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Sintesi Barthes di Roland Barthes, passi scelti, Sintesi del corso di Letteratura Francese

Sintesi di passi scelti di Barthes di Roland Barthes: pp. 31, 43, 52-53, 55-57, 59-60, 66-67, 77-79, 84, 91, 97, 99, 133, 135-137, 139, 144, 169, 180-181, 184, 190-191, 194.

Tipologia: Sintesi del corso

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Anteprima parziale del testo

Scarica Sintesi Barthes di Roland Barthes, passi scelti e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Francese solo su Docsity! ROLAND BARTHES - «BARTES DI ROLAND BARTHES » COMMENTO IN BREVE Il testo, pubblicato nel 1975, è probabilmente l’immagine definitiva che Barthes dona di sé ai suoi lettori. Sfiorata l’intimità fra immagini e mezze confessioni (soprattutto per riferimenti all’omosessualità e all’hashish1), giocando sull’impressione che non parli di sé, ma di un uomo a lui estraneo, Barthes crea un interessante groviglio di pensieri, quasi sempre intrisi della sua passione: la semiologia. Costanti i riferimenti linguistici, spesso chiariti con parallelismi con la realtà, senza contare le auto-citazioni di suoi saggi (fra i quali S/Z e Miti d’oggi) e i taciti omaggi ai personaggi culturali che ritiene a fondamento della sua posizione intellettuale (Saussure, Michelet, Proust, Foucault). Sicuramente di non facile lettura, un’opera con un titolo simile lascia già intendere, prima che ci si avvii alla lettura, che sia costruita sul gioco di straniamento. SINTESI ED EVENTUALI COMMENTI – PARTE PRIMA La prima parte del testo propone le fotografie che folgorano Barthes, quelle che - per rifarsi a La camera chiara - sono evidentemente dotate di un punctum. Si tratta soprattutto di fotografie della sua infanzia, che lo colpiscono non perché si carichino di nostalgia, anzi: lui stesso dice di non riconoscersi, nel senso che è consapevole che quei tratti fisici gli appartengono, ma non si sente lui nelle fotografie. Nel corso dell’intera narrazione, oltre a svariati temi ricorrenti, è evidente l’alternanza fra la prima e la terza persona, riferendosi comunque a se stesso. Sarà lo stesso Barthes a definirne lo scopo. CONTEMPORANEI? (p. 31) Con delicatezza e finta indifferenza, Barthes dà testimonianza visiva della sua famiglia, dei luoghi della sua infanzia e, in realtà, anche della sua vita adulta. Ma è proprio l’infanzia che più lo incuriosisce, perché è nell’immagine di bambino che riesce a scovare tratti più simili al suo io attuale. È questo che esprime nelle pagine 30 e 31, dove compaiono due fotografie, per due volte un Roland Barthes bambino. Ma durante l’infanzia del singolo, il mondo procede: non facciamo altro che inserirci in un ordine già esistente. E mentre lui muoveva i primi passi, Proust, ancora vivente, finiva la Recherche. LA TUBERCOLOSI RETRÒ (p. 43) La fotografia qui presenta la cartella clinica di Barthes nel sanatorio, o meglio si ha qui uno dei chilometrici fogli che la compongono. Certamente l’esperienza del sanatorio e della malattia hanno profondamente segnato la vita di Barthes, come si evince da questa pagine. Una malattia che non si avverte, i cui effetti e/o progressi sono noti solo se colti dal medico, ma che emargina, per timore di contagio. 