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Sintesi del "Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi" di Rondolino e Tomasi, Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Sintesi divisa per tematiche (come d'altronde fa il manuale di riferimento delle sintesi) del "Manuale del film". Lo consiglio soprattutto per chi voglia avere una cassetta degli attrezzi per scrivere l'elaborato finale per l'esame di cinema del Prof. Vitiello.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 12/10/2022

Matteo_Tuzi
Matteo_Tuzi 🇮🇹

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Scarica Sintesi del "Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi" di Rondolino e Tomasi e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! APPUNTI SU MANUALE DEL FILM Sceneggiatura Una sceneggiatura si articola: ● soggetto; breve racconto nel caso la sceneggiatura sia originale, oppure racconto molto lungo in caso di adattamento; ● trattamento; espansione del soggetto originale o riduzione del soggetto dell’adattamento con un’attenzione particolare ai personaggi, alle ambientazioni, alle situazioni; ● scaletta; il trattamento viene scandito in scene numerate. E’ un documento che non supera le due pagine e i trenta episodi; ● découpage tecnico; le singole scene vengono divise in singole inquadrature o piani; ● storyboard; [nota - esiste la cosiddetta sceneggiatura desunta - non precede la lavorazione del film, ma la segue - è uno strumento di analisi che consente di conoscere approfonditamente un film] Nel cinema classico si scrivono sceneggiature di ferro, che descrivono nei minimi dettagli come il film deve essere girato, lasciando pochi margini di manovra ai registi (sceneggiature prête-à-tourner). Nel cinema moderno, e in particolare in quello della Nouvelle Vague, si scrivono sceneggiature dispositivo, continuamente passibili di modificazioni frutto delle decisioni estemporanee (nell’hic et nunc) del regista. Le sceneggiature: ● sono labili; una sceneggiatura può essere cambiata in modo iterativo sempre, anche nel corso delle riprese; ● si danno in funzione del film da realizzare; dice Pasolini «la caratteristica principale del “segno” della tecnica della sceneggiatura è quella di alludere al significato attraverso due strade diverse [...]: il segno della sceneggiatura allude al significato secondo la strada normale di tutte le lingue scritte [...] ma, nel tempo stesso, esso allude a quel medesimo significato, rimandando il destinatario a un altro segno, quello del film da farsi» Racconto Per Barthes il racconto, a differenza dell’esperienza quotidiana, è costituito da una serie di elementi funzionali che “fanno senso”. Non tutti gli elementi, però, “fanno senso” allo stesso modo. Egli distingue: - le funzioni; sono le azioni che fanno progredire la narrazione. A loro volta le funzioni si possono distinguere in: ● funzioni cardinali; sono le azioni nucleari, quelle che fanno effettivamente procedere il racconto. Nella virtualità del racconto, le funzioni cardinali compongono una configurazione di alternative tra le quali scegliere nel momento della realizzazione effettiva del racconto; ● catalisi; sono le azioni che si addensano, come contrappunto, attorno alle funzioni cardinali. Non fanno procedere in modo diretto il racconto; - gli indizi; sono gli stati di un racconto. In particolare si possono distinguere: ● informanti; sono elementi che danno delle informazioni esplicite collocando qualcosa nello spazio o nel tempo; ● indizi propriamente detti; sono elementi che danno un’informazione da decifrare (per abduzione?) e che rinviano a un carattere, un sentimento, una atmosfera. Catalisi, informanti e indizi sono espansioni dell’impalcatura costituita dalle funzioni cardinali. Diegesi Termine greco ripreso da Souriau per definire ciò che appartiene alla storia raccontata e al mondo proposto dalla finzione. E’ un mondo possibile che nasce dalla cooperazione tra l’enunciatore e l’enunciatario. Narrazione e Rappresentazione Nella dicotomia ‘narrazione/rappresentazione’ si può pensare che il film si ponga nel polo della rappresentazione. Esso infatti è un testo che si avvale di attori come veicolo di narrazione. Tuttavia i movimenti della macchina da presa che dirigono l’attenzione dello spettatore (regolando il flusso delle informazioni diegetiche, alla stessa maniera di un romanzo che regola l’estensione degli spazi cognitivi dei personaggi e del lettore, ora creando sperequazione di informazioni tra l’uno e l’altro, ora facendo corrispondere lo spazio cognitivo dei primi con quello del secondo ecc.), la presenza di elementi extradiegetici (come la musica di accompagnamento, che produce particolari effetti di senso entro la totalità del testo audiovisivo), l’uso del montaggio che manipola tempi e spazi della narrazione (di un mondo diegetico non si racconta tutto, ma si selezionano frammenti che poi vengono combinati variamente, anche non seguendo un ordine logico-causale) fanno avvertire la presenza di un’istanza invisibile (istanza narrante) superiore ai protagonisti che svolge esattamente una funzione narrativa. Istanza della narrazione, narratore extradiegetico e narratore intradiegetico L’istanza della narrazione può a volte diventare più concreta mediante il narratore extradiegetico, che non è altro che la manifestazione verbale dell’istanza narrante astratta. Altre volte l’istanza dell’enunciazione astratta viene assunta da un personaggio della narrazione che si fa narratore intradiegetico. Spazio della storia e spazio del racconto Un spazio diegetico costituisce lo spazio della storia. Quando questo spazio viene assunto da una certa configurazione strategica di rappresentazione (lo spazio viene ripreso in tutto o in parte, viene ripreso con inquadrature fisse o mobili, con inquadrature allo zenit o con inquadrature “tatami” ecc.) esso diventa spazio del racconto. Lo spazio del racconto è dunque dato dalla manipolazione, da parte dell’istanza della narrazione, dello spazio della storia. Relazioni spaziali Secondo Gaudreault e Jost esistono quattro possibili articolazioni delle relazioni spaziali. Articolando la categoria ‘identità/alterità’ si avrà: - relazione di identità spaziale; due segmenti dello spazio diegetico in parziale sovrapposizione (es. a un’inquadratura su un tavolo imbandito segue un raccordo sull’asse che ce ne fa vedere alcuni particolari); - relazione di alterità spaziale. Se si articola all’interno di questo taxon la categoria ‘contiguità/disgiunzione’ si avrà: e Rashomon di Kurosawa); ● racconto iterativo (nS/1R); un evento, azione, fatto accaduto n volte nella storia viene rappresentato una volta nel racconto. In realtà, a differenza della lingua - che può condensare una serie iterativa di eventi con una frase (“si allenava tutti i giorni alle 7 di mattina”) - il cinema ha bisogno di espandere il numero di volte in cui un evento viene raccontato (es. due o tre volte) per restituire il senso che esso sia accaduto tante volte nella storia (es. la sequenza dell’allenamento nei Rocky fa vedere Rocky impegnato in un certo numero di esercizi che vengono ripetuti con variazione (esegue l’esercizio con più fatica, poi con meno fatica, infine con grande vigore) un certo numero di volte nel racconto e ciò trasmette allo spettatore l’informazione che Rocky ha svolto quegli esercizi per un numero imprecisato di volte