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Giovanni Vitolo: "Medioevo: i caratteri originali di un'età di transizione", Sintesi del corso di Storia Medievale

Sintesi completa e dettagliata del manuale universitario di Storia Medievale

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Giovanni Vitolo: "Medioevo: i caratteri originali di un'età di transizione" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! GIOVANNI VITOLO MEDIOEVO: I caratteri originali di un’età di transizione INTRODUZIONE Il Medioevo: dalla polemica alla mitizzazione L’idea del Medioevo nasce con l’Umanesimo (XIV-XV secolo) quanto intellettuali e artisti presero consapevolezza di star vivendo un’epoca di grandi trasformazioni dal punto di vista culturale, morale ed estetico. L’orgoglio di vivere in questa epoca di cambiamento determinò una varietà di atteggiamenti nei confronti dell’epoca precedente che fu da molti definita come media tempestas, media aetas, medium aevum. Gli umanisti francesi e tedeschi non considerarono mai negativamente i secoli del Medioevo proprio perché in quel periodo erano nate le fondamenta delle loro nazioni; i riformisti protestanti tedeschi evidenziarono invece come la Chiesa di Roma in quel periodo si era nettamente allontanata dai principi evangelici. Da questo punto di vista la discussione sul medioevo assunse quindi due caratteri centrali: si iniziò a delineare il carattere prettamente religioso dell’epoca medioevale, ed iniziò la contrapposizione fra cattolici e protestanti, che creò i presupposti per i progressi che la filosofia e la metodologia storica ebbero nel Seicento. Furono creati gli Acta Sanctorum, vere e proprie enciclopedie sul medioevo. La discussione sul Medioevo comunque assunse i caratteri più forti nel corso del Settecento quando gli illuministi criticavano alcuni aspetti delle istituzioni politiche e sociali, considerate come residui della barbarie dell’età medioevale. Lo spirito polemico alimentò una ricca ricerca storica; molti furono gli eruditi che individuarono nel Medioevo caratteri basilari anche del mondo moderno e molti furono gli studiosi che compirono studi interessanti; alcuni furono: 1  Giambattista Vico: il filosofo napoletano nel testo Scienza nuova identificò nel Medioevo un’epoca caratterizzata da una mentalità precisa e da peculiari istituzioni sociali e politiche;  Ludovico Antonio Muratori: lo storico modenese trovò un collegamento tra il pensiero illuministico con la cultura medioevale individuando in Italia una certa continuità nella tradizione culturale;  Francois-Marie Aoruet Voltaire: il pensatore francese propose un’interpretazione laica della storia poiché secondo lui uno storico doveva prima di tutto indicare l’apporto dato dagli uomini nelle varie epoche storiche;  William Robertson: il pastore protestante inglese oltre che cogliere le grandi trasformazioni della società dopo il Mille ebbe un vivissimo senso della continuità storica. Fu durante il Settecento che in Germania si superarono le polemiche sul Medioevo poiché:  per filosofi e letterati fu un’epoca di serenità spirituale;  per i cristiani fu il periodo in cui operò la forza creatrice dell’Europa;  per gli storici del diritto e dell’economia fu l’età durante la quale si organizzò l’economia tedesca. Anche in Italia si diede vita a un interessante dibattito storiografico sul Medioevo, anche se da noi non ebbe vita quel movimento che ci fu in Germania, volto alla grande realizzazione di opere storiche, fra cui la Monumenta Germaniae Historia. Il dibattito si concentrò sul rapporto tra latinità e germanesimo e sul ruolo svolto dal papato in quei secoli:  Machiavelli pensava che l’unificazione d’Italia non era stata resa possibile dalla presenza del papato;  Pietro Giannone e gli storici “neo-ghibellini” nel Settecento ripresero la teoria di Machiavelli caratterizzando negativamente l’operato del papato che in un certo senso ostacolò ogni tentativo di unificazione anche chiamando nel territori potenze straniere; 2 Oltre all’orientamento crociano e positivistico si ebbe anche un altro orientamento storico riguardante la medievalistica italiana, quello filosofico. L’Irrazionalismo medievale fu considerato espressione della crisi di valori che caratterizzò anche la società del primo dopoguerra. Un testo simbolo di questa corrente di pensiero è L’Autunno del Medioevo di Johan Huizinga del 1919; lo scrittore descrive la società alla fine del Medioevo come una civiltà al tramonto durante la quale gli uomini cercarono rifugio nei riti e nelle cerimonie. Il belga Henri Pirenne sempre nei primi decenni del Novecento tentò di collegare l’ambito di ricerca storico con quello filosofico; con i suoi studi cercò di dimostrare come la nascita dell’Europa fosse da collegare anche con l’espansione del mondo islamico che ruppe l’unità del Mediterraneo realizzata dai Romani. La storiografia delle Annales Una corrente storiografica molto importante e influente in tutta Europa è stata quella delle Annales, trae il nome da una rivista fondata nel 1929 da due professori universitari francesi (Marc Bloch e Lucien Febvre). La rivista (Annales d’histoire economique et sociale) aveva lo scopo di promuovere un rinnovamento della ricerca storica attraverso la collaborazione di cultori delle scienze umane (economisti, sociologi, antropologi, ecc..). Bloch era un medievista e in un suo studio si occupò della potenza che aveva la psicologia collettiva; Bloch (i re taumaturhi, 1924) si occupò della diffusa credenza secondo la quale il tocco del re poteva anche guarire un malato, puntando l’accento non sullq concezione di regalità, quanto sulla psicologia collettiva che credeva al miracolo; si interesso di come fattori culturali e sociali potessero condizionare la scelta di determinati sistemi agrari (i caratteri originali della storia rurale francese, 1931), dilatando il concetto di civiltà agraria. Altre novità da lui introdotte furono quelle di carattere metodologico: innanzitutto con la scelta di utilizzare un periodo lungo (secoli XI-XVIII), la comparazione fra 5 due realtà, francese e britannica, analizzate attraverso analogie e differenze, adozione del metodo regressivo, partendo dalle tracce ancora presenti (come ad esempio i lasciti medioevali sull’agricoltura. Ne “La società feudale” (1939-40), suo scritto più importante, utilizzando il concetto di coesione sociale, fa il quadro della società francese fino al tredicesimo secolo, mostrando come i vincoli di dipendenza personale corrispondessero ai bisogni di un particolare ambiente sociale. Dal 1956 la direzione della rivista fu affidata a Fernand Braudel; nella sua opera Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II egli distingue nello svolgimento della storia tre parti:  tempo geografico: quello di lunga durata, rapporto uomo/ambiente  tempo sociale: quello delle strutture economiche, sociali e politiche  tempo degli eventi: quella degli eventi, più superficiale ma ricca di umanità. Con il suo lavoro gli Annales acquistano popolarità anche all’estero, perde la sua unità e si sviluppa in vari filoni:  Storia dell’umanità e dell’ideologia (Alphonse Dupont, Georges Duby e Jacques Le Goff)  Storia religiosa e della cultura (Michel Vovelle)  Riscoperta dell’importanza degli avvenimenti politici e militaei (la domenica di Bouvien, 25 Luglio 1214) Unità e articolazione del Medioevo Tra il 1993 e il 1998 l’European Science Foundation ha promosso un progetto al quale hanno partecipato numerosi storici e studiosi per delineare un quadro completo che ci aiuti a capire il passaggio dall’Antichità al Medioevo. Alla fine si è voluta lanciare una provocazione: il mondo romano non è finito ma durante il III e il IX secolo si è trasformato in seguito all’arrivo di nuovi popoli. Secondo Paolo Delogu la tesi di spingere l’Antichità fino all’epoca carolingia è improponibile poiché nel corso del VII secolo la società e tutte le sue strutture (sociali, culturali, politiche, religiose ed economiche) erano molto cambiate facendo 6 pensare più a un processo di completa riorganizzazione piuttosto che di trasformazione. (Il libro segue questa ipotesi) Tra la fine dell’Antichità e l’inizio dell’Età moderna ci fu un’età intermedia dotata però di caratteri originali, con elementi propri che si vennero formando nell’arco di diversi secoli. La storiografia italiana tradizionalmente colloca tra la fine dell’Impero romano d’Occidente e l’inizio della modernità quattro periodi: I periodo: TARDA ANTICHITA’, dal IV al VII secolo Il mondo romano lentamente si trasforma e perde le sue componenti caratteristiche: unità politica, integrazione economica, alto livello di urbanizzazione e acculturazione. In questo periodo avvenne la definizione completa del Cristianesimo che cominciò a organizzarsi in modo più compiuto dal punto di vista dottrinale e organizzativo e l’Europa fu devastata dalle invasioni di Visigoti, Unni, Avati, Bulgari e Slavi. II periodo: ALTO MEDIOEVO, dall’VIII all’XI secolo Gli europei vivono in condizioni di precarietà e insicurezza a causa delle invasioni di Normanni, Ungari e Saraceni; in questi secoli nacquero i rapporti feudali e i sovrani carolingi (seguiti dagli imperatori tedeschi) tentarono di riunire le tradizioni romane, cristiane e germaniche. III periodo: PIENO MEDIOEVO, dall’XI al XIII secolo Periodo che vede la piena realizzazione degli ideali medievali in tutti i settori: vita sociale, religiosa, politica, economica, artistica, culturale. IV periodo: TARDO MEDIOEVO, dal XIV al XV secolo Furono i secoli della crisi demografica ed economica. Ci furono molti processi di trasformazione con la nascita di nuovi modelli culturali, nuovi valori religiosi e morali; gli ideali di papato e impero entrano in crisi. Il 1492 segna uno spartiacque simbolico in quanto le frontiere del mondo conosciuto si allargarono e fecero scoprire nuove terre, nuove culture e nuovi modi di rapportarsi con la realtà. 7 CAPITOLO 1: 1)La Trasformazione del mondo antico e l’inizio del Medioevo Il mondo ellenistico-romano e la diffusione del Cristianesimo 1.1. Nomadi e sedentari Nella fascia temperata dell’emisfero settentrionale alcuni popoli ebbero una storia simile a quella dei romani; furono popoli rozzi che diedero vita a civiltà rurali e vengono identificati dagli storici come popoli Indoeuropei. Un grande organismo di questo tipo fu quello della Persia che nel 331 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno e verso il III secolo a.C. dai Parti(anche se conservò impronte ellenistiche): cavalieri-pastori nomadi che rapidamente si abituarono alla vita sedentaria e crearono un grande impero(ad occidente comprendeva anche le valli del Tigri e dell’Eufrate; ad oriente una zona più arida e montuosa) che fu in lotta con quello romano per il dominio della Siria, dell’Armenia e della Mesopotamia. La contesa divenne più aspra con l’ascesa al trono nel 224 d.C. della dinastia dei Sasanidi(dal fondatore Sasan). L’impero dei Parti fu contrastato da popolazioni di razza mongola, provenienti dalle steppe dell’Asia centrale, quali i Sarmati, gli Unni Bianchi(o Eftaliti)e i Turchi. Un altro grande impero travolto da questi popoli indoeuropei, più precisamente dagli Unni bianchi, fu quello dell’India settentrionale nel 470 d.C. Successivamente tale impero si sviluppò in una fiorente civiltà agricola e raggiunse il massimo splendore sotto la dinastia Gupta (IV-V sec.). Anche l’India(il re Kamishka mandò un’ambasceria a Traiano)si configura come una grande civiltà agricola, creata dagli Ariani, un popolo indoeuropeo di pastori ed allevatori, che si erano trasformati in contadini. 10 A partire già da due millenni a.C. in Cina iniziò a formarsi una grande civiltà agricola nella pianura alluvionale dell’Hwang Ho(il Fiume Giallo, che prende il nome dalla terra fertile che trasporta) che riuscì a superare molte difficoltà legate all’ostilità delle famiglie aristocratiche, alle continue minacce degli Unni. Dopo scontri tra nomadi e sedentari, la situazione si stabilizzò nel 246 a.C. quando venne creato un vasto impero ad opera di Shig Hwang-ti, detto “il Cesare Cinese”. Di tale impero resta la testimonianza della Grande Muraglia che per migliaia di KM difendeva i confini dell’impero. Il consolidamento della frontiera continuò con gli imperatori della dinastia Han(202 a.C.):vennero realizzate strade militari, fortificazioni ed insediamenti-accampamenti contadini-soldati lungo i confini, così come i Romani avrebbero fatto con le guarnigioni di limitanei lungo il corso di fiumi come il Reno e il Danubio (collocati lungo il limes, “confine”). Anche in Cina tra II e III secolo d.C. un periodo di aspre lotte sociali mentre ricominciano le incursioni devastatrici degli Unni dalla Mongolia. Il risultato fu la divisione dell’impero in tre regni e poi, una volta riprese nel 316 le grandi invasioni, la sua riduzione alle sole province meridionali sotto la dinastia Chi, mentre nelle fertili pianure settentrionali gli invasori crearono numerose dominazioni politiche. I nomadi delle steppe asiatiche non si limitarono a spostarsi verso est (Persia, India e Cina) ma invasero anche l’Europa centrale, basti pensare ai Celti che erano presenti nella Germania renana e si spinsero nelle regioni balcaniche, in Gallia fino al nord Italia dove furono poi fermati dai Romani; ma poi finirono col fondersi con le popolazioni latine, in quello che Giovani Tabacco ha definito il connubio latino- celtico, volto a contenere le pressioni che i Germani, popolazione di lingua indoeuropea stanziati già nel secondo millennio a.C. nelle regioni dell’Europea settentrionale e centrale. Al tempo di Traiano erano schierate lungo il Danubio dieci legioni. L’opera difensiva Che però somiglia di più alla Muraglia cinese fu il vallo di Adriano, di 118 km, fatto costruire dall’imperatore Adriano tra il 122 e il 127 d.C. in Britannia che così fu tagliata in 2 parti. 