryan) o Cosa si intende per sanscrito? o risultato di una evoluzione secolare o distinti ceppi etnico-sociali o saṃskṛta = lingua ‘elaborata’, ‘compiuta’ o Come viene considerato tipologicamente? o - sintassi: lingua SOV o - morfologia: lingua flessiva → otto casi (nominativo, vocativo, accusativo, strumentale, dativo, ablativo, genitivo, locativo); tre numeri (singolare, duale, plurale); tre generi (maschile, femminile, neutro); declinazione verbale molto complessa Middle Indo-Aryan o Prakriti (vernacoli locali) o Sorti contemporaneamente all’utilizzo del sanscrito classico o prākṛta = ‘naturale’ o Pali (lingua liturgica) o Apabhramsha (lingua ‘corrotta’) → punto di separazione tra il periodo medio e il periodo moderno o perdita dei casi New Indo-Aryan o Diffusione nel subcontinente indiano (India, Pakistan, Bangladesh, Nepal) o Situazione sociolinguistica complessa (religione, società, governo, diritti linguistici) o Mantenimento dell’ordine SOV o Nuovo sviluppo di marcatori di caso Mentre in Europa il concetto di nazione legato ad un’unità linguistica è nato dalla Rivoluzione francese, a portare questo concetto nel subcontinente indiano furono gli inglesi. Seminario: Latino e lingue romanze Il gruppo italico e le lingue dell’Italia antica (intorno all’VIII secolo a.C.) Lingue italiche (lingue I.E.): ✓ latino (bassa valle del Tevere, attorno a Roma e ai colli Albani); ✓ osco (a sud dell’area latina, fino in Campania e Lucania, e ad est fino all’Adriatico; iscrizioni II-I sec. a. C.); ✓ umbro (a nord dell’area osca; iscrizioni I sec. a. C.); ✓ falisco (vicino Roma); ✓ messapico (odierna Puglia); ✓ venetico (Italia nord orientale); ecc. ✓ greco: insediamenti greci dell’Italia meridionale ✓ Altre lingue (non I.E.): etrusco (a sud dell’Arno); retico (Italia settentrionale); ligure Latino lingua di pastori e agricoltori - rīvālis ‘che va ad attingere l’acqua dallo stesso rīvus’ > ‘rivale, concorrente’ - dēlīrāre ‘uscire dalla līra (solco)’ > ‘delirare’ - ēgregius ‘selezionato all’interno del gregge’ > ‘che eccelle sugli altri’ I romani non imponevano la propria lingua ai popoli assoggettati ma era la lingua della cultura e dell’amministrazione. È grazie al suo prestigio culturale, politico e militare che il latino si estese a un territorio così vasto. Il latino ha soppiantato le lingue (tra cui quelle italiche) che si parlavano prima dell’arrivo dei romani. Solo il greco non venne mai sostituito dal latino. Variazione diatopica del latino in base al sostrato precedente, variazione anche di tipo diastratico in base alla classe sociale di appartenenza. Latino come diasistema Pompei, 62-79 d.C. Lingue «ufficiali» Area ibero-romanza: galego, portoghese, spagnolo, catalano Area gallo-romanza: francese Area italo-romanza: italiano, romancio Area romanza orientale: romeno Altre lingue romanze: occitano (provenzale), franco-provenzale, sardo, corso, ladino, friulano, dalmatico (estinto) Dialetti (ad es. patois occitani o franco-provenzali; dialetti italoromanzi o Romània continua: area continua corrispondente a Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Belgio francofono, Svizzera di lingua francese, italiana e romancia, piccole aree della Croazia e della Slovenia; isole Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia; Romania, isolata dal resto del mondo romanzo o Isole alloglotte: basco (Pirenei); tedesco in Francia e in Italia; albanese (Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia); croato (Abruzzo, Molise); greco (Puglia, Calabria) o Romània perduta: aree anticamente latinizzate, in cui il latino non ha avuto continuazione: Africa nord-occidentale; area dall’arco alpino italiano fino al Danubio e al Reno; parte meridionale della Gran Bretagna o Romània nuova: spagnolo in America centro-meridionale e nelle Filippine; portoghese in Brasile, a Macao, Goa, Timor Est; francese nelle Antille, ad Haiti, in Guyana, in Canada e in alcune zone degli USA, in Africa. Classificazione tipologica Tipologia linguistica: studia le variazioni interlinguistiche classificando le lingue storico-naturali in base ad affinità̀ strutturali sistematiche, che permettono di individuare i tipi linguistici. - Tipo linguistico vs Famiglia linguistica - Classificazione tipologica vs Classificazione genetica Tipo linguistico: Un tipo linguistico è un contenitore che raccoglie tutte le lingue che condividono una data caratteristica strutturale comune. • categoria astratta, strumento esplicativo creato dal linguista, modello di descrizione delle lingue storico-naturali; • combinazione di tratti strutturali logicamente e categoricamente indipendenti gli uni dagli altri, ma reciprocamente correlati, che permettono di fare previsioni sulla struttura della lingua indagata da cui deriva il carattere non solo descrittivo della tipologia ma anche predittivo; • l’assegnazione di una lingua ad un tipo avviene in base alla tendenza prevalente; • nessun tipo è fedelmente riprodotto da una determinata lingua Campionatura linguistica In una corretta analisi tipologia, per garantire l’affidabilità del campione, bisogna evitare alcuni fattori fuorvianti quali: ➢ distorsioni genetiche: dare peso eccessivo ad alcune famiglie rispetto ad altre ➢ distorsioni areali: sottovalutare l’eventuale contiguità geografica ➢ distorsioni tipologiche: dare peso eccessivo ad alcuni tipi rispetto ad altri ➢ distorsioni numeriche: la numerosità dei parlanti un determinato tipo deve essere tenuta in considerazione fino ad un certo punto Tipologia morfologica I 4 tipi morfologici vengono individuati grazie alla combinazione di due parametri: -indice di sintesi: rapporto tra il numero dei morfemi e il numero delle parole, ovvero numero di morfemi individuabili all’interno di una parola. -indice di fusione: rapporto tra il numero di morfemi e il numero di morfemi fusi (cumulativi), ovvero segmentabilità della parola stessa Tipi morfologici Lingue isolanti 1 parola è 1 morfema = indice di sintesi minimo, indice di fusione assente in quanto non vi è giuntura tra morfemi (tutti i morfemi sono parole separate) Es. Cinese Zuótiān yè lĭ wŏ méng jiàn wŏ mŭqīn. Ieri notte in io sogno percepire io madre = “Stanotte ho sognato mia madre” Lingue agglutinanti 1 morfo è 1 morfema (indice di sintesi medio-alto, indice di fusione minimo) Es. turco adam “uomo” Lingue polisintetiche 1 parola è 1 frase (indice di sintesi massimo, indice di fusione