durante un periodo di tempo altrettanto imprecisato). Focalizzazione e Ocularizzazione Una delle strategie discorsive impiegate dalla istanza narrante riguarda la circolazione dell’informazione. Genette parla di focalizzazione, che consiste nella strategia discorsiva operata dall’istanza narrante per regolare il rapporto tra il sapere dell’istanza narrante (che è assoluto), quello dei personaggi, quello del narratore e quello dell’enunciatario. Riprendendo una tripartizione di Todorov, Genette stila una tassonomia dei racconti in base al tipo di focalizzazione: ● racconto a focalizzazione zero (o non focalizzato); è il caso delle narrazioni onniscienti, in cui l’istanza narrante decide di impiegare un narratore (onnisciente) che dice di più di quanto i personaggi stessi ne sappiano (sapere enunciatario = sapere narratore > sapere personaggio); ● racconto a focalizzazione interna; l’istanza narrante si avvale di un personaggio come narratore (interno) che dice quanto ne sa sulla storia (sapere enunciatario = sapere narratore = sapere personaggio → personaggio e narratore sono in sincretismo); ● racconto a focalizzazione esterna; l’istanza narrante si avvale di un narratore che non permette di conoscere i pensieri, i sentimenti, le emozioni del personaggio (sapere enunciatario = sapere narratore < sapere personaggio). [nota - in un racconto la focalizzazione può cambiare a seconda dei momenti o a seconda dei personaggi] In analogia a questa tassonomia Jost - in riferimento allo specifico filmico, ossia l’immagine, la quale ci permette di ottenere un sapere vedendo, e non solo leggendo, azioni e vicende - propone una tassonomia per un’altra strategia discorsiva, quella della ocularizzazione [nota - Jost propone una tassonomia simile anche per l’ascoltare, e parla di strategia discorsiva della auricolarizzazione]. Quindi avremo: - ocularizzazione zero; lo spettatore vede fatti e vicende tramite inquadrature che non si avvalgono della mediazione di alcun personaggio (nobody shot). Un nobody shot può a sua volta essere: ● un’enunciazione mascherata; la cinepresa fa riprese non marcate, ossia inquadrature in cui non ci si accorge della presenza della cinepresa (nessun movimento di macchina, nessuna inquadratura eccentrica ecc. - nota - è la strategia discorsiva utilizzate dal cinema narrativo classico - lo spettatore deve dimenticarsi dell’esistenza della macchina da presa); ● un’enunciazione marcata; la cinepresa fa movimenti che fanno percepire la sua presenza allo enunciatario [nota - è la strategia discorsiva molto utilizzata nel cinema moderno - primato dell’osservazione (cinema moderno) vs primato dell’azione (cinema classico)] - ocularizzazione interna primaria; è la strategia discorsiva in virtù della quale le singole inquadrature recano le tracce di chi guarda (es. le soggettive; le soggettive aberrate per far capire che il personaggio che guarda è frastornato, o ubriaco, o scosso ecc.; le inquadrature in cui si vede sia il personaggio che guarda e sia la cosa che sta guardando); - ocularizzazione interna secondaria; è la strategia discorsiva in virtù della quale due inquadrature consecutive fanno vedere ora chi guarda, ora la cosa che sta guardando. Il rapporto tra i tre tipi di focalizzazione e i tre tipi di ocularizzazione NON è biunivoco. La focalizzazione riguarda infatti ciò che si sa, fermo restando che si può ottenere un sapere vedendo, sentendo, leggendo ecc. Dunque un vedere comporta un certo livello di sapere, e un sapere può dipendere da un vedere (ma anche un ascoltare, un leggere ecc.). [es. una sequenza può essere costruita mediante la strategia discorsiva della ocularizzazione esterna - es. la telecamere si avvicina a un muro per farci vedere l’ombra di un uomo che ne uccide un altro - il sapere che otteniamo da questa sequenza è parziale, ed è minore rispetto a quello dei personaggi implicati nell’omicidio - dunque a fronte di un’ocularizzazione zero si ha una focalizzazione esterna - d’altrocanto ci sono casi in cui la ocularizzazione zero corrisponde a una focalizzazione zero - es. scena finale di Quarto potere - con una lunga carrellata la cinepresa si avvicina a una slitta con su scritto “Rosebud”, la parola che Charles Foster Kane pronuncia in punto di morte e che nessun personaggio sa a cosa si rifersica - ci sono casi in cui a una ocularizzazione interna primaria corrisponde una focalizzazione esterna - es. nella scena iniziale di Halloween di Carpenter seguiamo in soggettiva l’azione omicida di un killer ma solo alla fine della sequenza scopriamo che si tratta di un bambino]. Inquadratura L’inquadratura è [DEF.] l’unità base del discorso filmico. E’ la rappresentazione in continuità di un certo spazio per un certo tempo. Le categorie che definiscono un’inquadratura sono: - lo spazio; un’inquadratura può mostrare da cose assai vicine (primissimi piani e dettagli) a cose assai lontane (campi lunghi o lunghissimi); - il tempo; un’inquadratura può mostrare una cosa per pochissimo tempo (anche meno di un secondo) o per molto tempo (i long take e i piani sequenza di più minuti o della durata di un film intero); - la rappresentazione; di un’inquadratura bisogna distinguere: ● l’inquadratura in senso stretto, ossia la cornice che inquadra la porzione di spazio; ● il piano, ossia la porzione di spazio inquadrata [nota - la nozione stretta di piano è andata a man mano ottundendosi - piano fisso → inquadrature caratterizzate dall’assenza di qualsiasi movimento di macchina - primo piano → particolare rapporto tra macchina da presa e soggetto - piano sequenza → tipo particolare di ripresa che consiste nel far corrispondere in durata la singola inquadratura con la singola scena o sequenza]. Inoltre bisogna distinguere: ● il profilmico (o messinscena); è l’insieme di oggetti, ambienti, personaggi posti appositamente davanti la macchina da presa avendo essi rilevanza narrativo-semantica; ● il filmico; concerne il piano discorsivo propriamente detto, costituisce il modo in cui viene ripreso il profilmico (angolazione della cinepresa, distanza, dialettica tra campo e fuori campo, movimenti di macchina ecc.). Ambiente e figura Gli ambienti di un’inquadratura possono essere naturali, parzialmente (ri)costruiti o interamente (ri)costruiti. Solo negli ultimi due casi si può parlare in maniera non indebita di scenografia. A differenza di quanto avviene nelle rappresentazioni teatrali, nel cinema, a partire da una scenografia-madre, si possono adottare differenti soluzioni formali per cogliere un certo punto di vista di questo ambiente totale (ad esempio, mediante una particolare angolazione dell’inquadratura, certi filtri per la saturazione del colore ecc.) o alcuni particolari (ad esempio, un’inquadratura ravvicinata su un oggetto ecc.). L’ambiente non è una scatola vuota per la rappresentazione, ma interagisce dialetticamente con le figure (principalmente i personaggi) che in esso vi appaiono, a maggior ragione se esso è una vera e propria scenografia, un ambiente costruito appositamente perché gli elementi del profilmico siano elementi espressivi e simbolici. Martin propone una tassonomia di modi per concepire un ambiente: ● realista; l’ambiente non significa altro che sé stesso, la sua materialità. Esso risponde a una strategia di illusione di realtà (es. ambienti del neorealismo italiano, dove le città distrutte disseminate di macerie non