11 1.2. Il mondo delle città Il limes separava due realtà molto diverse tra loro: da un lato c’era il mondo urbanizzato e organizzato dei Romani e dall’altro il mondo delle foreste e delle valli fluviali dell’Europa centrale e settentrionale abitato da popolazioni nomadi che avevano una struttura molto semplice. Il merito dei Romani non fu tanto quello di aver creato le città ma piuttosto quello di aver esteso il modello urbano e la cultura ellenica a tutte le aree sotto il suo dominio. Questo fu possibile grazie ai numerosi scambi commerciali tra le zone del Mediterraneo e le altre aree romanizzate che favorivano anche scambi sociali e culturali. Pur con diverse concentrazioni di ricchezza fra le varie zone dell’impero, si arrivò, grazie agli scambi commerciali, una certa omogeneità culturale. La città romana aveva una struttura precisa, inizialmente non avevano mura difensive che furono costruite solo dopo le prime minacce di invasioni; altre zone della città erano: - l’urbs: il centro cittadino dove si svolgevano tutte le funzioni amministrative, politiche e commerciali, - la civitas: territorio dove c’erano le abitazioni sia dei contadini che le grandi ville, - il suburbio: la zona intermedia tra il nucleo cittadino e la campagna dove si trovavano gli impianti artigianali, gli anfiteatri, le necropoli e ville lussuose, - la campagna: organizzata in un reticolo razionale di campi di forma geometrica. La società romana era caratterizza tata dalla presenza di una classe aristocratica che conducevano un agiato stile di vita grazie alle risorse che provenivano dalla costruzione dei grandi latifondi coltivati dagli schiavi. Tali uomini praticavano la filantropia, si esercitavano in dibattiti sulla letteratura e sulla filosofia infatti in ogni villa signorile si potevano trovare testi greci e latini(l’ unico esempio di biblioteca privata è la Villa dei papiri di Ercolano, sommersa dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.). Che i libri fossero importanti nello stile di vita aristocratico-borghese è dimostrato dal personaggio di Trimalcione nel Satyricon di 12 L’autorità imperiale divenne fondamentale per ristabilire unità, stabilità e pace e in questo periodo si susseguirono imperatori dalle grandi personalità, uno di questi fu Diocleziano (divenuto imperatore il 20 Novembre 248), il quale attuò un progetto politico e sociale di grande portata infatti: - legò i contadini alla terra e gli artigiani alle loro attività, proibendo ogni forma di mobilità - fissò prezzi e salari - riformò la costituzione. La riforma costituzionale di Diocleziano divise in due parti l’autorità imperiale tra 2 Augusti e 2 Cesari che avrebbero dovuto succedere ai due Augusti. Il primo Augusto (Diocleziano) manteneva la sua importanza sacrale mentre gli altri 3 avevano mansioni e poteri riguardanti i bisogno quotidiani e ordinari dell’impero. Naturalmente i cristiani furono restii a venerare gli imperatori come dei a causa della loro fede monoteista furono considerati come una minaccia per l’unità e la pace e subirono le gravi conseguenze delle persecuzioni a partire dal 303. Le cose cominciarono a cambiare con il successore di Diocleziano Costantino che le cose cambiarono poiché capì che il Cristianesimo poteva diventare un elemento unificante. Sotto il suo regno la religione cristiana si diffuse in tutto l’impero e con l’editto di Milano Costantino riconobbe alle chiese cristiane libertà di culto anche se dovette fronteggiare in seguito molte controversie dottrinali che serpeggiavano tra le diverse comunità. 1.5. L’organizzazione della Chiesa e la definizione della dottrina cristiana Per prima cosa la Chiesa, nel momento in cui ebbe la possibilità di crescere in piena libertà, ebbe l’esigenza di dare basi solide al proprio sistema organizzativo e lo fece modellando l’ordinamento ecclesiastico su quello amministrativo. Furono create le diocesi che inizialmente coincidevano con i territori dei municipi romani e a capo di ognuna fu nominato un vescovo; successivamente tra tutti i 15 vescovi di una stessa provincia assunse maggiore rilievo quello della metropoli più grande della provincia così nacquero le Chiese metropolite come Efeso, Tessalonica, Corinto e Milano. I vescovi metropoliti consacravano i vescovi, seguivano le cause giuridiche di appello e presidiavano ai sinodi provinciali; alcune sedi più importanti come quelle di Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e Costantinopoli (divenuta capitale dell’impero nel 330) divennero patriarcati mentre Roma si autoproclamò Sede apostolica di tutta la Chiesa poiché Pietro vi aveva subito il martirio e poiché era capitale dell’impero. In occidente già a partire dal V secolo fu utilizzato il nome di papa, che godeva di una vera e propria superiorità giurisdizionale, come riconosciuto anche dal riconoscimento dell’imperatore Valentino III a Papa Leone Magno, verso la metà del V secolo. In Oriente invece questo primato era considerato solo qualcosa di onorifico. Un altro problema fu quello di definire in maniera precisa la dottrina della Chiesa su cui doveva basarsi tutto il suo credo; all’epoca c’erano molti dibattiti su questioni riguardanti il Vangelo, le lettere di Paolo e gli scritti dei Padri della Chiesa, i vescovi discutevano animatamente di problemi dottrinali ma presto si diffuse molta intolleranza tra i sostenitori di due differenti concezioni religiose in seno alla Chiesa. La prima aveva un carattere propriamente escatologico nel senso che la vita di ogni cristiano era proiettata tutto verso la parusia (il ritorno di Cristo) con il conseguente e netto rifiuto per tutte le cose del mondo anche a costo del martirio e di gesta eroiche atte a dare viva testimonianza della propria fede. Questa concezione, più escatologica, uscì perdente, ma non scomparve del tutto (ad esempio, si mantenne nel Donatismo). La seconda concezione era più moderata e fu quella che ebbe maggiore diffusione. Alla base di tale tendenza c’erano: - una grande comprensione per le debolezze umane, - il progetto di un’istituzionalizzazione delle comunità cristiane con una gerarchia sacerdotale e formule di fede ben definite. 16 Formulare un’unica dottrina di fede non fu però facile e generò gravi scontri all’interno della Chiesa che si trovò costretta: - a ridurre l’importanza delle tendenze troppo rigoriste - a respingere ogni concezione dualistica della fede (Gnosticismo e Manicheismo). Lo Gnosticismo affermava il dualismo tra un Dio perfetto e irraggiungibile e il mondo materiale mentre il Manicheismo si fondava sulla contrapposizione tra il bene e il male, tra il mondo spirituale e quello materiale. La Chiesa volle basare la sua fede su un tipo di spiritualità monoteista ma trovò comunque molte difficoltà quando dovette definire la natura del monoteismo in rapporto al problema dell’incarnazione di Dio in Cristo. 1.6. L’Arianesimo e la nascita dell’eresia L’Arianesimo nacque nel IV secolo quando il prete Ario di Alessandria diffuse una sua dottrina di fede la quale sosteneva che Cristo non aveva lo stesso grado di divinità del Padre, ma era a lui subordinato. Poiché tale dottrina si stava diffondendo velocemente e la Chiesa non era ancora dotata di un organismo capace di prendere decisioni importanti l’imperatore Costantino convocò per il 325 a Nicea un Concilio ecumenico. A tale concilio parteciparono 300 vescovi proveniente per la maggior parte dalle province orientali e le decisioni che furono prese valsero per tutte le comunità cristiane; in tale occasione la dottrina di Ario fu condannata all’unanimità ma non tanto per motivi dottrinali ma per lo stesso volere di Costantino che non voleva assolutamente mettere a rischio quell’unità religiosa che si era già creata in Asia e che si stava diffondendo nel resto dell’impero. Quello legato all’eresia ariana fu però solo un primo episodio di un fenomeno che continuò a lungo nel tempo visto che le eresie ( dottrine opposte alle verità della Chiesa) si svilupparono parallelamente alla nuova ideologia cristiana che identificava nell’imperatore il garante della fede ortodossa. 17 questi uomini di persona e alcuni di loro – spesso le nobildonne- fondarono comunità latine in Palestina. Ben presto dei monasteri furono costruiti anche in Occidente, una figura chiave per questa svolta fu Gerolamo il quale dopo aver studiato a Roma si fece battezzare e passò molto tempo da eremita in Siria. Ritornato a Roma divenne una guida per molte donne che conducevano uno stile di vita ascetico all’interno delle loro case. Dopo queste prime esperienze anche a Roma e in altre parti dell’impero furono costruiti monasteri e anche altri esponenti importanti esponenti della Chiesa appoggiarono tale fenomeno come Ambrogio di Milano e Paolino di Nola. Un’ultima, ma importante, esperienza di monachesimo in Italia è quella di Cassiodoro, collaboratore del re ostrogoto Teodorico che nel 540 si ritirò in Calabria dove fondò un monastero che non fu però un luogo di ascesi bensì un centro di cultura dove si svolgeva un’attività si studio per cercare di conciliare cultura sacra e profana. Il suo obiettivo era quello di salvare l’antica cultura romana trapiantandola nei monasteri ma tale progetto non era realizzabile e non continuò dopo la morte di Cassiodoro. In Gallia il monachesimo si diffuse grazie all’operato di Martino, vescovo di Tours che riuscì a conciliare gli ideali monastici con il suo ruolo pastorale di vescovo. 1.9. Il monachesimo benedettino Il monachesimo benedettino costituisce il punto d’arrivo di tutte le esperienze di monachesimo in Occidente. San Benedetto fondò il monastero di Montecassino e ne scrisse la Regola che ebbe il merito di accogliere il meglio delle esperienze sia orientali che occidentali; elementi della sua Regola erano già presenti in altre Regole monastiche ma la regola benedettina è quella che ha saputo dare una sintesi più completa. Questa si basava: - sul lavoro manuale come elemento qualificante per la vita del monaco - su uno stile di vita incentrato sulla carità e la fraternità - su una grande moderazione della vita 20 - su un equilibrio tra la vita attiva e la vita contemplativa: da qui la famosa Regola ORA ET LABORA. CAPITOLO 2 l’occidente romano-germanico 21 2.1. Il mito della razza pura «Una razza pura senza mescolanze, che non assomiglia che a se stessa»: così Tacito descriveva il popolo dei Germani e su queste affermazioni si è basato il nazionalismo tedesco nato nel tardo Settecento. Studi recenti hanno però dimostrato che una comunità germanica originaria e omogenea culturalmente e linguisticamente non è mai esistita poiché i popoli germanici sono il risultato di numerosi rimescolamenti tra popolazioni indigene di origine indoeuropea. All’interno delle popolazioni germaniche si possono individuare tre gruppi: - quello settentrionale in Scandinavia e Dalmazia - quello orientale tra l’Order e la Vistola - quello occidentale nell’attuale Germania e est del Reno. I primi contatti con i Romani avvennero quando i Cimbri e i Teutoni dalla Danimarca cercarono di occupare territori in Spagna, Gallia e Italia dove però furono sconfitti da Mario. Cesare, conquistando la Gallia, rese definitivi i contatti tra le tribù germaniche e i Romani che si fronteggiavano sul versante del fiume Reno; si deve precisare che le tribù germaniche non vivevano nella barbarie e non mancarono tra le due popolazioni scambi commerciali ma anche culturali e sociali. Proprio per chiarire meglio l’identità di queste popolazioni è utile un’analisi del De bello gallico scritto da Cesare nel 51 a.C.; dalla lettura di tale testo si possono delineare le caratteristiche etnologiche di questo popolo che, ad esempio, aveva un rapporto assai mobile con l’ambiente, che credeva al primato delle virtù guerresche e che si procurava il sostentamento soprattutto con la caccia e l’allevamento. L’agricoltura occupava infatti un ruolo marginale e venivano applicate pratiche primitive di coltivazione come la pratica del debbio che consisteva nel ripulire il suolo con il fuoco, metodo che senza pratiche di concimazione rendeva presto improduttivo il terreno e costringeva le tribù a continui spostamenti. 