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Sintesi del "Manuale delle metodologie e tecnologie didattiche", Sintesi del corso di Didattica generale e speciale

Sintesi ordinata del manuale redatto da Lucia Gallo e Iolanda Pepe

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 12/07/2021

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Scarica Sintesi del "Manuale delle metodologie e tecnologie didattiche" e più Sintesi del corso in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! METODOLOGIE E TECNOLOGIE DIDATTICHE Lucia Gallo - Iolanda Pepe Edizioni Simone Disclaimer: il presente documento è una sintesi libera del manuale PARTE 1 FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELL’APPRENDIMENTO Capitolo I: struttura del cervello e processi cognitivi Prima di trattare i principali nuclei teorici riguardanti sia la psicologia dello sviluppo che dell’educazione, è opportuno comprendere quali sono i meccanismi che si innescano nel cervello dell’individuo e come quest’ultimo si trasforma nell’arco della vita. Il cervello, sede delle numerose attività cognitive messe in atto dall’essere umano quotidianamente, si compone di circa 30 miliardi cellule nervose, definite neuroni. Ogni neurone comunica con un numero altrettanto notevole di neuroni, dando origine a processi cognitivi noti con il termine di sinapsi. La corteccia cerebrale è strutturata in due emisferi, destro e sinistro, a loro volta suddivisi in quattro lobi che prendono il nome dall’osso cranico sovrastante, e sono frontale, parietale, occipitale e temporale. Lateralmente alla scissura longitudinale che separa i due emisferi cerebrali, è presente il solco centrale, anteriormente al quale è posizionato il lobo frontale. La regione situata al di sotto del solco laterale che delimita il lobo frontale prende il nome di lobo temporale, mentre l’area posteriore al solco centrale lobo parietale. Infine, abbiamo il lobo occipitale posizionato dietro al solco parieto- occipitale. Molteplici sono le funzioni della corteccia cerebrale, ad esempio il controllo delle attività motorie dell’organismo, la produzione del linguaggio, le funzioni cognitive concernenti l’attenzione, l’elaborazione del pensiero e l’organizzazione della psiche in toto. Caratteristica importante della corteccia cerebrale è la plasticità, ovvero la capacità di mutare le proprie peculiarità funzionali e/o strutturali in base agli stimoli sensoriali esterni. Il periodo che intercorre tra la nascita e l’inizio del funzionamento degli apparati sensoriali viene definito critico, un fenomeno, in realtà, di sintonizzazione tra il mondo cerebrale e quello esterno. Tuttavia, l’assenza di stimoli durante il periodo critico comporta danni irrimediabili nello sviluppo cognitivo di un bambino, anche se recenti studi dimostrano l’esistenza di plasticità, seppur in modo ridotto, anche nell’adulto. Tale fenomeno rappresenta il pilastro portante della LifeLong Learning (capacità di apprendimento costante) che dura per l’intera vita dell’individuo, un’ educazione, dunque, costante che inizia ancor prima della scuola e che si prolunga anche dopo il pensionamento. Si tratta di un processo individuale intenzionale che mira all’acquisizione di competenze con lo scopo di modificare e/o sostituire un dato apprendimento non adeguato ai nuovi bisogni sociali. Inoltre, è risaputo a livello scientifico che i circuiti neuronali, inattivi per un lungo arco temporale, perdano la loro efficienza sinaptica. Se non fosse dotato della sfera percettiva, l’uomo non sarebbe in grado di conoscere la realtà circostante e, soprattutto, di imparare da essa. Il termine percezione indica quel processo cognitivo grazie al quale poter raccogliere informazioni dall’ambiente esterno mediante l’integrazione tra le conoscenze già in possesso e quelle da apprendere per mezzo degli organi di senso. La percezione, però, può essere influenzata da diversi fattori fisiologici e soggettivi, quali lo stati d’animo o le emozioni, per tale motivo è impossibile riscontrare una precisa concomitanza tra la realtà fisica e ciò che l’uomo percepisce. A contribuire sulla costruzione che l’individuo esegue, a livello psichico, del mondo esterno, concorrono le cosiddette variabili soggettive, che influenzano, inoltre, il benessere psicofisico della persona. In realtà, quando si parla della percezione si fa riferimento ad un meccanismo complesso, in quanto coinvolge varie abilità cognitive quali intelligenza, affettività, coscienza ed attenzione. Importanti scuole psicologiche hanno elaborato interessanti studi su suddetto tema. E’ opportuno citare la teoria della Gestalt, meglio conosciuta come teoria della forma, secondo la quale la percezione non è preceduta da una sensazione ma influenzata dalle esperienze passate. Inoltre, tutto ciò che l’essere umano è in grado di percepire è il risultato di una combinazione tra i molteplici elementi costitutivi dell’oggetto percepito. Da annoverare sono gli studi compiuti dallo psicologo ceco Max Wertheimer (1880-1943) sulla classificazione dei principi che regolano il processo percettivo, ossia principio di vicinanza, somiglianza, chiusura, continuità e buona forma. Il primo riguarda la capacità percettiva di elementi vicini tra loro, il secondo tra oggetti simili, il terzo tra linee discontinue percepite nella loro unità, il quarto tra forme percepite con una certa continuità ed, infine, il quarto in cui l’individuo riconosce figure simmetriche regolari in maniera intuitiva. Secondo lo psicologo, inoltre, nel fenomeno percettivo ha una notevole importanza il vissuto dell’individuo che condiziona il suo modo di percepire. La branca psicologica che studia il rapporto esistente tra la personalità dell’individuo e le relazioni sociali presenti e future è quella funzionalista. Un importante esponente di tale teoria è stato lo psicologo statunitense Jerome Bruner(1915-2016) che afferma come il vissuto e lo stato emotivo dell’individuo influenzino gli stimoli percepiti. Alla base della teoria funzionalista c’è il soggetto, parte attiva del processo di percezione, con il suo bagaglio culturale, sociale ed affettivo. Un'importante attività di filtro in grado di impedire l’accumulo di dati irrilevanti è la tensione, ovvero un’attitudine cognitiva che mette a fuoco contenuti di primaria importanza. Il lavoro svolto dalla tensione è un’operazione mirata sull’informazione in entrata definita input selezionata in base a motivazioni, interessi e aspettative del soggetto. Un noto studioso che ha concentrato i suoi studi sulle informazioni in entrata nel cervello è stato lo psicologo britannico Donald Eric Broadbent(1926-1993). La sua teoria è basata sul modello di filtro dell’attenzione, nel quale la tensione funziona come sistema di filtraggio rispettando, però, le finalità e le attese dell’individuo. Inoltre, secondo suddetto modello, quando si presentano contemporaneamente due stimoli, solo uno dei due viene accettato dal filtro, mentre l’altro rimane immagazzinato nel buffer sensoriale per essere elaborato in un secondo momento. Per di più, ruolo fondamentale nel processo di apprendimento è l’attenzione selettiva, una strategia messa in atto dal cervello per contenere, per quanto possibile, le risorse cognitivi. Un primo nucleo teorico sull’apprendimento affonda le sue radici nel comportamentismo, il cui oggetto di studio è la condotta umana in tutte le sue sfaccettature e il cui massimo esponente è lo psicologo statunitense Skinner con la sua teoria sul condizionamento operante. Si parla di condizionamento operante, ogni qualvolta il soggetto mette in atto una modifica delle norme comportamentali. Lo studioso statunitense ha fornito una spiegazione esaustiva di tale fenomeno con un esperimento su un topo, noto come Skinner’s box. Per prima cosa chiuse il topo in una gabbia contenente due leve, l’una trasmetteva corrente elettrica mentre l’altra forniva del cibo consentendo all’animale di poter uscire. Skinner notò che, mentre inizialmente il topo toccava entrambi le leve per tentare di uscire, successivamente, dopo vari tentativi, riuscì nel suo intento sollevando la leva giusta. Un noto fenomeno trattato dallo studioso statunitense nella sua teoria è quello del modellamento, ossia come il processo di apprendimento si modelli progressivamente in base alle azioni umane. Mentre nel condizionamento classico la risposta ad un determinato stimolo non dipende dalla volontà del soggetto, in quello operante è quest’ultimo che la riproduce in modo volontario. Secondo i comportamentisti l'apprendimento e lo stesso sviluppo cognitivo dell’individuo è mediato da condizionamenti esterni che portano al consolidamento del comportamento. Ivan Pavlov, invece, importante psicologo russo, ha parlato del condizionamento rispondente di tipo associativo. Durante i suoi studi sull’attività digestiva, incuriosito dalla visione del cane che salivava ancor prima di annusare il cibo, Pavlov fece un esperimento. In associazione con il cibo, viene presentato al cane un secondo stimolo che non ha nulla a che vedere con la sua salivazione, ossia il suono di una campanella. Dopo ripetute presentazioni di due stimoli associati tra loro, il cane comincia a rispondere con la salivazione anche al solo suono della campanella. Pertanto, come alla vista del cibo l’animale risponde con un riflesso incondizionato, ossia la salivazione, così anche l’uomo ad ogni stimolo incondizionato avrà una risposta incondizionata, in tal caso avverrà un processo di sostituzione dello stimolo. Secondo lo psicologo canadese Albert Bandura(1925) l’individuo apprende, non solo osservando i comportamenti altrui considerandoli dei modelli da seguire, ma può avvenire anche mediante un’intuizione improvvisa. Ecco che nasce la corrente psicologica del cognitivismo la quale, allo stesso modo di un software che elabora i dati ricevuti, considera i processi mentali dei veri e propri elaboratori di informazioni. Inoltre, oggetto di studio del cognitivismo è la mente umana considerata come una struttura cognitiva sempre attiva. I maggiori esponenti di tale pensiero psicologico, quali Piaget, Brunner e Vijgotski, si sono occupati della psicologia dello sviluppo secondo la quale il processo di formazione dell’uomo avviene attraverso cinque stadi, infanzia, fanciullezza, adolescenza, età adulta e tarda età. L’infanzia è, senza dubbio, il periodo cruciale nella vita di ogni individuo. Durante la fanciullezza l’uomo apprende nuove abilità soprattutto attraverso il gioco, nell’adolescenza un’importante stabilità cognitiva, durante l’età adulta la percezione dello scopo dell’esistenza ed, infine, nella tarda età la piena accettazione di sé, valorizzando la dimensione temporale della memoria. Per mezzo dell’intelligenza l'organismo si adatta all’ambiente circostante, poiché qualsiasi attività mentale presuppone una certa maturazione psichica che guida lo sviluppo dell’individuo. In sostanza, nel processo di crescita umana, contribuiscono determinati fattori di natura genetica; ciò è stato studiato dallo psicologo svizzero Jean Piaget(1896- 1980), il quale individua un parallelismo tra progressi compiuti, organizzazione razionale della conoscenza e processi psicologici di tipo formativi. Lo studioso individua quattro stadi principali che regolano lo sviluppo motorio e cognitivo del bambino: uno stadio senso- motorio dai 0 ai 2 anni in cui il bambino esplora l’ambiente circostante mediante l’intelligenza senso-motoria. Da qui si diramano altre cinque sottocategorie che sono riflessi innati (0-1 mese), reazioni circolare primarie (24 mesi), reazioni circolari secondarie (da 4 mesi in poi), reazioni di mezzo (da 8 a 12 mesi), reazioni circolari terziarie (da 12 a 18 mesi) con funzione simbolica. Il secondo stadio è quello definito dallo studioso pre-operatorio che va dai 2 ai 7 anni, in cui il soggetto, servendosi del pensiero simbolico ed intuitivo, interiorizza l’azione e ne conserva una traccia nella mente. La terza tappa evolutiva è definita stadio delle operazioni concrete e comprende la fascia di età che va dai 7 ai 12 anni. Questo periodo è caratterizzato da operazioni riguardanti la capacità di manipolazione mentale dei concetti in base a determinate regole. Il quarto ed ultimo stadio è quello delle operazioni formali dai 12 ai 15 anni, in cui l’essere umano è in grado di spostare l’attenzione dai dati concreti a quelli astratti. Secondo Piaget suddetti Stadi sono immodificabili ed, inoltre, apprendimento e sviluppo cognitivo sono fenomeni strettamente connessi tra loro. Nello primo stadio è stata trattata l’importanza del gioco per il bambino come mezzo di conoscenza del mondo esterno, ma ciò comporta delle regole da seguire. Quando le modalità di gioco sono basate su delle regole ben precise, si parla di morale autonoma, al contrario, se tali regole vengono imposte dagli adulti, la morale diventa eteronoma. La personalità di ciascun individuo si modella sulla base del proprio senso morale, conseguenza delle esperienze dirette che l’uomo ha riguardo ai comportamenti indiretti altrui. Colui che ha proposto un’organizzazione del senso morale in tre livelli basilari è stato lo psicologo statunitense Lawrence Kohlberg(1927-1987). Più nello specifico, riguardano: - il livello pre-convenzionale basato su due fasi di orientamento strumentale, la prima riguardante l’obbedienza e la punizione, la seconda permette al bambino di conformarsi alle regole per ottenere ricompense; - il livello convenzionale strutturato, a sua volta, su altri due stadi, uno di orientamento concernente le relazioni interpersonali, l’altro che prevede un adattamento del comportamento in base all’ordine sociale, senza la possibilità per l’individuo di modificarlo; - il livello post-convenzionale rappresentato dalla sottoscrizione di una stipula sociale orientata sulla base della propria coscienza. Poiché le modificazioni interne al comportamento umano sono da considerarsi una serie di esperienze ripetute nel tempo, l’apprendimento comporta un cambiamento delle capacità umane non attribuibile esclusivamente al processo di crescita. Secondo lo psicologo Bruner l’apprendimento avviene, non in base ad una sequenza fissa di eventi, bensì a spinte