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sintesi delle videolezioni in didattica generale, Dispense di Didattica generale e speciale

è una sintesi delle videolezione e del libro di d'antica generale primo anno

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 30/01/2023

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valeria-russo-32 🇮🇹

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Scarica sintesi delle videolezioni in didattica generale e più Dispense in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! La didattica Viene definita come la disciplina che si occupa delle azioni progettuali attuative, valutative e negoziativi-simboliche idonee a favorire nei diversi contesti processi di acquisizione di migliore qualità ed efficacia attraverso l’allestimento di specifici dispositivi formativi. È costituita dall’insieme di teorie e di pratiche connesse inizialmente all’insegnamento nella scuola e formula indicazioni su come si debba agire per conseguire i risultati auspicati. Non può essere considerata solo una scienza pratica perché comprende come parte integrante anche la riflessione, la decisione circa gli obiettivi da raggiungere e la finalità verso cui tendere. Gli obiettivi fondanti della didattica sono 4: 1. Un soggetto che eroga/possiede conoscenza 2. Un soggetto che acquisisce tale conoscenza 3. Una conoscenza oggetto di acquisizione 4. Un’attività volta a facilitare l’acquisizione di contenuti disciplinari I cambiamenti della didattica Attualmente non è possibile parlare di didattica solo per la scuola. Il Life long Learning (apprendimento della vita) ha determinato che l’alfabetizzazione e la formazione del soggetto avviene lungo tutto l’arco della vita per rispondere a molteplici situazione e cambiamenti che sono sempre più frequenti. I cambiamenti della didattica sono dovuti: (Calvani) 1. L’ampliamento dei campi: forme di aggiornamento che si rendono necessarie per adeguare un soggetto alle mansioni per le quali è stato assunto 2. Distinzione dei momenti dei ruoli: le fasi essenziali dell’agire didattico possono trovarsi separate nel tempo e nello spazio e trattate anche da soggetti diversi 3. Il carattere distribuito della conoscenza: diffusione di internet 4. Spostamento del focus dall’istruire all’apprendere: ampliare il proprio raggio d’azione: non solo coinvolto dal docente nell’ascoltare, ma attore principale che si impegna a individuare i propri obiettivi di apprendimento e a intraprendere tutte le azioni necessarie per conseguire tali obiettivi. La diffusione della didattica in diversi ambiti è legata anche alla visione di luogo e modalità di apprendimento descritte come: l’apprendimento formale: si svolge negli istituti di istruzione e di formazione e porta all’acquisizione di diplomi e di qualifiche riconosciute l’apprendimento non formale: si svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. l’apprendimento informale corollario naturale alla vita quotidiana. Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze Work place learning: apprendimento sul posto di lavoro. L’insieme dei processi di apprendimento (ambito informale) che si realizzano nell’ambito lavorativo, con attenzione alla visione sistemica. I campi della didattica Bonaiuti individua diversi ambiti nei quali la didattica è divenuta un riferimento indispensabile: 1. La scuola: dall’infanzia alle secondaria di secondo grado, è in continua evoluzione perché connessa alla cultura della società nella quale esercita la propria funzione di inculturazione. Essa si deve adeguare A) al cambiamento delle generazioni che entrano nelle aule B) alla diversità dei processi di apprendimento C) alla ridefinizione dai compiti assegnati dalla politica alla scuola stessa. 2. L’università: obiettivo di ridefinire i curricula per facilitare la connessione tra mondo della formazione e mondo del lavoro. Realizzare il passaggio da Università delle Conoscenze all’Università delle Competenze 3. Didattica extrascolastica: contempla tutte le offerte che si rivolgono al una popolazione in apprendimento al di fuori della scuola, si avvale delle risorse sul territorio in grado di offrire arricchimento culturale ( musei, centri sportivi, teatri) 4. Didattica degli adulti: adulto in quanto soggetto che impara per tutto il tempo della vita. Promuovere e controllare Primo dualismo: Si è iniziato a parlare di didattica nel 1600 circa, per comprendere come le prime fondanti riflessioni attivate da Comenio abbiano una ripercussione. Comenio ci porta a ripensare che la formazione doveva essere destinata a tutti, per ragioni religiose ed etiche era interessato a estendere il livello di istruzione, non come diritto di uguaglianza ma rimanendo nell’ambito dove ognuno era già posizionato. Era comunque un idea di valorizzazione dell’apprendimento quale condizione dello sviluppo della persona . Era una sorta di emancipazione. Comenio riteneva che la figura centrale dell’insegnante non fosse solo determinata dalla sua conoscenza dei contenuti, non era solo assegnato il compito di trasmettere la propria conoscenza secondo forme lui più consone ma era sopratutto colui che riusciva a intercettare i ritmi di apprendimento dei soggetti, attenzione che portava alla valorizzazione dell’apprendimento anche in età infantile, quindi rispettare le esigenze e i bisogni dell’altro. Quindi non c’è un sapere unico da fare acquisire. Inoltre la grande rivoluzione è quella di assegnare all’insegnante la capacità e la competenza nella progettazione in modo tale che ci possa essere un’integrazione fra le potenzialità di colui che apprende e l’oggetto di apprendere quella che viene definita Mediazione È un maestro che si posiziona tra il sapere e l’allievo e costruisce egli stesso un ambito di mediazione che aiuta l’altro ad accedere a dei saperi. Le prime teorizzazioni sulla didattica Nell’epoca in cui ha vissuto Comenio, l’osservazione della natura poteva essere l’elemento più importante perché rientra nell’esperienza di tutti e presenta una ciclicità e ha dei tempi. Saper osservare la natura significa saper entrare in un sistema che è in equilibrio con se stesso e che presenta molti mutamenti in una logica sempre di evoluzione e ciclicità. Egli proponeva già un’estensione dell’istruzione nel periodo iniziale della vita del soggetto, una sorta di - scuola materna fino ai sei anni di età che era fondamentalmente dedicata a fare sperimentare al bambino attraverso i sensi la conoscenza degli oggetti nel mondo degli eventi, un bambino che esplora il mondo attraverso il proprio corpo, esplora il mondo e attraverso questo costruisce la propria conoscenza. - scuola nazionale o vernacolare ( 6/12 anni) dedicata all’apprendimento della scrittura, della lettura, della matematica, di rudimentali lavori manuali e dei primi principi religiosi e morali. - scuola latina o ginnasio fino ai 18 anni - accademia fino ai 25 anni Questo percorso aiuta il soggetto a far evolvere il proprio sapere in un tempo lungo e in modo ciclico perché Comenio aveva elaborato una proposta di • Ricorsività che si presentava a seconda dell’età delle persone • La gradualità dalle cose più semplici a quelle più complesse • Vi è una scelta dei contenuti • Vi è una valorizzazione del gioco: l’infanzia è una fase educante. Educare e istruire Un secondo dualismo è quello che vede la contrapposizione o la sinergia tra educare e istruire. Educare e istruire si realizzano nell’ambito della relazione educativa che diviene un tutt’uno nel processo di insegnamento. Le connessioni più importanti sono: • La relazione educativa e modello didattico: l’insegnante vive nella relazione tra soggetti e contenuti da proporre. Tra le decisioni che l’insegnante si trova a dover prendere vi è principalmente quella riguardante il tipo di didattica. troppo astratti, non intercettavano l’interesse degli studenti ed erano costituiti da un sapere mnemonico, ripetitivi; e non vi era più alcuna attenzione al collegamento tra il luogo di produzione del sapere e le modalità con le quali si può trattare nella scuola. Tutte queste critiche lo portano a elaborare le diversità tra sapere sapiente e sapere insegnato. Per Chevallard ogni progetto sociale di insegnamento e di apprendimento si costituisce grazie alla designazione di contenuti di sapere come contenuti da insegnare. Tuttavia la trasposizione didattica non è solo un processo di scelta ma di trasformazione. In questo processo sono previsti i seguenti passaggi: • Innanzitutto un contenuto del sapere viene svelto come oggetto da insegnare quindi inserito nel programma di istruzione in base alle esigenze sociali. • Il contenuto scelto come oggetto da insegnare subisce un insieme di trasformazioni adattive che lo fanno diventare oggetto di insegnamento. La trasposizione esterna in Chevallard e Martinard Secondo Chevallard si hanno due tipi di trasposizione: esterna e interna. La prima è predisposta dalle commissioni esterne: nel caso della scuola é il MIUR (ministero dell’istruzione e del merito) a definire i programmi. Il percorso che conduce all’individuazione dei programmi è il risultato della sinergia fra il sapere maturato nelle varie discipline che influiscono sull’insegnamento ( sociologia, antropologia, neurologia) e una visione politica intesa come modo in cui il governo affronta i temi e problemi politici specifici, in questo caso l’educazione. A Martinard si deve la nozione di pratiche sociali di riferimento con la quale vuole mettere in luce la relazione che si crea fra una comunità professionale, domestica o sociale e il tipo di saperi necessari per partecipare alla loro vita ed evoluzione. La trasposizione esterna si trova a problematizzare il rapporto tra scuola e società per definire l’orizzonte verso il quale proiettare i soggetti in formazione. Questa relazione tra sapere scientifico e pratiche sociali di riferimento è bidirezionale nel senso che si influenzano reciprocamente. La trasposizione esterna in Develay Develay sostiene che la trasposizione didattica sia costituita da due differenti attività: la didattizzazione fa riferimento alla scelta dei contenuti che devono essere insegnati e alla predisposizione delle situazioni per favorire l’apprendimento di quei contenuti; mentre l’assiologizzazione fa riferimento ai valori, personali e sociali, che incidono sulla scelta dei saperi e sulle modalità di presentazione. Il sapere che deve essere insegnato deriva dai saperi scientifici, provenienti dalle comunità scientifiche e di ricerca, e dalle pratiche sociali a cui si attengono le commissioni che ideano i programmi, gli insegnanti nella loro attività di mediazione, ma anche gli studenti durante il processo di assimilazione dei contenuti che vengono insegnati a scuola: questi ultimi devono assolvere a finalità educative e formative che vengono stabilite dalla società e dalla cultura di riferimento. Coloro che si occupano di predisporre i programmi danno quindi l’avvio alla fase di assiologizzazione che continua per opera degli insegnanti, i quali scelgono non solo i contenuti ma anche le modalità con cui devono essere trattati, tenendo anche conto dei loro valori personali. E infine anche gli alunni, nella fase di apprendimento, attribuiscono un loro significato all’oggetto di insegnamento che sarà influenzato dalla propria esperienza personale e valoriale. Develay sottolinea come la soggettività del docente influenzi il processo di trasposizione didattica, quindi la trasformazione che attua sul sapere sapiente e l’adattamento che compie nei confronti di un pubblico poco esperto. Develay ritiene fondamentale che gli insegnanti conoscano l’epistemologia della disciplina che devono insegnare, i suoi principi, i metodi e i risultati, quindi le domande che si pone, il modo in cui questa risponde a tali domande e il valore che assume in riferimento al contesto sociale. Il “sistema insegnamento” Se l’insegnamento è così complesso non possiamo più parlare di traiettorie trasmissiva ma di un sistema di insegnamento che si avvale di tantissimi saperi, tra questi saperi troviamo: Pedagogia Didattica Epistemologia disciplinare Tutte in relazione fra loro e che l’insegnante non può non prendere in carico. L’insegnamento è una sinergia mobile, flessibile, fra tante e diverse conoscenze proveniente dalle scienze dell’educazione oppurtunatamente interpretate e mediate per rendere possibile “poter insegnare tutto a tutti”. La scuola del programma Cives apre un suo trattato sui programmi della scuola dicendo che i programmi didattici rappresentano un momento significativo di incontro tra storia generale, e quindi a un tempo sociale e politica, storia della cultura e della pedagogia, storia della scuola, storia della didattica. Nella metà dell’800 furono istituiti i primi programmi per la scuola elementare a seguito della legge Casati del 1859. In questi programmi sono già presenti gli elementi fondamentali che caratterizzano la connessione tra educazione e istruzione. • Importante leggere e scrivere in italiano e non nei dialetti, la matematica, le scienze, la geografia e la storia. • Comportamenti socialmente accettabili da favorire uno sviluppo identitario di genere. • Quale atteggiamento deve avere il maestro capace di gestire premi e castighi. Con i programmi di Gabelli nel 1888 si nota un cambiamento verso una cultura positivista. • Valorizza lo spirito scientifico cioè la conoscenza viene da processi di osservazione, dall’esperienza. • Sviluppo delle capacità critiche e riflessive. • La scuola ha 3 finalità: dar vigore al corpo, sostenere lo sviluppo dell’intelligenza e onestà dell’animo. L’obiettivo è di costruire negli studenti dei modi di pensare che durino tutta la vita e non un insieme di nozioni che andrebbero facilmente dimenticate. Bacelli nel 1894, riprende alcuni punti di Gabelli per criticarli. Esso ritiene che quando un soggetto è troppo libero rischia di perdersi, quindi è necessario soffermare le conoscenze su alcuni elementi fondamentali, infatti si concentra su ridurre i contenuti. Nel 1923 Lombardo Radice (allievo di Gentile) cura la stesura di quei programmi che diventano un vero e proprio riferimento nella cultura scolastica per decenni. È influenzato dell’idealismo e di conseguenza ha una visione metafisica, estetica, creativa da alimentare fin dalla prima infanzia. La riforma Radice si colloca nel periodo fascista: la visione politica porterà verso un interpretazione di questi programmi intesi come strumenti per “creare” comportamenti e visioni nei soggetti in linea con i principi politici. Il dopoguerra vede il superamento della visione nazionalistica e con i programmi del 1945 di Wasbhurne (allievo di Dewey) il quale imposterà l’insegnamento delle discipline come mezzo per alimentare il potenziale di ogni alunno, riprende vigore una fiducia nel potere di apprendimento e di scoperta. Questi programmi però erano troppo innovativi per essere pienamente compresi da una cultura che ancora non aveva superato l’impatto con il trauma della guerra e del periodo fascista e furono sostituiti dai programmi Ermini nel 1955 caratterizzata da una visione democristiana. Rappresentazione di un fanciullo tutta intuizione, fantasia e sentimenti la cui creatività deve essere facoltativa. I contenuti da affrontare divengono oggetto di scelta da parte del maestro che può selezionare quali argomenti sono importanti rispetto ad altri. Curricolo Curriculum in latino: La prima definizione nasce nel 1928 è viene identificato come un corso di studi dove venivano definiti i programmi che caratterizzavano quello specifico corso. Bruner nel 1967 lo definisce come un programma di un corso scolastico comprensivo del materiale didattico, delle indicazioni per lo svolgimento e dei metodi di valutazione. Pontecorvo, 2002, dice che curricolo significa dare rilievo alla funzione di trasmissione, costruzione ed elaborazione culturale che la scuola svolge e alla necessità di