22 Una situazione molto delicata si creò anche in Oriente a causa della ripresa da parte degli Unni delle incursioni a danno dei Visigoti e di altri popolazione germaniche che erano stanziati nelle zone periferiche dell’impero e diventavano sempre più inquieti e pericolosi. Costantinopoli incoraggiò gli Unni nel tentativo di liberarsi una volta per tutte della minaccia dei Germani; alla fine del 406 avvenne un altro episodio chiave per la storia di Roma: il superamento del confine del Reno da parte di Valdali, Alani e Svevi che si diressero verso la Gallia e la Spagna. Questo episodio causò una caduta del prestigio di Stilicone il quale perse molti consensi e fu ucciso da un gruppo di nazionalisti romani. Dopo la sua morte i Visigoti, guidati da Alarico, riuscirono a penetrare in Italia e il 24 agosto 410 arrivarono a Roma e la saccheggiarono per tre giorni. Il saccheggio di Roma ebbe profondi effetti psicologici sulla popolazione perché Roma era stata da sempre considerata una città inviolabile e sacra e il suo saccheggio segnava quasi la fine dell’impero che per i pagani era stata causata dall’avvento del Cristianesimo e dall’apertura verso i barbari. Sicuramente il superamento del Reno e il sacco di Roma costituiscono due momenti fondamentali che diedero inizio a un percorso tutto in discesa per l’Occidente che perse autorità e territori. Nel 411 Alarico morì e i Visigoti risalirono la penisola stanziandosi come federati in Aquitania; anche gli altri popoli germanici come Vandali, Alani e Svevi, ebbero riconosciuto il titoli di federati e si stanziarono in territori imperiali. I proprietari romani dovettero applicare l’istituto dell’hospitalitas che prevedeva l’obbligo per i proprietari di cedere ai federati un terzo dei loro possedimenti; questi erano ormai autonomi, avevano delle leggi proprie e sottostavano solo all’autorità del loro re. I popoli germanici erano ormai liberi e senza controllo tanto che i Vandali guidati dal re Genserico si spostarono prima i Africa, poi cominciarono a razziare le isole del mediterraneo arrivando a saccheggiare Roma nel 455. 25 Verso la metà del V secolo dal fronte della Britannia entrarono nei territori imperiali anche gli Angli, i Sassoni e gli Juti costringendo le popolazioni del luogo a spostarsi in altri territori. 2.4. Il tramonto dell’impero romano d’Occidente Col passare degli anni l’autorità della parte occidentale dell’impero aveva perso sempre più importanza riuscendo a controllare solo le province ad esso confinanti (Provenza, Rezia, Norico e Dalmazia). Nel 425 Costantinopoli favorì l’ascesa del giovane Valentiniano III che, sotto la guida della madre Galla Placida (sorella di Onorio), avrebbe svolto una funzione di protettorato della penisola. Durante questo periodo i Romani capirono che era stato un errore osteggiare il progetto di collaborazione e integrazione tra i barbari e i Romani pensato da Stilicone poiché queste popolazioni erano ormai indispensabili per la sopravvivenza dell’impero. Fu per questi motivi che, grazie anche all’aiuto del generale Ezio (di origine romana ma cresciuto tra gli Unni), si decise di intraprendere una nuova politica di convergenza tra Romani e barbari. I Germani furono ben presto molto utili per contrastare proprio l’avanzata degli Unni guidati da Attila verso la Gallia; fu proprio Ezio che nel 451 riuscì a fermarli sui Campi Catalaunici, presso Troyes capeggiando un esercito di barbari! Nel 452 Attila riuscì comunque a invadere l’Italia entrando dal Friuli, distrusse la città di Aquileia e fortunatamente si arrestò sul Mincio forse perché gli andò incontrò il papa Leone I ma anche perché Attila capì che andando avanti avrebbe potuto causare un intervento di Costantinopoli che avrebbe potuto danneggiarlo invadendo altri suoi domini. Nel 454 Ezio venne ucciso da Valentiniano in quale a sua volta fu assassinato l’anno successivo dai seguaci di Ezio; questa situazione creò un vuoto ai vertici dello Stato e una gran confusione visto che si successero in maniera rapida e poco incisiva diversi imperatori che avevano il sostegno delle forze romano- barbariche. 26 Tra questi imperatori si distinse lo sciro Odoacre, fu lui ad aver deposto nel 476 il giovane imperatore Romolo Augustolo, a rimandare a Costantinopoli le insegne imperiali dichiarando che il suo progetto era quello di governare i territori dell’impero d’Occidente non come imperatore ma come patrizio dell’imperatore d’Oriente. In questo periodo l’aristocrazia senatoria romana capì che appoggiare Odoacre era la cosa migliore perché vedevano in lui il personaggio giusto per garantire l’inserimento non traumatico dei Germani nella struttura sociale romana unendo così le loro doti militari al loro potere politico-sociale. 2.5. Il sogno di Teodorico Nel 489 l’imperatore d’Oriente Zenone, preoccupato per il progetti espansionistici di Odoacre, inviò in Italia il re ostrogoto Teodorico il quale era stato educato alla corte bizantina insieme a tutto il suo popolo formato per la maggior parte da guerrieri. L’aristocrazia e i membri della classe episcopale voltarono subito le spalle a Odoacre perché in Teodorico oltre che l’inviati imperiale videro un uomo forte capace di stabilire ordine ed equilibrio. Un intero popolo si stanziò in Italia e anche questa volta i proprietari romani dovettero cedere parte dei loro territori ma questa volta la pratica dell’hospitalitas non fu avvertita come qualcosa di traumatico visto che negli anni precedenti c’era stato un forte calo demografico che aveva fatto aumentare la disponibilità di terre. Teodorico volle istaurare rapporti pacifici sia con i Romani che con la Chiesa, la sua non fu una dominazione infatti portò avanti un progetto di coesistenza tra le due comunità che avevano distinti ordinamenti giuridici. Teodorico era re per la sua gente e prefetto d’Italia per i Romani il che comportava che fosse al vertice delle strutture politiche e amministrative; i Romani furono esclusi dall’esercito e potevano vivere seguendo le norme del diritto romano mentre i Goti potevano portare le armi e governavano i distretti in cui era stato diviso il territorio. 27 In origine il popolo dei Franchi non era unito e coeso ma esistevano tanti piccoli aggregati lungo il bacino del Reno che furono inglobati a partire dal 482da Clodoveo, iniziatore della dinastia dei Merovingi. Clodoveo pian piano allontanò i Romani dalla Gallia, tolse l’Aquitania ai Visigoti, riuscì a espandersi a danno di altri popoli germanici e di piccoli gruppi etnici; solo Teodorico riuscì in parte a contrastarlo ma dopo la sua morte anche la Provenza e i territori oltre il fiume Reno furono conquistati dai Franchi. I punti di forza dei Franchi erano: - il dinamismo militare - la collaborazione con l’aristocrazia gallo-romana - la coesione con la Chiesa. Clodoveo capì subito quanto poteva essere importante l’appoggio della Chiesa così favorì una veloce conversione dal politeismo al Cattolicesimo; questa scelta cancello ogni diffidenza verso Clodoveo e il suo popolo e accelerò sia il processo di formazione di uno Stato basato sul modello romano sia l’integrazione fra aristocrazia romana e gota e poi fra i due popoli. I capi dei clan franchi impararono a gestire i grandi possedimenti fondiari e li utilizzarono non solo per scopi rurali ma anche per costruire monasteri e chiese mentre gli appartenenti all’aristocrazia gallo-romana pian piano assimilò gli elementi culturali e gli stili di vita dei Franchi. Anche i vescovi, scelti dal re tra i laici, mutarono il loro modo di pensare ma non mancarono esempi di alta spiritualità come fu Gregorio di Tours. Lo stato dei Franchi si sviluppò forte e coeso e l’ordinamento pubblico fu organizzato in distretti governati dai conti. Alla morte di Clodoveo il regno fu diviso tra i suoi 4 figli, si crearono così: - la Neustria tra la Loira e la Senna - l’Austrasia nel cuore della Germania - l’Aquitania dalle tradizioni gallico-romane - la Borgogna antico regno dei Burgundi. 30 Queste quattro regioni oltre ad avere caratteristiche geografiche diverse presentarono ben presto molte differenze anche dal punto di vista politico, etnico e storico. Questa sparizione territoriale provocò lotte per la successione, frenò il dinamismo espansivo del regno e creò molta instabilità. Solo nell’VIII secolo con Pipino il Breve il popolo Franco riacquistò un ruolo strategico. 2.8. Uno sguardo di insieme sul mondo romano-germanico Il mondo romano-germanico alla fine delle invasioni del IV-V secolo presenta degli elementi comuni. La società gerarchizzata dei Romani si affermò maggiormente e si diffuse anche tra l’aristocrazie militari germaniche mentre tra i ceti bassi, soprattutto tra i contadini, e nelle zone poco romanizzate si affermò il tipo di società egualitario dei Germani. L’adesione alle strutture sociali dei Romani fa ben capire come i popoli barbari non avessero lo scopo di portare nuovi modelli organizzativi e di imporre la loro cultura e non di fecero problemi a mettersi a servizio dei Romani per sedare altri popoli barbari. Un altro elemento che accomuna i vari regni nati durante le invasioni germaniche è il ruolo di primo piano che svolsero i vescovi sia come protettori della popolazione latina ma anche come forza di conservazione della cultura ellenistico- romana. I vescovi esercitarono il loro potere in seno alle città che però si erano molto impoverite a causa della crisi demografica e sociale del III secolo. Le città che riuscirono a sopravvivere furono quelle che avevano la funzione di sede vescovile essendo punto di riferimento per la popolazione latina che doveva trovare il modo per convivere con le popolazioni germaniche. È un fatto riscontrabile che dove si stabilì un rapporto pacifico di collaborazione tra i due popoli e la conversione al Cattolicesimo dei Germani si potè realizzare la formazione di regni stabili mentre dove questo non si verificò la differenza di fede (Cattolica e ariana) causò fratture tali da rendere instabili anche le strutture politiche. 31 Furono proprio i vescovi le figure chiave a cui le monarchie germaniche fecero riferimento per attingere agli strumenti culturali indispensabili per poter creare dei nuovi assetti politici stabili. Col passare degli anni la fusione tra i due popoli fu automatica e molti elementi sociali dei popoli Germanici andarono persi a favore del modello gerarchico della società romana che riuscì a resistere e a mantenere il suo potere. Le monarchie germaniche riuscirono comunque a rafforzare il proprio poter ed ebbero particolare attenzione nel far mettere per iscritto le loro consuetudini che prima venivano trasmesse solo oralmente per dare valenza al diritto del proprio popolo. CAPITOLO 3 L’Oriente romano-bizantino e slavo 3.1. Le ragioni di un destino diverso Mentre l’Occidente non riuscì a resistere alle pressioni esterne degli altri popoli e andò incontrò a un destino di fusione tra le civiltà germaniche e quella romano- cristiana, l’Oriente mostrò una maggiore capacità di resistenza maturata grazie a un forte attaccamento alle tradizioni e a un’ottima capacità di adattamento al mutare di situazioni politiche e sociali. 32 libertà dottrinali e, su loro richiesta, tra il 543-544 emanò l’editto dei «Tre capitoli» con il quale condannava gli scritti di tre teologi nestoriani che invece erano stati approvati al Concilio di Calcedonia. Questo provocò la rottura con la Chiesa romana guidata dal papa Vigilio, proprio mentre era in corso la guerra con i Goti in Italia; il papa si rifiutò di ratificare l’editto e Giustiniano nel 546 lo fece rapire e portare a Costantinopoli dove fu costretto a piegarsi alle decisioni dell’imperatore creando così un vero scisma tra la Chiesa orientale e quella occidentale. Giustiniano mentre era ancora impegnato nella campagna militare in Italia volse i suoi interessi verso la Spagna dei Visigoti; l’occasione per intervenire gli fu presentata dallo stesso re visigoto e filo-cattolico Atanagildo, il quale chiese aiuto a Giustiniano per sconfiggere il vecchio re filo ariano Agila. L’esercito bizantino non ebbe perciò difficoltà a conquistare la parte costiera a sud della penisola fatto molto importante perché con questo ultimo pezzo di costa il Mediterraneo tornava ad essere “un lago romano” con ampi riflessi nei commerci internazionali. La restaurazione dell’impero universale infatti aveva come obiettivo quello di fare di Costantinopoli un collegamento tra tre continenti ma per fare ciò erano necessarie molte risorse finanziarie che l’imperatore reperì potenziando l’apparato amministrativo e i poteri dei funzionari e cercando invece di limitare i poteri e le ambizioni dell’aristocrazia che stava cominciando a mostrare interesse verso la creazione di grandi latifondi com’era avvenuto in Occidente. Sempre per iniziativa di Giustiniano nacque il Corpus iuris civilis con il quale si riorganizzò il grande patrimonio giuridico dei romani. 3.4. Dall’impero universale all’impero bizantino Giustiniano regnò per circa 40 anni, egli impiegò questo tempo per restaurare il vecchio impero sul piano politico, militare e ideale ma alla fine non riuscì a coronare il suo sogno ma al contrario si capì bene che nessuno mai sarebbe riuscito a farlo 35 perché troppe e troppo forti erano le forze, sia interne che esterne, che separavano le due parti. I problemi interni riguardavano diversi aspetti; prima di tutto c’era la questione religiosa caratterizzata dalle numerose tensioni che l’imperatore non era riuscito a sedare e che al contrario alimentavano tendenze separatiste nelle province. Inoltre la crescita della capitale aveva fatto aumentare in maniera abnorme il numero della plebe che veniva alimentata dallo Stato; ben presto si presentarono problemi legati alla fame di questa immensa popolazione che degenerò in rivolte e sfiducia verso l’imperatore. Per quanto riguarda invece la politica estera le conquiste di Italia e Spagna andarono perse subito dopo la morte di Giustiniano mentre la situazione dei Balcani, che lo stesso Giustiniano non riuscì a risolvere, diventò molto problematica a causa delle pressioni sul fronte orientale di Slavi, Avari e Persiani. Il sogno di Giustiniano perciò non resistette dopo la sua morte; dopo il 565 l’impero ridimensionò i suoi interessi al Medio Oriente e al Nord Africa e assunse sempre di più una fisionomia greco-orientale. Le leggi furono scritte in greco e i successori di Giustiniano cominciarono a farsi chiamare con l’appellativo di basileus e non più con i titoli latini di imperator, caesar e augustus. 