motivazionali e fattori sociali derivanti dal contesto in cui l'individuo apprende. A tal proposito, Bruner elenca tre importanti sistemi di rappresentazione della conoscenza: - rappresentazione esecutiva, ossia il bambino apprende dalle azioni che compie; - rappresentazione ionica in cui il bambino impara attraverso immagini visive; - rappresentazione simbolica, quando l’apprendimento nel bambino avviene mediante simboli. Partendo dal presupposto che la base strutturale della conoscenza umana è costituita da processi mentali con fondamento sociale, Bruner parla dell’apprendimento come un processo attivo in cui l’individuo apprende nuove nozioni a partire dalle proprie conoscenze passate e presenti. Non solo, poiché il processo conoscitivo ha inizio da pratiche sociali e culturali, esso si configura come un fenomeno sociale in cui interagiscono elementi diversi tra loro ma tutti attivi in egual misura come il linguaggio, le immagini, i ruoli sociali etc. Colui che ha attribuito, all’influenza derivante dal contesto sociale di appartenenza, un ruolo fondamentale nel processo di crescita dell’individuo è stato lo psicologo Vijgotski. A generare i sistemi di rappresentazione della realtà esterna è il contesto socioculturale. Tra pensiero e linguaggio intercorre un rapporto inverso e l’interazione tra ambiente ed individuo avviene attraverso strumenti materiali e, al tempo stesso, psicologici, mezzi idonei per comunicare con il mondo circostante. Tali strumenti permettono, inoltre, al soggetto di sviluppare capacità cognitive superiori, quali ragionamento, volontà, pensiero, memoria logica, concetti astratti e abilità progettuali. Ogni pensiero elaborato a livello cognitivo deriva da due elementi principali, la struttura cerebrale geneticamente determinata e il mondo esterno al cervello. Compito principale della pedagogia è quello di comprendere e valorizzare le capacità evolutive del cervello. E’ solo nel corso degli anno ’80 che i primi fondamenti teorici del cognitivismo cominciano ad essere messi in discussione, poiché il soggetto che apprende compie azioni costanti di costruzione, non solo della conoscenza, ma anche dell'ambiente esterno. La teoria costruttivista definisce la conoscenza un processo mai oggettivo ma sempre di soggettiva costruzione dei concetti in base alle proprie conoscenze, sensazioni ed emozioni. Ogni essere umano ha una visione personale della realtà circostante ed analizza il mondo attraverso l’utilizzo di categorie e concetti che lo caratterizzano. In ambito didattico l’apprendimento individuale non può rispondere a standard predefiniti ma deve, al contrario, garantire a tutti un percorso individuale di apprendimento. Per tale motivo, il costruttivismo nega le modalità di insegnamento di tipo trasmissivo a favore di qualunque tipologia di didattica che ricorre all’esperienza. Uno dei maggiori esponenti del costruttivismo è stato lo psicologo statunitense G. A. Kelly(1905-1967). Tale studioso sostiene che ciascun individuo interpreta il mondo in base al proprio bagaglio culturale ed esperienzale, dal quale dipendono, non solo le opinioni, ma anche la condotta umana. Inoltre, Kelly definisce la personalità una struttura dinamica che fornisce specifiche interpretazioni mentali sulla base di pensiero e significato verbale. Per di più, l’intelligenza si differenzia in base, non solo all’ambiente in cui l’individuo si trova ad operare, ma anche alla fluidità di pensiero e al significato verbale delle conoscenze apprese. Con lo psicologo statunitense Howard Gardner e con la sua teoria delle intelligenze multiple(1983), si parla dell’intelligenza come un costrutto non quantificabile numericamente, ma composto da distinte abilità. Ad una differente base biologica corrispondono altrettanti differenti fattori psicologici inerenti al tipo di stimoli ricevuti, al modo in cui vengono elaborati dalla psiche, ai meccanismi che sono alla base del processo di elaborazione, al tipo di risposte fornite dai soggetti e agli aspetti determinanti la rilevanza. A tal proposito, Gardner ha individuato nella mente umana sette differenti forme di intelligenza: - intelligenza logico matematica consiste nella predisposizione ad analizzare i problemi in modo logico, eseguire operazioni matematiche e comprendere i fenomeni esterni scientificamente con il metodo deduttivo; - intelligenza linguistica, ovvero la capacità di comprensione e riproduzione del linguaggio, usandolo in maniera appropriata per esprimersi verbalmente ed in forma scritta; - intelligenza spaziale, ossia l’abilità di percezione dello spazio e delle aree ad esso correlate e di trasformarle in base alle proprie sensazioni; - intelligenza corporea concernente l’attitudine di utilizzare il corpo in modo differente per fini espressivi; - intelligenza musicale riguarda la comprensione degli elementi costitutivi del linguaggio musicale, quale tono, ritmo, armonia e melodia; - intelligenza interpersonale che tratta l’abilità di interpretare le emozioni e gli stati d'animo altrui; - intelligenza intrapersonale basata sulla piena coscienza della propria vita affettiva, linea guida per comprendere il proprio comportamento. Negli anni successivi, a suddette tipologie intellettive Gardner ne ha aggiunte altre due, ovvero naturalistica relativa alla capacità di classificare gli oggetti naturali ed esistenziale riguardante l’abilità di riflettere sulla questione fondamentali dell’esistenza. Oggi la riflessione pedagogica ed educativa ha riconosciuto l’importanza della componente emotiva e comportamentale nello sviluppo dell’identità umana. Stando a tale esplicazione, l’affettività va intesa come la manifestazione reale delle proprie reazioni emotive condizionate, a loro volta, dall’apprendimento e dai processi cognitivi. Ogni individuo, inoltre, funziona come un sistema, in cui ogni comportamento, seppur irrilevante, comporta una modifica di tutte le abilità cognitive. Oggi sono le neuroscienze a sostenere la necessità di affrontare lo sconfinato mondo delle emozioni al fine di migliorare le relazioni interpersonali. Con il termine intelligenza emotiva sociale si fa riferimento a quelle caratteristiche che permettono all’individuo di relazionarsi positivamente con i propri simili, ovvero empatia e rispetto per le diversità. Un’esigenza sentita, sempre più, per identificare, modulare e gestire il proprio vissuto interiore è educare all’emotività. Per gestire in maniera efficace un conflitto bisogna concentrare le proprie risorse intellettive sul piano relazionale per non correre il rischio di annullare l’altro, ma ciò può avvenire solo attraverso la sua disponibilità effettiva. Un docente mosso d’amore pedagogico è, dunque, un educatore affettivo, il quale, affinché la relazione educativa sia duratura nel tempo, dovrà sempre tener presente tre basilari attitudini, dialogo, reciprocità e ascolto. Oltre alle teorie sull’intelligenza, numerose sono anche quelle relative ad un'ulteriore abilità cognitiva umana, ossia il pensiero. Lo studioso che si è interessato degli elementi caratteristici di un approccio educativo in tutte le sue sfaccettature, è stato il sociologo francese Edgar Morin. Secondo quest’ultimo, ciò che caratterizza ma, al tempo stesso, influenza l’andamento di un processo educativo, riguarda quanto segue: il contesto visto come un insieme di elementi legati tra loro che danno forma ad un dato evento e il concetto di multi- dimensionale rappresentato dal rapporto tra l’uomo e l’ambiente circostante. Lo psicologo maltese Edward De Bono(1933) ha introdotto il concetto di pensiero laterale per indicare qualcosa di illogico e razionale che segue le percezioni umane. In contrapposizione al pensiero laterale c’è quello definito verticale, che è generativo, poiché è in grado di produrre nuove idee, e selettivo, come nel caso delle mappe creative. Il pensiero laterale può essere definito una forma strutturata di creatività, adoperata dall’individuo in maniera sistematica mediante l’utilizzo di varie tecniche, quali la ricerca di alternative, l’entrata casuale e la provocazione. Un’importante tecnica meta- cognitiva messa in atto dal cervello per scorporare il flusso di pensieri che si accavallano in esso, riguarda diverse applicazioni, come l’uso individuale, l’uso di gruppo, il problem solving, la creatività e la gestione delle situazioni in modo creativo. Il concetto di creatività, non facilmente definibile, introduce qualcosa di nuovo rispetto ai modelli teorici già esistenti. Secondo lo psicologo statunitense Joy Paul Guilford(1897- 1987) l’espressione più strettamente connessa all’atto creativo è il pensiero divergente, ovvero la capacità di produrre una serie di possibili soluzioni alternative ad un dato problema. Secondo tale studioso il pensiero divergente è misurabile sulla base di tre parametri: fluidità, indicatore quantitativo di valutazione della quantità di idee prodotte, flessibilità, ossia l’elasticità di passare da un compito all’altro ed, infine, originalità, abilità nell’elaborare idee personali, differenti da quelle prodotte dalla maggioranza. Sia il pensiero convergente che il ragionamento logico razionale sono basati su un meccanismo sequenziale deduttivo, sull’applicazione meccanica di principi e sull’analisi metodica di informazioni. Un modo per sviluppare in maniera ottimale il pensiero divergente degli allievi è quello di adottare, da parte dei docenti, metodologie come il brainstorming, dando un buon voto per le risposte esatte e penalizzando quelle errate. Lo stesso Bruner ha sottolineato nel suo pensiero l’importanza di favorire il pensiero divergente attraverso lo sviluppo della creatività in aula. Al contrario, oggi nell’ambiente scolastico c’è la tendenza a premiare gli studenti con un alto grado di convergenza, in quanto manifestano comportamenti e forme di apprendimento più consone al modello didattico applicato. Capitolo IM: stili di apprendimento e pratiche didattiche per individuarli Come è stato esaustivamente esplicato nel capitolo precedente, con il termine apprendimento, si fa riferimento ad un processo multifattoriale, le cui componenti riguardano elementi motori, verbali, emotivi, percettivi e abilità risolutive. Tale processo cognitivo si manifesta per gradi in base a due modalità principali, ossia come un processo di raccolta dati (apprendimento continuo) o come un meccanismo immediato e creativo (apprendimento discontinuo). Si tratta di un processo continuo e progressivo che interessa l’intero arco di vita dell’individuo, dall’età neonatale a quella relativa alla terza età, senza escludere l’atto creativo. Per stile di apprendimento si intende, invece, l’insieme delle strategie utilizzate per conoscere il mondo esterno, ovvero le modalità con cui l’uomo apprende. Pertanto, per far si che l’attività didattica risulti efficace, importante è conoscere lo stile di apprendimento di ogni studente. Riguardo a ciò, lo psicologo statunitense Robert Sternberg (1949) ha affermato che, gli scarsi risultati scolastici spesso ottenuti dagli allievi, dipendono dalla divergenza tra modalità di insegnamento del docente e stile di apprendimento del discente. E° importante, dunque, che ogni insegnante adatti le proprie norme di insegnamento a quelle dei singoli alunni, promuovendo in essi un processo di consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità, conosciuto come metacognizione. Con suddetto termine, si indica un meccanismo autoriflessivo messo in atto dall’essere umano per comprendere e controllare le proprie emozioni, nonché la propria psiche. Grazie al processo di apprendimento l’individuo è in grado di modificare la struttura delle conoscenze apprese e, di conseguenza, utilizzarle nei vari contesti in cui opera. Ad un apprendimento di tipo intenzionale basato su un’operazione di concentrazione della mente su una data nozione, come avviene ad esempio nello studio, si contrappone quello incidentale. Qualsiasi stile di apprendimento deve tener conto dei seguenti parametri: caratteristiche individuali nell’affrontare i problemi, differenti strategie nell’elaborazione delle informazioni, diverse modalità di categorizzazione ed utilizzo delle conoscenze, differenze cognitive, motivazionali e di personalità. Non è da sottovalutare la sfera sociale, in quanto l'apprendimento riguarda anche fattori di natura ambientale, relativi alle caratteristiche del luogo in cui si studia (luce, temperatura etc.,), sensoriale, visiva ed uditiva, oltre che cognitiva e caratteriale connessi all’essere umano. Un aspetto importante che maggiormente caratterizza gli stili di apprendimento è quello attinente a ciò che viene definito, in ambito psicologico, stile cognitivo. L'insieme dei sistemi preferenziali, impiegati dall’individuo per elaborare informazioni e attuare comportamenti diversi tra loro, è definito stile cognitivo. Come per lo stile di apprendimento anche quello cognitivo si basa su due principali differenze, l’una relativa all’individualità del soggetto, l’altra alle sue tendenze ed abitudini. Le differenze individuali di ogni individuo sono evidenziate mediante gli stili cognitivi in relazione ai suddetti principi: - tempi di apprendimento, c’è chi impara rapidamente e chi lo fa con lentezza; - spazio, c’è chi per concentrarsi necessita di ambienti rumorosi, mentre altri di luoghi tranquilli; Colui che si è interessato della qualità del processo di apprendimento è stato lo psicologo statunitense David Ausubel (1918-2008). Solo l’apprendimento significativo, afferma lo studioso, permette una conoscenza basata, non sulla memorizzazione di nozioni, bensì su percorsi cognitivi complessi. In tale ottica, il docente non deve limitarsi semplicemente al transfert di informazioni, ma deve educare lo studente alla comprensione autonoma delle dinamiche intrinseche al processo di apprendimento. Gli studi compiuti dal pedagogista David Kolb (1939) hanno come oggetto di studio il collegamento esistente tra apprendimento e pratica esperienziale. Secondo tale teorico, infatti, l’individuo apprende dalla pratica, non solo l'apprendimento è un processo circolare, da lui definito Learning Cyrele, formato da 4 fasi: esperienza concreta, osservazione riflessiva, concettualizzata astratta e