analizzare, criticare, trasformare, pianificare i contenuti culturali proposti nelle istituzioni scolastiche in stretta connessione con gli obiettivi generali e specifici e degli ordini di scuola, dei metodi di insegnamento, della possibilità e dei materiali di apprendimento, dell’interazione didattica e sociale tra insegnanti e allievi e tra allievi stessi. Attualmente la parola curriculum o curricolo viene attribuita: • Ad un singolo corso di insegnamento • A una singola disciplina • A un percorso di studi Il curriculum in Stenhouse Tra il 1960 e il 1970 ci fu un dibattito sul curriculum sviluppatosi negli Stati Uniti attribuendo altre definizioni: • Johnson intende il curricolo come una serie articolata d’esiti culturali prestabiliti. Il curricolo fissa in anticipo i risultati dell’apprendimento. • Inlow (1966): il curricolo è il programma composito elaborato da ciascuna scuola al fine di orientare verso esiti prestabiliti l’apprendimento degli allievi. • Neagley ed Evans (1967): il curricolo è la programmazione d’un complesso d’esperienze elaborate dalla scuola affinché gli alunni conseguano gli esiti culturali previsti al massimo delle loro capacità. Quindi possiamo identificare il curricolo come un percorso ipotizzato in un contesto, per raggiungere dei risultati ed è socialmente e culturalmente definito dagli insegnanti in funzione anche di quando previsto dai programmi. Secondo Stenhouse 1991 il curriculum è un tentativo di comunicare i principi e le caratteristiche essenziali d’una proposta educativa in forma tale da restare aperto a qualsivoglia revisione critica e suscettibile di un’efficiente conversione in pratica. Il curriculum sia sostanzialmente un enunciazione di intenzioni e realtà di fatto, raramente l’intento educativo corrisponde al risultato concreto; per questo non possiamo mettere in pratica ogni nostro piano d’azione. Il suo soggetto è di far progredire le scuole mediante il miglioramento delle condizioni di insegnamento e di apprendimento. L’autore cerca anche di individuare dei principi per strutturare un curricolo Principi per la pianificazione: • Principi per la scelta dei contenuti: cosa si deve insegnare e imparare • Principi per lo sviluppo d’una strategia didattica: come si deve insegnare a imparare • Principi con cui diagnosticare le carenze e la validità dei singoli studenti (si parla di deficit o difficoltà) Nello studio empirico: • Principi in base a cui studiare e valutare il progresso degli studenti • Principi in base a cui studiare e valutare il progresso degli insegnanti • Consigli circa le modalità d’adottare il curriculum presso contesti variabili e di scuola e d’allievi, situazioni ambientali e gruppi d’individui coetanei • Effetti in contesti diversi e su allievi differenti e spiegazioni circa le cause di tale varietà Le novità introdotte da Stenhouse: • Vi è una figura di insegnante che si impegna a diventare ricercatore sul proprio agire perché ritiene che l’insegnante debba trattare la propria pratica come oggetto di ricerca di studio. • Curriculum flessibile, rimodulabile in funzione di una migliore efficacia, legato alle variabili contestuali. Obiettivo del curriculum: il miglioramento degli insegnamenti disciplinari, quello della razionalizzazione dell’azione didattica, quello della partecipazione sociale ( la stesura del curricolo è un’azione collettiva, compita dagli insegnanti in dialogo con altri soggetti coinvolti e interessati presenti sia nell’istituzione scolastica, sia nel territorio). Il curricolo è fondamentalmente un’azione collettiva volta al miglioramento dell’offerta formativa. Si collocano al terzo grado, si allontana sempre di più alla realtà. Operano nella direzione di sostenere lo sviluppo di rappresentazioni, sostengono la rappresentazione con la realizzazione di simulazioni. Il gioco è il mediatore analogico per eccellenza. • Giochi di finzione: i giochi che osserviamo spontaneamente sono i giochi di finzione cioè quando i bambini simulano vere e proprie azioni e condizioni e grazie ad essi si comprende come il bambino abbia interiorizzato quell’azione e la stia riproducendo. • Giochi narrativi: è quel gioco che permette di costruire una storia, ci sono eventi in successione, la storia si sviluppa man mano che i bambini introducono delle variabili. Osservare un gioco narrativo significa soprattutto comprendere quali relazioni il bambino stia costruendo o abbia costruito tra le persone, fatti che accadono ed elementi che sono presenti in contesti. • Giochi per imparare: videogiochi che hanno un obiettivo di apprendimento (serious games). La simulazione trova ampio spazio in molti giochi che divengono strumentali a far acquisire anche competenze professionali in sicurezza a causa di un eventuale errore. Un altro tipo di simulatore è il role play che consiste nella simulazione dei comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale. Importantissimo è l’attivazione del debriefing cioè attivare quel momento che serve per ripercorrere l’esperienza (autoconfronto o autoconfronto incrociato). Gli aspetti positivi di un mediatore analogico sono: la motivazione; la semplificazione delle situazioni rispetto alla complessità reale; l’attivazione dell’attenzione, riflessione, analisi personale e collettiva sull’esperienza realizzata. Gli aspetti problematici sono: la semplificazione, la neutralizzazione degli errori, la distorsione. I mediatori simbolici Il più lontano dal reale, (il più vicino alla linea dei segni) vengono definiti a massima metaforizzazione perché più liberi da riferimenti fisico-sensoriali. Il pensiero ne costituisce lo scheletro, il linguaggio verbale-orale e soprattutto scritto- insieme a quelli massimamente simbolici dell’aritmetica, dell’algebra e della logica ne rappresenta lo strumento di espressione e di comunicazione. I mediatori simbolici sono considerati economici: • Per il rapporto che determinano tra la quantità di informazioni e il tempo necessario per fornirle. • Per la facilità con la quale vanno a costruire un universo di significati condivisi all’interno di una cultura. • Ci sono problemi connessi all’uso dei mediatori simbolici: • Verbalismo cioè parole senza senso che riempiono di significato un tempo ma non lasciano tracce in termini di costruzione del pensiero. • Psittacismo in cui gli studenti ripetono in modo quasi uguale quanto ascoltato dal docente senza avere una reale conoscenza. Noi ci serviamo dei concetti per raccontare il mondo attraverso un’astrazione empirica (dalla percezione) e un’astrazione riflettente (riflessione sull’azione e sulle ordinazioni fra azioni) Piaget Borghi e Caruana parlano di un concetto colla è un insieme di quelle esperienze che progressivamente si connettono l’una con l’altra e consentono al soggetto di avere una rappresentazione che è direttamente funzionale o connessa al l’agire, i concetti sono dati da simboli percettivi da cui è possibile estrarre velocemente informazione motoria. Questo garantisce risposte flessibili. La discussione e il confronto tra pari è importante per accrescere la conoscenza, vi sono però delle condizioni specifiche per attivare il confronto: • Un’esperienza comune • Una situazione in cui vi sia un Problem solving collettivo • Un cambiamento nelle usuali regole di partecipazione Una discussione diventa costruttiva quando un soggetto o più soggetti apporta elementi nuovo pertinenti, mette in relazione, delimita il campo di indagine, i soggetti si oppongono con ragioni, generalizza, problematizza e ristruttura. Ci sono delle categorie che dimostrano il non sviluppo del discorso quando c’è una ripetizione, o quando si ha la conferma o quando si riferisce a esperienze personali. Il ruolo dell’interlocutore esigente è soddisfatto delle idee espresse, rilancia, pone domande, problematizza, mette in dubbio e argomenta. Nella didattica i mediatori vengono tutti coinvolti Mediatori caldi: attivi - analogici Mediatori freddi: simbolici - iconici Il dispositivo Dispositivo fa riferimento ad un sistema. Dispositivo tecnologico Dispositivo nel linguaggio giuridico: chiusura di un percorso con qualcosa che viene definito Dispositivo in didattica: include una serie di elementi che costituisce la situazione di apprendimento Dispositivo in filosofia: insieme di elementi fra loro interconnessi che permettono di esercitare forme di controllo e di potere sugli individui. Il dispositivo tecnologico : maggiore distanziamento tra elemento fisico, materiale e funzionamento. Amplia la possibilità delle funzione corporee. Invisibilità di come si sviluppa il meccanismo di funzionamento. Il dispositivo didattico secondo Perrenoud è una situazione progettata dal docente affinché gli studenti siano nella possibilità di svolgere un compito, di realizzare un progetto, di risolvere un problema. Il dispositivo non può obbligare ma è uno spazio di azione possibile allo studente. Non è uguale in base alle situazioni ma tutto dipende dalla disciplina, dall’insegnante e dallo studente. Ogni dispositivo è direttamente connesso al tipo di compito. Il dispositivo nel linguaggio pedagogico secondo Foucault è un insieme assolutamente eterogeneo che implicano discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni, morali e filantropiche, in breve tanto del detto che del non-detto. È la rete che si stabilisce fra questi elementi. Considera le istituzioni come dei veri e propri centri di controllo. Massa progetta il dispositivo pedagogico in modo tale da produrre un nuovo campo di esperienza e arricchire di significati nuovi l’esperienza. Cerca di far emergere l’intenzionalità, cioè il ruolo del soggetto a interpretare il dispositivo. In sintesi È uno spazio-tempo intenzionalmente predisposto per supportare il cambiamento soggettivo e dipende dalle prospettive con cui, chi progetta, guarda a un problema. Al suo interno vi sono strumenti e attività che danno vita a una partecipazione determinata da come il soggetto in formazione interpreta il dispositivo Le azioni che attiva provocano la creazione di nuove routine o di pratiche non tutte previste dal progettista. Il focus del dispositivo è nella gestione della mediazione fra un prospettato dal progettista e un realizzato dal soggetto che lo interpreta. Può essere considerato efficace quando produce nel soggetto pratiche di libertà provocando un mutamento nella percezione del sé in rapporto ai problemi e alla possibilità di affrontarli e risolverli. La competenza La competenza è un sapere necessario per gestire dei compiti, siano essi presenti nell’ambito della scuola, nelle professioni o nella vita quotidiana (formale, informale, non formale) è composto da un insieme di risorse che, opportunamente combinate, offrono la possibilità di riuscire di fronte a situazioni routinarie e non. È sempre un agire intenzionale. Secondo Fabre la competenza sta nel saper problematizzare, significa saper sospendere il giudizio, né negare né affermare ma esaminare, decostruire le dimensioni di una proposizione logica per ricostruirla cercandone il senso. Ray individue le 3 diverse azioni caratterizzante della competenza: • Definizione del problema • Definizione dello scopo • Scelte delle strategie La mobilitazione Perrenoud ha coniato il termine mobilitazione per rappresentare l’attività che il soggetto fa nell’agire competente. Mobilitare non è soltanto utilizzare o applicare, ma condurre un insieme di operazioni mentali complesse che, connettendole alle situazioni, trasformano le conoscenze piuttosto che limitarsi a spostarle e trasferirle. Le Boterf ritiene che non si può obbligare nessuno ad agire con competenza ma ciò che può essere fatto è riunire in maniera coerente un insieme di condizioni favorevoli attraverso 3 condizioni precedentemente definite: • Poter agire cioè mettere il soggetto in condizione di poter agire • Voler agire atteggiamento intenzionale che dipende dall’individuo, dalla motivazione • Saper agire esperienza massima della competenza connessa alla capacità di mobilitare La differenza sostanziale della competenza nell’adulto è l’efficacia in rapporto a risultati non precedentemente definiti, mentre la competenza a scuola ha un risultato che è noto a colui che progetta. (Ray) La competenza nella scuola Nelle indicazioni Nazionali del 2012 si trovano alcune indicazioni per definire i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Insegnare per supportare lo sviluppo delle competenze può essere sintetizzato in alcune traiettorie: Dalla collaborazione e cooperazione alla negoziazione (attività che richiedono la messa in comune, la collaborazione) Dall’autonomia alla motivazione e devoluzione (produrre un modello di studente che risponda a criteri personali più che a esigenze reali di crescita) Dalle situazioni problema alla modellizzazione (rendere visibile il processo, per memorizzare come ha agito in quella situazione) Dalla riflessione alla consapevolezza (conoscenza di come si è agito) Tra macro e micro progettazione Progettare dispositivi di formazione nei contesti complessi odierni fa riferimento alla metafora di rete, ove si intrecciano elementi modulari differenti, autoconclusivi e non ordinati rispetto a logiche di tipo spazio-temporale, progettare significa anche riprogettare continuamente in azione. Le caratteristiche in cui il progettista deve sempre tenere presente: • Integrare nel sistema formativo conoscenze di tipo formale, informale e non formale • Le competenze devono essere specifiche e di tipo trasversale (soft skills) • La logica collettiva che va incontro alle esigenze di gruppo ma anche individuale cioè da la possibilità a ciascun corsista di partecipare ad un corso adeguato ai suoi bisogni • Occorre parlare di dimensioni multiple della progettazione che possono essere la macro progettazione (sguardo globale che traccia le linee guida della finalità dell’intero percorso) e la micro progettazione (che vanno nello specifico negli argomenti, competenze e obiettivi applicate nel percorso formativo) Le connessioni tra dimensione macro e micro. Durand sottolinea che i paradigmi che regolano la società di oggi sono due: paradigma della complessità e paradigma della mobilità questo significa che la società è di tipo fluida e dinamica e richiede interventi formativi di tipo olistici e integrati, lo studente non deve semplicemente acquisire competenze specifiche ma deve essere in grado di leggere il reale nelle sue molteplici dimensioni e di mobilitare le competenze acquisite anche in contesti differenti rispetto a quelli che erano stati predisposti all’interno del suo processo formativo. • Modello dei talenti personali: (soggetto prodotto) particolare attenzione alla personalizzazione, alla cura delle potenzialità di ciascun soggetto. I principi dell’istruzione Un altro modo per parlare della progettazione didattica sono i principi dell’istruzione. Partiamo dall’instructional design che si è sviluppato negli anni ’50 negli USA è un metodo sistematico che concerne come pianificare, sviluppare, valutare e gestire il processo istruttivo, così che possa garantire l’acquisizione da parte degli studenti di una performance adeguata. Il modello base è quello ADDIE ovvero l’insieme di 5 processi fondamentali senza i quali non sarebbe possibile stabilire la coerenza interna di un percorso formativo: • Analyze: processo che definisce ciò che va insegnato • Design: definisce l’obiettivo da raggiungere • Develop: specifica la modalità con la quale si creano i materiali da mettere a disposizione • L’implement: è la realizzazione vera e propria dei supporti dell’insegnamento • Evaluate: processo attraverso il quale si effettua la valutazione sia sugli alunni che sul sistema di istruzione. Merril ha elaborato l’idea che non si dovesse ispirare a modelli ma a dei principi. Un principio è una relazione che è sempre vera in appropriate condizioni. Un principio basilare dell’istruzione è un principio prescrittivo per il progetto su cui concordano varie teorie e