connotano un certo stato d’animo dei personaggi quanto piuttosto una realtà sociale); ● impressionista; l’ambiente appare di primo acchito realista e tuttavia esso si pone in relazione diretta con i personaggi, il loro stato psicologico e d’animo (es. le piogge torrenziali durante un giorno di lutto nei film di Kurosawa - ric. questo tipo di ambiente viene utilizzato per la prima volta dalle avanguardie francesi negli anni Dieci e Venti); ● espressionista; a differenza degli ambienti impressionisti, non è in relazione diretta con la psicologia e lo stato d’animo dei personaggi e, contrariamente agli ambienti neorealisti, è dichiaratamente artificiale (es. Il gabinetto del Dottor Caligari di Wiene). [es. rapporto ambiente e figure - Lanterna Rossa - è la vicenda di una giovane (Gong Li) che decide di diventare la concubina di un ricco signore cinese - la ragazza è oppressa da un potere immutabile (un potere tradizionale) - il filmico e il profilmico cooperano per far esprimere all’ambiente quel senso di oppressione che è il contenuto narrativo manifesto del film - le vicende sono ambientate in una reggia maestosa e sublime - gli spazi e i fondali sono fortemente simmetrici, i piani medi e lunghi su Gong Li nelle stanze della magione restituiscono il senso del sublime - l’inquadratura finale del film fa vedere Gong Li in piano lungo e con un’angolazione dall’alto in un cortile della reggia circondata dagli edifici - Il senso di oppressione è reso tanto dall’intreccio quanto dal rapporto tra gli spazi e le figure]. Scenografie virtuali Le scenografie virtuali sono dei simulacri delle scenografie materiche del cinema tradizionale. Esse possono comportare la scomparsa del profilmico inteso come l’insieme degli oggetti diegetici che stanno davanti alla cinepresa. Le scenografie virtuali possono essere: ● realistiche; gli ambienti ricostruiti digitalmente “appartengono al nostro mondo”; ● fantastiche; gli ambienti ricostruiti digitalmente appartengono a mondi fantastici; oppure, seguendo un altro criterio di classificazione, possono essere: ● illusorie; la ricostruzione digitale è verosimile e lo spettatore si rende conto della artificiosità della scenografia; Vague (Godard) e in un certo film italiano degli anni Sessanta e Settanta. Consiste in un tipo di recitazione in cui l’attore prende una distanza critica dal suo personaggio, di cui viene sottolineata la natura di costrutto semiotico e di strategia discorsiva; Un’altra tassonomia distingue: ● recitazione naturalistica; l’attore interpreta la sua parte avvalendosi di una vocalità e una gestualità verosimili. E’ il tipo di recitazione principale nel cinema; ● recitazione sovraccarica; l’attore accentua gesti e vocalità. E’ caratteristica di alcune performance di attori usciti dall’Actor Studios (De Niro in Taxi Driver, Marlon Brando in Apocalypse Now); ● recitazione minimalista; l’attore “desatura” la gestualità e la vocalità. E’ una recitazione che caratterizza i film di Robert Bresson e di Yasujirō Ozu. Infine si può distinguere: ● recitazione replicante; l’attore memorizza parole, gesti, posture ecc. per replicarli pedissequamente durante le riprese. E’ una recitazione caratteristica del cinema hollywoodiano classico; ● recitazione creativa; l’attore ha un canovaccio sul quale improvvisa la propria performance. Prossemica, costumi e make-up Nel rapporto tra discorso registico e discorso attoriale è particolarmente rilevante la dimensione prossemica degli elementi profilmici nel filmico. La posizione di oggetti e attori rispetto a loro stessi e rispetto all’inquadratura è significante (in senso semiotico): articolando alcune categorie topologiche (‘vicino/lontano’, ‘centrale/marginale’ ecc.) è possibile creare dei sistemi semi-simbolici in cui l’opposizione dei termini della categoria topologica è correlata a una opposizione dei termini di una categoria semantica (es. nei film di Griffith i personaggi di criminali sono /a margine/ (significante) dell’inquadratura per marcare il fatto che sono figure ‘socialmente eccentriche’ (significato) - nota - nel cinema hollywoodiano classico i protagonisti sono sempre /al centro/, attorno ad essi si costruisce l’intero film - nota - per Lotman il divo hollywoodiano è un “concetto” (socialmente iper codificato) costruito dal media system, i cui caratteri si riflettono sui personaggi da esso interpretato - a differenza dell’attore, il divo porta sempre qualcosa di sé nelle sue interpretazioni - spesso il personaggio di un film è cucito attorno al divo). Un’altro elemento fondamentale del profilmico sono i costumi. Nel romanzo il vestito è rilevante solo nella misura in cui l’istanza narrante ne rende conto attraverso delle descrizioni. Nel cinema (ma stesso discorso vale per il teatro, seppur secondo pertinenze diverse), invece, i personaggi sono sempre vestiti, sicché i costumi costituiscono in ogni caso una matrice significante che contribuisce all’effetto di senso globale del testo cinematografico (es. l’indifferenza alla cultura dell’immagine viene espressa ne Il Grande Lebowski anche dall’abbigliamento trasandato del Drugo - nota - i costumi possono essere usati per marcare la tensione drammatica tra due personaggi) In ultimo, un ulteriore elemento importante della messinscena è il make-up. Quasi sempre gli attori sono truccati, quindi, anziché marcare la presenza/assenza del trucco sul volto e il corpo degli attori si può sottolinearne la modalità d’uso. Il trucco può infatti essere usato in modo naturale (è il tipo di make-up dei film hollywoodiani) o in modo artificiale (es. il trucco ne Il gabinetto del Professor Caligari o nei film di Tim Burton). Scala dei piani Con scala dei piani si intende le diverse possibilità di rappresentare gli elementi del profilmico da una maggiore o minore distanza (sia effettiva o meno - nota - l’effetto di maggiore o minore distanza può essere ottenuto o avvicinando/distanziando la macchina da presa dall’elemento del profilmico da rappresentare, oppure usando lenti con maggiore/minore apertura focale - in questo senso è preferibile parlare di impressione di distanza). In ordine di distanza decrescente: ● campo lunghissimo (pag. 116); è un’inquadratura che abbraccia una porzione di spazio molto estesa. Ha funzione descrittiva, ovverosia serve a rappresentare un ambiente all’interno del quale le figure umane sono semplici elementi di sfondo. E’ un’inquadratura molto utilizzata nei film western; ● campo lungo; abbraccia una porzione di spazio alquanto estesa. Come il campo lunghissimo, svolge la funzione di descrivere l’ambiente, anche se in questo caso l’azione umana diventa maggiormente leggibile; ● campo medio (pag. 117); ristabilisce l’equilibrio tra ambiente e figura umana, con quest’ultima che copre in altezza da un terzo a metà della dimensione verticale dell’inquadratura. Con il campo medio si propone un punto di vista simile a quello che ha il pubblico teatrale, e non a caso esso è il tipo di inquadratura preponderante nel cinema delle origini; ● figura intera; la figura umana copre in altezza più dei due terzi della dimensione verticale dell’inquadratura. La figura intera attribuisce centralità al personaggio a scapito dell’ambiente; ● piano americano (dalle ginocchia in sù); ● mezza figura (dalla vita in sù); ● mezzo primo piano (dal petto in sù); ● primo piano (dalle spalle in sù - nota - nel periodo del cinema