sperimentazione attiva. Kolb, inoltre, ha suddivido gli stili di apprendimento di uno studente in tre tipologie: convergente, divergente e assimilatore. Il primo basato sulla sperimentazione attiva, il secondo sull’osservazione riflessiva ed, infine, il terzo sulla concettualizzazione astratta. In tal caso, l’operato del docente dovrà assumere un’impronta metacognitiva orientata al riconoscimento dello stile di apprendimento degli alunni; il passo successivo sarà quello di valorizzare le potenzialità di ogni singolo allievo, così da permettere loro di acquisire nuove conoscenze dal confronto e dall’interazione con il mondo esterno. Efficace per comprendere i vari stili di apprendimento dei discenti è lo svolgimento di lavori di gruppo da parte dell’insegnante. Tra i tanti che si possono adoperare in ambito didattico ricordiamo: l’approccio multisensoriale basato sulla sollecitazione dei cinque sensi, il VAK, acronimo di Visivo, Auditivo e Cinestetico. Con i supporti visivi l’individuo elabora le informazioni associandole ad immagini mentali, con quelli auditivi apprende attraverso l’ascolto mentre con quelli cinestetici con la pratica. L’approccio multisensoriale è consigliato per studenti con bisogni educativi speciali (BES), poiché va incontro alle loro esigenze educative, in maniera ottimale. Anche i docenti americani Felder e Silverman, con lo scopo di migliorare il percorso formativo degli studenti universitari, hanno individuato cinque diversi stili di apprendimento, così classificati: sensoriali/uditivo, visivo/verbale, induttivo/deduttivo, attivo/riflessivo e sequenziale/globale. PARTE 2 METODOLOGIE, STRATEGIE E TECNICHE DIDATTICHE Capitolo I: le competenze dell’insegnante L’insegnamento, l’insieme delle attività basate su determinate condizioni, può essere considerato un lavoro arduo, data la possibilità di insuccesso ad esso connesso, nonostante esistano professionalità eccellenti. Sembra che la scuola odierna, con le sue innumerevoli potenzialità e svariate metodologie didattiche messe in campo, non piaccia affatto. Un ruolo fondamentale è quello ricoperto dai docenti, ai quali viene affidato il compito di elaborare una didattica che sappia rispondere in maniera adeguata alle sfide presentategli. Fulcro portante dell’attività dell’insegnante è la dimensione educativa intrinseca alla propria professione, riguardante il “prendersi cura” dell’allievo e farsi carico dei suoi “bisogni”. La società odierna è una società in continua evoluzione ed in una fase di transizione, non solo in una realtà in costante trasformazione, ma anche nella complessità dei rapporti interpersonali. Tre sono i principi guida che hanno contribuito all’attuale decadimento dei valori: il razionalismo, fondato sulla sopravalutazione della ragione, l’individualismo sull’accentuazione delle attitudini del singolo ed, infine, l’edonismo, sull’esaltazione del piacere. Oggi diventa sempre più urgente e pressante educare ai valori. Per tale motivo, obiettivo principale del docente è l’incentrare gran parte della propria azione educativa sul valore umano per eccellenza, ovvero l’accettazione della diversità. Per far si che ciò possa essere attuato, occorre che il processo educativo si configuri come uno spazio aperto ed accessibile a tutti. E° importante, inoltre, che gli allievi considerino l’ambiente scolastico un luogo dove poter apprendere insieme ai propri compagni, scoprire nuove attitudini e sviluppare una propria identità. Anche gli insegnanti, però, devono dare il loro fondamentale contributo, considerando la scuola un’opportunità in cui consolidare importanti riferimenti pedagogici e didattici. Per far si che all’interno del contesto scolastico l'apprendimento sia efficace, è importante il contributo di altre due figure mediante un operato assiduo e responsabile, ovvero le famiglie e il territorio sociale. Entrambi hanno un dovere ben preciso, ossia sviluppare una mentalità aperta alla collaborazione e a relazioni sociali basate sull’accettazione e sul rispetto del prossimo, anche se diverso per colore, credo religioso, età o capacità fisiche/motorie. Ogni docente deve possedere, indipendentemente dalla materia d’insegnamento, una propria competenza disciplinare, ovvero un proprio bagaglio culturale. Con il termine competenza si fa riferimento ad un’abilità acquisita e consolidata nel tempo, ed applicabile in svariati contesti. Al di là delle numerose definizioni presenti in letteratura sulla nozione di competenza, è possibile fissarne degli elementi cardini condivisibili da tutti. Il primo riguarda la natura dinamica e processuale della competenza relativa alla mobilizzazione delle proprie risorse in rapporto ad uno specifico contesto. Attraverso la competenza, l'individuo mette in atto un sapere che, partendo da semplici contenuti, arriva ad un apprendimento di livello superiore. La competenza, inoltre, si acquisisce mediante il costante rapporto uomo- ambiente. Si tratta, pertanto, di un processo di sintesi capace di dare una significativa interpretazione dei fenomeni sia esterni che intemi all’organismo. All’intemo dell’agire competente, inoltre, sono presenti, oltre ad aspetti espliciti, componenti tacite. (tale elaborazione sul concetto di competenza l’ho fatta io, non è presente nelle sintesi che mi hai mandato. Se ritieni opportuno modificare ciò che ho scritto o aggiungere altro fai pure ©) Il modulo scolastico, invece, è ciò che concerne i libri di testo e i materiali didattici preconfezionati utilizzati nelle attività didattiche dai docenti. Per far si che l’educazione diventi un processo universale, è fondamentale che il sapere racchiuso nei libri di testo sia in grado di integrarsi con le esperienze individuali dei discenti, arricchendosi di nuovi concetti, metodi e linguaggi. Secondo lo studioso inglese Nicholls la competenza disciplinare del docente deve basarsi sui seguenti principi cardine: - costruire dei nuovi percorsi formativi su quelli già appresi in precedenza dagli allievi; - riesaminare i contenuti dei libri di testo da adottare nella didattica, riadattandoli alle generazioni odierne; - superare la dicotomia esistente tra sapere scolastico e influenza del mondo esterno. Un docente scrupoloso deve rivalutare, oltre alla dimensione educativa e disciplinare, anche quella relazionale. Non a caso, da parte degli adolescenti emerge la richiesta di insegnanti che siano dei leader socio-emozionali, capaci di considerare l’allievo un essere dotato di una propria personalità, rinunciando, così, all’autoritarismo. Ad una pedagogia, dunque, di vecchio stampo improntata sull’intransigenza, è opportuno che ne corrisponda una incentrata sull’incoraggiamento. I rapporti interpersonali tra docenti assumono una grande importanza in un sistema basato, non su rigide regole da rispettare, bensì su scelte responsabili e condivise. Se da una parte il gruppo docenti ricopre importanti responsabilità educative-didattiche, dall’altra l'educazione diventa un lavoro di squadra, nel quale ogni competenza disciplinare ha il compito di arricchire le conoscenze dell’alunno. Ogni docente capace di lavorare in sintonia con i propri colleghi attua uno scambio educativo-didattico che lo coinvolge in veste di membro del collegio docenti, membro del consiglio di classe e responsabile della disciplina che è chiamata ad insegnare. Per far ciò, è di primaria importanza che il docente dia all’azione insegnamento/apprendimento un carattere unitario. Tale esigenza trae i suoi fondamenti in motivazioni di natura scientifica e pedagogica. L’organo collegiale costituito dai docenti di ogni singola classe è il consiglio di classe, che ha il compito di proporre nuove idee nelle attività didattiche e di migliorare i rapporti tra docente, genitore ed alunno. Il collegio dei docenti, invece, è quell’organo collegiale formato solo dal personale docente di ruolo o non presso l’istituto in cui insegna. Tale organo ha vari poteri deliberanti, tra cui il più importante riguarda l’elaborazione del POF approvato, poi, dal consiglio d’istituto. Al collegio docenti, dunque, spettano compiti esclusivamente tecnico-didattico, ossia la formazione delle classi e l'assegnazione docenti, la valutazione di andamento dell’attività didattica, un’attenzione particolare su alunni con scarso profitto scolastico e comportamento irregolare e la sospensione di servizio in caso di cause che possono influenzare la condotta, ossia i fattori cognitivi, biologici e affettivi del singolo, il suo comportamento messo in atto in un determinato contesto ed i fenomeni esterni. Il costruttivismo è quel quadro teorico che pone il soggetto che apprende al centro del processo formativo, modalità di apprendimento nota come learning centered. In alternativa a ciò è l'approccio educativo basato sulla centralità dell’insegnante (teaching centered), quale depositario indiscusso di un sapere universale, indipendente dal contesto di riferimento. Mediante l’apprendimento, dunque, l’individuo può, non solo ampliare il proprio sapere, ma comprendere la realtà in modo creativo, trasformando l'apprendimento da meccanico a significativo. Nell’apprendimento meccanico è l’insegnante ad essere al centro dell’azione didattica con il compito di trasmettere all’allievo contenuti culturali oggettivi. Le informazioni veicolate dal docente, per giunta, sono definitive, astratte e generiche, senza la possibilità di modifica da parte del discente per integrarle al sapere precedente o per negoziarne socialmente il significato. L’apprendimento significativo, invece, è un tipo di apprendimento che permette l’integrazione di nuove informazioni con quelle già in possesso, lo sviluppo della capacità di problem solving, di pensiero critico e di meta-riflessione e la trasformazione delle conoscenze in vere e proprie competenze. Per avere un apprendimento significativo è, quindi, necessario che la conoscenza sia: il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto, strettamente collegata al contesto in cui avviene l’apprendimento e basata sull’unione tra collaborazione sociale e comunicazione interpersonale. Scopo, dunque, dell’allievo è dotarsi di “una nuova conoscenza soggettiva” costruita attingendo al proprio bagaglio culturale. Il contesto ambientale che facilità la costruzione di un apprendimento di tipo significativo è quello in si apprende in modo attivo, costruttivo, cooperativo, autentico ed intenzionale. E° attivo perché richiede uno sforzo concreto di colui che apprende mediante la manipolazione, l’osservazione e l’interpretazione degli oggetti. In questo modo si verifica il principio del “learning by doing”, ovvero l’apprendere attraverso la pratica. E” costruttivo, invece, poiché basato sulla riflessione delle proprie azioni da parte dell’individuo. Le nuove conoscenze, per di più, creano delle discrepanze tra ciò che si osserva e ciò che si comprende, dando vita a processi di assimilazione e accomodamento teorizzati dal pedagogista svizzero Piaget. Mentre l’assimilazione comporta l’acquisizione, a livello cognitivo, di un dato evento in uno schema comportamentale già acquisito, l’accomodamento, al contrario, modifica la struttura cognitiva di base per accogliere nuove conoscenze fino a quel momento ignote. Secondo tale studioso, infatti, il vero apprendimento avviene nel momento in cui vi è una modifica degli schemi cognitivi umani. L’apprendimento significativo è, per di più, cooperativo, basato sul confronto e sul dialogo con gli altri, autentico su problemi reali di vita ed intenzionale sull’autogiustificazione e sul raggiungimento di un obiettivo specifico. Le metodologie didattiche che favoriscono questo tipo di apprendimento sono le seguenti: mastery learning, problem solving, cooperative learning e didattica di laboratorio. Gli psicologi Y. Sharan e S. Sharan affermano che l’allievo può migliorare il proprio livello di apprendimento attraverso un lavoro di gruppo basato sui seguenti metodi didattici: - metodo trasmissivo-espositivo basato sulle lezione frontale e unidirezionale; - metodo attivo-operativo fondato sulla partecipazione attiva dell’allievo nell’acquisizione delle conoscenze; - metodo sistematico-programmatico, in cui il sapere viene trasmesso mediante programmi appositi; - metodo euristico o della ricerca incentrato sull’indagine conoscitiva; - metodo analitico, volto a migliorare le competenze specifiche del discente; -metodo globale, che consente di accrescere le conoscenze generali dell’allievo; - metodo naturale che da ad ogni allievo la possibilità di gestire il proprio percorso di apprendimento come ritiene più opportuno. Sulla base degli sviluppi della ricerca pedagogica viene messa a punto ogni metodologia didattica. Quando si parla di metodologia si vuole indicare la ricerca e l'elaborazione dei criteri generali di svolgimento dell’attività formativa, fondamento teorico su cui si basa qualsiasi metodo. Più nello specifico, riguarda l’insieme delle modalità operative impiegate in ogni azione formativa svoltasi in ambiente scolastico. Per tale ragione, è sempre più richiesta l’attuazione di una didattica centrata sull’apprendimento piuttosto che sull’insegnamento. Per l’importanza assunta nello sviluppo e nel consolidamento delle competenze utili alle future generazioni, è indispensabile adottare una didattica di tipo laboratoriale. Si può definire laboratorio qualsiasi azione didattica basata sulla manualità, mediante un lavoro personale e costantemente attivo da parte dell’allievo su un determinato tema o problema. Contrariamente, la didattica per scoperta, ispirata al principio di attivismo del pedagogista statunitense John Dewey (1859-1952), è incentrato sul bisogno di scoperta del mondo circostante del discente. “Imparare ad imparare” è una delle otto competenze chiavi individuate nelle due Raccomandazioni emanate dall’Unione Europea, rispettivamente del 2006 e del 2018. La didattica metacognitiva è quella che più adeguata all’acquisizione di tale competenza. Il termine metacognizione fu coniato nel 1976 dallo psicologo dell’età evolutiva americano John H. Flavell (1928) nell’ambito delle sue ricerche sullo sviluppo cognitivo nei bambini. Con suddetto termine lo studioso fa riferimento a singoli processi cognitivi, come