3.5. L’insediamento di Slavi, Avari e Bulgari nei Balcani Nel corso del VI secolo gli Slavi penetrarono nei Balcani; questo popolo arrivò dai Carpazi (tra l’odierna Polonia, Boemia, Ucraina), non ci fu una comunità slava originaria poiché la loro civiltà si formò man mano che assimilavano altri popoli. Nel IV secolo avevano comunque raggiunto un’identità linguistica e culturale che però si perse nuovamente quando l’espansione si allargò a vaste aree causando delle divisioni tra Slavi meridionali, occidentali e orientali. Questi tre gruppi già nel X secolo erano ormai talmente diversi che si deve parlare di nazioni con affinità linguistiche ma con identità profondamente diverse poiché ogni 36 gruppo etnico aveva sentito l’influenza e assimilato caratteristiche culturali delle civiltà dei popoli con i quali erano venuti a contatto come ad esempio Bisanzio e la Chiesa bizantina, la Chiesa di Roma e l’impero romano-germanico di Carlo Magno. Gli Slavi meridionali si insediarono nei territori bizantini dei Balcani; già durante il regno di Giustiniano avevano compiuto molte incursioni ma alla fine del IV secolo assediarono la città di Tessalonica e di Costantinopoli. Gli Slavi riuscirono così a prendere il controllo di vaste aree balcaniche che nell’arco di circa un secolo persero le loro caratteristiche greco-latine e assunsero un aspetto rurale. Alla fine del VII secolo i Bizantini cercarono di recuperare i territori balcanici dove oltre agli Slavi erano penetrati (in Dacia e nella Mesia) i Bulgari; nei Balcani Slavi e Bulgari trovarono il modo di coesistere e le due civiltà si assimilarono tanto che costituirono una formazione politico bulgaro-slava che nel 681 fu riconosciuta da Bisanzio che con questa nuova entità stipulò un trattato di pace. Nelle altre zone balcaniche ( Tracia, Macedonia, Tessaglia, Epiro) si cercò di recuperare i territori perduti alternando massacri a pressioni diplomatiche e progetti di acculturazione ed evangelizzazione. L’evangelizzazione creò un’altra spaccatura tra gli Slavi e cioè tra quelli che aderirono al Cristianesimo di Bisanzio (Slavia ortodossa) e quelli che invece aderirono al Cristianesimo di Roma (Slavia romana). La cristianizzazione fu operata da due missionari bizantini conoscitori della lingua slava: Cirillo e Metodio che oltre all’evangelizzazione favorirono la creazione di una lingua liturgica slava che presto avrebbe dato origine anche a una lingua letteraria. 3.6. La riorganizzazione dell’impero bizantino e la ripresa della guerra con i Persiani 37 3.7. La funzione storica di Bisanzio Eraclio fu uno dei più grandi imperatori bizantini, purtroppo non riuscì a contenere l’inarrestabile avanzata araba che segnò la perdita di moltissimi territori; alla fine dell’VIII secolo del grande impero bizantino restavano solo i territori dell’attuale Turchia, la Tracia orientale e i territori italiani scampati alla conquista longobarda. Passata la fase critica (tra il IX e il X secolo), anche se con i confini molto ridimensionati, l’impero bizantino trovò le energie per riprendere una politica estera nei Balcani e in Italia; i bizantini civilizzarono anche gli Slavi e proprio da questa bizantinizzazione si è formata la cristianità slavo-ortodossa che ha influenzato la cultura dell’Europa orientale. CAPITOLO 4 L’Italia tra Bizantini e Longobardi 4.1. La guerra greco-gotica Nel 535 Giustiniano avviò la riconquista dell’Italia ; protagonista della prima fase di questa guerra contro i Goti fu il generale Belisario che riuscì a ricacciare oltre il Po i Goti. Nel 542 il re goto Totila tentò di formare un grande esercito arruolando anche contadini e schiavi ma anche in questo caso i Bizantini, comandati dal generale Naserte, riuscirono ad avere la meglio uccidendo sia Totila nel 552 che il suo successore Teia. Alcuni reduci dei Goti resistettero fino al 555 arroccandosi suo monti dell’Appennino ma non riuscirono comunque a fermare i Bizantini che ottennero il controllo sulla penisola. Giustiniano avviò un riassettò amministrativo, ogni genere di legge attuata da Totila in poi fu annullata mentre restarono valide quelle emanate durante il regno di Teodorico. 40 Le terre estorte dai Goti ritornarono ai vecchi proprietari, i beni delle chiese ariane passarono a quella cattolica; l’Italia fu divisa in distretti affidati per il settore amministrativo a un iudex e per quello militare a un dux. Si mise in piedi un organizzato apparato amministrativo e si ridussero le spese pubbliche riducendo le risorse destinate ai soldati e ai poveri; questa scelta però risultò essere sbagliata in quanto favorì il diffondersi di un sentimento di delusione tra le truppe e di abbandono tra il popolo. 4.2. I Longobardi e la rottura dell’unità politica dell’Italia I Longobardi erano un popolo originario della Scandinavia, nel 568, guidati da loro re Alboino, giunsero in Italia passando dal Friuli; la loro fu una vera dominazione straniera perché il loro arrivo non fu concordato con l’imperatore né venne attuato il principio dell’ospitalità. Questo popolo non aveva avuto rapporti significativi con la civiltà latina e perciò i loro usi tradizionali erano molto radicati e la società era ancora legata a un ordinamento di tipo tribale. Il re era eletto dall’aristocrazia e aveva un potere militare che esercitava nei momenti di necessità, l’esercito era costituito da gruppi di guerrieri autonomi i quali sottostavano alle fare: famiglie con antenato comune guidate dai duchi. I duchi non seguivano un piano unitario ma prendevano decisioni in piena autonomia spostandosi dove ritenevano più opportuno; il duca che si spinse più a sud fu Zottone che arrivò a conquistare Benevento nel 571. La maggior parte della popolazione longobarda però si stanziò a nord occupando i territori dell’Italia padana, del Piemonte, del Friuli, del Trentino e della Toscana. I Bizantini riuscirono a mantenere buona parte della Romagna, della Pentapoli; una striscia di terra che collegava Perugia, Ravenna, la Pentapoli e Roma, le isole (Sicilia, Sardegna e Corsica), il litorale veneto, l’Istria, la Puglia centromeridionale e parte della Calabria. 41 Dopo la morte di Alboino nel 572 e del suo successore Clefi nel 574 lo spirito d’iniziativa dei duchi prese il sopravvento e fino al 584 ci fu un periodo di anarchia militare durante il quale non vennero eletti re e si compirono moltissimi atti vandalici, requisizioni di proprietà e di beni e l’imposizione forzata a tutta la popolazione latina della tradizione giuridica dei nuovi dominatori. Con la venuta dei Longobardi si assistette a un nuovo sconvolgimento dell’ordinamento territoriale; le circoscrizioni amministrative ed ecclesiali furono sconvolte per vari motivi, sia perché i duchi non si posero il problema di ritagliare i propri domini in aderenza con i vecchi domini sia perché molti vescovadi restarono scoperti a causa della fuga in Oriente di molti ecclesiali. I Longobardi mostrarono subito ostilità verso la Chiesa cattolica; questi si erano infatti da poco convertiti dal politeismo al Cristianesimo ariano e non mostrarono nessun rispetto per il clero a cui vennero sottratti beni e territori. I Longobardi si stanziarono in siti già abitati e cioè nelle città romane che comunque si trovavano già in uno stato di forte degrado già dal IV secolo; non si deve infatti pensare che la causa del degrado fu l’arrivo di questo popolo visto che anche città sotto il dominio bizantino come Roma vissero questa fase di decadimento. 4.3. Gregorio Magno e l’evoluzione politica dei Longobardi I Longobardi capirono ben presto quanto importante fosse un cambiamento; divenendo proprietari terrieri e dovendo sempre temere un attacco bizantino sentirono il bisogno di un ordinamento statale e politico più stabile e per realizzare questo obiettivo finirono per imitare il modello romano. Al re furono conferiti maggiori poteri e questo, per poterli mantenere, cercò l’appoggio dell’episcopato cattolico e della popolazione romana. Un primo passo verso questa direzione fu compiuto da Autari che nel 584 ripristinò l’autorità regia; la prima cosa che fece fu costituire un insieme di beni della Corona requisendo metà delle terre dei duchi; per limitare il potere dei duchi istituì la figura dei gastaldi che inizialmente avevano il compito di gestire i beni imperiali. 42 carattere universale non volendo perciò entrare a far parte e subire l’influenza del regno nazionale dei Longobardi. Fu questo uno dei motivo che fecero incrinare i rapporti tra queste due entità sotto il regno di Astolfo e di Desiderio (756-774); Desiderio aveva attuato un progetto espansionistico di grande portata e poiché la Chiesa non aveva le forze per contrastarlo chiamò in suo aiuto il popolo dei Franchi guidati prima da Pipino il Breve (754-756) e poi da Carlo Magno. La scelta di chiamare in aiuto i Franchi fu una mossa politica; i re Franchi non erano certo più religiosi dei Longobardi ma i sovrani longobardi fecero l’errore gravissimo di intralciare i disegni politici della Chiesa cosa che impedì qualsiasi tipo di conciliazione. 4.5. L’Italia bizantina Dopo l’invasione longobarda dell’Italia molti proprietari romani e membri del clero si rifugiarono nei territori rimasti sotto il controllo dei Bizantini e anche in questi territori il ceto dominante subì molte trasformazioni. I modelli culturali pian piano si avvicinarono a quelli dell’aristocrazia longobarda che, a sua volta, non potè fare a meno di subire, a partire dal VII secolo, le influenze della civiltà bizantina. Il problema cruciale a cui dovettero trovare una soluzione gli occupanti dei territori bizantini fu quello della difesa; il governo centrale non aveva le risorse militari da inviare in Italia perciò l’aristocrazia che prima aveva potuto condurre una vita agiata e oziosa si trovò costretta ad assumersi obblighi militari e a contribuire economicamente al sostentamento dell’esercito. I Bizantini avevano perso molti territori e quelli che erano rimasti sotto il loro controllo data la loro distanza avevano molte difficoltà di comunicazione; ben presto sorsero sentimenti regionalistici e i militati inviati da Bisanzio strinsero rapporti con l’aristocrazia del luogo creando una nuova classe di proprietari. 45 Questa nuova classe sociale strinse rapporti con la Chiesa che affidava a membri laici del ceto dirigente latino la gestione dei suoi immensi patrimoni fondiari stringendo con essi rapporti di tipo clientelare. 4.6. Le origini dello Stato della Chiesa Alla fine dell’VIII secolo a Roma si ebbero importanti sviluppi politici e sociali infatti ebbe fine la dominazione bizantina e si instaurò il dominio pontificio che si rafforzò con l’appoggio dei Franchi. Questo cambiamento fu reso possibile grazie all’operato dei molti pontefici che si impegnarono a estendere il loro potere su tutto il Lazio stringendo saldi legami clientelari con l’aristocrazia sia romana che bizantina. Il senato di Roma divenne il luogo dove si riuniva l’aristocrazia cittadina fedele al papa; questi uomini davano al pontefice un sostegno politico-militare e si facevano carico dell’organizzazione burocratica del nuovo Stato nascente. Nel 754 il papa Stefano II soppresse la carica del duca bizantino a Roma, ormai solo formale, e istituì quella di patrizio dei Romani (patricius Romanorum) che affidò per la prima volta a Pipino il Breve. A Roma l’autorità militare prevalse su quella civile e anche i membri del ceto dei proprietari fondiari furono inquadrati nell’esercito a seconda del loro prestigio sociale. Le nuove famiglie aristocratiche cercarono di consolidare sempre di più il loro potere attraverso il controllo delle cariche vescovili che venivano assegnate ai membri di queste famiglie e che acquisivano perciò un valore politico. 46 CAPITOLO 5 Il mondo arabo e il Mediterraneo 5.1. Il più grande impero del Medioevo Durante il VII secolo nella distesa desertica dell’Arabia si verificarono i primi eventi che avrebbero portato alla nascita della nuova religione dell’Islam. L’Islam fu anche un’ideologia capace di saper creare una forte coesione tra i popoli nomadi del deserto che in poco tempo poterono lanciarsi alla conquista di innumerevoli territori creando un vasto impero che si estese dalla Spagna all’Asia. L’avanzata araba in Europa ha avuto una grande importanza e questo fu notato per la prima volta dallo storico Henri Pirenne il quale nella sua tesi afferma che durante le invasioni dei Germani le città romane avevano mantenuto i loro caratteri fondamentali (centri di scambio, attiva vita politica) e il Mediterraneo aveva continuato ad essere un fattore di unità tra i popoli. Le cose cambiarono del tutto con l’arrivo degli Arabi infatti il Mediterraneo non fu più unito e in Occidente si assistette alla scomparsa delle città, al ritorno di un’economia prevalentemente agraria. Alcuni studiosi hanno contestato la tesi di Pirenne; Paolo Delogu ha osservato che a determinare la crisi dell’urbanesimo e dei commerci non fu l’arrivo degli arabi ma in generale l’acuirsi di una crisi già in atti da tempo; Alphons Dopsch ha inoltre chiarito che i traffici commerciali nel Mediterraneo non cessarono affatto. La tesi di Pirenne è ritenuta comunque ancora valida anche perché dei dati restano certi come il fatto che gli Arabi misero in crisi l’impero bizantino, crearono 47 cominciarono le ostilità in quanto si temeva di perdere tutte le entrate legate ai pellegrinaggi alla Kaaba. Maometto intanto continuava la sua opera ma nel 622 capì di non poter più rimanere a La Mecca e il 24 settembre giunse nella città della famiglia materna Yathrib che cambiò il suo nome in Medina (città del profeta). Questa data è molto importante perché per i musulmani segna l’inizio di una nuova era; negli anni successivi l’originalità della religione islamica si evidenziò nettamente insieme al suo scopo di radicarsi nella tradizione araba; Maometto apportò molte novità: -nel 624 prese la decisione di sostituire La Mecca a Gerusalemme come punto di orientamento della preghiera, - sottolineò il carattere esclusivistico della fede islamica: l’unica vera fede, -istituì il digiuno nel mese di ramadan in ricordo della rivelazione che aveva ricevuto nella notte tra il 26 e il 27 ramadan. 