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La visione pessimista di Boris Godunov di Puskin: un circolo vizioso della storia tragica, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Russa

Letteratura russaStoria modernaStoria della RussiaStoria dell'Europa

Questo appunto esplora la visione pessimista di Boris Godunov di Puskin, che mette in scena il circolo vizioso di una storia tragica condannata a ripetersi all'infinito. Boris Godunov sale al trono al prezzo del delitto, ma il popolo tace e reagisce in modo enigmatico. Puskin riflette sulla storia russa e i suoi periodi critici di passaggio, tra cui l'epoca delle riforme di Pietro il Grande, la rivolta di Pugachev e l'epoca dei Torbidi. Il suo interesse per la storia si distingue una serie di opere che contraddistinguono gli anni 20, tra cui alcuni racconti a sfondo storico incentrati sull'epoca di Pietro il Grande.

Cosa imparerai

  • Che periodo storico Puskin riflette nella sua opera 'Boris Godunov'?
  • Perchè il popolo tace di fronte alla salita al trono di Boris Godunov?
  • Come Puskin descrive la storia russa e i suoi periodi critici?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 10/05/2022

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martina-astone-2 🇮🇹

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Scarica La visione pessimista di Boris Godunov di Puskin: un circolo vizioso della storia tragica e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! È uno scettico, per non dire un pessimista e non s’illude che il popolo e l’aristocrazia non condividono gli stessi interessi anzi, quindi qualunque riforma qualunque concessione al popolo significa intaccare l'equilibrio vigente in tutto ciò poi si profila la figura dell'usurpatore come dicevo prima il quale è una figura che viene lui stesso dal popolo e questo usurpatore ne conosce i segreti istinti, istinti primordiali elementari e che anticipa e un altro personaggio che in seguito verrà ritirato da Puskin ovvero il capo popolo rivoltoso che è Emel'jan Ivanovič Pugačëv, che è il capo della rivolta contadina, lui stesso figlio del popolo. In questo discorso che sto facendo, dell’usurpatore che conosce gli istinti primordiali del popolo I segreti primordiali del popolo e sa diciamo stuzzicarlo aizzarlo così, mi viene in mente la figura di Trump che ha abilità manipolatorie e conosce perfettamente gli istinti primordiali del popolo. Questo problema dell’usurpatore è un problema eterno, quindi quando noi leggiamo Puskin, possiamo attualizzarlo, i grandi classici ci parlano sempre del presente anche, hanno la loro capacità di tenuta nel tempo Che parla di qualcosa che è sempre vero sempre attuale questa figura dell’usurpatore e purtroppo per noi, il genere umano è una costante che si rinnova e purtroppo da questo punto di vista l'umanità non fa progressi siamo ancora piantati l'età della pietra più o meno non ci sono stati progressi da questo punto di vista. e però interessante come Puskin appunto ci mostrerà questo usurpatore il finale poi condensa in sè tutta la tragicità del conflitto perché il Boris Godunov sale al trono al prezzo del delitto Di un delitto che gli viene attribuito o che lui compie non si sa e il popolo in modo molto enigmatico tace, non si sa perché il popolo taccia di fronte alla scesa di Boris, non si sa se approvi e quindi non si ribelli, oppure da un momento all’altro potrebbe scoppiare una rivolta, una rivolta che potrebbe portare poi un altro sovrano a salire al trono con gli stessi mezzi al prezzo del delitto e quindi diciamo che Puskin mette in scena il circolo vizioso della storia, di una storia tragica che è condannata a ripetersi all’infinito. C’è da dire che il Boris deve questa sua visione pessimista tutto sommato certo per la rivoluzione del pensiero che Puskiniano ma anche bisogna considerare viene composto proprio nell’anno del decabrismo, in un momento di particolare tensione e delusione, le reazioni di Puskin a questo evento del