delle origini sul primo piano (e in generale su tutte le inquadrature ravvicinate: mezza figura, mezzo primo piano, primissimo piano) gravava un vero e proprio tabù - la messinscena cinematografica era simile a quella teatrale - in teatro la scala dei piani non cambia nel corso della rappresentazione - il primo piano è una vera e propria attrazione usata nelle pellicole esplicitamente fantastiche - es. L’uomo dalla testa di caucciù di Méliès - nota - il critico francese Albert Flament, in occasione dell’uscita di La passione di Giovanna D’Arco di Dreyer, scrisse che l’uso dei primi piani in questo film, distorcendo le proporzioni del corpo umano, non permetteva agli spettatori di entrare in empatia con i personaggi - nota - per Epstein, invece, con il primo piano non ci si limita a guardare la vita, ma la si penetra - per Ejzenstejn con il primo piano “lo spettatore penetra nell’intimità di ciò che succede sullo schermo”); ● primissimo piano (solo volto); ● particolare (solo una parte del corpo) e dettaglio (inquadratura ravvicinata su un oggetto) [nota - il particolare e il dettaglio vengono utilizzati nel cinema classico come inquadrature informative, marcando elementi funzionali al progredire della narrazione - es. in Giovane e innocente di Hitchcock, il particolare sul tic nervoso di un personaggio rivela l’identità di un assassino - il cinema contemporaneo, e in particolare il cinema postmoderno, fa un uso intensivo di dettagli e particolari che non svolgono nessuna funzione narrativa rilevante - es. dettaglio su una pistola ricaricata durante una sparatoria, il fumo di una sigaretta ecc.]. [nota - i confini tra le classi di questa tassonomia non sono definiti tassativamente - nota - dal momento che la scala dei piani si definisce nel rapporto tra ambiente e figura umana, è possibile avere inquadrature in cui ci sono personaggi disposti prospetticamente a distanze diverse (es. classica inquadratura da duello western in cui, in primo piano (nel senso di posizione rispetto allo sfondo), si vede la mano sulla pistola (particolare e dettaglio) del primo duellante e, sullo sfondo, il secondo duellante a figura intera o in campo medio]. A questa tassonomia va aggiunto il campo totale (establishing shot), un’inquadratura simile, per distanza, al campo medio e che ha una funzione informativa dal momento che assolve al compito di introdurre lo spettatore (solitamente a inizio sequenza) all’ambiente nel quale sta per svolgersi l’azione narrativa. Primo piano Con il primo piano il cinema cerca di rappresentare l’essere di un personaggio utilizzando le sole immagini e senza l’ausilio della parola (in un romanzo l’istanza narrante rende conto di ciò che i personaggi pensano, provano e patiscono in maniera abbastanza esplicita). Deleuze distingue nel primo piano: ● volto riflessivo, che si fissa su un oggetto in stato di contemplazione e ammirazione (es. scena di Jurassic Park in cui Ellie e Alan vedono per la prima volta un brachiosauro); ● volto intensivo, che prova qualcosa (es. “l’occhio della madre” ne La corazzata Potemkin di Ejzenstejn). Aumont propone una distinzione tra: ● volto del cinema classico, perfettamente leggibile, che non fa mistero di ciò che prova (sarebbe meglio allora parlare di volto aperto); ● volto del cinema moderno, ambiguo e sibillino (volto ermetico). Altezza, angolazione e inclinazione dell’inquadratura Guardando al cinema delle origini si può definire un’inquadratura canonica che è tipicamente: in campo medio (scala dei piani), ad altezza uomo (altezza), frontale (angolazione) diritta (inclinazione). Partendo dall’origine di questo piano cartesiano di parametri, è possibile immaginare un’infinità di scarti dal canone che rivelano immediatamente l’intenzionalità di un’istanza narrante [nota - l’eccentricità delle inquadrature è particolarmente presente nel film postmoderno - es. uso delle oggettive irreali, con le quali si rappresenta una porzione di realtà in maniera (apparentemente o meno) ingiustificata - es. inquadratura da dietro le fiamme di un caminetto, dentro il frigorifero, a picco sul letto ecc.]: ● inquadrature dal basso con inclinazione verso l’alto (es. film di Orson Welles o il trunk shot (inquadratura dal bagagliaio) in tutti i film di Tarantino); ● inquadrature dal basso senza inclinazione (es. tatami shot nei film di Ozu); ● inquadrature a picco, la cosiddetta inquadratura plongée (es. Fino all’ultimo respiro di Godard); ● inquadrature inclinate di sbieco (es. il dutch shot dei film di Murnau e del noir); ● inquadrature angolate rispetto al piano (es. L’arrivo di un treno alla stazione dei Fratelli Lumiére). Modulando il filmico attraverso questi parametri si ottiene una materia espressiva che è in grado di rafforzare o contraddire l’effetto di senso globale ottenuto mediante l’impiego degli altri linguaggi del testo filmico [es. solitamente le inquadrature dal basso angolate verso l’alto e quelle dall’alto angolate verso il basso danno un senso, rispettivamente, di forza e dominio rivelarsi oggettiva (es. il personaggio di cui crediamo la cinepresa stia assumendo lo sguardo entra in campo, disancorando lo sguardo della cinepresa da quello del personaggio). [nota - il cinema è prima identificazione con l’istanza narrante (identificazione prima) e dopo identificazione con il personaggio (identificazione seconda) - se l’inquadratura oggettiva si ferma all’identificazione prima, la soggettiva produce anche un’identificazione seconda, giacché lo spettatore non assume solo lo sguardo dell’istanza narrante ma anche quello del personaggio - nota - l’identificazione con il personaggio è anche e soprattutto emotiva - per ottenere identificazione emotiva non basta assumere lo sguardo di un personaggio, ma è prima di tutto necessario che vediamo il personaggio vedere e patire (rallegrarsi, rattristarsi, disperarsi ecc.) - per questo è fondamentale che la soggettiva venga introdotta da una soggettiva - es. sequenza del poliziotto in Psycho - difficilmente i film girati completamente (o quasi) in soggettiva permettono allo spettatore di empatizzare con il personaggio di cui si assume lo sguardo - es. Una donna nel lago di Montgomery]. La soggettiva, come detto, difficilmente è assoluta. Essa, invece, si inserisce all’interno di una sintagmatica in cui si alterna a una o più oggettive. Indicando con A l’oggettiva e con B la soggettiva, si possono avere: ● sintagmi soggettivi aperti (AB); ● sintagmi soggettivi chiusi (ABA); ● sintagmi soggettivi alternati (ABAB…); ● sintagmi soggettivi rovesciati (BA); ● sintagmi soggettivi differiti (ACDB - nota - tra l’oggettiva che fa vedere chi vede e la soggettiva che assume il punto di vista di chi vede si interpolano altre oggettivi che ritardano l’enunciazione della soggettiva - è un sintagma soggettivo molto raro nel cinema). Soprattutto nel cinema moderno, oltre alla soggettiva propriamente detta (quella con la quale lo sguardo dell’istanza dell’enunciazione e quello dello spettatore entrano in sincretismo con lo sguardo del personaggio), si usano anche: ● soggettive meccaniche; assume lo sguardo di una macchina da presa intradiegetica (es. The Blair Witch Project); ● soggettiva della materia; assume lo “sguardo” di cose che non hanno uno sguardo (es. punto di vista di una palla da bowling nel sogno de Il Grande Lebowski). Movimenti di macchina L’inquadratura può essere definita