modelli dell’insegnamento. Merril ricavò 5 principi fondamentali: • Problem: pone gli studenti nella condizione di affrontare i problemi che sono motivanti. • Activation: l’apprendimento è favorito quando gli studenti attivano conoscenze ed esperienze precedenti • Demostration: fornisce esempi per migliorare la comprensione • Application: gli studenti applicano nuove conoscenze • Integration: gli studenti applicano la loro conoscenza nella vita reale I principi di merril sono stati ripresi da Calvani che elenca 10 guideline sulle quali è opportuno agire sia in termini di conoscenza sia di analisi critica: • Autoefficacia: consapevolezza di essere • Tra globale e dettaglio: studiare la storia sia nel dettaglio che al livello globale • Sviluppo del pensiero: costruire occasioni nelle quali lo studente possa ripercorrere ciò che ha fatto e anticipare ciò che può fare • Compiti complessi: diversificazione dei compiti a diverso livello di complessità • Rielaborazione: momento di rivisitazione del percorso • Ridurre il carico cognitivo: il soggetto si concentra su aspetti specifici in maniera molto chiara • Attivazione preconoscenze: farsi carico di ciò che il soggetto sa di quel tema • Favorire la dimostrazione e padronanza: far si che il soggetto metta in atto determinate aspetti di competenza • Rapporto tra immagini, testo e video • Rapporto tra mediatori caldi e freddi. La didattica per obiettivi Rapporto e sapere La didattica per obiettivo ha costruito la cultura della programmazione nella scuola, fin dagli anni ’70 inizia a svilupparsi, è una forma di organizzazione dell’insegnamento. Della programmazione non se ne occupa il singolo insegnante ma è un lavoro collegiale cioè che riguarda la collettività e tutti gli insegnanti sono tenuti a fare e che danno identità alla scuola che la attua. Nella legge 517/77 si ritrovano indicazioni specifiche per attuare questa riflessione di individuazione sul quale possa essere il percorso educativo che in un determinato anno la scuola vuole conseguire, articolandosi in tempi differenti (lungo, medio e breve termine) in base agli obiettivi che si vuole conseguire (specifici o generali). Vi è una forte associazione tra programmazione e valutazione che sono tra loro interdipendenti. La legge introduce anche: L’osservazione sistematica: si ritiene che gli insegnanti debbano con regolarità effettuare una rilevazione didattica circa l’apprendimento dello studente, questa osservazione viene espressa nella scheda dell’alunno. Abbiamo una prima valutazione di ingresso che è determinata da ciò che dovrebbe essere presente affinché si possa iniziare la trattazione di un argomento, se vi è presente si passa alle attività, se non vi è presente si torna indietro e si passa al recupero dei pre-requisiti per condurre gli alunni tutti allo stesso livello. Si introduce una nuova visione della valutazione: La valutazione formativa cioè si restituisce al soggetto le informazioni utili per migliorare i propri risultati e permette di capire dove siamo arrivati. Per obiettivo si intende la descrizione di una performance che gli studenti devono essere in grado di mostrare; descrive cioè il risultato che l’istruzione si prefigge piuttosto che il metodo didattico (Mager). Una volta che l’obiettivo è bene definito sarà possibile per l’insegnante porsi delle domande se le attività sono realmente utili per conseguire quel risultato. Attuare una didattica per obiettivi induce anche alcune problematiche: • Frammentarietà e unità: processi di scomposizione e ricomposizione • Linearità vs complessità (tra performance e competenza) Il triangolo dei dispositivi Il dispositivo è un insieme di elementi che vanno a costituire una situazione nella quale il soggetto viene immerso affinché possa interpretare la propria azione e quindi mettersi alla prova in determinate situazioni. La filosofia educativa del progettista è stata elaborata per guardare la visione dell’insegnante nel predisporre occasioni di apprendimento. Ogni insegnante ha la propria visione. Sulla base di questa filosofia educativa si vanno a costruire dei dispositivi che hanno una loro natura: • Dispositivi istituzionali: presentano priorità all’acquisizione delle conoscenze e delle procedure. La pratica di insegnamento principale è la lezione frontale che consente di creare un momento di interazione su un elemento di conoscenza. Gagnè individua le modalità su come affrontare una buona lezione frontale: stimolare, informare, ricordare, presentare in modo chiaro il materiale, supportare l’apprendimento, indurre all’azione, fornire un feedback, valutare le azioni e produrre esempi di pratiche. Un altro tipo di dispositivo istituzionale è quello della scoperta guidata chiamato così perché il traguardo e il percorso sono già ideati dal docente. I processi che rafforzano i dispositivi istituzionali sono: ascolto, memorizzazione e organizzazione dei contenuti. • Dispositivi per la regolazione: si concentrano su una forma di assunzione del compito da parte dello studente e si avvalgono di attività prevalentemente collaborative. L’impegno degli studenti è focalizzato sulla costruzione di domande a partire dall’esplorazione del tema o del problema. Merrill afferma che i migliori ambienti di apprendimento sono basati sul problema. Le situazioni-problema possano avere differenti livelli di complessità, Jonassen ne propone 4: question-based una domanda che non ammette una risposta sicura case-based studio di caso da approfondire project-based elaborazione di un artefatto problem-based • Dispositivi per la riflessione: sono quelli funzionali a sviluppare la consapevolezza circa il percorso di apprendimento, conoscenza del sé. Aiutano a ricostruire una storia di apprendimento per rilanciarle verso un progetto futuro. Due processi di riflessione che caratterizzano i dispositivi per la riflessione sono: il portfolio e il bilancio delle competenze. Il portfolio è divenuto un processo-prodotto che caratterizza tutti gli elementi sui quali si è costruito il cambiamento del soggetto. Il bilancio delle competenze è un processo attivato per consentire ai soggetti di comprendere quali competenze posseggono per trovare una nuova dimensione lavorativa. Il modello EAS EAS: modello per episodi di apprendimento situato. Obiettivo fondamentale: sostenere lo studente nell’apprendere a costruire domande per apprendere. Situazioni singole che avvengono in un tempo ridotto e che intendono supportare l’apprendimento. Siamo in una dimensione micro, non vi è una visione di curricolo ma il principio è di porre lo studente di fronte al sapere per far fare determinate operazioni che lo rendono subito artefice del proprio conoscere. Un elemento alla base di EAS è la flipped lesson ovvero come coniugare l’apprendimento informale e formale, problema oggi così frequente nella gestione della didattica, il ruolo che hanno le tecnologie mobili attivando modalità di auto apprendimento. Un EAS è una porzione di azione didattica, ovvero l’unità minima di cui consta l’agire didattico dell’insegnamento in contesto (è un episodio breve) si ispira alla logica micro18 ovvero la modalità di costruzione di conoscenza connesso all’uso delle tecnologie (cercare, selezionare, confrontare) La struttura EAS consta di 3 elementi: 1. Il momento anticipatori che è costituito da una situazione stimolo, l’insegnante assegna un compito e inquadra l’attività che verrà proposta. 2. Il momento operatorio, cuore dell’EAS, che consiste nella richiesta di risolvere una situazione problematica o di lavorare, l’insegnante organizza il lavoro individuale o di gruppo e lo studente produce un artefatto. 3. Un momento ristrutturativo che consiste nel debriefing, ovvero nel ritornare sui processi attivati e sui concetti fatti emergere per sottoporli a riflessione, l’insegnante valuta gli artefatti, corregge e fissa i concetti mentre lo studente analizza criticamente gli artefatti e sviluppa riflessioni. Le tecniche che possono essere utilizzate per il processo di rivisitazione dell’esperienza sono: • Il metaplan che consiste nel chiedere a ciascun membro del gruppo di sintetizzare su un post-it aggregandoli per contenuti • Costruzione individuale o collettiva di una mappa, un ottima occasione per risistemare i contenuti • Utilizzo del diagramma a V, documentazione che unisce il processo con il prodotto nel suo farsi e permette al gruppo di tenere sotto controllo l’intero lavoro. Il learning design di Laurillard L’insegnamento è la scienza della progettazione, studia come le cose dovrebbero essere e diventare. L’idea che l’insegnamento dovesse essere trattato come una scienza della progettazione è maturata con la presa d’atto della complessità necessaria per partecipare alla vita quotidiana di tutti i giorni e intraprendere percorsi professionali e lavorativi. Occorre quindi ripensare all’insegnamento tenendo sempre più in considerazione la modalità con la quale lo studente apprende più facilmente per costruire un allineamento tra quanto il docente progetta e quanto e come lo studente interpreta sulla base anche dei propri obiettivi. Bisogna anche trovare “forme composite” che raccolgono e organizzano la cultura dell’insegnamento. Il primo gruppo che Laurillard ha individuato: Apprendere attraverso appropriazione Si ha quando uno studente si trova ad affrontare la conoscenza su un tema attraverso uno o più mediatori per ricavare informazioni, strutturare conoscenza, cioè quando lo studente si cimenta da solo con dei contenuti. È un azione individuale che il soggetto deve progressivamente apprendere a fare. Per favorire l’appropriazione il docente: 1. Costruisce la struttura del concetto (visione generale) 2. Chiarisce la struttura interna del testo (far organizzare le informazioni) Apprendere attraverso l’indagine Rappresenta l’imparare ad imparare. Si fonda sui problemi, richiede al discente di saper porre domande, saper costruire un piano di indagine, esercitare il pensiero critico, confrontarsi e confrontare. Il docente sostiene l’apprendimento attraverso l’indagine con: 1. La gestione del supporto (processi di scaffolding) una persona più esperta accompagna con step successivi un soggetto meno esperto affinché acquisisca una padronanza in determinare situazioni lavorative e di studio, pian piano l’insegnante si allontana fino a che lo studente diventa autonomo. 2. L’eventuale modeling cioè fornisce allo studente una modellizzazione di ragionamento per costruire delle scelte, una sorta di suggerimento. 3. L’accesso alle risorse cioè fornire delle risorse allo studente o lasciare che se li procuri da solo. Apprendere attraverso la discussione Si può imparare discutendo, cioè la capacità di ciascuno di attuare una critica costruttiva sul pensiero dell’altro e quindi anche sul proprio, far assumere posizione rispetto a un tema, far fornire prove e argomentazioni, far elaborare • Livello di strutturazione • Modalità con la quale il dato viene rilevato (testo, crocetta) • Discrezionalità dell’osservatore • Tipologia dei dati raccolti (quantitativi, qualitativi) Spiegazioni dettagliate sugli strumenti di osservazione Osservazione strutturata Check-list La check-list è un elenco di comportamenti preselezionati di cui si vuole accertare la presenza (anche con intervalli di tempo definiti), si può adottare sia per l’osservazione in ambiente naturale sia su materiale video, o anche in sede di esperimento. Ha il compito di restringere, cioè rende facilmente confrontabile il dato raccolto. La griglia osservativa Meno strutturata rispetto la Check-list. Innanzitutto dobbiamo individuare i comportamenti “bersaglio” cioè l’oggetto dell’osservazione e successivamente definire che cosa si vuole osservare e i comportamenti più rilevanti e informativi rispetto all’obiettivo. È importante esplicitare e condividere il significato attribuito alle categorie, gli indicatori che aiutano ad assegnare quanto osservato alla categoria. L’osservazione video registrata Viene utilizzata nelle ricerche di tipo osservativo perché è una delle possibili tecniche per effettuare un’osservazione di comportamento di soggetti differenti cioè permette di rilevare contemporaneamente il comportamento di più soggetti. Grazie ad essa abbiamo una minor perdita di informazioni realizzare diversi livelli di analisi e decidere come gestire il tempo. La video registrazione è inoltre uno strumento prezioso per studiare il comportamento non verbale come la direzione dello sguardo o la mimica facciale. Solitamente il video è utilizzato per la ricerca e la formazione, abbiamo due tipologie: 1. La visione solo da parte dei ricercatori (educatori, insegnanti) 2. La visione con coinvolgimento dei soggetti che ha come obiettivo di costruire con il soggetto situazioni di riflessione (sviluppo della riflessività in situazione e post situazione) si sviluppano due modelli: • Il modello dell’analisi plurale di Vinatier e Atlet comporta che la medesima situazione di insegnamento venga osservato da diversi disciplinaristi quindi ci può essere lo psicologo, il sociologo…. E ognuno di queste figure da una propria analisi. Partecipa anche il soggetto perché attraverso l’ascolto delle analisi dei diversi specialisti, il soggetto riceve una rilettura del proprio agire che lo aiuta a riformulare eventuali occasioni di cambiamento e inoltre lo portano anche a riproporre degli interrogativi per ripercorrere le proprie decisioni. • L’analisi di pratica invece coloro che osservano sono i pari cioè l’osservazione viene effettuata da più insegnanti in formazione che solitamente discutono insieme su ciò che vedono e gli esperti intervengono solamente nel momento in cui il gruppo solleva delle domande e non riesce a trovare delle risposte. Lo scopo dell’osservazione da video è: comprendere per formare, comprendere per progettare, scoprire e fare ricerca • Il microteaching è il primo modello elaborato per insegnare, come si insegna in modo efficace, venivano scelte delle micro-unità di insegnamento che potevano essere ripensate in un ottica di miglioramento . Vi era un momento di pianificazione dell’intervento, l’insegnamento, il feedback cioè come aveva funzionato che era fornito dai formatori, re-progettazione, re-insegnamento e infine re-feedback. • Al Lesson Study oltre all’obiettivo di rendere più efficace la modalità di insegnamento, approfondisce l’aspetto dell’apprendimento dello studente. Prevede che dopo la lezione realizzata, il gruppo degli insegnanti riveda la lezione e discuta su come potevano essere modificati determinati passaggi quindi va a concentrarsi sull’effetto che la pianificazione della lezione ha sull’apprendere dello studente. Osservazione con basso livello di strutturazione L’osservazione descrittiva carta e matita Il compito dell’osservatore è di restituire la complessità di ciò che osserva, mentre con il video riesco a tracciare tutto ciò che accade, con l’osservazione descrittiva devo concentrarmi su determinate cose rispettando l’idea della complessità. Un vantaggio è quello del distanziamento cioè mentre agisco difficilmente riesco a rilevare talune dimensione mentre se invece mi pongo nell’ottica di rilevare per comprendere pongo un filtro tra me e la situazione che sto rilevando che aiuta a guardare alcune cose con una postura diversa. Possiamo tracciare la situazione in modo descrittivo/narrativo in modo contemporaneo cioè mentre il fatto si svolge o a posteriori con il ricordo (legato all’aspetto emozionale). Mette in gioco la soggettività e l’oggettività cioè quando è andato veramente in quel modo. È importante definire la durata dell’osservazione, attenzione a non porre tempi troppo lunghi di osservazione intensiva e definire quali sono le situazioni informative che ci interessano. Per costruire un buon protocollo osservativo è utile seguire una struttura e inserire: • Dati dell’osservazione: luogo, data, ora, luogo, soggetti osservati e osservatore. • Dati del contesto: esplicitare in che ambiente stiamo facendo osservazione. • Linguaggio non valutativo: mentre si osserva non si valuta. • Focalizzazione sul contenuto dell’osservazione: la complessità deve essere ridotta per essere catturata. La scelta del focus osservativo deve essere estremamente chiara, quindi ci si può concentrare su: • Aspetti di relazione • Il rapporto con gli oggetti e le cose • Le interazioni linguistiche • Il gesto (anche professionale) Un tipo particolare di descrizione è data dalla tecnica denominata “brevi episodi”. L’osservatore è impegnato a tracciare o in tempo reale o a posteriori degli episodi che ritiene importanti per conoscere, condividere. Sono considerati episodi critici perché riguardano degli aspetti del comportamento che risulta particolarmente interessante per l’osservatore ai fini di raccogliere dei dati che lo aiutano a comprendere o le ragioni del comportamento del soggetto, o la frequenza e la particolarità del comportamento quindi si osservano momenti diversi del soggetto. La soggettività dell’osservatore si accentua nella scelta degli episodi da osservare, nel linguaggio adottato e nell’interpretazione assegnata alla scelta dell’episodio. Il diario di bordo È uno strumento che ci consente di rilevare quella complessità, è connotato dalla temporalità, raccoglie sempre gli eventi in successione lineare. È una descrizione/narrazione di una sequenza di eventi che si manifestano in un determinato periodo della vita (strumento mirato in un determinato momento). È una scrittura privata, il soggetto lo costruisce per se stesso perché vuole poter ricordare gli eventi senza perdere la memoria, oggi avviene un mutamento con i social mentre prima era privato oggi tramite i social è diventato pubblico. La scrittura è sempre libera e consente di ricostruire una storia infatti similmente ad altri strumenti autobiografici, esso può favorire l’attivazione di processi di distanziamento da sé, che permettono a chi scrive di osservarsi, di prendere coscienza dei propri vissuti, di rielaborarli e di attribuire ad esse dei significati. Il diario di bordo per l’azione educativa è redatto da un educatore o più educatori (consente una molteplicità di punti di vista), per un determinato tempo variabile a seconda dell’obiettivo. È necessario specificare l’oggetto di analisi proprio perché non si può documentare tutto, va decisa la frequenza della compilazione e le intenzioni di colui che scrive. Può diventare anche uno strumento per la formazione dell’educatore, egli stesso attraverso la scrittura può documentare il proprio agire e ritornare alla propria modalità interpretativa degli eventi scoprendo diverse dimensioni. Attiva la riflessione per comprendere il proprio agire e la riflessività per una costruzione identitaria (scoperta del sé in termini di professionista). Il diario di bordo contribuisce in maniera significativa alla scoperta del sé: per le figure educative autovalutarsi significa anche interrogarsi sulla propria pedagogia implicita; se si vuole sviluppare uno stile personale, competente e consapevole, occorre svelare rappresentazioni dell’educazione sottese al proprio agire, riflettere sulla loro origine e rileggerle in maniera critica. I questionari Il questionario è una tecnica di rilevazione dei dati fra le più utilizzate nelle scienze umane, ha come vantaggio la rapidità con cui è possibile ottenere informazioni su un grande numero di soggetti, su un dato tema e come queste siano facilmente sintetizzabili grazie all’elevato grado di strutturazione con il quale i dati vengono raccolti. È importante a quale tipo di questionario si vuole fare riferimento: • Questionario compilato dall’intervistatore (non è anonimo) • Questionario auto-compilato (può essere anonimo o nominato) • Questionario anonimo (maggiore possibilità di ricevere risposte veritiere) Le fasi di costruzione del questionario 1. Definire scopo e tema 2. Definizione delle variabili di sfondo culturale e della popolazione 3. Individuazione delle dimensioni da esplorare 4. Organizzazione delle domande 5. Pre-test 6. Affidabilità del questionario 7. Validità del questionario Regole su come si devono costruire le domande: 1. Semplicità del linguaggio 2. Lunghezza delle domande 3. Definizioni ambigue 4. Evitare parole dal forte connotato emotivo 5. Evitare le doppie negazioni 6. Porre attenzione alle domande con risposta non univoca Le interviste Le interviste sono volte a raccogliere informazioni direttamente dal soggetto che viene coinvolto, si parla di intervista quantitativa se effettuata tramite questionario o di intervista qualitativa quando si procede attraverso un dialogo fra due o più persone in funzione di comprendere pensieri, opinioni, avere descrizioni o narrazioni. L’intervista qualitativa può essere vista come il corrispondente, sul versante dell’interrogare, di quanto l’osservazione partecipante rappresenta sul versante dell’osservare e consente di accedere alle pratiche del gruppo. L’obiettivo di fondo è di accedere alla prospettiva del soggetto studiato, cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni ed i suoi sentimenti, i motivi delle sue azioni. Tipologie di intervista: • Completamente strutturata (questionario sottoposto all’intervistatore) • Semistrutturata (scaletta) la più frequente, coniuga la possibilità di cogliere informazioni su ciò che ci interessa e nello stesso tempo è abbastanza libera. Richiede particolare attenzione alla sequenza delle domande (dal generale al particolare), scaletta coerente sul tema indagato, presenza di domande colte a far emergere il vissuto o le opinioni e cura della formulazione delle domande. Le domande possono essere formulate in modo diverso per raggiungere differenti scopo e acquisire informazioni in merito al tema individuato (domande dirette, indirette, proiettive, con risposte chiuse e con risposte aperte) • Libera (domanda chiave) è la più difficile da condurre perché parte da una domanda generale e lascia l’intervistato libero di esporlo, il ruolo dell’intervistatore è quello di aiutare il soggetto a non disperdere il focus e di dettagliare in modo tale che la narrazione che emerge sia chiara e autentica Per realizzare un’intervista è necessario decidere: • Quanti attori vogliamo coinvolgere • Spazio e tempo dell’intervista • Effettuata dal solo ricercatore/formatore • Effettuata da più ricercatori/formatori • Effettuata con il gruppo Solitamente il report è di tipo descrittivo e narrativo Quando usarlo: • Per conoscere un nuovo problema • Per conoscere il linguaggio usato dai soggetti in questione • Per conoscere la prospettiva di un gruppo • Per interpretare dati di tipo quantitativo • Quando la popolazione ne viene agevolata (non sa scrivere, non sa utilizzare un questionario) Quando non usarlo • Quando vi sono tensioni fra le persone • Quando le informazioni debbono essere in profondità, qualitative e non quantitative • Quando non riguardano la singola persona Il valore educativo del focus group: ascolto, condivisione, rispetto e argomentazione Il brainstorming Significa tempesta dei cervelli creata dal pensiero delle persone. È stata ideata da Alex Osborn. È una tecnica efficace per la produzione di idee rispetto a un problema dove le soluzioni a disposizione non sono soddisfacenti. Si attua in un gruppo alla presenza di un conduttore e ha come focus un tema, un problema molto ben circoscritto. L’obiettivo è di far emergere un pensiero divergente per cui è opportuno adottare una postura di ascolto, non formulare mai giudizi o valutazioni su quanto viene espresso e far emergere il numero più alto possibile di idee Il brainstorming non è un ricordo orchestrato, non si ricordano le conoscenze esistenti. È una situazione di creatività assoluta. Come si conduce un brainstorming Bisogna innanzitutto identificare il focus, creare un primo momento di presentazione al gruppo (max 15 minuti) e allestire il Setting in modo tale da favorire la comunicazione. Si forniscono delle regole di base (che sono l’ascolto reciproco, organizzazione degli interventi, non valutazione), non soffermarsi inizialmente sulla formulazione linguistica e bisogna curare la connessione fra idee. La fase produttiva Dopo che il conduttore ha focalizzato il tema o il problema l’attività può essere organizzata secondo due diverse modalità: A. Il conduttore decide di assegnare un tempo individuale durante il quale ciascuno dei componenti è chiamato a individuare idee legate alla risoluzione del problema e solo in un secondo momento si passa alla condivisione. Questa modalità non favorisce il condizionamento reciproco. B. Il conduttore attiva sin da subito l’esposizione delle idee Un altro aspetto che va curato è la documentazione in itinere: tutte le idee vanno raccolte La fase finale è quella dell’analisi e la riorganizzazione collettiva. Il brain-storming sulle parole: • Confronto fra mondi personali e culturali • Disambiguazione del linguaggio • Scoperta dell’altro • Base per un confronto Il brainstorming valutativo Nato in ambito aziendale è rivolto a persone con competenze specifiche, si concentra su un problema da affrontare usando una scala di priorità obbligate per operare la valutazione delle idee. Il Role Play È un gioco di ruolo nel quale i soggetti mettono in scena dei ruoli attivando le conoscenze precedenti che hanno sul quel ruolo e attribuiscono a quel ruolo dei particolari comportamenti. Deriva da una tecnica elaborata da Moreno in ambito terapeutico denominata psicodramma in cui i soggetti potessero esplicitare i propri vissuti, le proprie emozioni su determinati ruoli, una sorta di proiezioni. Estarnalizzando questo tipo di emozioni il soggetto li guarda con distanziamento e le rielabora attivando una forma di liberazione. Il role play non ha questa funzione terapeutica ma una funzione di apprendimento di ruoli e si differenzia dallo psicodramma perché non mette in scena vissuti personali e soggettivi. Viene usato: • Si vuole fare in modo che i soggetti impersonino un determinato ruolo attribuendogli dei comportamenti, dei modi di pensare, delle visioni che sono in quel determinato ruolo tratti familiari • Per mettere in luce le dinamiche interne al gruppo È usato in ambito • Scolastico, Aziendale, Educativo, Formativo Le tipologie di role play in ordine di strutturazione • Per l’addestramento: altamente strutturato. Funzionale all’acquisizione di procedure connesse alle pratiche professionali concentrati sul sapere operativo-tecnico. • Per la selezione: ben strutturato. Utilizzato nei concorsi, nelle selezioni. Utile per far emergere posture ed eventuali competenze trasversali. • Di animazione: basso livello di strutturazione. Definizione delle caratteristiche dei ruoli. Libertà di interpretazione. Aiuta l’espressione di aspetti del sé. • Per la formazione: simulazioni di situazioni professionali complesse. Particolare attenzione sulle modalità relazionare e sui saperi necessari. Potenziamento trasformato (distanziamento del sé) Come si progetta un role play: 4 fasi • Riscaldamento: presentare, rassicurare e provvisorietà dell’esito • Gioco esecuzione: regolazione dei tempi, chiarezza dello scopo • Di raffreddamento: distanziamento dal vissuto, recupero della dimensione reale • Analisi e interpretazione: prima l’analisi, interpretazione con il gruppo, ascolto individuale (se ha agito uno solo) Il ruolo del conduttore nella costruzione del role play • La definizione degli obiettivi • L’allestimento del setting • La consegna dei ruoli • Le indicazioni a eventuali osservatori • Diverse tecniche di gestione (inversione dei ruoli durante…) • Analisi e interpretazione L’autobiografia Si può utilizzare anche in ambito educativo, è una modalità di recupero della memoria e del vissuto del soggetto affinché possa diventare protagonista e progettista del proprio futuro. Rifacendosi a Bruner della costruzione del sé che rimanda a quella dinamica, esplorata anche da Mead, tra l’IO e il ME ovvero tra quelle pulsioni più personali e le visioni esterne che giungono al soggetto che lo portano a una costruzione di una percezione del sé. Abbiamo quindi un rapporto con altro significativo e altro generalizzato: • Altro significativo: quando è quella persona che vive costantemente in rapporto con il soggetto (genitori, figure parentali) che diventano il suo riferimento e per primi gli forniscono dei feedback • Altro generalizzato: tutte quelle figure che allargando il contesto familiare permeano la vita del soggetto (insegnante, compagni..) Tutto questo ritorna alla psicologia popolare perché andiamo a vedere come i soggetti si costruiscono uno sfondo culturale attraverso le narrazioni e attraverso questa visione i soggetti crescono. Tra relazioni personali e sociali avviene la costruzione del sé. È un sé in rapporto alle situazioni e ai ruoli. Si parla anche di sé distribuito: cioè viene composto a partire delle narrazioni che gli altri fanno di te stesso quindi una costruzione collettiva. L’autobiografia quindi è un momento di costruzione, nel momento in cui vado a narrare la mia vita attivo un momento di riconoscimento e di ricordo ed è sempre dinamico (varia). L’autobiografia non è la ricerca della verità ma del vero vissuto ed è sempre orientato al futuro. In ambito educativo secondo Demetrio ci sono due effetti che si possono attivare: Eterostima: attenzione da parte dell’altro crea stima e di conseguenza attiva autostima I processi utili che si attivano nella narrazione autobiografica sono: • La dissolvenza: ovvero la condizione in cui la persona non prova fastidio o timore nel ricordare, bensì ne trae piacere • La spersonalizzazione: avviene quando l’educando, accompagnato dall’educatore, è disposto a compiere ricerca autobiografica per andare più in profondità e aggiungere conoscenza del sé. Per far ciò occorrono delle competenze soprattutto per evitare “trappole emotive” ovvero identificarsi troppo con il soggetto, l’essere troppo in empatia e per evitare retropatie ovvero collegamenti indebiti. È opportuna capire se vale la pena proporre una narrazione autobiografica. Una volta che abbiamo raccolto la storia del soggetto bisogna analizzare: • La scelta degli episodi • Gli accenti emotivi • Le strategie di racconto (su quali si sofferma, altre in cui va velocemente) • I tempi e i luoghi • Le persone • I nodi tematici (amicizie, progetti…) • Come interviene colui che ascolta (educatore o altro) Strategie formative Le strategie formative rappresentano il bagaglio di strumentazioni, modalità, operazioni, risorse che messi in atto durante il processo di insegnamento-apprendimento permettono di raggiungere gli obiettivi prefissati, rispondendo ai loro bisogni di formazione. Si definiscono attraverso le operazioni compiute dal formatore che seguono sia delle traiettorie di tipo pedagogico: che fonda e fissa i nodi valoriali dell’educare e del formare sia delle traiettorie di tipo didattico: che consente di mettere a punto strategie formative e metodologie per rendere efficace l’apprendimento Le strategie formative sono equiparate al metodo e alle procedure: • Il metodo, contestualizzato soprattutto in sistemi di formazione di tipo scolastico formale, rappresenta una logica di azione, una guida per rendere uniformi e centrate le attività didattiche; fissa alcune regole e orienta alcune scelte educative. • Le procedure formative sono sistemi processuali reificati nell’azione. Si tratta dell’applicazione sperimentale, pratica dell’intervento didattico, guidato dal metodo. • Le strategie formative rappresentano un costrutto più ampio. Si tratta infatti di un orizzonte di tipo programmatico e sistemico all’interno del quale si struttura l’intervento didattico, orientato da un determinato metodo e reificato in determinate procedure. La strategia stabilisce quali sono i traguardi che si vogliono raggiungere ponendo un insieme di soluzioni e di mezzi atti a raggiungerli. È sempre contestualizzata: si devono sempre