decabrismo, sono di partecipazione emotiva e di solidarietà per gli amici che sono stati repressi, e che si sono battuti per la libertà D’altra parte considera quella di carisma e anche la sua sconfitta una grande lezione della storia che lo induce a guardare al processo storico appunto con gli occhi di Shakespeare cioè con un approccio e obiettivo e spassionato oggettivo diciamo e appunto come Shakespeare Puskin si convince che occorre guardare alla realtà oggettiva, la dialettica delle forze in campo, quindi non con soggettivismo romantico che falsa la prospettiva e che poi è puro bellerismo quando non è artificiale posa letteraria quindi non ha niente a che vedere con la realtà storica vera, quindi si fa sempre più largo quell’interesse per la storia e per le figure emblematiche del passato russo, appunto incomincia questa sua riflessione sulla storia russa, che interroga sulle forze sociali, che sono stati attori di questa scena, e sulle prospettive anche future. E questa riflessione della storia si distinguono una serie di opere che contraddistinguono gli anni 20’, la seconda metà degli anni 20’ oltre al Boris, ricordo a questo proposito alcuni racconti a sfondo storico incentrati sull’epoca di Pietro il Grande. Pietro il Grande è una figura titanica anche nella letteratura abbiamo detto più volte, ma è una figura su cui Puskin continua a più riprese, scrive: testi, opere… e quindi si vede che è una riflessione che non è occasionale, ma è invece una figura centrale la sua riflessione. Tra le opere dedicate a Pietro il Grande ricordo il racconto sul Negro di Pietro il Grande, che veniva appunto chiamato così, naturalmente Il Cavaliere di Bronzo che è uno dei grandi capolavori di Puskin e poi appunto quello citato come la rivolta contadina di Pugačëv che egli articola in 2 opere una Narrativa, che è la figlia del capitano e l’altra invece è la rivolta di Pugačëv che è un saggio storico quindi non è un’opera di finzione come “la figlia del capitano” che appunto si svolge all’epoca di Pugačëv e della rivolta ma è un vero e proprio saggio storico, quindi un testo pubblicistico, si potrebbe dire. Si può notare una cosa interessante, che l’interesse di Puskin per la storia si focalizza su alcuni periodi critici di passaggio, se vogliamo anche di drammatica rottura per la storia Russa a lui interessano proprio queste fasi di crisi: uno è ovviamente l’epoca delle riforme di Pietro e lo sconvolgimento di una tradizione millenaria, quella diciamo medievale, un’altra è la rivolta devastante contro il principio statale, condotta dagli strati popolari più bassi diseredati, quella di Pugačëv che si svolge all’epoca di Caterina II, quindi nella seconda metà del 700’ e la terza è l’epoca dei Torbidi appunto, quella del Boris quando la Russia si trova a fronteggiare le minacce delle potenze straniere, soprattutto la Polonia, ed è sul punto di sgretolarsi e scomparire. In tutte queste opere menzionate è centrale e costante la riflessione sul rapporto tra l’autorità dello stato, incarnata dallo Zar, e la dimensione dell’individuo, che nulla può di fronte ai grandi movimenti della storia, e ha questa sensazione di debolezza e di nullità dell’individuo difronte ai grandi cataclismi della storia. La legge dispotica in nome della prosperità dello stato e il diritto del singolo alla felicità privata, una dimensione biografica, sono in netto contrasto, sono in un contrasto tragico e non trova soluzione. Questo conflitto verrà rappresentato nella maniera più alta nel “cavaliere di bronzo”. Il Boris ha origine in una lettura molto attenta e originale nella storia dello stato russo di Nikolaj Karamzin, un’opera molto amata da Puskin in particolare l’ultimo Tomo che trattava la storia dei Torbidi. Puskin ammira Karamzin per la sua lucidità e onestà di storico, e dalla sua opera in gran parte dipende per la costruzione del dramma. Karamzin esprimeva una visione della storia di stampo conservatore in cui la vita politica e sociale è fondata sull’autocrazia