in virtù della sua staticità o dinamicità. Ciò che primariamente rende dinamica un’inquadratura sono i movimenti di macchina, che le permettono di svilupparsi in più quadri cambiando angolazione, altezza e scala dei piani [nota - i primi movimenti di macchina risalgono al cinema delle origini quando alcuni cineoperatori iniziarono a installare il cinematografo su mezzi di locomozione come treni o battelli per fare riprese di un paesaggio (camera car) - i movimenti di macchina indipendenti dall’installazione della cinepresa su un mezzo di locomozione appaiono già nei primissimi anni del cinema ma si affermano come strumento avente specifiche funzionalità espressive solo negli anni Venti, soprattutto tra le avanguardie francesi e tedesche]. I principali movimento di macchina sono: ● la panoramica; la cinepresa ruota lungo il proprio asse verso destra, sinistra, l’alto, il basso. L’angolo di rotazione può essere più o meno esteso (si possono avere panoramiche anche di 360°) e la velocità di movimento può essere più o meno elevata (si possono avere panoramiche a schiaffo, molte veloci, usate per produrre effetti di sorpresa, a differenza di quelle molto lente che invece producono effetti tensivi); ● la carrellata; la cinepresa è montata su un carrello (camera car) che cammina su di un sistema di rotaie. Se correlato al movimento di un personaggio o di un oggetto, si può avere: una carrellata laterale, nel caso in cui il carrello segua in parallelo il movimento del personaggio riprendendolo di profilo; una carrellata a precedere, nel caso in cui il carrello preceda il movimento del personaggio riprendendolo frontalmente; una carrellata a seguire, nel caso in cui il carrello segua il movimento del personaggio riprendendolo di spalle [nota - fu Pastrone a inventare il carrello mentre girava Cabiria]; ● il travelling; sono movimenti di macchina più complessi che ai movimenti tipici delle panoramiche e delle carrellate aggiungono quelli a salire e a scendere. Un movimento travelling può essere ottenuto usando un dolly (piccolo veicolo a ruote su cui è montata una gru che permette alla telecamera di fare movimento verso l’alto e il basso), la steadycam (un esoscheletro fornito di un sistema di ammortizzatori, indossato dal cineoperatore e su cui è montata la cinepresa, che permette di effettuare delle riprese stabili (steady, appunto) indipendemente da quanto convulsi siano i movimento dell’operatore di macchina), la louma (un braccio tubolare che permette di sollevare la cinepresa fino a dieci metri di altezza); ● la macchina a mano (o a spalla); la cinepresa viene tenuta direttamente in mano (o in spalla) dal cineoperatore, i cui movimenti vengono interamente “assorbiti” dall’inquadratura. Nasce in seno al cinéma-vérité negli anni Cinquanta, viene usato per le soggettive, in scene caratterizzate da particolare concitazione o per produrre particolari strategie discorsive (es. lo sbarco in Normandia di Salvate il soldato Ryan); ● la carrellata ottica; si ottiene una variazione della distanza da elementi del profilmico mediante il cambiamento della lunghezza focale della lente. In particolare si può avere uno zoom in avanti e uno zoom all’indietro. A differenza, ad esempio, dell’avvicinamento che si può ottenere con una carrellata in avanti (in cui a cambiare non è la distanza focale della lente della macchina, ma la posizione stessa della macchina nello spazio), quello ottenuto da una carrellata ottica (da uno zoom in avanti) tende ad appiattire gli oggetti del profilmico sullo sfondo; ● la correzione di campo (o re-inquadratura, o reframing); sono tutti quei micromovimenti fatti dalla cinepresa in risposta ai movimenti fatti da un personaggio, in moda da mantenerlo al centro dell’inquadratura o comunque in campo (es. un personaggio si alza e la cinepresa si alza leggermente a sua volta, un personaggio si sposta brevemente e la cinepresa lo segue nella traiettoria). Considerando la dialettica che ci può essere tra movimento del profilmico e movimenti del filmico, si possono avere: ● movimenti subordinati; la cinepresa segue la traiettoria del movimento nello spazio di un soggetto o di un oggetto mantenendo la sua stessa velocità, sempre la stessa distanza e sempre la stessa angolazione. Questi movimenti servono a mantenere in campo e centrato un soggetto o oggetto di cui si vuole seguire l’azione; ● movimenti liberi; la cinepresa compie movimenti che non hanno ancoraggio su nessun movimento del profilmico. [nota - movimento subordinato e movimento libero sono i due estremi di un’antinomia graduata - un movimento di macchina all’inizio può essere subordinato al movimento di un personaggio per poi staccarsene e andare in un’altra direzione, oppure la macchina può muoversi a velocità diversa rispetto a quella del personaggio, allontanandosi da esso o avvicinandosi, o ancora può cambiare l’inclinazione della ripresa ecc. - nota - le potenzialità offerte dall’avanzamento tecnico degli ultimi decenni ha fatto del cinema contemporaneo (soprattutto nella sua declinazione post-moderna) il cinema del movimento di macchina libero] Considerando la dimensione spaziale i movimenti di macchina possono: ● essere più o meno estesi (es. una panoramica orizzontale può essere poco ampia o, al contrario, continuare a girare sull’asse della cinepresa fino a tornare al punto di partenza, coprendo, quindi, 360° di ripresa); ● seguire diverse traiettorie (avanti o indietro, dritta al punto o a zig zag ecc.) Considerando la dimensione temporale, essi possono: ● avere una certa durata (una panoramica dura solitamente pochi secondi, mentre le carrellate e soprattutto i travelling possono durare anche più di un minuto); ● essere avere diverse velocità di esecuzione (es. una panoramica a schiaffo è molto veloce e produce effetti sorpresa, mentre panoramiche o carrellate molto lente, soprattutto quando esse si configurano in quanto movimenti di macchina liberi e si dirigono verso oggetti o soggetti inizialmente fuori campo, producono effetti tensivi). Tra le principale funzioni dei movimenti di macchina si annoverano: ● funzione descrittiva (es. campo totale e panoramica su un ambiente nel quale si svolgerà una sequenza narrativa, o panoramica dai piedi alla testa di un personaggio); ● funzione connettiva; poiché un’inquadratura si fonda sovente su una dialettica tra campo e fuori campo (ved. sopra), con un movimento di macchina si può passare dal filmare il profilmico in campo (che con il movimento di macchina viene relegato fuori campo) a filmare quello precedentemente fuori campo (che con il movimento di macchina entra in campo). In questo modo - al pari di quanto fa il montaggio - il movimento di macchina funge da connettivo tra due elementi del profilmico; ● funzione cognitiva; un movimento di macchina può essere usata a supporto di strategie di focalizzazione (es. con un zoom libero (indipendente, cioè, da un qualsiasi personaggio) l’istanza narrante può rivelare allo spettatore un’informazione di cui nessun personaggio è a conoscenza - es. finale Quarto potere, in cui una carrellata e un successivo zoom in avanti focalizzano l’attenzione su uno slittino con su scritto “Rosebud”, permettendo così di sciogliere il nodo di mistero attorno alle ultime parole di Kane prima di morire); ● funzione selettiva e estensiva; un movimento in avanti (carrellata o zoom in avanti - funzione