5.4. Il Corano e i pilastri della fede islamica Il Corano è il libro sacro per i musulmani nel quale nel 632 (circa venti anni dopo la morte del profeta) venne fissato il pensiero di Maometto da coloro che gli erano stati più vicini e avevano vissuto mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Nel Corano sono presenti numerosissime norme sia sulla pratica religiosa sia sulla vita sociale dei musulmani; facendo uno studio serio del testo si possono tuttavia estrapolare quelli fondamentali che costituiscono i pilastri della religione musulmana. Il primo pilastro è quello della doppia professione di fede (shahada): «Non c’è altro dio che Allah e Maometto è il suo inviato». Nella prima parte si afferma il carattere monoteistico della religione dicendo appunto che Allah è l’unico Dio mentre nella seconda parte si identifica in Maometto il profeta perfetto distinto dai tanti profeti presenti nell’Ebraismo e nel Cristianesimo. I credenti che si allontanano dall’islamismo compiono un grave peccato punibile con la morte, inoltre un musulmano poteva sposare una donna non musulmana a patto 50 però da impartire la propria religione ai figli mentre invece una domma islamica non poteva sposare un uomo di diversa religione se questo non si convertiva. I pagani e politeisti caduti in mano agli islamici per non essere uccisi dovevano convertirsi mentre gli appartenerti alle altre religioni monoteiste potevano continuare a praticarla a patto di non fare proseliti. Il secondo pilastro è la preghiera; questa deve essere sempre compiuta con il volto rivolto alla Mecca e la si può recitare in forma individuale cinque volte al giorno o in forma comunitaria nelle moschee, il venerdì a mezzogiorno. Durante il raduno del venerdì si ascolta il sermone dell’iman, un direttore spirituale il quale ha il compito di mantenere vivo tra i credenti lo spirito comunitario e di uguaglianza. Il terzo pilastro è il ramadan: il mese consacrato alle pratiche di devozione, lettura del Corano e riflessione; durante questo mese è proibito mangiare ed avere rapporti sessuali prima del tramonto. Il quarto pilastro è il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita; questo pellegrinaggio ha una funzione purificatrice e serve a rinsaldare ancora di più la fede. Il quinto pilastro è l’elemosina legale che consiste nel versare un decimo del proprio reddito; con i soldi ricavati si aiutano i fratelli indigenti. A questi 5 pilastri alcuni gruppi di musulmani ne aggiungono un sesto: la guerra santa (jihad) che ha una doppia valenza infatti, oltre a indicare la guerra vera e propria per diffondere l’Islam indica anche la lotta personale di ogni credente contro se stesso e le sue cattive inclinazioni. I successori di Maometto usarono il tema della jihad per inviare i musulmani alla conquista del mondo mascherando il tutto come tentativi di far convertire gli infedeli. 5.5. La comunità musulmana delle origini e il califfato elettivo Il merito di Maometto fu quello di sapere dare una continuazione agli aspetti tipici della società araba (come, ad esempio, la pratica della razzia, la poligamia, il 51 pellegrinaggio e il culto) riuscendo allo stesso tempo a superare i molti particolarismi delle tribù che furono organizzate e riunite intorno a un’unica fede e a un unico potere politico centrale. Quando Maometto arrivò a Medina si fece costruire una casa che ben presto divenne centro di preghiera e riferimento per tutti i convertiti della città, gran parte degli abitanti tranne gli Ebrei che successivamente furono cacciati. Da Medina Maometto organizzò diversi attacchi e razzie alle carovane che partivano dalla Mecca così i Quraishiti tentarono, senza aver fortuna, di fermare Maometto con le armi. Avendo fallito nel 629 permisero a Maometto di fare un pellegrinaggio alla Kaaba e poi, a tappe molto vicine tra loro, si avvicinarono al profeta, si convertirono e l’11 gennaio 630 gli aprirono le porte della città. Da questo momento il numero dei convertiti tra le tribù beduine crebbe in maniera esponenziale e anche i Cristiani accettavano di pagare una tassa per continuare a professare la loro religione usufruendo pero della protezione dei musulmani. Nel 632 Maometto morì e alla sua morte sorsero subito dei contrasti tra i suoi seguaci per decidere chi avrebbe preso il suo posto e sarebbe diventato il suo “sostituto” (khalifa, califfo). Questo califfo avrebbe avuto il compito delicatissimo di reggere la comunità islamica facendo riferimento allo spirito e agli insegnamenti del Profeta; la scelta cadde si Abu Bakr, suocero di Maometto e membro influente dei Quraishiti. Poiché Abu Bakr non fu accettato da tutte le tribù si verificarono delle defezioni e delle rotture interne ma questi seppe far fronte a tutte le difficoltà e ristabilire l’ordine in meno di un anno tanto che già nel 633 aveva già organizzato delle spedizioni militari verso la Siria e l’Iraq. Nel 634 anche Abu Bakr morì e per circa un decennio il problema della successione fu risolto eleggendo persone facenti parte dello stretto gruppo di parenti e compagni di Maometto (periodo del califfato elettivo); le tensioni erano però molto forti e ben tre califfi furono assassinati. 52 Gli Arabi cercarono inoltre di espugnare Costantinopoli assediandola sia via terra che via mare ma non ci riuscirono e anzi nel 677 i Bizantini distrussero la flotta araba; la capitale bizantina però fu molto indebolita da questi ripetuti attacchi. Nel frattempo altri Arabi si spinsero nel Mediterraneo orientale occupando le isole di Cipro, Creta e Rodi e infine giunsero anche nel Mediterraneo occidentale. Anche l’Africa non fu risparmiata dall’espansionismo arabo: tutta la parte settentrionale fu conquistata in meno di 50 anni; Cartagine cadde nel 698 e nel 711 gli Arabi giunsero a Gibilterra, penetrarono in Spagna e dopo soli 5 anni erano già in Gallia. Qui però furono fermati nel 732 nella battaglia di Poiters e successivamente rinunciarono a penetrare ancora in Europa e si ritirarono in Spagna. Altro fronte di conquiste durante il califfato degli Omayyadi fu quello dell’Asia centrale e dell’India; anche qui la popolazione si convertì velocemente all’islamismo e l’arrivo degli Arabi favorì lo sviluppo dell’urbanesimo e dei commerci. Proprio in Asia però scoppiarono delle rivolte che furono fatali per la dinastia omayyade, queste nacquero in seguito alla difficile convivenza tra i nuovi convertiti e gli Arabi che concentravano nelle loro mani tutte le ricchezze. 5.8. L’avvento degli Abbasidi e l’apogeo della civiltà araba Nel 747 si verificò un’insurrezione armata che determinò la fine della dinastia degli Omayyadi; questa fu ideata dalla famiglia degli Abbasidi i cui membri si ritenevano i legittimi successori di Maometto in quanto discendenti dallo zio paterno del Profeta. Grazie all’appoggio degli sciiti conquistarono il potere e per prima cosa spostarono il centro dell’impero dalla Siria all’Iraq e qui al-Mansur, primo grande esponente della famiglia abbaside, fondò nel 762 la capitale Bagdad. Le novità apportate da questa nuova dinastia furono molte; prima di tutto si procedette con la riorganizzazione dello Stato su un nuovo modello di assolutismo orientale. 55 Il califfo non fu più considerato semplicemente un sostituto di Maometto ma il rappresentante terreno di Dio stesso; il potere effettivo fu ceduto ai funzionari che riuscirono ad arricchirsi notevolmente. Uno di questi funzionari era il visir che era il responsabile dell’amministrazione centrale dello Stato. Dai cambiamenti non fu risparmiato nemmeno l’esercito; i reclutamenti non furono più fatti in base alle tribù visto che ormai era alta la percentuale di mercenari iraniani, berberi e turchi. Il fatto di limitare il predominio militare dei soli Arabi aveva come scopo quello di far affermare l’uguaglianza di tutti i musulmani di fronte allo Stato. I capi militari (amir) dell’esercito davvero molto importanti e influenti tanto che alcuni di loro si misero alla guida di movimenti secessionistici; per frenare tale tendenza fu istituita un’altra figura quella dell’emiro degli emiri: un capo supremo dell’esercito. Gli Abbasidi posero molta attenzione all’affermazione di un’unica lingua araba poiché questa avrebbe riflettuto l’unità religiosa e culturale oltre ad essere un mezzo di comunicazione tra tutti i popoli entrati nell’orbita islamica. Proprio durante il dominio degli Abbasidi si verificò un’eccezionale fioritura della cultura in nuovi campi: medicina, filosofia, fisica, astronomia e matematica mentre la produzione artistica espressa ad esempio nell’architettura sia civile che religiosa ebbe il massimo sviluppo durante la dominazione degli Omayyadi. Lo sviluppo culturale andò di pari passo con quello economico; il settore trainante fu quello agricolo che si perfezionò sempre di più grazie a molte innovazioni nell’ambito delle tecniche agrarie, dei sistemi di irrigazione e delle nuove culture. In questo periodo le città arabe tornarono a risplendere e ad avere il ruolo centrale che avevano avuto durante il periodo ellenistico-romano: furono fondate inoltre molte nuove città che si popolarono velocemente poiché offriva vano possibilità di esercitare attività produttive, commerciali e intellettuali. 56 Nelle città si svilupparono molte attività artigianali ma un ruolo di rilievo ce l’aveva il commercio; centri come Bagdad e Alessandria d’Egitto divennero grandi centri di scambio e proprio in queste città negozianti e grandi commercianti acquisirono ruoili di rilievo dando vita a una borghesia mercantile che diede impulso ad attività bancarie e finanziarie. 5.9. La rottura dell’unità islamica Queste novità avevano reso il mondo islamico molto più superiore di quello cristiano ma gli elementi di debolezza interna rimasero sempre il suo punto debole; alcuni elementi in particolare si rivelarono fatali per l’unità e la stabilità dell’impero arabo. Primo fra tutti fu l’acuirsi degli squilibri sociali causati dall’eccessivo arricchimento di alti funzionari statali, capi militari e di membri della borghesia commerciale a discapito dei piccoli coltivatori che spesso cedeva le loro terre in cambio di protezione. Il secondo elemento di instabilità fu rappresentato da l’enorme massa di emarginati e poveri che si ammassò nelle città mentre le campagne rimasero spopolate. Il grande sviluppo agricolo era infatti avvenuto nelle zone suburbane mentre il resto delle zone rurali soffriva per la mancanza di acqua e la scarsità di manodopera. Altro e determinante elemento di fragilità furono le spinte autonomistiche che governatori e funzionari locali alimentavano con la speranza di avere più potere mascherandole però con motivazioni di carattere etnico e religioso. All’inizio della dinastia abbaside queste spinte furono in qualche modo controllate, anche la formazione di dinastie locali non mise infatti mai in discussione l’unità dello Stato centrale in quanto si riconosceva il ruolo principale del califfo. Agli inizi del X secolo però le cose cambiarono: il titolo di califfo fu rivendicato sia dalla famiglia dei Fatimiti i quali, grazie anche all’aiuto degli Sciiti, avevano conquistato l’Africa settentrionale, la Siria e la Palestina, sia dall’emiro di Cordova, l’ultimo discendente degli Omayyadi che si era rifugiato in Spagna. 57 La conquista araba non causò una frattura nel Mediterraneo: i commerci dei prodotti tipici, gli scambi culturali e i contatti diplomatici continuarono sempre. La civiltà araba inoltre ebbe la straordinaria capacità di saper unire civiltà molto diverse tra di loro e in certi casi fu di stimolo all’Occidente nel far sperimentare nuove forme di potere politico e di valori spirituali. CAPITOLO 6: 2)La nascita dell’ Europa 60 Economia e società nell’Alto Medioevo 6.1. Il paesaggio e l’ambiente Tra il VI e l’VIII secolo l’Occidente cristiano attraversò un periodo involutivo che colpì tutti i settori della società. I segni di questo processo furono evidenti: le campagne furono abbandonate, molte città scomparvero e quelle rimanenti videro ridursi la propria estensione visto che gli abitanti preferirono radunarsi nelle zone cittadine meglio difendibili. Oltre alle città scomparvero i numerosi villaggi che i romani avevano costruito lungo le maggiori reti viarie che, a causa della mancata manutenzione, si deteriorarono; le vie non furono più curate poiché non c’era bisogno di utilizzarle visto che i commerci e gli scambi tra le diverse città cessarono quasi del tutto. Questo generale stato di abbandono interessò anche l’ambiente: glia argini dei fiumi non furono più curati, le paludi avanzarono e molte terre non furono più coltivate. 