dello Zar che è garante dell’unità e della forza della Russia. A questa visione, Karamzin approda dopo aver coltivato in gioventù simpatie riformiste che però poi aveva abbandonato dopo aver visto gli sviluppi e le degenerazioni della Rivoluzione francese. Questa visione conservatrice di Karamzin da un’impostazione ideologica alla sua storia dello stato russo. Lo storico più importante dell’800’ che si chiama Vasily Klyuchevsky vede tutti i pregi e i limiti dell’opera karamziniana, Klyuchevsky infatti osserva come Karamzin guardi ai fatti storici da spettatore disponendo gli attori come su una scena e dice anche che il suo senso drammatico non s’incarna mai in personaggi storici completi agenti in ambienti complessi. Dice Klyuchevsky: gli eroi di Karamzin agiscono in uno spazio vuoto privo di scenografie senza avere il terreno storico sotto i piedi ne l’ambiente popolare intorno a sé. In una parola, sembrano quasi fuori dal tempo, eppure privi di ambiente storico i personaggi di Karamzin sono circondati da una particolare atmosfera morale si tratta degli astratti concetti di: dovere, onore, bene, male, passione, vizio, virtù. Mossi da queste forze gli attori storici Karamziniani appaiono sulla scena come punti isolati. In compenso il principio morale è seguito rigorosamente, il vizio di solito è punito o almeno è sempre rigorosamente condannato, la passione distruttiva e così via…insomma, ciò che interessa a Karamzin è l’estetica Psicologico-morale, i personaggi storici valgono di per sé come incarnazione di principi psicologici e morali, anche se, appunto risultano in qualche maniera estrapolati dallo sfondo storico, cioè non devono entrare compiutamente nella dinamica storica. Però nonostante questi limiti, bisogna considerare che Karamzin è il primo storico della Russia, storico moderno che lavora in maniera critica sulle fonti, quindi gli si può perdonare questo approccio che a noi potrebbe sembrare anche un po' ingenuo, ma aldilà di questi giudizi, si può dire che l’autore di questa storia dello stato russo, ha creato comunque il mito della Russia ha cioè offerto alla sua generazione e quelle successive, l’immagine della Russia originaria anteriore a Pietro, dando per la prima volta, il senso vivo della sua rilevanza storica e anche della drammatica formazione della sua unità, contro le spinte disgregatrici, interne ed esterne. Sotto gli occhi del lettore della storia di Karamzin, attraverso personaggi che pure si muovono in uno spazio vuoto, si svolge una rappresentazione che è insieme, sacra e profana, nella quale ha una sola protagonista superiore a tutti gli attori, cioè la Russia. La Russia che emerge nei secoli e si afferma come potenza e stato imperiale, quindi quasi come in un disegno teleologico, un disegno che già prevede un certo esito. Quindi questa è l’opera di partenza su cui Puskin ragiona e che affascina il poeta, che cattura la sua fantasia e lo induce poi a creare un testo come Boris Godunov. Puskin pur dipendendo per i suoi materiali da Karamzin, il suo Boris mette in evidenza un modo tutto particolare di rappresentare lo sfondo storico, l’intreccio delle vicende e anche lo spessore morale e umano, le passioni dei personaggi storici, tanto che è stato accostato al teatro Shakespeariano. Questo Shakespearismo di Puskin non è soltanto un fatto letterario o poetico, è innanzitutto il frutto di una visione storica, cioè il Puskin della maturità dopo aver rigettato il Byronismo della giovinezza, riconoscendolo come uno sguardo unilaterale e monocorde sul mondo e sulla natura, approda a una visione complessa della storia, storia come processo e spazio nel quale esistono molte forze contrastanti in perenne tensione. Per questo motivo Puskin per esempio rifiuta i tragici francesi, la lezione di Corneille e Racine, perché i classicisti francesi convogliavano la rappresentazione della storia all’interno di schemi astratti, di schemi ideologici precostruiti, in cui no c’è la tensione tra le forze