selettiva) o un movimento all’indietro (carrellata o zoom all’indietro - funzione estensiva) permettono, rispettivamente, di astrarre un elemento del profilmico dal contesto (es. scena della chiave in Notorious di Hitchcock) o inserirlo al suo interno (es. scena iniziale di Arancia meccanica di Kubrick); ● funzione tensiva; movimenti di macchina particolarmente lenti che procrastinano l’entrata in campo di un importante elemento profilmico creano effetti tensivi (es. lenta panoramica a 360° nello scantinato ne La casa di Raimi); ● funzione affettiva; alcuni movimenti di macchina verso particolari oggetti o persone possono esprimere il desiderio per quegli oggetti o persone da parte di un personaggio; ● funzione estetica; particolari movimenti di macchina possono essere semplicemente “belli da vedere” (es. i virtual travelling movement nella scena del nessun personaggio che racconta o ricorda) ma viene introdotto direttamente dall’istanza narrante; ● introdurre ellissi narrative; servono a omettere eventi narrativi irrilevanti o, al contrario, a omettere eventi narrativi rilevanti che possono essere svelati nel corso del film oppure lasciati alla ricostruzione inferenziale dello spettatore. I film che omettono eventi narrativi rilevanti fanno uso del cosiddetto montaggio ellittico (es. la sistematica omissione delle scene di sesso nel cinema narrativo classico). Montaggio alternato Il montaggio alternato consente di narrativizzare contemporaneamente spazio e tempo. Esso alterna inquadrature riferite ad azioni che si svolgono in spazi diversi allo stesso tempo, le quali azioni possono al fine convergere in un unico spazio diegetico (es. nelle scene di inseguimento, l’auto che fugge e l’auto che insegue hanno ognuna i propri campi fino a quando lo spazio che le divide non viene accorciato, giustificando così l’uso di un unico campo). Il montaggio alternato gioca su un regime di focalizzazione zero, in quanto esso consente allo spettatore di partecipare al sapere (che è mediato da un poter vedere) del narratore onnisciente (che tutto sa perché tutto vede - nota - l’aspettativa sul fatto che le azioni del montaggio alternato debbano convergere in un unico campo è frutto di una convenzione che può essere in ogni momento sovvertita - es. ne Il silenzio degli innocenti un montaggio alternato ci fa vedere ora Buffalo Bill insieme alla sua vittima, ora una squadra di poliziotti che circondano una casa - lo spettatore si aspetta che i poliziotti abbiano circondato la casa di Buffalo Bill - un poliziotto sotto copertura suona il campanello della casa e uno stacco su Buffalo Bill ci fa sentire il suono del campanello - Buffalo Bill apre la porta ma fuori dalla porta non si erge un poliziotto sotto copertura pronto ad arrestarlo, bensì Clarice - la costruzione della sequenza è tarata in modo tale da far percepire allo spettatore un senso di falsa sicurezza (la polizia sta per arrestare Buffalo Bill), da sorprenderlo (oibò, fuori dalla porta della casa di Buffalo Bill non c’è il poliziotto ma Clarice) e quindi da fargli provare tensione (Clarice deve affrontare Buffalo Bill da sola) - il falso sapere (il poter vedere cosa accade ai due lati del montaggio alternato) concesso dall’istanza narrante all’enunciatario ha prodotto un efficace effetto tensivo) Tipi di transizioni da un’inquadratura all’altra Si può passare da un’inquadratura a un’altra: ● con uno stacco; consiste nell’immediato passaggio da un’inquadratura all’altra; ● con una dissolvenza; la dissolvenza può essere una dissolvenza d’apertura (dal nero all’immagine), una dissolvenza di chiusura (dall’immagine al nero), una dissolvenza incrociata (da un’immagine all’altra - nota - dissolvenze e stacchi sono sistemi di punteggiatura - gli stacchi non determinano quasi mai delle ellissi o dei salti temporali da un’inquadratura all’altra, mentre le dissolvenza vengono spesso usate in questa funzione - le dissolvenza incrociate indicano delle ellissi più contenute, mentre quelle a nero indicano ellissi più estese); ● con un iris (un’immagine si espande da un punto centrale o collassa su un punto centrale) o una tendina (un’immagine scorre verso un lato dell’inquadratura e dà spazio ad un’altra). Montaggio narrativo e sistema dei raccordi Nel cinema classico viene utilizzato un montaggio invisibile per ottenere quell’unità di azione, di spazio e di tempo utile a mantenere la sospensione dell’incredulità dello spettatore. Le caratteristiche principali del découpage classico sono: la motivazione (es. non ha senso, almeno nel cinema narrativo hollywoodiano classico, fare uno stacco da una mezza figura a un primo piano di un personaggio se queste deve semplicemente dire “ordino del sushi”), la chiarezza (il passaggio da un piano all’altro deve permettere allo spettatore di collocare i personaggi nello spazio diegetico), la drammatizzazione (il montaggio serve per produrre effetti drammatici e costruire il climax di una scena - es. dopo una lunga conversazione due amanti si dichiarano l’un l’altra - dall’inizio della conversazione alla dichiarazione si passerà da una scala di piani più ampia ai primi e primissimi piani). Dal momento che il montaggio è una tecnica per sua natura disgregatrice, per dar vita a un flusso di immagini scorrevole è necessaria una serie di accorgimenti, il più importante dei quali è l’utilizzo dei raccordi. Tra i raccordi principali: ● raccordo di sguardo; un’inquadratura mostra un personaggio che guarda qualcosa, l’inquadratura successiva ci mostra la cosa guardata; ● raccordo di movimento; un’azione che inizia in un’inquadratura prosegue in quella successiva; ● raccordo sull’asse; un’inquadratura mostra un elemento del profilmico (oggetto o personaggio) ad una certa distanza (piano americano su un personaggio), l’inquadratura successiva mostra quello stesso elemento ad una distanza minore (primo piano sullo stesso personaggio). La riduzione della scala dei piani deve avvenire lungo l’asse che collega la macchina da presa nella prima inquadratura all’elemento profilmico di quella stessa inquadratura (per questo il raccordo sull’asse viene anche definito raccordo in avanti); ● raccordo sonoro; un elemento sonoro (una musica, un dialogo, un rumore) collega due inquadrature contigue. Considerando che un altro pilastro del découpage classico è la regola dei 180°, è possibile individuare altri tre tipi di raccordo fondati su tale principio: ● raccordo di posizione; se un piano di insieme ci fa vedere il personaggio A a destra e il personaggio B a sinistra, essi dovranno mantenere questa posizione nelle inquadrature successive; ● raccordo di direzione; se un personaggio esce di campo a destra dello schermo, esso (ma questo solo se l’istanza narrante ne vuole seguire l’azione) dovrà entrare a sinistra dello schermo nell’inquadratura successiva; altrimenti si avrà scavalcamento di campo; ● raccordo di direzione degli sguardi; nelle scene di dialogo (es. personaggio A a destra guarda verso sinistra, personaggio B a sinistra guarda verso destra), quando uno dei due personaggi viene inquadrato singolarmente (es. personaggio A), esso - nel caso stia guardano l’altro personaggio (personaggio B) - dovrà mantenere il proprio sguardo rivolto nella direzione verso cui guardava nel piano d’insieme (il personaggio A deve guardare verso sinistra se sta guardando verso il personaggio B). [nota - lo scavalcamento