ad esempio la meta-memoria, la meta- attenzione etc., per mezzo dei quali l’individuo prende coscienza delle proprie abilità cognitive. A scuola l’approccio metacognitivo privilegia, pertanto, non cosa l’alunno apprende ma come lo fa, spronandolo alla riflessione. Quattro sono le principali strategie metacognitive: - selezione, ossia la scelta delle informazioni ritenuti rilevanti; - organizzazione, ovvero la connessione tra le varie componenti dei dati appresi; - elaborazione, basata sul legame delle nuove conoscenze con quanto già appreso; - ripetizione, fondata su una costante ripetizione dell’informazione, a livello mnestico, sino ad una completa padronanza di quest’ultima. Un’odierna tipologia educativa utilizzata in ambito scolastico, è la didattica per progetti, basata sulla prefigurazione di una determinata conoscenza e, dunque, sull’aspettativa e sull’immaginazione dell’allievo. Nel 1918 fu lo psicologo W. H. Child Patrick (ho provato a fare delle ricerche ma non ho trovato nulla, pensaci tu se riesci) ad introdurre questa modalità didattica, sostenendo che il lavoro educativo debba essere improntato su un percorso progettuale. Al centro della didattica per progetti ci sono le potenzialità dello studente, mentre l’insegnante assume il ruolo di guida che lo incoraggia nel suo percorso di studio, creando le condizioni favorevoli affinché possa operare al meglio. L'allievo, inoltre, è chiamato a svolgere un operato orientato verso un prodotto finale che è il proprio bagaglio culturale ed esperienziale, mediante attività di pianificazione, organizzazione e coordinazione delle risorse. Le tappe che concorrono nella stesura di un progetto sono due: una fase preliminare basata sull’individuazione del problema e una seconda sulla negoziazione del materiale tra i soggetti coinvolti. La didattica collaborativa, conosciuta anche come cooperative learning, è centrata sulla teoria socio-costruttivista precedentemente esplicata. Tale tipologia didattica migliora i processi di apprendimento e di socializzazione attraverso la mediazione del gruppo con le seguenti caratteristiche: sviluppo di un solido legame tra studenti, interazione faccia a faccia, stimolo alla responsabilizzazione, sviluppo delle abilità sociali. Nell’apprendimento cooperativo è coinvolto il fattore emotivo e cognitivo del gruppo come strumento educativo in alternativa alla tradizionale lezione frontale. L’apporto di ogni singolo studente, inoltre, ha un ruolo importante nella trasformazione dell’’”To-individualista” in “Noi-gruppo”, in quanto il discente può apprendere conoscenze non apprese nella lezione frontale. Un’evoluzione del modello del cooperative learning è il modello CSCL, improntato su un apprendimento di natura collaborativa, supportata dal computer e dove il focus centrale è rappresentato dall’interazione sociale. In tali modelli riveste un ruolo decisivo il tutor di rete che si connota, non solo per le comprovate competenze professionali, ma anche per l’approccio empatico con gli utenti. Tra le tecnologie utilizzate da suddetto modello ricordiamo: sistemi di comunicazione (posta elettronica, audio, etc.), sistemi di condivisione di risorse (banca-dati, file e documenti), sistemi di supporto ai vari processi di gruppo, come ad esempio l’ideazione di un blog comune. Il cooperative learning presenta le seguenti varianti: - l’imparare insieme (Learning Together) consistente nell’organizzazione del lavoro in classe, da parte degli insegnanti, in gruppi da 2 a 6 alunni; - gruppi di investigazioni (Group Investigation) e piccoli gruppi di apprendimento (Small Group Teaching), in cui il ruolo primario del docente è quello di suscitare negli allievi interesse per i problemi esterni; - puzzle (Jigsaw), basato sulla specializzazione dei compiti formativi; - Student Team Learning, incentrato sull’incentivazione e su una valutazione costante del sapere; - groups of four, incentrato su un gruppo di lavoro formato da massimo 4 persone. cittadinanza europea. A tal proposito si sono espressi il pedagogista inglese Giovanni Maria Bertin (1912-2002) e lo studioso Baldacci, i quali considerano i modelli didattici strutture cognitive fondate sui principi di coerenza ed organicità. I vari modelli didattici, di possibile attuazione a scuola, si dividono in base a due principali componenti, il focus dell’azione didattica e l’elemento sul quale agiscono. I metodi formativi incentrati sul focus dell’attività didattica sono quelli orientati: sull’apprendimento in quanto trasmissione di conoscenze, sui prodotti e sul contesto di apprendimento. I secondi, al contrario, sono modelli basati sull’apprendimento tramite il pensare, il fare e lo stare in società. A caratterizzare tali teorie educative, è un importante principio didattico, l’attivismo pedagogico, teorizzato dal pedagogista statunitense John Dewey. Secondo lo studioso, la nuova pedagogia deve mirare ad un metodo di apprendimento innovativo ed abbandonare ogni concetto prefissato, puntando alla conoscenza, non solo dei fatti passati, ma anche di quelli futuri. Scopo dell’attivismo pedagogico è, dunque, la costruzione di una scuola fondata, non sull’ascolto passivo e sullo studio individuale, piuttosto sugli interessi dei singoli discenti. Dewey, pertanto, parla di un contesto di apprendimento puerocentrico, nel quale il docente guida lo studente verso nuove scoperte mediante svariate attività formative. Il sapere maturato dal discente nel tempo gli consente di apprendere “facendo” (learning by doing) e di affrontare i problemi sottoposti alla loro attenzione, in maniera lucida e razionale. Promotore degli strumenti didattici è la figura del docente, tra i quali figurano: attività laboratoriali, apprendimento cooperativo, role-playing (gioco di ruolo) e peer-tutoring. Il role-playing formativo è una tecnica simulativa in cui i partecipanti ricoprono, per un tempo limitato, le vesti di attori, mentre altri fungono da “osservatori” dei contenuti della rappresentazione. Si assiste ad un superamento della distinzione tra attività manuali ed intellettuali in un ambiente scolastico considerato una “palestra di vita”. La stessa valutazione delle nozioni apprese dai scolari, frutto di un’analisi attenta dei processi di apprendimento, è del tutto formativa. L’esito dei processi di apprendimento viene messo in evidenza nei modelli orientati su un esercizio di confronto costante da parte degli scolari. La valutazione dell’insegnante, in questo caso, riguarderà il “prima” e il “dopo” del processo di apprendimento e i relativi esiti. Tra le metodologie utilizzate a tal riguardo ricordiamo: mastery learning, didattica per competenza, modello CAI (Computer Aided Instruction) basato sul supporto di un elaboratore come mezzo di apprendimento e modello ID (Instructional Design) fondato sulla quantità delle competenze apprese. Un'ulteriore tipologia dei metodi didattici è quella conosciuta come context-oriented.in cui l’azione didattica è rivolta al contesto educativo e allo sviluppo del potenziale formativo mediante la trasposizione didattica. Quest'ultima, pertanto, si compie in base a due livelli, l’uno relativo alle relazioni sociali instaurate dal sistema formativo con il mondo esterno e l’altro alle situazioni concrete della pratica didattica. Si collocano al primo livello le elaborazioni dei programmi scolastici, il lavoro delle associazioni disciplinari e le sperimentazioni didattiche, nel secondo, invece, le unità di apprendimento e la scelta delle strategie didattiche e dei materiali. Benché distinti, i due livelli sono interdipendenti tra loro e convergono verso un ampio repertorio di scelte articolate su cosa insegnare, come e a che scopo. I fondamentali contenuti disciplinari di suddetti modelli sono “oggetti culturali” considerati amplificazioni delle strutture cognitive umane. Il supporto impiegato nel processo di costruzione del sapere è l’obiettivo principale del docente. Il modello educativo basato sul contesto di attuazione del processo di apprendimento, è caratterizzato da tali metodologie: - l'educazione ai mezzi di comunicazione virtuale (Media Education); - modelli ispirati sull’S.O.F.E. (Sistema-Obiettivi-Fondamentali- Educazione); - il modello del paradigma narrativo: - il modello dello sfondo integratore. Le mappe concettuali e, soprattutto, l'e-learning (apprendimento online) rientrano tra gli strumenti maggiormente adoperati nella didattica odierna. Tra le correnti ispiratrici di tale metodologia formativa rientrano: - il costruttivismo, secondo cui la conoscenza va intesa in senso soggettivo; - l’eco-pedagogia, basata sull’interazione del destinatario con gli ambienti sia naturali che artificiali; -l’interazionalismo simbolico, in cui la chiave guida per la diffusione della cultura va individuata nelle interazioni sociali. Un approfondimento a parte meritano le metodologie relative all’apprendimento attivo. Il metodo che potrebbe rivelarsi non efficace in determinati contesti educativi è quello espositivo, in cui l'insegnante fornisce una prima unità didattica agli allievi, favorendo la ristrutturazione dello stesso. Successivamente, dopo una verifica del livello di apprendimento dei discenti, il docente passerà all’esposizione di una seconda unità didattica. A sua volta, il modello espositivo si divide in tre principali tipologie: puro, interrogativo e partecipativo. Il primo comporta la trasmissione unidirezionale dell’informazione, il secondo sulla formulazione di quesiti agli studenti da parte del docente durante o alla fine della sua esposizione argomentativa ed, infine, il terzo sulla partecipazione degli allievi con esercizi applicativi o attività affini. Per tale motivo, si sono sviluppati nel tempo diverse tecniche di apprendimento partecipato. In virtù di ciò, infatti, si distinguono suddetti metodi: - metodi di operatività in cui l’alunno opera in un contesto pratico, agevolando il processo learning by doing; - metodi euristico-partecipativo, dove si ha una condivisione delle risorse intellettive e una cooperazione tra ambiente e soggetto, tale da creare un ambiente di lavoro comune. La ricerca-azione è il metodo per eccellenza per costruire il sapere, partendo dalla risoluzione di specifici problemi; - metodi di investigazione basati sulla ricerca sperimentale; - metodi di individualizzazione per far si che più discenti possano raggiungere uno stesso obiettivo di apprendimento con tempi e modalità differenti. Ciò che agevola e definisce i processi di apprendimento e il mercato del lavoro è la diffusione e la comunicazione delle tecnologie informative. L’e-learning è quel metodo fortemente influenzato dai costi di gestione inerenti alla manutenzione e alla predisposizione delle piattaforme didattiche, che garantisce lo sviluppo cognitivo in base a strumenti e risorse comuni. Tale modello prevede, inoltre, diverse modalità di comunicazione che possono essere: uno a uno (fra allievo e tutor online), uno a molti (comunicazione di avvisi, scadenze, gruppi, etc.) e molti a molti (i lavori di gruppo). La piattaforma didattica interattiva è la MOODLE (Modular Object Oriented Dynamic Learning Environment). L’apprendimento misto, definito anche blended learning, rappresenta un modello didattico che affianca la tipologia di apprendimento e-learnig e/o la modalità mobile. La finalità dei modelli didattici è offrire una didattica quanto più inclusiva possibile, in cui le risorse impiegate per accrescere il sapere sono le risorse esterne, interne e circolanti in rete. Tali modelli devono garantire, in aggiunta, la differenziazione dei percorsi formativi, la valorizzazione delle diversità, un ruolo centrale del gruppo e la cooperazione strategica di competenze e risorse. Sulla destrutturazione delle aule e degli spazi educativi e su apprendimenti volti all’inclusione, è basato il modello Montessori. Figura principale è l’insegnante che qui diventa guida autoritaria ma, al tempo stesso, che permette all’allievo di collaborare attivamente nel processo di apprendimento. Attitudini come l’assenza di pregiudizi, la creatività e l’empatia, devono essere affiancate dalla capacità del docente di gestione del gruppo classe. Il modello didattico che prevede, al contrario, un adeguamento dell’offerta formativa nei confronti di studenti con BES, è quello didattico-inclusivo, caratterizzato da: ripasso frequente degli argomenti studiati, lezione interattiva, semplificazione del materiale didattico, utilizzo di specifici software, adozione di testi specializzati, stimolo del canale visivo ed uditivo. Tale modello formativo è, per di più, basato su tre fondamentali livelli di intensità del processo di apprendimento, riassumibili come segue: - primo livello in cui non vengono apportate modifiche al materiale didattico utilizzato; - secondo livello, basato sull’eliminazione delle componenti non ritenute essenziali; - terzo livello, in cui si da spazio alla rappresentazione visiva e grafica del discente. Capitolo IV: modelli di scuola e tecniche di progettazione La riforma del 1962 riguardante la scuola media unica impone il diritto e dovere da parte dell’allievo di fruire di una formazione della durata di otto anni. La scuola media unica, infatti, risponde al principio democratico di elevare il livello di istruzione personale di ciascun cittadino. Tale sistema educativo, inoltre, mira a potenziare i valori culturali dei discenti e lo sviluppo della convivenza sociale. Prima della scuola media unica obbligatoria, era stata la scuola elementare a sancire il limite dell'obbligo di istruzione. La nascita della scuola media unica rappresenta, invece, la causa in Italia dell’avvio del processo di Il termine Progetto è stato impiegato negli anni ‘80 e ’90 per indicare tutte quelle attività didattiche escluse dalla programmazione redatta dal docente. Il decreto del 1995 ha introdotto nella scuola la Carta dei Servizi, la quale, insieme al progetto educativo di istituto, rilancia la progettazione educativa. In una scuola basata sull’autonomia delle modalità di apprendimento impiegate dall’insegnante, la progettazione riveste tutti gli aspetti istituzionali, compresa l’organizzazione interna di ogni istituto. La programmazione è, dunque, un’attività formativa