6.2. Il bosco tra realtà e rappresentazione mentale In seguito all’abbandono dei terreni si verificò una dilatazione delle foreste soprattutto nelle regioni al di là del Reno. Le foreste per le popolazioni dell’Alto Medioevo ebbero molta importanza sia materiale ed economico ma anche nell’ambito dell’immaginario. Per quanto riguarda l’importanza materiale si deve dire che la foresta era: - fonte di cibo infatti la caccia era praticata liberamente e inoltre le persone raccoglievano i frutti che nascevano spontaneamente; - la foresta inoltre dava la legna, essenziale per riscaldarsi, costruire case, mobili e attrezzi; - in alcune foreste venivano portati gli animali a pascolare. Il bosco però rappresentava anche un luogo misterioso e meraviglioso; si immaginava che tra la penombra degli alberi vivessero streghe, mostri ma anche 61 eremiti e santi e questo fece sì che proprio nei boschi venissero ambientate storie sia magiche che agiografiche. 6.3. Il calo demografico Tra il V e l’VIII secolo perciò l’assetto sociale, economico e culturale dell’antichità cambiò radicalmente; sia città che campagne si spopolarono e tra i centri abitati si crearono grandi spazi vuoti. A questo punto però non si arrivò improvvisamente ma attraverso un lento declino avviatosi già nel II-III secolo a cui si era cercato inutilmente di porre rimedio attraverso l’accoglimento dei Germani all’interno dei confini dell’impero. La decadenza fu causata anche da un insieme di fattori che combinati tra loro crearono una situazione molto critica: guerre e devastazioni arrivarono insieme alle pestilenze, come la tubercolosi, la peste e la malaria, e alle carestie e proprio queste impedirono un rapido ripopolamento. Una guerra lasciava la popolazione in uno stato si fragilità; se poi all’abbassamento del tasso di natalità si aggiunge il fatto che molti erano debilitati spiega la facile via al contagio di malattie e delle ondate epidemiche. La crisi demografica non ebbe ovunque la stessa gravità; in Italia raggiunse il massimo mentre nelle fredde regioni dell’Europa orientali si avvertì meno anche perché le temperature rigide ostacolavano un rapido diffondersi delle malattie. 6.4. La centralità della campagna Le città in buona parte provvedevano ai propri bisogni con le risorse prodotte all’interno delle mura o nelle zone suburbane; a risentirne furono i commerci e gli scambi tra le città che comunque, specialmente in Italia, non si interruppero mai del tutto. Nonostante ciò la realtà che si affermò in questo periodo fu quella della campagna. La produttività agricola subì un calo radicale a causa del carattere 62 In origine la condizione degli schiavi era ben diversa da quella dei coloni liberi; con la diffusione del Cristianesimo (nonostante la Chiesa non condannò mai la schiavitù) le loro condizioni migliorarono e gli fu concesso di farsi una famiglia e possedere qualche bene. I proprietari fondiari divennero invece protettori dei loro dipendenti e cercarono di far valere anche la giustizia: organizzavano la difesa del territorio, decidevano in merito a piccole controversie, prestavano sementi o grano per far fronte alle carestie. In questo modo i piccoli proprietari si trovarono ad essere sempre più dipendenti dal proprietario fondiario di cui riconoscevano l’autorità. 6.8. Economia naturale ed economia monetaria In molti credono che durante l’Alto Medioevo l’Europa tornò a un tipo di economia naturale fondata solo sui baratti e con un esiguo numero di scambi; l’Europa era sì impoverita ma ciò non causò l’assenza totale dei commerci. Le stesse curtis infatti non riuscivano ad avere un’autosufficienza produttiva (si pensi alla necessità di stoffe o metalli); è stata testimoniata l’esistenza di fiere e mercati locali in cui si vendevano i prodotti in eccedenza e durante i quali gli abitanti di villaggi diversi avevano contatti. Anche le città, sebbene molto ridotte, continuavano ad essere sede delle botteghe artigianali e non è vero che in città non andava più nessuno visto che ogni contadino vi si recava per stilare contratti agrari, per portare al signore i prodotti dovuti, per partecipare alle funzioni religiose. Naturalmente il commercio monetario riguardava pochi beni e venivano coniate per la maggior parte monete d’argento di poca valuta; le pochissime monete d’oro venivano utilizzate per acquistare i beni di lusso provenienti dall’Oriente mentre quelle in eccesso venivano fuse per realizzare gioielli o oggetti sacri per la chiese. 65 CAPITOLO 7 L’impero carolingio e le origini del feudalesimo 7.1. L’ascesa dei Pipinidi 66 La storia dell’Europa nell’Alto Medioevo fu segnata anche da una serie di eventi politici che crearono le premesse per una rinascita; alcuni di questi importanti eventi sono legati all’evoluzione del regno dei Franchi. Dopo la morte di Clodoveo il regno era stato diviso in quattro parti: la Neustria, l’Austrasia, l’Aquitania e la Borgogna e ciò aveva causato un indebolimento del potere regio. Questi quattro entità politiche e territoriali erano in forte concorrenze tra loro e nel VII secolo si verificò una guerra per l’egemonia che interessò maggiormente la Neustria e l’Austrasia e che fu combattuta non dai sovrani ma dagli effettivi detentori del potere: i maestri di palazzo. Dopo diverse fasi nel corso del VII secolo si imposero i Pipinidi: i maestri di palazzo dell’Austrasia; l’artefice della vittoria fu Pipino II di Heristal che dal 687 al 714 detenne il potere in Austrasia, Neustria e Borgogna. A lui succedette il figlio Carlo Martello che ebbe il merito di ricomporre sotto un unico potere politico tutto il territorio e di estendere l’autorità del potere regio su territori come la Frisia e la Turingia dove ancora il potere franco non si era imposto. Carlo rivolse i suoi interessi verso l’Aquitania e affrontò anche il pericolo degli Arabi che avevano valicato i Pirenei sconfiggendoli nel 732 a Poitiers e ciò gli diede fama di campione della cristianità. Alla sua morte nel 741 divise il regno tra i suoi figli: - al primogenito Carlomanno andò l’Austrasia, l’Alemannia e la Turingia - al secondogenito Pipino il Breve lasciò invece la Neustria, la Borgogna e la Provenza. I due fratelli purtroppo non riuscirono a tener testa come aveva fatto il padre all’aristocrazia e per mantenere l’ordine ripristinarono la monarchia merovingia elevando al trono un re fantasma, Childerico III. Carlomanno e Pipino inoltre appoggiavano la missione evangelizzatrice fra i Frigi e i Sassoni del monaco anglosassone Bonifacio e la sua opera fu fondamentale per immettere nell’orbita cattolica il popolo franco. 67 I Franchi avevano perciò un forte potere militare che Pipino il Breve, una volta salito al trono, sfruttò subito per iniziare la sua espansione in Europa. Il primo popolo che i Franchi sconfissero fu quello dei Longobardi; come ben sappiamo i Longobardi si trovavano in Italia e proprio nell’VIII secolo, guidati dal re Astolfo, stavano cercando di completare la conquista di tutti i territori rimasti in mano ai Bizantini. I longobardi fecero l’errore di avvicinarsi troppo ai possedimenti della Chiesa; il pontefice Stefano II nel 754 infatti, sentendosi minacciato, si recò in Francia a chiedere aiuto a Pipino. Stefano II conferì a Pipino il titolo di patrizio dei Romani che aveva il significato di protettore della Chiesa romana. Pipino non si fece convincere subito anche perché a corte c’era un forte partito filo longobardo che era capeggiato dal fratello del re (il monaco a Montecassino) e che si oppose a un intervento franco. Nel 755 Pipino decise di avviare la spedizione militare e subito fu palese la differenza tra l’esercito potente e ben organizzato dei Franchi e quello formato da uomini liberi dei Longobardi. Quest’ultimo fu letteralmente travolto dalle schiere franche alla Chiusa di San Michele, l’esercito si rifugiò poi a Pavia ma cadde dopo un breve assedio. Pipino strappò ad Astolfo la promessa di cedere al papa tutti i territori Bizantini che avevano conquistato e la città di Ravenna ma appena si allontanò dall’Italia Astolfo si rimangiò la promessa e attaccò Roma. Pipino fu allora costretto a intraprendere una nuova missione nel 756 e questa volta sconfisse definitivamente Astolfo il quale fu costretto a cedere gli ex territori bizantini alla Chiesa. Anche dopo questa seconda missione Pipino non richiese nulla in cambio e onorò solamente il suo titolo di protettore della Chiesa tanto che il successore di Astolfo, re Desiderio mostrò propositi pacifici volendo stringere rapporti di amicizia con i Franchi. 70 A sancire questi nuovi rapporti tra i due popoli furono i matrimoni dei due figli di Pipino (Carlomanno e Carlo) con le due figlie di Desiderio (Gerberga e Ermengarda): la pace durò circa 15 anni durante i quali morirono il papa, Pipino e Carlomanno. Carlo, rimasto erede, ripudiò la moglie e scacciò la vedova e i figli del fratello; questi tornarono da Desiderio che per vendicarsi attaccò i territori pontifici e la stessa Roma causando di nuovo l’intervento dei Franchi chiamati dal nuovo papa Adriano I. Anche questa volta i Franchi ebbero la meglio:nel 773 Carlo confisse i Longobardi e dopo aver assediato Pavia per dieci mesi costrinse Desiderio a seguirlo in Francia come prigioniero. Il figlio Adelchi provò a fare qualcosa ma nulla potè contro la potenza franca e fu costretto a cercare rifugio in Oriente mentre invece i duchi longobardi si sottomisero senza opporre resistenza al vincitore al fine di poter mantenere i loro patrimoni. Nel 776 però, in seguito a un tentativo di rivolta dei duchi, Carlo inviò propri funzionari, conti e vassalli franchi che assicurarono al sovrano un maggior controllo sul territorio italiano. 7.4. Le altre conquiste di Carlo Carlo oltre che sul fronte italiano fu impegnato anche su altri fronti sia interni (imporre l’autorità regia su Borgogna e Provenza) che fuori dai confini franchi. Nel 778 con un ingente esercito si recò verso la Spagna con l’obiettivo di mettere fine alla minaccia musulmana dei Mori e dei Saraceni ma dopo la vittoria a Pamplona fu costretto a tornare indietro per fronteggiare una rivolta dei Sassoni. Durante la ritirata il suo esercito cadde in un’imboscata dei Baschi presso Roncisvalle dove persero la vita molti cavalieri tra cui il leggendario Rolando la cui sofferenza di Carlo fu menzionata negli Annales regni Francorum. Nell’801 Carlo intraprese una nuova spedizione in quei territori e nell’813 riuscì a creare il nuovo distretto della Marca hispanica comprendente la Navarra e la Catalogna. 71 Negli anni tra la prima e la seconda spedizione Carlo aveva affrontato dei problemi a Nord e a Est del suo regno: a Nord infatti i sassoni mostravano una fiera resistenza all’autorità franca e alla diffusione del Cristianesimo. Carlo era riuscito a piegare i nobili ma non la grande massa di contadini che si mantennero in armi per molti anni. Solo nell’804 finalmente si raggiunse una situazione pacificata e si potè dare un nuovo ordinamento ecclesiastico. Nella parte orientale in concomitanza con la rivolta sassone c’era stata la rivolta della Frisia e della Baviera rivolte che persero subito vigore dopo la sconfitta dei sassoni; nel 788 Carlo incorporò al suo regno Frisia, Baviera, Carinzia e Austria. Con queste annessioni il regno franco aveva raggiunto notevoli dimensioni estendendosi in tutta l’Europa centrale, in Spagna, nell’Italia centrale, nel bacino dell’Elba. Le molte spedizioni militari e missionarie ebbero come risultato quello di stabilizzare i confini del regno e favorire la diffusione del Cristianesimo. 7.5. L’incoronazione imperiale di Carlo Magno Carlo aveva radunato alla sua corte molti uomini di cultura e questi gli fecero capire quanto importante fosse il suo ruolo e quanto grande fosse diventato il suo potere; questi gli fecero acquisire una nuova ideologia del potere assimilabile a quella degli imperatori dell’antica Roma. Anche la Chiesa romana man mano che il suo potere cresceva glia attribuiva prerogative e benefici che prima erano dell’imperatore d’oriente; Carlo si sentiva molto vicino all’ideologia romana, cercava di imitare il grande Costantino e come lui fondò una capitale, Aquisgrana ispirandosi ai modelli urbanistici delle antiche città romane; nonostante ciò negli atti ufficiali continuava a usare i titoli ufficiali di «Re dei Franchi, re dei Longobardi, patrizio dei Romani». Sul finire dell’VIII secolo si verificarono degli eventi che sancirono il suo ruolo e che diedero un solenne riconoscimento alla sua autorità; dal 797 il trono bizantino aveva perso molta della sua dignità a causa dell’ignobile gesto 72 Dal punto di vista dell’ordinamento dell’impero possiamo dire che ci fu un mutamento in positivo in quanto tutto divenne più strutturato e ordinato. L’amministrazione dell’impero aveva la sua sede nel palazzo; con il termine palatium si indicava allo stesso tempo sia la residenza dell’imperatore che l’insieme di tutti i funzionari e dei dignitari del suo seguito. Un ruolo di primo piano era affidato a tre funzionari: 1. l’arcicappellano: preposto a tutti gli affari di natura religiosa 2. il cancelliere: responsabile della redazione di diplomi, lettere del re e testi legislativi 3. i conti palatini: responsabili dell’amministrazione della giustizia e delegati del re in casi eccezionali. Tra i personale di palazzo Carlo sceglieva anche i missi dominici, degli ispettori che inviava in coppia (un laico e un ecclesiale) a visitare una contea e controllare l’operato dei funzionari. Questa organizzazione amministrativa era sì efficiente ma sempre inferiore a quella di Costantinopoli, inoltre la corte non aveva una sede fissa ma si spostava sempre per consumare in loco le risorse delle diverse ville imperiali. Questi spostamenti avevano però il carattere positivo di creare un rapporto più stretto con le comunità locali anche se la corte gravitava sempre nei territori limitrofi ad Aquisgrana. 