medio) Es. eschimese siberiano Angya-ghlla-ng-yug-tuq barca-accrescitivo-comprare-desiderativo-3° persona singolare “egli vuole comprare una grande barca” Sottotipo incorporante: tendenza a giustapporre in una sola parola numerosi morfemi lessicali Lingue flessive o fusive 1 morfo ≥ 2 morfemi (indice di sintesi medio-basso, indice di fusione alto); lingue indoeuropee Es. it. bell-e (FEMM., PL.) lat. ros-arum (GEN. PL. 1°DECL. (FEMM.) Sottotipo introflessivo: collocazione ‘a pettine’ dei morfemi Es. lingue semitiche (arabo, ecc.) LINGUE FLESSIVE LINGUE AGGLUTINANTI ordine morfologico ‘a incastro’ ordine morfologico lineare segno modificabile segno non modificabile segno opaco segno trasparente morfi cumulativi morfi monofunzionali Incoerenza tipologica La lingua inglese, in partenza lingua flessiva, mostra oggi tratti caratteristici dei tipi: -isolante: • assenza di marche di genere e numero: es. a little dog • derivazione zero: la stessa parola può essere impiegata come aggettivo, nome, avverbio, verbo: es. a round table;, rounds of paper, the earth goes round, to round a figure -agglutinante: ➢ formazione del plurale e del comparativo: es. boy-s, tall-er -introflessivo: ➢ forme con alternanza vocalica: es. sing sang sung; foot feet Tipologia sintattica Tipologia dell’ordine dei costituenti Approccio più importante nella moderna tipologia linguistica a partire dagli anni ’60 (Greenberg) Parametro fondamentale: ordine basico (normale, non marcato) dei costituenti principali della frase dichiarativa indipendente. Costituenti sintattici fondamentali: Soggetto - Verbo - Oggetto diretto Dire ‘tipologia dell’ordine delle parole’ → definizione imprecisa. Non sempre i costituenti sono formati da singole parole: Giovanni ha colpito Maria S V O L’elefante solitario con una sola zanna ha attaccato il cacciatore che si era accorto di avere il fucile scarico S V O Sei ordini diversi di S, V e O teoricamente possibili ➢ SOV → (35% - 52%) (turco, giapponese, ungherese, hindi) ➢ SVO → (35% - 45%) (lingue romanze, lingue germaniche, lingue slave, ebraico moderno, vietnamita) ➢ VSO → (11% - 15%)(arabo, ebraico classico, gallese) ➢ VOS → (5% - 10%) (malgascio, lingue dell’America Centrale) ➢ OVS → (1% - 5%) (hixkaryana, lingue caraibica parlata in Brasile) ➢ OSV → (1% ?) (dyirbal, yamamadi, apurina) I tipi SOV, SVO e VSO coprono circa il 97% delle lingue del mondo Qual è l’elemento che accomuna i tipi SOV, SVO e VSO? L’anteposizione del soggetto rispetto all’oggetto Quasi tutte le lingue del mondo antepongono il soggetto all’oggetto nella frase dichiarativa. Quali sono le cause di questa uniformità? ✓ Il soggetto solitamente coincide con il tema e il tema, nell’ordine naturale dei costituenti informativi, sta in prima posizione. ✓ Preminenza e priorità logica del soggetto Problema dell’assegnazione di un ordine basico dei costituenti alle lingue o Lingue con un ordine basico non definito o Lingue con ordine “libero” o Lingue con “scissione” Fenomeno della “scissione”: Ordini basici diversi a seconda delle costruzioni Inglese: I saw Peter ordine SVO Who(m) did you see? ordine OSV Tedesco: Der Mann sah den Jungen ordine SVO “l’uomo vide il ragazzo” Ich weiβ, dass der Mann den Jungen sah ordine SOV “so che l’uomo vide il ragazzo” Ordine basico dei costituenti → naturale, non-marcato, contesto comunicativo pragmaticamente neutro = Il bimbo mangia una mela ordine SVO Altri parametri analizzati dalla tipologia sintattica: • ordine abituale dei costituenti in frase dichiarativa • frase relativa • aggettivo qualificativo in funzione attributiva Il bel cane // il cane è bello funzioe predicativa in quanto l’aggettivo assieme al verbo essere (copula) il predicato nominale • costruzione possessiva • adposizioni. mentre le marche di caso sono affissi flessivi che indicano il ruolo di determinate parole all’interno della frase; le adposizioni (preposizioni, postposizioni, circumposizioni) svolgono funzioni analoghe ma sono morfemi liberi • costruzione comparativa • Ordine relativo di aggettivo e nome es. AN → (inglese) the green table (NA) → (italiano) il tappeto verde  Ricerca sugli universali → ricerca delle proprietà comuni a tutte le lingue umane  Tipologia linguistica → studio delle differenze tra le lingue finalizzato alla loro classificazione in tipi In realtà non esiste conflitto: Si tratta di due aspetti diversi di un unico impegno di ricerca Scopo dello studio sugli universali: stabilire dei limiti alla variazione nel linguaggio umano. Gli universali individuano ciò che è tipologicamente irrilevante e, con ciò, delimitano e circoscrivono il campo di indagine della tipologia stessa. Le ricerche tipologiche forniscono dei dati fondamentali per la formulazione degli universali linguistici. Es Se una lingua ha ordine basico delle parole VSO, allora essa è anche preposizionale. Due parametri coinvolti: - presenza o assenza di ordine VSO - presenza o assenza di preposizioni Dalla combinazione dei due parametri emergono quattro possibilità combinatorie: 1) ordine VSO e preposizioni 2) ordine VSO e senza preposizioni 3) ordine non VSO e preposizioni 4) ordine non VSO e senza preposizioni Joseph Greenberg Conferenza sugli universali del linguaggio Dobbs Ferry, New York, aprile 1961 “Some Universals of Grammar with Particular Reference to the Order of Meaningful Elements” Alcuni universali della grammatica con particolare riferimento all’ordine degli elementi significativi. - 45 universali, quasi tutti implicazionali - Utilizzo di un campione di 30 lingue La natura provvisoria delle conclusioni qui esposte dovrebbe essere evidente al lettore. Senza una campionatura più completa delle lingue del mondo, non si può pienamente assicurare l’assenza di eccezioni alla maggior parte degli universali qui rivendicati. Universale 1: “nelle frasi dichiarative con soggetto e oggetto nominali, l’ordine dominante è quasi sempre quello in cui il soggetto precede l’oggetto”. Universale 2: “nelle lingue con preposizioni, il genitivo segue quasi sempre il nome reggente, mentre nelle lingue con posposizioni esso lo precede quasi sempre”. Universale 3: “Le lingue con ordine dominante VSO sono sempre preposizionali”. Universale 17: “Con frequenza di gran lunga più che casuale, le lingue con l’ordine dominante VSO hanno l’aggettivo dopo il nome”. Universale 5: “Se una lingua ha l’ordine dominante SOV e il genitivo segue il nome reggente, allora allo