tenere in considerazione le caratteristiche degli apprendenti, sia dal punto di vista cognitivo che emotivo. Una strategia formativa è efficace se: • È coerente con gli obiettivi di apprendimento fissati • È situata in un determinato contesto • È allineata ai bisogni degli studenti Strategie per formare alle competenze Per organizzare un ambiente di apprendimento orientato allo sviluppo delle competenze è opportuno, nello loro pianificazione, passare dall’idea di competenza (concetto astratto) a individuo competente (concetto operativo). L’individuo competente è colui che messo di fronte ad un problema è in grado di riconoscerlo e mobilitare tutte le risorse che ha a disposizione per cercare la strategia migliore di risolvere il problema stesso. Si devono prendere carico le strategie secondo tre caratteristiche: • Strategie dinamiche cioè devono adattarsi ai contesti e alle tipologie di problemi che man mano il soggetto incontra. • Strategie che pongono le soluzioni ai problemi principalmente sono orientate alla soluzione dei problemi che necessita di riflessione e ragionamento intervento e valutazione degli esiti degli interventi educativi e supervisione, indirizzati alla persona e ai gruppi, in vari contesti educativi e formativi, per tutto il corso della vita, nonché con attività didattica di ricerca e di sperimentazione. Art 3 ambiti di intervento. L’educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano nei confronti di persone di ogni età, in diversi ambiti: scolastico, culturale, giudiziario, ambientale, sportivo e motorio…. Queste competenze vengono assegnate al livello 6 EQF (quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente, è strutturato in conoscenze, abilità, autonomia e responsabilità) e prevede che l’educatore abbia conoscenze avanzate in ambito di lavoro o di studio, che presuppongono una comprensione critica di teorie e principi. Richiede anche abilità avanzate, che dimostrino padronanza e innovazione necessarie a risolvere problemi complessi ed imprevedibili in un ambito specializzato di lavoro o di studio. Vi è autonomia e responsabilità, l’educatore è impegnato a gestire attività o progetti tecnico/professionali complessi assumendo la responsabilità di decisioni in contesti di lavoro o di studio imprevedibili assumendosi la responsabilità di gestire lo sviluppo professionale di persone e gruppi. L’educatore di nido Figura ridefinita nel 2017, dotato di una formazione apposita che gli consentono di agire nel sistema integrato per la prima infanzia. Poli per l’infanzia 0-6 anni: struttura che raccoglie nidi e scuole per l’infanzia • Nidi e micronidi: accolgono le bambine e i bambini tra 3-36 mesi, assicurano il pasto e il riposo e operano in continuità con la scuola dell’infanzia • Sezioni primavera: 24-36 mesi: aggregate di norma alle scuole per l’infanzia statali o paritari e favoriscono la continuità del percorso formativo dai 0 ai 6 anni • Sistemi integrativi: accoglie i bambini in base all’eta e soddisfano i bisogni delle famiglie in modo flessibile. Si distinguono in: spazi giochi (12-36 mesi organizzato con finalità educative di cura e socializzazione, non prevedono il servizio mensa e consentono una frequenza flessibile per un massimo di 5 ore) centri per bambini e famiglie (accolgono i bambini sia dai primi mesi di vita, è un momento di incontro per gli adulti sui temi della genitorialità, non c’è il servizio mensa, frequenza flessibile) servizi educativi in contesto domiciliare ( 3-36 mesi concorrono con le famiglie alla loro educazione e cura) La figura educativa Competenze caratterizzanti la figura educativa: • Il saper progettare un intervento educativo • Il saper condurre un intervento educativo • Il saper valutare un intervento educativo Le posture caratterizzanti: • l’autonomia decisionale seppur tenendo in considerazione quanto emerso dalle equipe diffuse e le responsabilità • L’essere sempre in ricerca e sperimentazione, ovvero interrogare sempre il reale, i fatti, sollevare dubbi, analizzare, porre domande per avviare processi di indagine che permettano di aumentare conoscenza sui problemi e di condividerla tramite un’accurata documentazione L’educatore quindi è risolutore di problemi: riconosce il problema, lo definisce attraverso i dati raccolti, identifica la situazione finale, organizza e gestisce il progetto e lo valuta Dimensioni dell’agire educativo Saper agire in senso educativo possa declinarsi almeno come possibilità di stabilire e mantenere un’intenzionalità formativa, di riconoscere con chiarezza i destinatari dell’intervento, di stabilire i messaggi/contenuti educativi da privilegiare, di poter allestire Setting idonei allo svolgimento delle attività formative, di affidarsi alle strategie congruenti rispetto ai cambiamenti attesi e alle possibilità di azione (Maccario 2009) L’intenzionalità deve essere nella direzione di un cambiamento nella condizione di considerare il soggetto come unico e adeguato alle sue aspettative. In quale dimensioni agisce l’agire: • Diversificazione delle priorità: diversi bisogni e quali hanno la priorità • Bisogni diversi per soggetti diversi: da 0 al termine della vita, contesti multipli • Bisogni individuali e di gruppo/sistema: famiglia, comunità Questa estrema flessibilità che viene richiesta può creare dispersione, si può penalizzare l’efficacia dell’intervento educativo Chi si educa e a che cosa C’è differenza tra educare il singolo ed educare il gruppo. Sono risorse fondamentali: • Avere un repertorio metodologico per agganciare il gruppo, relazionarsi, gestire… • Promuovere e correggere comportamenti • Inserimento del gruppo nel contesto territoriale • Rapporto tra individuo e gruppo Vengono educati tutti i soggetti in tutto l’arco della vita. Gli oggetti dell’educazione sono due: • Aree culturali: disciplinari, educative come l’educazione alla cittadinanza • Aree connesse all’esperienzialità: essere in un ruolo come nel caso del genitore Dove, quando, come educare La strutturazione del Setting formativo costituisce un elemento che si ritiene connotativo delle azioni educative. Questo significa un’attenzione particolare alle condizioni spazio-temporali, socio-relazionali, materiali e simboliche entro le quali si sviluppa l’azione formativa, così da creare contesti educativi analogici rispetto alle possibili esperienze di vita reale. L’attivamento del setting dovrebbe consentire l’attivazione di una funzione VICARIANTE . Secondo Berthoz, la vicarianza è la sostituzione di un processo con un altro che però consente di perseguire il medesimo scopo. Si può avere: Vicarianza d’uso: quando un soggetto utilizza il medesimo oggetto per molteplici usi. Vicarianza funzionale: permette di simulare un atto e di sostituirlo con altre strategie, di inventale di nuove La vicarianza in educazione assume il significato di sostituzione dell’esperienza vissuta in prima persona o quando il soggetto elabora strategie differenti per affrontare problemi. In quest’ultima eccezione la vicarianza si rende visibile attraverso le prese di decisione che consentono di comprendere quali mondi possibili ha creato il soggetto e con quali criteri scegli l’uno rispetto all’altro. Proprio in questo senso Berthoz associa l’idea di vicarianza ad un cervello che è creatore di mondi possibili. La progettazione degli spazi e dei tempi è una priorità connessa all’oggetto educativo. Gli spazi per l’educazione sono differenti per chiusura e apertura, scarsamente predefinibili, connotati affettivamente. Non esiste un metodo educativo ma un repertorio di risorse sempre modificabili e fra loro combinabili. Il problema da evitare è lo spontaneismo. Il principio dell’azione educativa L’educatore può cercare di migliorare l’efficacia della propria azione riferendosi ad alcuni principi operativi a carattere generale Il principio della significatività Come affermato da Laneve questo principio si basa sulla necessità di rendere esplicito a colui che apprende il senso stesso dell’intervento che viene proposto. Chiarire significa innanzitutto tradurlo in obiettivi che vengono percepiti utili anche dal soggetto e che portino dei risultati di un cambiamento nella direzione di una crescita e realizzazione personale. Secondo Pellerey, questo principio riguarda la necessità di rendere possibile agli allievi il collegamento fra quanto debbano apprendere e quanto già posseggano come loro conoscenza. Scegliere la significatività come principio vuol dire cercare il modo per rendere possibili le azioni educative, riportandole nella zona di sviluppo prossimale del soggetto. In primo luogo stimola una strutturazione delle esperienze e conoscenze (rileva e rielabora l’esperienza di vita) Il soggetto entra in contatto con elementi non conosciuti e questo può provocare diversi comportamenti, che il soggetto: • Ignora o rifiuta l’elemento perturbante • Giunge a compensazioni parziali nelle quali coesistono elementi di conoscenza diversi che non riescono ad integrarsi • Intraprende veri e propri percorsi di ristrutturazione delle conoscenze che vanno ad arricchire quanto già esistente. Saper usare il giusto strumento per rilevare l’informazione desiderata è importante. Un terzo elemento da curare è il coinvolgimento del soggetto e quindi la chiarezza nel presentagli le attività da svolgere. Il principio della motivazione Il principio della motivazione riguarda la costruzione di condizioni capaci di suscitare l’adesione alle proposte didattico-educative da parte del soggetto in apprendimento: si tratta di lavorare affinché la persona o il gruppo siano disposti a fare gli sforzi necessari perché avvenga il cambiamento auspicato in direzione educativa (Maccario) Il concetto di motivazione può essere: • Estrinseca: etero regolata, avviene quando il soggetto agisce per fare piacere a qualcuno o per rispondere alle indicazioni di qualcun altro. Pressioni originate dall’esterno • Intrinseca: si origina all’interno del soggetto, la curiosità e il piacere di apprendere Tra i due diverso livello di autonomia e responsabilità. Il rinforzo diviene uno strumento importante nella gestione della motivazione estrinseca e contribuisce a mantenere alto il livello di tensione del soggetto per raggiungere il traguardo atteso. Uno stimolo che se viene a mancare nel soggetto verranno a cadere anche le condizioni per l’attivazione del compito. La motivazione in rapporto ai bisogni di Masolw: vengono caratterizzate in 3 grandi aree: Sopravvivenza fisiologica : bisogni fisiologici, sicurezza e protezione Bisogni sociali o di sopravvivenza psicologica: affetto ed appartenenza, riconoscimento sociale Fini superiori dell’individuo: autorealizzazione Un altra prospettiva è realizzata da Ford: i bisogni in rapporto agli obiettivi Secondo Ford vi possono essere obiettivi affettivi, cognitivi, di partecipazione sociale e di compito Una prospettiva sulle motivazioni che un soggetto manifesta di fronte a un compito è stata elaborata da Weiner. La natura delle cause alle quali è attribuita la riuscita o meno in un compito è stabilita in due categorie: • Cause interne controllabili (impegno, motivazione) • Cause esterne non controllabili (fortuna, caso, facilità del compito) • Cause interne non controllabili (attribuzione al sé di competenza) L’educatore quindi dovrà sostenere gli educandi ad attribuire i successi a una combinazione di capacità e ragionevole impegno e attribuire gli insuccessi alla mancata e temporanea conoscenza o a uno sforzo insufficiente. Il principio della relazione e affettività Le condizioni che portano un educatore ad avere una buona relazione affettiva sono: essere autentici, incontrare, comprendere, ascoltare, confermare ed essere autorità. Possiamo lavorare attraverso l’ascolto attivo che è un comportamento complesso che si attua in tre momenti: • Ricezione di messaggi verbali e non verbali • Decodifica e lettura dei messaggi nella loro interezza • Comportamento di supporto L’educatore e i minori stranieri non accompagnati (MSNA) Ne fanno parte: • Minori richiedenti asilo o per i quali sono previste misure di protezione temporanea per motivi umanitari • Minori giunti in Italia per ricongiungersi con i loro genitori o ad altri parenti senza requisiti per poter avviare procedure per un ricongiungimento familiare regolare • Minori sfruttati e giunti in Italia attraverso criminalità organizzata Per tutti questi casi è previsto che l’educatore prende in carico il minore su mandato del Comune o dei servizi sociali ed educativi territoriali. Le finalità dell’educatore sono di: • Favorire l’inserimento- integrazione nel contesto di vita italiano • Facilitare l’inserimento in una struttura comunitaria • Attuare iniziative per favorire la frequenza scolastica o di corsi di formazione professionale • Facilitare l’acquisizione della lingua italiana L’identità del sé deve essere completamente ricostruita, creare le condizioni che soddisfano le necessità primarie Difficoltà che incontra l’educatore: • Assenza di informazioni • Non consentire il riferimento alla sola comunità di appartenenza I grandi ambiti in cui l’educatore si può cimentare sono: • Ri-significazione identitaria (storie di vita, proiezioni, potenzialità) L’educatore nel carcere Il carcere è la massima espressione di un dispositivo progettato per accogliere, controllare e modificare i comportamenti delle persone sia spazialmente che temporalmente. Dispositivo autonomo nella propria gestione rispetto le logiche che permeano sul territorio, lo rendono indipendente. Ha il compito di trasformare posture e comportamenti al fine di riprogettare sé stesso. L’attività educativa in carcere nasce negli anni 70, un progetto di individualizzazione perché abbiamo di fronte persone differenti per storie personali, età, reati e tempo di permanenza del carcere. Le attività che si predispongono secondo la normativa è l’istruzione, lavoro, pratiche di culto, attività culturali, ricreative e sportive; contatti con il mondo esterno. La complessità nella progettualità educativa sono dovute al sovraffollamento, molte culture, età e pene differenti. In questo universo così complesso e problematico l’attività educativa si può poggiare su alcuni cardini: • Diventare garante di un processo di costruzione del sé attraverso la formazione (evitare spersonalizzazione e disumanizzazione) • Avviare un processo di ricostruzione identitaria (recupero della propria storia • Realizzare un monitoraggio del cambiamento soggettivo e collettivo • Alimentare la resilienza: capacità di trasformare un’esperienza dolorosa in apprendimento • Operare in rete con il territorio Carceri Minorili 14 18 anni I carceri minorili hanno una configurazione diversa già dalla fine degli anni 80. Hanno il ruolo di sanzionare, proteggere e potenziare per questo lo strumento migliore è l’istruzione e il recupero delle storie personali grazie alla scrittura e le tecnologie. Nel mondo del carcere minorile si parla sempre più di una giustizia riparativa perché si pone il minore nella situazione di dover riparare, ove possibile, il danno provocato alla vittima. Occorre portare gli autori di reato a comprendere che gli atti da loro connessi non sono accettabili e che hanno reali conseguenze per la vittima e per la società; gli autori di reato possono e devono assumersi la responsabilità delle loro azioni. Le vittime devono avere la possibilità d esprimere i loro bisogni e di essere associate alle riflessioni che mirano a determinare come l’autore di reato deve riparare, al meglio, il danno che ha causato. La comunità è tenuta a contribuire a tale processo L’educatore al tempo del digitale Le indicazioni educative della media education sono: • accompagnamento: bambino e adolescente ha il diritto di essere accompagnato nell’esplorazione dei media • autoregolamentazione: tempi e modalità di fruizione cioè utilizzo • alternanza: si intende la fruizione di diverse esperienze, tra cui i media Il comportamento da