7.7. L’attività legislativa di Carlo Magno Carlo Magno cercò di dare omogeneità ai suoi domini con un’intensa attività legislativa concretizzata nei capitolari, leggi formate da brevi articoli (capitula) emanate durante i placiti: assemblee che si riunivano circa due volte all’anno. I capitulari trattavano materia di diritto pubblico e l’organizzazione dell’apparato ecclesiastico mentre solo alcuni di essi, i capitularia legibus addenda, erano 75 integrazioni delle leggi nazionali e trattavano perciò anche argomenti di diritto privato e penale. Gli interventi in campo economico furono anche frequenti sia per migliorare la gestione delle ville facenti parte del patrimonio regio ma anche per proteggere piccoli proprietari e ceti rurali dalle pressioni dell’aristocrazia che spesso sfruttava la povertà dei contadini a proprio vantaggio. Sempre per proteggere le classi meno fortunate Carlo cercò di fermare l’aumento dei prezzi ma tutte queste leggi valevano a ben poco visto che il già esiguo apparato amministrativo del re era formato da funzionari pubblici aristocratici che non erano disposti a far rispettare quelle leggi che andavano a colpire la loro classe sociale di appartenenza. I capitolari trattarono anche la materia fiscale e monetaria. L’economia monetaria romana era ormai solo un ricordo e non era ancora possibile dare l’avvio a un sistema di imposte fondiarie così si pensò di regolamentare le imposte dei dazi e dei pedaggi per strade, ponti e valichi anche per non ostacolare quei pochi traffici che esistevano. In campo monetario i funzionari carolingi cercarono di recuperare il pieno controllo di tutte le zecche evitando la produzione di monete di scarso prestigio e favorendo invece la produzione di quelle d’argento. La moneta circolante fu il soldo per le merci di valore elevato mentre il denaro si usò per le transazioni più frequenti. 7.8. La riforma di chiese e monasteri Sia il padre di Carlo come poi anche lui e il suo successore si impegnarono molto nell’opera di restaurazione della Chiesa e questo per motivi politici oltre che religiosi. Per gli ecclesiastici di corte l’impero coincideva con tutta la comunità cristiana che era retta, in comunione di intenti dal papa e dall’imperatore. 76 Da parte sua Carlo sceglieva vescovi e abati tra coloro che gli erano più fedeli proprio perché le istituzioni ecclesiastiche svolgevano un ruolo importantissimo nell’inquadrare la popolazione e dare stabilità al suo dominio. Non a caso quando un nuovo territorio veniva annesso all’impero subito venivano mandati i missionari e veniva introdotto il modello organizzativo della Chiesa franca che si costituiva in province (con a capo gli arcivescovi), diocesi e pievi (circoscrizioni parrocchiali) dove vivevano piccole comunità di chierici. Uguale zelo fu rivolta nell’opera di riforma dei monasteri; la nobiltà franca forniva ai monasteri protezione politica e militare anche perché spesso a capo di questi venivano scelti abati e badesse appartenenti alle stesse nobili famiglie. I monasteri però avevano perso ogni prestigio religioso a causa dell’affievolirsi della disciplina interna e della dispersione dei loro patrimoni a causa della cattiva gestione di abati senza una vera e autentica vocazione. Fu premura di Carlo Magno ristabilire l’antica disciplina e negli anni a lui successivi Ludovico il Pio impose ai monasteri la regola di san Benedetto; la riforma religiosa previde anche un progetto che mirava ad elevare il livello culturale dei monaci e dei chierici attraverso delle scuole presso le chiese e i monasteri dove vennero insegnate le arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia), la teologia, il canto gregoriano e il diritto ecclesiastico. A queste scuole vennero ammessi anche gli esponenti delle famiglie nobili che in futuro avrebbero avuto di certo carriere come funzionari pubblici anche se Carlo aveva il desiderio di aprire le scuole a tutti i suoi sudditi. 7.9. La rinascita carolingia Ad Aquisgrana , sempre per desiderio di Carlo, si costituì la Schola palatina, un cenacolo di intellettuali per la maggior parte ecclesiastici e di avria cultura che si riunivano per discutere insieme e che istruirono i figli dei funzionari di corte. 77 affermò pubblicamente che quando un imperatore non fosse più stato in grado di governare e garantire stabilità e pace sarebbe stato compito del pontefice intervenire al suo posto. Questa affermazione fu gravida di conseguenza in quanto creò le premesse per gli interventi anche in campo politico della Chiesa. Nell’840 Ludovico il Pio morì e la situazione precipitò a causa degli scontri tra Lotario e i fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo (succeduto a Pipino); l’alleanza dei due fratelli ebbe la meglio su Lotario che nell’843 fu costretto ad accettare il trattato di Verdum che sanciva la divisione dell’impero: - a Carlo il Calvo andò la parte occidentale (Neustria, Aquitania e marca spagnola), - a Ludovico il Germanico la parte orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia e Sassonia, - a Lotario la parte centrale (nord Italia, Provenza, Borgogna, Lorena e Olanda) e il titolo imperiale che però era privo di ogni validità fuori dai suoi confini. Lotario si trovò inoltre a dover governare territori molto diversi tra loro, poco omogenei sia culturalmente che linguisticamente; morì nell’855. A Lotario succedette il figlio Ludovico II che morendo nell’876 lasciò il suo regno e la corona allo zio Carlo il Calvo che regnò fino all’884. Poiché né Ludovico II né Carlo avevano lasciato eredi il figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso, potè di nuovo riunire sotto il suo controllo tutto l’impero che aveva conquistato Carlo Magno. Purtroppo Carlo il Grosso non fu capace di fronteggiare le incursioni dei Normanni, gli intrighi di corte tessuti dall’aristocrazia; il suo carattere debole lo indusse ad abdicare nell’887 e ritirarsi in un monastero dove morì l’anno dopo. La parte orientale con la dignità imperiale andò ad Arnolfo di Carinzia; la Francia andò al conte di Angers, re Oddone; il regno d’Italia fu attribuito al marchese del Friuli Berengario il quale era lontanamente imparentato con i Carolingi. 8.2. La dissoluzione dell’ordinamento pubblico 80 Questa volta la dissoluzione dell’impero sembrò veramente definitiva visto che, al contrario delle altre volte in cui si verificarono delle fratture territoriali, la crisi interessò l’intera organizzazione dell’impero e a tutti i livelli. Il potere centrale faceva ormai troppa fatica a frenare i poteri locali, i feudi e le stesse cariche erano diventate ereditarie; si crearono delle piccole realtà anche all’interno delle contee che sfuggirono al controllo del conte il quale riuscì a mantenere una certa autorità solo nei territori del feudo e suoi possedimenti privati. L’unico mezzo che i conti avevano per dare stabilità al loro potere erano i rapporti vassallatici ma spesso superavano i confini delle loro circoscrizioni creando tensioni con le grandi signorie monastiche e vescovili che però tendevano ad espandersi molto forti dell’immunità di cui godevano. Queste immunità creavano Stati nello Stato e causarono la nascita di signorie più o meno ampie all’interno delle quali i titolari svolgevano tutti i compiti di un vero e proprio sovrano (potere militare, fiscale, giudiziario, amministrativo, legislativo). Per indicare queste nuove realtà dell’Europa tra il IX-X secolo si usa l’espressione di «signoria bannale» (banno= potere di comando per una finalità pubblica); spesso grandi proprietari terrieri esercitavano abusivamente i poteri di comando poiché non avevano mai ricevuto deleghe dal re né dai suoi funzionari. Questa grande debolezza dell’amministrazione carolingia era stata causata dal carattere rudimentale del suo ordinamento; il sistema dello stipendio ai funzionari in un regno ancora povero di risorse monetarie aveva infatti indotto i sovrani a ricompensare con le terre i suoi funzionari ma non si era tenuto in conto che ogni funzionario si sarebbe radicato in quel territorio cercando di sottrarlo al patrimonio regio. Tale processo tra la fine del IX secolo e l’inizio del X subì un’accelerazione a causa delle migrazioni di nuovi popoli e delle incursioni dei Saraceni sulle coste francesi e italiane. 8.3. Le invasioni degli Ungari 81 La formazione dell’impero franco non aveva fermato le migrazioni dei popoli seminomadi che continuavano a spostarsi nelle zone che non avevano ancora una sistemazione etnico-territoriale. Durante la seconda metà del IX secolo nell’area che si estendeva dal Baltico fino al Mediterraneo dalla Russia centrale arrivarono gli Ungari; tra l’895 e l’896 di stanziarono in Pannonia (l’attuale Ungheria) e da lì partivano per compiere incursioni predatorie sia nell’Europa carolingia sia in Germania, in Francia (nel 937 raggiunsero Parigi) e in Italia (nell’899 devastarono Pavia e nel 947 giunsero fino in Puglia); nel X secolo gli Ungari si spinsero fino in Spagna e in Belgio. Le formazioni politiche nate dopo la dissoluzione dell’impero furono del tutto inadeguate a far fronte alla minaccia di questo popolo e, poiché non avevano risorse militari, cercarono di fermarli offrendogli denaro e cercando di indirizzarli verso territori nemici. I monasteri, privi di difese e ricchi di beni, furono i più colpiti da questi saccheggi mentre le città non subirono gravi danni poiché i nemici non sapevano organizzarsi per pore la città in assedio per lunghi periodi. La minaccia degli Ungari finì quando in Germania Ottone I riorganizzò il regno di Germania e li sconfisse in una battaglia presso Augusta (955) e quando tra il popolo ungaro si diffuse la religione cristiana (la conversione fu sanzionata nel 1001) che ebbe il merito di dare una forte limitazione alla loro spinta espansionistica. 8.4. Le incursioni dei Saraceni Un’altra minaccia all’Europa cristiana arrivò dai Saraceni; questi dopo aver completato la conquista della Sicilia nel 902 iniziarono ad attaccare e compiere razzie in tutto l’Occidente. Il territorio che venne letteralmente investito dalle razzie arabe fu l’Italia che pagava il prezzo per la sua fragilità causata dalla disgregazione politica; i Saraceni furono liberi di creare emirati a Bari e Taranto, in queste basi costruivano insediamenti fortificati e poi da lì partivano per le loro incursioni. 82 - un villaggio fortificato preesistente che viene circondato di fossato e mura difensive con all’interno la dimora fortificata del signore. Con la costruzione dei castelli la distribuzione della popolazione nel territorio fu molto modificata in quanto i piccoli agglomerati sparsi cominciarono a unirsi all’ombra della fortezza per essere meglio protetti ne risultò che rimasero in funzione le reti viarie che collegavano i centri fortificati e le pievi rurali scomparvero per far posto alle parrocchie che nacquero nell’ambito territoriale del castello. 8.7. Il groviglio dei diritti signorili e l’evoluzione dei rapporti vassallatico-beneficiari L’Europa del X secolo non fu comunque caratterizzata dalla completa assenza di un ordinamento pubblico che esercitasse un potere sul territorio al contrario la società, abbandonata a se stessa, dava vita a una moltitudine di poteri che entravano in conflitto tra di essi e diedero vita a quel che si definisce «il secolo di ferro». La società dava segni di vitalità e proprio durante questo secolo cominciò a riorganizzare le proprie strutture riorganizzandosi dal basso con nuove metodologie più adeguate alla società di quel periodo. I problemi erano molti, ad esempio una famiglia poteva avere in affitto terre appartenenti a signori diversi, i domini signorili non erano definiti e il territorio risultava perciò molto frantumato. Anche l’istituzione del vassallaggio entrò in crisi poiché subì un profondo cambiamento di significato infatti se in origine il feudo era la ricompensa per una già consolidata fedeltà adesso il processo si era invertito, un signore doveva dare un feudo per avere in cambio la fedeltà di un vassallo. Un cavaliere poteva anche prestare l’omaggio e fedeltà a più signori per ottenere più feudi e se i due signori fossero entrati in conflitto si sarebbe schierato dalla parte del signore che gli aveva concesso il feudo più grande; il feudo, inoltre, divenne patrimonio familiare ed ereditario. 85 Il risultato di questi cambiamenti e la nascita dei nuovi poteri locali ebbe come risultato la nascita di una complessa rete di rapporti politici caratterizzata però dalla frammentarietà e dalla frantumazione politica. Solo i grandi complessi feudali riuscirono a mantenere una struttura più o meno stabile e a far valere i propri principi. In Francia, ad esempio, la famiglia dei Robertingi assunse la corona con Ugo Capeto (987-996) ma il potere regio si esercitava solo su una zona ristretta compresa tra Parigi e Orléans mentre il resto del territorio era strutturato in tanti piccoli organismi territoriali autonomi. 