1 Cfr. paragrafo La dea H, p. 75 SINTESI ED EVENTUALI COMMENTI – PARTE SECONDA Come anticipa nella prefazione, ad un certo livello, la narrazione si fa solo ed esclusivamente di segni grafici, interrompendo la presenza di fotografie. Al contrario dell'immagine, il Testo non è capace di raccontare una vita, di rendere una biografia, che sostiene possibile solo quando viene narrata la vita improduttiva. LA COMODITÀ (p. 52) Definendo se stesso un edonista, si ritiene alla ricerca di un comfort che meglio si esprime con il termine comodità, caricandosi di un valore soprattutto etico: abbandonarsi alla comodità vuol dire rinunciare ad ogni eroismo. IL DEMONE DELL’ANALOGIA (p.52) A turbare Barthes è l’analogia, che comporta che qualunque cosa o persona sia paragonata costantemente ad altro, già esistente in natura. Tentano di sfuggire all’analogia gli artisti attraverso due metodi, che Barthes definisce ironie: o dando una copia esatta del reale o deformandolo. ALLA LAVAGNA (p. 53) Il professore del ginnasio rende onore ai parenti dei suoi studenti caduti in guerra, riportandone i nomi sulla lavagna. Barthes è l’unico ad avervi perso un padre ed è quasi infastidito dalla messa in scena: dopo aver ripulito la lavagna, non resterà più nulla. Grande carica emotiva mista ad ironia, quando diversamente dai suoi coetanei non può avere un padre da odiare. LA NAVE ARGO (p. 55) La mitica nave Argo si fa qui allegoria dello strutturalismo linguistico, di cui Barthes è sostenitore. La nave ha subìto nel tempo infinite sostituzioni di pezzi, senza mutare nome. Dunque, i pezzi sostituiti alla nave corrispondono ai paradigmi (nell’asse paradigmatico tutti gli elementi sono sostituibili), riservando la stessa nominazione. Ne deduce la superiorità del sistema sui suoi singoli elementi. L’ARROGANZA (pp. 55-56) La vittoria è spaventosa, soprattutto quando si proietta nel linguaggio e dà inevitabilmente voce alla superbia e all’arroganza. I discorsi arroganti per eccellenza sono tre, di cui discute in successivi punti: quello della scienza2, quello del militante3 e della Doxa, che qui fa la sua prima comparsa. Particolarmente spaventosa, perché più diffusa, è proprio l’ultima delle arroganze, fonte di pregiudizio o voce dell’opinione comune, motivo per cui Barthes la definisce non ideologia dominante, ma ideologia arrogante. IL GESTO DELL’ARUSPICE (p. 56) Richiama il suo saggio S/Z, in cui si ha l’immagine dell’aruspice che traccia col bastone un cerchio in aria. Un gesto 2 Cfr. paragrafo La scienza drammatizzata. 3 Cfr. paragrafo Politica/morale. il primo è l’atto in sé di scrivere, il secondo è l’atto di scrivere che ho scritto. È il grado secondo ad essere quello favorito, creando una sovversione del linguaggio di primo grado, come la parodia, ma può diventare, col gusto retorico, un linguaggio fine a se stesso, senza prestarsi a comunicazione. Cioè, il grado secondo ha il pregio di filtrare il grado primo, che altrimenti sarebbe troppo nudo, ingenuo nella forma; di contro, ha la possibilità di diventare retorica ampollosa, ma vuota. C’è la possibilità di recuperare il sentimento del grado primo, senza la sua banalità: basta aggiungere infiniti gradi di linguaggio oltre il secondo. Il linguaggio viene così scaglionato e la scienza che si auspica lo renda suo oggetto potrebbe prendere il nome di Bathmologia. DENOTAZIONE COME VERITÀ DEL LINGUAGGIO (p.79) Riflette sull’opposizione denotazione-connotazione e sul ruolo della prima di definire, in relazione ad un’espressione o una frase, una visione oggettiva. Quindi il carattere denotativo è in grado di rivelare la presunta verità di un linguaggio. LA FARFALLONA (p. 84) La noia induce a riempitivi diversi in base alla professione o attività. Barthes, che più volte qui ammette di sentirsi un uomo duplice (metà parigino-scrittore e per metà campagnolo-pensatore) qui considera i suoi diversivi quando lavora in campagna. Una serie di attività banali, senza fini intellettuali, per concludere con «vado in giro a rimorchiare». Chiama in causa, come in altre circostanze, il pensiero di Charles Fourier: giustifica filosoficamente