che traduce i rigidi programmi ministeriali in percorsi formativi esaustivi. Vero cuore di qualsiasi progettazione è il rinnovamento metodologico inerente agli strumenti adoperati dal corpo docente. Capitolo V: le competenze: dalla teoria all’applicazione pratica Nel contesto europeo, la riforma della Scuola Secondaria, così come prevista nei DPR 87 e 88 del 2020, pone grande importanza sul passaggio dalla didattica per conoscenze a quella per competenze. Tale modalità formativa, infatti, comporta una condizione essenziale per ottenere dagli allievi un apprendimento efficace, ossia stabilmente acquisito, in termini di conoscenze, abilità e competenze. Mediante la didattica per competenze, inoltre, è possibile mettere a disposizione dell’allievo un percorso formativo capace, non solo di fornire conoscenze, ma di incidere anche sulla cultura e sui comportamenti, diventando, così, patrimonio permanente della persona. Obiettivo principale della didattica per competenze è che gli studenti apprendano costruendo in modo attivo il loro sapere, ossia mediante situazioni di apprendimento fondate sull’esperienza. A tale proposito, è opportuno esplicare i sei principali assunti, su cui è basata tale modalità didattica, come segue: - valorizzazione dell’esperienza attiva dell’allievo, impegnato in compiti concernenti la soluzione di problemi, la gestione di situazioni ancorate alla propria vita reale; - l'apprendimento induttivo, ossia dall’esperienza alla generalizzazione fino al conseguimento di uno specifico modello teorico; - la valorizzazione dell’apprendimento sociale, cooperativo e tra pari; - la riflessione continua e la ricostruzione dei percorsi formativi dell’allievo mediante comunicazioni scritte o orali; - l'assunzione costante di responsabilità di fronte ai problemi da gestire in autonomia, individualmente ed in gruppo; - la centralizzazione del processo apprendimento/insegnamento sull’azione degli allievi piuttosto che su quella dei docenti, che, spesso, assumono il ruolo di facilitatori o tutor. Anche l'Unesco nel Rapporto delors, improntato sulla realizzazione dei lavori prefissati in chiave economica e monetaria, definisce l’educazione un investimento sociale, identificandone quattro principali fondamenta: - apprendere a conoscere; - imparare a vivere insieme; - imparare a fare; - imparare ad essere. Il consiglio europeo di Lisbona del 2000 ha individuato determinati obiettivi che ogni insegnante deve conseguire nel proprio percorso educativo, ovvero incremento del livello di istruzione dei giovani, apprendimento costante lungo tutto l’arco di vita, attenzione alle nuove tecnologie e salda integrazione tra istruzione e formazione. Successivamente, più precisamente il 23 aprile 2008, l’Unione Europea ha emanato alcune direttive stabilite dal Parlamento sulle competenze cardine riguardanti l’apprendimento permanente. In suddette raccomandazioni, sono state fornite, in aggiunta, importanti definizione dei termini di conoscenze, abilità e competenze in questi termini: - le conoscenze derivano dall’assimilazione di svariate informazioni mediante l'apprendimento. Sono, dunque, un insieme di principi, teorie e pratiche relative ad un dato settore lavorativo o scolastico; - le abilità indicano la capacità del soggetto di applicazione delle conoscenze apprese e di utilizzo dei know-now per portare a termini compiti stabiliti e per risolvere problemi; - le competenze consistono in una comprovata attitudine nell’impiego di abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazione di lavoro o di studio. Il 22 maggio 2018 il Consiglio dell’Unione Europea ha elaborato nuove Raccomandazioni sulle competenze, rinnovando, in tal senso, quelle precedente trattate nel 2008. Dopo aver definito le competenze una combinazione di atteggiamenti ed abilità, i primi basati sulla determinazione nell’agire e i secondi sulla capacità di eseguire processi cognitivi, l'Unione Europea ha individuato 8 competenze chiavi: alfabetica/funzionale, multilinguistica, matematica, digitale, sociale, di cittadinanza, imprenditoriale e culturale. Agli Stati membri, inoltre, spetta il compito di sostenere i diritti di istruzione, formazione e apprendimento di ogni singolo individuo, attraverso l'acquisizione delle competenze chiave. In Italia il concetto di competenza è stato introdotto nel 1998 con un ordinamento in cui lo Stato si avvale dell’onere di verificare ed analizzare attentamente la preparazione di ciascun allievo, con lo scopo di accertare le reali competenze, sia specifiche che generali, acquisite da quest’ultimo. In ogni profilo educativo, inoltre, vengono precisate le relative competenze che dovrebbe possedere uno studente dopo una prima fase del proprio ciclo di istruzione. Un ragazzo è competente nel momento in cui utilizza le conoscenze apprese per esprimere una propria identità personale e proporla, in un secondo momento, al proprio gruppo di coetanei. Diverso è il processo di acquisizione delle competenze di cittadinanza, il quale avviene mediante conoscenze ricondotte a 4 assi culturali: -asse del linguaggio, padronanza della lingua italiana; - asse matematico, capacità di utilizzo delle tecniche di calcolo aritmetico e algebrico; - asse scientifico-tecnologico riguardante metodi e concetti, indispensabile nell’elaborazione di quesiti; - asse storico-sociale fondato sulla capacità di percezione degli eventi storici a livello locale, mondiale, europeo e nazionale. Negli anni il concetto di competenza è stato oggetto di molteplici interpretazioni nel mondo del lavoro, con l’obiettivo di dare la giusta visibilità alle risorse professionali di ogni lavoratore. In una prima fase il concetto di competenza presenta una matrice di stampo comportamentista, per trasformarsi, poi, in un insieme di comportamenti osservabili e misurabili. In base a tale concetto il compito cognitivo viene segmentato nelle sue componenti elementari, dando vita ad una competenza di tipo analitico-cognitiva formulata dal teorico americano Richard Boyatzis (1946). Suddetto studioso definisce la competenza un insieme intrinseca dell’ individuo collegato casualmente ad una performance inferiore o superiore nello svolgimento di una mansione. Ancora una volta si parla di spinte motivazionali ed abilità proprie di ogni uomo e legate a prestazioni aziendali di successo. Con Boyatzis, dunque, le competenze diventa un generico attributo personale, che, seppure collegato ad una performance inferiore o superiore, è influenzato dalla psiche del singolo. Come sostiene l’educatore romano Michele Pellerey (1935), in una competenza è possibile distinguere tre dimensioni basilari: la prima riguardante la comprensione e l’organizzazione dei concetti, la seconda le abilità cognitive e la terza la sfera affettiva del singolo. Si può, pertanto, definire competenza la capacità di far fronte ad un insieme di compiti, mettendo in moto le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive e ad utilizzarle in modo coerente e produttivo. Secondo Pellerey, dunque, tre sono gli elementi costitutivi di una competenza, ossia conoscenze, abilità e comportamenti. Le prime si dividono in dichiarative, riguardanti fatti, eventi e teorie, procedurali, ossia il come fare qualcosa ed, infine, contestuali, ovvero basate su regole da rispettare. Allo scopo di costruire progressivamente una valutazione reale delle competenze, un primo passo consiste nell’analisi della qualità delle conoscenze e delle abilità, componenti essenziali delle competenze come è stato visto pocanzi. Occorre, però, secondo Pellerey, che le conoscenze, per poter essere valorizzate nello sviluppo di una competenza, deve manifestare tre caratteristiche, significatività, stabilità e fruibilità. Le abilità apprese dovrebbero presentare analoghe caratteristiche, con la capacità per l’individuo di gestire, in maniera efficace, il proprio percorso di apprendimento. Gli atteggiamenti, al contrario, si basano su tre modalità d’azione, la prima incentrata sulla persuasione verbale, la seconda sulla testimonianza ed, in conclusione, la terza sull’esperienza. Spesso si trascurano le componenti di natura affettiva e motivazionale intrinseche nel concetto di competenza. Eppure basta osservare l’atteggiamento messo in atto dallo studente per cogliere come all’origine di scarsi risultati in termini di apprendimento, siano presenti disposizioni interiori negative. Infatti, la fragilità della capacità di concentrazione, l’incapacità di superare le difficoltà o gli insuccessi, la scarsa perseveranza nello svolgere un compito impegnativo pregiudicano sia l’acquisizione che la manifestazione di competenze. Una competenza, per di più, può essere: plurale, complessa e dinamica.(DA APPROFONDIRE). L’idea di una formazione scolastica improntata sulle competenze è stata, senza dubbio, condizionata dal fatto che il termine si sia sviluppato maggiormente nell’ambito della formazione professionale. Per tale motivo, molti docenti tentano di applicare la logica aziendale all’ambiente scolastico, pur essendo consapevoli che esso non può essere affatto considerato un’azienda. Il problema è che la scuola, come aveva affermato il sociologo convinzione che l’apprendimento scolastico non è un accumulo di nozioni e, pertanto, presenta le seguenti peculiarità: richiede giudizio ed innovazione, è realistica, riproduce o simula i contesti educativi e richiede agli studenti l’abilità di ricostruire la disciplina appresa. In una verifica delle prove, solo quelle avente carattere universale ed oggettivo, posso essere considerate scientificamente corrette. Gli strumenti di verifica tradizionali, da soli, non riescono a valutare correttamente una competenza. Stando all’etimologia di tale termine, con il termine valutare si vuole indicare assegnare ad un certo evento o comportamento il giusto valore. Se, invece, si considera la competenza la risultante della sfera soggettiva, oggettiva e intersoggettiva dello studente, bisogna ricorrere, in tal caso, a strumenti adatti all’osservazione di esse. Ruolo centrale nelle dimensioni pocanzi esplicate, è l'utilizzo di rubriche di valutazione, dispositivi attraverso cui esplicare l’oggetto di osservazione e valutare le prestazioni complesse. Le prove impiegate nel processo di verifica dell’apprendimento si dividono in strutturate e semi-strutturate, le prime considerate oggettive, mentre le seconde a risposta breve o aperta. Le rubriche di valutazione, però, presentano degli importanti vantaggi per docenti, genitori e studenti, aiutando, soprattutto quest’ultimi, a sviluppare la capacità di auto ed etero valutazione. Fattore principale di criticità, spesso riscontrabile nel rapporto tra docente/discente, è l’unione di valutazioni di tipo quantitativo con quelle descrittive. La circola ministeriale, relativa all’anno scolastico 2015-2016, ha proposto un modello di certificazione della valutazione, in termini di apprendimento, basato su un collegamento tra tutte le discipline curriculari. In quest’ottica la scuola diventa una struttura incentrata sullo sviluppo delle competenze, grazie ad un criterio di valutazione che dia centralità all’apprendimento sin dalle prime fasi. PARTE 3 INCLUSIONE A SCUOLA Capitolo I: la scuola dell’integrazione e dell’inclusione: gli alunni disabili Oggi, nel linguaggio scolastico comune, si è soliti considerare sinonimi i termini integrazione ed inclusione. E’ stata la legge 104/1992 a sancire il diritto all’integrazione scolastica per tutto il percorso educativo degli studenti disabili e rivolto, non solo ad esso, ma anche alle rispettive famiglie bisognose di aiuto. Con il termine integrazione si far riferimento ad un modello educativo degli anni ’70, che garantisce all’alunno con disabilità un inserimento adeguato nel contesto classe. L'integrazione, dunque, si ottiene mediante l’affiancamento di un operatore qualificato al soggetto diversamente abile e la programmazione di una specifica attività didattica. Così facendo, lo studente con disabilità ha la possibilità, non solo di apprendere, ma anche di instaurare proficue relazioni, sentendosi, così, parte integrante del gruppo classe. Figura professionale qualificata, introdotta nella scuola dell’obbligo ai sensi della legge del 1977 n° 517, è l'insegnante di sostegno. Compito principale di ogni insegnante di sostegno è l’inserimento degli alunni con disabilità certificata all’interno dell’ambiente scolastico, collaborando in sinergia con il team docenti. Per ogni singolo alunno disabile, in collaborazione con la famiglia, i docenti e gli operatori socio-sanitari, l'insegnante di sostegno deve sviluppare un Piano Educativo Individualizzato (PEI). Attraverso tale strumento didattico, l’insegnante di sostegno può verificare, con controlli periodici, il livello di apprendimento degli alunni diversamente abili. Dal 2009 si è ritenuto opportuno parlare di inclusione a scuola, dato che, non è l'alunno disabile che deve integrarsi all’interno della propria classe, ma è compito di quest’ultima accoglierlo ed includerlo. Ciò richiede che i docenti sviluppino una formazione sistemica incentrata su specifici percorsi didattici, in collaborazione con le figure responsabili dell’educazione di giovani, enti locali e famiglie. Tutto ciò, inoltre, comporta per i docenti un cambiamento nei comportamenti da adottare, basti pensare all’inclusione, non solo degli allievi con disabilità, ma anche degli stranieri, preziosa risorsa per incentivare il confronto tra pari. Quando normalità e peculiarità si influenzano reciprocamente, coinvolgendo tutto il corpo docenti e il gruppo classe, una scuola può essere definita inclusiva. Nel 2012 sono state promulgate, dall’ Agenzia europea per lo sviluppo dell’istruzione degli alunni disabili, delle linee guida per individuare le competenze necessarie per chi vuole diventare un docente inclusivo. Essere inclusivi significa rispettare l’individualità e la soggettività di tutti gli alunni, non solo diversamente abili, ma anche normodotati. In un primo momento, sono stati individuati quattro valori essenziali che delineano il profilo del docente inclusivo che sono: - valutare la diversità degli alunni; - lavorare con gli altri; - sostenere gli alunni; - garantire un