prosumer è stato facilitato da tecnologie che hanno consentito la creazione di prodotti web. Lontano dagli occhi perché c’è distanza tra emittente e ricevente, sostanzialmente il messaggio viene confezionato attraverso linguaggi come la scrittura o i media che ci consentono di comunicare a infiniti utenti. La prima tecnologia è stata proprio la scrittura, e successivamente con la nascita della televisione lo sviluppo dei media. Lo scopo della media education è lo sviluppo dello spirito critico nei confronti del messaggio. Le tecnologie mobili portano oltre all’indipendenza del messaggio, nessuna responsabilità facilità, anonimato, continuità del tempo e soprattutto non si vedono le conseguenze quindi nessun feedback che mi aiutano a capire che il mio comportamento ha un impatto sugli altri. Questi elementi stanno caratterizzando sempre di più delle dinamiche da affrontare: • Bullismo: definito come un insieme di episodi di oppressione fisica o psicologica ripetuti nel tempo e perpetuati da una o più persone nei confronti di qualcuno percepito come più debole. Esso può assumere due forme: diretto quando vi sono offese, comportamenti violenti e ingiunzioni di compiere azioni sotto minaccia. Indiretto quando si assiste a comportamenti di esclusione della vittima dal gruppo, di maldicenza nei suoi confronti. • Cyberbullismo: considerato come atto aggressivo, intenzionale, condotto da un individuo o da un gruppo di individui, attraverso varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo, contro una vittima che non può difendersi. Ci sono diverse tipologie, parliamo di 1. Flaming: scambio di messaggi violenti 2. Harassment: invio di messaggi violenti e ricerca di appoggio da parte di altri 3. Cyberstalkig: invio di messaggi violenti, intimidatori 4. Denigration: diffondere pettegolezzi, immagini 5. Happy slapping: diffusione in rete di atti di bullismo 6. Impersonation: furto di identità e diffusione di notizie Un educatore di fronte a questi comportamenti cerca di comprendere focalizzandosi sulla gestione delle emozioni, occorre attivare un recupero del vissuto, solitamente c’è una relazione non adeguata nell’ambito familiare nella prima infanzia. Inoltre le debolezze non appartengono solo alla vittima ma anche al bullo. Bisogna cercare di individuare gli stereotipi culturali che facilitano l’individuazione della vittima ( caratteristiche fisiche, nazionalità, disabilità…). È importante capire quale figura genitoriale hanno vissuto, in alcuni casi si fa notare come i comportamenti dei genitori non siano emblematiche per gli adolescenti, o genitori vogliono diventare più amici che genitori. Vi è sempre una relazione tra vita reale e vita digitale. Le strategie di intervento di un educatore segue due linee: ripartivo e preventivo. Quello preventivo prevede: Informazione sul problema, rinforzo della consapevolezza collettiva, lotta ai pregiudizi, alle stereotipie, all’esclusione. L’intervento sulla persona prevede: rinforzo della persona, della sua identità; la responsabilità soggettiva in ogni piccola azione; supportare un processo di recupero della fiducia negli adulti da parte dei ragazzi agendo sulla famiglia. Peer education: regole per una cittadinanza digitale L’educatore con i minori Minori immersi in situazioni di maltrattamento o abuso sono tra più complessi da affrontare perché non hanno la capacità di affrontare e manifestare il proprio malessere e non si fida più dell’adulto e per questo vi è un alto rischio di insuccesso. Le strategie di intervento che l’educatore può attuare: • L’educatore protegge il minore dai genitori cattivi: intervento al bambino mettendo in situazione di frattura con la famiglia, si crea ostilità con la famiglia e si giunge alla rottura di qualsiasi intervento. • L’educatore diviene lo sponsor dei genitori: l’educatore attribuisce ai genitori uno stato di difficoltà e crea un empatia e attenzione nei loro confronti. In questo caso dimentica una delle principali regole dell’agire educativo: la tutela del minore. Da vita a una sorta di cecità educativa che in molti casi rafforza le fonti che causano il malessere del minore • L’educatore diviene investigatore: sul mandato dei servizi sociali, l’educatore dovrebbe scoprire cosa accade, non è la più adeguata perché il bambino percepisce che l’obiettivo è quello di farlo parlare scatta la reazione di rifiuto. L’educatore lavora all’interno di un contesto, vale a dire il campo nel quale si realizza, prende forma e significato un comportamento umano. Il contesto è caratterizzato da un luogo, da una storia, da dimensioni relazionali. Due tipologie di contesto: • Contesto di aiuto: l’educatore fornisce un supporto al genitore per migliorare il proprio intervento genitoriale (inadeguatezza genitoriale) • Contesto di tutela: si avverte nei confronti del genitore un pregiudizio e quindi l’attenzione è più sulla protezione sul minore, infatti è presente il tribunale per minorenni che attraverso propri decreti limita la potestà dei genitori. Come avviare il progetto educativo: 1. Presentare l’intervento ai genitori. I passi utili potrebbero essere i seguenti: • Esplicitare le preoccupazioni da parte del servizio sociale nei confronti del minore • La finalità è comprendere (cosa possiamo fare per far star meglio il bambino?) • Come possiamo comprendere insieme a voi come far star meglio vostro figlio? • Non sappiamo perché il motore sia in difficoltà • Prendersi un tempo per capire 2. Presentare l’intervento al minore. • Linguaggio comprensibile • Chiarezza sulle motivazioni che hanno portato i servizi a proporre l’intervento educativo ai genitori • Il minore sa che potrà contare su un aiuto qualora lo richiedesse, che anche la sua voce è necessaria per giungere alla realizzazione di attività utili per tutti. Si va quindi a prospettare uno scenario educativo in cui si definisce l’intervento a partire dalle evidenze, ma per andare oltre. Si costruisce un rapporto di fiducia e una comunicazione che si spera possa diventare più profonda e accompagnata da fiducia reciproca. Il processo di rilevazione procederà parallelamente all’attuazione dello scenario educativo: l’educatore raccoglie informazioni per rispondere alla domanda: quale spiegazione diamo al disagio del minore? Uno strumento che l’educatore deve saper gestire accuratamente in questo caso è l’empatia, una forma di accoglienza, un mettersi nei panni di.. per far comprendere al motore una vicinanza, consentire un’eventuale apertura di sentimenti e la comunicazione di emozioni Dopo aver fatto un accurata rilevazione occorre prospettare uno scenario possibile: • Un rapporto di delega: l’educatore aiuta e sostiene il motore in una o più aree nelle quali il genitore incontra difficoltà e quest’ultimo accetta e autorizza tali interventi • Un rapporto di affiancamento: l’educatore affianca il genitore nel gestire aspetti inerenti l’educazione del figlio e il genitore accetta tale supporto • Un rapporto di collaborazione: l’educatore propone al genitore strategie per affrontare di comune accordo alcune difficoltà del minore e il genitore accetta e rispetta l’alleanza educativa • Rapporto di condivisione: l’educatore evidenzia difficoltà e problemi inerenti il motore che necessitano di ulteriori interventi. Il caso più emblematico è costituito dalla richiesta avanzata dell’educatore, accettata dai genitori, di coinvolgere anche un consulente psicologiche per ovviare a determinate problematiche. L’educatore in strada L’educativa di strada è un servizio che si propone: Di migliorare la qualità dell’aggregazione spontanea dei gruppi di adolescenti presenti in un determinato territorio. Deve riuscire a cogliere i bisogni, interessi e richieste e allestendo percorsi finalizzati a promuovere lo sviluppo delle abilità sociali dei ragazzi. L’educatore che opera in strada deve sviluppare due competenze caratterizzanti: • Flessibilità in quanto è chiamato ad operare senza rete, in quanto è non sa esattamente quali gruppi incontrerà e quali potranno essere le attività possibili, tutto dovrà essere deciso in situazione avendo ben chiari quali sono i criteri di un vero intervento educativo • Capacità di connettere e inquadrare il proprio lavoro in una rete di professionisti ed enti presenti sul territorio La strada evoca significati che vanno tutti presi in esame al fine di attivare un intervento educativo: • Strada come luogo di libertà • Strada come luogo di aggregazione • Strada come spazio di confine tra il controllo, la libertà, il pericolo L’educatore di strada non può evitare o prevenire ma viene incontro. Pure fare educazione cambia significato: non più l’evitamento dei fattori di rischiamo il rinforzo del soggetto affinché possa governare e gestire gli elementi di rischio. La complessità del lavoro di strada è determinata dalla mancanza delle condizioni che normalmente caratterizzano l’azione educativa, ovvero: • L’impossibilità di stabilire e creare a priori setting nel quale realizzare interventi educativi preventivati • L’assenza della domanda formativa: i soggetti che vivono la strada non pongono espliciti bisogni formativi • La difficoltà di definire un oggetto sul quale concentrare l’azione educativa vista la non conoscenza della possibile utenza Il primo compito dell’educatore è quello di tracciare una topografia del territorio, generalmente i gruppi si riuniscono in tre diversi tipi di spazi: • Le soglie: zone di confine di spazi istituzionali, fuori dalle scuole, dalle palestre…. • Gli interstizi: luoghi di passaggio o di sosta transitoria, panchine, marciapiedi… • Le tane: luoghi nascosti, marginali, protetti, edifici abbandonati, parchi… Sono dei gruppi aperti in quanto è possibile entrarne a far parte ma sono anche chiusi perché si auto-proteggono Sono visibili in quanto facilmente identificabili sul territorio e grazie alla loro popolarità sono diventati invisibili perché non ci facciamo più caso Sono occasionali nel senso che non vengono progettati ma presentano anche ricorsività nel modo in cui si costituiscono nei rituali che presentano L’educatore per riuscire a individuare i possibili gruppi con la quale attivare i processi formativi deve costruire una mappatura dei gruppi cercando di rilevare sia i luoghi, sia le loro modalità di fruizione dei territorio, i loro rituali, le loro pratiche di socializzazione. I passaggi possono essere i seguenti: • Raccogliere informazioni dai testimoni • Effettuare un’osservazione non partecipante (osservazione descrittiva) • Stabilire contatti: il gruppo si trasforma, l’educatore trasforma e si trasforma Una progettazione educativa deve avere dei caratteri distintivi: • Partecipazione:vista in due prospettive; partecipazione con l’educando e partecipazione collettiva da parte di tutti gli educatori che è garanzia di rinforzo per una costruzione identitaria. • Flessibilità: capace di adeguarsi flessibilmente ai bisogni dei discenti • Concretezza: deve collegarsi ai problemi concreti della realtà, anche per favorire la trasferibilità dei contenuti appresi al nido alle situazioni di vita e viceversa • Adeguatezza: deve perseguire obiettivi realistici rapportate alle conoscenze e alle abilità dei discenti • Continuità: deve assicurare la continuità fra diversi livelli di istruzione (continuità verticale) e tra diversi contesti formativi (continuità verticale) coerente con percorsi di apprendimento e delle potenzialità della persona Nella progettazione al nido si attiva una circolarità continua tra osservazione, progettazione, azione e documentazione. L’osservazione ha la funzione di rimodernamento delle ipotesi di lavoro con i bambini, e al fine di costituire una risorsa per la progettazione, deve rispondere al criterio di rilevanza cioè l’osservazione non va intesa come semplice registrazione delle reazioni che il bambino manifesta di fronte a determinati stimoli, ma si deve spingere verso la rilevazione delle reazioni che si creano tra il bambino e il mondo, del modo in cui cerca di scoprire, di sperimentare, di relazionarsi. L’adulto nella progettazione al nido è mediatore di relazioni costruttive del contesto nel quale è immerso. L’ambiente che favorisce lo sviluppo del bambino: L’ambiente naturale come condizione per la scoperta degli elementi, dei sistemi è quello più democratico perché costituisce una possibilità di accesso per tutti. Abbiamo la possibilità di far sperimentare il bambino il proprio sé attraverso il movimento, le sensazioni e le percezioni. L’ambiente si propone come un alfabetiche che persa direttamente dalla realtà, che libera e raffina le competenze intellettuali dei bambini tramite l’esplorazione. Questo alfabetiche ha un potenziale enorme anche per accompagnare lo sviluppo del linguaggio; dapprima articolato sulle polarità (è, non è) o sulle discriminazioni polari (alto, basso, grande, piccolo..) allo scopo di stimolare nei bambini l’analisi delle somiglianze e delle differenze che riscontra nella sua quotidianità. Indicazioni metodologiche per una buona progettazione al nido: • Predisporre le situazioni esplorative • Raccogliere informazioni • Accompagnare l’esplorazione • Sostenere l’analisi • Attivare la comprensione • Sollecitare la costruzione delle categorie Nel nido possono essere presenti: • Zone ricreative: giostre, scivoli, gallerie… • Zone di sperimentazione materiali: terreno, prato, sassi… • Zone atelier: attrezzati per poter disegnare, dipingere… • Zone per la costruzione: contengono colla, martello, corde per comporre • Zona familiare: vivere momenti familiari come pranzo, stanza da letto… • Zone per la ricerca: contengono lente di ingrandimento, attrezzature per scavare per fare in modo di accrescere la loro curiosità. Il gioco al nido: il bambino gioca per conoscere e ha tantissime potenzialità: • Giochi di esercizio: il bambino ripete per diventare più abile per fare qualcosa • Gioco di simulazione: caratterizza l’età tra i 2/3 anni. Far finta di imboccare la bambola, usare oggetti diversi per un’azione o fare finta di essere qualcun altro, riproduzione di scene reali Le potenzialità del gioco: • la dimensione rappresentativa si sviluppa il potenzialità del bambino di immaginare • il pensiero divergente: processo immaginativo che porta il bambino a identificare tante altre diversità • il pensiero decentrato: il bambino entra nel punto di vista dell’altro • Lo sviluppo del pensiero narrativo: il bambino costruisce delle storie, delle narrazioni e attraverso questi racconti interpretati nel gioco manifestano le loro interpretazioni, le loro elaborazioni Lo sfondo integratore Lo sfondo integratore costituisce un pensiero progettuale pedagogico che supporta la riflessione dell’individuazione dei percorsi che ogni persona può fare per realizzare al meglio sé stesso per sopperire alle disuguaglianze e alimentare il valore delle diversità. Lo sfondo è un contesto nel quale il bambino si ritrova a vivere che lo aiuta ad organizzare la propria esperienza ma anche a fare nuova esperienza, contesto aperto e mobile. Attiva una strategia di apprendimento complessa, componibile e scomponibile. È una particolare organizzazione di tempi, spazi, modalità comunicative, regole atte a facilitare l’autonomia organizzativa dei bambini. Quando si opera in un ottica di sfondo integratore emerge la dimensione narrativa e lo sfondo promuove connessioni tra eventi, storie e persone. Per realizzarsi correttamente ha bisogno di uno sfondo istituzionale come rete cioè abbiamo bisogno di ripensarlo al livello di sistema supportata da un intero sistema istituzionale. Non dobbiamo confondere lo sfondo con il filo conduttore, la differenza è che nello sfondo integratore sono i bambini stessi che costruiscono la storia e l’evoluzione della storia non è nota all’educatore ma gli obiettivi devono essere identificati ma non necessariamente in ordine tassonomico, mentre nel filo conduttore è l’educatore a proporre un personaggio fantastico e gli obiettivi