l’atto di rimorchiare con quella che Fourier chiama passione alternante o farlallante, ovvero «il bisogno di varietà, di contrasto, di cambiamento di ambiente e di interessi, di novità capaci di stimolare i sensi e l’anima5.» Secondo Fourier, il mancato soddisfacimento di questa passione conduce inevitabilmente alla noia. ANFIBOLOGIE (pp. 84-85) Torna una delle riflessioni squisitamente linguistiche. Come suggerisce il titolo del frammento, l’oggetto è l’anfibologia, ovvero l’espressione che abbia almeno due interpretazioni. Si tratta di elementi del discorso, a sua detta, da preservare: se è vero che molte parole godono di più significati, soltanto le anfibologie si caricano di una tale ambiguità per cui il senso non è deducibile dal contesto. Moltissimi sono gli esempi citati, fra cui intelligenza, come facoltà intellettiva oppure cooperazione. Curioso è il ritorno del termine crudezza, associato ancora una volta a alimentare e sessuale: già Barthes accenna al suo valore di anfibologia nel paragrafo Doppia crudezza (p. 74). [Qui la crudezza del cibo – in particolare della carne – è messa a paragone con quella del linguaggio. Il linguaggio crudo è quello che dice denotativo. Allo stesso tempo, riconosce che la crudezza, tanto della carne quanto del linguaggio, è lontana nel tempo e non più accettata, se non come fantasia ed evocazione di una cultura che fu. 5 Laura Tundo. L’utopia di Fourier: in cammino verso l’armonia. Edizioni Dedalo, 1991 p. 92 Ecco perché dice che un linguaggio crudo è un linguaggio pornografico: mima, finge di godere.] La passione per le anfibologie richiama certamente l’attrazione di Barthes per il binarismo. NUOVO SOGGETTO, NUOVA SCIENZA (p. 91) Già precedentemente, Barthes ha reso la sua visione di soggetto. Nel paragrafo Anfibologie lo definisce «soggetto dell’azione o oggetto del discorso», motivo per cui di giustifica l’idea che qui riporta di un soggetto che diventa effetto del linguaggio. Immagina che ad occuparsene sia una nuova scienza. Quando il suo principio verrebbe enunciato – quindi verrebbe messo in atto il linguaggio – lo stesso studioso diventerebbe al contempo soggetto ed effetto. SEI TU, CARA ELISA… ( p. 91) Barthes ragiona su cosa potrebbe significare, in vari contesti, l’espressione posta a titolo del paragrafo. Una presentazione indiretta a terze persone, facendo intendere il legame esplicitato con cara; potrebbe essere l’assicurarsi che ad arrivare sia proprio quella persona. Questo ragionamento non è altro che la chiave per altre domande, ancora una volta di natura linguistica. Si domanda, dunque, se il compito della linguistica sia analizzare il linguaggio denotativo oppure connotativo. Ma qui Barthes ribadisce un concetto che s’intende essergli caro: il linguaggio denotativo non solo è oscuro, ma anche contraffatto. LA TENTAZIONE ETNOLOGICA (p. 97) Considerando lo storico Michelet il padre dell’etnologia francese, Barhes riflette sulla natura di un suo stesso saggio, Miti d’oggi, che può effettivamente considerarsi un libro etnologico. La categoria in sé dei testi di etnologia si presenta come di natura enciclopedica, perciò affascinante, in cui l’individuo è considerato nella sua singolarità, oltre che nel suo ruolo di elemento di un sistema culturale. ETIMOLOGIE (p. 97) Ogni parola che Barthes considera, viene scomposta. Ad esempio, riporta «abietto vuol dire da rigettare». Cioè, analizza letteralmente l’origine della parola, senza qui mostrarne i passaggi, ma è chiaro, dagli esempi che propone, che agisca partendo dalla forma attuale di abietto, passando per la sua forma latina, il participio abiectus, e l’analisi stessa del verbo latino, ovvero ab+icio (colpire, battere + lontano = respingere). Suggestiva l’immagine di una parola come palinsesto: ogni termine può essere sovrimpresso da un altro. CELINE E FLORA (p. 99) Esprimere un’emozione attraverso la scrittura è impresa destinata al fallimento. Del resto, è quello che Barthes esprime nella prefazione, quando dice «Il Testo non può raccontare nulla: porta il mio corpo altrove, lontano dalla mia persona immaginaria […]6». La scrittura, paradossalmente, è attività intimistica, mai divulgativa, quando non è di finzione. A dare il titolo al paragrafo sono due personaggi di Alla ricerca del 6R. Bartes, Barthes di Roland Bartes, traduzione di Gianni Celati. Giulio Einaudi Editore, Torino 2007, p. 10 tempo perduto. Dalla parte di Swann. Volume 1 di Marcel Proust. Le zie Céline e Flora sono evidentemente imbarazzate e incapaci di esprimere linguisticamente la propria gratitudine a Swann per il vino d’Asti; pertanto, finiscono entrambe per esprimere una sensazione con il tramite sbagliato, ovvero l’ironia e un tono che sa di rimprovero. Ecco perché colpisce il nesso che Barthes crea fra emozione e quella che chiama afonia della sua espressione. MI PIACE, NON MI PIACE (p. 133) Probabilmente è tra i passi più ironici di Barthes. Dopo una lunga lista, con cui ha accuratamente separato ciò che gli piace da ciò che lo irrita, giunge alla conclusione che a nessuno interessano i gusti del prossimo, . Ciononostante siamo obbligati a rispettarli: se l’uomo volesse distruggere tutto ciò che non gli piace senza pensarci – come quando uccide una mosca – si trasformerebbe in assassino seriale. LEGGIBILE, SCRIVIBILE E OLTRE (p.135). Barthes medita su una considerazione da lui stesso pubblicata nel suo saggio S/Z (1970), dove sostiene la singolarità di ogni testo, che perciò va oltre ogni tipo di strutturalismo. Qui propone una distinzione fra testo leggibile e scrivibile, in relazione al significato o messaggio. Il testo è leggibile quando solitamente è realista, o comunque offre un significato specifico al lettore. Il testo è scrivibile quando il lettore ne scrive lui stesso i significati. Qui Barthes aggiunge una terza categoria di testo: il ricevibile. Non è né letto, né scritto dal lettore, ma ricevuto così com’è, probabilmente senza che vi sia alcun senso o messaggio. LA LETTERATURA COME MATHESIS (pp.135-136). La letteratura viene qui presentata come màthesis, termine greco che indica la conoscenza. La considerazione nasce dalla constatazione del fatto che tutta la letteratura, dalla classica a quella contemporanea, raccolga un’immensa mole di sapere. Ciononostante, non tutto lo scibile si apre all’arte letteraria, soprattutto ciò che è propriamente più quotidiano, materiale o brutale. È il caso degli eventi vissuti dal popolo ebraico nel Novecento, che sembrano impenetrabili dalla letteratura. Va delegittimata, dunque, la letteratura realista, dal momento che la nostra conoscenza del mondo si è così espansa che sarebbe impossibile descriverlo per intero. Quindi la letteratura non è, in realtà, màthesis– conoscenza, né mìmesis-riproduzione del mondo, ma è semiosis: il testo, attraverso cui si esprime la letteratura, si fa segno e simbolo del mondo che solo in parte può rappresentare. IL LIBRO DELL’IO (pp. 136-137). Abbiamo una vera e propria chiave di lettura dell’intero testo. Chiarisce la natura dei suoi pensieri, i quali non vanno a definire il senso reale dell’opera: non è un libro di idee, ma dell’io. Eppure, l’alternanza fra prima e terza persona – sempre riferite a se stesso- ci induce a chiederci quale sia l’io. È qui che Barthes ne dà una prima risposta: LA SCIENZA DRAMMATIZZATA (pp.181-182) Ciò che Barthes condanna della scienza è la sua