stesso modo l’aggettivo segue il nome”. Gerarchia implicazionale: catena di universali implicazionali 'Se A, allora B; se B, allora C; se C, allora D; se D, allora...' (D > C > B> A) Gerarchie implicazionali per alcune categorie grammaticali: dato un fenomeno qualsiasi in queste gerarchie, se il fenomeno si manifesta in una lingua, allora si manifestano tutti i fenomeni a sinistra sulla gerarchia, ma non necessariamente quelli a destra: Numero : singolare > plurale > duale Genere: maschile > femminile > neutro Tipi di universali linguistici Gerarchie implicazionali: catene di universali implicazionali; nella prassi tipologica corrente, queste sono rappresentate come D > C > B > A (Croft 1990, 2003) Es. gerarchia di numero (Corbett 2000) singolare > plurale > duale > triale/paucale Se una lingua distingue a livello grammaticale uno dei valori di numero sulla gerarchia, allora distingue a livello grammaticale tutti i valori a sinistra, ma non necessariamente quelli a destra. Le lingue che hanno un duale hanno di solito anche un plurale e un singolare; ci sono lingue che fanno distinzione tra singolare e plurale, ma non hanno categorie specifiche di duale o paucale/triale. Universale 38: “In presenza di un sistema di casi, l’unico caso che ha sempre e soltanto allomorfi zero è quello che include tra le sue funzioni quella di soggetto del verbo intransitivo ” . “Allomorfi zero” = caso privo di una desinenza specifica (ad esempio i nomi della terza declinazione in latino, in cui ogni caso ha la sua desinenza tranne il nominativo, che coincide con il “tema nudo”) Sistema nominativo-accusativo: Caso nominativo → ST / SI Caso accusativo → O In latino il caso nominativo può essere espresso mediante un morfema zero: puer currit / puer puellam amat / puella puerum amat Sistema assolutivo-ergativo: Caso ergativo → ST Caso assolutivo → SI / O In basco il caso assolutivo può essere espresso mediante un morfema zero: gizona ethorri da “l’uomo è arrivato” gizon - a ‘ uomo ’ art. MORFEMA 0 emakumeak gizona ikusten du ‘la donna vede l’uomo ’ gizonak haurra igorri da ‘l’uomo ha mandato il bambino’ Possibile spiegazione dell’universale 38 Costruzioni intransitive → SI V intransitivo (puer currit) Costruzioni transitive → ST O V transitivo (puer puellam amat) 1. Le uniche due funzioni che possono realizzarsi simultaneamente sono ST e O; quindi, è importante che questi due costituenti siano sempre identificabili con chiarezza; 2. Dato che nelle costruzioni intransitive c’è un solo argomento, non occorre marcare questo sintagma nominale per distinguerlo da altri sintagmi nominali; • Convergenza tra ST e O e caso specifico per SI: sistema inefficiente • Tre casi distinti per ST, SI e O: sistema ridondante Fattore più influente nella spiegazione di questo universale: Economia Due principali filoni di ricerca sugli universali linguistici: approccio formalista-generativo e approccio tipologico-funzionalista Approccio formalista-generativo: Chomsky, grammatica generativa. ➢ Analisi particolareggiata di una sola lingua. ➢ L’organizzazione grammaticale della lingua è governata da una serie di regole astratte interne al sistema linguistico stesso. Tali regole fanno parte del patrimonio genetico della specie umana, ovvero sono innate. ➢ Indagini di tipo deduttivo: si parte dalla formulazione di principi astratti che vengono poi verificati e rifiniti sulla base di un numero in genere ristretto di lingue e strutture. Approccio tipologico-funzionalista: Greenberg, Comrie. ➢ Analisi di una vasta gamma di lingue ➢ Utilizzo di principi esplicativi di natura esterna al sistema linguistico stesso, ovvero funzionale ➢ Stretta correlazione, definibile in termini di motivazione, tra le strutture linguistiche e le funzioni che esse svolgono ➢ Analisi di tipo induttivo: le restrizioni sui tipi linguistici possibili, accertate mediante la comparazione interlinguistica, rappresentano la base per una serie di generalizzazioni di portata via via più ampia. Spiegazione degli universali Approccio tipologico-funzionalista: ➢ approccio alla tipologia linguistica basato sulle idee di Greenberg. ➢ diretta correlazione tra le strutture linguistiche e la funzione che esse svolgono; ➢ le caratteristiche formali delle strutture linguistiche sono motivate da una serie di principi esterni al sistema linguistico, che hanno a che fare con la struttura pragmatica del discorso e con la concettualizzazione dell’esperienza. Tre motivazioni principali: • Iconicità: tendenza ad organizzare la struttura linguistica in conformità con la struttura dell’esperienza, cioè con la struttura del mondo esterno. Tendenza a riprodurre, sul piano della struttura linguistica, le sequenze in base a cui viene organizzata, a livello mentale, l’informazione da trasmettere. • Economia: tendenza a semplificare la struttura linguistica quanto più possibile, al fine di ridurre al minimo lo sforzo del parlante. • Motivazione comunicativa: principio più generale secondo il quale una lingua deve essere in grado di esprimere qualsiasi concetto Seminario: Lingue di contatto come osservatorio ideale di universali linguistici. Un approccio tipologico. Universali linguistici: caratteristiche che accomunano più lingue. Lingue di contatto: lingue nate in epoca moderna prevalentemente in epoca coloniale di cui i testi scritti sono pochissimi. (triangolo dell’atlantico, tratta schiavile) Sistema -> prestito linguistico (talvolta di necessità, altre volte no ad esempio show/spettacolo) -> interferenza (di un sistema linguistico rispetto a un altro) a livello del discorso -> alternanza di codice code switching -> code mixing Esiti estremi della fenomenologia del contatto-> Lingue di contatto: • Lingue pidgin: lingue ‘semplificate’ nate dal contatto di due o più lingue, la lingua lessificatrice/superstrato è la lingua che si impone (quella dei colonizzatori). Le lingue pidgin non sono varietà della lingua lessificatrice, sono lingue a parte. Le lingue pidgin sono classificate genealogicamente in base alla lingua lessificatrice. Il termine pidgin designa una lingua semplificata sorta dal contatto fra due o più lingue. Il pidgin non è lingua materna per alcun parlante e sorge per consentire la comunicazione essenziale tra gruppi di parlanti non mutualmente intellegibili, di madrelingua diversa, con occasioni di comunicazione ridotte e limitate a questioni pratiche, “di sopravvivenza”. Ogni