di campo può essere fatto seguendo alcuni accorgimenti: 1) si può fare uno scavalcamento di campo dichiarato (con un movimento di macchina la cinepresa attraverso la linea dei 180°); 2) tra l’inquadratura in campo e l’inquadratura che scavalca il campo si inserisce un’inquadratura intermedia in cui la cinepresa è posizionata esattamente sulla linea dei 180° (es. in una scena di inseguimento due auto si muovono da destra a sinistra dello schermo, poi una ripresa in linea inquadra l’auto in fuga frontalmente lungo l’asse che unisce le due auto e che forma la linea dei 180° e quindi nell’inquadratura successiva si fa lo scavalcamento di campo e si inquadrano le auto che corrono da sinistra a destra dello schermo); 3) si fa lo scavalcamento di campo con un semplice stacco ma solo in occasione di eventi fortemente drammatica che nascondono l’“errore”]. Montaggio connotativo e teoria delle attrazioni Un secondo tipo di montaggio è il montaggio connotativo, la cui funzione dominante non è quella di essere al servizio della narrazione (chiarezza, drammaticità, gerarchizzazione), ma quella di produrre senso. Il montaggio connotativo ha, in altri termini, una funzione semantica. Esso è stato introdotto e sistematizzato nel cinema da Ejzenstejn, il quale parla di montaggio intellettuale [ric. effetto Kulešov - primo piano di uomo fatto seguire: 1) all’inquadratura di una minestra; 2) all’inquadratura di una bambina morta in una bara; 3) all’inquadratura di una donna lascivamente sdraiata su un divano - effetti di senso differenti - un’inquadratura assume senso mercé la posizione che essa ricopre all’interno di una sequenza di inquadrature - ric. in semiotica - il lessema è un insieme di virtualità di senso - solo all’interno di una sintagma (una frase) il lessema si specifica in una delle sue virtualità di senso (semema)]. Per Ejzenstejn la rappresentazione del reale non ha interesse in sé. Per estrarre senso dal reale è necessario interpretarlo. In questa direzione Ejzenstejn propone la sua teoria delle attrazioni: per ottenere un certo effetto di senso (“effetto tematico” come lo chiama Ejzenstejn) non si fa la rappresentazione statica di un evento dato, ma si opera un libero montaggio di azioni (attrazioni) arbitrariamente scelte e autonome (ad esempio, si possono intervallare piani su elementi diegetici con piani con elementi extradiegetici) ma dotate di un preciso orientamento verso un determinato effetto finale [nota - così definito il montaggio delle attrazioni è un dispositivo di significazione che ricorda molto da vicino quel tipo di funzione segnica che Eco definisce “risposte programmate” - le risposte programmate sono date dalla correlazione di una certa espressione con una certa risposta emotiva (che fa le veci del contenuto) che si suppone quella espressione solleciterà nell’enunciatario - es. per suscitare un effetto di senso di ribrezzo nello spettatore, posso montare una sequenza in cui mostro una di seguito l’altra immagini che ritraggono cibo divorato da vermi, carcasse morte, pustole ecc.]. A fondamento del montaggio intellettuale di Ejzenstejn c’è il conflitto tra due inquadrature o tra gli elementi di una stessa inquadratura: conflitto delle direzioni grafiche (linee che vanno in diagonale da destra a sinistra in un’inquadratura, e da sinistra a destra nella successiva), conflitto dei piani (differenza tra ciò che accade in primo piano e ciò che accade sullo sfondo), dei volumi (differenza tra volumi e superfici) ecc. In questo prospettiva, non è montaggio solo quello dato dall’accostamento di due diversi piani, ma anche quello che si dà all’interno di un piano nella misura in cui esso è costruito attorno a un dispositivo conflittuale (es. conflitto tra ciò che accade in primo piano e ciò che accade sullo sfondo). Dunque l’inquadratura è la cellula del montaggio per due motivi: 1) mette in gioco paradigmaticamente gli stessi conflitti che si articolano sintagmaticamente nella successione di due o più inquadrature di una sequenza [nota - l’inquadratura articola paradigmaticamente le opposizioni che operano sintagmaticamente - in termini jakobsiani, l’inquadratura svolge funzione poetica e funzione metalinguistica]; 2) il suo senso si specifica all’interno di una catena sintagmatica di inquadrature (ved. sopra sull’effetto Kulešov). ● la profondità di campo; nelle inquadrature a profondità di campo infinita tutti gli elementi del profilmico - disposti a diversi piani di distanza rispetto alla cinepresa - hanno lo stesso livello di definizione [nota - secondo Bazin la scomparsa della profondità di campo nel corso degli anni Dieci del Novecento non è tanto dovuta a questioni tecniche (il passaggio dalla più sensibile pellicola ortocromatica alla meno sensibile pancromatica), ma è piuttosto una conseguenza logica dell’introduzione del montaggio - se il montaggio serve a focalizzare l’attenzione su un certo elemento del profilmico, è normale che l’istanza narrante decida anche di sfocare lo sfondo per rafforzare l’attenzione dello spettatore su tale elemento - la sfocatura svolge a livello plastico la stessa funzione svolta dal montaggio a livello sintattico - nota - Renoir, Welles, Mizoguchi fanno ampio uso della profondità di campo]; ● il piano sequenza e il long take; si ha piano sequenza quando un piano svolge la funzione di una sequenza o scena, ovverosia quando un episodio narrativo relativamente autonomo rispetto alla generale progressione sintattica della narrazione del film è costituito da una sola ripresa senza stacchi. Per definizione il piano sequenza rifiuta il ricorso al montaggio. Gli americani, più pragmaticamente, parlano di long take, facendo riferimento a quell’inquadratura che, pur non esaurendo un intero episodio narrativo, si caratterizza per un evidente rifiuto di ricorrere al montaggio [nota - nella storia del cinema i piani sequenza e i long take si sono molto spesso accompagnati a inquadrature con profondità di campo infinita, le quali richiedono un maggiore tempo di lettura rispetto agli altri tipi di inquadratura - nota - tradizionalmente si assegna la paternità del piano sequenza a Jean Renoir]. Dunque, nella prospettiva di Bazin, profondità di campo, piano sequenza e long take sono i dispositivi formali mediante i quali un film mantiene l’ambiguità del reale dando agli spettatori un numero di modi potenzialmente infinito di “montare” il proprio découpage. Tuttavia, a dispetto di quanto afferma Bazin, non tutte le volte che queste tecniche vengono impiegate si rifiuta la logica del montaggio per abbracciare quella della rappresentazione ambigua del profilmico. Al contrario, esistono film che fanno uso di piani sequenza a profondità di campo infinita che si avvalgono del montaggio interno, ossia un montaggio che non si costruisce sul rapporto tra due o più elementi profilmici grazie all’uso di due o più inquadrature, ma sul rapporto tra due o più elementi profilmici all’interno di un unico piano [nota - fu Ejzenstejn a teorizzare per primo il montaggio interno - ric. es. scena di Quarto potere di Welles in cui i genitori di Kane firmano delle carte per affidarlo a un tutore - in primo piano (non in termini di scala di piani) la madre di Kane e il futuro tutore seduti a firmare le carte per l’affidamento; a metà piano il padre di Kane, in piedi, che li guarda; sullo sfondo, inquadrato dalla finestra, Kane che