adiaforia, ovvero la sua indifferenza agli eventi esterni, la sua imperturbabilità. Il suo punto di vista sugli uomini di scienza muta quando scopre che, nel loro privato, sono anche loro mossi da una curiosità non analitica. Ritrova nell’adiaforia la causa del mancato successo della scienza semiologica, che ignora la passione utopica che guida l’analisi certamente scientifica. È per questo che aspira ad una scienza drammatica. SED CONTRA (p. 184) Spesso si perde in riflessioni che partono da stereotipi e luoghi comuni: insomma, contrariamente a quanto ha precedentemente sostenuto, anche Barthes è investito dalla Doxa (sosteneva di sentirne la voce dietro la porta). Ciononostante, s’impegna a respingere conclusioni derivate da false-verità e pensa “sed contra…”, “ma al contrario…”. Considera, cioè, tutto ciò che è l’opposto dello stereotipo: il paradosso. Consiste in un vero e proprio esercizio intellettuale, soprattutto perché lo stereotipo subisce trasformazioni non solo dall’io, ma anche e soprattutto da condizioni storiche e politiche. È necessario, allora, badare perché il linguaggio non entri nella Doxa. «L’IO» (MOI), «IO» (JE) (pp. 190-191) Se la lingua italiana può omettere il soggetto, questa possibilità non è prevista nel francese, dove invece si ha il pronome personale soggetto, je, e il tonico, moi. La riflessione riconduce al discorso di Barthes sulla persona in accezione latina, ovvero di maschera8. Je e moi, in scrittura, possono non coincidere, rendendosi specchio dell’immaginario. Il tu/vous di cortesia e l’egli, invece, rendono una percezione paranoica del soggetto-oggetto del discorso. Se Barthes scrivesse di sé dandosi della seconda persona, si avrebbe l’impressione di una separazione fra l’io scrivente e il vous uomo, oggetto della trattazione. La terza persona, invece, porta di per sé una carica inquietante e ostile, non solo nella scrittura. Nella vita, quando ci si serve di egli o lui invece del nome della persona di cui si parla, si ha la percezione che si tratti di un pettegolezzo. Forte della malizia di cui è capace la terza persona e fortemente fiducioso nell’autocritica9, Barthes se ne serve proprio in questa sede, svelandone la motivazione: non solo viene a crearsi uno straniamento come fra chi scrive e chi vive – che pure costituiscono la stessa persona -, ma addirittura l’io vivente è trattato come fosse «un po’ morto»; dunque, la terza persona «mortifica il suo referente». È per questo che, in guardia da se stesso, conclude assicurando «Io sono meglio di ciò che scrivo»: come a dire, «io sono meglio di lui, che è il me che racconto avvilendolo.» LA SIMBOLICA DI STATO (p. 194) In occasione della morte di Pompidou, amante dell’arte, per l’intera giornata del 6 aprile 1974 le radio omaggiano il presidente trasmettendo quella che Barthes definisce buona musica, ovvero 8 Cfr. il paragrafo Il libro dell’io. 9 Cfr. paragrafo La letteratura come mathesis. musica classica, da lui amata. Viene, però, a crearsi un parallelismo fra Barthes e la sua vicina. Entrambi, oggi, non ascolteranno la radio, seppure per motivi diversi: lei, amante del pop, non ama il significante, ovvero il genere classico; lui, invece, per il significato, rigettando il messaggio politico che s’intende affibbiare alla musica. SISTEMA/SISTEMATICA (p. 194) Se si riconosce che l’unico modo per padroneggiare il reale sia affidarsi ad un sistema (qualcosa composto da più elementi, forme e valori, tutti interconnessi, in modo da risultare una sola entità), come viene avvertito e gestito il reale da chi il sistema, invece, lo rifiuta? Semplicemente si affiderà alla sistematica. (???)
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