pidgin è caratterizzato da un apparato strutturale estremamente semplificato poiché trattasi di un sistema funzionalmente circoscritto: «un uso ed una diffusione limitati a pochissimi ambiti funzionali, cio è alle situazioni in cui i due gruppi umani devono effettivamente interagire» • Lingue creole: quando un pidgin diventa una L1 dei parlanti pidgin si parla di creolo 1. Condizioni di formazione ideali per la nascita di una lingua pidgin scambi comunicativi tra gruppi di parlanti di lingue materne differenti, con dimensioni e ruoli sociali analoghi o diversi. Ciò conduce alla nascita di un jargon (o pre-pidgin); 2. Il mancato accesso ad una lingua bersaglio: l’impossibilità di un gruppo nell’accedere alla lingua dell’altro gruppo con il quale è in contatto, in quanto sono esclusi i percorsi di apprendimento di L2 favoriti dal gruppo che parla questa lingua come materna; es. West African Pidgin English 3. Contatto e preponderanza nell’uso di una lingua seconda: scelta da parte di uno o più gruppi di una varietà di lingua socialmente e culturalmente non marcata, eventualmente dotata di prestigio in certi domini di uso, e diffusione di questa varietà come L2, anche a scapito della L1, che può subire processi di erosione. Es. Koiné attica Lingue che partecipano alla dinamica di pidginizzazione: • elementi di lingue di sostrato di scarso prestigio, come elementi fonologici o grammaticali, e sono le lingue “spoken by the vast majority of the population” con un accesso limitato alla lingua di superstrato (Thomason & Kaufmann 1991). regole estremamente elementari che evitano ogni tipo di derivazione complessa e trasformazionale. Lingue di contatto come osservatorio ideale di universali linguistici (Bickerton 1981) Come già visto, l’approccio tipologico mira all’analisi di quelle caratteristiche universali riscontrabili in qualunque lingua di contatto che non siano da imputarsi a fenomeni di interferenza, bensì frutto di processi spontanei ed innati che inducono alla convergenza verso un tipo linguistico comune. Iniziatore degli studi di impronta universalista e tipologica delle lingue di contatto, Bickerton (1981), nel suo celebre lavoro Roots of language, considerò le lingue di contatto come l’osservatorio perfetto al fine dell’identificazione di universali linguistici. Le lingue di contatto sono costituite, infatti, da numerosi caratteri strutturali in comune. Dal momento che simili vicinanze formali non possono essere attribuite alle lingue lessificatrici, appartenenti spesso a gruppi diversi di una data famiglia linguistica o anche a famiglie distinte, alcuni studiosi hanno motivato tali similitudini attraverso gli universali linguistici. Universali costitutivi «Creole languages present the unmarked option in each domain of Universal Grammar.» (Bickerton 1984) Il tipo linguistico creolo sarebbe, infatti, caratterizzato da tratti non marcati a livello morfologico e sintattico: Morfosintassi isolante/agglutinante Serializzazione verbale Uso di marche preverbale di TMA, tempo, modo e aspetto verbale. Assenza di copula Assenza di opposizione singolare/plurale a mezzo di affissi Assenza di genere grammaticale Polisemia dei morfemi lessicali =>Impiego del contesto per la disambiguazione del significato Tipo isolante Es. Uso di marche preverbali piuttosto che morfemi flessionali o affissi – Creolo jamaicano Verbi seriali, così chiamati perché attraverso sequenze di due o più forme verbali esprimono complementi di vario genere, ma anche frasi relative o comparazione. No subordinazione o costruzioni complesse. Marche TMA Inoltre: ➢ Zero copula ➢ Opposizione singolare/plurale senza affissi ➢ Assenza di espressione di genere grammaticale Palenquero Moná = bambino/bambina Seminario: La problematica delle lingue miste mixed language langue mixte Mischsprache -lingue miste precisare la natura e le diversità delle LM dagli altri prodotti del contatto a livello di sistema. Diversità tra lingue miste, pidgin e creoli. Anche le LM nascono dal contatto tra due lingue madri diverse che contribuiscono in maniera equilibrata alla nascita della LM; ma, a differenza dei pidgin e dei creoli, le LM rappresentano dei sistemi completamente nuovi la cui struttura non coincide con nessuna delle due lingue da cui derivano. In termini strutturali si tratta di un sistema linguistico diverso e non di fasi di semplificazione, apprendimento imperfetto o di grammaticalizzazione costruite a partire dai due sistemi originari. Questa caratteristica strutturale (al pari di altri caratteri di tipo sociolinguistico) rendono le LM diverse dagli altri prodotti del contatto a livello di sistema, come pidgin e creoli. Per questo la definizione che si legge nel Dizionario di Linguistica di Beccaria è insoddisfacente se non erronea: < Se pure alcuni autori pongono sotto l’etichetta di LM tutte le varietà mescidate, nate dal contatto e dal bisogno di intercomprensione, come pidgin, sabir e creoli, altri considerano come tratto caratterizzante il fatto di presentare solo una delle due caratteristiche, cioè o l’ibridismo (cf. ad es. lo yiddish), o la pressione comunicativa, che darebbe origine a tipiche lingue di relazione, che possono essere popolari (vari tipi di koiné, lo swahili, ecc.), o dotte (il latino medievale, l’arabo classico), o artificiali (l’esperanto)>. Nella definizione di Beccaria ricorrono solo i fattori sociolinguistici, ma non viene considerato affatto l’aspetto strutturale delle LM. Un elemento ricorrente nella definizione della LM è invece rappresentato dalla compresenza, quantitativamente rilevante, di materiale linguistico proveniente da lingue diverse (in senso genetico) da almeno una delle due lingue madri. Nello stesso senso la definizione di Matras-Bakker < ...varieties that emerged in situations of community bilingualism, and whose structures show an etymological split, that is not marginal, but dominant, so that it is difficult to define the variety’s linguistic parentage as involving just one ancestor language>. Contact languages vs mixed languages Entro la categoria contact languages le LM differiscono da pidgin e creoli perché chi crea questi ultimi tipi non è caratterizzato da bilinguismo nelle due lingue di partenza, mentre la creazione di una LM implica come punto di partenza la situazione di bilinguismo. Da questo deriva: a) dal punto di vista statistico la nascita di una LM è molto più rara della formazione