aggiornamento professionale continuo. Successivamente, per ogni suddetto valore, sono stati individuati altrettanti punti cardine fondanti di una didattica inclusiva: - favorire la cultura dell’accoglienza; - sostenere l'apprendimento scolastico degli alunni, mediante l’utilizzo di supporti didattici efficaci; - apportare una didattica personalizzata/individualizzata; - mettere in campo attività che favoriscano la socializzazione e la relazione di aiuto. La legge 517/1977 degli anni ’70 sostiene il principio dell’eguaglianza sostanziale riscontrabile nell’ambito scolastico, con una buona integrazione degli alunni disabili con quelli normodotati. Un intervento didattico individualizzato è una modalità di insegnamento improntata sul singolo e, per tale ragione, definita personalizzata. Essa consiste in un processo di recupero individuale dell’alunno con lo scopo di potenziare specifiche competenze, mediante l’impiego di diverse’ metodologie’e strategie’ didattiche La didattica individualizzata/personalizzata è determinante, soprattutto nell’alunno con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), nel raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. Ogni insegnante di sostegno, per svolgere il proprio lavoro in maniera ottimale, si serve di strumenti didattici e tecnologici che facilitano la prestazione delle abilità deficitarie del soggetto disabile. La legge 104/1992 definisce persona diversamente abile un soggetto con una “minoranza fisica o psichica progressiva, che comporta un’evidente difficoltà di apprendimento”. Sono previste, però, dal Ministero dell’Istruzione diverse misure di accompagnamento per far si che gli studenti disabili siano pienamente integrati nel contesto scolastico. Tale normative riguardano la presenza di docenti di sostegno per ogni singolo alunno con disabilità e il finanziamento, da parte delle istituzioni, di progetti volti all’inclusione e all’integrazione. E°, grazie alle legge 104/1992 prima esplicata, che sono stati individuati importanti strumenti di formazione per l’inclusione di soggetti disabili che sono i seguenti: la diagnosi funzionale (DF), il profilo dinamico funzionale (PDF) e il piano educativo individualizzato (PEI) pocanzi citato. La diagnosi funzionale è la descrizione dei bisogni educativi dell’alunno, individuati solo oggi dagli operatori dell'ASL. E° un atto previsto dalle leggi emanate dalla Repubblica Italiana, di caratteri diagnostico e relativo agli alunni diversamente abili. Una diagnosi funzionale, derivante dall’acquisizione di elementi clinici e psico-sociali, esprime le conseguenze conformi alle infermità, indicandone la previsione dell’evoluzione naturale. Essa, inoltre, si articola in due fasi principali, l’una riguardante l’anamnesi patologica e fisiologica prossima e remota del soggetto in esame, con particolare riferimento alle fasi dello sviluppo neuro-psicologico. La seconda, invece, è basata su una diagnosi clinica, redatta dal medico specialistico nella patologia segnalata. Lo scopo della diagnosi funzionale, non è tanto quello di certificare la disabilità, quanto piuttosto di registrare le potenzialità dell’alunno, poiché finalizzato al recupero dei soggetti portator di handicap. disturbi evolutivi specifici e svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Per gli alunni BES, la scuola, inoltre, si avvale di percorsi didattici personalizzati, come previsto dalle disposizioni ministeriali della legge 107/2010. Un importante disturbo del neuro-sviluppo è quello da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), caratterizzato da una disattenzione persistente del soggetto, spesso associata a iperattività ed impulsività. La disattenzione si manifesta sul piano comportamentale con divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, difficoltà nel mantenimento dell’attenzione e disorganizzazione non imputabile ad una mancata comprensione. L’iperattività, invece, implica un'eccessiva attività motoria e loquacità e un dimenarsi continuo del soggetto con la sensazione che sia costantemente sotto pressione. Un soggetto le cui azioni sono estremamente affrettate, con un alto rischio per la propria incolumità, è definito impulsivo. L’impulsività diviene per l’individuo un modo per esprimere un desiderio di immediata ricompensa, con comportamenti, a volte, invadenti, come interrompere gli altri mentre parlano o prendere decisioni importanti senza riflettere sulle possibili conseguenze. Va, inoltre, considerato che i sintomi dell’ADHD possono variare a seconda dello specifico contesto. A tal proposito, si differenziano tre sotto-tipi del disturbo: - manifestazione combinata, tipica dell’età evolutiva, caratterizzata da un quadro combinato di sintomi di disattenzione e di iperattività/impulsività; - manifestazione con disattenzione predominante, i cui sintomi sono, prevalentemente, di natura disattentiva, piuttosto che iperattiva/impulsiva. I bambini con tale disturbo presentano minori problemi in termini comportamentali e relazionali, ciò, infatti, può indurre genitori e docenti a trascurarne la sintomatologia; - manifestazione con iperattività/impulsività predominanti, dove sono esclusi sintomi di disattenzione, con una netta prevalenza, invece, di quelli basati sull’iperattività e sull’impulsività. Tra gli alunni con BES si annoverano quelli ad alto potenziale intellettivo, definiti “gifted”, con spiccate doti in particolari settori. Nel verificare l'apprendimento degli alunni con DSA, compresa quella effettuata nella fase conclusiva del ciclo di istruzione, occorre considerare specifiche situazioni soggettive. Gli alunni con DSA devono raggiungere obiettivi identici a quelli dei propri compagni di classe. In un soggetto con BES, al fine di un apprendimento idoneo, la scuola deve considerare i livelli di partenza degli alunni ed essenziali nella formazione della classe e i risultati raggiunti nei percorsi personali. Ai fini dell’esame di Stato, infine, non sono previste differenziazioni nella verifica degli apprendimenti. Capitolo II: inclusione e multiculturalità Nella normativa ministeriale sui BES sono inclusi alunni con bisogni educativi speciali di svantaggio economico/linguistico/culturale. Poiché si tratta di difficoltà di carattere transitorio, la scuola è chiamata a promuovere l’integrazione culturale di ogni alunno, con diritto d’istruzione valido anche per ragazzi con cittadinanza non italiana. Come afferma la circolare ministeriale 8/2013, quest’ultimi necessitano di supporti didattici idonei per apprendere la lingua italiana. La loro iscrizione a scuola, tuttavia, può avvenire in qualsiasi momento dell’anno scolastico, con una programmazione, solo eccezionalmente, di un piano didattico personalizzato. Già nel 2004 esisteva una normativa ministeriale contenente linee chiave per l’integrazione scolastica degli alunni stranieri mediante attività di accoglienza. L’esperienza scolastica di uno studente straniero scolarizzato negli istituti italiani è, in realtà, differente da quella di un alunno da poco espatriato in Italia. In tal caso, si tratti di casi umani particolari, ossia di alunni con cittadinanza non italiana, figli di coppie miste, di rom o orfani di genitori, arrivati nel nostro paese per adozione internazionale. L'esperienza scolastica degli alunni con cittadinanza non italiana è influenzata da diverse variabili, quali l’età di inserimento nel sistema scolastico italiano, la padronanza della lingua italiana, le aspettative personali e familiari, il clima di classe, l’organizzazione scolastica, le aspettative dei docenti e gli stili di insegnamento. In particolare negli ultimi sei anni è stata recepita anche dalle rivelazioni ministeriali un’importante distinzione affermatasi sul piano analitico, relativa ai diversi vissuti dei minori immigrati. La presenza nelle scuole di un numero sempre più crescente di figli di genitori immigrati che nascono, crescono e studiano in Italia, pone in luce una parte della popolazione italiana che, pur sentendosi cittadina di uno Stato, non vede un riconoscimento giuridico di tale appartenenza. Le scuole odierne, nella formazione delle classi, nelle quali il numero di studenti con cittadinanza non italiana non deve superare il 30%, adottano spesso il principio di eterogeneità dei percorsi didattici. Come deliberato dal collegio docenti, ogni istituto scolastico deve garantire nel proprio POF (Piano Offerta Formativa) l’integrazione e l’accoglienza degli alunni stranieri attraverso tre specifiche metodologie pedagogiche: l’accoglienza sia del singolo alunno che della famiglia, sviluppo linguistico in italiano L2 e valorizzazione della dimensione interculturale. E’ crescente nel nostro Paese il fenomeno dell’adozione internazionale, tanto che il MIUR ha fornito un apposito documento n°7443 del 18 dicembre 2014. Tali minori, in quanto subiscono il difficile distacco dal proprio paese d’origine, presentano delle difficoltà maggiori nel processo di apprendimento rispetto agli alunni stranieri. E° opportuno, pertanto, che suddetti minori vengano inseriti non prima di 12 settimane dal loro arrivo nella scuola primaria e dell’infanzia e di 4/6 settimane in quella secondaria. E’ stata individuata un’ area critica d’intervento che riguarda la scolarizzazione di soggetti con difficoltà di apprendimento o psico-emotive e con particolari bisogni educativi. La prima fase di integrazione scolastica degli alunni stranieri consiste in un primo step che è quello dell’accoglienza, in cui i docenti sono impegnati nel rilevare le competenze in ingresso. Solo in una seconda fase, l’istituto scolastico ed, in particolar modo il corpo docente, passerà alla valutazione del livello formativo di partenza, per comprendere appieno i risultati ottenuti. Capitolo IV: bullismo, devianza e dispersione scolastica Si può riscontrare una molteplicità di fattori alla base del fenomeno di devianza giovanile. Per devianza si intende un comportamento, anche solo verbale, di una persona o di un gruppo che viole le norme di una collettività, andando incontro a condanne, sanzioni o discriminazioni. In età adolescenziale tali condotte si manifestano con modalità differenti tra loro per persistenza e gravità, come la violazione delle leggi, l’abuso di stupefacenti 0, addirittura, il vandalismo e la violenza fisica e/o verbale. Riguardo il consumo di sostanze stupefacenti, l'Organizzazione Nazionale della Sanità (OMS) ha individuato i fattori determinanti nello sviluppo di tale fenomeno che sono: identità sessuale ed età del soggetto, pressione attuata dal gruppo, auto-medicamento, difficoltà familiari, problemi di personalità e di natura economici e sociali. In base al livello di prevenzione raggiunto, vengono distinti tre modelli principali: - modello informativo, che richiede un approccio tradizionale basato sulla convinzione che una corretta informazione allontani gli effetti a livello comportamentale dal suo uso effettivo; - modello della drug education, ossia la capacità di fare chiarezza sui valori in gioco. - modello dell’educazione sanitaria. A tal proposito, è possibile distinguere, in termini di trattamento e prognostici, due tipologie di comportamento: antisociale occasionale (adolescent-limited) e uno più grave che interessa la struttura della personalità (life-course persistent). Caratteristica proprio della devianza giovanile è il fenomeno sociologico dell’etichettamento (labelling), basato su una condotta negativa di un soggetto su un proprio simile, la quale comporta in quest’ultimo bassa autostima ed emarginazione. Il fenomeno dell’etichettamento è una teoria sociologica della devianza, che focalizza l’attenzione sull’atteggiamento del criminale non occasionale, favorito, in maniera involontaria, dalla collettività e dalle istituzioni. Secondo suddetta teoria, mediante l'assegnazione dell’etichetta di criminale all’autore di un reato, si innesca un processo di trasformazione dell’autore vero o presunto in delinquente cronico. Conseguenze deleterie di tale fenomeno, sia a livello di rappresentazione sociale che di auto-percezione, sono la diffidenza e la stigmatizzazione della collettività nei confronti del criminale e l’esclusione sociale che le istituzioni provocano. Secondo la teoria dell’etichettamento, dunque, sono da ritenersi vittime coloro che compiono reati che suscitano “allarme sociale” e che non dispongono di mezzi materiali per contrastare l’etichetta di criminale. Le forme di aggressività e violenza fisica messe in atto dal criminale sono, spesso, veicolate da una serie di modelli divulgati, a loro volta, dai mass-media. Tutto ciò è una conseguenza rilevante nella sensazione di disadattamento che il criminale vive, tra le cui cause più diffuse ricordiamo: le condizioni ambientali, il fenomeno dell’emigrazione e la povertà. Possono essere, inoltre, causa di atteggiamenti devianti anche fattori comportamentali di natura ereditaria o affettivo/cognitivo. Nei giovani si riscontrano maggiormente le seguenti condotte devianti: - aggressione, atto di violenza, fisica o verbale, esercitata nei confronti di qualcuno. Si tratta di un comportamento intenzionale e, il più delle volte, dannoso con lo scopo di infliggere dispiacere; - disturbo psicosomatico, in cui il soggetto manifesta disturbi sia fisici che psichici; riferimento ad un disconoscimento delle competenze specifiche all’interno dei diversi ordini scolastici. Tale concetto, in realtà, influenza positivamente il processo di apprendimento dello studente, purché ogni step formativo sia legittimato dal precedente. Per continuità didattica si intende, infatti, l'insieme delle strategie formative adoperate per lo sviluppo evolutivo della persona per tutto l’arco di vita, dall’infanzia all’età matura. In ambito pedagogico, molti sono gli studiosi che hanno espresso una loro interpretazione sulla nozione di continuità educativo-didattica. Un’importante teoria a riguardo è quella elaborata dal pedagogista russo Sergej Hessen (1887-1950), conosciuta come teoria della cultura. La sua concezione pedagogica ha come punto focale il modo in cui l’individuo viene inserito all’interno della comunità con i propri ideali culturali e stili di vita. Hessen, inoltre, individua nella vita dell’uomo