storiche, non c’è la ha il suo prototipo, questa figura del sovrano spregiudicato che usa tutti i mezzi, ma che soprattutto aldilà di questa massima del fine che giustifica i mezzi, che è poi diventata un’espressione proverbiale, e diventa interessante la lucidità con cui il “principe” Machiavelliano conosce la natura umana e quindi è una riflessione sul potere e su come governare e detenere il potere, quindi da un punto di vista filosofico è una riflessione sulla natura umana. Cercando di superare le interpretazioni tradizionali, rispetto a chi sia l’eroe principale del Boris, potremmo dire che il vero protagonista è il potere, quel potere che Shakespeare drammatizzava nelle sue opere storiche, che Karamzin idealizzava e che Machiavelli tratta e analizza nelle sue opere da un punto di vista filosofico e politico. Quel potere che lo stesso Puskin fa oggetto costante di riflessione poetica come anche nel “cavaliere di Bronzo” un potere che per Puskin non è solo struttura politica, statale, ma è un’energia universale, allo stesso tempo misteriosa e inquietante, ma anche piena di fascinazione. Ed è un’energia universale che si manifesta anche nell’arte, nell’amore, un’energia che attrae. Se consideriamo la drammaturgia Puskiniana anche oltre il Boris troveremo anche altre opere, piccole opere drammatica che vanno sotto il nome di “piccole tragedie” o “microdrammi”. In particolare scrive 4 microdrammi che sono: il cavaliere avaro, che possiamo leggere come un’analisi del potere del denaro. Mozart e Salieri, un’analisi del potere della poesia. Il convitato di pietra, che è una variazione sul tema del Don Giovanni e che è un’analisi del potere dell’eros. In fine, il festino in tempo di peste, basato su un soggetto molto diffuso nella letteratura e che è un’analisi del potere della morte. Queste 4 opere di intensa ispirazione si giustappongono e completano il Boris da certi punti di vista. Anche fuori dalla drammaturgia nell’opera Puskiniana si ripresenta l’analisi del rapporto di dipendenza, di potere che si crea tra gli individui e i gruppi, generando una rete inestricabile e complessa di dipendenze psicologiche, morali e di varia natura. In tutte le opere in versi e in prosa, viene sondato il problema del potere come energia vitale. In molte di queste opere è singolare il fatto che Puskin tenda ad analizzare queste opere storiche o storico- poetiche, un momento in cui il potere non è al suo apogeo, ma è proprio nel momento in cui il potere è in crisi, ed è contesta, quindi nel caso di Pietro I, di Pugačëv e dei torbidi, che danno a Puskin una prospettiva privilegiata per riflettere sulla storia e sul destino della Russia, anche in questo si pone lo sguardo shakespeariano di Puskin in contrasto al modello Karamziniano questa contestazione del potere si trova anche in opere come il cavaliere di bronzo, dove la protesta morale dell’individuo incarnato dal povero impiegato, che contrasta il cavaliere di bronzo, cioè la statua di Pietro il Grande, questa protesta morale dell’individuo è impotente nei confronti del potere costituito. E per Puskin d’altra parte non è tanto interessante la drammatizzazione dello scontro, quanto riflettere sulla legittimità di entrambi. Il gioco delle relazioni di potere, si fa estremamente complesso, quando il detentore tradizionale del dominio, è sfidato da un contestatore, che non viene dall’esterno ma dall’interno del proprio campo. Nel caso del Boris, abbiamo un sovrano che sale al trono e poi c’è un contestatore, che sempre all’interno del suo campo lo contesta e vuole prendere il suo posto. La figura dell’usurpatore in Russia ha una storia lunga e che nessun paese europeo può vantare perché la Russia ha avuto molti usurpatori, nel corso dei secoli. Questo è un fenomeno culturale anche della mentalità, questo falso Dimitrij dell’epoca dei torbidi, in realtà più di uno, non è altro che uno della vasta galleria di impostori nella storia della Russia. Soltanto nel 18° secolo sono stati registrati