di pidgin o di creoli; b) data la condizione iniziale di bilinguismo, i creatori di una LM debbono avere una forte motivazione sociolinguistica, b1) che li spinge a distinguersi dai due gruppi che hanno come L1 le due lingue madri, b2) che li motiva a configurarsi come ‘gruppo’ sociale autonomo (per lo più si tratta di motivazioni identitarie). Le condizioni sociolinguistiche (esterne) per la nascita di una LM sono: - esigenza di comunicare in una situazione di contatto, caratterizzata da bilinguismo individuale e configurazione diglottica a livello comunitario con lingue compresenti molto diverse in termini strutturali; - volontà del gruppo che crea e usa una LM di mantenersi distinto dalle comunità che hanno le due lingue madri come L1. Caratteri strutturali carattere misto in che cosa consiste? Se è relativamente agevole individuare la presenza di elementi non ereditari nel lessico di una lingua, assai più complesso risulta applicare questo stesso criterio alla grammatica e, in generale, agli altri piani dell’articolazione linguistica. Per quanto riguarda il sistema lessicale dell’italiano, la problematica degli anglicismi è da tempo nota e studiata. In sé il fenomeno dell’ingresso di nuove parole, soprattutto nell’ambito di linguaggi settoriali o specialistici non deve essere un motivo di preoccupazione per la sopravvivenza di un determinato sistema linguistico, poiché esso rappresenta una dinamica che è sempre esistita e, inoltre, perché questo costituisce un canale importante dello stesso arricchimento lessicale di una lingua: si potrebbe dunque affermare che si tratta di un segnale di vitalità del sistema e non di una sua crisi. Tuttavia, è necessario tenere presenti alcuni elementi importanti che sono in grado di determinare la correttezza, l’utilità e l’accettabilità dei prestiti. -Correttezza rispetto al sistema linguistico di partenza: ‘falsi anglicismi’ Anglicismi in italiano: acclimatamento Per acclimatamento si intende il progressivo processo di diffusione di un prestito dalla sfera della parole (individuale) a quella della langue(collettivo) e anche il fatto che, con la sua diffusione sia nel sistema che nell’uso, questo elemento perde l’aria di elemento estraneo e viene percepito dai parlanti come un qualsiasi lessema indigeno. Così, all’inizio si tendeva a rendere la pronuncia di prestiti come film, stop, gap secondo le regole della lingua italiana, aggiungendo un vocoide finale (per lo più [e] o [ə]) e producendo [filme], [stoppe], [gappe] o simili. Con il passare del tempo e con la maggiore competenza delle lingue straniere -e soprattutto dell’inglese- anche da parte di madrelingua italiani, si tendono ad effettuare pronunce più fedeli all’originale, e con questo si modifica il repertorio dei suoni accettabili in fine di parola secondo la fonotassi del sistema d’arrivo. Quando un prestito è acclimatato nel repertorio lessicale della lingua d’arrivo e viene perciò percepito dal parlante alla stregua di un qualsiasi altro elemento del lessico della propria lingua materna, il processo di ‘naturalizzazione’ del materiale allogeno dentro al sistema linguistico della lingua ricevente trova il proprio compimento attraverso una produttività linguistica che si attua secondo la morfologia della lingua ricevente. Così, ad esempio, film (ovviamente [film] e non [fɪlm] e addirittura con possibilità di pronunce regionali di tipo [firme]) dà luogo da tempo: a) ad alterati come filmino, filmone, filmetto, filmuccio, filmaccio; b) a derivati diretti come filmare, filmabile, filmico; c) a derivati con inserimento di una vocale tematica, come filmologia, filmografia; d) a fenomeni di composizione e di giustapposizione, come filmoteca, filmopera, film-dossier, film-tivù. In sé e per sé l’ingresso di prestiti e i successivi fenomeni di adattamento alla lingua ricevente non è un motivo di crisi del sistema d’arrivo, semmai un segno della sua vitalità. Naturalmente, posto che ogni prestito si configura come fatto individuale e di parole, prima di incidere in maniera permanente nel sistema ricevente, si tratta di valutare: a) la velocità e l’intensità con cui forestierismi, all’inizio casuals e nonce borrowings, entrano nel lessico e vi si acclimatano, diventando produttivi; b) la diffusione di tali prestiti a livello d’uso sia rispetto ai singoli parlanti che alle varietà di lingua (linguaggi settoriali, gerghi, linguaggi giovanili); c) grado di concorrenza e di sostituzione di materiale endogeno della lingua ricevente con diversi gradi necessità (prestiti di lusso, di moda, tecnicismi, neologismi). Lessico. Elementi non ereditari nel lessico di una lingua, dati: lessico dell’italiano + secondo De Mauro (2000) circa il 17% del lessico italiano proviene da lingue diverse dal latino; inoltre il 3,1% è l’apporto lessicale di dialetti diversi dal toscano (in totale circa il 20% del lessico it. è allogeno). Secondo Marazzini (1994) circa il 21% del lessico generale it. è di origine straniera, mentre il 10,9% del lessico tecnico-scientifico è di origine greca (totale: oltre il 30%). Lessico dell’inglese - fra il 30 e il 55% del lessico è di origine non germanica (l’inglese è stato talora definito come creolo o lingua mista) Secondo Bakker-Mous 1994 la soglia di lessico straniero per considerare una lingua come mista va da un minimo del 45 % ad un massimo del 90%. Stolz 2003 trova che nel maltese [arabo, italiano/siciliano] e nel chamorro [lingua locale maleo-polineasiana, spagnolo] la percentuale di termini stranieri è tra il 54 e il 57%, senza che, tuttavia, queste due lingue possano essere definite come LM in senso stretto. Infatti nel vocabolario di base si ha: - maltese 27% di parole italo-romanze; - chamorro 39% di parole spagnole. Secondo Stolz la quantità di lessico straniero nella definizione di una LM rappresenta un continuum, senza soglie fisse che rappresentino un discrimine generalmente valido. Per quanto riguarda gli altri livelli dell’analisi linguistica + la fonetica/fonologia può essere esclusa dai criteri di definizione di una LM: per quanto forte sia l’influsso straniero nell’accento, una lingua coerente sugli altri piani non può essere definita LM. + la sintassi di qualsiasi lingua è in genere regolata da principi tipologici unitari (ordine degli elementi basici) che sono poco sensibili alla variabilità e agli effetti del contatto. Escludendo il piano fonetico/fonologico e