8.8. La crisi dell’ordinamento ecclesiastico All’Europa del X secolo mancarono le risorse materiali ed intellettuali per far funzionare delle grandi strutture organizzative e la prova è data dal fatto che oltre alla crisi dell’ordinamento pubblico carolingio si assistette alla contemporanea crisi dell’ordinamento ecclesiastico. Durante il regno di Carlo Magno e dei suoi immediati successori si cercò di innalzare il livello culturale del clero, di destinare ingenti somme per l’efficiente funzionamento di chiese e monasteri che avevano il compito di evangelizzare e aiutare i poveri. Tra il IX e il X secolo però questa buona riforma fu abbandonata e il clero attraversò un periodo di profonda crisi poiché i vescovi cominciarono ad occuparsi delle questioni materiali tralasciando le attività spirituali e religiose per dedicarsi a intessere rapporti di vassallaggio. Alcuni membri del clero arrivarono al punto di assegnare in feudo le stesse risorse della Chiesa, interferivano nella gestione patrimoniale dei monasteri; i vescovi inoltre avevano il controllo su molte chiese infatti la legislazione canonica prevedeva che il proprietario di una chiesa avesse solo il dovere di presentare al vescovo il chierico che lui aveva scelto ma sia le funzioni di carattere religioso (come i programmi 86 dell’attività pastorale) sia i compiti inerenti all’amministrazione dei beni settavano al vescovo. Nella realtà invece al vescovo restava poco o nulla dei vecchi compiti in quanto poteva opporsi alla scelta dei laici solo in caso di apparente indegnità del candidato; le chiese si sentì forte l’ingerenza dei laici, questo fenomeno si manifesto però anche a livelli più alti visto che re e principi non esitavano a imporre propri prescelti alla guida di diocesi e abbazie per assicurarsi un solo sostegno. In Italia e Germania al tempo di Ottone I alcuni vescovi vennero addirittura nominati conti e furono così direttamente coinvolti in affari di natura temporale. I successori di Lotario riuscirono a controllare anche il papa; Ludovico II esercitò un diretto controllo sulla stessa elezione dei pontefici ma si scontrò con il carattere energico e deciso di Niccolò II (858-867) il quale cercò, senza però ottenere risultati degni di nota, di far nuovamente affermare il primato della Chiesa sui poteri temporali. Il papato era troppo debole e pressato da due fronti: il potere imperiale da un lato e quello dell’aristocrazia romana dall’altra. CAPITOLO 9 L’Italia fra poteri locali e potestà universali 9.1. La frantumazione politica dell’Italia All’interno del complesso quadro socio-politico dell’Europa nel X secolo l’Italia mostrò caratteri particolari; nei suoi territori si verificarono tutti i fenomeni esistenti nel resto dell’Europa ma ciò che la caratterizzò fu la coesistenza di localismo (esasperato particolarismo politico) e universalismo (presenza di autorità con funzioni universali). Il quadro politico della penisola era molto frammentato in quanto esistevano diverse entità sul piano giuridico-politico: 87 Il papato senza il sostegno del potere imperiale aveva perso il suo ruolo privilegiato all’interno della Cristianità occidentale; ben presto si provò a dover fronteggiare l’aristocrazia romana che divenne arbitra dell’elezione papale, che perse la sua dignità, e usurpava il patrimonio fondiario della Chiesa mentre la città di Roma diventava sempre più povera e spopolata. In quel periodo a Roma aveva grande influenza la famiglia dei conti di Tuscolo; Marozia, un’appartenente di questa famiglia, nel 932 aveva sposato il re d’Italia Ugo di Provenza sperando che il figlio di questa, Giovanni XI, potesse fargli ottenere la corona imperiale. Il fratello del papa, Alberico, promosse però una rivolta popolare per fermare questa incoronazione e fino al 954 governò sapientemente la città e il papato con il titolo di «principe e senatore dei Romani». Alberico non permise a nessun sovrano di entrare a Roma per essere incoronato come imperatore per cui l’impero dal 924 era rimasto vacante; solo suo figlio, salito al seggio pontificio con il nome di Giovanni II, permise nel 962 a Ottone I si ricevere da lui la corona imperiale. Ottone tuttavia nel 963 lo fece dichiarare decaduto da un sinodo. 9.4. Ottone di Sassonia e la restaurazione dell’impero Per Ottone di Sassonia essere incoronato imperatore rappresentava il coronamento di una lunga e intensa attività politico-militare intrapresa prima di lui da suo padre, Enrico Uccellatore (919-936). Ai tempi di Enrico il regno di Germani era costituito dai ducati di Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera e Lorena; non si sa con certezza se questi territori avessero una comune base etnica ma quel che è certo che i funzionari pubblici e l’aristocrazia riuscirono a dar vita a grandi formazioni politico-territoriali e a far nascere nella popolazioni una coscienza di appartenenza popolare. Durante il regno di Ottone, nel X secolo, la coscienza nazionale tedesca si radicò ancor di più anche perché Ottone si impegnò ad esercitare la sua autorità in 90 modo omogeneo in tutti i ducati e inoltre mise dei suoi familiari a capo dei ducati anche se a volte la sua fiducia fu mal ricompensata con rivolte che sempre riuscì a sedare. Un altro grande appoggio di cui si giovò Ottone fu quello dei vescovi che il re coinvolse nel governo delle contee e delle città dotandoli anche di nuclei armati e in cambio chiese maggiore rigidità dei costumi religiosi e la ripresa degli studi nelle abbazie e nei monasteri. Il re si configurò come vero capo religioso della Chiesa tedesca in quando aveva piena libertà nella nomina di vescovi e abati che venivano scelte tra i membri delle famiglie a lui più fedeli. L’incoronazione a Roma nel 962 fu paragonata dai contemporanei a quella di Carlo Magno poiché si ripresentarono le condizioni per la ricostituzione di un saldo impero basato su uno stretto connubio tra Stato e Chiesa, sulla ripresa di un’attività culturale, religiosa e su un riordinamento dell’apparato statale. Come fu anche per l’impero carolingio il nuovo impero trasse ispirazione dall’universalismo dell’antica Roma a dalla missione di protettori della Cristianità e del papato. 9.5. La politica italiana degli Ottoni Ottone risedette in Italia dal 961 al 964, negli anni di questa sua permanenza cercò di risollevare le condizioni del papato avvilito dai troppi anni senza una guida forte e in mano all’aristocrazia romana. Per prima cosa depose Giovanni XII e si prese l’incarico di garantire la correttezza dell’elezione papale. Nel 966 Ottone ritornò in Italia e rimase per ben sei anni; nel 967 fece incoronare imperatore il figlio Ottone II e dopo si diresse verso sud per conquistare i territori longobardi e bizantini. Con i Longobardi non ebbe grosse difficoltà visto che i principi di Benevento e Capua si riconobbero suoi vassalli; diversa storia ci fu per Bari infatti nel 968 fu sconfitto e intavolò delle trattative con l’imperatore orientale Niceforo Foca che non 91 ebbero però alcun risultato positivo. Altre trattative si svolsero con il successore di Niceforo, Giovanni Zimisce, il quale nel 972 riconobbe il titolo a Ottone e acconsentì alle nozze tra e Ottone II e la principessa Teofane la quale portava come dote i territori bizantini dell’Italia meridionale. Ottone I morì nel 973 lasciando una costruzione politica abbastanza stabile grazie all’appoggio dei vescovi che aveva ottenuto grazie alla sua lunga residenza in Italia; ma per suo figlio Ottone II governare non fu così facile visto che dovette affrontare molte situazioni difficili:  in Germania i duchi di Lorena, Svevia e Baviera volevano recuperare la loro indipendenza;  in Italia la situazione si complicò in quanto a Roma l’aristocrazia aveva ripreso potere uccidendo il filo imperiale Benedetto VI e eleggendo Bonifacio VII  nella parte meridionale della penisola i Longobardi stavano organizzando rivolte, i Saraceni avevano iniziato a fare le loro incursioni e i Bizantini non si curavano più dei patti stipulati tra Ottone I e Zimisce. Nel 980 Ottone scese in Italia e arrivò a Roma; nel 982 fu sconfitto dai Saraceni in Calabria e nel 983 morì a soli 28 anni. Il suo erede, Ottone III, era ancora piccolo a la reggenza spettò prima alla madre Teofane e poi alla nonna Adelaide; nel 996 compì 16 anni e potè raccogliere l’eredità del padre. Con lui si rinvigorì il carattere universale dell’impero e il suo connubio con la Chiesa. Come primo atto Ottone III nominò pontefice un suo parente, Gregorio V (996-999) e quando questi morì nominò il suo maestro che prese il nome di Silvestro II (999- 1003). Per tenere sempre saldi i rapporti con il pontefice Ottone III si trasferì a Roma; il sup programma di restaurazione dell’impero prevedeva la sottomissione di tutte le podestà terrena e si proponeva di guidare la Cristianità alla felicità terrena e alla salvezza eterna. 92 Città come Amalfi, Gaeta, Napoli, Salerno, Bari, Taranto e Reggio si erano sviluppate molto grazie ai commerci con il mondo bizantino e i contatti con quello arabo; in queste città (sia bizantine che longobarde) erano nati nuovi ceti sociali legati alle attività commerciali e artigianali e pian piano emergeva sempre di più una coscienza cittadina che dava consapevolezza di poter avere un ruolo politico. Le differenze tra città bizantine e longobarde erano più nette fuori dei centri urbani: nelle zone longobarde ci fu la tendenza alla creazione di signorie fondiarie e territoriali per iniziativa dei funzionari pubblici che tendevano a radicarsi sul territorio e sottrarsi ai poteri del principe. Il potere di questi funzionari non aiutava alla diffusione di un clima di sicurezza e proprio per questo anche al Sud si assistette al fenomeno dell’incastellamento. Le aree bizantine di Puglia, Basilicata e Calabria erano organizzate in tre temi, Longobarda, Lucania e Calabria poste ognuna sotto il controllo di uno stratega bizantino e nel X secolo per creare un ancora più stabile rapporto con Bisanzio questi tre temi furono inseriti nel catepanato d’Italia con sede a Bari. I Bizantini cercarono anche di avere l’appoggio dei vescovi e di sottometterli all’autorità di Costantinopoli, concessero molti titoli onorifici ai membri del ceto dirigente locale, potenziarono ancor di più l’efficiente struttura amministrativa e cercarono di far diffondere i modelli culturali e spirituali del mondo bizantino. Tutto questo fu messo il atto con il solo obiettivo di dare stabilità alla dominazione bizantina nel sud Italia che di certo appariva molto diverso se confrontato alle formazioni politiche post-carolinge. 95 CAPITOLO 10 Splendore e declino di Bisanzio 10.1. La grecizzazione dell’impero Alla fine dell’VIII secolo i territori bizantini corrispondevano a circa un terzo del territorio del tempo di Eraclio (610-641); le perdite a causa degli attacchi arabi, slavi, longobardi e bulgari erano state molte e solo a partire dal IX secolo le dinastie bizantine iniziarono con rinnovato vigore una politica espansionistica per ritrovare l’antico splendore. Nel periodo più buio comunque vennero attuate diverse riforme come:  quella amministrativa: per dare una struttura organizzata al territorio devidendolo in temi con a capo uno stratega,  quella territoriale, per distribuire in maniera razionale i possedimenti,  quella militare, i soldati (stratioti) erano allo stesso tempo colonizzatori e proprietari delle terre,  quella sociale, venne favorita la nascita di una classe di contadini liberi che potevano godere di piccole proprietà. L’impero bizantino doveva preoccuparsi di difendere i propri confini e si chiuse nelle sue frontiere, perse le sue pretese di universalismo e acquistò un carattere più orientale tanto che anche la lingua ufficiale non fu più il latino ma il greco. 96 Il titolo imperale non fu più imperator, Caesar o augustus ma basileus; nell’ambito del diritto ci si rivolse alla giurisdizione orientale e si attuò sempre più frequentemente una compenetrazione tra vita civile e religiosa. 10.2. La controversia sul culto delle immagini Nelle province orientali dell’impero bizantino (le più influenzate dal Giudaismo e dall’Islamismo) si generò la controversia iconoclasta, la lotta contro il culto delle icone raffiguranti Cristo, la Vergine e i santi poiché la venerazione di immagini veniva considerato peccato di idolatria. Queste province sapevano che la loro posizione periferica e perciò in prima linea contro gli attacchi esterni era importante e cercarono di sfruttare la situazione per avere più autonomia dal potere centrale. Quando al trono salì Leone III l’Isaurico (771-741) gli iconoclasti ebbero esaudite parte delle loro richieste; nel 726, nonostante l’opposizione del patriarca di Costantinopoli e del papa Gregorio III, con un decreto proibì il culto delle immagini nelle icone e ordinò la distruzione di affreschi e mosaici raffiguranti immagini sacre. Anche il figlio Costantino V (741-775) proseguì la strada intrapresa dal padre e questo perché anche lui aveva capito che l’appoggio delle province orientali era decisivo per la stabilità del potere imperiale. Le loro scelte in realtà non furono errate visto che grazie all’appoggio dei territori periferici l’impero riuscì a fermare l’invasione araba e arrestare la crisi dell’impero. 10.3. La fine dell’iconoclasmo e le oscillazioni della politica sociale Nel 784 la politica degli imperatori isaurici ebbe fine poiché fu nominato un imperatore iconodulo, cioè favorevole al culto delle immagini e nel 797 il VII Concilio di Nicea condannò definitivamente l’iconoclasmo come eresia. Un ritorno dell’ideologia iconoclasta si ebbe con Leone V in modo però non vigoroso e solo nell’843 Michele III si richiamò formalmente al concilio del 787 riaffermando la leicità del culto alle immagini. 97
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