tre diversi momenti, di pari passo con il processo di educazione, suddivisi in biologico, sociale e spirituale. Nel periodo biologico, definito dallo studioso anomia, il soggetto dipende totalmente da forze esterne. E” il periodo dell’infanzia, in cui il bambino, mediante il gioco, è portato a seguire i suoi istinti e il suo naturale egocentrismo. Lo step sociale, noto come eteronomia, è, invece, caratterizzato dall’entrata del bambino nella scuola e dalla sua capacità di adattare le norme esterne alla propria condotta. In questa fase il bambino interagisce con i propri coetanei, indirizzando il proprio operato, non verso un fine individuale, ma collettivo. In tale stadio, inoltre, è compito dell’educatore assegnare al bambino compiti che sviluppino la sua creatività e favoriscano la sua autonomia. Ultima fase dello sviluppo morale dell’individuo è quella spirituale, coincidente con l’uscita dalla scuola e l’inserimento in strutture parascolastiche ed attività di tempo libero. Negli studi del pedagogista russo emergono, tuttavia, due concetti principali riguardanti la scuola del lavoro e la scuola unica. La prima si inserisce come metodo educativo da adottare nella fase eteronomica, in modo particolare, nell’apprendimento dell’individuo. La scuola del lavoro rappresenta, pertanto, sia un momento di aggregazione sociale che di individualità, in cui gli sforzi educativi dell’uno si compensano con quelli dell’altro. In tal senso, ogni alunno diventa membro insostituibile nel proprio gruppo di coetanei che lo comprende in toto. Il lavoro del docente, d’altro canto, assume valore sociale, poiché, non è solo fatica, ma anche il risultato della creatività di ogni singolo componente del gruppo. Con l’affermazione dell’ideologia democratica nasce in Hessen l’idea della scuola unica, in cui lo Stato interviene positivamente nei rapporti sociali, in modo tale da eliminare ogni ostacolo in termini economici. Secondo lo studioso, una scuola è democratica nel momento in cui la popolazione attua un processo di apprendimento graduale, senza distinzione sociale tra gli individui. La scuola moderna, pertanto, assume una struttura unitaria, ma articolata al suo interno in tre stadi di formazione intellettuale, coincidenti con lo sviluppo morale dell’individuo: episodico, sistematico e scientifico. L’educazione di tipo episodico fa riferimento alla scuola di primo grado dai 3 ai 6 anni, in cui i bisogni educativi e le esperienze pregresse dell’alunno sono strettamente connesse tra loro. Nello stadio formativo sistematico, tipico della scuola di secondo grado dai 7 ai 14 anni, avviene una suddivisione delle materie curriculari ed un lavoro di diversificazione psicologica da parte del docente. La fase scientifica, infine, che va dai 14 ai 18 anni, favorisce una differenziazione in ambito professionale, mediante il processo di auto-formazione intellettuale di ogni singolo studente. La prima a porre in Italia il problema della continuità è stata la pedagogista italiana Maria Montessori (1870-1952). Il metodo montessoriano parte dallo studio di bambini con problemi psichici, espandendolo, poi, anche a quelli normodotati. La Montessori stessa riteneva, infatti, che, il metodo educativo applicato su soggetti schizofrenici, avesse gli stessi effetti stimolanti su quelli con ottime capacità cognitive. Il suo pensiero identifica ogni bambino come possessore di disposizioni morali e creative che l’adulto, molto spesso, rende inattive. Il bambino è, dunque, un embrione spirituale, nel quale lo sviluppo delle funzioni cognitive superiori è associato a quello biologico. Sin dalla nascita, il bambino è dotato di “nebule”, ossia potenzialità riguardanti specifici bisogni antropologici ed evolutivi, da soddisfare nell’ambiente circostante. Principio cardine nell’apprendimento del bambino è la libertà, poiché favorisce la sua creatività facendo emergere, al contempo, la disciplina. Secondo la pedagogista italiana, inoltre, solo mediante un’educazione improntata sul movimento, orientato verso uno scopo e connesso con l’attività psichica, il bambino sarà un soggetto disciplinato. Fondamento teorico della scuola di impostazione montessoriana è il concetto di Educazione Cosmica. Secondo un piano cosmico, ogni forma di vita poggia su movimenti intenzionali, ossia con uno scopo sia verso se stessi che l’universo. Nel 1907 Maria Montessori fonda la prima “casa dei bambini” destinata, non ai bambini portatori di handicap, ma ai figli degli abitanti del quartiere San Lorenzo di Roma. In tale contesto, il bambino può esprimersi attivamente con il materiale didattico proposto dal docente, apprendendo, nel contempo, gli aspetti fondamentali della vita comunitaria. Secondo il pensiero pedagogico montessoriano, tra tutti gli istituti presenti sul territorio, la casa dei bambini e la scuola elementare rappresentano a pieno il principio di continuità. Mentre per lo psicologo Piaget l’assimilazione e lo scambio di informazioni avvengono attraverso interazioni con il mondo esterno, secondo Vigotskji, invece, la continuità consta in una didattica esaustiva ed una presenza costante del docente nel contesto classe. La molteplicità dei punti di vista inerenti al criterio di continuità ha fatto emergere, però, la difficoltà di molti istituti scolastici nel realizzare un’attività pedagogica efficace. In ambito didattico la continuità è il filo conduttore che accompagna e sostiene l’allievo nel percorso di apprendimento, tenendo presente l’inesistenza di elementi statici. In tal caso, è opportuno parlare di discontinuità didattica, utile nel momento in cui l’apprendimento è indirizzato a nuovi obiettivi da raggiungere. L’anno 1992, dal punto di vista normativo, può essere definito come l’anno della continuità didattica, poiché sono stati emanati tre provvedimenti ministeriali importanti. Il primo è basato sulla legge 104/1992, in cui vengono garantiti i diritti dei soggetti con handicap, mediante forme di consultazione obbligatorie tra i docenti dei diversi istituti scolastici. Il decreto ministeriale del 16/11/1992, al contrario, disciplina i percorsi scolastici, in particolar modo nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie, sul principio di continuità didattica. Il più noto è il terzo emanato dal consiglio ministeriale 339 del 16/11/1992 concernente la necessità di inserire, in una programmazione didattica, progetti volti ad incentivare la continuità. Nelle indicazioni nazionali relative all’anno 2012 sono stati ribaditi tali concetti: il percorso educativo, inerente alla fascia di età 3-4 anni, deve essere progressivo, mentre la progettazione curricolare di tipo verticale, in accordo con il secondo ciclo di istruzione. Una continuità didattica si definisce verticale quando avviene tra classi appartenenti allo stesso istituto scolastico e i diversi ordini di scuola. Nel momento in cui, però, tale processo formativo si traduce in attività di orientamento, la continuità diventa orizzontale. In suddetta tipologia educativa, c’è un’importante collaborazione tra la scuola e tutte le altre istituzioni coinvolte, diversamente, nel processo educativo, compresa la famiglia. Le finalità che sono alla base della continuità educativa sono i seguenti: prevenire la dispersione scolastica, educare i docenti alla continuità e garantire agli alunni un percorso formativo coerente. Tracciare intenzionalmente i principi basilari di una specifica proposta formativa vuol dire costruire un curricolo verticale, dove gli obiettivi disciplinari sono indicati in progressione in continuità con gli assetti curriculari. Un curricolo verticale, dunque, è un valido strumento didattico che consente di descrivere l’intero percorso educativo che un allievo compie dalla scuola dell’infanzia a quella secondaria. Per far si che le singole spec à di un percorso formativo siano compatibili tra loro, è importante che il docente valorizzi i bisogni sociali degli allievi attraverso la progettazione di laboratori in comune con altre classi, mostre dei lavori svolti in classe e giochi di squadra. Il bambino che inizia la scuola dell’infanzia lascia le figure genitoriali per la prima volta o può aver vissuto precedentemente l’esperienza del nido. Solo una volta terminata la prima infanzia, inoltre, il bambino è in grado di affrontare la scuola primaria con maggiore sicurezza. Se è un bambino che viene dal nido, ha già con sé il principio di continuità, poiché la recente riforma (0-6 anni) è basata sulla coerenza educativa tra nido e scuola di infanzia. Nel passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria di I grado, invece, c’è un momento critico in cui il bambino attraversa importanti cambiamenti psicologici e fisiologici. Particolarmente favorita negli istituti comprensivi è la progettualità della continuità verticale. In ogni riforma succedutasi nel tempo, nonostante si sia stata sottolineata la necessità di un rapporto costruttivo tra scuola e famiglia, tali rapporti si sono mostrati sempre deboli. Tuttavia, è possibile potenziare tale cooperazione per mezzo attività varie, quali incontri periodici tra alunni, docenti e famiglie, attività di formazione ed allestimento di spettacoli per educare adulti e bambini. Dal provvedimento 235/07 basato su misure sanzionatorie previste per gli studenti autori di illeciti, è nato il patto educativo di corresponsabilità con l’obiettivo di impegnare le famiglie, sin dal momento dell’iscrizione, a seguire i propri figli nel percorso formativo. PARTE 4 GLI STRUMENTI Capitolo I: gli strumenti didattici tradizionali e digitali Principale strumento didattico, tramite il quale lo studente costruisce il proprio percorso di apprendimento, è il libro di testo, canale preferenziale su cui improntare la didattica. Tra i compiti spettanti al Collegio docenti ricordiamo l’adozione di libri di testo nelle versioni digitali o miste. Nel programmare la loro attività didattica, possono scegliere una tra le due tipologie esistenti di testo, ossia misto/tradizionale ed integralmente digitale. Nel corso degli anni, nell’ambito della didattica di impronta tradizionale, è stata standardizzata, per le lezioni in aula, una modalità educativa di tipo frontale. Un’alternativa al libro di testo tradizionale, utilizzata maggiormente dalle nuove generazioni, è il libro elettronico, noto come e-book, in formato pdf. L’e-book, indispensabile anche per allievi con disturbi di apprendimento, sostituisce, pertanto, forme testuali idonee per la formazione dello studente. Tra le nuove tecnologie adoperate in ambito scolastico vi è la LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), la quale offre al docente svariate possibilità per elaborare un mixed reality in cui convivono digitale e creatività. Gli e-book vengono realizzati e messi sul mercato in molteplici formati, molti dei quali, però, non sono stati originariamente concepiti per essere dei veri e propri libri elettronici. La ragione principale è che il mondo degli e-book è un sistema ancora relativamente giovane, mentre molti dei formati esistono già da molti anni. In tempi recenti, sono stati studiati nuovi formati da adattare ai libri digitali che, se da un lato hanno risolto il problema relativo ai formati datati, dall’altro ne ha creati dei nuovi. Il mercato, infatti, ha indirizzato l’industria editoriale verso formati legati a specifiche piattaforme hardware e software che limitano, però, le scelte finali dell’utente. Un modo per porre fine alla proliferazione di un numero sempre più consistente di formati, è quello di convertire quelli non fruibili dal cliente in qualcosa di più congeniale. Gli e-book possono essere suddivisi in tre importanti categorie in termini di formato, ovvero formati testuali, formati di immagini e formati audio. Il tipo di formato più utilizzato per la stesura degli e-book è quello testuale, poiché consente la creazione di ipertesti e l’inserimento di oggetti multimediali, quali audio, video ed immagini. Il formato più semplice di e-book è quello basato su immagini, in cui, ad ogni pagina della pubblicazione, viene associata un’immagine digitale, salvata in formato BMP, DjVu oJPG. Il formato audio, in cui sono presenti file audio nella pubblicazione dell’e-book, al contrario, presenta molti vantaggi ma anche svantaggi. Per quanto riguarda i vantaggi ricordiamo: - self publishing legato all’auto-pubblicazione di e-book, che la rendono più accessibile rispetto all’editoria tradizionale; - trasportabilità e dimensioni del dispositivo, in quanto, la maggior parte dei moderni dispositivi, dispone di una memoria in grado di contenere un vasto numero di libri. Molti di questi dispositivi elettronici, in quanto di piccole dimensioni e di peso contenuto, sono trasportabili ovunque; - personalizzazione, poiché qualunque e-book consente la lettura anche con luce scarsa, permettendo di ingrandire o ridurre le dimensioni del carattere o di modificare il font del testo; - disponibilità immediata, dato che possono essere scaricati ed acquistati immediatamente, comodamente da casa ed in qualsiasi momento; - un dispositivo per la lettura di e-book costa generalmente di più rispetto ad un libro tradizionale, ma, quando l’uscita sul mercato coincide, la versione digitale ha, di solito, costi inferiori. AI contrario, tra gli svantaggi di un libro elettronico annoveriamo quanto segue: - mancanza di privacy rispetto inerente alle attività di lettura e consultazione fatte dall’utente finale; - possibilità di rivendita o resa dei libri cartacei, mentre la maggior parte di quelli elettronici non prevedono resi; - mentre per leggere un testo cartaceo c’è bisogno semplicemente di luce e del libro stesso, per un e-book ciò non basta, al contrario, occorrono dispositivi specifici che ne consentano la lettura. La LIM, che permette di salvare schermate di lavoro e file, presenta i seguenti vantaggi: interfaccia semplice, interattività, multisensorialità, lavoro collaborativo ed individualizzazione. Come tutti gli strumenti didattici presenta, però, anche degli svantaggi, quali rischio di ridurre le lezioni ad uno show, costo elevato, possibili rallentamenti della lezione ed eccessiva semplificazione dei contenuti trattati. Un'ulteriore strumento digitale, altrettanto