quello sintattico, rimangono allora cruciali nella definizione di una LM il lessico e la morfologia. Tenendo conto del fatto che il lessico rappresenta il piano più superficiale del sistema linguistico e quello di connessione con la cultura, la morfologia resta l’elemento centrale nella definizione e nell’analisi della LM. Tipi di LM secondo Matras-Bakker Le LM prototipiche, secondo le definizioni viste sono quelle che vedono la compresenza dei seguenti criteri: 1. sono vere e proprie lingue native (non solo stili, registri o varietà di lingua), 2. emergono da situazioni di pieno bilinguismo (individuale e comunitario), 3. in termini genetici non possono essere riportate ad un solo progenitore e non rispondono ai principi generali della classificazione genetica attraverso trasmissione intergenerazionale non disturbata. Il problema è che le varietà che rispondono a tutti e tre questi criteri in maniera stretta sono assai poche. Poste queste premesse, negli studi più recenti in materia, il termine e il principio che più spesso viene considerato come prototipico nella definizione delle LM è quello del “language intertwining” (‘intreccio’), la cui manifestazione più tipica è la scissione (‘split’) fra lessico e morfologia. <Language intertwining typifies a mixed language which has a grammatical structure derived from one language and a lexicon derived from another> /Grant 2001, 86). Esempi tipici di questa definizione, sia pure con tipi diversi di scissione lessico/grammatica, sono il Michif, il Mednyj Aleutino, la Media Lengua e il Ma’á. Sociolinguistica storica sistema morfologico frutto di convergenza da prestito massiccio e non da regresso di una delle lingue interessate. Inoltre, la direzione dell’interferenza è doppia, per cui Kupwar rappresenta in miniatura una situazione tipica dell’intera LLI. La situazione appare diversa per i tratti più antichi della LL che sembrano risalire geneticamente al Proto Dravidico, non all’Indiano: l’influenza nel periodo più antico sarebbe avvenuta perciò dal Dravidico all’Indiano e non viceversa. Più recentemente invece con l’arrivo delle lingue indiane (i.e.) nei territori già occupati dai parlanti dravidico, questi ultimi sarebbero passati alla lingua dei nuovi venuti con fenomeni di apprendimento imperfetto. Aspetti teorici implicati nelle leghe linguistiche Il dibattito sviluppatosi negli anni ’90 e nel primo decennio del 2000 ha messo in evidenza la necessità di un aggiornamento metodologico del costrutto ‘lega linguistica’. La direzione seguita dagli studi fino alle acquisizioni più recenti è ben riassunta nella formula “from linguistic areas to areal linguistics” posta da Muysken come titolo di un volume collettaneo che fa il punto della situazione (2008). La direzione tracciata è quella di togliere al costrutto ‘lega’ i suoi caratteri più rigidi e assoluti (fuori dal parlante) e di indagare sugli scenari, i meccanismi e le forme di convergenza, portando così di nuovo in primo piano il livello del discorso e il punto di vista del parlante come prioritari rispetto a quello del sistema linguistico. Quest’impostazione comporta un riesame di diversi aspetti teorici della lega linguistica: - numero di lingue implicate - grado di parentela - tratti linguistici rilevanti - fattore areale/geografico - dinamiche della convergenza. Numero di lingue implicate La posizione più spesso sostenuta è quella che sarebbero necessarie almeno tre lingue (o più) per poter parlare di area linguistica: “the reasons for requiring three or more languages is that calling two language contact situations linguistic areas would trivialize the notion of a linguistic area, which would then include all of the world’s contact situations” (Thomason 2001, 99). Tuttavia, non c’è nessuna ragione linguistica intrinseca o empirica che differenzi la situazione di interferenza fra due da quella fra più lingue: se la trafila seguita è caratterizzato da: contatto > interferenza > prestito più o meno intenso allora il numero delle lingue implicate è irrilevante, poiché i tipi di cambiamento e i meccanismi dell’interferenza saranno sempre gli stessi, indipendentemente dal numero di lingue interessate al contatto. Cade così la limitazione a tre come requisito indispensabile per il costrutto ‘lega’, il che permette di considerare anche la lega greco-latina. Grado di parentela Diversi studiosi ritengono requisito indispensabile la presenza di lingue di almeno due diverse famiglie linguistiche: questo però appare una condizione aggiuntiva privilegiata piuttosto che un requisito indispensabile, dal momento che LL di generale accettazione come quella Balcanica comprendono tutte lingue i.e. (tranne il turco che però è un’aggiunta cronologicamente posteriore). Altri studiosi (Campbell 2006) ritengono che per costituire una LL le lingue interessate possano anche essere della stessa famiglia linguistica, purché non strettamente imparentate (modello dell’albero genealogico). In ogni caso, più distanti in termini genetici e tipologico/strutturali sono le lingue interessate, tanto più è significativa del fenomeno di convergenza è la presenza di tratti identici mutuati dall’una lingua all’altra. Tratti linguistici rilevanti (quanti) Ci si è posti la domanda di quanti tratti linguistici diffusi siano necessari per la costituzione di una LL: alcuni studiosi ritengono che anche la condivisione di un solo tratto sia significativa di una LL, mentre altri (la maggioranza) optano per la pluralità di tratti. La posizione assunta a suo tempo dalla Campbell (1985, 29) sembra la più ragionevole, anche in relazione alle due questioni precedenti: “In principle there is no meaningful way of distinguishing LAs [linguistic areas] defined on the basis of several features from those based on but a single shared trait. Nevertheless, the question can be posed, not in the form, does or does not some entity qualify as a LA?, but rather as, how strong or weak is a particular LA?”