sono predefiniti. Il ruolo dell’adulto o dell’educatore nello sfondo appare come regista che coglie interessi e stati d’animo dei bambini, contribuisce a farli emergere attraverso la predisposizione dello sfondo, interagisce per far evolvere nella direzione prospettata dai bambini, osserva, registra e valuta l’evoluzione. Non dirige gli attori in un percorso predefinito ma sostiene, accoglie le idee degli attori stessi, si tratta di coevoluzione. Le strategie che può usare un adulto: • La conversazione: far esprimere il pensiero • La provocazione: creare dissonanze cognitive • La ri-osservazione: vedere che cosa accade quando si è attivata una parte della narrazione Il ruolo del bambino è di vero protagonista, l’attore. Ha un ruolo attivo in quanto: • Propone con il proprio agire • Partecipa alla co-evoluzione • Vive il contesto come uno sfondo nel quale muoversi sia fisicamente che cognitivamente. Lascia tracce dei suoi interessi (di ciò che l’attira) e dei suoi bisogni (mancanza di qualcosa) Il metodo Montessori Maria Montessori (1870-1952) esperienza di studi articolata tra studi scientifici, declinata in studi pedagogico- educativo e solo nel primo decennio del 900’ è riuscita a dare una forma a questa proposta formativa per l’infanzia. Nel 1907 ha costruito la prima casa dei bambini dove poneva quest’ultimi in una situazione di protagonismo e di autonomia d’azione. Gli assi portanti del metodo Montessoriano (definito anche pedagogia scientifica): • Bambino: attore e protagonista, che può agire, ipotizzare e costruire • Ambiente: deve essere a misura di bambino • Materiale di sviluppo: materiali predisposti per far si che si possano sviluppare dei processi cognitivi • Educatore: che interpreta l’agire del bambino, l’ambiente e il materiale di sviluppo per costruire AUTOEDUCAZIONE Un altro elemento del metodo che va accentuato è la visione della persona umana nella sua totalità: umanizzazione, persona che partecipa a una educazione cosmica cioè viene abituato a lavorare su aspetti di socialità e della partecipazione alla costruzione del mondo, bambino che si autoevolve in rapporto alla società. Il bambino è interpretato come un embrione spirituale che deve vivere a spese dell’ambiente, ma come l’embrione fisico ha bisogno di un ambiente speciale quale è il seno materno, così questo embrione spirituale ha bisogno di essere protetto da un ambiente esterno animato, caldo d’amore, ricco di nutrimento: dove tutto è fatto per accogliere e niente per ostacolare. Nella prima infanzia il bambino è dotato di una “mente assorbente” in quanto capace di assorbire inconsapevolmente i dati del suo ambiente. I cambiamenti avvengono secondo ritmi naturali in rapporto ai “periodi sensitivi”, sono questi periodi a caratterizzare il cambiamento, sono momenti in cui la persona è particolarmente attrezzata da un punto di vista motorio, neurologico e psicologico, a fare dei salti qualitativi. Ecco che la stimolazione adeguata e la predisposizione dell’ambiente costituiscono la condizione necessaria per aiutare il mutamento, l’evoluzione. L’ordine è un’opportunità formativa per i bambini. Ritroviamo quindi un educatore presente ma invisibile, scienziato, ricercatore, mediatore, rispettoso nei processi di personalizzazione, che si occupa di valutare e guida questa mediazione con il sapere attraverso i materiali. • Gli incastri solidi: consentono di accrescere l’abilità fine- motoria • Torre rosa: affina la consapevolezza della diversità di grandezza e della loro organizzazione (dal più grande al più piccolo) • Materiali strutturati: volte allo sviluppo cognitivo sensoriale • Materiali per lo sviluppo della sensibilità sonata, per il riconoscimento dei gusti e degli odori Montessori assegna un’importanza fondamentale nell’azione dell’educatore all’osservazione Il Reggio Approach È un modello di formazione per i bambini. Malaguzzi è stato l’ideatore e fin dagli anni80’ risultò estremamente interessante per Bruner che sviluppò diverse attività di ricerca con il gruppo reggiano, e così pure face Gardner che trovò estremamente interessante l’approccio visto il suo interesse per l’esplorazione delle diverse intelligenze. Porta alla visione di un bambino al quale nulla le può essere impedito dalla natura e dal suo essere, bambino caratterizzato da cento linguaggi, come diceva Malaguzzi che voleva dare valore a tutta la potenzialità emotiva, affettiva, espressiva, comunicativa, ideativa, cognitiva dei bambini. Questo modello è nato nel dopoguerra con un bisogno di valorizzare l’infanzia da parte di un territorio che voleva reinvestire in una società civile dando spazio a tutti. I capisaldi del modello reggiano: • La scuola come luogo dove ci si educa e si educa: luogo di trasmissione e costruzione di valori e saperi • Il valore della soggettività: il soggetto è una costruzione che si definisce in un contesto e in una cultura insieme ad altri. È la base fondante di qualsiasi processo di apprendimento, di conoscenza del mondo, dell’altro • Il valore della differenza: in quanto gli individui siamo tutti diversi, la scuola non deve favorire lo sviluppo di una normalità riconosciuta assimilandola a norme e caratteristiche. Non bisogna giungere a una sola realtà ma accettare contrasti e contraddizioni che sono presenti in una realtà composta da diverse visioni • La partecipazione come valore: sentirsi parte e partecipe • Il valore dell’apprendimento: l’apprendimento è un valore se lo si coglie nella sua difformità, nel suo modo di compiersi con i soggetti, con i loro tempi. È un processo individuale e collettivo al contempo. • Il valore del gioco, del divertimento, dei sentimenti: riconosciuti come elementi essenziali per ogni autentico processo conoscitivo educativo carica di emozioni, curiosità, affettività.. • La documentazione: si tratta di costruire una sistematica documentazione dell’evento educativo ed è importante che l’educatore si attenga a ciò che i bambini propongono • Il ruolo dell’educatore/insegnante e la sua formazione: collegialità molto intensa, ogni settimana gli educatori si incontrano per discutere sulle tracce e documentazione per ripensare e accompagnare le fasi evolutive educative. Nel Reggio Approach un elemento fondamentale è l’ambiente che viene cooproggettata da figure diverse come l’architetto, il pedagogista e gli insegnanti perché si da alla connotazione ambiente un valore pedagogico. Nell’ambiente troviamo l’angolo della trasformazione che vede al proprio interno una serie di abbigliamenti, vestiti proprio per consentire ai bambini di travestirsi e fare giochi di simulazione. Vi è sempre una dinamica di libertà di accesso, fruizione e riorganizzazione. Ogni attività deve essere intrapresa e conclusa con un determinato ritmo. I materiali sono prevalentemente di uso quotidiano di dimensioni e materiali completamente diversi, sta al bambino analizzare, sviluppare e sperimentare. La documentazione è di tipo fotografica che serve a tracciare le esperienze e i percorsi, e una parte fondamentale della documentazione sono i “brogliacci” che sono la trascrizione delle conversazione dei bambini che poi vengono riesaminate dagli educatori per progettare. Un elemento che contraddistingue il modello reggiano è la presenza degli atelier che sono dei veri propri laboratori artistici dove i bambini sperimentano la creatività con un atelierista che ha una specifica competenza. I mini- atelier invece sono degli spazi che vengono collegati alla sezione che contengono tavoli per la pittura o luminosi. Gli atelier Nesce all’interno del modello reggiano e parte dal principio che ci possono essere tante modalità espressive e creative e nessuna deve essere interdetta al bambino. Ha uno spazio ben definito con degli arredi specifici che consentono al bambino di poter sperimentare e conoscere, un vero e proprio laboratorio di conoscenza gestito dall’atelierista (che hanno una specializzazione nelle arti). Privilegiano nella loro articolazione un approccio interdisciplinare e globale. Malaguzzi diceva che la nascita dell’atelier ha prodotto un’irruzione eversiva, una complicazione e una strumentazione in più, gli atelier sono capaci di fornire ricchezze di possibilità combinatorie e creative tra i linguaggi e le intelligenze • Conservazione, affinché la documentazione prodotta possa essere recuperata in un tempo successivo La documentazione che riguarda la professionalità dell’educatore può essere costituita da un portfolio che si presenta come prodotto- processo che testimonia la crescita professionale e permette l’autovalutazione. Per l’educatore è importante indagare la propria filosofia educativa pecche rimanda a valori e convinzioni personali che fondano le decisioni. Vi è una connessione tra profilo e il profilo delle competenze professionali perché sapere quali siano le competenze professionali induce colui che deve compilare il proprio portfolio a selezionare quali sono i passaggi che testimoniano un cambiamento. Nel portfolio si inseriscono tracce reali, riflessioni personali, scritture personali per raccontare l’evoluzione ( quando ho imparato, in quali condizioni..) L’e-portfolio è preferibile al portfolio cartaceo perché consente di inserire materiali diversi ed è esportabile. Modelli di capitalizzazione della conoscenza La conoscenza costruita nell’esperienza è un fattore fondamentale per la progettazione dei percorsi formativi. Si parla di conoscenza inespressa perché la conoscenza che matura attraverso l’azione rimane incarnata nella persona e resta all’interno del proprio agire, non ha la modalità per essere comunicata ed esplicitata. Polany: noi possiamo conoscere più di quello che riusciamo ad esprimere L’essenza della conoscenza inespressa è nella funzionalità. Quando un soggetto cerca di conoscere lo svolgersi di un evento, la sua attenzione è rivolta inizialmente al primo elemento e a quello che ad esso è collegato, ma non a come avviene la relazione. Essenzialmente Polany ci dice che questa conoscenza inespressa è come se fosse un insieme di tanti frammenti tra loro legati dalla singola situazione in rapporto a quello che accade. Per cogliere una conoscenza inespressa e renderla consapevole non è sufficiente analizzare i singoli componenti ma occorre: • L’immedesimazione: che permette di entrare nella situazione e du viverla nella sua interezza e complessità (è lo spazio del significato globale) • L’analisi dei particolari per comprendere il loro rapporto con il globale (è lo spazio della consapevolezza profonda del significato inizialmente assegnato) Il modello esperienziale di Kolb Kolb ritiene che la conoscenza è il risultato della combinazione di due attività: • Afferrare l’esperienza: sia essa esperienza concreta o concettualizzazione astratta • Trasformare l’esperienza: sia essa osservazione riflessiva o sperimentazione attiva Su queste due traiettorie si viene a costruire il modello di Kolb definito learning cycle cioè un ciclo di apprendimento continuo curato all’interno di un’organizzazione. Vi sono 4 fasi distinte che si ripetono ciclicamente: • Esperienza concreta: l’individuo è coinvolto pienamente nella percezione e nella sperimentazione dei dati dell’esperienza • Osservazione riflessiva: l’individuo attiva un’osservazione sulla realtà, di tipo riflessivo • Concettualizzazione astratta: sulla concettualizzazione precedente l’individuo elabora ulteriori astrazioni che permettono di inferire relazioni di funzionamento • Sperimentazione attiva: l’individuo è ormai in grado di produrre concetti esplicativi e teorie di azione sull’esperienza che, come un nuovo livello di conoscenza, potranno sempre essere testati ancora una volta dall’esperienza concreta Proseguendo la modellizzazione della sua proposta, Kolb giunge a individuare due assi che si sviluppano: dall’esperienza concreta alla concettualizzazione astratta; dalla sperimentazione attiva all’osservazione riflessiva. In corrispondenza dei quadranti prodotti dai due assi, Kolb evidenzia 4 stili di apprendimento: • Convergenti: sono orientati all’azione e tendono a mettere in pratica le idee il più rapidamente possibile • Divergenti: preferiscono l’esperienza concreta e l’osservazione riflessiva. Investono molto sul piano relazionale ed emotivo e si trovano a loro agio uscendo dagli schemi prestabiliti • Assimilatori: sono obiettivi, razionali e logici • Adattivi: sono fortemente orientati ai risultati e il loro focus è diretto alle conseguenze delle loro azioni Queste classificazioni non consentono alcuna esclusività e non sono esclusive Il modello di Nonaka e Takeuchi Proviene dalla cultura giapponese, si sono occupati dell’importanza della comunicazione del sapere esperto presente in una organizzazione e la necessità di renderlo condiviso. Nel loro modello SECI troviamo una circolarità con 4 fasi: • Socializzazione: da conoscenza tacita a conoscenza tacita, è la condivisione della conoscenza (dialogo) che resta nella mente del partecipante, piuttosto che annotarla altrove • Esternalizzazione: da conoscenza tacita a conoscenza esplicita, da non scritta a conoscenza scritta • Combinazione: da una conoscenza esplicita a una conoscenza esplicita, combinare la conoscenza esplicita con molte fonti e infine creare una nuova forma di conoscenza esplicita • Internalizzazione: da una conoscenza esplicita a una conoscenza tacita, la conoscenza è modellata prima in un tipo scritto, poi con la ripetizione azioni, la conoscenza si diffonderà e diventerà una conoscenza tacita La valutazione della formazione Il termine valutazione ha due significati: • Percorso o processo che consente di raccogliere dati sulle azioni messe in atto • Giudizio finale, di valore, sulle azione messe in atto Il processo valutativo non può fare a meno della raccolta dei dati e contribuisce a strutturare l’apprendimento Secondo la letteratura valutare significa analizzare un’azione intrapresa per una finalità o un interesse di tipo collettivo, per capire se essa abbia ottenuto gli effetti o raggiunto gli obiettivi desiderati, esprimendo un giudizio che è determinato dal maggiore o minore scostamento da tali effetti al fine di proporre modifiche e aggiustamenti (Stame). La valutazione deve avere 3 elementi che la contraddistinguono: • Raccolta dati • Programmazione in fase progettuale • Intenzionalità Nei vari contesti è possibile distinguere: • Evaluation: valutazione del sistema o del processo • Assessment: valutazione degli apprendimenti Bisogna aver ben chiaro le differenza tra valutazione ( interpretazione di dati) e misurazione (conteggio, raccolta di dati) Le fasi del processo valutativo secondo Wolf sono tre: • Raccolta dati e documentazione • Interpretazione dei dati in base al contesto di riferimento • Determinazione di un giudizio di valore Lo scopo della valutazione è un cambiamento, un miglioramento della pratica e del percorso didattico, un’azione sulla realtà. Valutazione di sistema Mira a dare un riscontro ad un intero processo formativo che è stato messo in atto. La valutazione nei sistemi formativi ha una logica di tipo processuale. Si possono valutare dei programmi, singoli interventi, progetti e apprendimenti. Le fasi della valutazione: • Ex-ante: diagnosi, si valuta il punto di partenza del progetto • In itinere: monitoraggio, segue passo passo tutte le azioni del progetto stesso • Ex-post: risultato atteso, il processo si conclude e si valuta se si sono ottenuti i risultati attesi Gli attori della valutazione possono essere agenti o beneficiati. Gli agenti hanno un ruolo attivo e ne fanno parte il committente, valutatore e operatore. I beneficiari sono i destinatari possono essere diretti (studenti) o indiretti (famiglie degli studenti) I modi di valutazione possono essere qualitativi e quantitativi I paradigmi formativi: • Neopositivista: vede la formazione come un continuo miglioramento, modello di tipo razionalista che ha il suo principio formativo nella valutazione di base • Progmatista: modello funzionalista, valutazione diagnostica ha l’obiettivo di far emergere bisogni e problematiche sul quale sia necessario intervenire • Costruttivista: modello processuale, valutazione continua Tassaro ha tracciato le linee guida su come si svolge un processo valutativo, individuando all’interno di esso quattro tipologie di operazione valutative che rendono conto della pluralità degli interventi che aiutano a situare correttamente gli esiti raggiunti. • La prima operazione consiste nell’accertamento cioè misurare specifici prodotti, comportamenti o prestazioni • La seconda operazione consiste nella verifica, esso riguarda il confronto tra il progetto iniziale e il risultato raggiunto, che determinano la validità del progetto formulato all’inizio • La terza operazione è la valutazione vera e propria, determinare il valore formativo • La quarta operazione è la metavalutazione che consiste in una riflessione critica sul contesto e sull’intero processo Scopo il miglioramento del processo stesso Cosa si deve valutare all’interno dei sistemi formativi: sistema formativo, progetto formativo, processo formativo, risultato formativo La meta valutazione è un processo di tipo riflessivo La valutazione messa in atto dal formatore può avere uno scopo diagnostico La valutazione formativa Contesto istruzione e formazione, non può essere separata all’azione didattica, consente di superare una concezione standardizzata e misurata dell’intervento formativo. Ha due scopi: mettere a punto l’azione didattica attraverso una postura di distanziamento, permette di attribuire un valore all’azione didattica. La valutazione non è l’atto finale del processo formativo ma è continua e interessa tutte le fasi del processo didattico. Stiggins ha inserito nelle teorie valutative una differenziazione, ha detto che la valutazione connota diversi aspetti: • Assessment of learning: valutazione degli apprendimenti • Assessment for learning : valutazione per gli apprendimenti In pratica tende a sconfessare l’utilità della valutazione standardizzata ma ritiene che sia necessaria una valutazione di supporto degli apprendimenti Stiggins inserisce anche l’idea di balance assessment cioè la valutazione bilanciata, una modalità di valutazione continua e costante che produce informazioni e dati condivisi e analizzati con gli studenti per capire come sta andando il processo di apprendimento, mira alla consapevolezza, può essere definita come feedback. I principi per una valutazione effettivamente formativa: predispone compiti autentici e stimolanti, gli insegnanti chiariscono obiettivi e criteri valutativi e infine bisogna integrare nello stesso compito sia la valutazione che l’apprendimento. Non è una raccolta delle informazioni ma una riconfigurazione della mentalità del docente e studenti che aiuta agli studenti stesso a capire cosa sia importante imparare. La valutazione formativa per essere tale deve avere 3 connotazioni: • Oggettività: si intende la caratteristica della prova che tende ad escludere gli aspetti soggettivi e non controllabili dell’attività di misurazione, allo scopo di ottenere una misura priva di errori e valida a prescindere dal soggetto che la sta esercitando (non c’è possibilità di errore, è univoca) • Validità: la validità di una prova stabilisce il grado di corrispondenza, la coerenza tra ciò che si intende valutare e ciò che realmente viene valutato. Si riproduce il comportamento anche di fronte a situazioni differenti • Attendibilità: è la costanza dei risultati ottenuti attraverso la prova, anche in tempi diversi e con soggetti diversi. Tale criterio assume la logica dell’esperimento scientifico: esso per essere considerato attendibile deve dare gli stessi esiti se replicato più volte Le fasi della valutazione sono 3: • Definizione degli obiettivi: significa stabilire cosa si intende valutare e con quali criteri. Tale operazione è connessa alla progettazione del curricolo in quanto in esso sono contenuti i traguardi che gli studenti devono raggiungere e di cui la valutazione deve dare conto (valutare la performance ma no l’intero processo) • Predisposizione delle prove: scegliere la tipologia di prove in base all’apertura di stimolo e risposta o in base al grado di strutturazione • Misurazione e attribuzione del giudizio: predisporre una scala di valori, che può essere variamente costruita e successivamente, in base a tale scala, assegnare giudizi, numerici o verbali. In contesto sia scolastico che sociale sono elementi imprescindibili nella fase di attribuzione di giudizio, se la valutazione vuole essere realmente formativa. La valutazione autentica ricorre continuamente nel contesto di un ambiente di apprendimento significativo e riflette le esperienze di apprendimento reale. L’enfasi è sulla riflessione, sulla comprensione e sulla crescita piuttosto che sulle risposte fondate solo sul ricordo di fatti isolati. Le caratteristiche di una valutazione autentica sono: realistica, richiede giudizio e innovazione, richiede agli studenti di costruire la disciplina, replica i contesti di vita o di lavoro, accerta la mobilitazione, permette il feedback e la • Competenze per intervenire: l’educatore sociale deve essere in grado di agire direttamente nella situazione concreta e in modo adeguato, in relazione ai bisogni e ai desideri del bambino/giovane/adulto, senza che passi troppo tempo fra la rivelazione del bisogno e l’azione • Competenze per valutare: comprende quello che l’educatore sociale deve saper fare per pianificare, organizzare e riflettere sulle proprie azioni e sugli interventi futuri. Unisce le proprie competenze teoriche alle riflessioni sulla propria e altrui pratica. Deve essere in grado di valutare la connessione fra l’intenzione, l’azione e il risultato • Competenze riflessive: deve essere in grado di riflettere sulle questioni che riguardano il proprio ambito professionale con i colleghi e con le altre figure professionali. Le riflessioni devono essere fatte conoscere e diffuse sia nel proprio ambito professionale che pubblicamente. Ci sono anche delle competenze centrali: • Competenze personali e relazionali: attenzione all’ascolto e alle prospettive dell’altro, ad essere empatico • Competenze sociali e comunicative: saper essere con gli altri, gestire i conflitti • Competenze organizzative: pianificazione sistematica del lavoro socio-educativo, deve saper progettare e promuovere • Competenze sistemiche: allarga il potenziale d’azione dell’educatore • Sviluppo ed apprendimento delle competenze: cura di come si apprende Per impegnarsi professionalmente, rispettando al tempo stesso la personalità di un’altra persona, è richiesto all’educatore un orientamento verso l’inclusione, un alto grado di concentrazione sui bisogni dell’utente, una coscienza etica ad una moralità professionale e , infine ma non ultima, la capacità di separare i rapporti privati delle relazioni professionali. Questo richiede un alto livello di empatia, consapevolezza, riflessività etica, estroversione, adattamento e senso della responsabilità, ed un grande intuito professionale. Competenze generate dalla pratica professionale: • Saper teorici e competenze metodologiche • Competenze per il comportamento professionale • Competenze culturali • Competenze creative Sviluppare ed aumentare le sue competenze professionali e le sue basi teoriche attraverso una formazione continua e complementare che gli permetta di migliorare competenze, la progettualità… Saper cercare e acquisire continuamente nuove conoscenze ed abilità, ed essere capace di trasformarle nella pratica Saper come fare per migliorare le competenze in modo sistematico, strategico ed adeguato, e partecipare alla loro ideazione e miglioramento Dimensione etica • Riservatezza professionale, privacy • Responsabilità di richiamare l’attenzione sulle condizioni che creano problemi sociali e che possono portare all’esclusione sociale o anche a condizioni di vita inaccettabili • Gli educatori sociali sono completamente responsabili delle loro azioni, indipendentemente dalle eventuali richieste di una autorità superiore • Rinforzare o stimolare una riflessione etica ed un dibattito fra educatori sociali La formazione dell’educatore La formazione dell’educatore richiede una formazione universitaria ma non finisce lì. La formazione in servizio amplifica i cardini della formazione iniziale, i saperi teorici vanno integrati ai saperi pratici. Un altro elemento cardine è l’analisi dell’azione che permette all’educatore di appropriarsi del proprio agire e la costruzione del sé professionale che è la garanzia della continuità del tempo della propria professionalità. Bisogna accrescere e alimentare un pensiero pedagogico, deve aver cura della giusta distanza tra vita personale e professionale, una costante sorveglianza su di sé cioè avere consapevolezza delle emozioni, dei problemi, del come siamo, questo ci permette di controllare delle emozioni non positive e a eventi molto stressanti e diventa una vera e propria competenza professionale. Questo controllo non è sempre spontaneo, può anche nascere dal confronto con gli altri, dall’interazione. Un dispositivo che accompagna l’educatore lungo il percorso è la supervisione. La supervisione è un sovrasistema di pensiero sulla progettazione e sull’azione professionale: uno spazio e un tempo di sospensione in cui trovare, attraverso una riflessione guidata da un esperto (solitamente è uno psicologo), una distanza equilibrata dal fare, che permetta di analizzare sia la dimensione emotiva sia la dimensione metodologica dell’azione professionale, per ripensare l’intervento e ricollocarlo in uno sfondo di senso e in una cornice corretta con spirito critico e di ricerca. La supervisione si concentra su due aspetti: • Psicologico: nel caso in cui si affronti il vissuto soggettivo o di gruppo in relazione a determinati eventi e situazioni • Pedagogico: nel caso in cui il supervisore si concentri sull’esaminare il perché un progetto non proceda, il tipo di intervento attuato e le sue ragioni e lo ponga in rapporto al caso facendo emergere un confronto fra le dichiarazioni d’intenti educativi e gli effetti educativi L’analisi dell’azione avviene o tramite l’intervista di esplicitazione o audio e videoregistrazioni. Un altro aspetto che può emergere è la diversità dei dilemmi: il dilemma è qualcosa che caratterizza sempre l’agire con le persone, può creare disagio e fa si che si possa vedere come i dilemmi del novizio non sono più i dilemmi di un esperto e quindi la contaminazione esperienziale può diventare anch’essa generativa per attivare quella crescita professionale che l’educatore attua durante l’attività di servizio. Ci si può formare anche attraverso l’autodirezione e la collettività L’autodirezione significa poter governare il sé, la fiducia e la motivazione che l’educatore ha rispetto il proprio modo di intervenire, costruire e realizzare. L’agentività è al tempo stesso il risultato e la sostanza di un processo autoformativo, è potenza personale di agire per se stessi, gestire se stessi, capacità di fissare degli obiettivi e di attenersi ad essi, di formare e condurre progetti, di orientarsi verso il futuro, gestire lo sforzo, avere un’attitudine proattiva, è l’autodirettività (self-directedness) rogersiana (Rogers) che alimenta il sentirsi competenti, autonomi, socialmente integrati per realizzare un naturale sviluppo di sé. La dimensione collettiva può essere vista come l’antidoto alla dispersione professionale, alla caduta di motivazione, alla caduta del processo di autocostruzione e al burnout che esaurisce le risorse di una persona. La mente collettiva: dove il soggetto si esprime al meglio connettendo con altri il proprio essere un’unità di azione che si muove armonicamente e sinfonicamente in risposta all’inedito e all’imprevisto. È il potenziale di apprendimento dell’equipe che viene messo in luce, insieme alle dinamiche collettive (Milani) L’interdipendenza è una condizione fondamentale per lavorare in gruppo, producendo decisioni condivise. Integrazione di competenze e conoscenze. Il gruppo soddisfa il bisogno di appartenenza ma anche fonte di difficoltà, contrapposizioni, diversità apparentemente insanabili per questo bisogna essere consapevole che le interpretazioni sono diverse da persona in persona, la seconda è di spostare l’attenzione sul problema e non sulle contrapposizioni. Si fa riferimento ai teoremi in atto secondo Vergnaud a concezioni ritenute per vere che orientano le decisioni La competenza riflessiva L’educatore deve essere dotato di una competenza riflessiva. Una caratteristica particolare dell’educazione sociale è che lo strumento essenziale è costituito dal processo interpersonale e relazionale, in linea di principio, gli strumenti dell’educatore sociale sono il proprio corpo e la propria mente. Questo richiede agli educatori di essere in grado di chiarire i contenuti, le relazioni, le dinamiche e metodi delle proprie azioni. Proprio per questo, l’educatore sociale deve essere consapevole di quale sia la sua visione dell’essere umano, dell’altro, del proprio sistema di regole e valori. Schon nel “il professionista riflessivo” presenta le modalità con le quali il professionista riflette in azione sull’azione • Non vi è più un sapere codificato e immutabile ma saperi che nascono continuamente dalla pratica in mutamento • Bisogna generare sapere attraverso il confronto con altri, l’apprezzamento di punti di vista diversi, la capacità di accettare soluzioni condivise • La conversazione riflessiva con l’azione Mezirow aveva costruito la visione sull’apprendimento trasformato dell’adulto in diverse fase. Distingue due grandi modalità con le quali costruiamo le nostre conoscenze e facciamo nascere la nostra interpretazione sul mondo. • Lo schema di significato può riferirsi a come fare una cosa (apprendimento strumentale), a come interpretare ciò che dicono gli altri (apprendimento comunicativo), o a come intendere se stessi • Le prospettive di significato ci forniscono dei criteri per giudicare o valutare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, il pane e il male, il bello e il brutto, il vero e il falso… esse determinano inoltre il nostro concetto di personalità, la nostra autoimmaginazione idealizzata e l’opinione che abbiamo di noi stessi. Schon individua 4 tipi di ricerca riflessiva: 1. L’analisi della struttura: significa prestare attenzione ai valori e alle norme ritenuti prioritari e a quelli ai quali si attribuisce morire importanza. La consapevolezza della struttura porta alla consapevolezza dei dilemmi che è quando una comunità di professionisti incorporea idee molteplici e contrastanti sulle strutture adatte alla costruzione di problemi e di ruoli, allora i professionisti si trovano di fronte a questi dilemmi 2. La ricerca per la costruzione del repertorio: accumulare e descrivere esemplari, utili a far circolare conoscenze scaturite dalla pratica e dalla riflessione nel corso dell’azione. In formazione sono esemplari gli studi di caso attraverso i quali si accede alla conoscenza professionale insita nelle pratiche e nei problemi 3. La ricerca sui metodi fondamentali di indagine e le teorie dominanti: sono i riferimenti teorici-metodologici che vengono utilizzati per comprendere nuove situazioni. La teoria viene utilizzata per dare struttura alla situazione così da consentire al professionista di confermare se stesso e la forma che ha dato alla situazione 4. La ricerca sul processo di riflessione nel corso dell’azione: attenzione al processo, alle sensazioni. Ricercatore operante nel contesto della pratica. Negli ultimi vent’anni la riflessione è stata riconosciuta come una strumentalità di base per i professionisti dell’educazione, ed è stata sistematicamente vincolata in termini di competenze nei percorsi formativi e di sviluppo professionale a esse destinati.
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