importante, è il blog, un particolare sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in forma anti-cronologica, ossia dal più recente al più lontano. Il blog viene gestito, inoltre, da un blogger che pubblica, più o meno periodicamente, contenuti multimediali in forma testuale o di post. L’insieme di tutti i blog presenti in rete è detto blogsfera, all’interno dei quali ogni articolo può essere indicato univocamente attraverso un permalink, ossia un link che punta direttamente a quel determinato articolo. In rete è possibile trovare ben 4 tipologie di blog: blog diario, in cui l’autore scrivi le proprie esperienze giornaliere, blog tematico dedicati ad uno specifico argomento, blog letterario caratterizzato dalla presenza del lessico letterario ed, infine, il blog professionale o commerciale collegato all’attività dell'azienda o del libero professionista. L’anno 1995 corrisponde alla nascita nel mondo del web del WIKI, ossia una modalità di software condivisa, che permette agli utenti di aggiungere i più svariati contenuti, come nel caso del forum. Peculiarità distintiva di tale tecnologia è che le pagine possono essere create ed aggiornate con facilità dall’utente. Il podcasting, invece, è una metodologia digitale basata su operazioni relative al download automatico di file detti podcast, mediante un’infrastruttura di trasmissione dati ed un programma client chiamato aggregatore o feed reader. Risulta essere, inoltre, un sistema adottato, in particolar modo, per l'insegnamento delle lingue straniere. Un podcast funziona alla stregua di un abbonamento ad una pubblicazione periodica, esprimibile attraverso suddetta metafora: il supporto connesso ad Internet è la cassetta postale, il programma cliente è il postino e il fornitore di podcast è la casa editrice. L’abbonato, inoltre, riceve regolarmente le pubblicazioni, che può ascoltare e vedere nelle modalità e nei tempi che ritiene più consoni. Per poter usufruire di un podcast è necessario innanzitutto installare un semplice hardware gratuito, ad esempio iTunes, Juice, Doppler, etc. e selezionare, successivamente, i podcast di interesse. Il software, a sua volta, con frequenza scelta dall’utente, si collega ad Internet e controlla i file che sono stati pubblicati dai siti ai quali ci si è abbonati. I podcast, infine, possono essere ascoltati in ogni momento, poiché la copia del file, dopo essere stata scaricata automaticamente, rimane sul computer dell’abbonato, in tal caso non è necessaria alcuna operazione attiva da parte dell’utente. Con il termine learning management system, al contrario, si fa riferimento ad una piattaforma elearning utilizzata dai docenti per dar vita ad una classe virtuale, nella quale gli studenti devono iscriversi. Oltre ai strumenti digitali appena esplicati, ce ne sono altri quattro di uso comune tra le nuove generazioni e sono: - Facebook nato nel 2004 che permette agli utenti di unirsi a gruppi vari per condividere i propri interessi con altre persone; - Twitter, servizio a metà strada tra microblogging e social network; - Instagram, un vero e proprio social fotografico; - Linkedin, il cui scopo è la creazione, oltre che la gestione, di contatti affidabili in ambito lavorativo. Uno degli obiettivi principali di ogni ordine scolastico è quello di integrare la didattica con importanti tecnologie informatiche. Oggi, nell’ambito della didattica, aumenta l’interesse verso la tecnologia del learning object (LO), in quanto il web ha favorito nuovi approcci per quanto concerne la formazione a distanza. L’organizzazione dell’LO permette, inoltre, percorsi formativi personalizzati con le seguenti finalità: incoraggiare l’adozione di nuovi stili cognitivi, favorire la multimedialità e sostenere la creazione di una mentalità digitale. All’interno della didattica la multimedialità può essere utilizzata in modi diversi: come valido strumento di insegnamento/apprendimento o come ambiente entro il quale rimodulare i contenuti e le modalità didattiche. I media offrono, inoltre, una molteplicità di stimoli che rendono studenti e docenti attori attivi nel processo di apprendimento, con competenze, non solo informatiche e pedagogiche, ma anche comunicative e metodologiche. Le modalità didattiche, a loro volta, adottate nella tecnologia del learning object sono: - Word Processor, software che consente la modifica di testi in immagini, tabelle, etc, la cui funzionalità può essere incrementata attraverso l’abbinamento con il correttore ortografico; - sintesi vocali, basate sull’ascolto di testi digitali importati sul pc, utilizzate, soprattutto, nell’apprendimento dei soggetti con BES. Tale modalità presenta, però, un limite nel prerequisito richiesto, ossia nella capacità di comprensione del testo; svariate attività di gruppo. Si tratta di una metodologia didattica innovativa, mediante la quale gli allievi possono acquisire il sapere attraverso la pratica, coniugando l’attitudine all’azione e alla concretezza. Il laboratorio facilita l’apprendimento dell’allievo, in quanto modalità trasversale caratterizzante la didattica disciplinare ed interdisciplinare. Con il termine scuola digitale si indica la molteplicità di interventi didattici che hanno lo scopo di rafforzare la qualità dell’insegnamento. Capitolo II: la relazione insegnante — allievo Nel contesto scolastico la relazione insegnante/allievo rappresenta un fondamentale obiettivo del processo formativo. Peculiarità cardine di tale rapporto è una comunicazione di tipo bidirezionale, nella quale il docente da lo stimolo, mentre l’alunno da reagente diventa stimolo. L’educatore, dunque, si trova a svolgere due importanti funzioni, l’una didattica basata sull’insegnamento di una disciplina, l’altra educativa sulla valorizzazione della crescita intellettuale dell’allievo. E° possibile definire l’atto didattico una relazione di mediazione intenzionale, in quanto le conoscenze trasmesse sono orientate verso un determinato fine. In primis ogni insegnante deve possedere una formazione culturale e professionale solida, ma ci sono anche fattori implicati nel processo di apprendimento, quali capacità di autoanalisi e consapevolezza dell’influenza dell’operato del docente sull’intero percorso educativo dello studente. L’autorevolezza si realizza solo nel momento in cui viene riconosciuta dai discenti, i quali individuano nell’insegnante svariate peculiarità, come comprovate competenze, professionalità ed equilibrio psichico. Fino al XV secolo la relazione educativa era centrata sulla figura del docente e, pertanto, sul rapporto adulto-centrico allievo/educatore. I primi a teorizzare un tipo di educazione incentrata sul puero-centrismo, con centralità sull’allievo, sono stati studiosi come Comenio, Locke e Rousseau. Nella società odierna, invece, si tende a pensare al rapporto allievo-educatore come una relazione dialogica di reciprocità educativa. La relazione educativa, a sua volta, è creatrice di conoscenze, un incontro che arricchisce, in termini intellettivi, i soggetti coinvolti in un continuo processo di trasformazione, sia per l’educando che l’educatore. Oltre alla dimensione soggettiva ne sussiste un’altra di natura intersoggettiva, dove entrambi i soggetti della relazione educativa hanno un’identità personale dalla quale non si può, affatto, prescindere. Tale asimmetria rappresenta, inoltre, un elemento costitutivo del processo educativo, poiché legata esclusivamente al patrimonio di conoscenze in possesso del docente. Uno dei requisiti fondamentali della professione docente, centrato sulla comunicazione, è la capacità di rapportarsi agli altri attraverso una fitta rete di relazioni. Tre sono le principali modalità di comunicazione: - interpersonale centrata sulla compresenza dei comunicanti nello stesso momento e nello stesso luogo. Si tratta di una forma comunicativa a carattere lineare e simmetrico che congiunge l’emittente al ricevente. E’ possibile parlare, in ambito didattico, anche di una comunicazione interpersonale unidirezionale, come ad esempio una lezione in cui i ruoli di emittente e destinatario non sono interscambiabili ma fissi. - interazione mediata caratterizzata da una separazione di luogo/spazio tra i soggetti coinvolti; - comunicazione di massa, rivolta ad un vasto pubblico e basata su una comunicazione mediante i mass media. L’interrelazione didattica avviene tra soggetti che non sono pari, in cui gli insegnanti si trovano in una posizione di oggettiva superiorità. Oggi si preferisce, sempre più, un modello di apprendimento basato sul confronto e sull’interazione emotiva tra allievo e docente. Per tenere viva l’attenzione dello studente, il docente deve prestare attenzione al suo tono di voce e alla sua soggettività, compreso il silenzio. Normalmente l’insegnante si rivolge ad un gruppo classe formale, i cui comportamenti sono accumunati per disposizione esterna e non per interessi comuni. Per realizzare gli obiettivi di apprendimento prestabiliti, ogni docente deve: svolgere la funzione di catalizzatore, rendere piacevole il clima d’aula, gestire conflitti e risolvere problemi. Per agevolare un rapporto comunicativo è opportuno garantire l’apprendimento mediante la ridondanza ed instaurare una relazione empatico con gli altri. La ridondanza si basa sulla ripetizione della stessa informazione creando le giuste condizioni, affinché sia lo studente che il docente siano capaci di rispettare i reciproci ruoli, favorendo la ricerca dell’identità personale. Il docente è leader nel momento in cui riesce a dare compattezza al gruppo classe e a guidarlo. La formazione di gruppi può dare dinamicità alla lezione e favorire l’individualizzazione che avviene per fasce di livello. Tali gruppi possono essere: omogenei, quando i membri possiedono determinate caratteristiche tipologiche, eterogenei quando, al contrario, non le possiedono. L’uomo contemporaneo riconosce le emozioni come elemento fondante della propria identità personale. A tal proposito, ricordiamo Piaget che ha sostenuto l’inseparabilità tra stati affettivi e stati cognitivi. Per Vyhotskij, invece, nel pensiero è presente una componente motivazionale propria della coscienza, con una stretta connessione tra processi emotivi ed apprendimento. Secondo Bloom, al contrario, affettività, motivazione ed apprendimento sono strettamente correlati tra loro. Secondo lo psicologo statunitense Carl Rogers (1902-1987), infine, l’apprendimento dipende dall’operato svolto dal docente, volto a favorire un clima di accettazione ed assenza di tensioni tra tutti i membri del gruppo classe. In tal senso, lo studioso parla di una didattica improntata sulla centralità dello studente, con un obiettivo costante da parte dell'insegnante nel raggiungere determinate mete educative. Compito del docente, dunque, non può essere solo quello di educare, ma deve rendere gli allievi protagonisti delle proprie competenze. Di conseguenza l’efficacia dell’attività didattica dipende maggiormente dalla relazione instaurata tra allievo ed insegnante. A tal proposito, lo psicologo statunitense afferma che l'insegnante, oltre a rappresentatore un facilitatore dell’apprendimento, deve possedere i seguenti requisiti: fiducia profonda nelle capacità umane, lealtà, sincerità, rispetto e stima peri propri studenti e capacità di comprendere le loro reazioni. Capitolo IV: ambienti e contesti di apprendimento All’interno del processo formativo l’individuo entra sia come gruppo che tiene presente di ogni possibile variante in termini sociali, sia come singolo. Il singolo, dunque, non va considerato un soggetto passivo ma in continua interazione con l’ambiente circostante. Non bastano i singoli gruppi o individui per attivare un processo educativo autentico, al contrario occorrono: - una comunità ben consolidata costituita principalmente da scuola e famiglia; - un sapere inteso come patrimonio comune di conoscenze; - strumenti specifici dell’educazione basati su elementi che concretizzano l’atto educativo. Il processo formativo consta di una serie di eventi sociali, allo stesso tempo si tratta di un apprendimento personale che accompagna il soggetto dalla nascita alla morte. Uno degli studiosi più noti per quanto riguarda l’interazione tra individuo e ambiente è lo psicologo statunitense Urie Bronfenbrenner (1917-2005). Quest'ultimo elabora un modello ecologico che considera l’ambiente di sviluppo del bambino una serie di cerchi concentrici, legati tra loro da un’articolata rete di relazioni, così schematizzate: - microsistema, livello centrale entro il quale le unità interpersonali minime costituite da diadi, ad esempio madre-figlio, si rapportano con altre, attraverso interazioni dirette. Un microsistema è, dunque, un pattern organizzato da relazioni interpersonali, attività condivise, ruoli e regole che si svolgono, per lo più, in luoghi ben definiti, come la famiglia, la scuola o la rete di parentela; - mesosistema si riferisce a due o più contesti in cui il soggetto partecipa attivamente alle varie interconnessioni; - esosistema, l’insieme di eventi esterni che influenzano lo sviluppo del bambino; ‘a il contesto sociale in cui il bambino è inserito. - macrosistema, 0. Colui che ha definito la scuola un microcosmo sociale è stato il sociologo francese Emile Durkheim (1858-1917). Lo studioso sostiene che la scuola dell’infanzia rappresenta, nel percorso di crescita del bambino, il luogo della prima uscita dall’ambito familiare. Molto complesso è, senza dubbio, il rapporto genitori-insegnanti, in quanto ci sono genitori che mostrano esigenze eccessive e/o scarsa motivazione. Si ripercuotono, in maniera evidente, sugli stimoli dati al bambino e, di conseguenza, sul percorso formativo, i diversi modelli familiari di riferimento, suddivisibili in tre principiali categorie: - stile repressivo basato sull’obbedienza e sul rispetto dell’ordine e delle tradizioni; - stile indulgente e permissivo, in cui i genitori si mostrano tolleranti nei confronti delle richieste dei figli; - stile autorevole centrato sulla reciprocità dei diritti e doveri, uguali per tutti i membri della famiglia. In questo caso, i genitori si mostrano fermi in merito a regole ed obblighi, al
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