. Cfr. anche Stolz (2002, 262): “Specialists with a background in quantitative linguistics have demonstrated convincingly that, no matter how hard you try, there is simply no way to identify a universally valid statistical minimum of similarities necessary for the constitution of a linguistic area except through the absolutely arbitrary decisions of the linguists themselves”. Tratti linguistici rilevanti (quali) Al di là del numero dei tratti linguistici necessari alla costituzione di una LL/AL, un altro elemento importante da considerare è il valore dei singoli tratti. Di solito si ammette un rapporto inverso tra facilità di un tratto ad essere oggetto di prestito e suo valore nella costituzione della LL/AL: più un tratto è facilmente oggetto di prestito, tanto meno è significativo dal punto di vista dell’arealità linguistica e, viceversa, più un tratto è resistente al prestito, tanto maggiore è il suo valore per la costituzione della LL. Cfr. “embedded paradox” (Muysken, 2008, 6): “... the more embedded a linguistic feature, the more significant is its spread. At the same time, the more embedded a linguistic feature, the less likely it is borrowed”. Diverse sono le scale di ‘borrowability’ messe a punto dai linguisti; si può tuttavia fare riferimento a quella messa a punto da Muysken 2008: #parole < suoni < strutture grammaticali < ordine delle parole < distinzioni semantiche#. Confini linguistici Molti studiosi sostengono che le isoglosse relative ai diversi tratti che costituiscono la LL possono avere andamenti diversi l’una dall’altra, mentre altri ritengono che per essere significative le isoglosse rilevanti debbano costituire dei ‘fasci d’i.’ [bundle, bundling]. D’altra parte, se si parte dal presupposto che ogni singolo tratto diffuso arealmente rappresenta un caso a sé e che ogni fenomeno coinvolge un numero di lingue diverso (raramente tutte le lingue di una LL sono interessate da tutti i fenomeni che caratterizzano la lega stessa), questo stesso presupposto implica il carattere non legato e libero delle diverse isoglosse. Questo si accorda con l’assunto della geografia linguistica che soprattutto nelle zone di confine tra le aree linguistiche i confini hanno andamenti irregolari e non lineari (ventaglio renano, linea La Spezia-Rimini, zone di transizione). Centro vs periferia “In the majority of cases, the boundaries are fuzzy; often there is a central group of languages that share a large proportion of the characteristic features and scattered peripheral languages or groups that share a considerably smaller number of the features. Frequently, too, there are shared features that are found only in a small subset of the area’s languages”. Sulla stessa linea si oppongono “Kernsprachen” “core, nuclear languages” rispetto a “Randsprachen”, “peripheral languages”. “This variation [fuzzy boundaries, non-bundling] is hardly surprising, since the way a linguistic area arises is through contact-induced changes that occur over a long period of time and spread widely through the region – but always from language to language in a series of events, not in some single mystical area-wide process that affects many languages at once”. (Thomason 2001, 102). Così la definizione di una LL o AL è di minor rilievo rispetto alla determinazione dei meccanismi storici di diffusione che l’hanno prodotta. Meccanismi implicati nella costituzione di LL/AL Masica (1992:110): “the real locus of language ‘contact’ is the mind of the bilingual individual”; Giannini and Scaglione’s (2002:152): “the process … is … borrowing, and it is the bilingual speaker who is the material agent in this process.” Se tutti i fenomeni di prestito che sono all’origine di una LL risalgono a all’interferenza che si verifica in individui bilingui (secondo quanto già indicato dall’impostazione del contatto data da Weinreich 1953), è evidente che non è possibile escludere dal costrutto della LL le situazioni in cui sono coinvolte solo due lingue (cfr. supra). Inoltre, se tutte le LL/AL note sono il risultato della sedimentazione di casi di prestiti individuali succedutisi nel corso della storia, il costrutto di LL perde ogni elemento di mistero, fino alla posizione estrema di Stolz (2002, 262) e Dahl (2001, 1458) i quali sostengono che la LL/AL sono costrutti della mente del linguista piuttosto che realtà oggettive. Dinamiche della convergenza Quello che è stato riunito sotto le etichette di ‘lega linguistica’ o di ‘area linguistica’ in realtà rappresenta una serie di fatti assai eterogeni tra loro per il contesto sociale, il periodo storico, le culture implicate, la politica, la configurazione geografica, le attitudini linguistiche dei parlanti e delle comunità linguistiche. Thomason (2001:104) “[linguistic areas] arise in any of several ways – through social networks established by such interactions as trade and exogamy, through the shift by indigenous peoples in a region to the language(s) of invaders, through repeated instances of movement by small groups to different places within the area.” “In short, ‘linguistic area’ is not a uniform phenomenon, either socially or linguistically”. Di qui la necessità di concentrare l’attenzione piuttosto sui processi storici che sulla definizione stessa di LL/AL. Dinamiche della convergenza ed evidenza storica -Visione ‘storicistica’ Alcuni studiosi ritengono che solo se si è in grado di ricostruire il percorso storico dei fenomeni che hanno portato alla convergenza dei sistemi linguistici interessati, allora è legittimo parlare di LL/AL. -Visione ‘circostanziale’ Altri studiosi invece ritengono prioritario raccogliere sul piano descrittivo le caratteristiche frutto di diffusione (cioè non ereditarie) nelle lingue di una certa area geografica; il numero e il rilievo dei tratti non ereditari condivisi implica che tali fenomeni debbano essere automaticamente attribuiti a convergenza linguistica, anche senza le prove storiche esplicite che documentano il percorso seguito dai fenomeni raccolti. What about geography? Generalmante si ammette che una LL o un’AL debba corrispondere ad una zona geograficamente delimitata “the reason for specifying a single geographical region [in the definition of ‘linguistic area’] is obvious: no direct contact among speakers, no linguistic area.” Tuttavia le cose non sono così banali, poiché il contatto non implica necessariamente la contiguità geografica [lingue a contatto vs lingue in contatto], come osserva Dahl 2001, 1460: “the whole notion of ‘areal phenomena’ is built on the convenient fiction that each language has a specific location in space, that no more than one language is spoken in each place, and that language contact takes place between adjacent languages. However, language contacts typically occur in densely populated places where speakers of many languages live together and bi- or multilingualism