più di 40 pretendenti al trono, chiaramente senza nessuna legittimità, per lo più l’identità rivendicata fu quella di Pietro III, che sparì in una congiura di palazzo e quindi questa sua sparizione, diede facile campo alla rivendicazioni, e alla comparsa di falsi Pietri III, ci furono ben 16 apparizioni di Pietro III, altri 8 pretendenti si spacciarono come Alessio figlio di Pietro I, anch’egli fece sopprimere il figlio. Di solito il fenomeno degli impostori si verifica proprio in corrispondenza di periodi critici e quindi la successione al trono avviene in modo oscuro, oppure, quando la condotta degli zar pare contravvenire al comportamento che si confà a un sovrano. In questi casi si diffondono allora dubbi e dicerie sull’identità dello zar, quindi una sorta di rifugio nella speranza di uno zar utopico e liberatore dall’impostore che in quel momento sta al trono, e questo avviene anche con Pietro il Grande, che per via del suo comportamento secondo molti irrispettoso nei confronti della chiesa e delle tradizioni russe. Molti credevano che il Pietro che era andato all’estero fosse morto e fosse rientrato in patria un impostore. Quindi si era diffusa la diceria che lo Zar Pietro non fosse il vero. Di lì la leggenda dello zar impostore e quindi la speranza di poter rivedere il figlio di Pietro prendere il potere. Quindi questa cosa dell’impostore è radicata nella mentalità russa. Anche lo scambio di ruoli fa parte della cultura Russa, per esempio Ivan IV, si scatenò contro i boiari, per accentuare il suo potere, a un certo punto mette sul trono un suo rappresentante e lui si ritira, in uno stato nello stato, con la sua guardia personale. Inscenando una specie di commedia, una rappresentazione buffonesca del potere. Nel Boris, l’usurpatore ha per forza di cose una natura ambigua, perché maschera la propria identità e da questo punto di vista la figura dell’usurpatore esprime è poeticamente riuscita perfettamente l’ambiguità e la capacità di mimesi anche sul piano poetico, tra l’altro questo usurpatore Puskiniano, con la sua ambiguità e forza è il prototipo di un altro usurpatore, che è il protagonista della commedia di Gogol’, il revisore. Un discorso a parte meriterebbe il discorso del popolo nell’azione drammatica, ma nelle riflessioni di Puskin, che in più occasioni fa allusione o porta in scena il popolo. Aleggia sui personaggi un vago senso di inquietudine, il popolo è qualcosa di imperscrutabile è assoggettato al potere, è manipolabile, ma al tempo stesso è anche una forza oscura, imprevedibile e inquietante per il sovrano, una forza oscura sempre pronta a scatenare una violenza primordiale che persino i potenti temono, perché il favore del popolo può destabilizzare il potere, appunto proprio per questa sua struttura manipolabile. Sulla violenza primordiali, Puskin poteva contare su quanto appreso dalla Rivoluzione francese dai massacri che ci furono a Parigi, ma che poi ci saranno anche durante la Rivoluzione russa in maniera più massiccia. Quindi c’è questo enorme problema di penetrare i desideri del popolo, che sono desideri primordiali come la violenza e l’imperscrutabilità. In questo senso la scena finale del Boris, in cui il popolo difronte alla proclamazione dello zar, resta in silenzio, è di grande forza e ambiguità poetica, perché appunto on si sa cosa pensi realmente questa folla ed è un silenzio inquietante ed emblematico. Belinskij lo definisce un poema in versi con delle scene drammatiche, come abbiamo detto prima, il Boris ha una struttura totalmente disarticolata e sono scene che possono vivere ciascuna per conto proprio che è estremamente difficile da rappresentare in teatro, infatti ha avuto poche rappresentazioni. Poi è stato anche musicato, adattato alle scene per l’opera lirica ma di per se crea grandissimi problemi alla rappresentazione perché appunto sono più che altro delle scene dialogate e una vera e propria scena drammatica non c’è.
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