gioca con lo slittino sulla neve - tensione narrativo-drammatica non dissimile a quella che si sarebbe potuta ottenere facendo uso del montaggio narrativo - sullo sfondo la vittima ignara (Kane), a metà chi cerca debolmente di opporsi a ciò che sta accadendo (il padre), in primo piano gli artefici di quanto sta accadendo (la madre e il futuro tutore) - drammatizzazione, gerarchizzazione e chiarezza, e senza usare il montaggio narrativo classico - nota - il montaggio non è dato esclusivamente dalle azioni operate dall’istanza narrante sul filmico (movimenti di macchina) ma anche da quelle operate sul profilmico (posizione degli oggetti, movimenti dei personaggi, costruzione delle scenografie, uso delle luci) - nota - la disposizione degli elementi del profilmico è già una scelta di rappresentazione che allontana il cinema dalla realtà - nessuna scelta di rappresentazione è una scelta neutra - nota - la storia del cinema offre però altri esempi di utilizzo della profondità di campo e del long take che ricalcano perfettamente l’idea di Bazin secondo cui questi dispositivi formali sono utilizzati con lo specifico obiettivo di restituire l’ambiguità del reale - ric. scena della camminata agli Chameps Elysées in Fino all'ultimo respiro]. Sonoro Una colonna sonora si articola in tre materie di espressione sonora: parole, rumori e musiche. Montaggio sonoro e le sue funzioni In un film l’esame del suono deve sempre essere rapportato all’esame del visivo: non si vede la stessa cosa se anche la si sente, così come non si sente la stessa cosa se anche la si vede [ric. es. Lettera dalla Siberia di Chris Marker - stessa sequenza che ritrae scorci di vita della città sovietica di Jakutsk: autobus rosso attraversa la strada e operai a lavoro - a seconda del commento extradiegetico, le stesse immagini possono restituire la visione di una città all’avanguardia o di una città oppressiva]. Come per le immagini, esiste il montaggio sonoro. Per operare il montaggio sonoro si deve: ● selezionare i suoni di una scena (le voci dei protagonisti che dialogano, le voci delle comparse, i rumori di sfondo, la musica extradiegetica ecc. - nota - la selezione dei suoni non è mai neutra - presa la scena ambientata in una città, si produce un effetto di senso differente se decido di far sentire il suono del vento anziché il rumore del traffico); ● missare il volume [nota - nel cinema hollywoodiano classico il montaggio sonoro segue gli stessi criteri di gerarchizzazione, drammatizzazione e chiarezza - ric. la prima scena del Bar di Rick (Humphrey Bogart) in Casablanca - prima si sente il brusio dei clienti e la musica suonata da Sam al pianoforte, poi il volume di queste tracce sonore si abbassa per dare spazio ai dialoghi di alcuni personaggi - nota - nel cinema moderno i criteri di gerarchizzazione, drammatizzazione e chiarezza non vengono sempre rispettati - ved. film di Godard e di Fellini]; ● combinare i suoni selezionati e mixati con le immagini per dare vita al montaggio audiovisivo che, a differenza di quello solo visivo, non si dà nella sola forma della successione (orizzontalità) ma anche in quella della simultaneità (verticalità). Il sonoro può essere utilizzato: ● per dare continuità alle immagini (es. in una scena di dialogo strutturata su campi e controcampi, le voci dei parlanti possono iniziare in un’inquadratura e terminare nell’altra - es. nelle sequenza descrittive dei western, i piani su elementi del profilmico (rotolacampo, cactus, cavalli, edifici in legno ecc.) possono essere legati da un suono ambientale di fondo come il vento oppure dalla colonna sonora musicale); ● per creare contrasti con le immagini e ottenere effetti drammatici. Montaggio sonoro e spazio Rispetto alla dimensione spaziale, il suono può essere distinto in: - suono extradiegetico (o suono over); - suono intradiegetico, il quale può essere a sua volta diviso in: ● suono in campo (o suono in), in cui la fonte intradiegetica del suono si trova nello spazio dell’inquadratura; ● suono fuori campo (o suono off), in cui la fonte intradiegetica del suono si trova fuori dallo spazio dell’inquadratura (ric. l’uso del suono fuori campo nella scena del banchetto in Ninotchka di Lubitsch). [nota - Chion evidenzia l’esistenza di eccezioni che mettono in crisi questa tassonomia dei suoni - suoni d’ambiente, suono interno e suono on the air - i suoni d’ambiente inglobano lo spazio della scena per cui è assurdo chiedersi se essi siano suoni in campo o fuori campo (es. suono del vento) - i suoni interni sono, ad esempio, i suoni ricordati o immaginati da un personaggio - i suoni on the air sono quelli la cui fonte primaria è dislocata altrove, come nel caso della musica in radio] Chion chiama i suoni extradiegetici e fuori campo suoni acusmatici, mentre i suoni in campo suoni visualizzati. Accompagnandosi a un’immagine il suono può dirigere l’attenzione dello spettatore su un elemento o un altro, invitandolo così a uno sguardo selettivo (es. nelle scene di dialogo in cui entrambi i dialoganti sono in campo con un’inquadratura oggettiva, lo spettatore sarà portato a focalizzare la propria attenzione sul personaggio che in quel momento sta parlando). Il volume del suono, se debitamente mixato, può suggerire la distanza dalla fonte che lo produce (es. il rumore di un’auto in lontananza sarà relativamente basso, mentre la voce di un personaggio in primo piano sarà relativamente basso - nota - ci sono casi in cui distanza spaziale e volume sonoro non si omologano, come nel caso in cui ci sono personaggi che parlano in piano lungo ma dei quali sentiamo le voci molto vicino - immagine in piano lungo, voce in primo piano) [nota - lo sviluppo di tecnologie che restituiscono un audio stereofonico (es. dolby) ha permesso al cinema di estendere le possibilità di rappresentazione audiovisive - ad esempio, si può capire la posizione di un personaggio che parla fuori campo perché sentiamo la sua voce provenire dalla nostra destra - nota - secondo Chion lo sviluppo di tecniche di diffusione dell’audio ha determinato il cambiamento delle regole del découpage classico - Chion parla della nascita del supercampo, una sorta di campo audiovisivo determinato non solo dall’immagine ma anche dai suoni che provengono da ogni direzione - il supercampo permette una migliore contestualizzazione della scena - con il supercampo il cinema ha potuto diminuire sensibilmente l’uso dei piani di insieme che hanno la funzione di contestualizzare le scene, funzione che ora viene spesso affidata al suono]. Montaggio sonoro e tempo Rispetto alla dimensione temporale si può avere: ● suono simultaneo ● suono non simultaneo (es. personaggio che narra un evento passato, quindi voce al presente e immagini al passato, personaggio che ricorda le parole di un altro al passato, quindi voce al passato e immagini al presente). Sotto un’altra prospettiva, si possono avere i cosiddetti ponti sonori, ossia brevi anticipazioni sonore (voci, rumori ambientali ecc.) sulla scena che seguirà lo stacco della scena attuale. Ancora, riprendendo la distinzione tra suoni acusmatici e suoni visualizzati, ci possono essere casi in cui un suono visualizzato diventa acusmatico nel corso della sequenza (es. un personaggio in campo continua a parlare anche quando viene messo fuori campo) suono visualizzato → suono acusmatico
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