is common. In addition, many languages have a widely scattered distribution.” Se il luogo primario del contatto che alla fine darà luogo ad una LL/AL è il parlante bilingue, è ovvio che le due o più lingue interessate non necessariamente debbono trovarsi a contatto fisico/geografico. Inoltre si deve tener conto del fatto che molti fenomeni linguistici hanno una diffusione non territorialmente continua ma a isole o a macchia di leopardo, cosa che mette in crisi il fattore geografico come criterio indispensabile per l’AL/LL. Un altro fattore di disturbo della continuità geografica è rappresentato dalla migrazione di popolazioni, cosa che sposta la dislocazione geografica di un dato sistema linguistico. La conclusione necessaria è che, anche se pare inverosimile, la vicinanza geografica tra le lingue non è assolutamente un criterio indispensabile per i prestiti che portano alla costituzione di una LL. Contro il determinismo geografico Nella definizione di una LL o AL i due fattori linguistico e geografico non sono sullo stesso piano: il primum necessario è che ci sia interferenza a livello linguistico, l’arealità e la convergenza dei sistemi (LL) che ne derivano sono solo un prodotto secondario del contatto a livello individuale. Le conclusioni di Koptjevskaja-Tamm’s per la LL baltica sono vere in generale: “Convergence that comprises more than two or three languages, it seems, is always the result of the overlapping and superposition of different language contacts”; “intensive micro-contacts superimposed on each other sometimes create an impression of an overall macro-contact among the language, which has not necessarily been there.” LL/AL sono così come un palinsesto o una tela frutto della tessitura, ma in realtà esistono solo una molteplicità di fili che si sovrappongono (prestiti/ interferenza a livello individuale); non esiste perciò una tela tessuta da qualche entità soprannaturale, bensì solo come risultato della somma delle interferenze personali. [dal discorso > al sistema] Principi generali di convergenza da contatto: il caso delle lingue europee moderne convergenza Nell’Europa moderna sono parlate più di cento lingue (senza considerare le varietà dialettali) appartenenti a famiglie linguistiche diverse e che, tuttavia, mostrano una serie notevole di tratti comuni non riportabili a parentela genetica e, talora, neppure a affinità di carattere tipologico. Tali condizioni implicano che tra queste lingue sia avvenuto un processo di convergenza da contatto favorito dalle condizioni storiche che hanno caratterizzato l’Europa a partire dall’Impero Romano d’Occidente e poi dal Sacro Romano Impero costituito da Carlo Magno (migrazioni, spostamenti di popolazioni, cambio dei confini a causa di conflitti). La convergenza tra le lingue europee è indicata anche come “Area linguistica di Carlo Magno” (in termini più tecnici “Standard Average European” SAE, concetto introdotto nel 1939 da B.Whorf) ed è stata oggetto di studio di un progetto internazionale sviluppatosi negli anni ’90 e denominato EUROTYP. Area geografica: Europa centro-occidentale Condizioni: a) presenza di più lingue nel medesimo contesto geografico, b) appartenenza di tali lingue a famiglie diverse o, al limite, a rami diversi di una stessa famiglia linguistica, c) presenza di tratti linguistici da esse condivisi, d) assenza di barriere naturali, e) attestazioni di movimenti di popoli di vaste proporzioni e conseguente creazione di aree bilingui o plurilingui. È plausibile che l’evidenza storica non si trasformi in evidenza linguistica: un’area linguistica deve essere prima di tutto un’area culturale e storica, anche se non è detto che un’area storicoculturale si trasformi automaticamente in un’area linguistica. Il caso delle lingue dell’Area Carlo Magno risponde positivamente a tutte e due le condizioni (linguistiche e storico-culturali). TORRE RE EPEPP DO 4 L Lora amenai n saab IE SNESEAAA Dem U che. pipe 190" | UA Loi a coni abanni Ì i caro ali î Ati iJiiilo ì affi LAvokI Li = tal & gl ‘asrtosce evasi i asi corro i raginata Continuum vs discretum geografico. Wenkel aveva fatto dei questionari per posta, c’è stata una mediazione. Gilliéron fa una inchiesta sistematica con un questionario predefinito molto ampio ma fatto in loco. I materiali furono raccolti e messi su un atlante. Cercò di ricoprire tutta la Francia attraverso un suo aiutante, un commerciante in bicicletta. Edmon elicitò le parole in trascrizione fonetica. Le contestualizza in frasi adatte a una mentalità popolare escludendo i contenti cittadini poiché una bassa cultura corrispondeva a una lingua più genuina. Istituì 639 punti d’inchiesti inserendo quindi oltre ai dialetti francesi anche quelli provenzali e franco provenzali. L’atlante italo svizzero presenza molti elementi etnografici, ad esempio, sui diversi tipi di vanga e corredarono l’atlante con dei verbali con dati extralinguistici per dare informazioni sull’informatore. 25/10 È solo nelle società moderne che le donne utilizzano delle forme più innovative e prestigiose della lingua, mentre in passato la donna utilizzava delle forme arcaiche per cui erano l’informatore ideale. Bartoli: linguistica spaziale. -- individuò delle tendenze areali che si potevano osservare nella distribuzione spaziale delle varianti linguistiche e vanno a stabilire una cronologia relativa-- Si avrà uncaoenè, lingua unica, solo nel periodo ellenistico. Non vi è un metro comune in tutte le ie ma una formularità che fa parte di tutta la poesia ie. la sede originaria degli i.e.-Urheimat la distinzione kentum occidente satem oriente viene smentita dal fatto che il tocario è una lingua kentum pur essendo a oriente. Secondo l’archeologo C. Renfrew la sede i.e. originaria sarebbe da collocare nella zona Anatolia, in cui sarebbe stata introdotta la tecnica dell’agricoltura dove vi era la lingua ittita. ipotesi kurganica- Il termine cultura kurgan indica l'insieme di culture preistoriche e protostoriche dell'Eurasia, che usavano seppellire i morti di alto rango in tumuli funerari. Gli indoeuropei non sono autoctoni ma sono arrivati nelle sedi storiche tramite migrazioni. La famiglia indoeuropea è la più diffusa al mondo. Tra 6000 e il 3000 a.C. gli indoeuropei si divisero e migrarono dalla loro Urheimat tra il Volga e il Dnepr in tre zone tra Europa e Asia: verso sud, est e ovest.
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